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-The Project Gutenberg eBook of Cronica di Matteo Villani, vol. III,
-by Matteo Villani
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you
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-using this eBook.
-
-Title: Cronica di Matteo Villani, vol. III
- A miglior lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna
-
-Author: Matteo Villani
-
-Editor: Ignazio Moutier
-
-Release Date: January 29, 2023 [eBook #69900]
-
-Language: Italian
-
-Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team
- at http://www.pgdp.net (This file was produced from images
- made available by the Bayerische Staatsbibliothek)
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI,
-VOL. III ***
-
-
- CRONICA
-
- DI
-
- MATTEO
- VILLANI
-
-
- A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA
- COLL’AIUTO
- DE’ TESTI A PENNA
-
- TOMO III.
-
-
-
- FIRENZE
- PER IL MAGHERI
- 1825.
-
-
-
-
-LIBRO QUINTO
-
-_Qui comincia il quinto libro della Cronica di Matteo Villani; e prima
-il Prologo._
-
-
-CAPITOLO PRIMO.
-
-Chiunque considera con spedita e libera mente il pervenire a’ magnifici
-e supremi titoli degli onori mondani, troverà che più paiono mirabili
-innanzi al fatto e di lungi da quello, che nella presenza della
-desiderata ambizione e gloria: e questo avviene, perchè il sommo stato
-delle cose mobili e mortali, venuto al termine dell’ottato fine,
-invilisce, perocchè non può empiere la mente dell’animo immortale;
-ancora si fa più vile, se con somma virtù non si governa e regge; ma
-quando s’aggiugne a’ vizi, l’ottata signoria diventa incomportabile
-tirannia, e muta il glorioso titolo in ispaventevole tremore de’
-sudditi popoli. Ma perocchè ogni signoria procede ed è data da Dio in
-questo mondo, assai è manifesto, che per i peccati de’ popoli regna
-l’iniquo. L’imperial nome sormonta gli altri per somma magnificenza,
-al qual solea ubbidire tutte le nazioni dell’universo, ma a’ nostri
-tempi gl’infedeli hanno quello in dispregio, e nella parte posseduta
-per i cristiani tanti sono i potenti re, signori, e tiranni, comuni,
-e popoli che non l’ubbidiscono, che piccolissima parte ne rimane alla
-sua suggezione; la qual cosa estimano ch’avvenga principalmente dalla
-divina disposizione, il cui provvedimento e consiglio non è nella
-podestà dell’intelletto umano. Ancora n’è forse cagione non piccola
-l’imperiale elezione trasportata ai sette principi d’Alamagna, i
-quali hanno continovato lungamente a eleggere e promuovere all’imperio
-signori di loro lingua, i quali colla forza teutonica, e col consiglio
-indiscreto e movimento furioso di quella gente barbara hanno voluto
-reggere e governare il romano imperio; la qual cosa è strana da quel
-popolo italiano che a tutto l’universo diede le sue leggi, e’ buoni
-costumi e la disciplina militare: e mancando a’ Tedeschi le principali
-parti che si richieggono all’imperiale governamento, non è maraviglia
-perchè mancata sia la somma signoria di quello. E stringendone l’usata
-materia a fare principio al quinto libro, la coronazione di Carlo di
-Luzimborgo, e quanto di quella seguitò in brevissimo tempo, sieno in
-parte esempio di quello che narrato avemo nella presente rubrica.
-
-
-CAP. II.
-
-_Come messer Carlo di Luzimborgo fu coronato imperadore de’ Romani._
-
-Domenica mattina a dì 5 del mese d’aprile, gli anni Domini 1355 dalla
-sua salutevole incarnazione, il dì della Resurrezione di Cristo,
-essendo il cardinale d’Ostia legato del papa a fare la consecrazione
-dell’imperadore con molti prelati nella basilica di san Pietro,
-l’eletto Carlo sopraddetto giugnendo a san Pietro co’ Romani, e colla
-grande cavalleria e moltitudine di popolo che l’aveano accompagnato,
-scavalcato colla sua donna, furono ricevuti nella chiesa con grande
-tumulto di stromenti, e allegrezza e festa di catuna gente. E
-incontanente ch’egli fu in san Pietro, com’egli avea ordinato, molti
-cavalieri armati tramezzarono tra la sua persona e della donna con
-alquanti più confidenti prelati ch’erano all’uficio dell’altare, e
-l’altro popolo riempierono sì il mezzo della grande basilica che niuno
-potea valicare verso l’altare, o vedere la sua consacrazione, salvo
-i prelati e coloro ch’erano in compagnia con l’eletto. E celebrato
-l’uficio della solenne messa, spogliato l’eletto de’ suoi primi
-vestimenti, e stando a piè dell’altare, ricevuta la sagra unzione, e
-confessata la sua cattolica fede, con quelle cerimonie che l’usanza
-richiede, fu vestito dell’imperiali vestimenta, e consecrato dal
-cardinale; per lo prefetto di Vico, in chi sta l’uficio d’incoronare,
-gli fu messo la corona dell’oro imperiale, ed egli incoronò
-l’imperatrice. E fatta la solennità della sua coronazione, l’imperadore
-nella maestà imperiale montò in su uno grande e nobile destriere,
-portando nella mano destra un bastone d’oro, e nella sinistra una palla
-d’oro ivi suso una crocetta di sopra, e sotto nobilissimi palii d’oro
-e di seta, addestrato da’ principi romani e da altri nobili signori
-alla sella e al freno e d’intorno, e appresso a lui l’imperadrice,
-con grande allegrezza e festa furono condotti per la città di Roma a
-san Giovanni Laterano, ov’era fatto l’apparecchiamento per desinare;
-e ivi smontati, con grande reverenza andarono a vicitare l’altare: e
-già valicata l’ora di nona, si posono a mangiare: e fatta la desinea,
-l’imperadore e l’imperadrice, con poca compagnia di loro gente, mutato
-l’abito dell’imperiale maestà, montarono a cavallo, e andarono ad
-albergare fuori della città di Roma a san Lorenzo tra le vigne: e
-questo fece per ubbidire al comandamento a lui fatto dal santo padre,
-che coronato che fosse, non dovesse albergare in Roma. A questa
-coronazione si trovarono cinquemila tra baroni e cavalieri alamanni,
-i più Boemi, e più di diecimila Italiani vi furono a cavallo, tutti al
-servigio e a fare onore all’imperadore. E niuno contrario o sospetto a
-lui si trovò in Italia, per l’umile venuta e savia pratica che tenne,
-di non essere partefice e di non seguire il consiglio de’ ghibellini
-come i suoi antecessori, cosa maravigliosa e non udita, addietro per
-molti tempi. E partito l’imperadore da san Lorenzo con minore compagnia
-se n’andò a Tivoli per osservare alcuna ceremonia debita a’ novelli
-imperadori; incontanente tutta la cavalleria si cominciò a partire da
-Roma, e venire verso Siena e Pisa, e chi a ritrarsi verso la Magna.
-Lasceremo alquanto l’imperadore e la sua cavalleria al cammino, e
-seguiremo d’altre novità strane, che in questi giorni s’apparecchiano
-alla nostra materia.
-
-
-CAP. III.
-
-_Come messer Ruberto di Durazzo prese per furto il Balzo in Provenza._
-
-Quello che seguita essendo molto strano dalla schiatta reale, ci
-fa manifesto, che dove la necessità regna, rade volte s’aggiugne la
-ragione. Messer Ruberto, figliuolo che fu di messer Gianni duca di
-Durazzo, nipote del re Ruberto, tornato di prigione d’Ungheria, e male
-provveduto dal re Luigi suo cugino, se n’andò in Francia; e servendo
-il re alle sue spese, non essendo provveduto da lui tornò in Provenza;
-e ivi, per mantenersi a onore, gravati gli amici e’ parenti, consumò
-ciò ch’egli avea: e venuto a tanto che non potea mantenere quattro
-scudieri, si pensò di fare male; e non avendo da se la forza, s’accostò
-col sire della Guardia, a cui manifestò il suo pensiero, e richieselo
-d’aiuto. Costui, ch’era uomo atto alla guerra più ch’al riposo, disse
-di seguirlo volentieri, e accolsono ottanta cavalieri, e provvidonsi
-di scale; e una notte, a dì 6 d’aprile del detto anno, essendo il forte
-castello del Balzo in Provenza senza alcuno sospetto, e ’l signore del
-Balzo nel Regno in cortese guardia del re, messer Ruberto vi s’entrò
-dentro, e senza contasto prese il castello e la rocca inespugnabile.
-Sentendosi la novella in corte, il papa e’ cardinali se ne turbarono
-forte, salvo il cardinale di Pelagorga ch’era suo zio, il quale con
-seguito di certi cardinali di sua setta lo scusavano in concestoro,
-e segretamente l’atavano per modo, che in pochi dì ebbe nel Balzo
-trecento cavalieri e cinquecento fanti armati, e cominciò a correre il
-paese e fare preda fin presso Avignone, non senza sospetto del papa, e
-de’ cardinali, e di tutta la Provenza.
-
-
-CAP. IV.
-
-_Come i Provenzali s’accolsono per porre l’assedio al Balzo._
-
-Essendo questa cosa divolgata per la Provenza, i baroni del paese
-ch’amavano la casa del Balzo, e temeano delle loro castella per lo
-male esempio, senza essere richiesti da altro signore fece catuno suo
-sforzo, e trassero con cavalieri e fanti che poterono fare al Balzo,
-e in pochi giorni vi si trovarono ottocento cavalieri e gran popolo:
-e dato ordine tra loro, tennono assediato il castello e la gente che
-dentro v’era. La novella andò di subito a Napoli al conte d’Avellino
-signore del Balzo, il quale di presente il disse al re; ond’egli
-si turbò forte, e incontanente licenziò il conte, e rimandollo in
-Provenza, profferendogli il suo aiuto: il conte si mise in fretta al
-suo viaggio. Il papa e’ cardinali erano in turbazione colla setta
-di quelli di Pelagorga, la qual cosa conturbava non poco la corte
-e tutta la Provenza. Lasceremo al presente la materia del Balzo, e
-trapasseremo alle novità che occorsono in Italia innanzi che il Balzo
-si racquistasse.
-
-
-CAP. V.
-
-_Come si comincio l’izza da messer Galeazzo Visconti a messer Giovanni
-da Oleggio._
-
-Messer Giovanni da Oleggio vicario di Bologna per messer Maffiolo de’
-Visconti di Milano, innanzi che l’arcivescovo avesse presa Bologna
-era provveduto dal detto arcivescovo, del quale si credea che fosse
-figliuolo, tra altre utili possessioni d’un castello grande e nobile
-chiamato...., del quale messer Giovanni avea buona rendita: il castello
-vicinava con certe terre di messer Galeazzo Visconti. Avvenne, che
-messer Giovanni s’intendea in Milano d’amore con alcuna donna la quale
-nel segreto era al servigio di messer Galeazzo, il quale accorgendosi
-di messer Giovanni, l’ebbe a sdegno, e senza altro dimostramento
-della cagione prese izza contro a lui, e messer Giovanni sforzandosi
-di fargli onore nol potea contentare: infine gli tolse il castello,
-più per fargli dispetto che per altra cagione. Della qual cosa messer
-Giovanni non s’osò rammaricare nè dolere, ma di questo nacque poi
-maggiore novità quando messer Giovanni si rubellò alla casa de’
-Visconti, come leggendo appresso si potrà trovare.
-
-
-CAP. VI.
-
-_Come il capitano di Forlì sconfisse gente della Chiesa._
-
-Del mese d’aprile del detto anno, il capitano di Forlì cavalcava
-nella Marca, e avea in sua compagnia dugento cavalieri i più gentili
-uomini giovani, i quali erano con lui per amore a sua provvisione. Il
-capitano della gente d’arme della Chiesa seppe l’andata del capitano
-di Forlì, e di notte gli si fece incontro, e misegli un aguato di
-quattrocento cavalieri. Il capitano di Forlì, innanzi che fosse al
-passo dell’aguato, per sue spie seppe come i nemici in quantità di
-quattrocento cavalieri l’attendeano di presso; egli era in parte
-ch’el si poteva tornare addietro salvamente, ma pensando che ciò gli
-tornerebbe a vergogna, avendo l’animo grande, e giovani cavalieri con
-seco pro’ e arditi, diliberò con loro d’andare ad assalire i nemici,
-non ostante che gran vantaggio avessono del numero della gente e del
-terreno; fece cento feditori ch’andassono innanzi a cominciare la
-zuffa, i quali si mossono in un fiotto, e dirizzaronsi al cammino
-verso l’aguato, a modo come se ’l capitano fosse tra loro. I nemici
-pensandogli raccogliere a mansalva uscirono loro addosso, credendo
-che vi fosse il capitano di Forlì. I cento cavalieri, vedendo venire
-verso loro tutto l’aguato, strettamente con grande ardire, sì fedirono
-tra loro sì virtuosamente, che gli feciono invilire; e vedendo come
-francamente sosteneano contro a loro, temettono che il capitano con
-maggior forza non venisse loro addosso; e vedendo dalla lunga apparire
-gente al loro soccorso, e che questi cento cavalieri tanto francamente
-si sosteneano, innanzi che il capitano giugnesse ruppono; e giugnendo
-il capitano di Forlì al soccorso de’ suoi, trovò rotti i nemici, e
-perseguitandoli, prese dugento cavalieri e più di quell’aguato, e
-raccolta la preda, vittoriosamente fornì il suo viaggio.
-
-
-CAP. VII.
-
-_Come messer Filippo di Taranto prese per moglie la figliuola del duca
-di Calavria._
-
-Essendo dama Maria, sirocchia della reina Giovanna figliuola del duca
-di Calavria, rimasa vedova di due mariti tagliati a ghiado, che l’uno
-fu il duca di Durazzo, l’altro Ruberto figliuolo del conte d’Avellino,
-de’ quali innanzi è fatta menzione, essendo così vedova, del mese
-d’aprile, ella e messer Filippo di Taranto fratello carnale del re
-Luigi senza moglie, non ostante ch’ella fosse figliuola di suo cugino
-carnale e stata moglie del duca suo cugino, senza alcuna dispensazione,
-con volontà e consiglio del detto re e della reina Giovanna sua
-sirocchia, per nome di matrimonio si congiunsono insieme; e dopo la
-loro congiunzione e maritaggio, il detto messer Filippo andò a corte
-di Roma a Avignone al papa per avere la dispensagione. Il papa ebbe
-questa cosa molto a grave, e il collegio de’ cardinali, e fu da loro
-messer Filippo mal veduto, e dimorò in corte e in Provenza lungamente,
-adoperando cose da piacere al papa per potere avere la dispensazione
-a lui più volte negata. Infine dopo lungo dimoro, caricato il papa dal
-re e dalla reina, che questa vergogna non rimanesse nella casa reale,
-infine per lo meno male, e per ricoprire quello vituperio, concedette
-la detta dispensagione.
-
-
-CAP. VIII.
-
-_Come Massa e Montepulciano non ricevettono i vicari del patriarca._
-
-In questi dì, essendo l’imperadore a Roma, i Massetani, e’
-Montepulcianesi, e que’ di Grosseto, che soleano ubbidire al comune
-di Siena, avendo sentiti i romori della città, e l’abbattimento
-dell’ordine de’ nove e di tutti gli ufici del comune mandandovi il
-vicario dell’imperadore per riprendere la signoria di quelle terre,
-catuna si ritenne senza volere ricevere la signoria del vicario,
-volendo prima vedere come la città di Siena si dovea riposare. E di
-questa novità il minuto popolo e gli artefici ch’aveano abbattuto
-l’ordine de’ nove, che di ciò erano contenti, furono turbati assai,
-e presono cagione d’intendersi insieme, onde poi seguirono gravi
-revoluzioni, come al suo tempo appresso racconteremo.
-
-
-CAP. IX.
-
-_Come i Visconti tolsono a messer Giovanni da Oleggio il suo castello._
-
-Essendo messer Giovanni de’ Peppoli che vendè Bologna molto confidente
-a messer Galeazzo Visconti, per accattare benivolenza a’ suoi amici da
-Bologna da messer Giovanni da Oleggio che n’era vicario operò tanto,
-che messer Galeazzo gli rendè la grazia sua, e il castello, che per
-sdegno gli avea tolto; la qual cosa fu a messer Giovanni da Oleggio a
-grado, e di presente si provvide di ricchi doni, e mandolli a messer
-Galeazzo, il quale gli ricevette graziosamente. Messer Maffiolo vedendo
-che messer Giovanni era tornato nella grazia di messer Galeazzo,
-incominciò a prendere sconfidanza di lui, e inanimossi di rimuoverlo
-del vicariato di Bologna, e il suo proprio castello ch’avea riavuto
-da messer Galeazzo recò cortesemente al suo governamento, e certa
-provvisione ch’egli era usato di fare ogni anno a messer Giovanni per
-i servigi che ricevea da lui cominciò a sostenere con dissimulazioni.
-E parendogli che messer Giovanni ubbidisse più gli altri suoi fratelli
-che se, avendo intendimento di mutarlo e trarlo di Bologna, copria il
-suo intendimento con povero consiglio, che non sapea più; ma colui con
-cui egli avea a fare era uomo astuto e avvisato, e però il fine andò
-tutto per altro modo che messer Maffiolo e’ fratelli non pensarono,
-come leggendo innanzi si potrà vedere.
-
-
-CAP. X.
-
-_Andamenti della gran compagnia._
-
-Essendo lungamente stata in Puglia la compagnia del conte di Lando,
-favoreggiata dal duca di Durazzo e dal conte Paladino in vergogna della
-corona, perchè dal re erano stati mal trattati, del mese di maggio
-la condussono in Terra di Lavoro, e misonsi a Serni e a Matalona,
-facendo per lo paese danni di ruberie e di prede quanto più poteano,
-senza trovare fuori delle mura delle terre alcuno contasto: e appresso
-feciono più parti di loro, e sparsonsi per lo paese facendo danni
-assai, come per i tempi innanzi si racconteranno.
-
-
-CAP. XI.
-
-_Come il re di Tunisi fu morto._
-
-Innanzi ch’e’ Genovesi prendessono Tripoli di Barberia, il re di Tunisi
-avendo assai figliuoli di diverse donne, com’è usanza de’ saracini,
-i quali figliuoli male ordinati, non volendo che la successione del
-regno venisse a quel loro fratello a cui il re intendea di lasciare la
-reale signoria, trattarono e misono ad esecuzione la violente morte del
-re loro padre; e rimanendo il reame in vacazione, i baroni occuparono
-chi in un paese e chi in un altro le possessioni e ragioni del reame;
-e nondimeno alcuni de’ piccoli figliuoli del re che non era partefice
-al patricidio feciono re, il quale possedea Tunisi e parte del reame,
-ma non l’occupava. In quel tempo avvenne, ch’un figliuolo d’un fabbro
-saracino, essendo sperto, e ben parlante, e di grand’animo, ebbe cuore,
-trovandosi in Tunisi, d’occupare la città con tirannia; ed essendovi
-grande per la sua eloquenza, per la sua industria se ne fece signore,
-e reggea e governava quel popolo e quell’antica città a suo volere,
-senza lasciarli ritornare alla debita signoria del re di Tunisi; e per
-lo male stato di quello reame non era chi lo repugnasse. Per la qual
-cosa avvenne, che certi Genovesi ch’aveano veduto il reggimento di
-quel tiranno, e sentito com’egli era in odio al re di Tunisi e a’ suoi
-baroni, da cui non avrebbe soccorso, e il gran tesoro ch’era in quel
-popolo, si pensarono di prendere per ingegno e per forza quella città,
-come poi venne loro fatto, secondo che appresso leggendo si potrà
-trovare.
-
-
-CAP. XII.
-
-_Come messer Giovanni da Oleggio rubellò Bologna._
-
-Noi abbiamo poco addietro narrato come messer Maffiolo de’ Visconti
-di Milano, nella cui parte era venuta la città di Bologna, avea preso
-sospetto di messer Giovanni da Oleggio suo vicario, e provvedeasi
-segretamente a rimuoverlo; e parendogli tempo, mandò a Bologna messer
-Galeazzo de’ Pigli da Modena con certa famiglia, acciocchè prendesse
-da messer Giovanni la signoria, e rimanesse suo vicario in Bologna, e
-a messer Giovanni scrisse, ch’assegnato ch’avesse al nuovo vicario la
-tenuta e la signoria, che se ne tornasse a Milano, facendogli assai
-larghe offerte. E giunto in Bologna messer Galeazzo, fu da messer
-Giovanni ricevuto graziosamente nella prima apparenza, e per mostrarsi
-fedele e ubbidiente al suo signore, di presente fece assegnare la rocca
-e la guardia della porta di verso Modena a uno Milanese, di cui messer
-Maffiolo n’avea fatto castellano. Questo si crede che facesse piuttosto
-per poter meglio trattare l’altre cose che gli bollivano nell’animo,
-che per semplice disposizione d’ubbidienza. E vedendosi egli allo
-stremo partito, lavorava dentro con grande angoscia dell’animo, e non
-avea con cui confidentemente potersi consigliare; e dall’una parte il
-premea la fede promessa alla casa de’ Visconti di cui e’ si tenea per
-nazione, ma più per i grandi onori e per lo stato ov’era pervenuto di
-piccolo grande, per i beneficii ricevuti da’ suoi signori; e dall’altro
-lato tempellava la mente l’ambizione della signoria che gli convenia
-lasciare, e lo sdegno che già sentiva preso per messer Maffiolo gli
-generava paura che lasciata la signoria e’ non fosse mal trattato, e
-però, ma più l’appetito della signoria, il fece diliberare di mettersi
-innanzi a ogni pericolo di sua fortuna, che di lasciare così grande
-signoria com’egli avea tra le mani, e ogni fede promessa, e tutte
-l’altre ragioni di sua natura, e d’onori e di beneficii ricevuti mise
-addietro per niente. E avendo in se medesimo così diliberato, ebbe a
-se messer Galeazzo nuovo vicario, e fecegli vedere con belle ragioni,
-come la subita revoluzione della signoria di Bologna era di gran
-pericolo, e maggiormente perchè sapea che ’l marchese di Ferrara avea
-accolto gente d’arme, e manifesto era per l’aspre cose ch’egli avea
-fatte a’ Bolognesi ch’elli erano mal contenti; e però consigliava,
-ch’egli prima andasse a prendere le tenute delle castella di fuori, e
-quelle rifornisse e provvedesse di buona guardia, e fatto questo, senza
-pericolo potea sicuramente ricevere la signoria. Costui ignorante del
-baratto seguitò il consiglio di messer Giovanni, e prese le masnade
-ch’avea in Bologna a cavallo e a piè, e’ nuovi castellani e le lettere
-del comandamento, ch’e’ castellani e l’altre masnade dovessono ubbidire
-al nuovo vicario; e messolo fuori della città di Bologna, incontanente
-messer Giovanni mandò pe’ rettori e per tutti gli uficiali ch’erano
-in Bologna, catuno per se, e come veniano a lui, gli facea mettere
-in certa camera del suo palagio in salva guardia: e com’ebbe raccolti
-tutti i rettori, e uficiali in quella sera, mandò per tutti i maggiori
-cittadini di Bologna grandi e popolani, e per coloro cui egli avea più
-serviti e meno gravati, e raunatili insieme nel suo palagio, essendo
-già assai infra la notte, disse, com’egli col loro aiuto intendea di
-volere torre la signoria di Bologna a messer Maffiolo e agli altri suoi
-fratelli signori di Milano, e voleala tenere per se, promettendo di
-trattare benignamente grandi e popolani, e d’alleggiare i cittadini dal
-disordinato giogo, che a petizione di que’ tiranni era stato costretto
-di tenere loro addosso contro a sua volontà; scusando se, che come
-sottoposto al duro comandamento avea fatte assai aspre e crudeli cose
-a que’ cittadini, facendole contro alla sua natura e all’animo suo per
-ubbidire a’ crudeli tiranni, a cui non avea potuto fare resistenza, ma
-da quinci innanzi intendea trattarli come fratelli, e ne daria loro un
-segnale, mettendo il governamento della cittadinanza nelle loro mani.
-I cittadini paurosi per l’usata tirannia, temendo che ’l parlare di
-messer Giovanni non fosse per tentarli della loro fedeltà, dimostrarono
-e rispuosono di concordia, ch’elli erano apparecchiati a mantenere
-a lui e a’ suoi signori la fede promessa. Messer Giovanni vedendo la
-ferma risposta de’ cittadini, e temendo il pericolo della brevità del
-tempo, con aspre parole cominciò a minacciare i cittadini, dicendo,
-che parlava aperto e non per tentarli, e che poteano bene comprendere,
-che in questo punto a lui convenia prendere o lasciare la signoria,
-ed egli per suo vantaggio, e per trarre loro del servaggio, volea
-fare con loro consentimento quello ch’avea loro proposto e ragionato:
-ma poichè vedea tanta follia nelle cieche menti di que’ cittadini,
-disse, che contro a loro e contro agli altri che non v’erano farebbe
-aspre e dure cose infino alla morte di catuno, e la città arderebbe
-e lascerebbe desolata. E questo dimostrava con tanto infocamento
-d’animo, che manifesto fu a tutti ch’e’ parlava da dovero e non per
-alcuna tentazione. Allora presono tra loro consiglio, e dissono:
-Signor nostro, che aiuto vi possiamo noi fare, essendo senz’arme?
-messer Giovanni disse, che volea ch’eglino il chiamassono signore, e
-in quella notte farebbe a catuno rendere l’armi: ed eglino il feciono,
-e l’armi furono rendute in quella notte a chi le volle. La mattina
-messer Giovanni mandò per i conestabili de’ soldati da cavallo e da
-piè, e disse, che volea il saramento da loro a se come signore di
-Bologna, e chi fare nol volesse di presente si partisse di Bologna, e
-del contado e del suo distretto, a pena della testa; giurarono a lui
-le due parti, e gli altri si partirono, e di presente uscirono del
-paese: e tutti gli uficiali ch’egli avea rinchiusi rimutò de’ loro
-ufici, e misevi de’ nuovi che giurarono a lui, e quelli fece partire
-della città. Il nuovo castellano, ch’avea messo nella rocca della porta
-verso Modena, avendo messer Giovanni mandato per lui, non v’era voluto
-andare, ma per mattia n’avea mandato il figliuolo, il quale messer
-Giovanni ritenne: e in quella mattina con gran fretta mandò a tutti
-i castellani di fuori, che non si dovessono rimuovere, nè ricevere in
-loro castella messer Galeazzo de’ Pigli per lettere o per comandamento
-ch’e’ portasse da sua parte, e di ciò fu bene ubbidito. Il castellano
-della città sopraddetto, sentendo la ribellione di messer Giovanni,
-non volea rendergli la rocca. Messer Giovanni, dal venerdì mattina
-fino alla domenica sera, con molta sollecitudine intese a ordinare
-e a rifermare il reggimento della città e della guardia dentro:
-e in questo tempo il marchese di Ferrara, cui egli avea richiesto
-d’aiuto, gli mandò dugentocinquanta cavalieri. Il lunedì mattina, non
-volendo il castellano milanese rendere la rocca della porta, messer
-Giovanni vi mandò gente d’arme per mostrare di volerla combattere, e
-per fare impiccare il figliuolo nel cospetto del padre; la battaglia
-fu ordinata, e le forche ritte, e ’l figliuolo menatovi a piè per
-impiccare. Il padre doloroso, vedendosi senza soccorso da non potere
-resistere, e ’l figliuolo per essere impiccato, rendè la tenuta, e fu
-libero egli e ’l figliuolo: e messer Giovanni rimase libero signore
-della città di Bologna, levatala dalla signoria de’ signori di Milano,
-per cui l’avea governata e retta in cruda tirannia infino a dì 20 del
-mese d’aprile 1355 che se ne fece signore ed ebbe la detta rocca, e
-in Bologna prese tutti i Milanesi che v’erano e le loro mercatanzie,
-de’ quali trasse molti danari per riscatto delle persone e della
-mercatanzia. E nelle castella di fuori non ebbe podere d’entrare messer
-Galeazzo, salvo che in Luco, e ivi si ritenne, sentendo la ribellione
-di messer Giovanni, aspettando la volontà de’ suoi signori. Messer
-Giovanni mettendosi alla fortuna rimase signore; quegli che segue
-rifrenandola per senno, ovvero per mattia, ne perdè la vita, come
-appresso diviseremo.
-
-
-CAP. XIII.
-
-_Come il doge di Vinegia fu decapitato._
-
-Messer Marino Faliere doge di Vinegia, uomo di gran virtù e senno,
-reggendo l’uficio di cotanta dignità, e senza sospetto e in grazia
-de’ suoi cittadini, avendo l’animo grande si contentava male, non
-parendogli potere fare a sua volontà com’avrebbe voluto, strignendolo
-la loro antica legge di non potere passare la deliberazione del
-consiglio a lui diputato per lo comune; e però avea preso sdegno contro
-a’ gentili uomini che più lo repugnavano presontuosamente. E intanto
-avvenne, che certi popolani furono da alquanti de’ grandi di parole e
-di fatti oltraggiati villanamente; e crescendo lo sdegno del doge per
-la disordinata baldanza de’ gentili uomini, prese sicurtà di scoprire
-agli oltraggiati popolani l’animo suo ch’avea contro la riverenza de’
-gentili uomini, che tutti erano del consiglio; e di questo seguitò,
-che il doge concedette segretamente licenza a’ popolari ingiuriati che
-si procacciassono di confidenti amici, e d’arme e di gente acconcia
-al servigio, e una notte ordinata fossono su la piazza di san Marco,
-e sonassono le campane a stormo, e dessono voce che le galee de’
-Genovesi fossono nel golfo; e per usanza in cotali novità i gentili
-uomini di consiglio soleano venire al palazzo al doge per provvedere
-e consigliare quello che fosse da fare, e in quella venuta i popolani
-armati li doveano uccidere, ovvero radunati in palagio metterli alle
-spade; e questo fatto, doveano correre la città gridando, viva il
-popolo, e fare il doge signore, e annullare l’ordine del consiglio
-e de’ gentili uomini, e fare tutti gli uficiali popolari. Ed essendo
-con molta credenza la cosa condotta sino alla sera che la notte dovea
-seguire, il fatto come a Dio piacque per lo minore male, il doge
-in questa sera mandò per un suo confidente popolare amico, uomo di
-grande ricchezza, a cui rivelò il trattato, e come in quella notte si
-dovea fare il fatto: costui turbato nella mente, con savie parole gli
-biasimò l’impresa e impaurì il doge, e non ostante che la cosa fosse
-recata molto agli stremi del tempo, disse, che là dove piacesse al
-doge, che metterebbe subito consiglio che la cosa non procederebbe.
-Il doge invilito nell’animo al consiglio di questo suo amico, gli
-diè mattamente parola ch’egli ordinasse segretamente che il fatto si
-rimanesse; e acciocchè dato gli fosse fede, gli diè un suo segreto
-suggello. Questi andò di presente ai caporali a cui il doge il mandò
-ch’aveano accolta la loro compagnia, e disse loro da parte del doge,
-che si dovessono ritrarre dall’impresa, e mostrò loro il segno del suo
-suggello. A’ popolari ch’erano apparecchiati parve essere traditi,
-e non ardirono di procedere più innanzi, sentendo la mutazione del
-doge. Uno pellicciere ch’era degl’invitati, sentendo che la cosa non
-procedea, per paura d’essere incolpato se n’andò a uno gentile uomo
-di consiglio, e manifestogli quello che sapea del fatto, che non sapea
-però tutto. Costui menò il pellicciere al doge, il quale, non sapendo
-che il doge sentisse di questo fatto, gli narrò ciò che ne sapea, e
-nominogli i caporali. Il doge annullò molto il fatto, dicendo, che per
-alcuno sentimento che n’avea avuto avea fatto spiare, e trovato avea
-che la cosa era nulla. Il savio consigliere disse al doge, che volea
-che questa cosa sentisse il consiglio; e contradiandolo il doge, costui
-perseverò tanto in questo, che il savio doge divenuto per viltà fuori
-del senno promise farlo raunare; commettendo fallo capitale della sua
-testa, che lieve gli era ritenere costoro, e fare eseguire quello che
-ordinato era, o stringerli e giudicarli a suo volere segretamente. La
-mattina raunato il consiglio, e divolgata la novella, furono mandati a
-prendere i caporali, e venuti dinanzi al doge e al consiglio, il doge
-li chiamò traditori per dimostrarsi strano dal trattato, ma vennegli
-fallato, perocchè in faccia gli dissono, che ogni cosa che ordinata era
-s’era mossa da lui e proceduta dal suo consiglio. Il doge nol seppe
-negare. Il consiglio incontanente il fece guardare nel suo palagio
-per loro medesimi. In prima impesono quattro de’ caporali alle colonne
-del palagio del doge, e il dì seguente confiscarono tutti i beni del
-doge, ch’era grande ricco uomo, al comune, salvo che per grazia gli
-concedettono che di duemila fiorini potesse testare a sua volontà;
-e menatolo in sulla scala dov’egli avea fatto il saramento quando il
-misono nella signoria, gli feciono tagliare la testa, e vilissimamente
-il suo corpo messo in una barca fu mandato a seppellire a’ frati;
-e l’amico suo che sturbò il patricidio de’ grandi cittadini, e il
-rivolgimento dello stato di quella città, ebbe per merito condannagione
-grande pecuniale, e perpetuo esilio, rilegato nell’isola di Creti.
-
-
-CAP. XIV.
-
-_Come l’imperadore tornò coronato a Siena._
-
-L’imperadore Carlo ricevuta la corona in Roma, come detto abbiamo, se
-ne tornò verso Siena, e soggiornato a Montalcino, e appresso venuto a
-Montepulciano; e in catuno luogo lasciati suoi vicari con alcuna gente,
-domenica a dì 19 d’aprile in sul vespero giunse alla città di Siena;
-e innanzi che entrasse nella città, fattoglisi incontro i cittadini
-con gran festa in sull’ora del vespero, in quest’abboccamento otto
-cittadini pomposi e avari per cessare la debita spesa alla cavalleria
-si feciono a lui fare cavalieri, e appresso entrato nella città glie
-n’accorreano molti senza ordine o provvisione, ed egli avvisato del
-vano e lieve movimento di quella gente, commise al patriarca che in suo
-nome gli facesse. Il patriarca non potea resistere a farne tanti quanti
-nella via glie n’erano appresentati: e vedendone così gran mercato,
-assai se ne feciono che innanzi a quell’ora niuno pensiere aveano
-avuto a farsi cavalieri, nè provveduto quello che richiede a volere
-ricevere la cavalleria, ma con lieve movimento si faceano portare sopra
-le braccia a coloro ch’erano intorno al patriarca, e quand’erano a lui
-nella via il levavano alto, e traevangli il cappuccio usato, e ricevuta
-la guanciata usata in segno di cavalleria gli mettevano un cappuccio
-accattato col fregio dell’oro, e traevanlo della pressa, ed era fatto
-cavaliere; e per questo modo se ne feciono trentaquattro in quella
-sera tra grandi e popolari. E condotto l’imperadore al suo ostiere,
-fu fatto sera, e catuno si tornò a casa; e’ cavalieri novelli senza
-niuno apparecchiamento o spesa con la loro famiglia celebrarono quella
-notte la festa della loro cavalleria. Chi considera con la mente non
-sottoposta alla vile avarizia l’avvenimento d’un novello imperadore
-in cotanto famosa città, e tanti nobili e ricchi cittadini promossi
-all’onore della cavalleria nella patria loro, uomini di natura pomposi,
-non avere fatto alcuna solennità in comune o in diviso a onore della
-cavalleria, può giudicare quella gente poco essere degna del ricevuto
-onore.
-
-
-CAP. XV.
-
-_Come il legato parlamentò a Siena con l’imperadore._
-
-Messer Gilio cardinale di Spagna, a cui il papa e’ cardinali aveano
-commesso il procaccio e la legazione di riacquistare la Marca, e ’l
-Ducato, e la Romagna occupata per messer Malatesta da Rimini e per
-gli altri tiranni Romagnuoli, avendo molto premuto e dirotto messer
-Malatesta, l’avea condotto in parte, ch’e’ tentava di volere accordarsi
-col cardinale per le mani dell’imperadore, e avea detto di venire
-a Siena per questa cagione all’imperadore; e ’l legato per questo
-fatto, e per vicitare l’imperadore, si mosse della Marca, e a Siena
-giunse a dì primo di Maggio; e ivi, con l’altro cardinale d’Ostia
-ch’avea coronato l’imperadore, furono a parlamentare con lui de’ fatti
-d’Italia ch’apparteneano a santa Chiesa, attendendo messer Malatesta
-per pigliare accordo con lui: ma il tiranno mutato consiglio, non vi
-volle andare. In questo attendere, l’imperadore trattò con loro de’
-fatti di Perugia, che a lui aveano proposto ch’erano immediate sotto
-la giurisdizione di santa Chiesa, come del ducato di Spuleto, per
-liberarsi da lui, e al legato non rispondeano in alcuna ubbidienza per
-nome di santa Chiesa; e per questa cagione deliberarono tra loro, che
-l’imperadore senza offendere santa Chiesa potea trattare con loro, come
-con l’altre città d’Italia, e così si pensava l’imperadore di fare, ma
-sopravvenendogli altre novitadi, come noi diviseremo appresso, feciono
-dimenticare i fatti di Perugia, e partire il legato in animo forte
-adirato contro a messer Malatesta, da cui si tenea deluso a questa
-volta.
-
-
-CAP. XVI.
-
-_Come l’imperadore ebbe la seconda paga da’ Fiorentini._
-
-Essendo l’imperadore in Siena, obbligato a molti baroni e cavalieri da
-cui avea ricevuto servigio, mostrandosi povero di moneta, li nutricava
-di promesse, e rimandavali nella Magna mal contenti: e volendogli i
-Fiorentini fare la seconda paga, mandò a dire a’ signori di Firenze,
-che glie la mandassimo segretamente. I Fiorentini innanzi al termine
-promesso, all’uscita d’aprile gli mandarone contanti trentamila
-fiorini: e fattogli in segreto sentire come i danari erano venuti, di
-presente fece uscire dall’ostiere tutta sua famiglia, e rinchiusosi in
-una camera, in sua presenza li fece contare al patriarca; e trovato
-che uno di sua famiglia stava a vedere al buco dell’uscio, il punì
-gravemente, temendo ch’e’ suoi baroni nol sentissono, perocchè più
-amava di tenersi i danari in borsa, che l’amore de’ suoi baroni o il
-loro contentamento.
-
-
-CAP. XVII.
-
-_Come il nuovo tiranno di Bologna mandò a Firenze ambasciadori a
-richiedere i Fiorentini._
-
-Messer Giovanni da Oleggio avendo novellamente tolto e rubato la
-città di Bologna a’ suoi signori de’ Visconti, e trovandosi povero
-d’aiuto a sostenere il fascio di quella città e de’ potenti avversari,
-incontanente mandò lettere per suoi messaggi, e appresso solenni
-ambasciadori al comune di Firenze, offerendo di volere essere singulare
-amico de’ Fiorentini, e di governare e reggere quella città alla
-volontà e piacere del comune di Firenze. E i detti ambasciadori con
-molte suasioni e larghe promesse da parte di messer Giovanni pregarono,
-ch’almeno in privato, se non volesse in palese, il nostro comune
-il dovesse consigliare, acciocchè potesse quella città mantenere in
-amore e in fratellanza, come anticamente era costumata d’essere co’
-Fiorentini, e difenderla da’ tiranni di Milano, originali nemici del
-comune di Firenze. I Fiorentini conobbono chiaramente, ch’essendo
-Bologna in loro amistà e lega, sarebbe a modo che forte muro alla
-difesa del nostro comune contro a ogni potenza tirannesca di Lombardia;
-ma per osservare lealmente la promessa pace a’ Visconti signori di
-Milano, per niuno vantaggio che conoscessono, o per promesse che fatte
-fossono loro, poterono essere recati a fare in segreto o in palese
-cosa, che sospetto potesse essere alla pace promessa a’ Visconti. E
-avendo gli ambasciadori trovata ferma costanza nel comune a mantenere
-sua fede, si tornarono mal contenti al loro signore a Bologna a dì 4
-mese di maggio del detto anno; e questo fu chiaramente manifesto a’
-signori di Milano, che molto l’ebbono a bene, e offersonsi largamente
-al comune di Firenze.
-
-
-CAP. XVIII.
-
-_Come fu sconfitto, e preso messer Galeotto da Rimini da’ cavalieri del
-legato._
-
-Avendo poco addietro narrato come messer Malatesta da Rimini avea
-cambiato l’animo dell’accordo con messer lo cardinale legato, seguitò,
-che la sua gente d’arme capitanata e guidata per messer Galeotto suo
-fratello, perocchè in pochi giorni due volte avea rotti i cavalieri
-della Chiesa, avviliva tanto quella gente che poco se ne curava. E
-però avendo per assedio e per forza preso un castello di Recanati,
-con più di seicento barbute e gran popolo s’era posto ad assedio a un
-altro, e nondimeno per buona provvidenza di guerra avea fortificato
-il campo con un muro per modo, ch’entrare nè uscire per lo piano non
-si potea se non per una sola entrata; e per questo stavano baldanzosi
-all’assedio con minore guardia, non temendo per gente che il legato
-avesse, per la qual cosa prima ebbono addosso la cavalleria del legato,
-che di loro si fossono provveduti. Messer Ridolfo da Camerino capitano
-della gente della Chiesa, con più d’ottocento cavalieri e con assai
-buoni masnadieri, avendogli condotti al campo de’ nemici, gli fece
-assalire agramente, e per due volte tolse loro l’entrata del campo,
-e quelli di messer Galeotto combattendo virtuosamente catuna volta lo
-racquistarono per forza d’arme. Infine avvedendosi il capitano della
-Chiesa che un piccolo poggetto si guardava per lo popolo d’Ancona
-ch’era sopra il campo, mosse i cavalieri e’ balestrieri contro a loro,
-i quali francamente gli assalirono: e non potendo avere soccorso dal
-campo, ch’erano combattuti dall’altra parte, per forza furono rotti:
-e di quel poggetto senza riparo di muro cacciando e uccidendo i
-nemici per forza entrarono nel campo, e l’altra parte di loro presono
-l’entrata del campo e misonsi dentro. Messer Galeazzo si ristrinse
-co’ suoi combattendo co’ nemici, dinanzi e di dietro assaliti, molto
-vigorosamente a modo di valenti cavalieri, e per più riprese si
-percosse tra’ nemici, e due volte preso fu riscosso dà suoi cavalieri.
-Infine vincendo quelli della Chiesa, a messer Galeotto fu morto il
-destriere sotto, e ricoverato un piccolo cavallo, volendosi salvare,
-fu fedito di più fedite; e ritenuto prigione, e tutta sua gente rotta,
-presa e sbarattata e morta; e liberato il castello, messer Ridolfo
-detto con piena vittoria si tornò al legato: e questa fu la cagione
-perchè poi messer Malatesta non potè fare retta contro al legato, come
-appresso si potrà trovare.
-
-
-CAP. XIX.
-
-_Come la fama della liberazione di Lucca si sparse._
-
-Avvenne in questi dì, all’entrante del mese di maggio del detto anno,
-essendo l’imperadore libero signore di Pisa, di Lucca, di Siena, di
-Sangimignano e di Volterra, e dell’altre terre loro sottoposte, e in
-amore e pace co’ Fiorentini e’ Perugini, Pistoiesi e Aretini, senza
-alcuno avversario in Italia, onde che la cosa muovesse, una fama corse
-per tutta Italia ch’egli avea fatto accordo con gli usciti di Lucca, i
-quali si dicea che gli doveano far dare in Francia centoventimigliaia
-di fiorini d’oro quand’egli liberasse la città di Lucca della signoria
-de’ Pisani; e questo si dicea ch’avea promesso di fare finito il
-termine ch’e’ Pisani aveano promesso di liberarla; e doveala lasciare
-in libertà al reggimento del popolo e rimettervi tutti gli usciti,
-la quale suggezione de’ Pisani dovea seguire il secondo anno. Il
-divolgamento di questa fama non si trovò ch’avesse fondamento da
-trattato fatto dall’imperadore, o se fatto fu, altrove che in Toscana e
-per altri che per la persona dell’imperadore ebbe movimento. Trovossi
-bene, che grandi ricchi mercatanti usciti di Lucca intendeano a fare
-colta di moneta. Ma come che la cosa si fosse o si spirasse, a tutti
-parve che così dovesse essere, e in segno di ciò furono revoluzioni e
-gravi novità ch’appresso ne seguitarono, come leggendo nostro trattato
-si potrà trovare.
-
-
-CAP. XX.
-
-_Come l’imperadore diede Siena al patriarca._
-
-Nel soggiorno che l’imperadore facea a Siena trattò di volere che
-il patriarca suo fratello fosse libero signore di quella città, e’
-Sanesi avendosi condotti nel reggimento non però fermo dell’ignorante
-popolo vacillante nello stato, per volere accattare la benivolenza
-dell’imperadore consentirono d’avere il patriarca per loro signore,
-e di volontà dell’imperadore di nuovo feciono la suggezione e ’l
-saramento al patriarca, e a lui furono assegnate tutte le terre e
-castella della loro giurisdizione, nelle quali confermò suoi castellani
-e vicari, cosa strana all’antico governamento della loro libertà, e
-di matto consentimento: e l’imperadore per la sua autorità e pe’ suoi
-privilegi gli confermò la libera signoria di quella terra, e del suo
-contado e distretto. Il patriarca volendo confermare la sua signoria
-s’accostò col minuto popolo, e di quelli fece uficiali a’ reggimenti
-comuni dentro nella città, e per lo loro consiglio si reggea, essendosi
-accorto che per lo favore di quella minuta gente era venuto alla
-signoria, e per questo avea schiusi gli altri maggiori popolani, e
-abbattuto in tutto la setta dell’ordine de’ nove per modo, che non
-ardivano in palese a comparire tra gli altri cittadini,
-
-
-CAP. XXI.
-
-_Come i capi de’ ghibellini d’Italia si dolsono all’imperadore._
-
-In questi medesimi dì, all’entrante di maggio, i caporali di
-parte ghibellina ch’erano venuti alla coronazione dell’imperadore,
-aspettandone la loro esaltazione e l’abbassamento di parte guelfa in
-Toscana, e vedendo per opera il contradio, si raunarono insieme in
-una chiesa di Siena, e ivi ricordarono tra loro tutte le persecuzioni
-ricevute da’ guelfi per cagione dell’imperio, e le infamazioni de’
-comuni di Toscana, e spezialmente del comune di Firenze, per le
-resistenze fatte agl’imperadori; e avendo raccolta loro materia da
-dire, feciono quelle cose pronunziare nel cospetto dell’imperadore
-al prefetto di Vico; il quale saviamente in prima raccontò la fede,
-l’amore, i servigi che i ghibellini d’Italia aveano portato e fatto
-per i tempi passati di quanto avere si potea memoria agl’imperadori
-alamanni, e in singularità all’imperadore Arrigo suo avolo, e come
-i guelfi d’Italia aveano sempre fatto grave resistenza all’imperio,
-e tra gli altri comuni più singolarmente e con maggior forza il
-comune di Firenze; e come per operazione di quel comune l’imperadore
-Arrigo suo avolo era morto, e le imperiali forze recate al niente;
-e’ ghibellini sentendo l’avvenimento della sua signoria tutti erano
-venuti in grande speranza, aspettando per lui essere esaltati, e
-vedere la struzione de’ guelfi, e singolarmente del comune di Firenze
-sempre ribello all’imperadore; e vedendo che per danari egli s’era
-acconcio con quel comune, e a’ suoi fedeli ghibellini per sua venuta
-non era seguito vendetta delle loro oppressioni e de’ danni ricevuti,
-e le loro terre e castella perdute non erano racquistate, nè per suo
-procaccio loro restituite, essendo perdute per volere mantenere la
-parte imperiale, si maravigliavano forte, e molto più conoscendo che
-il tempo era venuto che col loro aiuto, e delle città e castella di
-Toscana tornate all’imperiale suggezione, e colla sua grande potenza,
-e’ potea essere signore della città e de’ danari de’ Fiorentini, e per
-un poco di danari avea fatto accordo con quel comune in poco onore
-della maestà imperiale. L’imperadore, udite le dette cose, senza
-ristrignersi ad altro consiglio o fare risponditore alcuno altro,
-come signore facondioso d’intendimento e d’eloquenza, coll’animo
-quieto parlando soavemente, disse: Noi sappiamo bene l’amore e la fede
-ch’avete portata all’imperio, e’ servigi fatti al nostro avolo per voi
-non possiamo dimenticare, perocchè scritti sono ne’ suoi annali. Appo
-i nostri registri troviamo noi, che i mali consigli de’ ghibellini
-d’Italia, avendo più rispetto al proprio esaltamento, e a fare le loro
-proprie vendette, che all’onore e grandezza dell’imperadore Arrigo mio
-avolo, il feciono male capitare, e non il comune di Firenze, nè alcuna
-operazione di quel comune; e però non intendo in ciò seguitare vostro
-consiglio: e frustrati della loro corrotta intenzione, mal contenti e
-poco avanzati si tornarono in loro paese.
-
-
-CAP. XXII.
-
-_Come l’imperadore si partì da Siena e andò a Samminiato._
-
-L’imperadore raccomandata la signoria e ’l reggimento della città di
-Siena al patriarca, a dì 5 di maggio del detto anno si partì della
-città, e vennesene da Staggia e da Poggibonizzi senza entrare nella
-terra; e fatta ivi di fuori sua lieve desinea, si mise a cammino, e la
-sera giunse a Samminiato del Tedesco, e da’ Samminiatesi fu ricevuto
-a onore come loro signore. E com’egli prese la via di là per andare
-a Pisa, molti de’ suoi baroni con grande comitiva de’ loro cavalieri
-si partirono da lui, e vennonsene a Firenze per seguire loro cammino
-tornandosi in Alamagna. In Firenze furono ricevuti cortesemente,
-rassegnandosi i caporali per nome, e dando il numero della loro gente
-al conservadore: e questo valico fu più giorni, avendo il dì e la
-notte da seicento in ottocento o più cavalieri tedeschi ad albergare
-in Firenze, e però niuno sospetto o movimento si fece o si prese nella
-città, salvo che un pennone per gonfalone guardava la notte senza
-andare la gente attorno.
-
-
-CAP. XXIII.
-
-_Come il cardinale d’Ostia fu ricevuto a Firenze._
-
-Il cardinale d’Ostia ch’avea coronato l’imperadore, avendo volontà
-di venire a Firenze per vedere la città e per procacciare alcuna cosa
-dal comune, venne a Firenze a dì 6 di maggio del detto anno, ricevuto
-da’ cittadini con grande onore, andandogli incontro la generale
-processione, e messo sotto un ricco palio d’oro e di seta, addestrato
-da’ cavalieri di Firenze e da’ maggiori popolari, sonando tutte le
-campane del comune e delle chiese a Dio laudiamo mentre ch’e’ penò ad
-essere albergato, con grande riverenza per onore di santa Chiesa fu
-collocato nelle case degli Alberti; e fattogli per lo comune ricchi
-presenti, domandatosi per lui a’ priori cose indiscretamente che non
-gli poteano fare, delle quali iscusatisi onestamente, non contento
-da loro per la sua ambizione, a dì 8 di maggio del detto anno, mal
-contento del nostro comune per suo disonesto sdegno se ne ritornò
-a Pisa, dimenticato l’onore ricevuto per lo corrotto appetito della
-sconcia domanda.
-
-
-CAP. XXIV.
-
-_Come la gente del legato presono quattro castella di Malatesta._
-
-Dopo la sconfitta e la presura di messer Galeotto narrata poco
-addietro, messer Malatesta andò a Pisa all’imperadore, perchè
-l’acconciasse in pace col legato e con la Chiesa; nondimeno avea alle
-frontiere della gente e delle terre della Chiesa tutta la forza della
-sua gente d’arme a cavallo e a piè ragunata quivi, avvisando che là
-si facesse la guerra, e così dimostrava di volere fare il capitano
-della gente della Chiesa; ma come uomo avvisato ne’ fatti della guerra,
-avendo condotto certo trattato per le mani del conticino da Ghiaggiuolo
-il quale era de’ Malatesti, ma nimico di messer Malatesta e de’ suoi
-per la morte di suo padre, questi avendo ordinato il suo trattato,
-fece col capitano della Chiesa che subito mandò della Marca in Romagna
-cinquecento cavalieri e altrettanti e più masnadieri, i quali furono
-prima in su le porte di Rimini ch’e’ terrazzani sprovveduti senza
-avere gente d’arme alla guardia se n’avvedessono, e funne la città
-in gran pericolo; e per questo subito avvenimento, non essendo gente
-nella terra da potere soccorrere di fuori nè riparare al trattato
-del conticino, presono e rubellarono a’ Malatesti il castello di
-sant’Arcagnolo, e ’l Verrucchio, e due altre castella intorno e di
-presso alla città di Rimini, le quali fornirono di gente da cavallo e
-da piè che faceano guerra a Rimini e nel paese, ed erano come bastite
-che teneano assediata la terra. Di questa cosa si conturbò tutta la
-Romagna, e fu cagione di recare i Malatesti più tosto a rendersi alla
-volontà del legato, come al suo tempo appresso racconteremo; e questo
-fu del mese di maggio del detto anno.
-
-
-CAP. XXV.
-
-_Come morì il duca di Pollonia._
-
-Il duca Stefano di Pollonia cugino dell’imperadore, giovane virtudioso
-e di grande autorità, avendo vaghezza di venire a Firenze per suo
-diporto, e lasciato l’imperadore a Pisa, venne con sua compagnia di
-giovani baroni a Firenze, ove fu ricevuto a grande onore; ed essendo il
-gran siniscalco del Regno messer Niccola Acciaiuoli a Firenze, gli fece
-compagnia festeggiando per la città. E avendo ricevuto onore di corredi
-da’ signori e dal gran siniscalco, e compiaciutosi molto co’ cavalieri
-e gentili uomini, e nella cittadinanza de’ Fiorentini e a più feste,
-tornato a Pisa all’imperadore si lodò molto de’ Fiorentini, e magnificò
-il nome della nostra città in molte cose, e dopo pochi dì cadde malato
-in Pisa, e d’una continua febbre in sette dì passò di questa vita.
-Dissesi ch’avea mangiato in Pisa d’un’anguilla, e che immantinente
-ammalò, ma la continua più ch’altro il trasse a fine; della cui morte
-fu gran danno, perocch’era barone di grande aspetto. Della morte di
-costui molto si dolse l’imperadore, ma l’imperadrice vedendolo morire
-così brevemente impaurì molto, e stimolava l’imperadore di ritornare
-nella Magna, e molti baroni e cavalieri per la morte del duca Stefano
-abbandonarono l’imperadore e tornaronsi in Alamagna, e lasciaronlo
-con poca gente. E ’l sire della Lippa, uno dei maggiori signori di
-Boemia, essendo malato a Pisa si fece conducere a Firenze, e giunto
-nella città, e venuto a notizia de’ signori, di presente il feciono
-albergare nel vescovado con tutta sua famiglia, che non v’era il
-vescovo, e fornironlo di buone letta e di tutto ciò che a bene stare
-gli bisognava, e ordinarongli i migliori medici della città alla
-provvisione e consiglio della sua sanità, e continovo sera e mattina
-gli faceano apparecchiare delle loro dilicate vivande e de’ loro fini
-vini. E tanta fede aggiunta col suo piacere ebbe il nostro comune,
-che di lunga malattia e quasi incurabile, non pensando potere campare
-altrove, come fu piacere di Dio prese perfetta sanità nella città
-di Firenze, e guarito, fu onorato di doni e d’altre cose dal nostro
-comune. Per le quali cose fatto singulare amico del nostro comune e
-de’ suoi cittadini, soggiornò nella città a suo diletto infino alla...,
-tanto che fu tornato nella sua fortezza: poi ebbe dal comune i danari
-che i Fiorentini gli aveano promessi per l’imperadore, come innanzi
-racconteremo.
-
-
-CAP. XXVI.
-
-_Come fu coronato poeta maestro Zanobi da Strada._
-
-Era in questi dì in Pisa il maestro Zanobi, nato del maestro Giovanni
-da Strada del contado di Firenze; il padre insegnò grammatica a’
-giovani di Firenze e a questo suo figliuolo, il quale fu di tanto
-virtuoso ingegno, che morto il padre, e rimaso egli in età di
-vent’anni, ritenne in suo capo la scuola del padre; e venne in tanta
-fecondità di scienza, che senza udire altro dottore ammendò e passò
-in grammatica la scienza del padre, e alla sua aggiunse chiara e
-speculativa rettorica; e dilettandosi negli autori ne venne tanto
-copioso, che in breve tempo d’anni esercitando la sua nobile industria
-divenne tanto eccellente in poesia, che mosso l’imperadore alla gran
-fama della sua virtù, e da messer Niccola Acciaiuoli di Firenze gran
-siniscalco del reame di Cicilia, alla cui compagnia il detto maestro
-Zanobi era venuto, vedute e intese delle sue magnifiche opere fatte
-come grande poeta, volle che alla virtù dell’uomo s’aggiugnesse l’onore
-della dignità, e pubblicandolo in chiaro poeta in pubblico parlamento,
-con solenne festa il coronò dell’ottato alloro; e fu poeta coronato
-e approvato dall’imperiale maestà del mese di maggio del detto anno
-nella città di Pisa; e così coronato, accompagnato da tutti i baroni
-dell’imperadore e da molti altri della città di Pisa, con grand’onore
-celebrò la festa della sua coronazione. E nota, che in questi tempi
-erano due eccellenti poeti coronati cittadini di Firenze, amendue di
-fresca età; e l’altro ch’avea nome messer Francesco di ser Petraccolo,
-onorevole e antico cittadino di Firenze, il cui nome e la cui fama
-coronato nella città di Roma era di maggiore eccellenza, e maggiori e
-più alte materie compose, e più, perocch’e’ vivette più lungamente, e
-cominciò prima; ma le loro cose nella loro vita a pochi erano note, e
-quanto ch’elle fossono dilettevoli a udire, le virtù teologhe a’ nostri
-dì le fanno riputare a vili nel cospetto de’ savi.
-
-
-CAP. XXVII.
-
-_Come fu morto messer Francesco Castracani da’ figliuoli di Castruccio._
-
-Sentendo i Pisani che messer Francesco Castracani di Lucca facea
-venire gente delle sue terre di Garfagnana in favore della setta de’
-raspanti di Pisa per muovere novità nella città, il feciono assapere
-all’imperadore. L’imperadore gli mandò comandando che di presente si
-dovesse partire della città di Pisa. E sostenuti più comandamenti senza
-ubbidire, sentendo che ’l maliscalco colle masnade s’armavano contro a
-lui, si partì tenendo la via verso Lucca; e partito lui, fu comandato
-il simile a’ figliuoli di Castruccio Castracani, i quali dolendosi di
-quello ch’avvenne a loro per messer Francesco, si partirono cavalcando
-per quella medesima via, e la sera si trovarono ad albergo insieme, e
-ivi mostrandosi di buona voglia albergarono insieme, e dormirono in uno
-letto. La mattina seguendo loro viaggio vennono a uno maniero, il quale
-Castruccio essendo signore di Lucca avea fatto edificare e acconciare
-a suo diletto molto nobilemente, e di pochi dì innanzi l’imperadore
-l’avea restituito a’ figliuoli di Castruccio; e trovandovisi presso,
-pregarono messer Francesco che con loro insieme andasse a vicitare
-il luogo, e risposto di farlo volentieri, uscirono di strada, e
-andarono al maniero, e giunti là, i famigli si dierono attorno per i
-giardini a loro diletto. Messer Arrigo e messer Valeriano di Castruccio
-rimasono con messer Francesco, e col figliuolo e con un suo genero,
-ed entrarono ne’ palagi per vedere l’edificio, il quale era bello, ma
-molto guasto, perchè diciassette anni era stato disabitato; e sedendo
-costoro in sulla sala del palagio, messer Arrigo s’accostò al fratello,
-e dissegli: Ora abbiamo tempo; e andando messer Francesco guardando
-l’edificio, messer Arrigo, essendogli poco addietro, di subito trasse
-la spada, e non avvedendosene messer Francesco, gli diede nella gamba
-un colpo grave e pericoloso. Messer Francesco sentendosi fedito,
-volendosi rivolgere, chiamando traditore messer Arrigo, non potendosi
-sostenere cadde, e messere Arrigo gli diè sù la testa un altro colpo
-della spada che non lo lasciò rilevare: e morto messer Francesco, i due
-fratelli corsono addosso al genero, e ivi senza arresto l’uccisono, e
-’l figliuolo di messer Francesco lasciarono per morto; e rimontati a
-cavallo seguirono loro viaggio, e tornaronsi in Lombardia; e questo
-fu a dì 18 di maggio del detto anno: cosa detestabile per lo grande
-tradimento mosso da invidia; ma per divino giudicio spesso avviene che
-le tirannie prendono termine e fine per simiglianti modi.
-
-
-CAP. XXVIII.
-
-_Come i Fiorentini mandarono tre cittadini all’imperadore a sua
-richiesta._
-
-L’imperadore trovando l’animo de’ Pisani male contento per la voce
-corsa, come detto è, ch’egli trattava di liberare Lucca, e avvedendosi
-delle novità che cominciavano ad apparire in Pisa e in Siena, cominciò
-a sospettare, e avendo fidanza nel comune di Firenze, il richiese
-che gli mandasse tre confidenti suoi cittadini per averli al suo
-consiglio. Il comune di presente gliel mandò, e da lui furono ricevuti
-graziosamente. Ma poco si potè intendere o consigliare con loro, tante
-sfrenate novità occorsono l’una appresso l’altra, che voleano più
-operazione subita che consiglio, come seguendo appresso diviseremo.
-
-
-CAP. XXIX.
-
-_Come i Sanesi ebbono novità._
-
-Il popolo minuto di Siena già avea cominciato a sperare nella signoria,
-e per l’appetito di quella dall’una parte, e per paura e gelosia
-dall’altra non potea acquetare; e già impaziente del loro signore, a
-cui di tanta concordia s’erano sottoposti, a dì 18 di maggio del detto
-anno levarono la città a romore, e presono l’arme, e serrarono le porte
-della terra. Il patriarca maravigliandosi di questo subito movimento,
-senza muoversi ad altra novità domandò quello che ’l popolo volea: e
-risposto gli fu, che rivoleano le catene usate nella città a ogni canto
-delle vie, ch’erano state levate all’avvenimento dell’imperadore. Il
-patriarca l’acconsentì, e fecele rendere loro. E appresso domandarono
-di volere dodici uficiali sopra il governamento del comune di due in
-due mesi al modo che soleano essere i nove, e che da loro parte andasse
-il bando: e domandarono di volere avere un gonfalone del popolo, e che
-la misura del loro staio si crescesse. Il patriarca vedendosi male
-apparecchiato a potere resistere al popolo commosso e armato, ogni
-cosa concedette alla loro volontà. I loro grandi in questo fatto non
-si armarono, e non si dimostrarono in favore del minuto popolo nè in
-contrario; e se questo movimento ebbe ordine da loro non si scoperse:
-ma ’l popolo osò di dire che questo movimento avea fatto temendo che
-l’ordine dell’uficio de’ nove non si rifacesse; che sentivano che per
-forza di danari si cercava di rifare. E stato il popolo tre dì armato,
-e impetrata la loro intenzione si racquetò: e poste giù l’armi, rimase
-arrogante e superbo per la vittoria del loro primo cominciamento. E
-di presente ebbono fatto i dodici di loro minuti mestieri e messili
-nell’uficio, e fatto un gonfalone e datolo a uno loro vile artefice,
-con ordine che tutti dovessono accompagnare e seguire il loro
-gonfalone. E questo fu il principio del loro reggimento, del quale poi
-seguirono maggiori cose come seguendo il tempo racconteremo.
-
-
-CAP. XXX.
-
-_Come i Pisani per gelosia furono in arme._
-
-Essendo venuta la novella della morte di messer Francesco Castracani
-a Pisa, la setta de’ raspanti cui e’ favoreggiava si cominciarono a
-dolere fortemente, e dire che questa era stata operazione della parte
-de’ Gambacorti, ma ciò non era vero; nondimeno l’imperadore se ne fece
-grande maraviglia, e tutta la città ne prese conturbazione, e crebbene
-l’izza delle loro sette. E stando la città in questo bollimento, a dì
-20 del detto mese di maggio improvviso s’apprese fuoco nel palagio del
-comune ove abitava l’imperadore, e senza potervi mettere rimedio arse
-tutta la camera dell’arme del comune ch’era in quel palagio, ove arsono
-tutte le buone belestra, tende, e trabacche, e padiglioni, e l’altre
-armadure che v’erano, che niuna ne potè campare. E per questa cagione
-convenne che l’imperadore andasse ad abitare al duomo, e ’l popolo
-tutto sotto l’arme tra per l’una cagione e per l’altra stava in gelosia
-e in sospetto, e per questo modo stette armato il dì e la notte. La
-mattina vegnente rassicurata la gente lasciarono l’arme quetamente, e
-catuno intese a’ suoi mestieri. E in quella mattina ebbe l’imperadore
-novelle della novità di Siena, che gli dierono assai malinconia e
-pensiero, e più perchè si trovava fortuneggiare in Pisa, e mal fornito
-di gente d’arme da potere provvedere e riparare alle fortune che si
-vedea apparecchiare. Allora cominciò a potere conoscere che l’avarizia
-era nimica d’ogni buona provvisione.
-
-
-CAP. XXXI.
-
-_Ancora gran novità di Pisa._
-
-Quello che seguita è grande assalto d’avversa fortuna: e per esprimere
-meglio la verità del fatto, ci conviene alquanto ritornare a dietro
-la nostra materia avvolta in diversi e vari intendimenti, i quali
-per lungo spazio di tempo cercammo discretamente, per lasciare di
-tanto inopinato caso la verità del fatto nel nostro trattato. Egli
-è manifesto che i Gambacorti di Pisa aveano lungamente in grande
-prosperità governata e retta la città di Pisa, e quella magnificata con
-pace in grandi ricchezze de’ suoi cittadini. L’invidia delle loro buone
-operazioni avea creato una setta contro a loro chiamati i Raspanti,
-e la loro si chiamava de’ Bergolini. I Gambacorti furono coloro che
-ricevettono in pace l’imperadore, e che gli diedono la signoria di
-Pisa, benchè ciò facessono secondo la volontà del popolo. A costoro
-promise l’imperadore di mantenere e accrescere nella città di Pisa il
-governamento del comune e il loro buono stato, e ne’ cominciamenti
-appo l’imperadore erano i maggiori, e molto fedelmente si portavano
-al servigio dell’imperio. I raspanti, uomini astuti e vegghianti, per
-abbassare i Gambacorti aveano più volte messo novità e romori nella
-terra, e’ Gambacorti con loro seguito, per riparare con dolcezza
-alla loro malizia, aveano acconsentito di raccomunarsi insieme nella
-cittadinanza e negli ufici, e fatta pace con loro, e acconsentito
-all’imperadore la derogazione de’ patti promessi, stretti dalla
-necessità più che dalla ferma fede dell’imperadore il feciono. È vero
-ch’e’ Gambacorti con la loro parte, e i raspanti e tutti i cittadini
-di Pisa si doleano d’uno modo della voce corsa che l’imperadore
-avesse l’animo di liberare Lucca, e questo parlavano pubblicamente.
-L’imperadore dicea di non liberarla, e nondimeno avea presa la guardia
-del castello dell’Agosta con la sua gente e trattine i Pisani, e a’
-Pisani parea ch’egli attendesse il termine che compieva la sommissione
-di quella città, che venia il giugno seguente, e nel vero si sapea
-ch’e’ Lucchesi accoglievano moneta per la detta speranza: e trovammo
-nel vero che tutti i buoni cittadini di Pisa di catuna setta s’erano
-consigliati insieme per riparare che Lucca non si liberasse d’uno animo
-e d’una volontà, e di questo s’era fatto capo il Paffetta de’ conti di
-Montescudaio; e quelli della Rocca caporali della setta de’ raspanti, e
-a questo comune consiglio acconsentirono i Gambacorti; delle quali cose
-seguitò la loro morte, come appresso diviseremo.
-
-
-CAP. XXXII.
-
-_Come furono in Pisa presi i Gambacorti._
-
-Dopo la novità dell’arsione sopraddetta e della morte di messer
-Francesco Castracane, essendo il popolo insollito, e malcontento e
-sospettoso de’ fatti di Lucca, sopravvenne, che le some degli arnesi
-e dell’armadure de’ loro cittadini ch’erano stati alla guardia
-dell’Agosta in Lucca tornavano, avendo rassegnata la guardia di quella
-alla gente dell’imperadore. I Pisani della setta de’ raspanti, per
-le cui contrade le some passavano, facendosene capo il Paffetta,
-cominciarono a levare il romore contro all’imperadore, e ogni uomo
-s’andò ad armare; la gente dell’imperadore veggendo questa novità
-s’armarono, e montarono a cavallo in diverse contrade com’erano
-albergati, e tutti traevano al duomo dov’era il loro signore. I
-cittadini gli lanciavano, e assalivano, e uccidevano per le vie
-come fossono loro nemici, e in questo primo romore in più contrade
-furono morti più di centocinquanta cavalieri tedeschi di quelli
-dell’imperadore. L’imperadore vedendosi a questo pericolo, e mal
-fornito a fare resistenza al furore del commosso popolo, s’era armato
-e diliberato di volersi partire con la sua gente ch’avea raccolta
-al duomo. De’ Gambacorti, ciò era Franceschino e Lotto, quand’era
-questo romore si trovarono in casa l’imperadore con certi altri
-cittadini senz’arme; e Bartolommeo e Piero, maravigliandosi di questo
-subito romore, si racchiusono in casa il cardinale d’Ostia legato
-del papa. I grandi e i buoni cittadini che non sapeano la cagione
-del romore traevano a casa i Gambacorti; e nel vero, se alcuno di
-loro fosse uscito fuori di casa armato, non ne dubito, che tanto e
-tale era il seguito de’ buoni cittadini, che la città di Pisa avrebbe
-preso quel partito ch’e’ Gambacorti avessono voluto, ma la loro mala
-provvedenza coperta da semplice ignoranza li condusse alla loro ruina,
-e la sagace malizia de’ loro avversari li fece signori. Il conte
-Paffetta e messer Lodovico della Rocca, ch’erano stati i movitori
-di questo romore, avvedendosi che la maggior forza de’ cittadini
-traevano a casa i Gambacorti, e che quelli della casa per folle
-consiglio non comparivano a farsi capo de’ cittadini, s’avvisarono
-d’abbatterli per malizia in quello furore, coll’aiuto della paura
-che sentivano ch’avea l’imperadore che cercava di volersi partire;
-e per fornire loro intendimento, acciocchè ’l romore mosso per loro
-non tornasse in loro confusione, cambiarono la voce, e mostrandosi
-aiutatori dell’imperadore, con gran compagnia di loro seguito armati
-s’appresentarono dinanzi dall’imperadore, e dissono: Signor nostro,
-voi siete tradito da’ Gambacorti e dalla loro setta, perchè non pare
-loro essere signori di Pisa come e’ solieno, e per questa cagione hanno
-fatto levare questo romore e uccidere la vostra gente, e alle loro case
-hanno raccolto in arme la maggior forza de’ cittadini; dicendoli, che
-se per lui a questo punto non si mettesse riparo, egli e sua gente era
-in grave pericolo a campare del loro furore, ed eglino medesimi co’
-loro seguaci erano in grave pericolo di morte e d’essere cacciati di
-Pisa: e detto questo, s’offersono all’imperadore, e dissono; Se voi ci
-volete dare l’aiuto del vostro maliscalco e parte di vostre masnade,
-recheremo tosto al niente la parte de’ Gambacorti, e voi faremo libero
-signore di Pisa. L’imperadore avendo il suo senno intenebrato, e
-sviato da se per la via della paura, indiscretamente diede fede alla
-manifesta iniquità di costoro, e non volle la cosa ricercare con alcuna
-ragione o verità del fatto; ma in quello stante prese parte, e fecesi
-nemico de’ suoi fedeli e innocenti amici, e amico di coloro che gli
-erano stati avversari, e diede le sue masnade e il suo maliscalco a
-seguitare messer Paffetta, e messer Lodovico e la loro setta contro a’
-Gambacorti, i quali senz’arme avea ne’ suoi palagi e in casa ignoranti
-di questo fatto, e per suo comandamento fece ritenere Franceschino
-e Lotto ch’avea in casa, e al legato mandò per gli altri ch’erano
-là fuggiti udendo il romore sotto le sue braccia, e fu di tanta vile
-condizione, che di presente glie le mandò, in gran disonore e infamia
-del suo cappello e della libertà di santa Chiesa; e così fece di più
-altri cittadini, che a lui erano fuggiti per tema del romore.
-
-
-CAP. XXXIII.
-
-_Come fur arse le case de’ Gambacorti._
-
-Il conte Paffetta e messer Lodovico della Rocca avendo accolto loro
-seguito, e la gente e l’insegna dell’imperadore, i quali il dì aveano
-perseguitati e morti, ora per loro sagace industria li traevano
-alla morte de’ loro cittadini, e gridando viva l’imperadore, molta
-gente di loro seguito ragunata contro a lui rivolsono contro a’
-Gambacorti, e contro a’ buoni cittadini ch’erano tratti senza loro
-saputa o procaccio alle loro case. E venendo a valicare i ponti
-dell’Arno, trovarono alcuna lieve resistenza di gente ignorante del
-fatto, e tra loro non era alcuno de’ Gambacorti, in manifesto segno
-che quel dì era terminato alla loro ruina; perocchè se alcuno di
-quella casa fosse comparito in arme, tanti e tali erano i cittadini
-tratti per difenderli, ch’avrebbono ributtati i loro avversari e la
-gente dell’imperadore al Ponte vecchio e al Ponte della spina; ma non
-apparendo alcuno de’ Gambacorti, il Paffetta e messer Lodovico colla
-cavalleria dell’imperadore furono lasciati passare, e addirizzaronsi
-verso casa i Gambacorti, e trovandole senza alcuna difesa, le feciono
-rubare e appresso ardere; e per questo inopinato furore presi i non
-colpevoli Gambacorti con certi altri loro amici, e arse le case,
-diedono per quella giornata, a dì 21 di maggio del detto anno, riposo
-al furore dello scommosso popolo. I presi furono Franceschino, Lotto,
-Bartolommeo, Piero e Gherardo de’ Gambacorti; e gli altri cittadini di
-loro seguito furono ser Benincasa Giunterelli notaio della condotta,
-Cecco Cinquini, ser Piero dell’Abate, ser Nieri Papa, Neruccio
-Mestondine, Neri di Lando da Faggiuola, Ugo di Guitto, e Giovanni
-delle Brache, messer Guelfo de’ Lanfranchi, e messer Piero Baglia
-de’ Gualandi, messer Rosso de’ Sismondi e Francesco di Rossello. E
-avvegnachè tutti questi fossono in questo dì presi, nondimeno non però
-tutti furono giudicati dall’imperadore, come appresso diviseremo nei dì
-della loro condannazione.
-
-
-CAP. XXXIV.
-
-_Di novità seguite a Lucca._
-
-In questo avviluppato furore della commozione di Pisa fu di subito
-la novella a Lucca; e a’ Lucchesi parendo che fosse venuto il tempo
-di potere uscire del grave giogo e servaggio de’ Pisani, incontanente
-a dì 22 del detto maggio sommossono i loro contadini che venissono a
-liberare la città, che da loro erano impotenti a ciò fare, perocchè
-erano pochi e male in arme da potere muovere tanto fatto. I contadini
-caporali nemici de’ Pisani per l’animo della parte e per le gravi
-oppressioni, trassono subitamente d’ogni parte alla città, e i
-cittadini mossono il romore dentro, e presono l’arme contro alle
-guardie delle porti, che di quelli dell’Agosta non temeano, perocch’era
-in mano della gente dell’imperadore, e non si travagliavano di
-difendere la città a’ Pisani; e avendo già presa alcuna porta, misono
-dentro parte de’ loro contadini, e col loro aiuto ripresono tutte le
-fortezze della città e tutte le porti, fuori che quella del castello
-e quella del prato; essendo già liberi signori del corpo della terra,
-e potendovi mettere i contadini e fortificarsi alla difesa della
-loro libertà, e poteano avere subito aiuto di gente d’arme da’ loro
-vicini, e’ Pisani non erano in istato da contradiarli, e l’imperadore
-tradito da’ Pisani non li avrebbe atati, assai chiaro era tornata la
-libertà nelle loro mani, ma forse non compiuto ancora il termine de’
-loro peccati; e però avvenne, che certi popolani ch’erano meno male
-trattati da’ Pisani che gli altri, e alquanti degl’Interminelli, per
-tema che la tirannia già passata di Castruccio non tornasse loro a
-male, tradirono i loro cittadini, e dissono ch’aveano da’ Pisani ogni
-patto che sapessono dimandare, e che con buona pace sarebbono liberi.
-Il popolo vile, nutricato lungamente in servaggio, lievemente si lasciò
-ingannare, e lasciarono accomiatare i contadini e restituire la guardia
-delle porti a’ Pisani; i quali per riprendere con più asprezza la
-signoria, fattisi forti nella città arsono molte case de’ cittadini, e
-i più franchi e chi avea alcuno polso cacciarono fuori della terra, e
-i miseri che dentro vi lasciarono strinsono sotto gravi servaggi della
-loro vita, e tolsono loro ogni ferramento d’arme, e in Pisa tenendo
-in sospetto l’imperadore si feciono rendere la guardia dell’Agosta, e
-voleano che privilegiasse loro la signoria di Lucca: di questo li tenne
-sospesi a questa volta, ed eglino riavendo l’Agosta si contentarono.
-
-
-CAP. XXXV.
-
-_Come nuovo romore si levò in Siena._
-
-Essendo i cittadini di Siena male disposti tra loro, avvedendosi che ’l
-minuto popolo cercava la libera signoria, questo spiacea agli altri: e
-vedendo che ’l patriarca a dì 22 di maggio del detto anno avea ricevuto
-il saramento di nuovo, e però non ostante ch’egli avesse acconsentito
-al popolo l’uficio de’ dodici e ’l gonfalone si recava in dubbio quello
-uficio; nondimeno gli artefici e il minuto popolo esercitavano gli
-ufici loro sforzatamente, e aveano commessa la guardia della città a
-certi caporali i quali andavano alla cerca con grande compagnia di loro
-artefici per la terra, oggi l’uno e domani l’altro. In questo avvenne,
-che certi fanti da Casole di Volterra che veniano a petizione di certi
-gentili uomini, la guardia degli artefici gli presono, e di fatto li
-voleano fare impiccare. I grandi cittadini e ’l popolo grasso vedendo
-lo sfrenato furore del minuto popolo cominciarono a fare romore contro
-a loro, e tutta la città fu sotto l’arme, e l’esecuzione de’ presi si
-rimase. Allora il minuto popolo che reggea mandò all’imperadore a Pisa
-che mandasse loro aiuto. L’imperadore vedendosi in Pisa in cotanta
-briga e tempesta, e conoscendo l’incostanza del popolo, e vedendo le
-nuove cose che ogni dì nascevano in Siena, mandò a dire a’ Sanesi che
-gli rimandassono il patriarca suo fratello salvo, e facessono di quello
-reggimento come a loro piacesse, che tra loro non volea prendere parte.
-
-
-CAP. XXXVI.
-
-_Come i Sanesi feciono rinunziare la signoria al patriarca._
-
-Avuti ch’ebbono i dodici nuovi ufiziali di Siena, a dì 26 di maggio
-detto, la risposta dall’imperadore, feciono loro generale consiglio,
-nel quale il minuto popolo e gli artefici furono per comune, ma non
-così gli altri cittadini, e nella loro presenza feciono venire il
-patriarca, il quale come loro signore venne colla bacchetta in mano;
-ed essendo nel consiglio, disonestamente gli feciono rendere la
-bacchetta, e rinunziare alla singulare signoria che data gli aveano
-a richiesta dell’imperadore, e fecionne trarre pubblichi istromenti a
-più notai. E fatto questo, parendo al patriarca essere in vergognoso
-e non sicuro partito tra le mani dello scondito popolazzo cui egli
-mattamente avea esaltato, domandò di potersene andare all’imperadore
-con sicuro condotto; fugli risposto, che tanto gli conveniva stare
-che le loro castella fossono restituite nella guardia del comune:
-avendo con suo mandato e colle sue lettere mandato gente a prenderle,
-nondimeno gli convenne contro a sua voglia due dì attendere: poi
-a dì 27 di maggio del detto anno in fretta si mise a cammino per
-ritornarsi all’imperadore. I Massetani e quelli di Montepulciano
-lasciarono partire la gente dell’imperadore, e però non accettarono
-la signoria de’ Sanesi a quella volta. Per queste rivolture di Pisa e
-di Siena in così pochi giorni dopo la coronazione dell’imperadore si
-può comprendere, come altre volte abbiamo contato, che il reggimento
-della gente tedesca è strano agl’Italiani, e non si sanno reggere nè
-provvedere; e però è poco savio chi si sottomette alla loro suggezione,
-che non tengono fede a mantenere lo stato che trovano, e da loro non
-sanno governare i popoli, e però di necessità seguitano pericolose
-rivoluzioni de’ liberi comuni, e quello ch’è detto, e quello che
-seguita, sono manifesti esempi del nostro consiglio.
-
-
-CAP. XXXVII.
-
-_Come furono decapitati i Gambacorti._
-
-Avendo l’imperadore presi i Gambacorti e gli altri nominati cittadini,
-e fattili contradi alla maestà imperiale ov’erano fedeli, e rubelli
-ov’erano amici, a suggestione del conte Paffetta e di messer Lodovico
-della Rocca, come detto è, essendo racquetato il tumulto del popolo, e
-l’imperadore nell’animo quieto per coprire il notorio fallo, e perchè
-dimostrare si potesse più certo, volendo giustificare la sua inconsulta
-impresa, essendo dal cominciamento della loro presura ciascuno
-racchiuso di per se senza sapere l’uno dell’altro, li fece disaminare
-a un giudice d’Arezzo, acciocchè potesse formare l’inquisizione
-contro a loro per poterli giudicare colpevoli. E avendoli disaminati
-senza martorio, e appresso con tormento, ciascuno disse per forza di
-tormento ciò che ’l giudice volle che dicessono, acciocchè li potesse
-condannare colpevoli, come sapea la volontà del signore; e nondimeno
-pubblicato il processo si trovò, che l’uno non avea detto come l’altro,
-ma diversamente: l’uno, come avea trattato col comune di Firenze, e
-che dovea mandare la sua cavalleria in Valdarno, e non conchiudea;
-e l’altro nominò che ’l trattato era con tre cittadini di Firenze,
-e nominolli per nome, e non sapea dire il modo; e l’altro si trovò
-ch’avea detto per un altro modo: e così esaminati tutti, non era nel
-processo convenienza salvo che in una cosa, che tutti, vedendo che a
-diritto o a torto convenia loro morire, per non essere più tormentati,
-confessarono a volontà del giudice ch’aveano voluto tradire e uccidere
-l’imperadore e la sua gente. Il furore del romore mosso in Pisa
-era sì manifesto che non fu di loro operazione, che ’l processo nol
-potea contenere. I tre cittadini di Firenze nominati per Franceschino
-erano tali, che niuno sospetto ne cadde nel cospetto dell’imperadore:
-nondimeno non lasciò trarre del processo i loro nomi, anzi convenne che
-si appresentassono in giudicio in Samminiato del Tedesco, allora terra
-libera dell’imperadore, e per sentenza imperiale furono dichiarati non
-colpevoli e prosciolti. E allora veduto pe’ savi tutto il processo,
-fu manifesto che i presi per ragione non doveano esser giudicati
-colpevoli; ma gli sventurati Gambacorti, ch’aveano tanto tempo retta la
-città di Pisa in singolare buono stato, e onorato l’imperadore sopra
-gli altri cittadini, in parlamento fatto a dì 26 di maggio predetto
-furono giudicati traditori dell’imperiale maestà, Franceschino Lotto e
-Bartolommeo Gambacorti fratelli carnali, e Cecco Cinquini e ser Nieri
-Papa, Ugo di Guitto e Giovanni delle Brache, tutti grandi popolani di
-Pisa: e armato il maliscalco con cinquecento cavalieri tedeschi furono
-menati in camicia cinti di strambe e di cinghie, e a modo di vilissimi
-ladroni tirati e tratti da’ ragazzi, furono così vilmente condotti dal
-duomo di Pisa alla piazza degli anziani, scusandosi fino alla morte non
-colpevoli, e scusando il comune di Firenze e i tre cittadini nominati;
-e ivi involti nel fastidio della piazza e nel sangue l’uno dell’altro
-furono decapitati, e gli sventurati corpi maculati dalla bruttura
-del sangue per comandamento dell’imperadore stettono tre dì in sulla
-piazza senza essere coperti o sepolti: la cui morte, in vituperio del
-cardinale legato del papa, e in abbassamento della gloria imperiale,
-diede ammaestramento a’ popoli che voleano vivere in libertà e a’
-rettori di quelli, di non doversi potere fidare alle promesse imperiali
-nello stato delle loro signorie, nè nel grande stato cittadinesco
-alcuno singulare onorato cittadino, perocchè l’invidia spesso per non
-provvedute vie è cagione di grandi ruine. Per la morte di costoro, e
-per la paura conceputa nel petto dell’imperadore, messer Paffetta e
-messer Lodovico della Rocca rimasono i maggiori governatori di Pisa, ma
-tosto sentì messer Paffetta la volta della fallace fortuna, come al suo
-tempo appresso racconteremo.
-
-
-CAP. XXXVIII.
-
-_Dello stato de’ Gambacorti passato._
-
-Avvegnachè quello ch’è narrato de’ Gambacorti dovesse bastare, tuttavia
-per dare esempio agli altri cittadini di temperanza ne’ fallaci
-stati del comune ricordiamo, che costoro essendo mercatanti e antichi
-cittadini di Pisa, cacciati i Conti e quelli della Rocca ch’aveano
-retto un tempo, costoro senza usurpare il reggimento accostati e tratti
-innanzi da’ buoni cittadini di Pisa, per loro operazioni pacifiche
-e virtuose divennono i maggiori, e per loro consiglio si mantenea
-giustizia, e s’aumentava la pace de’ loro vicini; e per questo, e
-per la frequenza delle mercatanzie e del loro porto molto accrebbono
-le ricchezze a’ cittadini, e ’l comune uscì in piccol tempo di gran
-debito. Questi fratelli montarono in tanta autorità, che poterono
-fare la pace dall’arcivescovo di Milano al comune di Firenze e agli
-altri comuni di Toscana, e rimanere arbitri tra le parti: e venendo
-l’imperadore in Italia, e’ furono in podere di non riceverlo in Pisa
-s’avessono voluto, ma per loro consiglio si ricevette, con promissione
-d’essere da lui conservati nel loro stato. Costoro l’albergarono nelle
-loro case, facendoli grande onore e ricchi doni del loro e di quello
-del comune, e portandosi nelle rivoluzioni ch’avvennono sempre in fede
-e in purità verso il signore, e comportando pazientemente la loro
-detrazione mossa dalla loro avversaria setta. Ma che vale la troppa
-ricchezza, e gli onori e ’l magnifico stato della cittadinanza contro
-alla rodente invidia de’ suoi cittadini? nella quale si racchiude
-gli aguati della fortuna e della mortale inimicizia, alla quale manca
-l’umana provvisione, e spesso genera inestimabili cadimenti e ruine;
-e per questo e molti altri esempi assai è più senno vivere civilmente,
-che prendere il reggimento del comune più che la comune sorte gli dea,
-e quella innanzi ristrignere e mancare, che crescere o allargare per
-ambizione; perocchè i popoli naturalmente sono ingrati, e tra loro le
-virtù e la troppa alterezza come è temuta e riverita, così in occulto
-è odiata, e l’invidia conceputa genera pericolosi traboccamenti; e
-la furiosa e matta baldanza più muove e guida il popolo, che virtù o
-giustizia non può sostenere o riparare.
-
-
-CAP. XXXIX.
-
-_Come l’imperadore prese in guardia Pietrasanta e Serezzana._
-
-Parendo all’imperadore non stare sicuro in Pisa per le novità
-sopravvenute, domandò a’ Pisani di volere la libera guardia di
-Pietrasanta e di Serezzana, e’ Pisani glie la diedono, e incontanente
-vi mandò l’imperadrice con parte della sua gente, e fece pigliare la
-tenuta delle terre e la guardia della rocca di Pietrasanta; e quando
-ebbe novella che le castella erano in sua guardia gli parve essere
-più al sicuro, sentendo ch’e’ cittadini si cominciavano a rammaricare
-de’ Gambacorti e degli altri cittadini decapitati, e rivoleano i
-presi; l’imperadore di presente si sarebbe partito, e abbandonato
-ogni cosa per grande paura che gli martellava la mente non senza
-gravezza di coscienza delle cose novellamente fatte, ma temeva forte
-del patriarca per le novità mosse in Siena, e grande pericolo gli
-pareva lasciarlovi addietro; e però attendeva con grande affezione,
-e ogni dì gli parea del soggiorno un anno aspettando. A’ caporali
-pisani nuovamente esaltati parea rimanere male partendosi l’imperadore,
-perocchè ancora erano troppo grandi i loro avversari; e per tanto
-furono all’imperadore, e domandarongli che vi lasciasse suo vicario;
-l’imperadore contento della loro domanda ordinò suo vicario un valente
-prelato, uomo sperto in arme e di gran consiglio, chiamato messer
-Antorgo Maraialdo vescovo d’Augusta, con trecento cavalieri, ma non
-determinatoli questo numero nè altro per l’avvenire, con salario della
-sua persona e della sua gente di fiorini dodicimila d’oro il mese; e
-così prese l’uficio e ’l titolo del vicariato.
-
-
-CAP. XL.
-
-_Come l’imperadore si partì da Pisa._
-
-Avendo l’imperadore novelle certe che ’l patriarca era in cammino, e
-libero da’ Sanesi e’ tornavasi a lui, non aspettò che giugnesse in Pisa
-innanzi la sua partita, ma avute le novelle in sull’ora del vespero, a
-dì 27 di maggio del detto anno si partì di Pisa, e con lui il cardinale
-d’Ostia, e cavalcando forte non si tenne sicuro infinch’e’ fu giunto a
-Pietrasanta; e giunto là, si mise di presente con l’imperadrice a stare
-dentro dalla rocca, e mentre che vi dimorò, che furono più giorni,
-continovo tornò a dormire nella rocca, e in persona andava a fare
-serrare le porte, e mettea le guardie, e portavasene le chiavi nella
-sua camera, ch’era nella mastra torre di quella rocca.
-
-
-CAP. XLI.
-
-_Come i Sanesi domandarono vicario all’imperadore, e non l’accettarono._
-
-Parendo a’ Sanesi avere offeso l’imperadore, e non essendo ancora in
-istato fermo del loro reggimento, mandarono all’imperadore che mandasse
-loro suo vicario. L’imperadore chiamò per suo vicario della città
-di Siena messer Agabito della Colonna di Roma. I Sanesi saputo cui
-egli mandava loro per vicario, uomo animoso in parte ghibellina e di
-disonesta vita, avvegnachè fosse di grande lignaggio, il ricusarono, e
-più non si travagliarono di domandare altro vicario all’imperadore, nè
-l’imperadore per sdegno preso di darlo loro.
-
-
-CAP. XLII.
-
-_Come i Sanesi presono e rubarono Massa._
-
-Rimasa la signoria di Siena nelle mani degli artefici e del minuto
-popolo favoreggiato dalle case de’ grandi, avendo veduto che Massa
-di Maremma non avea voluto ricevere la loro signoria, e dimostrava di
-volersi reggere in libertà, di subito senza provvisione, all’entrata
-del mese di giugno del detto anno, in furore si mosse il popolo con
-certi soldati ch’avea, e andaronne a Massa. Gl’infelici Massetani, che
-stando alle difese per lo disordine di quel popolo erano vincitori,
-per più disordinato modo che quello de’ Sanesi, baldanzosi uscirono
-della città di Massa e affrontaronsi alla battaglia co’ Sanesi,
-nella quale furono rotti e sconfitti; e fuggendo alla città, e’
-Sanesi seguitandoli, con loro insieme v’entrarono dentro; e senza
-misericordia, come avessono preso una terra di nemici, intesono a
-rubare, e a spogliare la città di tutti i suoi beni, ch’erano pochi,
-e recare in preda gli uomini, e le femmine e’ fanciulli, e raccolta
-la gente, misono fuoco nella città, e menarne a Siena gli uomini, e
-le femmine, e’ fanciulli, e le masserizie e l’altre cose, in gran
-gloria e gazzarra di quello scondito popolazzo. E nell’empito di
-questa loro vittoria corsono a Grosseto, e feciono pruova di volerlo
-per forza, ma non ebbono podere d’accostarsi alle mura, e con vergogna
-si tornarono addietro. Ma poi i Grossetani per fuggire la guerra
-de’ loro vicini s’accordarono co’ Sanesi, e ricevettono la loro
-signoria. A Montepulciano non vollono andare, perchè sentirono ch’e’
-Montepulcianesi erano provveduti alla loro difesa, non ostante che per
-loro si tenesse la rocca del castello, ma non potea dare l’entrata.
-
-
-CAP. XLIII.
-
-_Come l’imperadore domandò menda a’ Pisani._
-
-Essendo l’imperadore a Pietrasanta ove gli pareva essere sicuro dal
-furore del popolo, e pertanto traendo l’animo suo alla cupidigia più
-che all’onore imperiale, mandò a Pisa per certi cittadini caporali
-del nuovo reggimento, e fugli mandato messer Paffetta con altri cinque
-cittadini; e avendo costoro a se, disse, che voleva dal comune di Pisa
-l’ammenda del danno ricevuto al tempo del romore; del suo disonore
-e della morte de’ suoi cavalieri non fece conto. Questi cittadini
-tenendosi in istato per lui, e acciocchè ’l suo vicario li mantenesse
-negli onori, gli terminarono per ammenda fiorini tredicimila d’oro,
-ed egli ne fu contento; e tanto attese che gli furono mandati, e quitò
-del danno ricevuto il comune di Pisa. L’ingiuria e la vergogna sfogata
-nel sangue degl’innocenti, con più gravezza il seguitò per lunghi tempi
-infino nella Magna.
-
-
-CAP. XLIV.
-
-_Come i Sanesi vollono fornire la rocca di Montepulciano, e non
-poterono._
-
-Messer Niccolò e Messer Iacopo de’ Cavalieri di Montepulciano, che
-furono tratti della terra quando l’imperadore andò a desinare con loro,
-ed essendo nel cammino di Roma, come già è detto, quando sentirono la
-revoluzione del popolo e del patriarca si tornarono in Montepulciano,
-e avendo accolta gente d’arme coll’aiuto de’ loro terrazzani s’erano
-afforzati, e aveano assediati i Sanesi ch’erano nella rocca. Il popolo
-e gli artefici di Siena baldanzosi per la presura di Massa e per
-l’ubbidienza di Grosseto accolsono la loro potenza a cavallo e a piede,
-e andarono per fornire la rocca di Montepulciano. I terrazzani co’ loro
-signori provveduti di buona gente d’arme ordinatamente prenderono loro
-vantaggio, e ributtarono i Sanesi addietro con danno e con vergogna:
-e fatto questo, incontanente quelli della rocca s’arrenderono a’
-terrazzani, i quali di presente la disfeciono, e fortificarono le mura
-della terra, e d’un animo, per lo tradimento che i Sanesi feciono a’
-loro signori narrato addietro, si disposono e ordinarono alla difesa
-contro a loro.
-
-
-CAP. XLV.
-
-_Come i Veneziani feciono pace co’ Genovesi senza i Catalani._
-
-Partendoci un poco di Toscana, i Veneziani non senza ammirazione ci si
-apparecchiano, nè però a loro cosa nuova, ma forse non troppo onesta.
-Compagni e collegati erano stati lungamente col re d’Araona e co’
-suoi Catalani contro a’ Genovesi, e fatte con loro diverse e gravi
-battaglie, nelle quali comunemente aveano partecipato lo spargimento
-del loro sangue, e perdimento di navili nelle sconfitte, e l’onore e
-’l navilio e la preda nelle vittorie acquistate; e ancora essendo in
-lega e in giuramento con quel re e con quella gente, stretti dalla
-paura de’ Genovesi, che poco innanzi gli aveano mal guidati nel porto
-di Sapienza, e temendo che non si allegassono contro a loro col re
-d’Ungheria, a cui eglino teneano occupata Giadra e gran parte della
-Schiavonia, posponendo la vergogna della fede che rompeano a’ Catalani,
-senza loro consentimento, all’uscita di maggio predetto fermarono pace
-co’ Genovesi in questa maniera: che la pace dovesse avere tra loro
-cominciamento a dì 28 del mese di settembre prossimo avvenire, e che
-fra questo termine il re d’Aragona co’ suoi Catalani con certi patti
-potesse venire, s’e’ volesse, alla detta pace, e se non, rimanesse
-in guerra co’ Genovesi senza i Veneziani: e fu di patto, che infra
-questo tempo niuno comune dovesse dinnovo armare, ma se le galee e’
-legni armati di catuno comune ch’erano in mare in diverse parti del
-mondo s’abboccassono e facessono danno l’uno all’altro, intendessesi
-essere fatto per buona guerra, e ciò che n’avvenisse, e’ non avesse a
-maculare la detta pace. E’ Veneziani promisono di stare tre anni senza
-andare colle loro galee o altri navili alla Tana, ma in questo tempo
-fare loro porto e mercato a Caffa. E promisono i Veneziani a’ Genovesi
-per ammenda, e per riavere i loro prigioni, in certi termini ordinati
-dugento migliaia di fiorini d’oro, e’ prigioni di catuna parte furono
-lasciati liberamente.
-
-
-CAP. XLVI.
-
-_Come si fè l’accordo dal legato a messer Malatesta da Rimini._
-
-Messer Malatesta da Rimini, il quale tenea occupata a santa Chiesa
-Ancona con gran parte della Marca e alquante terre in Romagna,
-trovandosi assottigliato del danaro e della rendita per la tempesta
-della compagnia e per la sconfitta ricevuta dalla Chiesa, e preso il
-fratello, e i sudditi tanto gravati che più non poteano sostenere,
-e avendo addosso il legato a cui al continovo accresceva forza, e da
-niuno signore o comune di Toscana contro alla Chiesa non potea avere
-aiuto, e col legato non trovava accordo con patti, avendone lungamente
-fatto cercare, conoscendo egli e’ suoi essere naturali guelfi,
-che la pace piuttosto che la guerra potea mantenere il loro stato,
-confortato da’ suoi amici e di santa Chiesa, che il legato gli sarebbe
-benivolo e grazioso, s’arrendè liberamente alla sua misericordia,
-e liberamente rendè a santa Chiesa quante terre tenea nella Marca e
-in Romagna; e il legato ricevuto ogni cosa in nome di santa Chiesa,
-essendo grato dell’onore ricevuto da’ Malatesti, e per compiacere a’
-guelfi d’Italia, avendo promesso e giurato messer Malatesta e’ suoi
-di stare in ubbidienza, e di mantenere lealtà e fede a santa Chiesa,
-acciocchè potessono a onore mantenere loro stato, diede loro la libera
-giurisdizione e signoria di cinque città, ciò sono, Rimini, Pesaro,
-Fano, Fossombrone, e .... co’ loro contadi, per dodici anni avvenire;
-le quali riconobbono la santa Chiesa, e promisono di darne per censo
-ogni anno alla Chiesa certa piccola quantità di pecunia, e compiuto il
-termine, farne la volontà di santa Chiesa. E rimasi contenti e in pace,
-messer Malatesta e’ figliuoli e’ fratelli cominciarono fedelmente a
-seguitare il legato, e a servire la santa Chiesa; ed essendo singulari
-amici de’ Fiorentini, assai con più fidanza gli adoperava e onorava
-il legato ne’ fatti della guerra. E questa pace e accordo fu fatto
-all’uscita di maggio del detto anno.
-
-
-CAP. XLVII.
-
-_Come i Genovesi appostarono Tripoli._
-
-Avea il comune di Genova, innanzi la pace fatta co’ Veneziani, armate
-quindici galee di loro cittadini, e fattone ammiraglio Filippo Doria,
-ed era l’intenzione del comune di fare prendere la Loiera in Sardigna
-per alcuno trattato, che si menava per un soldato ch’era alla guardia
-di quella; e giunti in Sardigna, trovarono che il trattato non ebbe
-effetto. Allora l’ammiraglio si pensò di fare maggiore impresa, e
-avea l’animo a diverse terre per via di furto: e arrivati in Cicilia
-a Trapani, ebbe avviso, come Tripoli di Barberia era per un vile
-tirannello rubellato alla corona, ed era male guernito alla difesa
-d’un subito assalto, e per questo fece in Trapani fare scale e
-altri argomenti da potere combattere alle mura, tenendo segreta sua
-intenzione; e quando si vide apparecchiato, fece muovere le sue galee
-verso la Barberia. E giunto a Tripoli, mostrando d’andare pacificamente
-per mercatanzie, trovando due navi del signore cariche di spezieria
-che venivano d’Alessandria, si mostrarono come amici, e al signore
-feciono domandare licenza di potere mettere scala in terra per alcuno
-rinfrescamento, e il signore la concedette. L’ammiraglio mise in terra
-alquanti de’ suoi più savi e provveduti vestiti vilmente a modo di
-galeotti per comperare alcune cose per rinfrescamento, e commise loro
-che provvedessono il modo della guardia di quelli Saracini e di loro
-aspetto, e l’altezza delle mura della città, e da qual parte fosse
-più debole. Il signore più per paura che per amore fece fare onore a’
-galeotti, e nondimeno guardare la terra. Eglino mostrandosi rozzi e
-grossi provvidono molto bene quello che fu loro imposto: e comperate
-delle cose, si ritornarono a galea, e avvisarono pienamente il loro
-ammiraglio. Il signore presentò alle galee due grossi buoi, e castroni
-e vino; i Genovesi non vollono prendere le cose, ma molto grandi grazie
-ne feciono rapportare al signore, e incontanente, senza fare a’ legni
-carichi alcuna novità, suonarono loro trombetta, e partendosi di là,
-si misono in alto mare, tanto che si dilungarono da ogni vista della
-città, per assicurare più il signore e la gente della terra; i quali
-sentendo le galee partite, e che a’ loro legni carichi non aveano fatto
-nulla, che li poteano prendere, presono sicurtà, la quale tosto tornò
-loro amara, come appresso diviseremo.
-
-
-CAP. XLVIII.
-
-_Come i Genovesi presono Tripoli a inganno._
-
-I Genovesi ch’erano partiti da Tripoli, come la notte fu fatta, avendo
-bonaccia in mare, si strinsono insieme colle loro galee, e ragunato al
-consiglio padroni e nocchieri, l’ammiraglio manifestò loro l’intenzione
-ch’avea, quando a loro piacesse, di vincere per ingegno e per forza la
-città di Tripoli, ove tutti sarebbono ricchi di gran tesoro; e mostrò
-loro come il signore di quella era un vile tirannello nato d’un fabbro
-saracino, e disamato da tutti per la sua tirannia, e però se fosse
-assalito francamente non potrebbe fare resistenza, e soccorso non
-potea avere, perchè non ubbidiva il re di Tunisi, ma era suo ribello;
-e avvisolli com’egli avea fatto provvedere di prendere le mura e la
-porta agevolmente: e però, là dove e’ volessono essere prod’uomini, la
-grande e la ricca preda era loro apparecchiata. Costoro cupidi della
-roba altrui, avendo udito il loro ammiraglio, con grande allegrezza
-deliberarono che l’impresa si facesse, e offersonsi tutti a ben fare
-il suo comandamento, e misonsi di presente in concio di loro armi,
-e balestra, e saettamento; e preso alcuno riposo, in quella notte, e
-innanzi che il giorno venisse, all’aurora tutti armati e ordinati di
-quello ch’aveano a fare giunsono nel porto di Tripoli, e di colpo con
-poca fatica ebbono presi i due navili del signore; e messe le ciurme in
-terra e’ loro soprassaglienti colle balestra, portando le scale a’ muri
-della città vi montarono suso senza trovare resistenza, e la parte di
-loro ch’era rimasa a guardia delle galee e de’ legni s’accostarono alla
-terra per dare aiuto e soccorso a’ loro compagni; e questo fu sì tosto
-e sì prestamente fatto, che appena i cittadini se n’avvidono, se non
-quando i Genovesi teneano le mura, e già aveano presa la porta. Levato
-il romore per la città, il signore armato colla sua gente, e con parte
-de’ cittadini ch’ebbono cuore alla difesa, corsono per volere riparare
-ch’e’ nemici non potessono correre la terra, e abboccaronsi con loro. I
-Genovesi erano già tanti entrati dentro e sì forti, che per suo assalto
-non li potè ributtare; e stando loro a petto, i Genovesi ordinati
-colle balestra a vicenda li sollecitavano tanto co’ verrettoni, ch’e’
-Saracini male armati non li poteano sostenere. E il signore vedendo che
-non potea riparare, vilmente diede la volta, e fuggendosi abbandonò la
-città e il popolo. I Genovesi, sentendo partito il tiranno, presono
-più ardire, e ordinatisi insieme si misono per la terra, e qualunque
-si volea difendere uccidevano, e grande strage feciono quel dì de’
-Saracini; e avendo corsa tutta la terra, presono le porti e serraronle,
-e misonvi le guardie, e furono al tutto signori della terra e degli
-uomini, e di tutta la loro sostanza.
-
-
-CAP. XLIX.
-
-_Di quello medesimo._
-
-Presa, come detto è, l’antica città di Tripoli, e chiuse le porti, i
-Genovesi diedono ordine di spogliare le case, e di farsi insegnare
-i tesori del signore e l’avere de’ cittadini, e che ogni cosa
-pervenisse a bottino, sicchè lo spogliamento andasse per ordine;
-e così seguitarono penando più giorni a fare questa esecuzione, e
-condussono a bottino in pecunia, e in avere sottile, e ornamenti d’oro
-e d’argento il valere di più di diciannove centinaia di migliaia di
-fiorini d’oro, e settemila prigioni tra uomini, femmine, e fanciulli;
-e questo fu senza le segrete ruberie ch’e’ galeotti e gli altri
-maggiori feciono, che non le rassegnarono in comune, e di ciò non
-si fece cerca nè inquisizione; e avendo così spogliata la terra, la
-guardarono, e mandarono una delle loro più sottili galee al comune
-di Genova, significando quello ch’aveano fatto, e come teneano la
-città a farne la volontà del comune. I governatori di quel comune, e
-appresso i buoni cittadini si turbarono forte del tradimento fatto a
-coloro che non erano nemici, e non aveano guardia di loro, non ostante
-che fossono Saracini, e temettono forte, ch’e’ cittadini di Genova
-ch’erano in Tunisi e in Egitto tra’ Saracini, e in loro mani colle
-loro mercatanzie, non fossono per questo a furore presi e morti; e così
-sarebbe avvenuto, se non fosse che Tripoli era sotto reggimento di vile
-tiranno, e non ubbidia al re di Tunisi, e però egli e gli altri signori
-saracini contenti del suo male non se ne curarono. Agli ambasciadori
-della galea non fu risposto; i quali vedendo i cittadini mal contenti,
-senza prendere comiato si tornarono a Tripoli a’ loro compagni; i quali
-vedendosi smisuratamente ricchi, del cruccio del loro comune, sapendo
-che tutti erano corsali, poco si curarono, e in Tripoli si misono
-a stare, consumando ogni reliquia di quella città, e cercavano di
-venderla per averne danari da chi più ne desse: e questo fu di giugno
-del detto anno.
-
-
-CAP. L.
-
-_Come la gente del marchese di Ferrara fu sconfitta, a Spaziano._
-
-In questi medesimi dì, il marchese di Ferrara avea mandato quattrocento
-cavalieri e millecinquecento fanti ad assediare un castello ch’avea
-nome Spaziano, il quale avea occupato il signore di Milano nel
-Ferrarese; e avendolo tenuto assediato alcun tempo, messer Bernabò vi
-mandò subitamente de’ suoi cavalieri al soccorso, e furono tanti, che
-per forza li levarono dall’assedio e sconfissono, dando loro danno
-assai; e liberato il castello, il fornirono di ciò ch’avea bisogno, e
-tornarsene a Milano.
-
-
-CAP. LI.
-
-_Come l’imperadore ebbe l’ultima paga da’ Fiorentini, e fè la fine._
-
-Restavano i Fiorentini a dare all’imperadore ventimila fiorini d’oro
-per lo resto de’ centomila, e sentendolo partito da Pisa, e ch’egli
-era a Pietrasanta, s’affrettarono di mandarglieli più tosto, e a dì
-10 di giugno gli feciono appresentare contanti ventimila fiorini a
-Pietrasanta. L’imperadore considerato il suo partimento non d’onore
-ma piuttosto d’abbassamento dell’imperiale maestà, e vedendo la
-sollecitudine della fede promessa del comune di Firenze, e il luogo
-dove gli aveano mandata la pecunia, fu molto allegro, e commendò
-magnificamente la fede e il buono portamento ch’avea trovato ne’
-cittadini di Firenze, dicendo, come i Pisani ch’erano camera d’imperio,
-e’ Sanesi che liberamente s’erano dati senza mezzo alla sua signoria
-l’aveano ingannato e tradito, e fattagli gran vergogna per loro
-corrotta fede, e’ Fiorentini l’aveano atato e consigliato dirittamente,
-e onorato molto i suoi baroni, e la sua gente, e adempiutogli
-pienamente ciò ch’aveano promesso, onde molto si tenea per contento da
-quello comune; e di proprio movimento li privilegiò di nuovo ciò che
-teneano in distretto, e riconobbe diciotto migliaia di fiorini che il
-comune diede per lui al sire della Lippa suo alto barone, e tremila che
-per suo mandato avea pagati ad altri baroni, e di tutta la quantità
-di centomila fiorini d’oro ch’aveano promesso, come addietro abbiamo
-narrato, fece fine al detto comune per suoi documenti e cautela,
-per carta fatta per ser Agnolo di ser Andrea di messer Agnolo da
-Poggibonizzi notaio imperiale, fatta nella detta terra di Pietrasanta
-il detto dì.
-
-
-CAP. LII.
-
-_Come il figliuolo di Castruccio fu decapitato._
-
-Avendo veduto messer Altino figliuolo di Castruccio Castracane già
-tiranno di Lucca, come l’imperadore era uscito di Pisa con sua vergogna
-per andarsene nella Magna, accolti certi masnadieri e con sua gente
-entrò in Monteggoli presso a Pietrasanta, per tenersi la terra. I
-Pisani sdegnati di presente vi cavalcarono, e assediarono il castello
-intorno. Messer Altino intendea a difenderlo da’ Pisani, e credea
-poterlo fare. I Pisani sentendo ivi presso l’imperadore, mandarono
-a pregarlo che gli piacesse di venire nel campo, perocch’elli erano
-certi che alla sua persona messer Altino non si terrebbe. L’imperadore
-v’andò, e fece comandare a messer Altino che si dovesse arrendere; il
-quale incontanente ubbidì a’ suoi comandamenti, e diede la terra a’
-Pisani, e sè all’imperadore. I Pisani di presente arsono e disfeciono
-il castello: e richiesto l’imperadore da’ Pisani che desse loro messer
-Altino, con poco onore della sua corona il mandò prigione a Pisa, e ivi
-a pochi dì, partito l’imperadore da Pietrasanta, i Pisani gli feciono
-tagliare la testa.
-
-
-CAP. LIII.
-
-_D’una fanciulla pilosa presentata all’imperadore._
-
-Mentre che l’imperadore era a Pietrasanta, per grande maraviglia, e
-cosa nuova e strana, gli fu presentata una fanciulla femmina d’età
-di sette anni, tutta lanuta come una pecora, di lana rossa mal tinta,
-ed era piena per tutta la persona di quella lana insino all’estremità
-delle labbra e degli occhi. L’imperadrice, maravigliatasi di vedere un
-corpo umano così maravigliosamente vestito dalla natura, l’accomandò a
-sue damigelle che la nudrissono e guardassono, e menolla nella Magna.
-
-
-CAP. LIV.
-
-_Come l’imperadore e l’imperadrice si partirono per tornare in
-Alamagna._
-
-Avendo l’imperadore col senno e colla provvedenza alamannica presa la
-corona dell’imperio, e guidati i fatti degl’Italiani come nel nostro
-trattato è raccontato, essendosi ridotto a Pietrasanta, l’imperadrice
-sollecitando che si tornasse nella Magna, a dì 11 di giugno del detto
-anno si partì di là con milledugento cavalieri di sua gente, e tenne
-la via di Lombardia; e giugnendo alle terre de’ signori di Milano
-non potè in alcuna entrare, ma a tutte trovò le porte serrate, e le
-mura e le torri piene d’uomini armati alla guardia colle balestra,
-e col saettamento apparecchiato. E giugnendo a Cremona, ch’è grossa
-città, volendovi entrare dentro, fu ritenuto alla porta per spazio di
-due ore innanzi che vi potesse entrare; poi ebbe licenza d’andarvi
-la sua persona con alquanta compagnia senza alcuna gente armata; e
-strignendolo la necessità, per non mostrare d’avere dimenticata la pace
-che la sua persona avea voluto trattare tra’ Lombardi, vi si mise ad
-entrare, e stettevi la notte e il dì seguente, continovo le porti della
-città serrate, e di dì e di notte i soldati armati facendo continova
-guardia. E ragionando l’imperadore con certi che v’erano per i signori
-di Milano, di volere trattare della pace tra’ Lombardi, gli fu detto
-da parte de’ signori, che non se ne dovesse affaticare. E però la
-mattina vegnente, avendo già preso di se alcuno sospetto, s’uscì della
-città, e cavalcò a Soncino. Ivi fu ricevuto con pochi disarmati e con
-grandissima guardia: e vedendosi così onorare ora ch’era imperadore
-nella forza de’ tiranni di Milano, molto pieno di sdegno s’affrettò
-di tornare in Alamagna, ove tornò colla corona ricevuta senza colpo
-di spada, e colla borsa piena di danari avendola recata vota, ma con
-poca gloria delle sue virtuose operazioni, e con assai vergogna in
-abbassamento dell’imperiale maestà.
-
-
-CAP. LV.
-
-_Come il minuto popolo di Siena prese al tutto la signoria di quella._
-
-Del mese di giugno del detto anno, il minuto popolo di Siena avendo
-fino a qui avuto in certi ufici in compagnia alquanti delle grandi case
-di Siena, e desiderando d’avere in tutto il governamento di quella
-città, levò il romore, e tutti i cittadini presono l’arme; e stando
-il popolo armato, dimostrò di volere che i grandi rinunziassono agli
-ufici del comune; e sentendo i grandi che questo movea dal consiglio
-dato al minuto popolo per Giovanni d’Agnolino Bottoni de’ Salimbeni
-per accattare la benivolenza del minuto popolo per animo tirannesco,
-non vollono per forza d’arme cercare di ributtare i loro cittadini;
-e acciocchè il popolo non si tenesse d’avere lo stato del reggimento
-da Giovanni d’Agnolino, i Tolomei suoi avversari furono quelli che
-prima cominciarono a rinunziare agli ufici, e volere che il popolo gli
-avesse in tutto, e così feciono gli altri appresso. E volle il popolo,
-che laddove lo staio era cresciuto per lo patriarca alla misura lieve,
-fosse alla picchiata, e così fu conceduto per tutti. Allora il popolo
-ordinò d’avere il gran consiglio, e lasciato l’arme, in questo stabilì
-per riformagione la loro somma signoria, reggendosi per dodici priori
-di due in due mesi, e ivi li crearono; e ancora feciono un gonfaloniere
-di popolo, e certi altri ch’avessono a rispondere a lui per terziere
-della città: e ivi da capo rifiutato messer Agapito della Colonna per
-loro vicario, come detto è, cominciò in libertà il reggimento di quello
-popolazzo.
-
-
-CAP. LVI.
-
-_Come la compagnia del conte di Lando cavalcò a Napoli._
-
-Avvenne ancora del detto mese di giugno, che la compagnia ch’era
-lungamente stata in Puglia guidata dal conte di Lando, sentendo che il
-re Luigi contro a loro non avea fatta alcuna provvisione a sua difesa,
-si partirono di Puglia, e vennonsene in Principato; e soggiornati
-alquanti dì nelle contrade di Serni, e di Matalona, e d’Argenza,
-feciono grandi prede; e non trovando fuori delle terre murate alcun
-contrasto, di là entrarono in Terra di Lavoro, e vennono infino presso
-a Napoli, e cavalcarono il paese d’intorno; e non sentendo chi vietasse
-loro il paese, essendo ubbiditi da’ casali e da’ paesani di fuori, e
-forniti di quello che alla loro vita e dei loro cavalli bisognava, per
-potere stare più ad agio, si divisono in più compagnie, e l’una stando
-nell’una contrada, e l’altra nell’altra, compresono a modo di paesani
-tutto il paese; e lasciarono l’arme non sentendo alcuno avversario, e
-cominciarono a prendere diletti d’uccellare e di cacciare; e i loro
-cavalcatori e’ ragazzi visitavano le ville e’ casali, e recavano
-all’ostiere ciò che bisognava largamente per la loro vita e di loro
-cavalli, e quando i signori tornavano, trovavano apparecchiato, e
-i cattivelli paesani, che non aveano aiuto dal loro signore, erano
-consumati in vilissima fama della real corona.
-
-
-CAP. LVII.
-
-_Come Fermo tornò alla Chiesa e si rubellò da Gentile da Mogliano._
-
-In questo mese di giugno, quelli della città di Fermo, i quali per lo
-tradimento fatto per Gentile da Mogliano al legato quando gli rubellò
-la città colla forza del capitano di Forlì e coll’ordine di messer
-Malatesta, essendo contro al loro volere, come narrato è addietro,
-tornati contro alla signoria del legato, dove s’erano ridotti con
-loro grande piacere, vedendo ora la forza del legato loro di presso,
-e che Gentile era povero di gente, levarono il romore nella città,
-e rinchiusone Gentile nella rocca, e diedono la terra al legato; il
-quale la fornì di buone masnade a piè e a cavallo, e presene buona e
-sollecita guardia.
-
-
-CAP. LVIII.
-
-_Come il re di Francia mandò gente in Scozia per guerreggiare
-gl’Inghilesi._
-
-Trapassando alquanto agli strani, il re di Francia vedendo che passate
-le triegue gl’Inghilesi cavalcavano nel reame, e facevano spesso
-danno alle sue genti e al paese, prese consiglio da’ suoi, e avendo
-alcuno intendimento da certi baroni di Scozia, mandò in Scozia il sire
-di Garendone suo barone con ottocento armadure di ferro, a fine di
-muovere gli Scotti a fare guerra agl’Inghilesi per modo, che quelli che
-guerreggiavano in Francia avessono cagione di tornare a guerreggiare
-con gli Scotti. E giunta questa gente in Scozia, gli Scotti tennero
-loro consiglio e diliberarono, che essendo il loro re David prigione
-del re d’Inghilterra, se gli Scotti movessono guerra agl’Inghilesi
-tornerebbe in pericolo e dannaggio del loro re; e però non vollono
-che ad istanza del re di Francia in Scozia si facesse movimento di
-guerra sopra gl’Inghilesi, e per questo la gente francesca ch’era di
-là passata si ritornò addietro. E questo avvenne del mese di giugno del
-detto anno.
-
-
-CAP. LIX.
-
-_Come i prigioni d’Ostiglia presono il castello._
-
-Di questo mese una buona brigata di prigioni, che messer Gran Cane
-della Scala avea racchiusi in Ostiglia, seppono tanto fare per loro
-sottile provvedimento che tutte le guardie delle prigioni e del
-castello uccisono, e presono il castello, e recaronlo nella loro
-guardia e signoria. Il castello era forte e in sù i confini del
-distretto di Mantova e di Ferrara. Sentendo i signori vicini questa
-rubellione, tentarono quelli di Mantova e di Ferrara catuno di volere
-dare danari a’ prigioni che l’aveano preso per avere quella tenuta,
-ch’era di piccola guardia, ed era forte da non potere essere vinta
-per battaglia, e dava il passo in catuna parte; i matti prigioni
-non seppono prendere il buono partito, e però s’accostarono al reo;
-e avendo grandi promesse da messer Gran Cane, cui eglino aveano
-cotanto offeso, affidandosi solamente alla fede delle sue promesse,
-che renderebbe loro i propri beni e farebbe a catuno altri vantaggi,
-dicendo, che non imputerebbe loro il misfatto, perocchè fatto l’aveano
-come prigioni, a cui era lecito di trovare ogni via di loro scampo,
-sicchè ciò non era tradimento. I miseri vinti dalle vane promesse
-renderono la tenuta del forte castello alla gente di messer Gran
-Cane, il quale ripresa la fortezza, incontanente attenne la promessa
-ammazzandone una parte colle scuri, e altri con gravi tormenti fece
-morire, e trentasei de’ residui più vili fece impendere per la gola:
-e per questo modo morti tutti i prigioni riebbe la sua fortezza del
-castello d’Ostiglia.
-
-
-CAP. LX.
-
-_Come i Genovesi venderono Tripoli._
-
-I Genovesi ch’aveano preso Tripoli di Barberia, come addietro abbiamo
-narrato, e non avendo potuto avere risposta dal loro comune quello che
-della città si facessono, cercarono di venderla per danari a’ baroni
-saracini che v’erano di presso, e niuno trovarono che vi volesse
-intendere. Era a quel tempo signore dell’isola di Gerbi un Saracino
-ricco e di gran cuore; costui intese a volerla comperare, e trattato
-il mercato, ne diè a’ Genovesi cinquantamila doble d’oro; e ricevuto
-il pagamento e la tenuta della città, e sceltisi de’ cittadini uomini
-e femmine e fanciulle cui e’ vollono, gli altri lasciarono colla
-città spogliata d’ogni bene; e raccolti in su le loro quindici galee
-piene d’arnesi e di gran tesoro partironsi del paese, e lungamente
-stettono ora in una parte ora in un’altra, tanto che il loro comune fu
-rassicurato de’ loro cittadini ch’erano in Alessandria e in Tunisi,
-che per questa novità di Tripoli non aveano ricevuto danno, allora
-ribandirono quelli delle galee, i quali aveano sbanditi per lo fallo
-commesso, e dierono loro licenza che potessono tornare a Genova, quando
-tre mesi alle loro spese avessono guerreggiate le marine di Catalogna;
-i quali fatto il servigio tornarono a Genova, e riempierono la città
-di schiavi e schiave saracine, e di molto tesoro acquistato con gran
-tradimento, ma per giusto giudicio di Dio in breve tempo capitarono
-quasi tutti male, rimanendo in povero stato.
-
-
-CAP. LXI.
-
-_Come gli usciti di Lucca tentarono di far guerra._
-
-Essendo per le novità sopravvenute all’imperadore in Pisa perduta agli
-usciti di Lucca la speranza d’essere liberati dal giogo de’ Pisani,
-secondo il trattato di cui era scorsa la fama; e veduto come fortuna
-avea fatti signori della città le piccole reliquie de’ Lucchesi
-ch’erano nella città in una giornata, per un poco d’ardire ch’aveano
-dimostrato, se da loro medesimi non fossono stati traditi, come detto
-è, trovandosi gli usciti avere ragunata alcuna moneta per la detta
-cagione della speranza dell’imperadore, e parendo loro ch’e’ Pisani
-fossono in dubbioso stato, s’intesono insieme i guelfi co’ ghibellini,
-e’ figliuoli di Castruccio ch’erano in Lombardia promisono a tutti i
-caporali delle famiglie guelfe uscite di Lucca nella loro fede, che
-contro alla loro origine e’ si farebbono guelfi per trarre di tanto
-servaggio la loro città; e trattarono con loro di fare ogni loro sforzo
-con buona punga per rientrare in Lucca, e catuno promise di fornirsi
-di gente per loro aiuto, e di cavalli e d’armi per fornire loro
-impresa. E sentendo i Pisani questo apparecchiamento, si provvidono
-sollecitamente al riparo. Le cose procedettono e seguirono al loro fine
-come degnamente meritarono, e tosto ci verrà il tempo da raccontarlo.
-
-
-CAP. LXII.
-
-_Conta della gran compagnia di Puglia._
-
-Avvedendosi quelli della compagnia ch’erano in Terra di Lavoro,
-che il re nè i suoi baroni mettevano alcuno riparo contro a loro,
-presono maggiore baldanza, e raccolti insieme se ne vennero verso
-Napoli, e posonsi a campo a Giuliano tra Aversa e Napoli, presso a
-Napoli a quattro miglia di piano, e domandavano al re danari senza
-fare guasto. Allora i Napoletani vedendo che il re non si movea, si
-mossono da loro, e accolsono de’ paesani e de’ forestieri una quantità
-di cavalieri, e feciono capo il conte camarlingo, e ’l conte di san
-Severino e l’ammiraglio di volontà del re; nondimeno costoro non
-uscivano di Napoli a riparare le cavalcate della compagnia e sturbavano
-l’accordo, che si cercava di dare loro danari. Per la qual cosa i
-Napoletani temendo di ricevere il guasto, di che la compagnia gli
-minacciava, a dì 12 di Luglio del detto anno s’armarono a cavallo e
-a piè romoreggiando, e minacciando i baroni che non lasciavano fare
-l’accordo colla compagnia. I baroni erano forti da loro, e aveano con
-seco i forestieri armati, sicchè poco curavano le minacce o le mostre
-de’ Napoletani, e avvedendosene i Napoletani, posono giù l’arme, e
-se n’acquetarono. Nondimeno il re mostrando di fare al movimento de’
-Napoletani l’accordo, vedendosi l’oste di presso addosso, per schifare
-maggiore pericolo, trattò di dare loro fiorini centoventimila in
-certi termini, e per questo si levarono da Giuliano, e dilungaronsi da
-Napoli, paesando e vivendo alle spese de’ paesani. L’effetto di questo
-trattato ebbe mutamenti con danno de’ regnicoli innanzi che si traesse
-a fine, come innanzi al suo tempo racconteremo.
-
-
-CAP. LXIII.
-
-_Come il gran siniscalco condusse mille barbute contro alla compagnia,
-ond’ella s’accrebbe._
-
-Mentre che queste cose si trattavano in Napoli, il gran siniscalco del
-Regno messer Niccola Acciaiuoli di Firenze essendo stato in Toscana, e
-in Romagna e nella Marca accogliendo gente d’arme, s’era con essa messo
-a cammino: e giunto alla città di Sulmona con mille barbute di gente
-tedesca e oltramontana, fè sentire al re la sua venuta; il re richiese
-i baroni per volersi combattere colla compagnia venendo contro a’
-patti promessi: ma la cosa venne dilatando e prendendo indugio, e nel
-soprastare il caldo appetito del re venne raffreddando, e ancora de’
-suoi baroni, e il termine delle paghe de’ soldati menati per lo gran
-siniscalco cominciò a venire; e non essendo il re mobolato da poterli
-pagare e riconducere per innanzi, assai se ne partirono dal servigio
-del re. e andarsene alla compagnia, e fecionla maggiore.
-
-
-CAP. LXIV.
-
-_Come gli usciti di Lucca s’accolsono senza far nulla._
-
-Ritornando nostra materia al fatto degli usciti di Lucca, que’
-caporali ch’erano a soldo del comune di Firenze, con le loro bandiere
-appresentandosi al tempo ordinato tra loro, cominciò la cosa a
-pubblicarsi in Firenze. Quando il comune sentì questo, incontanente
-tutti gli cassò dal suo soldo, e comandò loro sotto pena della vita,
-che niuna ragunata di gente facessono nel contado o distretto di
-Firenze, e contradisse a tutti i cittadini e contadini sotto pena
-dell’avere e della persona, che niuno aiuto o favore si desse loro,
-perocchè non volea il nostro comune rompere per niuna cagione la pace
-ch’avea co’ Pisani. Nondimeno i Lucchesi guelfi ch’erano in Toscana,
-con loro sforzo s’accolsono in certo luogo in sù quello di Lucca, e
-ivi si trovarono con dugento cavalieri e con molti masnadieri che gli
-seguitavano per speranza di guadagnare. I conducitori furono Obizzi
-e Salamoncelli, e attendeano che dall’altra parte, com’era ordinato,
-venissono i figliuoli di Castruccio con gli usciti ghibellini, e col
-popolo di Lunigiana e Garfagnana. I Pisani sentendo che gli usciti di
-Lucca si cominciavano a ragunare, cacciarono di Lucca tutti i cittadini
-ch’aveano alcuna apparenza, e mandaronvi per comune i due quartieri di
-Pisa alla guardia, e con grande studio si fornirono di gente d’arme
-alla difesa. I figliuoli di Castruccio non attennono la promessa al
-termine, per la qual cosa gli usciti guelfi soprastati al termine
-più di due dì, e non avendo novelle che venissono, si cominciarono a
-sfilare, e senza ordine tornare catuno a casa con poco onore. Abbianne
-fatto memoria non per lo fatto, che nol meritava, ma perchè in quel
-tempo che questo fu, erano quarantadue anni ch’e’ Lucchesi guelfi erano
-stati fuori della loro città, e mai non aveano fatta altrettanta vista
-per cercare di volere tornare in Lucca, come a questa volta.
-
-
-CAP. LXV.
-
-_Come il re di Cicilia racquistò più terre._
-
-In questo tempo, don Luigi di Cicilia coll’aiuto de’ Catalani
-dell’isola e della loro setta, accolti insieme in arme a piè e a
-cavallo si mossono da Catania con la persona del loro signore, e
-cavalcando sopra le terre ch’ubbidiano l’altra setta di Chiaramonti e
-il re di Puglia, e trovandole mal fornite alla difesa, s’arrenderono e
-ubbidirono, vedendo la persona di don Luigi, senza farli resistenza.
-E appresso preso più ardire, del mese di luglio con sei galee armate
-e con l’altra gente per terra venne a Palermo, e posevisi intorno
-credendolasi riavere, ma vedendo ch’e’ si difendeano colla gente
-forestiera che v’era per lo re Luigi di Puglia, fece danno assai nelle
-villate di fuori, e poi se ne ritornò a Catania.
-
-
-CAP. LXVI.
-
-_Novità di Padova._
-
-Essendo messer Iacopino da Carrara signore di Padova, e avendo
-lungamente tenuta la signoria in compagnia di Francesco suo nipote
-carnale, avendosi portato insieme grande onore, non sentendosi alcuna
-cagione d’odio o di sospetto tra loro, salvo che messer Francesco
-volea pace co’ signori di Milano, e messer Iacopo la volea con loro,
-e voleala co’ signori di Mantova insieme con cui erano collegati, non
-dovea però per questo essere cagione d’odio tra loro, ma piuttosto
-quello che non soffera d’avere consorto nella signoria tra gli animi
-ambiziosi di quella; e per questo Francesco ch’era più giovane e più
-atto a guerra, e avea il seguito della gente d’arme, una sera, a dì
-26 del mese di luglio del detto anno, essendo messer Iacopino nella
-sua sala posto a cena, messer Francesco con suoi compagni armati
-copertamente venne al palagio, dove non gli era nè di dì nè di notte
-vietata porta, e andato suso, trovò il zio che cenava, e accogliendo
-il nipote senza alcuno sospetto, fu da lui preso, e incamerato e messo
-in buona guardia, senza essere per lui alcuna resistenza fatta nel
-palagio. La mattina vegnente messer Francesco cavalcò per la città, e
-senza fare novità nella terra fu ubbidito in tutto come signore, e si
-scusò al popolo, che questo avea fatto perocchè avea trovato di certo,
-che poichè messer Iacopino si vide avere figliuolo, avea cercato di
-fare avvelenare lui: e che ciò fosse vero o no, tanto se ne dimostrò,
-che alcuni di ciò furono incolpati e martoriati, tanto che confessarono
-il malificio, e perderonne le persone.
-
-
-CAP. LXVII.
-
-_Come i Visconti tentarono di racquistare Bologna._
-
-Di questo mese di luglio del detto anno, messer Bernabò de’ Visconti
-di Milano avendo tenuto alcuno trattato in Bologna, credendolasi
-racquistare, mandò di subito duemila cavalieri e di molti masnadieri
-di soldo sopra la città di Bologna, e la loro prima posta fu al Borgo a
-Panicale, e feciono vista d’afforzare loro campo presso a Bologna a tre
-miglia; poi all’entrata d’agosto si levarono di là e andarono a Budrio,
-e trovandovi difetto d’acqua, si partirono di là, e posono campo a
-Medicina tra Bologna e Imola, e là dimorarono attendendo che novità si
-movesse in Bologna. Lasceremo ora questa gente ch’attende di fare suo
-baratto, come al tempo innanzi racconteremo.
-
-
-CAP. LXVIII.
-
-_Come in Firenze nacquono quattro lioni._
-
-A dì 3 d’agosto nacquono in Firenze quattro lioni, due maschi e due
-femmine; l’uno si donò al duca d’Osteric, che ’l domandò al comune,
-l’altro al signore di Padova.
-
-
-CAP. LXIX.
-
-_Novità fatte per gli usciti di Lucca._
-
-All’entrata del mese d’agosto del detto anno, messer Arrigo e messer
-Gallerano figliuoli di Castruccio usciti di Lucca, con quella gente
-d’arme ch’avere poterono in Lombardia apparirono in Lunigiana, e ivi
-e di Garfagnana accolsono fanti a piè; e i Lucchesi guelfi usciti da
-capo si ragunarono e accozzarono co’ figliuoli di Castruccio, e di
-concordia, trovandosi quattrocento cavalieri e duemilacinquecento
-fanti, si posono ad assedio a Castiglione, che si guardava per i
-Pisani. I Pisani avuto l’aiuto da’ Sanesi, con cui erano in lega e
-compagnia, con settecento cavalieri e seimila pedoni uscirono di Pisa
-per andare a soccorrere il castello, e a dì 12 d’agosto del detto anno,
-trovandosi ne’ campi presso a’ nemici, feciono loro schiere. Gli usciti
-di Lucca, veggendosi il vantaggio del terreno, si feciono ordinatamente
-loro incontro da quella parte donde li vidono venire. I Pisani si
-mostrarono di volerli assalire da quella parte, e cominciaronvi
-l’assalto per tenere i nemici a bada; e cominciata la battaglia, il
-loro capitano con quella gente ch’e’ s’avea eletta, mentre che d’ogni
-parte si mantenea l’assalto, girò il poggio, e montò sopra i nemici
-da quella parte onde venia la vittuaglia agli usciti che teneano
-l’assedio, e fece questo sì prestamente, che i Lucchesi, ch’aveano
-assai di buoni capitani, non vi poterono riparare, ma veduto ch’ebbono
-ch’e’ nemici aveano tolto loro la via del pane, non vidono potere
-mantenere l’assedio al castello; e però si strinsono insieme, e arsone
-il campo loro, e ricolsonsi in alcuna parte ivi presso senza potere
-essere danneggiati da’ nemici; e raccolti quivi, senza alcuno danno
-di là si partirono salvamente, e valicarono l’alpe, e capitarono nel
-Frignano, e di là catuno con accrescimento d’onta, senza altro danno,
-perduta la speranza di tornare in Lucca, catuno tornò a procacciare
-sue condotte per vivere al soldo, e ’l castello rimase libero
-all’ubbidienza de’ Pisani.
-
-
-CAP. LXX.
-
-_Come i Catalani non vollono la pace co’ Genovesi fatta per i
-Veneziani._
-
-Il re d’Araona essendo in Ispagna dopo l’acquisto fatto della Loiera,
-e dell’accordo preso col giudice d’Alborea, sentendo che i Veneziani
-aveano fatta pace co’ Genovesi senza il suo consentimento contro
-al giuramento della loro compagnia, fece di presente armare venti
-galee per sua sicurtà: e domandaronli i Genovesi la Loiera e altre
-terre di Sardigna, se con loro volea pace. E questa fu la cagione già
-scritta addietro, perchè il comune di Genova ribandì le quindici galee
-ch’aveano preso Tripoli, le quali feciono per tre mesi gravi danni
-nella riviera di Catalogna, spezialmente d’ardere e di profondare loro
-navili ne’ porti. Le venti galee del re avendo fortificate e fornite le
-terre di Sardigna, e reiterata la pace col giudice, si ritornarono in
-Catalogna senz’altra novità fare.
-
-
-CAP. LXXI.
-
-_Come messer Ruberto di Durazzo lasciò il Balzo._
-
-Di questo mese d’agosto, essendo stato messer Ruberto di Durazzo
-stretto da’ Provenzali nel Balzo per modo, che non avea potuto correre
-il paese nè fare prede com’avea cominciato, benchè ’l castello potesse
-tenere lungamente, parendogli stare con sua vergogna senza guadagno, di
-sua volontà s’uscì del castello, e rilasciollo a’ signori del Balzo.
-Alcuni dissono, che ’l papa gli diè alcuni danari co’ quali si mise
-in arme, e andò a servire il re di Francia nelle sue guerre ove morì a
-onore, come a suo tempo racconteremo.
-
-
-CAP. LXXII.
-
-_Come arse la bastita da Modena._
-
-Essendo lungamente mantenuta per la forza di messer Bernabò di Milano
-una grande e forte bastita sopra la città di Modena con molti cavalieri
-e masnadieri, i quali aveano per stretto modo assediata la città,
-e recata in grandi stremi, come piacque a Dio, quello che non avea
-potuto fare la gran compagnia nel caso della ribellione di Bologna,
-nè appresso tutta la forza della lega di Lombardia, fece subitamente
-un fuoco che vi s’apprese, ma piuttosto fu fama ch’un soldato corrotto
-dal signore di Bologna il vi mise. Questo fuoco infiammò per sì fatto
-modo la bastita, che per la gente dentro non si potè ammortare. I
-Modenesi stati a vedere lungamente, e sentendo il romore, presono
-l’arme, e corsono verso la bastita con smisurato romore. I cavalieri
-e’ masnadieri, che ve n’erano assai, impacciati dal fuoco, e impauriti
-del romore, si ritrassono fuori della bastita con animo di fermarsi di
-fuori, ma non ebbono potere di farlo, che di presente catuno cominciò
-a fuggire senza essere cacciati, e abbandonarono la bastita. I Modenesi
-la presono e spensono il fuoco: e appresso per tema che messer Bernabò
-non la rifacesse da capo riporre, ch’era il luogo molto forte, la
-feciono riparare e rafforzare, e misonvi gente a guardarla lungamente
-per sicurtà della terra.
-
-
-CAP. LXXIII.
-
-_Come fu fatto il castello di Sancasciano._
-
-Tornando alquanto nostra materia al fatto di Firenze, occorse in
-questi dì, che tornando a memoria a’ collegi del nostro comune i
-danni ricevuti a’ tempi delle persecuzioni fatte al nostro comune, e
-i pericoli che occorsi erano alla città ponendosi i nemici a oste in
-sul poggio del borgo di Sancasciano in Valdipesa, e questo conosciuto
-per esperienza dell’imperadore Arrigo di Luzimborgo, e appresso di
-Castruccio tiranno di Lucca, e novellamente della gran compagnia di
-fra Moriale, che catuno nimicando il nostro comune tennono campo
-in quel luogo con podere, per lo vantaggio del sito, di potere
-vantaggiare assai e non potere essere danneggiati: acciocchè questo
-non potesse più avvenire, deliberò il comune di farvi un forte e
-nobile castello di mura, e incontanente del mese d’agosto del detto
-anno 1355 si cominciarono a fare i fossi, e all’uscita di settembre
-del detto anno si cominciarono a fondare le mura, e tutte s’allogarono
-in somma a buoni maestri con discreti e avvisati provveditori, dando
-d’ogni braccio quadro soldi sette di piccioli, di lire tre soldi
-nove il fiorino dell’oro, dando il comune a’ maestri solo la calcina,
-acciocch’e’ maestri avessono cagione di fare buone le mura. Le mura
-furono larghe nel fondamento braccia quattro, e fondate braccia
-uno sotto il piano del fosso, e sopra terra grosse braccia due,
-ristrignendosi a modo di barbacane, e sopra terra alle braccia dodici,
-con corridoi intorno i beccatelli, e armate di torri intorno intorno,
-di lungi braccia cinquanta dall’una torre all’altra, alzate braccia
-dodici sopra le mura e con due porte mastre, catuna con due torri
-più alte che l’altre e bene ordinate alla guardia. E questo circuito
-comprese il poggio e il borgo, e senza arresto fu compiuto e perfetto
-il lavorio del mese di settembre seguente 1356. E veduto il conto del
-detto edificio, costò al Comune di Firenze trentacinque migliaia di
-fiorini d’oro.
-
-
-CAP. LXXIV.
-
-_Come in Firenze s’ordinò la tavola delle possessioni._
-
-Di questo mese d’agosto, alquanti cittadini di Firenze, parendo loro
-che dovesse essere util cosa al comune per levare la briga a’ creditori
-di ritrovare i beni del debitore, misono innanzi a’ signori che si
-facesse una tavola, nella quale si scrivessono tutti i beni immobili
-della città e del contado per popolo e per confini, e diedono il modo
-a catuno quartiere della città e del contado per se; e’ signori misono
-la petizione, e vinsesi, parendo a tutti che dovesse essere utile
-cosa. Agli uomini antichi, e savi e pratichi parea la cosa impossibile
-a potere avere perfezione, ma non fu loro creduto, se non quando per
-pratica si conobbe. Furono comandate le recate a ogni possessore sotto
-grave pena, e nondimeno ch’e’ reggitori de’ popoli anche le dovessono
-recare, catuno si provvidde di recare e di fare recare i beni in cui
-volle, e confinavali secondo che trovava l’usata vicinanza, e quando
-tali nelle loro recate mutavano i primi possessori, e così d’ogni parte
-discordavano i confini, e oltre a questa inconvenienza ve n’accorrevano
-molte altre maggiori. Per la qual cosa dopo la lunga scrittura, e la
-grande spesa cresciuta parecchi anni, in confusione senza frutto rimase
-abbandonata, e la sperienza ammaestrò il nostro comune alle sue spese.
-Avenne fatta memoria per esempio di coloro che verranno appresso,
-acciocch’e’ notino quello ch’è detto provato per opera; e ancora, che
-molti recavano una medesima cosa per mostrare che possedessero i beni:
-ma quello ch’è più forte, si è la mutazione de’ beni, che più occorre
-nella nostra città che altrove, perchè più abbonda di mercatanzie e di
-mestieri e d’arti, c’hanno a fare la mutazione de’ beni immobili.
-
-
-CAP. LXXV.
-
-_Come il re d’Inghilterra con grande apparecchio valicò a Calese._
-
-Avendo noi addietro narrata la morte del conestabile di Francia, della
-quale il re di Navarra fu operatore, seguita, che d’allora innanzi il
-re di Navarra era in odio del re Giovanni di Francia, e per questa
-cagione tenne trattato col re d’Inghilterra di riceverlo nelle sue
-terre. Il re d’Inghilterra era di questo molto contento, e però mise
-in concio sua gente e suo navilio per valicare con forte braccio; e
-nel soprastare che facea, per sollecita operazione del cardinale di
-Bologna e d’altri baroni e’ fu fatta la pace tra ’l re di Francia a
-quello di Navarra, e perdonatoli liberamente l’offesa della morte del
-conestabile, e per suo amore a tutti gli altri ch’erano a ciò stati.
-Il re d’Inghilterra avendo apparecchiata la sua gente d’arme e ’l
-suo navilio, del mese di settembre del detto anno valicò a Calese.
-Il re di Francia avea d’altra parte apparecchiata la sua baronia, e
-con quindicimila cavalieri e molti sergenti gli si fece incontro in
-Normandia. Il re d’Inghilterra sentendo la pace fatta tra’ due re, e
-vedendo la gran forza apparecchiata contro a sè dal re di Francia,
-non si attentò d’uscire a campo, nè di seguire sua impresa, e data
-la volta, con sua vergogna si ritornò con tutta la sua oste in
-Inghilterra. Il re di Francia sentendo i suoi nemici tornati nell’isola
-si ritornò a Parigi, e dimostrando grande amore al re di Navarra, gli
-accomandò il Delfino suo maggiore figliuolo, i quali d’allora innanzi
-si congiunsono di fraternale amore, e di grande compagnia.
-
-
-CAP. LXXVI.
-
-_Come il re Luigi s’accordò colla compagnia del conte di Lando._
-
-Mandaci il tempo materia di ritornare in Italia. Di questo mese di
-settembre del detto anno, essendo la compagnia ritornata presso a
-Napoli in Terra di Lavoro, e il re per arroto al danno per la gente
-condotta nel Regno alle sue spese, volendo atare i Napoletani che non
-perdessono le loro vendemmie, e non avendo il podere altro che con
-danari, rifece la nuova concordia, e promise loro centocinque migliaia
-di fiorini d’oro; le trentacinque migliaia contanti, e le settanta
-in due paghe a venire: e mentre che le penassono ad avere si doveano
-stare in Puglia. E per fornire la prima paga, il re Luigi gravò di
-fatto i Napoletani, e certi baroni, e forestieri, e mercatanti, e le
-loro mercatanzie, e pagò la compagnia, e andossene in Puglia alla roba
-d’ogni uomo, non senza grande rammarichio, contro alla corona degli
-uomini di quel paese.
-
-
-CAP. LXXVII.
-
-_Come il conte da Doadola fu sconfitto e morto dal capitano di Forlì._
-
-Avendo il legato rivolto tutto suo intendimento di volere abbattere
-la tirannia di Francesco degli Ordelaffi capitano di Forlì, e
-guerreggiando la città di Cesena, il conte Carlo da Doadola con due
-figliuoli del conticino da Ghiaggiuolo de’ Malatesti si mise in preda
-con cento cavalieri e con assai masnadieri, e corsono insino presso
-alle mura di Cesena; e avendo raccolta una buona preda d’uomini e di
-bestiame, si raccoglievano per tornare al campo. Avendo questo sentito
-madonna Cia moglie del capitano, a cui egli avea accomandata la guardia
-di quella città, non come femmina, ma come virtudioso cavaliere montò a
-cavallo coll’arme indosso gridando, e smovendo i cavalieri soldati che
-v’erano che la dovessono seguire contro a’ nemici ch’erano di fuori. I
-cavalieri inanimati, vedendo tanto ardire in una femmina, di presente
-la seguitarono, e abboccatosi co’ nemici per forza li sconfissono, e
-fuvvi fedito il conte Carlo per modo che poco appresso morì, e presi
-i due figliuoli del conticino da Ghiaggiuolo, e la maggior parte de’
-cavalieri e assai masnadieri furono prigioni; e riscossa la preda, con
-grande onore si tornarono in Cesena del mese d’agosto predetto.
-
-
-CAP. LXXVIII.
-
-_Come la gente del Biscione prese le mura di Bologna e furono cacciati._
-
-Poco addietro ci ricorda, che noi trattammo de’ duemila cavalieri e
-de’ molti masnadieri che messer Bernabò avea mandati sopra Bologna,
-e le mute che fatte aveano di luogo in luogo; all’ultimo, all’uscita
-del mese d’agosto del detto anno, erano tornati al borgo a Panicale
-forniti di molte scale, e bolcioni ferrati da cozzare mura della città,
-e di queste cose il signore di Bologna non si prendeva guardia. E però
-una notte ordinata tutta l’oste se ne venne alle mura di Bologna dalla
-parte del prato, dov’era più solitario, ed ebbono poste le scale alle
-mura, e di subito vi montarono suso più di dugento cavalieri armati,
-ch’erano smontati de’ cavalli, e assai masnadieri, e traboccate le
-guardie che vi trovarono dalle mura in terra, cominciarono a perquotere
-le mura co’ bolcioni tanto che già l’aveano forate e aperte le mura da
-piè, innanzi che ’l signore o i cittadini se n’avvedessono, e alquanti
-per gagliardia erano scesi dentro e entrati per la piccola rottura;
-e parendo agli assalitori avere la forza delle mura e l’entrata,
-avvisando che dentro fosse dato loro alcuno aiuto per lo loro trattato,
-cominciarono a gridare ad alte boci: Vivano i popolani, e muoia il
-signore. A questo romore il popolo si cominciò a sentire, e ogni uomo
-a prendere l’arme, e certe masnade di fanti a piè toscani con alquanti
-cittadini trassono in quella parte ov’erano i nemici, e quanti ne
-trovarono a basso entrati uccisono, e ingrossandosi alla difesa quelli
-della terra a cavallo e a piè, con molti balestrieri cacciarono a terra
-quelli ch’erano montati su per le mura; e avvedendosi i capitani della
-gente di messer Bernabò, che per lo fallo dell’affrettato romore la
-città era difesa, con vergogna sonarono a ricolta e tornarsi al borgo a
-Panicale, e indi cavalcate le contrade d’intorno, e fatto assai danno
-d’arsione presono loro cammino e andarono a Milano; e il signore di
-Bologna, vedendo il pericolo ch’avea corso, prese miglior guardia.
-
-
-CAP. LXXIX.
-
-_Novità state in Udine._
-
-Di questo medesimo mese d’agosto: o che il patriarca d’Aquilea
-facesse fare gravezze con oppressione al popolo della città d’Udine
-a lui soggetta, o che il vicario ch’era testa lucchese, chiamato
-messer Iacopo Morvello, per soperchia baldanza, ch’avea per moglie
-la figliuola del patriarca, facesse da sè cose sconce, a furore di
-popolo con l’aiuto d’alquanti terrieri del paese fu preso nel palazzo
-del comune, e tratto di là, fu racchiuso in prigione, e poco appresso
-senza processo dicollato, in grande vituperio e vergogna del patriarca,
-ch’era fratello dell’imperadore.
-
-
-CAP. LXXX.
-
-_Come abbondarono grilli in Cipri e in Barberia._
-
-In questo tempo abbondarono nell’isola di Cipri tanti grilli, che
-riempierono tutti i campi alti da terra un quarto di braccio, e
-consumarono ciò che verde trovarono sopra la terra, e guastarono i
-lavori per modo, che frutto non se ne potè avere in quest’anno. E ’l
-simigliante avvenne questo medesimo anno 1355 in molte parti della
-Barberia, e massimamente nel reame di Tunisi; ed essendo mancato il
-pane al minuto popolo di Barberia, metteano i grilli ne’ forni, e cotti
-alquanto incrosticati li mangiavano i Saracini, e con questa brutta
-vivanda mantennero la misera vita, ma grande mortalità seguitò di quel
-popolo.
-
-
-CAP. LXXXI.
-
-_Come messer Maffiolo Visconti fu morto da’ fratelli._
-
-Messer Maffiolo de’ Visconti di Milano essendo il maggiore de’ tre
-fratelli signori di Milano, perchè era dissoluto nella sua vita e senza
-alcuna virtù era riputato il minore nel reggimento della signoria:
-tuttavia messer Bernabò e messer Galeazzo gli rendeano assai onore.
-Avvenne, che per scellerato stemperamento della sua lussuria accolse
-nella camera sua venti tra donne maritate, e fanciulle, e altre
-femmine, colle quali, avendole fatte spogliare ignude, si sollazzava a
-suo diletto con loro bestialmente; e ricordandosi in quello sformato
-e sfrenato ardore di libidine d’una bella giovane moglie d’un buono
-cittadino di Milano, mandò per lei, e minacciandolo di farlo morire
-se immantinente non glie la menasse, o mandasse. Vedendosi questo
-buono uomo a così villano partito, come disperato piangendo se n’andò
-a messer Bernabò, e contogli il grave partito a che messer Maffiolo
-l’avea messo, dicendo, che innanzi volea morire ch’assentire a cotanta
-sua vergogna, pregandolo che ’l dovesse atare. Messer Bernabò disse:
-Io non ho a gastigare il mio maggiore fratello, per non mostrare a
-colui la sua intenzione, e di presente cavalcò all’ostiere di Messer
-Maffiolo, e trovò la scellerata danza del suo fratello; e senza dire
-alcuna cosa diede la volta, e accozzossi con messer Galeasso, e disse:
-Noi corriamo gran pericolo di nostro stato, e le sconce e dissolute
-cose di messer Maffiolo ci faranno cacciare della signoria, se per noi
-non si ripara a cotanto pericolo a che ci conduce. E manifestatoli
-ciò che facea delle donne de’ buoni uomini di Milano, e il richiamo
-che n’avea avuto, di presente s’accordarono alla morte sua, che altro
-gastigamento non avea luogo. E però essendo andato messer Maffiolo
-a Moncia a fare una caccia, la sera di sant’Agnolo di settembre, li
-feciono dare con quaglie veleno; e la mattina vegnente essendo nella
-caccia si cominciò a sentir male nel ventre, e di presente se ne tornò
-a Milano; e vicitato la sera da’ fratelli, la mattina si trovò morto in
-sù ’l letto. Alcuni dissono, che in quella visitazione e’ fu soffocato
-da loro, e altri tennono che morisse delle quaglie; e l’una cagione e
-l’altra potè essere, per non farlo storiare. Il vero fu che morì come
-un cane, senza confessione, di violenta morte, e forse degnamente per
-la sua dissoluta vita.
-
-
-CAP. LXXXII.
-
-_Come messer Bernabò ebbe la Mirandola._
-
-Dappoichè la bastita da Modena per l’arsione fu ripresa da’ Modenesi,
-messer Bernabò tenne nelle castella ch’avea acquistate nel Modenese
-gente d’arme per scorrere il paese, e fare continova guerra a Modena:
-e oltre a ciò mise a campo tra Reggio e Modena millecinquecento
-cavalieri e assai masnadieri, i quali assediavano il castello della
-Mirandola, il quale era di certi gentili uomini loro patrimonio: e non
-essendo potenti a poterlo lungamente difendere da’ signori di Milano,
-s’accordarono con loro, e diedono la guardia del castello a messer
-Bernabò, ed egli li ricevette in amistà, e con provvisione li mise
-nelle sue guerre. E in questi dì, vedendosi messer Giovanni da Oleggio
-in pericolo della guardia di Bologna, cercò accordo con messer Bernabò;
-e messer Bernabò per poterlo rimettere in confidenza, per meglio potere
-venire alla sua intenzione, s’accordò con lui; e messer Giovanni
-gli promise di guardare Bologna per lui, e dopo la sua morte gliela
-lascerebbe, e riceverebbe nella città continuamente un suo potestà. E
-fece questo messer Giovanni da Oleggio senza volontà o consiglio de’
-cittadini di Bologna, sperando rimanere in pace nella signoria, nella
-quale rimase in continovi aguati, come leggendo per innanzi si potrà
-trovare: e ricevette in prima per potestà di Bologna il signore della
-Mirandola sopraddetto.
-
-
-CAP. LXXXIII.
-
-_Come i Perugini presono a difendere Montepulciano._
-
-I Sanesi vedendosi avere perduta in tutto la signoria ch’avere soleano
-in Montepulciano, trattavano della guerra; ed essendo cercato se
-co’ Sanesi si potea trovare modo d’accordo senza fargliene signori,
-non trovandosi, i signori che dentro v’erano ritornati, ricordandosi
-che ’l comune di Siena non avea attenuti i patti promessi loro altra
-volta sotto la sicurtà e fede del comune di Firenze e di Perugia, a
-cui i Sanesi l’aveano rotta con inganno assai sconcio e manifesto, al
-quale i detti comuni senza l’arme non aveano potuto mettere rimedio, e
-l’arme non aveano voluto pigliare, per questa cagione non si vollono
-più fidare alla corrotta fede de’ Sanesi; e vedendosi impotenti da
-difendersi da’ Sanesi, s’accordarono, e misono di volontà del popolo
-la guardia di Montepulciano con certi patti nelle mani de’ Perugini;
-e i Perugini vaghi di crescere signoria, e ricordandosi dell’ingiuria
-ricevuta in Siena per questi fatti di Montepulciano, accettarono la
-guardia, e incontanente la fornirono di loro soldati a cavallo e a
-piè per difenderla da’ Sanesi. Questa cosa conturbò molto il comune
-di Siena, e perciò facendosi la lega che seguitò appresso de’ Toscani,
-i Sanesi non vi vollono essere, e altre gravi cose ne seguirono, come
-innanzi si potrà trovare al debito tempo.
-
-
-CAP. LXXXIV.
-
-_Come il re d’Inghilterra tornò in Francia._
-
-Quello che seguita è cosa bene strana: essendo il re d’Inghilterra,
-come poco innanzi avemo contato, ritornato di state nell’isola
-d’Inghilterra con tutto suo oste e col navilio, e dovendosi secondo
-usanza della guerra, il navilio e la gente d’arme riposare per
-la grazia del verno, il detto re di maggiore animo e ardire che
-altro signore al suo tempo, del mese d’ottobre del detto anno, co’
-figliuoli, e colla moglie, e co’ baroni, e con grande moltitudine
-di suoi cavalieri e arcieri, di subito e improvviso a’ Franceschi
-valicò a Calese: e di presente fece tre osti, l’una accomandò al conte
-di Lancastro suo cugino, e questa mandò in Brettagna, e la seconda
-accomandò al suo maggiore figliuolo duca di Guales, e questa mandò in
-Guascogna, e l’altra ritenne a sè, per venire verso Parigi, e a catuna
-comandò che dimostrasse sua virtù, mettendosi innanzi fra le terre del
-re di Francia ardendo e predando, e facendo dimostranza di valorosi
-baroni contro a’ loro nemici.
-
-
-CAP. LXXXV.
-
-_Come il re d’Inghilterra cavalcò il reame fino ad Amiens._
-
-Mandato ch’ebbe il re d’Inghilterra i detti baroni, catuno con grande
-compagnia di cavalieri e d’arcieri nel reame di Francia, egli in
-persona si mosse da Calese colla sua oste, e avviossi verso Parigi
-dov’era il re di Francia, e guastando le ville del paese con fuoco,
-facendo grandi prede se ne venne ad Amiens, e ivi s’arrestò alquanti
-dì. Ma vedendo che ’l soprastare gli era pericoloso per la gran
-cavalleria che ’l re di Francia apparecchiava contro a lui, e perchè
-i passi del suo ritorno erano da potere essere occupati, sopravvenendo
-la gente del re di Francia, a grave suo pericolo, come savio guerriere
-raccolse tutta la sua gente e tutta la preda ch’avea fatta, e senza
-contasto sano e salvo colla sua oste si tornò a Calese in dieci
-dì dalla sua mossa. Il conte di Lancastro entrò colla sua oste in
-Brettagna e cavalcò il paese, facendo danno assai e grandi prede, e
-stettevi più tempo: poi si raccolse colla sua oste, e con gran preda
-tornossi a salvamento.
-
-
-CAP. LXXXVI.
-
-_Della materia degl’Inghilesi medesima._
-
-Il valente prenze di Guales colla sua compagnia di tremila cavalieri
-e quattromila arcieri mosso da Calese, a gran giornate si mise in
-Tolosana, e trovando i paesi sprovveduti del suo subito avvenimento,
-fece in Tolosana molte grandi prede, e con fuoco guastò molto paese;
-e senza arrestarsi in Tolosana cavalcò a Carcasciona, e vinse e prese
-l’antica città di Carcasciona, fuori che la rocca della villa, ch’era
-un forte castello; e recato in preda ciò che potè fare portare, arse
-la maggior parte della villa, e cavalcò più innanzi in Bideurese, e
-arse e fece preda grande senza contasto, e della sua gente corse insino
-presso a Mompelieri a poche leghe, e dimostrava di voler venire insino
-a sant’Andrea dirimpetto a Avignone, il Rodano in mezzo, e forte se
-ne temette nella corte di Roma; ma il papa gli mandò a dire che non
-venisse più innanzi, e incontanente per ubbidire al santo padre si
-tornò addietro, essendo stato nuovo flagello di quel paese, che memoria
-non v’avea per i viventi a quel tempo ch’altra guerra gli avesse
-molestati. Il conestabile di Francia, ch’era allora messer Giacche
-figliuolo del duca di Borbona, giovane cavaliere e di gran cuore,
-avendo accolta assai gente d’arme, in compagnia del conte d’Armignacca,
-e del conte di Foci e di più altri baroni del paese, sentendo tornare
-per quel paese il duca di Guales con tutta la preda, ch’era più di
-mille carrette cariche dell’avere de’ paesani, e più di cinquemila
-prigioni, si volle abboccare con gl’Inghilesi per combattere con loro
-per riscuotere la preda. Il conte d’Armignacca e gli altri baroni
-non vollono e non acconsentirono al conestabile, parendo loro avere
-disavvantaggio per la buona compagnia de’ franchi guerrieri ch’erano
-con il duca di Guales. Il giovane e franco barone ne prese sdegno, e
-cavalcò a Parigi e rifiutò l’uficio, e allora fu fatto conestabile
-il duca d’Atene conte di Brenna. Il valente duca di Guales intese
-a conducere la sua preda, ch’era oltre a modo grande, e sentendo i
-nemici appresso, come fu alla selva di Crugnì per maestria di guerra vi
-nascose una parte di sua gente in aguato, e i Franceschi vi mandarono
-ad imboscare, non sapendo degl’Inghilesi che v’erano, messer Astorgio
-di Duraforte con mille cavalieri, i quali entrando nella selva furono
-di subito assaliti dagl’Inghilesi che prima v’erano riposti, che
-poco sostennono, che furono sconfitti e sbarattati con loro danno,
-e d’allora innanzi non trovarono gl’Inghilesi contasto, e ricchi di
-preda, sani e salvi si tornarono a Bordello in Guascogna, del mese di
-novembre del detto anno.
-
-
-CAP. LXXXVII.
-
-_Come morì il re Lodovico di Cicilia, e l’isola rimase in male stato._
-
-Di questo mese di novembre anno detto, Lodovico di Cicilia primogenito
-di don Pietro si morì molto giovane, e poco appresso di lui si morì il
-seguente suo fratello detto duca Giovanni, e de’ tre fratelli rimase
-Federigo il minore, il quale la setta de’ Catalani recarono appo
-loro, per potere sotto il titolo d’avere a governare il giovane, a
-cui s’appartenea il regno, aggiugnersi maggiore forza. Ma per questo
-l’altra setta degl’Italiani si feciono più strani contro al duca
-Federigo, e diventarono più animosi contro alla setta de’ Catalani.
-E per la detta maladizione di divisione e tempesta tanto intestina
-battaglia era nell’isola, che gli abitanti di catuna terra erano
-in fatica d’avere del pane per vivere, e consumavansi d’inopia e di
-carestia; e di questo seguitò poi grande novità nell’isola, come al suo
-tempo racconteremo.
-
-
-CAP. LXXXVIII.
-
-_Come in Napoli fu romore._
-
-A’ Napoletani parendo essere gravati de’ danari pagati per la compagnia
-e d’alcune altre gravezze, del mese di novembre del detto anno, per
-mostrare la potenza e la franchigia di quella città, tutti di concordia
-presono l’arme, e feciono armare tutti i forestieri mercatanti e
-artefici ch’erano nella città, e levarono il romore, gridando: Viva la
-reina, e muoia il suo consiglio. E di questo tumulto seguitò solamente,
-che la misura del sale fu alcuna cosa consentita loro migliore mercato:
-convenevole prezzo di cotanto movimento, non volendosi francare
-dell’antica consuetudine della loro natura, che come sono pieni di
-furore per ambizioso vento, così poco mantengono l’ira, che li riduce a
-pace.
-
-
-
-
-LIBRO SESTO
-
-
-CAPITOLO PRIMO.
-
-_Il Prologo._
-
-Perocchè ’l sesto libro del nostro trattato nuova e non pensata materia
-di guerra nel suo principio con seguito di gran cose in breve tempo
-ci apparecchia, ci fa pensare come e quanto lo stato della tirannesca
-signoria è pieno d’aguati e di calamitosa vita. Le loro scellerate
-operazioni sempre combattono e spesso abbattono le virtù de’ buoni: i
-loro diletti sono dissimiglianti a’ buoni costumi: per loro s’abbattono
-le ricchezze de’ sudditi; nimicano gli uomini che crescono nella loro
-giurisdizione in magnanimità e in senno; assottigliano con incarichi la
-sustanza de’ popoli: la loro sfrenata libidine non prende saziamento
-dal fatto, ma quanto il piacere della vista richiede, tanta in fatto
-a’ sudditi contro all’onesto debito conviene sostenere e patire.
-Ma perocchè in queste e molte altre maligne operazioni le violenti
-tirannie si manifestano, non richieggiono da noi nuovo raccontamento.
-Ma traendone una parte assai strana nell’apparenza e assai dimestica
-nel fatto, qual’è più maravigliosa vista, guardando nella tirannesca
-gloria, a vedere antichi e nobili principi naturali ubbidienti a’
-tiranneschi servigi, e uomini d’alti lignaggi e d’antica nobiltà usare
-le mense di coloro, e prendere le loro provvisioni? Ma se guardare
-vogliamo l’uscimento delle cose, quella gloria spesso si converte
-in calamitosa miseria. Chi la può disegnare maggiore? che i tiranni
-medesimi non sanno nè possono in alcuno riposare la loro fede, ed
-eglino al continovo aspettano il cadimento del tiranno, e lievemente
-si dispongono e accordano alla loro distruzione, non ostante le
-sopraddette cose. E questo non si trova avvenire nelle reali e naturali
-signorie, perocch’e’ loro fatti ne’ sudditi, e nelle loro virtù e cose
-son contrarie a’ tiranni. Dunque come le tirannie si criano, com’elle
-esaltando si fortificano e crescono, così in esse si nutrica e nasconde
-la materia della loro confusione e ruina. Certo intra l’altre questa
-è grandissima miseria de’ tiranni: e perocchè al presente ci occorre
-alcuna cosa di ciò manifestare in fatto non di lieve movimento, come
-seguirà appresso nostro volume, basti narrando quella avere fatto certa
-prova al nostro proponimento.
-
-
-CAP. II.
-
-_Come nacque briga da’ Visconti e que’ di Pavia e di Monferrato._
-
-Certa cosa è, che il marchese di Monferrato per vicinanza e per larghe
-provvisioni de’ tiranni di Milano, e i signori da Beccheria di Pavia
-parenti stretti e dimestichi della loro mensa, per lunghi tempi uniti
-colla casa de’ Visconti signori di Milano, e nelle loro guerre stati i
-principali aiutatori, e in questo tempo valicando Carlo d’Osteric re
-de’ Romani in Lombardia, come già è detto, il marchese, non ostante
-ch’e’ fosse soggetto all’imperio, venne a Milano per dare aiuto e
-favore a’ signori con seicento cavalieri di buona gente d’arme, e
-que’ da Beccheria anche vi mandarono loro sforzo. Avvenne, che un
-dì essendo il marchese in Piacenza in compagnia di messer Maffiolo
-Visconti, ch’allora vivea, un suo scudiere andò in cucina al cuoco
-di messer Maffiolo per un tagliere di vivanda: il cuoco villanamente
-gliel contradicea: lo scudiere sdegnoso diede una gotata al cuoco, e
-portonne la vivanda; il cuoco di presente se n’andò a dolere a messer
-Maffiolo suo signore. Il tiranno mosso a furore non considerò suo
-onore, nè quello di tant’uomo quant’era il marchese, e senza dirli
-alcuna cosa, avendolo in sua compagnia, fece prendere lo scudiere,
-e in quell’istante tagliarli la mano; della qual cosa il marchese
-fu molto turbato, ma ritenne con virtù nel petto il grave sdegno.
-Questo li rinnovò nella mente certo oltraggio che la famiglia di
-messer Galeazzo Visconti per maggioranza avea fatto alla sua gente
-che vicinavano con sue terre, la quale cosa con senno avea trapassata
-insino allora. E ancora di nuovo sentiva, come al continovo per nuovi
-dispetti la gente di messer Galeazzo oltraggiava i detti sudditi che
-vicinavano con loro, e il signore il sentiva, e vedea l’onore che ’l
-marchese facea alla loro signoria, e per arrogante maggioranza mostrava
-d’esserne contento; onde turbato il marchese, cambiò l’animo, ed
-essendo con quelli da Beccheria una cosa, s’intesono insieme, essendo
-l’imperadore futuro a Mantova, e ancora, con lui s’intesono in segreto.
-E trattando l’imperadore co’ signori di Milano di volere prendere la
-corona a Moncia, sentirono i Visconti, che se non s’accordavano con
-lui, che quelli da Beccheria erano acconci di riceverlo in Pavia;
-onde i signori concepettono contro a loro; per la qual cosa poterono
-comprendere, che partito l’imperadore, a loro converrebbe mutare
-stato. E tornando l’imperadore coronato da Moncia in Milano, i signori
-feciono molti cavalieri, e in questo stante il marchese cavalcò subito
-a Pavia, e menò seco due di quelli da Beccheria e feceli fare cavalieri
-all’imperadore, e questo accrebbe l’izza e la malavoglia a’ tiranni.
-Poi partito l’imperadore il marchese se n’andò via, e quelli da
-Beccheria rimasono in gran sospetto de’ signori di Milano, e stavanne
-in più guardia che non soleano. E dalle sopraddette cose seguitarono
-le ribellioni e le nuove guerre che appresso seguirono a’ signori di
-Milano, come seguendo nostro trattato per li tempi racconteremo.
-
-
-CAP. III.
-
-_Come si rubellarono terre di Piemonte._
-
-Il marchese di Monferrato avendo ordinato co’ signori di Pavia che
-si fortificassono di gente e di buona guardia, acciocchè i tiranni
-vicini non li potessono improvviso sorprendere, tornato nelle sue
-terre, procacciò aiuto di gente d’arme da certi baroni tedeschi di sua
-amistà, e con suoi trattati (ch’era molto amato da quelli del Piemonte
-e dalla sua gente) trovandosi forte di cavalieri e favoreggiato
-dall’imperadore, del mese di dicembre, gli anni di Cristo 1355, fece
-rubellare nel Piemonte a messer Galeazzo de’ Visconti di Milano Chieri
-e Carasco; e poco appresso del mese di gennaio fece rubellare al detto
-tiranno la ricca terra d’Asti, e appresso Albi, Valenza, e Tortona, e
-più altre terre del Piemonte, e tutti i popoli di quelle d’un animo,
-con ordine di mantenere la difesa, feciono loro capitano il detto
-marchese. Messer Galeazzo vi mandò incontanente molta gente d’arme
-a cavallo e a piè credendo ricoverare delle terre; il marchese era
-provveduto di buona gente, e coll’aiuto de’ Piemontesi si fece loro
-incontro alle frontiere, e in alcuni abboccamenti fece vergogna alla
-gente di messer Galeazzo, e difese bene i Piemontesi. Allora quelli da
-Beccheria, ch’erano confederati nella amistà e compagnia del marchese,
-non si poterono più coprire, e però in aperto si fortificarono di
-gente e d’altre cose, aspettando l’impeto dell’ira e della forza de’
-tiranni contro a loro, non dimostrando però di volere essere i movitori
-della guerra, ma apparecchiati alla difesa. Lasceremo alquanto questa
-materia per raccontare al suo tempo con più chiarezza le cose che ne
-seguitarono, e diremo degli altri fatti che prima occorrono alla nostra
-materia.
-
-
-CAP. IV.
-
-_Come i Fiorentini feciono lega contro la compagnia._
-
-E’ m’incresce di scrivere quello ch’ora seguita, perocchè ’l nostro
-comune delle leghe e delle compagnie c’ha usato di fare co’ comuni
-di Toscana, al bisogno sempre s’è trovato ingannato, nondimeno il
-fatto narreremo. Sentendosi già per tutta Italia che ’l conte di Lando
-colla compagnia ch’aveva nel Regno era per venire al primo tempo nella
-Marca, e valicare in Toscana, i Fiorentini volendo riparare ch’ella
-non facesse ricomperare i comuni di Toscana, mandarono a Perugia, e a
-Pisa, e a Siena, e all’altre minori comuni di Toscana, richieggendo i
-detti comuni, che per beneficio di tutti parea loro di fare una lega
-e una taglia di duemila cavalieri il meno, i quali fossono al tempo
-apparecchiati interi e cavalcanti al servigio della detta lega contro
-alla compagnia, o a chi venisse a fare guerra sopra alcuna città di
-quelle della lega. E a ciò feciono muovere i detti comuni per loro
-ambasciadori, e durò il trattato lungamente, sturbandolo i Sanesi per
-l’izza ch’aveano presa co’ Perugini per l’impresa di Montepulciano; in
-fine, essendo la cosa cominciata al principio di gennaio, del mese di
-febbraio del detto anno ebbe compimento in questo modo tra’ Fiorentini,
-e’ Pisani, e’ Perugini: che la lega dovesse durare tre anni, e la
-taglia fosse di milleottocento cavalieri, ottocento de’ Fiorentini,
-cinquecentocinquanta de’ Pisani, e quattrocentocinquanta de’ Perugini;
-con patto ch’e’ Sanesi vi potessono entrare colla loro parte della
-taglia de’ cavalieri, e che del mese d’aprile fossono pagati e
-apparecchiati, e che l’uno comune dovesse fare rassegnare i cavalieri
-dell’altro. La lega fu ferma e fatta, l’effetto che ne seguitò fa
-manifesto quello che poco innanzi n’avemo detto.
-
-
-CAP. V.
-
-_Come gli Scotti presono Vervic._
-
-Essendo tornato il re d’Inghilterra a Calese dalla cavalcata ch’avea
-fatta ad Amiens, come poco innanzi abbiamo detto, i baroni di
-Scozia sentendo il re, e i figliuoli, e’ baroni, e tutta la forza
-del re d’Inghilterra valicati nel reame di Francia, e cominciatovi
-grande guerra, non ostante che il loro re vi fosse in prigione,
-prestamente accolsono molta gente d’arme a cavallo e a piè, e
-improvviso agl’Inghilesi se ne vennono a Vervic, grande e forte terra
-degl’Inghilesi, situata agli stremi de’ confini di Scozia; e giugnendo
-alla città sprovveduta, per forza v’entrarono dentro e presono la
-terra, ma il castello del re che v’era forte e bene guernito non
-poterono avere; ma com’ebbono presa la terra, la lasciarono guernita
-di loro gente, e per savia provvisione con tutta loro oste si misono
-innanzi, e presono una montagna onde il soccorso degl’Inghilesi
-potea venire alla terra, e non d’altra parte, e ivi s’accamparono per
-contradire agl’Inghilesi il passo. Era in que’ dì il conte di Lancastro
-già tornato in Inghilterra, il quale di presente cavalcò nel paese
-colla sua gente, ma non ebbe podere di levare gli Scotti dal passo.
-Il re Adoardo sentendo la novella degli Scotti, incontanente valicò
-nell’isola con quella gente che subitamente potè muovere, e senza
-arresto se n’andò contro a’ nemici che teneano il passo della montagna,
-e aggiuntosi il conte di Lancastro colla sua gente, non ostante che
-grande fosse il loro disavvantaggio ad avere a combattere i nemici
-all’erta, colla sua persona si mise innanzi, e diede tanto conforto
-a’ suoi, ricordando loro le vittorie avute sopra gli Scotti e la loro
-viltà, che con tanto ardore d’animo, e con tanto duro assalto d’ogni
-parte li percossono, che per forza li ributtarono della montagna;
-e senza avere cuore di rifare testa alla terra ch’aveano presa
-l’abbandonarono in tanta fretta, che la preda ch’aveano accolta non
-ne portarono, e assai de’ loro Scotti vi lasciarono morti e presi per
-ricordanza. E questo fu del mese di gennaio del detto anno. Allora fece
-il re racconciare la terra, e fornire di miglior guardia.
-
-
-CAP. VI.
-
-_D’un trattato fatto per racquistare Bologna._
-
-Messer Bernabò de’ Visconti di Milano avendo la mente attenta a trovar
-modo di racquistare Bologna, e di vendicarsi di messer Giovanni
-da Oleggio; quanto che per l’accordo fatto si dimostrasse amico,
-diede boce e dimostrò manifesto segno di volere guerreggiare in
-sul Ferrarese; e mandò messer Arrigo figliuolo di Castruccio che fu
-tiranno di Lucca in Romagna, a conducere al suo soldo mille barbute
-della compagnia ch’allora era nel paese, il quale avea caparrati i
-conestabili, e intesosi secondo il segreto a lui commesso da messer
-Bernabò col capitano di Forlì, e col signore di Ravenna, e con alquanti
-degli Ubaldini in cui si confidava, e ancora s’intendea col podestà di
-Bologna, ch’avea nome messer Ramondo de’ Ramondi di Parma, ed erano in
-questo trattato certi caporali di quelli da Pagano, e altri Bolognesi
-confidenti di messer Bernabò. Il modo era, che la forza del tiranno
-dovea venire da Milano sul Ferrarese secondo la palese boce, e già era
-messer Bernabò venuto in persona a Parma con duemila cavalieri, e come
-messer Bernabò fosse in sul Ferrarese, messer Arrigo di Castruccio
-co’ cavalieri condotti di Romagna, e coll’aiuto de’ Romagnuoli e degli
-Ubaldini, essendo provveduti e apparecchiati, doveano il dì nominato,
-essendo messer Bernabò in sul Ferrarese, valicare sopra Bologna da
-quella parte, e messer Arrigo colla sua compagnia venire dall’altra,
-e allora il podestà, e que’ da Pagano con gli altri Bolognesi
-confidenti doveano levare il romore nella città, e con loro quattordici
-conestabili di cavalieri che tenevano a questo trattato; e costoro,
-ch’erano soldati di messer Giovanni, nel romore doveano trarre a lui, e
-ucciderlo se potessono, e se non, si doveano strignere dall’una parte
-della città, e aprire e spezzare la porta, e mettervi dentro quella
-gente di fuori che più avessono di presso. Questo trattato era segreto
-per li palesi verisimili della vicina impresa della guerra di Ferrara,
-alla quale il marchese prendea ogni riparo che potea; ma come fu
-piacere di Dio, per lo meno male, la cosa fu rivelata per strano e non
-pensato modo come appresso diviseremo.
-
-
-CAP. VII.
-
-_Come si scoperse il trattato di Bologna, e fevvisi giustizia._
-
-In Bologna era tornato di Romagna messer Arrigo di Castruccio,
-avendo fornito e messo in punto ciò che gli era stato commesso, e
-ivi era venuto per intendersi con gli altri traditori. Avvenne, che,
-all’entrata del mese di Febbraio del detto anno, Francesco de’ Roaldi
-di Bologna, grande cittadino e molto confidente di messer Giovanni da
-Oleggio, tanto ch’al continovo ricevea provvisione da lui, essendo in
-questo trattato, confidandosi nel suo senno, volendosi sgravare della
-sua provvisione, se n’andò a messer Giovanni, e per me’ coprire quello
-che sentiva in sè, disse: Signor mio, pigliate ne’ vostri fatti buona
-guardia, perocch’io sento che molti uomini, e oltre al modo usato, sono
-venuti della montagna nella città in questi giorni; e a dirli questo
-il movea la tenerezza ch’avea nell’animo del suo stato e onore, per
-lo beneficio ch’avea ricevuto e ricevea da lui. Il tiranno il commendò
-di questo fatto, e ringrazionnelo assai, e dopo questo confortò della
-buona guardia. Messer Francesco entrando in altra materia disse a
-messer Giovanni: Signor mio, io vi prego che vi piaccia di darmi
-licenza, ch’io possa prendere altrove mio vantaggio, perocchè della
-provvisione ch’io ho da voi non posso comportare la vita mia a onore.
-Il tiranno si maravigliò di questo, perocchè gli avea assegnate grandi
-provvisioni e altri gaggi, e ricordogli le dette cose, e ancora li
-promettea al tempo maggiori, e nondimeno messer Francesco pure gli
-domandava licenza. Il tiranno gli disse, che si ripensasse, e poi
-tornasse a lui; e a tanto si partì messer Francesco. Messer Giovanni
-mandò incontanente alle porti, e fece sapere chi a que’ giorni vi fosse
-entrato oltre all’usato modo, e trovò che non v’erano entrati contadini
-nè altra gente oltre al modo usato, e così se n’erano usciti. E per
-questo cominciò a maravigliarsi più del movimento di messer Francesco
-de’ Roaldi, e sospicciando mandò per lui; e quando l’ebbe seco, il
-tiranno finse di sapere che sentisse contro a lui alcuno trattato. Il
-savio cavaliere veggendosi preso dall’astuzia, pensò che senza grave
-tormento non potea passare mettendosi al niego, e però di cheto gli
-confessò e manifestò tutto il trattato. Il tiranno senza arresto mandò
-per lo potestà, e per messer Arrigo di Castruccio ch’era in Bologna,
-e per que’ caporali da Pagano, e avuti costoro disse, e a certi degli
-Ubaldini ch’era no in quel servigio, ch’e’ perdonava loro per vicinanza
-e per molti servigi ch’avea ricevuti da quella casa, ma comandò loro
-che incontanente si dovessono partire, e così fu fatto. E abboccando
-messer Giovanni i traditori insieme, fu da loro al tutto chiaro del
-trattato sopraddetto: e a dì 12 di febbraio, non trovando il tiranno
-chi volesse fare la condannagione nè l’esecuzione, fece podestà messer
-Tassino de’ Donati rubello di Firenze; costui li condannò; e Sinibaldo
-di messer Amerigo Donati di Firenze, allora in bando e al soldo del
-tiranno, con dugento fanti tutti armati a corazze fece tagliare la
-testa a messer Arrigo, figliuolo che fu di Castruccio signore di Lucca
-e di Pisa, e a messer Bernardo e a Galeotto da Pagano, e a messer
-Ramondo Ramondi da Parma podestà di Bologna, e a Francesco de’ Roaldi
-di Bologna; e appresso, a dì 20 del detto mese, ne furono decapitati
-diciassette tra conestabili de’ soldati e famigli de’ traditori.
-E fatto questo, messer Giovanni rimase in maggior paura, e in gran
-sospetto di messer Bernabò di Milano.
-
-
-CAP. VIII.
-
-_Come il signore di Bologna fece lega._
-
-Era insino a qui messer Giovanni da Oleggio, poichè avea fatta la pace
-e la concordia con messer Bernabò, stato in fede ne’ suoi servigi, e
-intesosi con lui e ricevuto in Bologna le sue podestà, e attendea dopo
-la sua morte lasciarli Bologna, come gli avea promesso, ma vedendo
-questo mortale trattato contro a sè, non pensò potersi mai più fidare
-de’ signori di Milano, e conobbe, che a volersi meglio potere guardare
-gli convenia essere loro mortale nemico, e però incontanente si rifornì
-di nuove masnade di cavalieri e di masnadieri. Ed essendo in guerra il
-signore di Mantova e il marchese di Ferrara col Biscione, ch’allora
-era così chiamata la tirannia di Milano per la loro arme, si collegò
-con loro, e promise d’essere sempre contro alla casa de’ Visconti
-di Milano, e mandò la sua gente a fare loro guerra con gli altri
-collegati.
-
-
-CAP. IX.
-
-_Come l’oste del Biscione ch’era a Reggio si levò in isconfitta._
-
-A Reggio era stata lungamente l’oste de’ signori di Milano in una
-forte bastita presso alla terra, nella quale avea ottocento cavalieri
-e grande popolo, e in quel tempo vi s’aspettava il fornimento della
-vittuaglia da Parma con grande scorta. Il marchese di Ferrara, e
-quegli di Mantova, e ’l signore di Bologna sentendo quell’apparecchio,
-accolsono loro gente per impedire la scorta a loro podere; e avendo
-a Modena seicento barbute e cinquecento masnadieri, il signore di
-Bologna n’aggiunse dugento cavalieri e cinquanta masnadieri; e avendo
-lingua come la vittuaglia in dugento carra colla scorta dovea l’altro
-dì venire alla bastita, cavalcarono la notte per modo, che essendo
-giunta l’altra parte alla bastita, e messavi la roba, tornandosene
-senza sospetto, costoro li assalirono sprovveduti, i quali non feciono
-retta, e quasi tutti furono presi, i buoi e le carra in preda. E
-avuta subitamente questa vittoria, con grandi grida e con maggiore
-baldanza percossono alla bastita dalla parte di fuori; e quelli di
-Reggio ch’aveano veduta la vittoria della loro gente francamente li
-assalirono dalla parte d’entro, e combattendo la bastita d’ogni parte,
-in fine per forza v’entrarono dentro, ed ebbono a prigioni i cavalieri
-e’ masnadieri che quella guardavano, e pochi ne poterono campare; e
-messa la vittuaglia e l’arme, e tutti i prigioni guadagnati in Reggio,
-arsono in tutto la bastita: e riposati alcuno dì la gente in Reggio,
-cavalcarono infino a Parma, e valicarono quella facendo grandi prede
-e danno a’ paesani: e del mese di febbraio del detto anno, con grande
-onore e ricca preda, in vergogna de’ tiranni di Milano, si ritornò
-catuna gente a’ suoi signori senza trovare alcuno contasto.
-
-
-CAP. X.
-
-_Come i Chiaravallesi di Todi tenevano trattato col prefetto._
-
-Del mese di febbraio del detto anno, i Chiaravallesi di Todi per
-provvisione del comune tornarono a’ loro beni, e potendo colle loro
-persone usare la cittadinanza, cercavano, come mal contenti, trattato
-col prefetto di Roma di metterlo in Todi per farlone signore; e non
-potendo menare eglino questo perchè erano sospetti, il feciono menare
-a un messer Andrea giudice di Todi loro confidente. Il trattato
-si scoperse, e al giudice fu tagliata la testa. I Chiaravallesi
-avvedendosi che il comune di Todi per questo prendea di loro maggiore
-sospetto, temendo di non essere corsi un dì a furore, da capo uscendo
-della città, presono il castello di Toscina l’aprile seguente, e
-rubellaronlo al comune.
-
-
-CAP. XI.
-
-_Come morì messer Pietro Sacconi de’ Tarlati._
-
-Essendo messer Pietro Sacconi de’ Tarlati d’Arezzo in età decrepita
-intorno al centinaio degli anni, e malato a morte, in questi dì si
-disse pubblico, ch’e’ pensò di non volere morire che non ordinasse
-prima alcuno nobile fatto del suo antico mestiere: e ordinò con Marco
-suo figliuolo, dicendo: Ora, che si crede che tu sia imbrigato intorno
-alla mia malattia, e che altri non prenderà guardia di te, procaccia
-di furare Gressa al vescovo d’Arezzo e agli Ubertini. Il figliuolo
-ubbidì al consiglio del padre, e molto segretamente accolse gente, e di
-furto entrò nel castello di Gressa, ma essendovi gli Ubertini forti,
-per forza ne lo pinsono fuori; e forse per dolore che messer Pietro
-n’ebbe s’avacciò la sua dispettosa e non contenta morte, lasciando
-nuova guerra tra’ suoi Tarlati e gli Ubertini per questo furto. Pro’ e
-valente uomo fu e avvisato, in fatti di guerra, ma più in operazioni di
-trattati, e di furti e di subite cavalcate, che in campo o in aperta
-guerra; e’ fu fortunato contro agli altri suoi nemici, e infortunato
-contro al comune di Firenze, e per animosità di parte ghibellina non
-seppe tener fede.
-
-
-CAP. XII.
-
-_Come scurò tutto il corpo della luna._
-
-Martedì notte alle ore quattro, a dì 16 di febbraio anno 1355,
-cominciò la scurazione della luna nel segno dell’Aquario, e alle
-cinque ore e mezzo fu tutta scurata, e bene dello spazio d’un’altra
-ora si penò a liberare. E non sapendo noi per astrologia di sua
-inflenza, considerammo gli effetti di questo seguente anno, e vedemmo
-continovamente infino a mezzo aprile serenissimo cielo, e appresso
-continove acque oltre all’usato modo il rimanente d’aprile e tutto il
-mese di maggio, e appresso continovi secchi e stemperati caldi insino a
-mezzo ottobre. E in questi tempi estivali e autunnali furono generali
-infezioni, e in molte parti malattie di febbri e altri stemperamenti
-di corpi umani, e singularmente malattie di ventre e di pondi con
-lungo duramento. Ancora avvenne in quest’anno un disusato accidente
-agli uomini, e cominciossi in Calavria a Fiume freddo e scorse fino
-a Gaeta, e chiamavano questo accidente male arrabbiato. L’effetto
-mostrava mancamento di celabro con cadimenti di capogirli con diversi
-dibattimenti, e mordeano come cani e percoteansi pericolosamente,
-e assai se ne morivano, ma chi era provveduto e atato guariva. E fu
-nel detto anno mortalità di bestie dimestiche grande. E in quest’anno
-medesimo furono in Fiandra, e in Francia e in Italia molte grandi e
-diverse battaglie, e nuovi movimenti di guerre e di signorie, come
-leggendo si potrà trovare. E nel detto anno fu singulare buona e
-gran ricolta di pane, e più vino non si sperava, perchè un freddo
-d’aprile l’uve già nate seccò e arse, e da capo molte ne rinacquono
-e condussonsi a bene, cosa assai strana. E da mezzo ottobre a calen
-di gennaio furono acque contino ve con gravi diluvi, e perdessene il
-terzo della sementa, ma il gennaio vegnente fu sì bel tempo, che la
-perduta sementa si racquistò. I frutti degli alberi dimestichi tutti
-si perderono in quest’anno. Non ne avremmo stesa questa memoria se la
-scurazione predetta non vi ci avesse indotto.
-
-
-CAP. XIII.
-
-_Come la gran compagnia presono Venosa._
-
-La compagnia del conte di Lando ch’avea avuta la prima paga dal re
-Luigi, e dovea attendere l’altre paghe in Puglia senza far danno a’
-paesani, vernava di là, e non faceva guerra; ma la fede, vedendosi il
-destro, non seppe per promessa o saramento ch’avessono fatto osservare:
-e però entrarono in Rapolla, e presa la terra la spogliarono d’ogni
-sustanza, e consumarono colle persone e co’ cavalli ciò che da vivere
-vi trovarono; e appresso, del mese di febbraio predetto, per aguato di
-furto presono la città di Venosa, e fecionne il simigliante. E questa
-è la fede delle compagnie, che ogni cosa fanno licito alla corrotta
-volontà della preda, e però è folle chi alle loro promissioni si fida.
-
-
-CAP. XIV.
-
-_Come il legato bandì la croce contro al capitano di Forlì._
-
-In questo tempo del verno, messer Gilio cardinale di Spagna legato
-di santa Chiesa, avendo prosperamente racquistato a santa Chiesa il
-Patrimonio, la Marca d’Ancona, e ’l ducato di Spoleto, e la maggior
-parte della Romagna, restavagli a racquistare Forlì e Faenza, e le
-terre vicine e de’ loro distretti, le quali tenevano occupate per
-loro tirannie Francesco degli Ordilaffi capitano di Forlì, e messer
-Giovanni di messer Ricciardo Manfredi; e non trovando il detto legato
-concordia con loro, ordinò contro a’ detti suo processo, e seguitollo
-fino alla sentenza, perocchè tornare non vollono all’ubbidienza. E
-pubblicata per Italia la loro dannazione, e fattili scomunicare, avendo
-dal papa lettere d’indulgenza con piena remissione de’ peccati e della
-pena a chi fosse contrito e confesso, fece bandire la croce contro
-Francesco Ordilaffi tiranno di Forlì, e di Forlimpopoli e di Cesena, e
-contro a Giovanni e Rinieri de’ Manfredi tiranni di Faenza, condannati
-per eretichi e ribelli di santa Chiesa, potendo il cavaliere e il
-pedone partecipare in due anni il servigio d’un anno in arme contro
-a loro. Ordinati furono i predicatori, e’ collettori delle provincie
-e delle città, e incontanente l’avarizia de’ cherici cominciò a fare
-l’uficio suo, e allargarono colla predicazione l’indulgenza oltre alla
-commissione del papa, e cominciarono a non rifiutare danaio da ogni
-maniera di gente, compensando i peccati e i voti d’ogni ragione con
-danari assai o pochi come gli poteano attrarre; e per non mancare alla
-loro avarizia, sommoveano nelle città e ne’ castelli e nelle ville
-ogni femminella, ogni povero che non avea danari, e dare panni lini e
-lani, e masserizie, grani e biada, niuna cosa rifiutavano, ingannando
-la gente con allargare colle parole quello che non portava la loro
-commissione; e così davano la croce, e spogliavano le ville e le
-castella più che non poteano fare le città, ma nelle città le donne e
-le femmine valicavano tutta l’altra gente, e per questa maniera davano
-la croce: e ’l termine della guerra cominciava in calen di maggio gli
-anni 1356. Della città di Firenze e del contado un frate de’ Romitani
-vescovo di Narni trasse grandissimo tesoro, del quale non potendo il
-cardinale avere diritto conto, lungo tempo tenne in prigione il detto
-vescovo in un suo castello nella Marca, guardato alle spese del detto
-vescovo.
-
-
-CAP. XV.
-
-_Come il conte Paffetta fu da’ Pisani messo in prigione._
-
-Egli è assai utile cosa agli uomini considerare contro alla malizia e
-alla superbia de’ grandi cittadini, quando possono far male e abbattere
-gli altri, ch’e’ medesimi sono sottoposti a quella medesima calamità
-e fortuna; ma provarlo per esperienza gli ne fa più certi, e a quelli
-c’hanno a venire ne rimane migliore esempio. Detto abbiamo come la
-malizia di messer Paffetta conte di Montescudaio cittadino di Pisa,
-colla perversa operazione fece morire e cacciare i Gambacorti di Pisa,
-e sè fece il maggiore di quella città; avvenne che gli altri cittadini,
-cui egli avea rimessi al governamento del comune, parendo loro che
-messer Paffetta fosse troppo grande, si legarono e feciono setta
-contro a lui segretamente, e un dì, essendo messer Paffetta andato
-agli anziani, come ordinato era, gli anziani mandarono di subito a
-fare pigliare certi cittadini caporali della sua setta e stretti suoi
-confidenti, e altri di suo seguito intorno di cinquanta, e di presente
-li mandarono a’ confini, facendoli uscire della città, e messer
-Paffetta con alcuno altro mandarono in prigione nell’Agosta a Lucca;
-e messolo in carcere sotto buona guardia, rivocarono i confini agli
-altri e fecionli ritornare, senza fare altra novità o mutazione di loro
-stato. Parve a tutti rimanere più sicuri, e in migliore essere nella
-cittadinanza, che in prima; e questo fu all’entrata del mese d’aprile,
-e ancora non era compiuto l’anno ch’egli avea abbattuti i Gambacorti
-e gli altri buoni cittadini di Pisa. Era in Pisa il vicario sostituto
-del vicario dell’imperadore, il quale consentì a tutto, essendoli fatto
-intendere che messer Paffetta volea con certo trattato dare Pisa a’
-signori di Milano: grande loro amico era, ma altro vero non se ne potè
-trovare; e stato alquanto in prigione, per tema che l’imperadore non lo
-ne facesse trarre, o i signori di Milano, di veleno, o d’altra violente
-morte, celatamente lo feciono morire in prigione.
-
-
-CAP. XVI.
-
-_Come gli Aretini riposono certe fortezze._
-
-Gli Aretini sentendo morto messer Piero Sacconi de’ Tarlati loro
-nemico, il quale lungo tempo gli avea tenuti in guerra e in gran paura,
-contro al quale non s’ardivano a muovere vivendo, incontanente dopo
-la sua morte, del detto mese di febbraio del detto anno, uscirono a
-oste, e riposono una tenuta contro al castello di Gaerina, e un’altra
-contro a Bibbiena, e una sopra Pietramala, e tanto stettono a campo,
-che tutte e tre furono fortificate e fornite, acciocchè i Tarlati
-non potessono correre sopra loro a loro volontà, com’erano usati di
-fare. E per la baldanza presa per la morte d’un decrepito vecchio,
-non avendo avuto ardire di farlo a sua vita, ordinarono tra nella
-città e nel contado tremila uomini a corazze, e trecento balestrieri
-e centocinquanta barbute, per potere mantenere il loro contado più
-sicuro, e guerreggiare i nemici. Abbianne fatta memoria per una cosa
-assai nuova, considerando che un uomo vecchio tenesse in freno e in
-paura così antica e gran città, che non pensavano in fatti di guerra
-potere resistere alla sua persona.
-
-
-CAP. XVII.
-
-_Di nuove rivolture della gran compagnia._
-
-Stando la compagnia del conte di Lando a vernare in Puglia con grande
-abbondanza d’ogni bene da vivere, aspettando dal re Luigi la moneta
-promessa, per lo patto ch’avea di doversi partire al maggio prossimo
-e uscire del regno, una parte di loro con certi conestabili intorno
-di cinquecento barbute, contentandosi male d’aversi a partire del
-paese, senza tenere promessa al re o fede all’altra compagnia si
-rubellarono da essa, e accostati al conte di Minerbino detto Paladino,
-se n’andarono per sua condotta in terra d’Otranto, ove per lunghi tempi
-passati non era sentita guerra, e di presente presono due castella nel
-paese piene di molta vittuaglia, e preda quanta ne poterono guardare
-di bestiame grosso e minuto, del quale poterono avere l’uso, ma non
-danari. Il conte di Lando si dolse al re Luigi del tradimento fatto per
-costoro, e offerse sè e l’altra compagnia al servigio del re contro a
-que’ ribelli, e contro a tutti i baroni che non volessono ubbidire alla
-corona. Il re, e il suo consiglio, e il gran siniscalco, credendosi
-fare meno male, accettarono la profferta, e una parte della compagnia
-con certa condotta de’ suoi uficiali mandò in Abruzzi per fare ubbidire
-alquanti comuni e baroni, i quali così rubavano e predavano il paese
-come se fossono nel servigio della compagnia e non in quello del re,
-e tanto più sicuramente, perchè niuno s’era provveduto contro a loro:
-e quelli ch’erano rimasi col conte di Lando volevano pur vivere largo
-all’altrui spese. E così nella concordia, come nella guerra, erano
-d’ogni parte i regnicoli mal trattati.
-
-
-CAP. XVIII.
-
-_Di grandi gravezze fatte dal re di Francia nel suo reame._
-
-In questo verno, vedendosi il re di Francia la guerra degl’Inghilesi
-addosso, e spogliare da’ forestieri il reame, come già abbiamo narrato,
-pensando avere a moltiplicare la spesa, oltre alle colte de’ feudi
-delle città del reame e de’ baroni, e oltre alle gravezze dell’usate
-reve, e del gran danno fatto a’ sudditi del reame di cambiare le
-buone monete d’oro e d’argento in ree contro all’usanza di quel
-regno, ordinò, e pose per modo di gabelle, ch’ogni mercatanzia che si
-comperasse o vendesse nel reame dovesse pagare agli uficiali ordinati
-sopra ciò danari otto per catuna lira. La qual cosa gravò tanto i
-mercatanti, che abbandonarono in gran parte il reame e il trafficare in
-quello, e quasi tutto il peso rimase a’ baroni e a’ paesani, della qual
-gravezza forte si conturbarono inverso il loro signore, e desideravano
-il suo male; e alquante città per questa cagione si recarono a reggere
-per loro, e non voleano ricevere gli esecutori e gli uficiali del re di
-Francia, come per innanzi leggendo si potrà trovare.
-
-
-CAP. XIX.
-
-_Come i Pisani facevano simulata guerra._
-
-La materia ch’ora seguita non era degna di memoria per lo fatto,
-ch’assai fu lieve, ma il modo, c’ha poi generate più gravi cose, ci
-scusa. I Pisani, innanzi a questo tempo di più anni, per loro maliziosa
-industria, avendo buona e leale pace co’ Fiorentini, contro a’ patti
-di quella aveano fatto fare il castello di Sovrana, il quale il comune
-di Firenze tenea per li patti della pace, e fecionlo torre a certi
-ghibellini usciti di quel paese, e il comune di Pisa sotto nome di
-costoro si tenea la terra, e mantenievi soldati che tribolavano tutto
-il paese e le terre d’intorno del comune di Firenze; essendo i Pisani,
-oltre alla pace, in singulare compagnia e lega col nostro comune,
-faceano queste coperte con grande ambizione. I Fiorentini lungamente
-dissimularono mostrando di non se n’avvedere, ma moltiplicandosi il
-male, e scoprendosi ogni dì più l’uno che l’altro, il nostro comune
-prese di gastigarli in quella contrada con quella malizia ch’eglino
-avevano insegnata. E del mese di febbraio del detto anno ordinarono
-co’ Pistoiesi che si lasciarono torre Calumao, una fortezza sopra
-Sovrana, a certi caporali di buoni masnadieri, i quali con aspra e
-continova guerra in breve tempo uccisono tutti i caporali di Sovrana,
-e presono masnade ch’e’ Pisani mandavano per guastare la Sambuca, e
-feciono grande guerra nel paese. E per questo tutti i ghibellini di
-Valdinievole erano mal condotti, ch’avendo pace vivevano in continua
-guerra per la cominciata malizia pisanesca. Ma aggiugnendo malizia a
-malizia, per vendicare loro onta sbandirono loro soldati, e mandarono
-trecento barbute e gran popolo agli usciti ghibellini di Valdinievole,
-i quali cavalcarono infino alla Pieve a Nievole, e arsono intorno a
-quella, e feciono quel danno che poterono; e appresso si dirizzarono
-a Castelvecchio, e ordinatamente il combatterono, ma nol vinsono. Il
-comune di Firenze sentendo questo fece cavalcare i suoi cavalieri in
-Valdinievole, e raunati i paesani, cercavano d’abboccarsi co’ nemici,
-ma eglino non attesono; e non potendo tornare per la via ond’erano
-andati, per altra via più aspra, ma a loro più sicura, in fretta si
-ritornarono a Pisa, e furono ribanditi.
-
-
-CAP. XX.
-
-_Come il capitano della Chiesa assediò Cesena._
-
-Il legato del papa, oltre alla gente ch’attendea de’ crociati avea
-da sè a soldo duemila barbute, e confidandosi de’ Malatesti, fece
-gonfaloniere di santa Chiesa e capitano della sua gente d’arme messer
-Galeotto da Rimini, e con mille cavalieri e con gran popolo del mese
-di febbraio del detto anno il mandò a oste sopra la città di Cesena;
-il quale in prima corse il paese predando d’intorno, e appresso visi
-pose ad assedio, e strettosi alla terra, vi stette infino che il
-conte di Lando venne del Regno in Romagna, come innanzi al suo tempo
-racconteremo.
-
-
-CAP. XXI.
-
-_Come il conte da Battifolle assediò Reggiuolo._
-
-Avendo il conte Ruberto da Battifolle ricevuto ingiuria nel suo
-contado di cavalcate e di prede fatte per Marco figliuolo di messer
-Piero de’ Tarlati, contro a’ patti della pace fatta con gli aderenti
-de’ signori di Milano, accolta sua gente e’ suoi fedeli in arme,
-all’entrata del mese d’aprile anni 1356, essendo per nevi e per venti
-smisurato freddo, se n’andò al castello di Reggiuolo, il quale era
-allora del detto Marco, e cinselo d’assedio, e fece a’ suoi fare case
-di legname per ripararsi dal freddo, e rizzò trabocchi e manganelle
-che tribolavano il castello e coloro che dentro il guardavano, e
-aggiungendo al continovo forza avea sì stretti gli assediati, che più
-non si poteano difendere. Vedendo Marco che ’l castello non si potea
-più tenere, mandò a richiedere il comune di Firenze per li patti della
-pace, che non lasciassono al conte seguitare l’impresa. Il conte venne
-a Firenze, e mostrò al comune come Marco era stato movitore della
-guerra, e più che non avea voluto approvare nè ratificare per carta
-alla pace secondo i patti. Ma nondimeno il comune di Firenze, per non
-potere essere calunniato a diritto o a torto d’avere lasciato a’ suoi
-aderenti rompere la pace, diliberò, che ’l conte si dovesse partire
-dall’assedio. Il conte non ostante l’ingiuria ricevuta, e la spesa
-fatta, e la ferma speranza d’avere il castello, per ubbidire al comune
-di Firenze lasciò l’impresa, e a dì 18 d’aprile del detto anno si tornò
-in Casentino.
-
-
-CAP. XXII.
-
-_Come il conticino da Ghiaggiuolo racquistò Ghiaggiuolo._
-
-Di questo mese di maggio 1356, il conticino da Ghiaggiuolo con alcuna
-gente del legato cavalcò nelle terre che il capitano di Forlì gli avea
-tolte; e stando nella contrada molto baldanzoso, fece correre boce
-che Forlì s’era renduto al legato, e che il capitano era preso. E per
-mostrare la cosa ben certa, si fece venire un frate con lettere che
-contavano le novelle molto verisimili, e recò l’ulivo palese, e fu
-ricevuto con grande festa. E incontanente si strinse a Ghiaggiuolo,
-e fece vedere le lettere al castellano, e poi gli disse, che se
-incontanente non li rendesse il castello, che lui e’ compagni farebbe
-morire senza niuna misericordia. La cosa avea sembianza di verità, e
-il castellano era di poco intendimento, e pauroso e vile, e però gli
-rendè il castello, ch’era forte e bene fornito, e andossene colla sua
-compagnia a salvamento con vergogna, e non senza infamia di tradimento.
-
-
-CAP. XXIII.
-
-_Come i Visconti assediarono Pavia._
-
-Avendo nel principio di questo sesto libro narrato il sospetto preso,
-e la discordia tra’ signori di Milano e il marchese di Monferrato,
-e quelli da Beccheria di Pavia, e accresciuta la mala voglia per le
-rubellioni fatte in Piemonte, messer Bernabò e messer Galeazzo Visconti
-volendosi vendicare sopra i loro parenti e prossimani vicini, con
-grande moltitudine di cavalieri e di popolo, del mese di maggio del
-detto anno, valicarono il Tesino e strinsonsi alla città di Pavia, e
-vi poson l’assedio d’ogni parte, con intendimento di non levare l’oste
-se prima non avessono la città al loro comandamento, e così si credette
-per tutta Italia, perocchè la città è presso a Milano a venti miglia di
-piano, e la potenza de’ tiranni era sopra modo grande a quella impresa.
-Ma perocchè non procede dalla volontà umana la potenza divina, le cose
-succedono spesso ad altro fine che gli uomini non divisano, e così
-avvenne di quest’assedio, come seguendo nostro trattato dimostreremo.
-
-
-CAP. XXIV.
-
-_Come il re di Francia prese il re di Navarra._
-
-Avendo racconto addietro come il re Giovanni di Francia avea renduto
-pace al re di Navarra, e perdonatagli la morte del conestabile e agli
-altri baroni ch’erano stati con lui, e come accomandato gli avea il
-Delfino suo figliuolo, seguitò, che in questo tempo, essendo loro
-commesso dal re la provvisione della guardia di Guascogna, insieme
-cavalcavano la provincia, provvedendo a quello ch’era di bisogno alla
-difesa del paese, e ancora andavano prendendo loro diporto; ed essendo
-nella città di Ruen, il re di Francia il sentì, e mossesi da Parigi
-quasi sconosciuto con poca compagnia e cavalcò ad Orliens, e là tenne
-a battesimo un fanciullo nato di quelli d’Artese, e parente stretto
-del conestabile di Francia che fu morto, a cui il re secondo il volgo
-avea portato disordinato amore: avvenne, o che la morte del suo diletto
-amico per lo fanciullo parente li rivenisse nella mente, o che altra
-cagione il movesse al presente fatto, niuna certezza se ne potè avere,
-ma di subito armato a modo di cavaliere, con sessanta cavalieri armati
-di sua famiglia cavalcò a Ruen; e giunto senza arresto alla città,
-mandò un cavaliere innanzi a sè, il quale dicesse in segreto al Delfino
-suo figliuolo, che di cosa ch’avvenisse non prendesse turbazione nè
-paura; e seguendo il re co’ suoi cavalieri armati entrò nel palagio
-ov’era il re di Navarra, e il Delfino, e il conte di Ricorti con
-quattro cavalieri banderesi di Normandia, e aveano a desinare con
-loro altri baroni e cavalieri del paese. Ed essendo giunto innanzi il
-cavaliere, e appena compiuto di favellare al Delfino, il re di Francia
-armato colla barbuta in testa e co’ suoi cavalieri fu in sulla sala, e
-trovandoli alla mensa, comandò che alcuno non si movesse; e avviatosi
-verso il re di Navarra, il chiamò traditore della corona, e andogli
-addosso con uno stocco ignudo per ucciderlo di sue mani: ripreso e
-ritenuto da’ suoi, dicendo che a re non si convenia tanto fallo, il
-fece prendere e imprigionare, e detto fu che alquanto il punse dello
-stocco; e fece pigliare il conte di Ricorti, e i quattro cavalieri
-normandi, chiamandoli traditori, i quali si scusavano, dicendo ch’erano
-diritti e leali; ma il re mosso da furiosa tempesta d’animo giurò di
-non mangiare, prima che di loro avesse fatto secondo la sua intenzione
-piena giustizia.
-
-
-CAP. XXV.
-
-_Come il re di Francia fece decapitare il sire di Ricorti e altri
-quattro cavalieri normandi._
-
-Avendo preso il re di Navarra, di presente il mandò a incarcerare a un
-forte castello che si chiama Castel Gagliardo: e in quello stante il
-re di Francia fece mettere in su una carretta il sire di Ricorti e i
-quattro cavalieri normandi per farli decapitare, innanzi che volesse
-desinare. E quelli della città per la subita tempesta del re vedendo
-tanta novità, e non sapendo che vi fosse la persona del re di Francia,
-traevano in piazza per aiutare i baroni presi. Il re conoscendo il
-pericolo del popolo commosso, si trasse la barbuta di testa e fecesi
-conoscere; e sparta la voce che ivi era la persona del re loro signore
-catuno stette cheto. Allora il re, per mostrare al popolo e agli altri
-maggiori che v’erano che ’l suo furioso movimento a tanto fatto non era
-senza gran cagione, si trasse dal lato un brieve con molti suggelli,
-nel quale si contenea, come il re di Navarra col sire di Ricorti, e con
-quattro cavalieri normandi, e con altri che in quello si nominavano,
-aveano trattato col re d’Inghilterra d’uccidere il re di Francia e ’l
-Delfino suo figliuolo, e di fare re di Francia il detto re di Navarra,
-il quale fatto re, dovea rendere la Guascogna e la Normandia al re
-d’Inghilterra. E questo brieve, vero o simulato che fosse, continovo
-fino alla morte fu negato per lo sire di Ricorti e per i quattro
-cavalieri normandi; nondimeno nella presenza del re tranati in sulla
-piazza furono decapitati, e i corpi loro legati con catene, senza
-concedere loro sepoltura, furono appesi. Altri dissono, che doveano
-dare prigione il Delfino al re d’Inghilterra, ma poca fede si diede
-all’una cagione e all’altra, ma più che ciò fosse fatto per vendetta
-della morte del conestabile. E appresso fu mandato il re di Navarra
-prigione in Castelletto, parendo a molti, che egli, egli altri ch’erano
-stati decapitati fossono senza colpa di quella infamia.
-
-
-CAP. XXVI.
-
-_D’un grosso badalucco fu a Pavia._
-
-Essendo l’oste de’ signori di Milano sopra la città di Pavia, del
-mese di maggio del detto anno, uscirono cavalieri della terra, e
-cominciarono giostre e badalucchi con quelli del campo; e venendo
-a poco a poco crescendo l’assalto e la gente da catuna parte, vi
-s’allignò un’aspra battaglia di più di mille cavalieri di catuna
-gente, tutti i più pro’ e i più arditi, che di grande volontà per
-fare d’arme si metteano in quello stormo. Infine per lo superchio de’
-cavalieri che messer Galeazzo sollecitava di mandarvi, quelli di Pavia
-non poterono sostenere, e per forza convenne che dessono le reni, e
-fuggendo, alquanti ne furono presi; gli altri per campare si tornarono
-nel borgo della città, ed essendo fortemente incalciati da’ nemici
-che li seguivano, con loro insieme si misono follemente nel borgo, ove
-racchiusi, si trovarono prigioni per troppa sicura gagliardia, e ben
-quattrocento se ne rassegnarono a bottino, per li quali quelli di Pavia
-riebbono tutti i loro prigioni; e guadagnati i cavalli e l’arme, tutti
-gli lasciarono andare alla fede, secondo l’usanza de’ Tedeschi.
-
-
-CAP. XXVII.
-
-_Come i Visconti assediarono Borgoforte._
-
-Di questo mese di maggio, i signori di Milano, non ostante ch’avessono
-l’oste a Pavia, e mandata gran gente in Piemonte contro al marchese di
-Monferrato, mandarono duemila cavalieri e gran popolo con molto navilio
-ad assediare Borgoforte in sul Mantovano, e ivi si posono ad assedio
-per acqua e per terra, facendo nel Pò grandi palizzati, acciocchè
-levassono al castello ogni fornimento e soccorso che venire gli potesse
-per lo fiume del Po, e con bertesche, e con guardie, e con navili il
-chiusono, e per acqua e per terra l’assediarono strettamente.
-
-
-CAP. XXVIII.
-
-_Come i Visconti feciono contro a’ prelati di santa Chiesa._
-
-Avvenne in questi dì, che ’l papa mandò un valente prete in Lombardia
-a predicare la croce, guardandosi i maggiori prelati di non volere la
-grazia di quell’uficio. E la croce si bandiva e predicava, come detto
-è, contro al capitano di Forlì e al signore di Faenza. Il valente
-sacerdote se n’andò a Milano, e ivi favoreggiato dal vescovo di Parma,
-cominciò sollicitamente a fare l’uficio che commesso gli era dalla
-santa Chiesa. Come messer Bernabò ebbe notizia di questo servigio,
-senza vietarglielo, o ammonirlo che questo fosse contro alla sua
-volontà, il fece pigliare, e ordinata per lui una graticola di ferro
-tonda a modo d’una botte, là dentro vi fece mettere il sacerdote, e
-accesovi sotto il fuoco come si fa a uno arrosto, e facendolo volgere,
-crudelmente il fece morire a grande vitupero, non tanto per la sua
-persona ch’era prete sagrato, quanto per lo dispregio e irreverenza
-che per lui si mostrò fatto a santa Chiesa che l’avea mandato. E per
-arrogere al mal fatto aggiunse, che al vescovo di Parma fece torre
-il vescovado, e delle rendite di quello investì altrui, e contradiò
-alla predica della croce. E acciocchè il capitano si potesse difendere
-dal legato li mandò subitamente dieci bandiere di cavalieri, dandogli
-speranza di maggiore aiuto, e avendoli presso il castello di Luco, che
-tenea tra Bologna e la Romagna, senza contasto li vi mise dentro.
-
-
-CAP. XXIX.
-
-_Come i Visconti feciono tre bastite a Pavia._
-
-Del mese di maggio 1356, i signori di Milano volendo vincere per
-assedio la città di Pavia, feciono edificare attorno alla terra tre
-grandi bastite, le quali feciono armate di bertesche e di steccati, e
-molto afforzare con buoni e larghi fossi, e l’una strinsono alla città
-di là dal Tesino, e l’altra di verso Milano, il Tesino in mezzo; e
-in sul fiume feciono un largo ponte di legname per lo quale l’un’oste
-potea soccorrere all’altra, e l’altra bastita posono dall’altra parte
-della terra. E per non tenervi tanta gente impedita a tenervi campo
-aperto, misono in queste bastite cavalieri e pedoni assai, i quali
-faceano aspra guerra, e teneano la città sì stretta, che vittuaglia
-niuna o gente non grossa vi poteva entrare, e grande speranza aveano
-di vincere la città, se fortuna l’avesse conceduto alla loro volontà:
-ma non sempre agli appetiti de’ potenti tiranni acconsente la divina
-disposizione, come leggendo innanzi si potrà trovare.
-
-
-CAP. XXX.
-
-_Come i Turchi con loro legni feciono gran danno in Romania._
-
-In questi medesimi tempi, i Turchi avendo settanta legni armati, e
-molte barche imborbottate, valicarono in Romania, ricettati da un
-barone di quelli che rimase nel paese dell’antica compagnia, uomo di
-perversa condizione; e per far male a’ suoi paesani, dava a’ Turchi
-rinfrescamento e porto a’ loro navili, ed eglino quando per mare
-quando per terra correvano il paese predando uomini e bestiame e roba
-senza trovare da’ paesani contasto, e al barone, che gli ritenea e
-favoreggiava, di tutta la preda davano la decima parte. E così seguendo
-tutta la state feciono in Grecia grandissimi danni, e poi senza
-contasto si tornarono in Turchia carichi di servi greci e di molta
-roba.
-
-
-CAP. XXXI.
-
-_Come gl’Inghilesi guerreggiarono, il reame di Francia._
-
-Non essendo per li legati di santa Chiesa potuto trovare in tutto
-il verno passato pace o tregua tra il re di Francia e quello
-d’Inghilterra, ma piuttosto aggravato l’animo del re di Francia
-e de’ suoi Franceschi per l’ingiurie ricevute dagl’Inghilesi; e
-gl’Inghilesi montati in maggiore audacia e baldanza aveano tanto a
-vile i Franceschi, che non pensavano potere perdere abboccandosi con
-loro: e però essendo tornato il re d’Inghilterra nell’isola per lo
-fatto degli Scotti, come detto è, da capo s’apparecchiarono il valente
-duca di Guales, e ’l pro’ e ardito conte di Lancastro, e tra loro
-divisono il paese ove doveano guerreggiare nel reame di Francia, e
-catuno prese tremila cavalieri e molti arceri, e da capo cominciarono
-a correre il paese. E ’l conte entrò in Brettagna facendo nel paese
-aspra guerra, ardendo, e guastando e predando senza trovare contasto, e
-’l duca se n’entrò in Guascogna scorrendo il paese, e valicando insino
-a Nerbona, guastando e predando il Nerbonese e ’l paese d’intorno
-senza trovare avversari in campo. Catuno si tenea alla guardia delle
-mura e delle fortezze, per modo che niuna terra vi potè acquistare. E
-in questo modo gl’Inghilesi stettono il maggio e ’l giugno del detto
-anno, facendo assai danno e vergogna al re di Francia e a’ sudditi
-del suo reame. Il re di Francia non avendo riparato infino a qui
-all’audacia degl’Inghilesi, vedendoli tanto montare in sua vergogna
-e in danno del paese, s’apparecchiò con ogni sollecitudine che potè
-di tutta sua forza di cavalieri e di sergenti e d’arme, a intenzione
-d’andare a trovare i nemici, e di combattere con loro, e cacciarli
-del reame a suo podere. Ma i due baroni colle due osti, si tornarono
-a Bordello in Guascogna colle loro prede, per ordinarsi insieme de’
-nuovi assalti che intendeano fare nel reame, e per provvedersi contro
-all’apparecchiamento che sentivano fare al re di Francia. Come le cose
-seguirono, leggendo appresso per li loro termini si potranno trovare.
-
-
-CAP. XXXII.
-
-_Come gl’Inghilesi furarono un forte castello._
-
-Essendo un forte castello nel mezzo della contea della Marcia
-chiamato...., ove si facea grandi mercati certi dì per li circostanti
-paesani, gl’Inghilesi feciono prendere a più loro cavalieri abito di
-mercatanti, i quali sapeano la lingua francesca, e mostrando d’andare
-a fare loro investite al mercato, a due a due giugnendo al castello
-prendevano albergo; ed essendovene entrati una buona compagnia, facendo
-vista d’attendere il mercato per lo seguente dì, faceano grandi e
-larghe spese e cortesie, e diportandosi per lo castello verso la
-rocca, il castellano che non si prendea guardia de’ mercatanti fu da
-loro morto. E morto il castellano, entrarono nella fortezza, e quella
-tennono tanto, che gl’Inghilesi che stavano però attenti n’ebbono
-la novella, e cavalcaronvi di subito quattrocento cavalieri e altri
-arceri; e giugnendo alla terra, avendo l’entrata, senza uccisione vi
-s’entrarono e afforzaronvisi dentro, e feciono in quello loro ridotto,
-guerreggiando tutto il paese d’intorno, con fare danno grave a’
-paesani. E questo avvenne del mese di giugno predetto.
-
-
-CAP. XXXIII.
-
-_Come il zio del conte di Ricorti si rubellò al re di Francia._
-
-Dappoichè il re di Francia ebbe morto il conte di Ricorti e gli altri
-cavalieri normandi, come già è detto, mandò in Normandia un suo barone,
-e fecelo giustiziere in quel paese. Costui cavalcò nel paese, e faceva
-senza contasto l’uficio del suo baliato, ubbidito da tutti i paesani.
-Avvenne che una terra della contea di Ricorti era nel giustiziato del
-suo uficio; il balio vi cavalcò con tutta sua famiglia per tenervi
-ragione, come facea in tutte l’altre terre. Il zio carnale del conte
-di Ricorti ch’era morto, con sua forza prese il detto balio e’ suoi
-famigli, e in dispetto del re di Francia, a lui e a’ diciassette suoi
-compagni, per ricordanza di quello ch’era stato fatto al nipote sire
-di Ricorti, fece tagliare le teste, e quella terra e l’altre della
-contea di Ricorti fece rubellare al re di Francia; e allegatosi col
-re d’Inghilterra fornì le sue terre, e ricettando gl’Inghilesi, faceva
-grande guerra a’ Normandi.
-
-
-CAP. XXXIV.
-
-_Come messer Filippo di Navarra si rubellò al re di Francia._
-
-Appresso alla detta rubellione, sentendo messer Filippo di Navarra
-fratello del re, come il re Giovanni in persona sconciamente avea a
-Ruen voluto uccidere il re di Navarra suo fratello, e appresso l’avea
-villanamente imprigionato, e come avea morto il conte di Ricorti,
-disperandosi della salute del fratello e della sua, incontanente
-rubellò tutte le terre di Navarra al re di Francia; e cavalcando per
-tutte le terre accogliendo a parlamento gli uomini del reame, si dolea
-del grande tradimento fatto per lo re di Francia al loro signore, e
-inanimandoli contro al re di Francia, gli confortò alla difesa del
-paese, e ordinò e fornì tutte le buone ville; e fatto questo, colla
-sua persona si mise nel forte e nobile castello posto in sulla marina,
-che si chiama...., e ivi si fortificò, per potere dare l’entrata in
-Navarra agl’Inghilesi e a cui volesse, senza potere essere impedito.
-E messovi buona e confidente guardia, si partì del reame e andossene
-al re d’Inghilterra, e fece lega e compagnia con lui. E poi seguitò
-coll’aiuto e in compagnia degl’Inghilesi a fare grande guerra al re di
-Francia, come seguendo nostra materia si potrà trovare.
-
-
-CAP. XXXV.
-
-_Come il popolo di Pavia prese le bastite, e liberossi dall’assedio._
-
-Essendo con tre grandi e forti bastite assediata la città di Pavia
-da’ signori di Milano, confidandosi nelle grandi fortezze, ne
-trassono de’ cavalieri e de’ masnadieri per sovvenire all’altre loro
-imprese; e avvedendosene quelli da Beccheria che governavano la città,
-procacciarono d’avere segretamente aiuto dal marchese di Monferrato.
-Era in quella stagione in Pavia un frate Iacopo Bossolaro de’ romitani,
-in cui gli uomini e le donne di Pavia aveano grande divozione: costui
-colle sue prediche avea confortato molto il popolo alla sua franchigia
-contro alla potente tirannia di quelli di Milano; e avendo avuta gente
-dal marchese, la quale v’era entrata di notte chetamente, essendosi
-provveduti della bastita ch’era loro più di presso, che rispondea a
-quella di là dal Tesino, dato il dì ordine a’ cavalieri e al popolo, e
-apparecchiate scale e argomenti di legname da entrare nella bastita,
-per modo che i loro nemici non n’ebbono alcuno sentimento, e dato
-l’ordine dell’assalto a’ caporali, sicchè catuno sapea ciò che s’aveva
-a fare, e da qual parte avea a fornire la sua battaglia, s’andarono
-la sera a posare: e nella mezza notte s’armarono e guernirono d’ogni
-cosa; e poi, come ordinato era, in sù l’aurora, a dì 28 di maggio del
-detto anno, uscirono della città, e il buono frate Iacopo Bossolaro
-con loro. Cominciarono l’assalto d’ogni parte alla bastita, e fecionlo
-sì contamente, ch’elli sprovveduti dentro del subito assalto perderono
-ogni facondia di consiglio e d’aiuto alla loro difesa; e’ cavalieri
-tedeschi che dentro v’erano, vedendosi d’ogni parte assaliti, non
-ebbono cuore alla difesa, e stavano smarriti a vedere come se fossimo
-consenzienti, e ciò non era vero: ma per loro natura rinchiusi non
-sanno combattere, nè resistere come in aperto campo. E però quelli di
-Pavia con poca resistenza entrarono nella bastita, e presonla, facendo
-grande uccisione de’ loro nemici, e la maggiore parte ne presono; gli
-altri che poterono fuggire non furono perseguitati, e camparono. Presa
-la prima bastita, di presente si dirizzarono al ponte, e presonlo, e
-fedironsi nell’altra bastita di là dal Tesino. I capitani di quella
-impauriti della sconfitta de’ loro compagni, e della perdita della
-forte bastita, non ebbono cuore di mettersi alla difesa, ma alla fuga,
-chi meglio il seppe fare, ma non sì che assai non ne rimanessono morti
-e presi. E vinta, e messo fuoco alla seconda bastita, si dirizzarono
-alla terza ch’era dall’altra parte della città, e quella vinsono per
-simigliante modo. E come saviamente per loro era ordinato, seicento de’
-loro fanti a piè forniti di seghe, e d’altri argomenti da tagliare,
-e da svegliere palizzati e rompere catene, furono mandati per acqua
-al navilio di Piacenza ch’era raunato in Po, e alquanti cavalieri per
-terra in loro aiuto, i quali valorosamente feciono il servigio: e per
-forza presono il navilio, e arsonne la maggiore parte, e alquanto ne
-ritennono, e quelli che v’erano alla guardia ne mandarono in rotta.
-E così maravigliosamente, come a Dio piacque, quella franca gente
-assediata lungamente dalla gran potenza de’ signori di Milano, in
-uno dì se ne liberò vittoriosamente, dando abbassamento alla superba
-potenza de’ grandi tiranni.
-
-
-CAP. XXXVI.
-
-_Il movimento del re d’Ungheria per assediare Trevigi._
-
-Sopravvenendo nuova guerra a raccontare alla nostra materia, così
-cominciamo. Avendo Lodovico re d’Ungheria per lungo tempo molte volte
-richiesto a’ Veneziani la città di Giara e l’altre terre, che del suo
-regno teneano occupate in Schiavonia, e non trovando modo con loro di
-riaverle con pace, di questo mese di maggio del detto anno, si mosse
-dalla città di Buda in persona con trenta compagni, e misesi a cammino
-dirizzandosi in Schiavonia alla città di Sagabria, ch’è in Dalmazia,
-e innanzi che quivi fosse giunto, si trovò con cinquecento cavalieri.
-E giunto in Sagabria, in pochi dì vi vennono tutti i baroni del reame
-e del suo distretto, e catuno colla gente d’arme del debito servigio,
-la quale era tanta che non la comportava il paese; per la qual cosa
-fu costretto il re di parlare a uno a uno, e dir loro la gente ch’e’
-volea in quel servigio, e tutti gli altri fece rimandare addietro in
-Ungheria. A Sagabria vennono a lui ambasciadori del comune di Vinegia
-i quali addomandavano la sua pace, offerendoli danari quanti più
-potessono, per rimanere in concordia con lui. Il re rispose che non
-cercava i loro danari, perocchè n’avea assai, ma s’eglino avevano in
-mandato dal loro comune di renderli le sue terre, per questo poteano
-avere la sua concordia e la sua pace. Gli ambasciadori risposono,
-che ciò non aveano in commissione. Il re disse, che per altro non si
-travagliassono: onde gli ambasciadori si tornarono addietro al loro
-comune. Il re stando in Sagabria ordinò di fare la sua guerra, come
-appresso la diviseremo. La boce che usciva si spandea per diversi
-luoghi; i più credeano che a Giara si facesse la gran punga, come altra
-volta era fatta, altri nell’Istria, altri a Trevigi, e ’l certo non si
-potea sapere; e per questo i Veneziani aveano più a pensare, e maggiore
-spesa a provvedere alle loro terre in diverse parti: e incontanente,
-non curando la spesa, dando grandi e disordinati soldi, fornirono
-Giara, e l’altre terre di Schiavonia e dell’Istria, e provvidono e
-fornirono la città di Trevigi di gente d’arme a cavallo e a piè con
-grande spesa.
-
-
-CAP. XXXVII.
-
-_Come per l’avvenimento del re d’Ungheria si temette in Italia._
-
-Sentendosi per tutta Italia, che il re d’Ungheria con grande
-moltitudine d’Ungheri e d’altri suoi sudditi infedeli s’apparecchiava
-per passare sopra i Veneziani, aggiugnendosi alla novella, che
-l’imperadore e ’l duca d’Osteric tenea mano con lui, e che l’imperadore
-dovea creare re in Lombardia e re in Toscana, non senza sospetto
-stettono tutti i tiranni d’Italia, e ancora i popoli di catuna parte
-sospesi, e massimamente i tiranni di Lombardia. E per questa cagione
-s’accostarono a parlamento insieme, e ordinarono loro leghe, e di
-concordia li mandarono ambasciadori per sapere la sua intenzione de’
-fatti loro; e avuta da lui amichevole risposta, catuno rimase senza
-paura della sua impresa, salvo il comune di Vinegia, contro a cui egli
-manifestamente s’apparecchiava.
-
-
-CAP. XXXVIII.
-
-_Come la cavalleria del re Luigi sconfissono i nemici, e furono vinti._
-
-Di questo mese di maggio, essendo il conte Paladino in ribellione del
-re Luigi, e avendo con seco due grandi conestabili con cinquecento
-barbute, ch’egli avea tratte della compagnia contro alla volontà
-del conte di Lando, come addietro abbiamo narrato, e avendone messi
-quattrocento in una sua terra di Puglia che guerreggiavano il paese,
-il re, avendo concordia col conte di Lando, mandò in Puglia ottocento
-cavalieri per ristrignere quelli del conte nella terra, e poi
-coll’aiuto de’ paesani assediativi dentro. Ma gli avvisati Tedeschi
-non si vollono rinchiudere tra le mura, e partire non si sarebbono
-potuti senza loro grande danno e vergogna. E però, come uomini di
-grande ardire, uscirono della terra, e sentendo nel paese la gente
-del re, vennono loro incontro, e misonsi in aguato, e appressatasi
-la cavalleria del re, per modo che quelli dell’aguato non si poteano
-coprire, si schierarono e ordinarono a battaglia, e mandarono a
-richiedere i cavalieri del re di battaglia, ch’erano ivi cinquecento
-cavalieri bene armati, e montati tutti in buoni cavalli; i quali
-sentendo la richiesta, e avendoli in dispregio, senza fare altra
-risposta, accoltisi insieme e dato il nome, s’addirizzarono contro a’
-nemici, e percossongli per tale virtù, ch’al primo assalto gli ruppono
-e sbarattarono; e cacciandoli per avere in preda, si cominciarono a
-sciogliere della loro massa con mala provvedenza, e chi cacciarono qua
-e chi là. L’uno de’ due conestabili con pochi de’ suoi si ridusse in
-alcuno vantaggio di terreno e fece testa, e degli altri che fuggivano,
-vedendo ferma quella bandiera, per loro scampo si riduceano ad essa,
-e ingrossavano la sua forza. La gente del re vittoriosa, avendo morti
-e presi de’ loro nemici, vedendo che alquanti aveano fatto testa
-sotto quella bandiera, s’addirizzarono a loro con più baldanza che
-buon ordine. Il conestabile avvisato di guerra, conoscendo la sciocca
-venuta de’ suoi avversari, confortò i suoi di ben fare, e stretto co’
-suoi pochi sì percosse tra gli assai male ordinati, e ruppegli più per
-maestria di guerra che per forza ch’egli avesse; e coloro ch’erano
-vincitori, per la stolta baldanzosa tratta rimasono vinti in questa
-parte, e il conestabile, per lo savio accorgimento e buona condotta,
-essendo prima vinto e fuggito del campo, rimase vincitore, e tanti
-prese de’ suoi avversari, quanti i suoi cavalieri ne poterono menare
-prigioni, tra’ quali furono certi baroni e alcuni cavalieri di Napoli e
-altri Toscani, tutti ricchi prigioni; e senza arresto, quanto i cavalli
-di buono andare li poterono menare si partirono, e condussonli senza
-cercare più altra fortuna in sul campo a salvamento. E nondimeno della
-loro compagnia ne rimasono morti assai, e più presi che quelli ch’e’
-ne menarono in buona quantità, ma de’ loro poco si curarono: di quelli
-ch’aveano presi eglino ebbono danari assai, e per mala condotta la
-bella vittoria condussono a vergognoso fine.
-
-
-CAP. XXXIX.
-
-_D’appelli fatti per lo conte di Lando di tradigione._
-
-Quello che seguita non è cosa che meriti memoria, se non per dimostrare
-con esempio del fatto la matta follia degli oltramontani. Il conte
-di Lando era lungamente stato colla sua compagnia a nimicare con
-operazioni latrocine e infedeli il Regno, e con lui i sopraddetti due
-conestabili alamanni. Avvenne, che fatta la sopraddetta battaglia, il
-conte di Lando appellò di tradimento i detti due conestabili, dicendo,
-che contro al loro saramento s’erano partiti della compagnia. E’
-conestabili dall’altre parte appellavano lui per traditore, dicendo,
-che contro al suo saramento avea rotti loro i patti. L’antica pazzia
-oltramontana per l’usanza del loro appello li recò in giudicio, e
-commisonsi nel re Luigi; e appresentandosi l’una parte e l’altra in
-giudicio nella sua corte, non senza giusto pericolo delle loro persone,
-essendo prencipi di manifesti ladroni senza alcuna fede, nondimeno il
-re guardò alla liberalità ch’e’ nemici ebbono confidandosi alla sua
-persona, e fedelmente commise a disputare la loro questione, facendo
-loro assessore il suo gran siniscalco, e d’ogni parte per lungo
-piato furono i savi ad allegare. Ma in fine, o ragione o torto che si
-fosse, il re, avuta la relazione dal suo consiglio, liberò il conte,
-e i due conestabili condannò per traditori, e ritenneli per prigioni
-alla volontà del conte. E per questo modo forse fece in parte la sua
-vendetta per la capitosa follia tedesca.
-
-
-CAP. XL.
-
-_Come i Sanesi per paura ricorsono a’ Fiorentini._
-
-Avvedutosi alquanto il comune di Siena, che l’essere strano dal comune
-di Firenze gli potea tornare a pericoloso danno, e massimamente
-sentendosi male forniti, e che la compagnia del Regno era già in
-Abruzzi per valicare nella Marca e appresso in Toscana, elesse de’
-suoi maggiori cittadini grandi e popolani, e accompagnati da molta
-famiglia pomposamente alla loro maniera, a dì 16 di giugno del detto
-anno vennero a Firenze. E fatti adunare i collegi e gli altri buoni
-cittadini di Firenze, con parole di grande reverenza cominciarono
-loro sermone, chiamando padri del loro comune il popolo e ’l comune di
-Firenze, e come figliuoli al padre a loro si raccomandavano, offerendo
-il loro comune apparecchiato di non partirsi dal reverente consiglio
-e ubbidienza del comune di Firenze, dicendo, ch’erano apparecchiati
-ad entrare nella lega e compagnia già provveduta e ordinata per lo
-comune di Firenze, e di pigliare la loro taglia, e di fare quanto
-il detto comune volesse comandare in questo e nell’altre cose. I
-governatori della nostra città, non guardando alli sconvenevoli falli
-per addietro commessi pe’ Sanesi contro al nostro Comune, li riceverono
-graziosamente in compagnia e in lega, e promisono, dov’eglino volessono
-essere uniti e in fede al nostro comune, d’aiutarli e difenderli come
-cari e diletti fratelli amichevolemente.
-
-
-CAP. XLI.
-
-_Come l’oste si levò da Borgoforte._
-
-Tornando a nostro conto all’assedio di Borgoforte in sul Mantovano,
-il quale i signori di Milano molto si sforzarono per acquistare,
-e’ ruppono e svelsono i grandi palizzati che v’erano per difesa del
-castello, e per molte battaglie e gravi assalti tentarono d’averlo, e
-sarebbe venuto fatto, se non fosse il grande e buono aiuto ch’ebbono
-da Mantova e da Reggio, e per questo si difesono francamente. Vedendo i
-capitani dell’oste che a quella pugna si perdea il tempo senza frutto,
-e sapendo che Reggio per soccorrere Borgoforte era sfornito della
-gente d’arme, si levarono subito, e cavalcarono a Reggio; e trovando
-la città sprovveduta dei loro subito avvenimento, di poco fallì che
-non entrarono nella terra, ma quella poca gente che v’era si mise
-francamente a guardare le mura e le porte, per la qual cosa l’oste
-corse danneggiando il contado, e appresso vi si misono ad assedio,
-e stettonvi più dì; ed ebbono novelle, come gente del marchese di
-Monferrato s’era ingrossata a Pavia, per la qual cosa temendo i signori
-di ricevere vergogna in sul Milanese, feciono partire l’oste da Reggio,
-e all’uscita di luglio del detto anno con poco onore si tornarono a
-Milano.
-
-
-CAP. XLII.
-
-_Principio della guerra da’ Fiamminghi a’ Brabanzoni._
-
-Sopravvenendo in questi dì alla nostra materia grande e non pensata
-guerra, e volendone dimostrare la cagione, ci conviene alquanto tornare
-addietro nostra materia. Certa cosa fu, che per antico la villa e
-gli uomini di Mellina in Brabante erano della chiesa cattedrale di
-Legge, ma essendo nella provincia di Brabante e tra’ Brabanzoni, erano
-usati di fare lega col duca di Brabante per essere più sicuri e più
-riguardati, e per antica costuma con ogni novello duca di Brabante
-facevano l’usata lega e compagnia, e ne’ patti tra loro era che ’l duca
-li dovea difendere e aiutare in tutte le loro brighe, e la comune di
-Mellina dovea servire il duca in tutte le loro guerre, essendo i primi
-che venissono al servigio e gli ultimi che si partissono. Avvenne,
-che un duca di Brabante ebbe guerra col vescovo di Legge e fece oste
-sopra le sue terre, nella quale due di Mellina furono in arme contro
-al loro signore; per la qual cosa, finita la guerra, il vescovo andò
-a corte di Roma a Avignone a papa Benedetto sesto, e tanto procacciò,
-ch’egli ebbe di licenza dal papa sotto la sua bolla ch’e’ potesse
-vendere Mellina, e convertire i danari in altre possessioni a utilità
-della chiesa di Legge, il quale di presente si mise in cerca, e venne
-a concordia segretamente col conte di Fiandra per dugento migliaia
-di reali d’oro; e trovato a ciò il sussidio de’ Fiamminghi, pagò il
-vescovo innanzi ch’avesse la possessione della città, pensando, ma non
-saviamente, non avere contasto. Ma incontanente che quelli di Mellina
-sentirono il fatto, andando il conte per la tenuta serrarono le porte,
-e presono l’arme alla difesa e non lo vi lasciarono entrare, e misonsi
-a procacciare di fare ritrattare la vendita; e non potendolo fare,
-ricorsono al duca di Brabante, richieggendolo per li patti della lega e
-compagnia ch’aveano con lui che li dovesse aiutare e difendere, ed egli
-il fece, e fecelo volentieri, parendoli che la villa dovesse essere
-sua, ma non l’avea voluta comperare. Per questa ingiuria il conte
-richiese il re di Francia, il quale avendo conceputo contro al duca di
-Brabante per li fatti del re d’Inghilterra, prese ad aiutare il conte
-di Fiandra. E allora fu fatto grande sommovimento di Tedeschi e di
-Franceschi contro al duca di Brabante, e il conte di Fiandra co’ suoi
-Fiamminghi, per modo che il duca fu recato a grave e pericoloso partito
-di perdere tutta la duchea, e fatto li venia, se non fosse che il conte
-di Bari con tutta sua forza il francò a quella volta, come trovare
-si può nella Cronica di Giovanni Villani nostro antecessore. Per
-questo sdegno preso per lo duca contro al re di Francia incontanente
-si collegò col re d’Inghilterra contro al re di Francia, onde grande
-male ne seguitò a’ Franceschi. Poi morto il duca predetto niella
-generale mortalità lasciò quattro figliuole femmine, che la maggiore
-fu moglie di messer..... fratello uterino di Carlo di Boemia eletto
-re de’ Romani, la seconda fu moglie del conte di Fiandra, la terza del
-duca di Giulieri, la quarta del duca di Ghelleri. E non essendovi reda
-maschio, il conte domandò di volere parte della duchea di Brabante per
-la legittima della moglie; e non potendola avere, perchè si tenne che
-all’anzianità rimanesse la successione del ducato, mosse di rivolere
-Mellina, come sua propria terra comperata dal vescovo di Legge, come
-di sopra è detto, ed essendoli dal nuovo duca dinegata, ne seguirono in
-breve tempo gran cose, come appresso racconteremo.
-
-
-CAP. XLIII.
-
-_Come il conte di Fiandra andò su quello di Brabante._
-
-Di questo mese di giugno 1356, il conte di Fiandra avendo raddomandato
-al cognato duca di Brabante la villa di Mellina che di ragione era
-sua, e non volendogliela rendere, fece bandire per tutta la contea, di
-Fiandra il torto che il duca di Brabante e’ Brabanzoni faceano loro, e
-che catuno s’apparecchiasse d’arme, per seguitare la sua persona contro
-a’ Brabanzoni in Brabante, e in pochi dì ebbe, con apparecchiamento
-fatto di molta vittuaglia e di gran carreaggio, centocinquanta migliaia
-d’uomini armati, quasi tutti a modo di cavalieri, e con essi ebbe
-di suo sforzo e di sua amistà seimila cavalieri; e con questo grande
-esercito, e coll’animo acceso di tutti per l’ingiuria de’ Brabanzoni,
-uscirono di Fiandra, ed entrarono in Brabante per combattersi co’
-Brabanzoni.
-
-
-CAP. XLIV.
-
-_Come si fece accordo sul campo da’ Fiamminghi a’ Brabanzoni._
-
-Il duca di Brabante, ch’era Alamanno, accolse dall’imperadore e da
-altri baroni d’Alamagna molti cavalieri, e apparecchiò in arme i
-Brabanzoni a piè e a cavallo per comune; e sentendosi venire addosso il
-conte di Fiandra co’ Fiamminghi, si fece loro incontro con diecimila
-cavalieri, e con centodieci migliaia di Brabanzoni a piè bene armati.
-Ed essendo accampati l’uno presso all’altro, e cercando di combattere
-insieme più per altiera miccianza che per guerra che tra’ cognati
-fosse, alquanti baroni di catuna parte si mossono per trattare tra
-l’una parte e l’altra accordo, acciocchè a sì grande e pericolosa
-battaglia non si mettessono, e infine vennero a questa concordia:
-che catuno eleggesse quattro buoni uomini di sua parte, e uomini
-d’autorità; e fatta la lezione, fu loro commesso di concordia delle
-parti che dovessono vedere le ragioni che ’l conte di Fiandra avea
-sopra la villa di Mellina e quelle del duca di Brabante, e veduta
-la verità del fatto, incontanente obbligati per loro saramento,
-ricevuto solennemente in presenza di molti baroni, che levato via
-ogni cavillazone o non vere ragioni, e’ giudicherei bono a cui la
-villa di Mellina dovesse rimanere per loro sentenza. I baroni e’
-popoli promisono stare e osservare quello per loro fosse giudicato,
-e gli arbitri giurarono ancora in fra ’l termine loro assegnato avere
-terminata e renduta la loro sentenza. E presa la detta concordia tra
-le parti, catuno dolcemente senz’altro movimento o segno d’alcuna
-arroganza, mansuetamente si ritornarono i Fiamminghi in Fiandra, e’
-Brabanzoni in Brabante, catuno alle sue ville, del mese di giugno del
-detto anno. Lasceremo ora le novità di Fiandra e di Brabante, tanto che
-torni il tempo ove fu abbattuta la superbia del Tedesco e la baldanza
-de’ Brabanzoni, e torneremo alle italiane novità che prima ci occorrono
-a divisare.
-
-
-CAP. XLV.
-
-_Come la città d’Ascoli s’arrendè al legato._
-
-Il valente cardinale legato del papa, avendo duemila barbute a soldo
-della Chiesa, oltre ai molti crociati ch’avea in Romagna, avendo inteso
-come la compagnia ch’usciva del Regno volea passare d’Abruzzi nella
-Marca d’Ancona inverso la città d’Ascoli, s’ingrossò di gente d’arme
-a piè e a cavallo in quelle contrade. Gli Ascolani temendosi della
-compagnia, perchè non erano ancora in accordo col legato, si disposono
-di rendersi a fare la volontà del legato. Il cardinale fu loro benigno
-e mansueto, facendo assai di quello ch’e’ voleano, e del mese di giugno
-del detto anno ricevettono la signoria del legato, e la sua cavalleria
-nella città a ubbidienza di santa Chiesa. E in questi medesimi giorni
-prese il legato accordo col signore di Fabriano, ch’era stato ribello
-a santa Chiesa per animo tirannesco e ghibellino; e col vescovo di
-Fuligno, che tenea la terra per lo detto modo, ogni cosa dissimulava
-con molta provvisione, secondo che ’l tempo glie la richiedea.
-
-
-CAP. XLVI.
-
-_Come il legato procacciò tenere il Tronto alla compagnia._
-
-Avuto che il legato ebbe la città d’Ascoli a’ suoi comandamenti,
-sentendo la compagnia del conte di Lando in Abruzzi a’ confini della
-Marca, e che i danari che ’l re Luigi dovea dare loro perch’elli
-uscissono del Regno veniano, temendo che valicato che avesse il Tronto
-e’ non si stendesse in troppo danno de’ suoi Marchigiani, con grande
-animo raunò al Tronto gran parte della sua cavalleria e il popolo del
-paese, e fece fare in sulla riva del Tronto fossi di grande lunghezza,
-e fortificare con steccati, e faceva continovo di dì e di notte
-guardare i passi, acciocchè la compagnia non entrasse sopra le sue
-terre, e nondimeno tenea col conte capitano della compagnia trattato
-d’accordarsi con lui a suo vantaggio.
-
-
-CAP. XLVII.
-
-_Come i Pisani ruppono la franchigia a’ Fiorentini._
-
-Avvegnachè già per noi addietro sia narrato, come la non domata
-astuzia de’ Pisani avea fatto fare a’ Fiorentini rubellare Sovrana e
-Coriglia, e quelle faceano guardare e fare guerra a’ loro soldati, i
-quali diceano essere loro sbanditi, rompendo per indiretto modo la
-pace a’ Fiorentini, e il comune di Firenze dissimulando l’ingiuria
-per non turbare il tranquillo della pace, ed eglino multiplicando in
-superbia, confidandosi che per cagione del loro porto i Fiorentini
-portassono ogni soma, avendo rivolto lo stato e il reggimento della
-città come addietro è contato, volendo manifestamente rompere i patti
-della pace a’ Fiorentini, e mostrare che ciò non fosse, ordinarono,
-che per cagione che la mercatanzia venisse e stesse sicura nel porto
-e in quel mare, pagasse due danari per lira di ciò che la mercatanzia
-valesse, alla stima de’ loro uficiali ordinati sopra ciò. E sapendo che
-per i patti della pace i Fiorentini doveano essere liberi e franchi
-delle loro mercatanzie, e persone e cose nella loro città, e porto e
-distretto, non glie ne feciono esenti, ma i primi a cui staggirono e
-arrestarono la mercatanzia per la detta gabella furono i Fiorentini.
-Il comune di Firenze sentendo la novità ch’e’ Pisani faceano di torre
-contro a’ patti della pace la franchigia a’ suoi cittadini, vi mandò
-solenni ambasciadori, richieggendo e pregando quello comune che non
-dovesse torre la franchigia debita per gli ordini della pace a’ suoi
-cittadini. La risposta fu, ch’elli erano sotto il governo del loro
-signore messer l’imperadore, e questo era sua fattura, per volere che
-’l porto e ’l mare stesse guardato e sicuro. E non potendosi trarre
-altro da loro, il comune mandò all’imperadore in Boemia a sapere,
-se suo ordine era, e se volea ch’e’ Pisani sotto l’imperiale titolo
-rompessono loro la pace, togliendo la franchigia a’ suoi cittadini.
-L’imperadore udita la novella, gli dispiacque: e incontanente riscrisse
-al nostro comune, che ciò non era fatto di suo volere nè di suo
-sentimento, e che la sua volontà era ch’e’ Pisani mantenessero a’
-Fiorentini la loro franchigia e buona e leale pace; e così riscrisse al
-comune di Pisa per sue lettere, ma poco il curarono, e però poco valse.
-E avuta la risposta dall’imperadore, più pertinacemente tennono fermo
-quello ch’aveano incominciato, e necessità fu a’ mercatanti fiorentini
-a cui era staggita la loro mercatanzia di pagare il dazio, e rompere
-la franchigia, se rivollono la loro mercatanzia. Questo fu il primo
-cominciamento del mese di giugno predetto; come le cose montarono poi
-a grande sdegno, e poi a incitazione di grave turbazione di guerra,
-appresso ne’ tempi come occorsono si potrà trovare, e massimamente nel
-cominciamento dell’undecimo libro della nostra compilazione.
-
-
-CAP. XLVIII.
-
-_Come i Fiorentini deliberarono partirsi da Pisa e ire a Talamone._
-
-Vedendo i Fiorentini la pertinacia de’ Pisani in non volersi rimuovere
-dall’impresa, conoscendo manifestamente che venivano contro a’ patti
-della pace con due maliziosi rispetti; il primo, che non sapeano
-vedere, e non poteano pensare, che per quella lieve gravezza i
-Fiorentini si dovessono sconciare della comodità ch’aveano del loro
-porto per le proprie mercatanzie, e per quelle degli altri mercatanti
-strani da cui aveano a comperare, trovandole in Pisa a una giornata
-presso alla loro città, e trovando in Pisa da’ Pisani la civanza delle
-scritte e della loro credenza; e perocchè partendosi di là la spesa
-e lo sconcio era sformato, non voleano pensare ch’e’ Fiorentini non
-s’acconciassono a consentire questo cominciamento: e quando ciò fosse
-recato in pratica e in usanza, aveano intenzione di venire crescendo
-il dazio a utilità del loro comune, e a servaggio di quello di
-Firenze. L’altro peggiore pensiere si era, se per questo i Fiorentini
-si movessono a guerra, lo stato di coloro che nuovamente reggeano,
-il quale era debole per i molti buoni cittadini cui eglino aveano
-abbattuti dello stato, si fortificherebbe per la guerra de’ Fiorentini,
-e sarebbono seguitati e più ubbiditi dal loro popolo. I Fiorentini
-conoscendo la loro malizia, non vollono però rompere la pace, ma
-tennero più consigli, e trovarono i loro cittadini tutti acconci di
-portare ogni gravezza, e ogni spesa e interesso che incorrere potesse
-all’arti e alla mercatanzia, innanzi che volessono comportare un danaio
-di dazio o di gabella da’ Pisani contro alla loro franchigia. E però
-di presente ordinarono per riformagione penale, che catuno cittadino,
-o contadino, o distrettuale di Firenze, infra certo tempo giusto dato
-loro, catuno si venisse spacciando e ritraendo per modo, ch’al termine
-dato catuno si potesse partire da Pisa senza suo danno: e sopra ciò
-e sopra trovare modo d’avere porto altrove fu fatto un uficio di
-dieci buoni cittadini, due grandi e otto popolani con grande balìa, e
-chiamaronsi i dieci del mare; della quale provvisione seguirono gran
-cose, come innanzi al suo tempo diviseremo.
-
-
-CAP. XLIX.
-
-_Come fu disfatta la città di Venafri in Terra di Lavoro._
-
-Il re Luigi avendo lungamente avuto addosso la compagnia e certi de’
-suoi baroni ribelli, non avea potuto resistere a’ ladroni, e per questo
-erano in ogni parte multiplicati i malfattori, e i baroni si teneano
-in loro fortezze, e davano più rifugio e favore a’ rei che a’ buoni;
-e per tanto il paese era nella forza di chi male volea fare, per tale,
-ch’uno conestabile tedesco, ch’avea nome Currado Codispillo, si rubellò
-al re essendo al suo soldo, e con ottanta barbute e cento masnadieri
-era entrato nella città di Venafri, e tormentava le strade e’ cammini
-e tutto il paese d’intorno, cavalcando in prede e in ruberie infino
-ad Aversa, e ritornavasi in Venafri; e per questo erano assediate le
-strade e’ cammini, ch’e’ mercatanti non poteano andare nè mandare le
-mercatanzie per lo Regno. Sapendo il re che la compagnia era per uscire
-del Regno, fece di subito sua raunata, e in persona cavalcò a Venafri,
-e sopraggiunti li sprovveduti ladroni, combattè la terra ch’avea
-poca difesa, e vinsela, e’ forestieri si fuggirono per la montagna, e
-salvaronsi. Il re nel caldo del suo furore, non pensando che la città
-era sua e antica nel Regno, la fece ardere e disfare, perchè più non
-potesse essere ridotto di ladroni suoi ribelli, e del detto mese si
-ritornò a Napoli, cominciando a essere più ubbidito e temuto che non
-era prima.
-
-
-CAP. L.
-
-_Come l’oste del re d’Ungheria cominciò a venire a Trevigi._
-
-Avendo contato poco addietro il movimento del re d’Ungheria, seguita,
-che a dì 28 del mese di giugno del detto anno, messer Currado Lupo,
-il conte d’Aquilizia, Ilbano di Bossina con quattromila cavalieri
-tedeschi, friolani e ungari vennono sopra la città di Trevigi, la quale
-era a quel tempo sotto la guardia e libera signoria de’ Veneziani; i
-quali avendo poco dinanzi avuta per li loro ambasciadori tornati dal
-detto re risposta della sua intenzione, aveano presa temenza ch’e’ non
-venisse sopra loro a Trevigi, e però in fretta intesono a fornire la
-città di gente d’arme a cavallo e a piè per la difesa, e d’altre cose
-necessarie, ma tanto giunsono tosto i nemici, che a compimento non lo
-poterono fare; nondimeno per levare il ridotto a’ loro avversari arsono
-le villate d’intorno, e i borghi del castello di Mestri. Giunto messer
-Currado Lupo incontenente colle sue masnade tedesche corse il paese, e
-cavalcò infino a Marghera presso di Vinegia a tre miglia di mare in sul
-canale ch’andava a Trevigi, nel quale trovarono più barche cariche di
-vittuaglia e d’arme ch’andavano a Trevigi, le quali prese, e gli uomini
-fece impiccare, e la roba conducere al campo. Costoro cominciarono a
-porre l’assedio alla città, e il re era rimaso addietro a Sigille con
-più di quaranta migliaia d’Ungari a cavallo, per venire appresso al
-detto assedio.
-
-
-CAP. LI.
-
-_De’ parlamenti che per questo si feciono in Lombardia._
-
-Nell’avvenimento della gente del re d’Ungheria a Trevigi, da capo
-presono sospetto tutti i signori lombardi, e quelli di Milano andarono
-in persona a messer Cane Grande, e con lui s’accozzarono al lago di
-Garda a un suo castello, e ivi fermarono tra loro lega e compagnia.
-E alla città di Bologna si ragunarono tutti gli altri collegati
-contro al signore di Milano, e da capo rifermarono loro lega, e di
-comune concordia catuna gente per sè mandò da capo ambasciadori al re
-d’Ungheria, a volere sapere se egli intendea con tanto grande esercito
-quant’egli avea seco fare altra novità in Italia che contro alla città
-di Trevigi; e saputo da lui che non venia per altro che per procacciare
-le sue terre dal comune di Vinegia, rimasono per contenti. E Ilbano
-di Bossina e messer Currado Lupo andarono al signore di Padova che
-vicinava col Trivigiano, e da parte del loro signore gli offersono
-amistà e buona pace e sicurtà del suo paese, pregandolo ch’allargasse
-la sua mano di dare all’oste del re vittuaglia per li loro danari, la
-qual cosa fu promessa con certo ordine a’ detti baroni. E tutte queste
-cose furono mosse e fatte in pochi dì, all’entrare del mese di luglio
-del detto anno.
-
-
-CAP. LII.
-
-_Come il re d’Ungheria ebbe Colligrano._
-
-Colligrano è un grande e forte castello in Trevigiana presso a
-Trevigi a sedici miglia, e in sul passo del Frioli. Questo castello
-aveano ben fornito i Veneziani di gente d’arme per impedire il passo
-al re. In questi dì il re venia con grande esercito verso Trevigi,
-e giunto a Colligrano, vedendolo forte e in sul passo, quanto che
-potesse ben passare per forza della sua cavalleria, non lo si volle
-lasciare addietro, e però mise in ordine gli Ungheri, ch’erano più
-di quarantamila per fare combattere la terra, con intenzione di non
-partirsene ch’e’ l’arebbe. I terrazzani vedendo la moltitudine che
-copriva la terra intorno intorno parecchie miglia, tutti con gli archi
-e colle saette, temendo il pericolo della battaglia, s’arrenderono
-alla persona del re innanzi che battaglia si cominciasse. Ed egli
-in persona, senza lasciare fare loro alcuno male, v’entrò dentro con
-quella gente ch’e’ volle, a dì 12 di luglio del detto anno, e prese la
-signoria in nome dell’imperadore, e fornitolo di suoi cavalieri e d’uno
-confidente capitano, si mise innanzi col suo esercito in verso la città
-di Trevigi.
-
-
-CAP. LIII.
-
-_Come il re d’Ungheria venne a oste a Trevigi._
-
-Essendo il detto re in cammino, prese un’altro castello che si chiama
-Asille, e altre tenute d’intorno senza arrestarsi ad esse, ed ebbele
-a’ suoi comandamenti. E cavalcando innanzi, a dì 14 del detto mese
-giunse nel campo a Trevigi con più di quarantamila Ungheri e Schiavi
-a cavallo, oltre a quelli che prima erano venuti co’ suoi baroni. E
-con questo grande esercito prese tutto il paese intorno a Trevigi, e
-assediò la città e più altre castella in Trevigiana ivi d’intorno; e ’l
-suo proponimento era di non partirsi dall’assedio ch’egli avrebbe la
-città al suo comandamento. Ma le cose alcuna volta non succedono alla
-volontà umana, e però con tutta la smisurata potenza non potè adempiere
-suo proponimento, come leggendo appresso dimostreremo.
-
-
-CAP. LIV.
-
-_Come si reggeano gli Ungheri in oste._
-
-E’ pare cosa maravigliosa agl’Italiani ne’ nostri dì, a udire la
-moltitudine de’ cavalieri che seguitano il re d’Ungheria quando cavalca
-in arme contro i suoi nemici. E però, avvegnachè gli antichi fossono di
-queste cose più sperti, per lo lungo trapassamento di quella memoria
-qui ne rinnoveremo alcuna cosa, per levare l’ammirazione de’ moderni.
-Gli Ungheri sono grandissimi popoli, e quasi tutti si reggono sotto
-baronaggi, e le baronie d’Ungheria non sono per successione nè a vita,
-ma tutte si danno e tolgono a volontà del signore: e hanno per loro
-antica consuetudine ordinate quantità di cavalieri, de’ quali catuno
-barone, e catuno comune hanno a servire il loro re quando va o manda
-in fatti d’arme, sicchè il numero e ’l tempo del servigio catuno sa
-che l’ha a fare. E perocchè alla richiesta del signore subitamente
-senza soggiorno o intervallo conviene che sieno mossi, per questo quel
-comune e quello barone ha diputato quelli che a quel servigio debbino
-continovo stare apparecchiati di doppi cavalli, e chi di più, e di loro
-leggieri armi da offendere, cioè l’arco colle frecce ne’ loro turcassi,
-e una spada lunga a difensione di loro persone. Portano generalmente
-farsetti di cordovano, i quali continovano per loro vestimenta, e
-com’è bene unto, v’aggiungono il nuovo, e poi l’altro, e appresso
-l’altro, e per questo modo gli fanno forti e assai difendevoli. La
-testa di rado armano, per non perdere la destrezza del reggere l’arco,
-ov’è tutta la loro speranza. Gli Ungheri hanno le gregge de’ cavalli
-grandissime, e sono non grandi, e co’ loro cavalli arano e governano
-il lavorio della terra, e tutte loro some sono carrette, e tutti gli
-nudriscono a stare stretti insieme, e legati per l’uno de’ piedi,
-sicchè in catuna parte con uno cavigliuolo fitto in terra li possono
-tenere, e il loro nudrimento è l’erba, fieno e strame con poca biada;
-massimamente quando usano d’andare verso levante, e valicare i lunghi
-diserti. E andando verso que’ paesi, usano selle lunghe a modo di
-barde, congiunte con usolieri; e quando sono in que’ cammini disabitati
-e ne’ loro eserciti, l’uomo e ’l cavallo in sul campo a scoperto cielo
-fanno un letto senz’altra tenda, e in tempo sereno aprono le bande
-delle loro selle a modo di barda, e fannosene materasse, e sopr’esse
-dormono la notte; e se ’l tempo è di piova, che di rado avviene, o
-dell’una parte o d’amendue si fanno coperta, e’ loro cavalli usi a ciò
-non si curano di stare al sereno e alla piova, e non hanno danno in
-que’ paesi che di rado vi piove; altrove non è così, ma pure comportano
-meglio i disagi; e molti ne castrano, che si mantengono meglio, e
-sono più mansueti. Di loro vivanda con lieve incarico sono ne’ diserti
-ben forniti, e la cagione di ciò e la loro provvisione è questa; che
-in Ungheria cresce grande moltitudine di buoi e di vacche, i quali
-non lavorano la terra, e avendo larga pastura, crescono e ingrassano
-tosto, i quali elli uccidono per avere il cuoio, e ’l grasso che
-fanno ne fanno grande mercatanzia, e la carne fanno cuocere in grandi
-caldaie; e com’ell’è ben cotta e salata la fanno dividere dall’ossa,
-e appresso la fanno seccare ne’ forni o in altro modo, e secca, la
-fanno polverezzare e recare in sottile polvere, e così la serbano; e
-quando vanno pe’ deserti con grande esercito, ove non trovano alcuna
-cosa da vivere, portano paiuoli e altri vasi di rame, e catuno per
-sè porta uno sacchetto di questa polvere per provvisione di guerra, e
-oltre a ciò il signore ne fa portare in sulle carrette gran quantità;
-e quando s’abbattono alle fiumane o altre acque, quivi s’arrestano,
-e pieni i loro vaselli d’acqua la fanno bollire, e bollita, vi
-mettono suso di questa polvere secondo la quantità de’ compagni che
-s’accostano insieme; la polvere ricresce e gonfia, e d’una menata o di
-due si fa pieno il vaso a modo di farinata, e dà sustanza grande da
-nutricare, e rende gli uomini forti con poco pane, o per se medesima
-senza pane. E però non è maraviglia perchè gran moltitudine stieno
-e passino lungamente per li diserti senza trovare foraggio, che i
-cavalli si nutricano coll’erbe e col fieno, e gli uomini con questa
-carne martoriata. Ma ne’ nostri paesi, ove trovano il pane e ’l vino
-e la carne fresca, infastidiscono il loro cibo, il quale per dolce
-usano ne’ deserti; e però mutano costume, e non saprebbono vivere di
-quell’impastata vivanda, e però non potrebbono in tanto numero ne’
-nostri paesi durare, che le città e le castella sono forti, e i campi
-stretti e le genti provvedute; e però avviene, che quanti più in numero
-di qua ne passano, più tosto per necessità di vita si confondono. La
-loro guerra non è in potere mantenere campo, ma di correre e fuggire e
-cacciare, saettando le loro saette, e di rivolgersi e di ritornare alla
-battaglia. E molto sono atti e destri a fare preda e lunghe cavalcate,
-e molto magagnano colle saette gli altrui cavalli e le genti a piede, e
-per tanto sono utili ove sia chi possa tenere campo, perocchè di fare
-guerra in corso e tribolare i nemici d’assalto sono maestri, e non
-si curano di morire, e però si mettono a ogni gran pericolo. E quando
-le battaglie si commettono, sempre gli Ungheri si tengono per loro, e
-combattono, partendosi a dieci o quindici insieme, chi a destra e chi a
-sinistra, e corrono a fedire dalla lunga con le loro saette, e appresso
-in su’ loro correnti cavalli si fuggono, e solieno andare senza insegna
-o alcuna bandiera, e senza stromento da battaglia, e a certa percossa
-di loro turcassi s’accoglievano insieme. Abbianne forse oltre al
-dovere stesa nostra materia, ma perchè in questo nostro tempo si sono
-cominciati a stendere nelle italiane guerre, non è male a sapere loro
-condizione.
-
-
-CAP. LV.
-
-_Come l’oste si mantenea a Trevigi._
-
-Stando il re d’Ungheria all’assedio di Trevigi, venne a lui messer Gran
-Cane della Scala con cinquecento barbute di fiorita gente d’arme, e
-ricevuto dal re graziosamente stette a parlamentare con lui in segreto,
-e tornossi a Verona, lasciati al servigio del re que’ cavalieri che
-menati avea con seco, avvegnachè il re, avendo troppa gente della sua,
-non gli arebbe voluti, ma per cortesia gli ritenne. Messer Bernabò di
-Milano gli mandò cinquecento balestrieri, i quali gli furono assai
-a grado; e incontanente il re fece strignere l’oste intorno alla
-città, e rizzarvi da diverse parti da diciotto difici, e cominciava
-a volere fare cave per abbattere le mura, ma di quello quelli della
-città poco si torneano, perocch’ell’è posta in piano, ed è quel piano
-sì abbondante d’acqua viva, che non si può cavare braccia due in
-profondo, che da catuna parte l’acqua surge abbondante e bella. Quelli
-che dentro v’erano alla guardia della città per i Veneziani, vedendo
-l’oste strignersi alle mura della città, francamente si mostrarono
-apparecchiati alla difesa, e contro a’ trabocchi aveano fatti terrati
-e altri utili ripari. Il re e ’l suo consiglio avendo provveduto la
-terra intorno, conobbono che non era cosa possibile a volerla vincere
-per battaglia, avendo difensori come la sentivano fornita, perocchè le
-mura erano forti e alte, e molto bene provvedute e armate, e i fossi
-larghi e pieni d’acqua viva. E per tanto non era da potere sperare
-vittoria, se non per lungo assedio, e a questo si disponea la volontà
-reale, ma la moltitudine de’ suoi Ungheri bestiali e baldanzosi
-generava confusione, che non si poteano reggere nè tenere ordine; e
-però avvenne, non ostante che il re col signore di Padova avesse pace e
-concordia (per la quale mandava ogni dì grande quantità di pane cotto
-all’oste in molte carra, e quattro carrette di vino per mantenere in
-dovizia l’oste, senza quella vittuaglia che le singulari persone del
-suo contado vi portavano) e in patto era che il suo contado e distretto
-dovea essere salvo e sicuro da tutto l’esercito del re, che non ostante
-le dette promesse gli Ungheri cavalcavano di loro movimento in sul
-Padovano, uccidendo ardendo e rubando, e facendo preda come sopra i
-nemici; onde il signore si turbò, e non mandò più nel campo l’ordinata
-vittuaglia, e’ paesani per non essere rubati si rimasono di portarvene,
-per la qual cosa il grande esercito cominciò a sentire difetto, e
-sformata carestia delle cose da vivere oltre all’usato modo. Lasceremo
-alquanto questa materia, per dare all’altre cose che occorsono alla
-fine di questo assedio il loro debito.
-
-
-CAP. LVI.
-
-_Come la gran compagnia passò nella Marca._
-
-All’uscita del mese di luglio del detto anno, il conte di Lando colla
-sua compagnia uscì del Regno per la via della marina di san Fabiano.
-La forza del legato ch’era in sul Tronto non si potè tanto stendere
-che la compagnia inverso la marina non valicasse il fiume, e valicati
-senza contasto, si dirizzarono verso Fermo, e tra la città d’Ascoli e
-di Fermo posono loro campo; nel quale si trovarono duemilacinquecento
-barbute ben montati e bene in arme, e gran quantità di cavallari e di
-saccomanni in ronzini e in somieri, e mille masnadieri, e barattieri,
-e femmine di mondo, e bordaglia da carogna bene più di seimila.
-Essendosi accampati, sentirono come il legato era forte di gente d’arme
-e apparecchiato a tenerli stretti dalle gualdane, e però cercarono
-accordo con lui, e vennero a’ patti, che promisono in dodici dì essere
-fuori della Marca d’Ancona, senza fare prede o danno al paese, e che
-prenderebbono derrata per danaio, e’ paesani doveano apparecchiare la
-vittuaglia al loro trapasso. Seguirono i patti, ma non del termine, e
-dovunque tenevano campo non poteano fare senza grave danno de’ paesani;
-e a dì 10 del mese d’agosto furono passati in Romagna.
-
-
-CAP. LVII.
-
-_De’ fatti dell’isola di Cicilia._
-
-In questi tempi nell’isola di Cicilia avvenne, che essendo morto
-Lodovico che si faceva dire re, e un suo fratello, ch’erano in guardia
-della setta de’ Catalani, l’altra parte della setta degl’Italiani,
-ond’erano capo i conti della casa di Chiaramonte, i quali s’erano
-accostati col re Luigi di Puglia, presono più ardire, e’ Catalani e’
-loro seguaci n’abbassarono; e per questo avvenne, che messer Niccola
-di Cesaro con alquanti grandi cittadini di Messina i quali erano
-stati cacciati di Messina vi ritornarono; e questo messer Niccola
-essendo cacciato della terra, s’era ridotto di volontà del re Luigi
-nel castello di Melazzo, e fatto capitano de’ cavalieri del detto re
-Luigi per guardare il castello e guerreggiare i Messinesi. Costui
-ritornato in Messina co’ suoi consorti e con altri di suo seguito,
-molto segretamente si cominciò a intendere co’ caporali di Chiaramonte,
-e all’entrata di luglio del detto anno, provveduto a’ suoi segreti,
-fece muovere certi di sua setta, i quali cominciarono mischia con
-quelli cittadini ch’erano avversari di messer Niccola, e che l’aveano
-tenuto fuori di Messina. Essendo per questa novità la terra a romore,
-come ordinato era, messer Niccola ebbe di subito da Melazzo dugento
-cavalieri che v’erano del re Luigi e quattrocento fanti, i quali mise
-nella città, e con loro e con suo seguito di cittadini corse la terra,
-e caccionne fuori diciannove famiglie de’ suoi avversari, e tutti
-gli fece rubare, e fecesene signore, non per titolo, ma come maggiore
-governava il reggimento di quella. E così in tutte le parti dell’isola
-erano dissensioni e brighe per le maladette sette, ma l’una calava e
-l’altra montava con continove uccisioni e guastamento del paese; e già
-per terre che ’l re Luigi v’avesse o per sua forza di gente, che ve ne
-manteneva poca per povertà di moneta, lievemente montava al fatto. La
-divisione de’ paesani mutava la loro fortuna, come seguendo nel loro
-tempo si potrà vedere.
-
-
-CAP. LVIII.
-
-_Come il conte di Lancastro cavalcò fino a Parigi._
-
-Del mese di luglio del detto anno, il conte di Lancastro con
-due fratelli del redi Navarra, con quattromila cavalieri e molti
-arcieri inghilesi, per fare maggiore onta al re di Francia, sentendo
-s’apparecchiava di molta baronia, si misono a cammino, scorrendo i
-paesi inverso la città di Parigi, facendo col fuoco gran danno alle
-villate di fuori e predando in ogni parte, e misonsi tanto innanzi,
-che a una giornata s’appressarono a Parigi. Sentendo che ’l re
-s’apparecchiava di venire contro a loro con diecimila cavalieri e
-grande popolo, diedono la volta girando il paese, e facendo continovi
-danni e gravi si ridussono in Normandia a un castello che si chiamava
-Bertoglio, innanzi al quale fermarono loro campo per difenderlo,
-avvisando che ’l re di Francia il dovesse fare assediare, perocchè
-tribolava col ricetto degl’Inghilesi tutta Normandia.
-
-
-CAP. LIX.
-
-_Come il re di Francia andò in Normandia._
-
-Il re di Francia infocato di sdegno più contro a messer Filippo di
-Navarra che gli era venuto addosso, che contro al duca di Lancastro,
-sentendo che s’era ridotto nel Castello di Bertoglio sotto la guardia
-degl’Inghilesi, di presente in persona si mosse da Parigi con quella
-cavalleria ch’avea accolta, lasciando d’essere seguito dagli altri,
-e dirizzossi in Normandia verso Bertoglio; e trovandosi con più di
-diecimila cavalieri, e con grande moltitudine di sergenti, si mise
-a campo presso a’ suoi nemici, a intenzione di combattere con loro.
-Il conte di Lancastro avvisato guerriere, sentendosi il re appresso
-con molto maggior forza che la sua, ebbe un suo avvisato scudiere e
-ben parlante, il quale mandò al re di Francia, e fecelo richiedere di
-battaglia. Il re allegramente ricevette il gaggio della battaglia,
-facendo allo scudiere larghi doni; il quale volendo dimostrare
-ch’avesse amore al re, in sul partire gli disse, che la venuta del
-conte alla battaglia sarebbe innanzi dì, dicendogli, che per tempo si
-dovesse apparecchiare. Il re mucciando gli disse, che di ciò non si
-curava; venisse quando volesse, pure che venisse alla battaglia; ma le
-parole dello scudiere furono molto piene di malizia, perocchè sapendo
-che ’l conte la notte si dovea partire, disse questo acciocch’e’
-Franceschi sentendo il movimento credessono che ciò fosse apparecchio
-di battaglia e non di fuga, e così avvenne, che ’l conte di Lancastro,
-e messer Filippo di Navarra in quella notte, facendo fare gran vista
-nel campo e gran romore, chetamente si ricolsono, e partirono colla
-loro gente. Il re la mattina scoperto il baratto degl’Inghilesi si
-mise a oste al castello con proponimento di lasciare gli altri assalti
-degl’Inghilesi, e attendere a racquistare le terre che rubellate gli
-erano in Normandia. In questo tempo il duca di Guales faceva alle terre
-del re di Francia grandi guerre in Guascogna, ma però il re non si
-volle partire dall’assedio di Bertuglio infino a tanto che l’ebbe a’
-suoi comandamenti, arrenduti al re salve le persone, e così fu fatto;
-avendo il re vittoria d’avere cacciati con vergogna i nemici, e vinto
-il castello.
-
-
-CAP. LX.
-
-_Come il papa e l’imperadore diedono titolo al re d’Ungheria._
-
-In questi tempi mostravano il papa e’ cardinali grande affezione al
-re d’Ungheria, o che fosse procaccio del detto re, che spesso avea in
-corte suoi ambasciadori, o che motivo fosse della Chiesa per fargli
-onore, a dì quattro del mese d’agosto del detto anno, il papa e i
-cardinali di concordia in consistoro il pronunziarono e dichiararono
-gonfaloniere di santa Chiesa contro agl’infedeli. In questo medesimo
-tempo, essendo il detto re all’assedio di Trevigi, l’imperadore il fece
-suo vicario nella guerra de’ Veneziani, ed egli levò nel campo la sua
-insegna, e tutte le terre che per lui s’acquistavano riceveva in nome
-dell’imperadore.
-
-
-CAP. LXI.
-
-_Come i Fiorentini s’accordarono di fare porto a Talamone._
-
-Avemo narrato addietro, come il comune di Firenze per lo torto
-ch’e’ Pisani faceano a’ suoi cittadini, d’avere levata loro la
-franchigia contro a’ patti della pace, essendo venuto il termine che
-i mercatanti s’erano partiti da Pisa, e ritrattone le mercatanzie e’
-danari, del presente mese d’agosto del detto anno, avendo i dieci del
-mare lungamente trattato col comune di Siena di volere far porto a
-Talamone, recato l’acconciamento del porto e del ridotto in terra,
-e della guardia, che da loro parte era a fare, e del dirizzamento
-del cammino, e dell’albergherie, e appresso di quello che per dazio
-e gabelle la mercatanzia de’ Fiorentini avesse a pagare, in piena
-concordia, per riformagioni de’ consigli di catuno comune, si fermò
-per dieci anni di fare i Fiorentini porto là e ridotto a Siena, e i
-Sanesi di conservare i patti promessi. È vero, che tra gli altri patti
-era promesso di sbandire le strade da Siena a Pisa per divieto d’ogni
-mercatanzia, ma questo non osservarono i Sanesi, anzi correa il cammino
-dall’una città all’altra in grande acconcio de’ Pisani. Avvedendosene
-i Fiorentini, se ne dolsono, ma ’l reggimento del comune di Siena non
-se ne movea. Vedendo de’ cittadini che voleano s’attenesse la fede al
-comune di Firenze, e che i loro rettori non lo faceano, ordinarono,
-che certi sbanditi loro cittadini rompessono e rubassono la strada e
-la mercatanzia, e forse fu d’assentimento de’ rettori per coprirsi
-al comune di Pisa. Costoro feciono volentieri il servigio per modo
-che ’l cammino al tutto per terra fu loro tolto. E i Pisani sopra gli
-altri Toscani saputi e maliziosi, a questa volta si trovarono presi
-nella loro malizia; perocchè incontanente che i Fiorentini presono
-porto a Talamone e ridotto a Siena, tutti gli altri mercatanti d’ogni
-parte abbandonarono il porto e la città di Pisa, e votarono la città
-d’ogni mercatanzia, e le case dell’abitazioni, e ’l mestiere delle
-loro mercerie, e gli alberghi de’ mercatanti e de’ viandanti, e’
-cammini de’ vetturali, e ’l porto delle navi, per modo che in brieve
-tempo s’avvidono, che la loro città era divenuta una terra solitaria
-castellana; e nella città n’era contro a’ loro rettori grande repetio.
-Allora s’accorsono senza suscitamento di guerra quanto guadagno tornava
-al loro comune per avere rotta la pace e la franchigia a’ Fiorentini.
-Allora cominciarono a cercare ogni via e modo, con ogni vantangio che
-volessono i Fiorentini, di ritornarli a stare in Pisa; ma i Fiorentini,
-sdegnati della fede rotta pe’ Pisani cotante volte al loro comune, non
-poterono essere smossi del fermo proposito di fare col fatto conoscenti
-i Pisani, che i Fiorentini poteano ben fare le mercatanzie per terra
-e per mare senza loro, ed eglino male usare il porto, e’ mercatanti,
-e la mercatanzia, e l’arti, e’ mestieri a utilità de’ loro cittadini,
-e l’entrate del loro comune senza i Fiorentini. E perchè per indietro
-non si potessono atare, si fece divieto in tutto il distretto di
-Firenze d’ogni mercatanzia o roba ch’andasse o venisse verso Pisa,
-senza rompere il cammino a’ viandanti. E di questo seguitarono appresso
-maggiori cose per mare e per terra, come leggendo innanzi per li tempi
-si potrà trovare,
-
-
-CAP. LXII.
-
-_Come messer Bruzzi cercò di tradire il signore di Bologna._
-
-Messer Bruzzi, figliuolo non legittimo che fu di messer Luchino signore
-di Milano, essendo per sospetto de’ signori di Milano cacciato di
-quella, e per sue cattive operazioni stato in ribellione più tempo,
-vedendosi messer Giovanni da Oleggio molto solo di confidenti nella sua
-signoria, e conoscendo messer Bruzzi pro’ e ardito, e bene avvisato in
-guerra e di gran consiglio, il recò a sè, parendogli potersi confidare
-di lui, e assegnogli larga provvisione, e facevagli onore, e tutte le
-maggiori cose di fatti d’arme li commettea; e oltre a ciò in camera
-l’avea a’ suoi segreti consigli, e mostravagli tanto amore, ch’e’
-Bolognesi temevano, che se messer Giovanni morisse costui non rimanesse
-signore; ma l’animo tirannesco affrettando l’ambizione della signoria
-li gravava d’attendere, e però cercava di fornirlo più tosto, e trattò
-di torre la signoria a messer Giovanni, ma non seppe fare il trattato
-sì coperto che a messer Giovanni, ch’era maestro di buona guardia e di
-savia investigagione, non li venisse palese. E tornando messer Bruzzi
-di fuori con molta gente d’arme in Bologna con grande pompa, messer
-Giovanni mandò per lui, e avendolo in camera, li rammentò l’onore
-e ’l beneficio che gli avea cominciato a fare, e l’animo ch’avea di
-farlo grande; e appresso li mostrò il trattato ch’e’ tenea per torli
-la signoria di Bologna sì aperto, ch’e’ non glie lo potè negare: ma
-per amore della casa de’ Visconti, dond’era nato, gli disse, che li
-perdonava la morte; ma per vendetta dello sconoscimento dell’onore che
-gli avea fatto trovandolo traditore il fece spogliare in giubbetto, e
-cacciare a piè fuori di suo distretto incontanente, e diede congio a
-tutta sua famiglia, e ritenne l’arme gli arnesi e i cavalli.
-
-
-CAP. LXIII.
-
-_Come i Veneziani cercarono accordo col re d’Ungheria._
-
-Di questo mese d’agosto del detto anno, vedendo i Veneziani essere
-recati a mal partito nella guerra col re d’Ungheria, signore di così
-gran potenza, e pensando che per lo cominciamento della guerra i loro
-cittadini erano per le spese loro premuti dal comune infino al sangue,
-pensarono ch’altro scampo non era per loro se non di procacciare la sua
-pace; e però elessono parecchi de’ maggiori e de’ più savi cittadini
-di Vinegia, e mandaronli al re nel campo a Trevigi con pieno mandato,
-informati dell’intenzione e volontà del loro comune, e giunti al re, da
-lui furono ricevuti onorevolemente; ed essendo a parlamento con lui,
-gli offersono da parte del comune di Vinegia, come quando potessono
-avere da lui buona pace, che ’l comune lascerebbe la città di Giara,
-con patto ch’ella dovesse rimanere nel primo stato in sua libertà,
-e che renderebbono liberamente certe terre nomate della Schiavonia
-a sua volontà, e certe altre voleano ritenere e riconoscere da lui,
-con quello convenevole censo a dare ogn’anno al re ch’a lui piacesse,
-e offerendoli di ristituire per tempo ordinato quella quantità di
-pecunia per suoi interessi e spese che fosse convenevole, e di che egli
-giustamente si potesse contentare. Al re parve strano ch’e’ volessono
-trarre Giara del suo reame e metterla in libertà, e che per patto li
-convenisse lasciare le sue terre al comune di Vinegia a censo; e questo
-riputava in vergogna della sua corona, e però non volle consentire
-a questa pace, nè a questo accordo, se liberamente non gli fossono
-restituite le terre del suo reame. Molti di questo biasimarono il re,
-parendo ch’egli dovesse avere preso questo accordo con suo vantaggio,
-per quello ch’appresso ne seguitò di suo poco onore, ma chi riguarderà
-al fine e alla potenza reale non li darà biasimo della sua alta
-risposta.
-
-
-CAP. LXIV.
-
-_Come il signore di Bologna scoperse un altro trattato contro a sè._
-
-Messer Bernabò di Milano, avendo sopra all’altre cose cuore a’ fatti
-di Bologna, come avea ordinato l’uno trattato contro al signore di
-Bologna, e era scoperto, così avea ricominciato l’altro: apparve cosa
-maravigliosa, che tutti si scoprivano per sè stessi per non pensati nè
-provveduti modi. Avea in questi dì messer Giovanni da Oleggio fatto
-podestà di san Giovanni in Percesena, e datali provvisione in altre
-terre circustanti, un Milanese, in cui avea grande e antica confidanza.
-Tanto seppe adoperare messer Bernabò, che corruppe questo podestà
-milanese, e corruppe il suo cancelliere, il quale dovea fare lettere
-da parte del signore per certo modo come volea il detto podestà; e già
-ogni cosa era recata in opera per modo, ch’era mossa la cavalleria che
-dovea entrare nelle castella sotto il titolo delle lettere del signore
-di Bologna, e mandò messer Bernabò un suo fidato messaggere innanzi
-al podestà di san Giovanni colle sue lettere. Avvenne che in quel dì,
-alcune ore innanzi che ’l fante giugnesse al castello di san Giovanni,
-il podestà era ito a Bologna; il fante li tenne dietro, e cominciò
-infra sè a dubitare delle lettere che portava, perocchè sentiva della
-cagione perch’egli andava; e giunto a Bologna, trovo che ’l podestà
-era col signore, e allora li montò più il sospetto, immaginando
-che ’l trattato fosse scoperto, e per campare sè, tanto fu forte la
-sua immaginazione ch’e’ si mise ad andare al signore, e con grande
-improntitudine fece d’avere udienza da lui, e allora li manifestò il
-fatto; e per provare la verità li diè le lettere di messer Bernabò
-ch’e’ portava al podestà, per le quali fu manifesto che san Giovanni,
-e Nonantola e altre castella, in uno dì doveano essere date per lo
-trattato del podestà alla gente di messer Bernabò, il quale era ancora
-in casa del signore; messer Giovanni vedute quelle lettere e disaminato
-il fante, fece ritenere il podestà e il cancelliere, è ritrovata
-con loro la verità del fatto, e colpevoli, di presente provvide alla
-guardia delle terre, e costoro con anche dieci di loro seguito fece
-morire.
-
-
-CAP. LXV.
-
-_Di certa novità che gli Ungheri feciono nel campo a Trevigi._
-
-La disordinata moltitudine de’ cavalieri ungheri, che a modo di
-gente barbara non sanno osservare la disciplina militare, nè essere
-ubbidienti a’ loro conducitori, come detto è poco addietro, aveano
-scorso il Padovano, perchè la vittuaglia che di là solea venire non
-venia, e la carestia montava nel campo. Per la qual cosa al primo
-fallo n’arrosono uno maggiore, e presono riotta co’ cavalieri tedeschi
-che v’erano con messer Currado Lupo e con gli altri conestabili
-tedeschi che fedelmente servivano il loro signore, e per arroganza
-li villaneggiavano; e fatto questo, corsono con furore alla camera
-dove il re avea ordinato il fornimento della vittuaglia e dell’altre
-cose per conservare l’oste, e rubaronla; e così in pochi dì ebbono a
-tanto condotta l’oste, sconciando l’ordine che la mantenea, che per
-necessità fu costretto il re di partirsi dall’assedio, come appresso
-diviseremo: verificandosi quel detto del filosofo il quale disse: che
-le sopragrandi cose reggere non si possono, e quelle che reggere non si
-possono, lungamente durare non possono.
-
-
-CAP. LXVI.
-
-_Come il re d’Ungheria si levò da oste da Trevigi._
-
-Il re d’Ungheria vedendo l’oste sua sconcia per la sfrenata baldanza
-della moltitudine de’ suoi Ungheri, e che i difetti della vittuaglia
-erano senza rimedio, si pentè di non avere presa la concordia
-che potuta avea prendere con suo onore co’ Veneziani; ed essendo
-naturalmente di subito movimento, senza deliberare con altro consiglio,
-improvviso a tutti, a dì 23 del mese d’agosto del detto anno si
-partì dall’assedio di Trevigi, ov’era con più di trecento migliaia di
-cavalieri, è passò la Piave raccolta tutta sua gente a salvamento;
-perocchè quelli della città nè segno nè avviso n’ebbono ch’e’ si
-dovesse partire, e alcuni dì stettono innanzi che pienamente si potesse
-credere la loro partita. A Colligrano fu la loro raccolta, e in quella
-terra lasciò duemila cavalieri ungari alla guardia della terra per
-fare guerra a Trevigi, ed egli con tutto l’altro esercito si tornò in
-Ungheria con poco onore della sua impresa a questa volta.
-
-
-CAP. LXVII.
-
-_Raccoglimento di condizioni, e movimento del re._
-
-Questo re d’Ungheria, per quella verità che sapere ne potemmo, è uomo
-di gran cuore, pro’ e ardito di sua persona, e nelle prosperità di
-grandi imprese molto animoso, rigido e fiero in quelle, e molto si fa
-temere a’ suoi baroni, e vuole avere presti i loro debiti servigi; è
-grande impigliatore senza debita provvedenza; e a sua gente in fatti
-d’arme è più abbandonato e baldanzoso che provveduto, per la soperchia
-fidanza, che havea in loro ed eglino in lui, perocchè molto è cortese
-a tutti e di buona aria; assai volte ha mostrati esempi di subiti e
-lievi movimenti nelle grandi cose, e l’avverse sa meglio abbandonare,
-partendosi da esse, che stando con virtù resistere a quelle.
-
-
-CAP. LXVIII.
-
-_Come la gente della lega di Lombardia sconfisse il Biscione a Castel
-Lione._
-
-Essendo lungamente stato assediato il forte Castel Leone de’ Mantovani
-dalla forza de’ signori di Milano, e recato a stretto partito, i
-signori di Mantova coll’aiuto del marchese di Ferrara e del signore
-di Bologna raunate subitamente, all’uscita d’agosto anno detto, mille
-dugento barbute e grande popolo per soccorrere il castello, s’avviarono
-molto prestamente verso il campo de’ nemici, i quali vedendosi venire
-improvviso addosso i Mantovani si levarono dall’assedio, e ordinarono
-una grossa schiera alla loro riscossa e innanzi che la gente de’
-Mantovani giugnesse al campo, si ridussono a uno castello ivi presso
-de’ loro signori di Milano; ma la schiera fatta per la riscossa fu
-soppressa dalla gente de’ Mantovani e sconfitta, e morti e presi la
-maggior parte, e ’l castello liberato dall’assedio; e rifornito di
-nuova gente e di molta vittuaglia con vittoria si tornarono al loro
-signore, avendo vituperata la gente de’ signori di Milano di quella
-loro lunga impresa.
-
-
-CAP. LXIX.
-
-_Trattati de’ Ciciliani._
-
-Detto abbiamo addietro, come certi potenti cittadini della città di
-Messina nominati que’ di Cesare cacciarono della città altri cittadini
-loro avversari, e rimasi i maggiori, s’accostarono co’ baroni di
-Chiaramonte, i quali teneano col re Luigi del Regno. Nondimeno perchè
-a loro parea essere nell’isola i maggiori, eziandio senza l’aiuto del
-detto re, e’ cercarono di riducere a loro Federigo loro legittimo
-signore, e trarlo delle mani de’ Catalani, e conducerlo a Messina
-e farlo coronare dell’isola. E per dimostrare che eglino avessono
-affezione al loro signore naturale dell’isola, messer Niccola di Cesaro
-in persona, a cui il re Luigi avea accomandata la terra di Melazzo,
-andò là con gente d’arme, e fece per più di combattere coloro che
-per lo re guardavano la rocca, tanto che l’ebbe. Per la qual cosa i
-Messinesi presono molta confidanza di messer Niccola, e don Federigo
-medesimo prese speranza e diede intenzione di venire a Messina, e per
-tutto si divolgò che l’accordo di Cicilia era fatto. Ma o che questo
-trattato fosse fatto ad ingegno di malizia, come si credette, o che
-la setta de’ Catalani non si fidasse, la cosa si ruppe tra’ Ciciliani,
-e seguitonne la chiamata a Messina del re Luigi, come appresso al suo
-tempo, conseguendo nostra materia, diviseremo.
-
-
-CAP. LXX.
-
-_Come la compagnia stette sopra Ravenna._
-
-Venuta la compagnia del conte di Lando del Regno in Romagna, il
-legato per tema de’ baratti di quella gente senza fede si ritrasse
-dall’assedio di Cesena, e dalla cominciata guerra contro al capitano
-di Forlì, pensando saviamente i pericoli che occorrere li poteano.
-Il capitano a quella compagnia dava il mercato, e a’ capitani e
-a’ maggiori conestabili facea doni per avere il loro aiuto: e la
-moltitudine di quello esercito si stava in sul contado di Ravenna
-facendo danno di prede, e minacciando di dargli il guasto, se ’l loro
-signore messer Bernardino da Polenta non desse loro danari. Ma egli,
-essendo molto ricco di moneta, chiamò a consiglio i Cittadini di
-Ravenna; e con loro ordinò il modo dell’ammenda del guasto, e volle in
-questo caso, come valoroso tiranno, innanzi sodisfare il danno a’ suoi
-cittadini, che sottomettersi al tributo della compagnia. Onde molto
-fu commendato da’ savi; perocchè del guasto la compagnia fa danno a sè
-senza trarne alcun frutto, e il trarre danari da’ signori e da’ comuni
-è un accrescere baldanza e favore a mantenere le compagnie e servaggio
-de’ popoli.
-
-
-CAP. LXXI.
-
-_Come i Fiorentini ordinarono di fare balestrieri._
-
-Sentendo i Fiorentini la gran compagnia in Romagna, e che ’l termine
-promesso per quella di non gravare i Fiorentini compieva, si provvidono
-d’alquanti cavalieri, e mandaronli in Mugello per contradire i passi
-dell’alpe, e feciono eletta nella città e nel contado di balestrieri, e
-del mese di luglio del detto anno feciono mostra di duemilacinquecento
-balestrieri sperti del balestro, tutti armati a corazzine, e mandaronne
-a’ passi dell’alpe, e senza arresto, ne compresono appresso fino
-in quattromila, tutti con buone corazzine, della qual cosa le terre
-vicine ghibelline, e guelfe di Toscana, che allora viveano in sospetto,
-stavano in gelosia e in guardia, e la compagnia medesima ne cominciò a
-dottare. Nondimeno il comune, per savia e segreta provvidenza, mandò
-alcuni cittadini per ambasciadori alla compagnia, i quali teneano
-ragionamento di trattato, e passavano tempo, e tentavano con ispesa
-di trarre de’ caporali della compagnia e conducergli a soldo; e per
-questo modo temporeggiando co’ conducitori di quella, tanto che il
-grano e i biadi del nostro contado fu fuori de’ campi, e ’l comune
-fortificato di cavalieri, e masnadieri, e balestrieri, e presi i passi
-in tutta l’alpe, ove potea essere il passo alla compagnia, si ruppono
-dal trattato, e tornaronsi a Firenze. La compagnia, sentendo il comune
-di Firenze provveduto contro a sè, con accrescimento di sdegno perdè
-la speranza d’entrare a fare la ricolta tributaria in Toscana, e però
-tenne co’ Lombardi suo trattato, il quale fornì, come innanzi al suo
-tempo racconteremo.
-
-
-CAP. LXXII.
-
-_L’ordine ch’e’ Fiorentini presono per mantenere i balestrieri._
-
-Piacendo a’ Fiorentini molto il nuovo trovato de’ balestrieri, il
-fermarono con ordine, e nella città n’elessono ottocento, tutti
-balestrieri provati, partendoli per gonfalone, e a venticinque davano
-un conestabile, e le balestra e le corazze di catuno inarcavano del
-marco del comune, e per simile modo n’elessono nel contado, dandone
-secondo l’estimo cotanti per cento, e appresso nel distretto ne
-feciono scegliere a catuna comunanza, terra o castello quelli che si
-conveniano, tanti che in tutto n’ebbono quattromila; e ordinarono
-per li loro soldi certa entrata del comune, e che catuno de’ detti
-balestrieri, non andando al servigio del comune, standosi a casa
-sua avesse ogni mese soldi venti di provvisione dal comune, e ’l
-conestabile soldi quaranta, e dovessono stare apparecchiati a ogni
-richiesta del comune; e quando il comune li mandasse o tenesse in suo
-servigio, dovessono avere il mese fiorini tre di soldo, e ogni capo di
-tre o di quattro mesi erano tenuti a volontà degli uficiali deputati
-sopra loro, ch’erano due cittadini per catuno quartiere, colle loro
-balestra e colle corazze marcate del marco del comune. E oltre a ciò,
-a ogni rassegnamento gli uficiali facevano fare per ogni gonfalone
-un bello e nobile balestro e tre ricche ghiere, il quale poneano in
-premio e in onore di quel balestriere della compagnia del gonfalone,
-che tre continovi tratti saettando a berzaglio vinceva gli altri; e
-ancora così faceano ne’ comuni del contado per esercitare gli uomini,
-per vaghezza dell’onore, a divenire buoni balestrieri; e fu cagione di
-grande esercitamento del balestro, tanto che tra sè nella città e nel
-contado ogni dì di festa si ragunavano insieme i balestrieri a farne
-loro giuoco e sollazzo per singulare diporto.
-
-
-CAP. LXXIII.
-
-_Come i Trevigiani furono soppresi dagli Ungheri con loro grave danno._
-
-Tornando un poco nostra materia, a’ fatti di Trevigi, avendo veduto
-coloro ch’erano per i Veneziani alla guardia di Trevigi la subita
-partita del re d’Ungheria e del suo grande esercito, cominciarono a far
-tornare i lavoratori nel contado, e conducervi il bestiame, e sparti
-per le contrade. Gli Ungheri ch’erano rimasi a Colligrano e per le
-terre vicine, sentendo il paese pieno di preda, mandarono scorrendo di
-loro Ungheri fino presso a Trevigi intorno di quattrocento cavalli, i
-quali raunarono d’uomini e di bestiame una grande preda; i cavalieri
-e’ balestrieri ch’erano in Trevigi con loro capitani veneziani, per
-risquotere la preda gagliardamente uscirono fuori più di cinquecento
-cavalieri e assai masnadieri, i quali di presente s’aggiunsono con
-gli Ungheri; ed eglino si cominciarono a difendere andando verso i
-nemici, e voltando e appresso ritornando; e continovo si ritraevano,
-ove sapevano ch’era l’aguato della loro gente, non facendone alcuno
-sembiante; e così continuando, e perseguitandoli i Trevigiani, gli
-ebbono condotti dov’erano riposti in aguato ottocento de’ loro Ungheri,
-i quali di subito uscirono addosso a’ Trevigiani, e rinchiusi tra loro,
-più di dugento n’uccisono in sul campo, e presonne più di trecento, e
-menaronsene i prigioni e la preda, avendo più danno fatto a’ Veneziani
-e a quelli del paese in questa giornata, che il re nell’assedio con
-tutto il suo esercito; e questo fu a dì 23 del mese d’agosto anno
-detto.
-
-
-CAP. LXXIV.
-
-_Come il Regno era d’ogni parte in guerra._
-
-Essendo, come detto abbiamo poco innanzi, uscita la compagnia del
-reame, il re rimaso povero d’avere e di gente d’arme non potea riparare
-alla forza de’ ladroni che per tutto scorrevano il reame, ricettati da’
-baroni ch’erano scorsi a mal fare, e partivano le ruberie e le prede
-con loro; e di verso le parti di Campagna centocinquanta cavalieri,
-ch’erano rimasi della compagnia, tribolavano tutto il paese d’intorno,
-e rubavano e rompevano le strade e’ cammini, e così gli altri caporali
-de’ ladroni facevano in principato e in Terra di Lavoro; e in Puglia il
-paladino col favore del duca di Durazzo, faceva il simigliante, e con
-ottocento barbute avea assediato Sanseverino, scorrendo e rubando tutto
-il piano di Puglia; e per questo il Regno era in maggiore tempesta che
-quando v’era la gran compagnia, e niuno cammino v’era rimaso sicuro;
-catuna parte del Regno era corrotta a mal fare, fuori che le buone
-terre, per gran colpa della mala provvedenza del re loro signore, che
-fuori de’ suoi diletti poco d’altro si mostrava di curare.
-
-
-CAP. LXXV.
-
-_Come i collegati condussono la compagnia al loro soldo._
-
-La compagnia del conte di Lando stando lungamente sopra il contado di
-Ravenna, e premendo per via d’aiuto gravemente i Forlivesi, conosciuto
-che per lo riparo e provvedenza del comune di Firenze a loro era
-malagevole e pericoloso entrare in Toscana, s’accordarono d’andare
-a servire i collegati contro a’ signori di Milano in Lombardia; e
-condotti per quattro mesi per quelli della lega, promisono di stare
-il detto tempo sopra le terre de’ signori di Milano guerreggiando il
-paese a loro utilità; e a dì 18 del mese di settembre anni Domini 1356
-si partirono di Romagna, e presono loro cammino in Lombardia, e tra
-Bologna e Modena attesono l’altra forza de’ collegati e ’l capitano
-ch’appresso diviseremo.
-
-
-CAP. LXXVI.
-
-_De’ fatti de’ collegati di Lombardia._
-
-Erano in questo tempo collegati contro a’ signori di Milano il signore
-di Mantova, il marchese di Ferrara e ’l signore di Bologna, nominati
-caporali, avvegnachè assai degli altri tacitamente teneano con loro; e
-avendo procacciato d’avere la compagnia al loro servigio, come detto è,
-trattarono coll’imperadore d’avere capitano da lui a quell’impresa, e
-l’imperadore avendo l’animo contro a’ signori di Milano, i quali avea
-trovati molto potenti, avendo in Pisa per suo vicario messer Astorgio
-Marcovaldo vescovo d’Augusta, uomo valoroso in arme e di grande
-autorità, per non volersi scoprire manifestamente contro a’ tiranni,
-concedette la libertà al vescovo, e in segreto l’ordinò suo vicario,
-e a ciò li concedette tacitamente suoi privilegi, commettendoli che
-ciò non manifestasse se non quando sopra loro si vedesse in gran
-prosperità, sicchè con onore dell’imperio il potesse fare, altrimenti
-nol facesse, ma mostrasse da sè fare quell’impresa. Costui chiamato
-dalla lega de’ Lombardi si partì da Pisa e venne a Firenze, ove li
-fu fatto grande onore; e senza soggiorno se n’andò alla compagnia, e
-fu fatto loro conduttore, e dell’altra gente de’ Lombardi collegati;
-il quale valentemente s’ordinò contro a’ tiranni, e fece grandi cose,
-come appresso narreremo; ma richiedendoci innanzi alcune cose grandi
-conviene che prima abbiano il debito della nostra penna.
-
-
-CAP. LXXVII.
-
-_Come i Brabanzoni ruppono i patti a’ Fiamminghi._
-
-Avendo poco innanzi narrato la concordia che si prese in luogo
-dell’apparecchiata battaglia tra’ Fiamminghi, e’ Brabanzoni per lo
-fatto di Mellina, seguita, che gli otto albitri eletti, quattro da
-catuna parte, sotto la fede del loro saramento, aveano diligentemente
-vedute, e disaminate le ragioni di catuna parte; e trovando di
-concordia tutti gli albitri la ragione della villa di Mellina essere
-del conte di Fiandra, e così essere acconci di sentenziare per
-osservare il loro saramento; il duca di Brabante, rompendo la fede
-promessa, mandò per fare pigliare i quattro suoi Brabanzoni ch’erano
-albitri, acciocchè non potessono dare la sentenza, e due ne presono, e
-due se ne fuggirono. Per questa cosa il conte di Fiandra, e’ Fiamminghi
-si tennono traditi da’ Brabanzoni e dal loro duca, e di presente
-mossono guerra nel paese. Ed essendo alquanti cavalieri fiamminghi
-entrati in Brabante guerreggiando, i Brabanzoni si misono con maggiore
-forza contro a loro, e rupponli, e uccisono ottanta cavalieri, e più
-altri ne imprigionarono. E aggiunto alla prima ingiuria il secondo
-danno e vergogna de’ Fiamminghi, s’infiammarono tutti di tanto sdegno,
-che per comune tutti diedono luogo a’ loro mestieri, e intesono ad
-apparecchiarsi in arme per andare contro a’ Brabanzoni, onde uscirono
-notabili cose come appresso racconteremo.
-
-
-CAP. LXXVIII.
-
-_Come il conte di Fiandra andò sopra Brabante._
-
-È da sapere, per meglio intendere quello che seguita, che non per nuovo
-accidente, ma per antica virtù, e continovata ambizione, il popolo
-Fiammingo era più pro’ e più sperto e audace in fatti d’arme che il
-popolo brabanzone, e i cavalieri brabanzoni più sperti e più atti in
-fatti d’arme ch’e’ cavalieri fiamminghi. Ma recando a sè il popolo
-fiammingo l’ingiuria ricevuta da’ Brabanzoni, nell’impeto del furore
-del suo animo, come un uomo, s’accolsono insieme più di centocinquanta
-migliaia d’uomini, tutti armati a modo di cavalieri, e con loro il
-conte loro signore con quattromila cavalieri, e raccolto grandissimo
-carreaggio carico di vivanda, e d’armadura a dì 9 d’agosto anno detto
-presono loro cammino per entrare in Brabante, e a dì 12 del detto mese
-si trovarono sopra la gran città di Borsella, presso a mezza lega, e
-ivi fermarono loro campo, scorrendo il paese d’intorno, e facendo assai
-danno a’ paesani.
-
-
-CAP. LXXIX.
-
-_Come il duca di Brabante si fè incontro a’ Fiamminghi._
-
-Il duca di Brabante, il quale era Tedesco, fratello uterino di Carlo
-di Boemia imperadore, avendo in animo di non volere, Mellina al conte
-rendere attendendo la guerra, avea richiesto d’aiuto l’imperadore,
-e molti altri principi della Magna, e a questo punto si trovò da
-diecimila o più buoni cavalieri tedeschi e brabanzoni, e tutto il
-popolo di Brabante si mise in arme, e trovossi il duca a questo bisogno
-cento migliaia di Brabanzoni a piè bene armati. E vedendosi i nemici
-all’uscio, a dì 17 del detto mese d’agosto uscirono a campo fuori della
-villa di Borsella, e misonsi a campo a rimpetto de’ Fiamminghi presso
-a un mezzo miglio: e cominciarono a ordinare la loro gente, e disporla
-per battaglie a piè, e a cavallo; perocchè ben conosceano che l’impresa
-era tale, che non riceveva altro termine che la vittoria della
-battaglia a cui Iddio la concedesse. In questo ordinare stettono dalla
-mattina a nona; mezzani non si poteano in questo fatto tramettere per
-la fede altra volta rotta pe’ Brabanzoni, catuna parte s’acconciava di
-combattere, e tanto era presso l’un’oste all’altra, che battaglia non
-vi potea mancare.
-
-
-CAP. LXXX.
-
-_Come i Fiamminghi sconfissono i Brabanzoni._
-
-I Fiamminghi, ch’erano infocati per l’ingiurie ricevute, vedendosi i
-nemici così di presso, e sentendo tra loro gran romore, avvisandosi
-che per discordia si dovessono partire, senza attendere che venissono
-schierati al campo, valicata l’ora della nona, si misono ad assalirgli.
-E cominciato un grido tutti insieme a loro costuma, che trapassava
-il cielo vincendo ogni tonitruo, e giugnendo a’ nemici, i quali
-aveano incominciata alcuna discordia tra’ Tedeschi e’ Brabanzoni, gli
-assalirono con grande ardimento; e cominciata tra loro la battaglia,
-avvenne per caso, e non per operazione de’ nemici, che l’insegna del
-duca di Brabante si vide abbattuta. Veduto questo i Brabanzoni a piede
-in prima si misono alla fuga, e i cavalieri appresso volsono le reni
-a’ nemici senza fare alcuna resistenza, e intesonsi a salvare nella
-città ch’era loro presso; i Fiamminghi affannati per la corsa al
-primo assalto, e carichi d’arme, non li poterono seguire, e per questa
-cagione pochi ne morirono in sul campo, ma più n’annegarono, gittandosi
-a passare il fiume coll’armi indosso; ma tra tutti i morti in sul
-campo e annegati nel fiume appena aggiunsono al numero di cinquecento,
-che fu di così grande esercito gran maraviglia, e de’ Fiamminghi non
-morì alcuno di ferro, cosa quasi, incredibile a raccontare, ma così fu
-per la grazia di Dio, che non assentì tra loro maggiore effusione di
-sangue.
-
-
-CAP. LXXXI.
-
-_Come il conte di Fiandra ebbe Borsella._
-
-Il duca di Brabante fuggendo co’ suoi cavalieri tedeschi entrò in
-Borsella, e tanta paura gli entrò nell’animo per la fede rotta a’
-Fiamminghi, che non ebbe cuore di ritenersi in Borsella, ma di presente
-senza ordinarla a difesa o a guardia se ne partì, e andossene in
-Loano. Il conte, avendo vittoriosamente rotti e cacciati del campo i
-suoi nemici, vedendo i suoi Fiamminghi per la vittoria baldanzosi e di
-grande volontà a seguire innanzi, di presente in quel giorno se n’andò
-a Borsella. I gentili uomini e i grandi borgesi di quella villa aveano
-per addietro ordinato, che tutti gli artefici de’ mestieri stessono
-fuori della città in grandi borghi che v’erano, per novità che v’erano
-di loro riotte alcuna volta avvenute in pericolo della villa, e in
-questa rotta non gli aveano lasciati rifuggire dentro. I borghi erano
-grandi a maraviglia cresciuti per li mestieri, ed erano pieni e forniti
-d’ogni bene. Il conte avendo in fuga i suoi nemici senza contasto
-s’entrò ne’ borghi facendo alcuna uccisione, e comincionne ad affocare
-uno, e disse, che tutti gli arderebbe se la terra non facesse i suoi
-comandamenti. Gli artefici ch’abitavano ne’ borghi, e aveano di fuori
-e nella villa di loro gente, e avendo già in loro balìa l’una delle
-porte, dissono a’ borgesi, che non intendeano essere diserti colle loro
-famiglie per loro, e che se di presente non facessono i comandamenti
-del conte, che per forza il metterebbono nella villa. Per la qual
-cosa vedendosi i borgesi dentro a mal partito, elessono di concordia
-di volere innanzi essere all’ubbidienza del conte, che di lasciarsi
-prendere per forza da’ Fiamminghi e da’ loro propri cittadini, e
-guastare la città di sangue e di ruberia; e di presente elessono
-ambasciadori, e mandaronli ne’ borghi al conte, che voleano ubbidire
-a’ suoi comandamenti, promettendo salvarli d’uccisione e di ruberie,
-e così fu fatto; e di presente furono aperte le porte, ed entrovvi il
-conte e chi volle de’ Fiamminghi, ricevuti con grande onore da tutta
-la villa, e apparecchiato loro come ad amici ciò che era di bisogno,
-il conte ne prese la signoria dolcemente, e ordinovvi il reggimento e
-la guardia come a lui parve; e rinfrescata la sua gente, il terzo dì
-coll’empito della sua prospera fortuna si mosse da Borsella co’ suoi
-Fiamminghi, e andò a Villaforte, la quale come che molto fosse forte e
-difendevole a battaglia, sentendo che Borsella s’era renduta, e che il
-loro signore si fuggiva e non facea riparo, per non tentare maggiore
-fortuna s’arrendè a’ comandamenti del conte, il quale la ricevette
-benignamente. E la villa di Mellina, per cui era stato la cagione della
-guerra, senza attendere che l’oste v’andasse s’arrenderono al conte,
-e ricevettonlo per loro signore, e ordinaronsi per tutto a fare i suoi
-comandamenti.
-
-
-CAP. LXXXII.
-
-_Come il conte di Fiandra ebbe tutto Brabante a suo comandamento._
-
-Il duca di Brabante, vilmente abbattuto per la sua corrotta fede,
-e poco amato perchè era Tedesco, avendo sentito come Borsella e
-Villaforte aveano fatto i comandamenti del conte, non si fidò in
-Loana nè in alcuna terra di Brabante, ma colla moglie, e colla sua
-famiglia, e co’ suoi arnesi s’uscì di tutta la provincia di Brabante
-e ridussesi in Alamagna, abbandonando così ricco e nobile paese per
-sua codardia. Il conte sentendo partito il duca, crebbe in ardire
-co’ suoi Fiamminghi, e dirizzossi verso Anversa: quelli d’Anversa
-feciono vista di volersi difendere: il conte non volle quivi fare sua
-pruova, e lasciata Anversa, se n’andò a Loano, affrettandosi prima che
-potessono mettere consiglio alla loro difesa. Quelli di Loano vedendosi
-abbandonati dal duca loro signore, e male provveduti alla subita
-guerra, e che l’altre buone ville di Brabante s’erano arrendute al
-conte, e che da lui erano bene trattati, per non ricevere il guasto nè
-maggiore danno s’arrenderono al conte, e con pace il misono nella città
-con gran festa ed onore; ed entrato in Loano, incontanente Anversa,
-e tutte le buone ville e castella della provincia di Brabante, si
-misono all’ubbidienza del conte e feciono i suoi comandamenti; e così
-in pochi giorni del rimanente del mese d’agosto del detto anno, dopo
-la sconfitta de’ Brabanzoni, fu il conte di Fiandra messer Lodovico
-signore a cheto di tutta la ducea di Brabante; e dato ordine a loro
-reggimento, e fatti uficiali in tutte le terre, e messovi quella
-guardia ch’a lui parve a conservagione del paese, e fornito Mellina con
-più sua fermezza e guardia, perchè era propria villa di suo dominio,
-con allegra e piena vittoria, di letizia e non di sangue, co’ suoi
-Fiamminghi si tornò in Fiandra, accresciuto altamente il suo onore e la
-fama de’ suoi Fiamminghi.
-
-
-CAP. LXXXIII.
-
-_Perchè si mosse guerra dagli Spagnuoli a’ Catalani._
-
-Era in questi dì il re Petro di Castella giovane, e più pieno di
-dissolute volontà che d’oneste virtù, e molto era stemperato nella
-concupiscenza delle femmine; e dilettandosi con una sopra l’altre, non
-bastandogli le grandi camere e’ nobili verzieri a suo diletto, si mise
-a diporto con lei in mare in su un legno armato non di gran difesa;
-e andandosi sollazzando in alto mare, una galea armata di Catalani
-passava per quella marina, e vedendo il legno armato, si dirizzò a lui,
-e domandava di cui fosse il legno e la mercatanzia che su v’era carica:
-il re per isdegno non volea che risposta si facesse; per la qual cosa
-i Catalani più si sforzavano di volerlo sapere, e non potendone avere
-risposta, s’appressarono al legno, e cominciarono a saettare; e vedendo
-da presso che gli uomini erano Spagnuoli, senza mettersi più innanzi si
-partirono, e seguirono loro viaggio. Il re rimase di questo con grande
-sdegno; e poco appresso avvenne, che in Sibilia arrivarono galee armate
-di Catalani, i quali aveano guerra co’ Genovesi, e trovando nel porto
-alquanti mercatanti di Genova, li presono, e raddomandandoli il re di
-Spagna, non li vollono rendere. E questa cagione più giusta infiammò
-più l’animo del re per modo, che immantinente per mare e per terra
-cominciò a’ Catalani nuova guerra; e incontanente fece armare dodici
-galee, e mandò scorrendo le marine fino nel porto di Maiolica, ardendo
-e mettendo in fuoco quanti legni di Catalani poterono trovare per tutta
-la riviera di Catalogna. E in questi dì, le quindici galee bandeggiate
-di Genova per la presura di Tripoli, avendo per uscire di bando a
-guerreggiare tre mesi i Catalani, feciono in Catalogna e nell’isola
-di Maiolica danno assai. E ’l re di Castella per terra con gran forza
-di suoi cavalieri venuto alle frontiere di Catalogna improvviso a’
-Catalani, fece loro d’arsioni e di prede danno grande. Per la qual
-cosa d’ogni parte s’apparecchiò grande sforzo di gente d’arme, e catuno
-richiese gli amici per conducersi a battaglia, come seguendo appresso
-nel suo tempo racconteremo.
-
-
-CAP. LXXXIV.
-
-_Di gran tremuoti furono in Ispagna._
-
-In questo anno 1356 all’uscita del mese di settembre, e alquanti dì
-all’entrata d’ottobre, furono in Ispagna grandissimi terremuoti, i
-quali lasciarono in Cordova e in Sibilia grandi e gravi ruine di molti
-dificii in quelle due grandi città, e nelle loro circustanze, nelle
-quali perirono uomini, e femmine, e fanciulli in grandissimo numero,
-facendo sepoltura delle loro case. E questi medesimi tremuoti feciono
-nella Magna grandi fracassi, che quasi tutta Basola, e un’altra città
-feciono rovinare con grande mortalità de’ loro abitanti. In Toscana in
-questi medesimi dì si sentirono, ma piccoli e senza alcuno danno.
-
-
-
-
-LIBRO SETTIMO
-
-
-CAPITOLO PRIMO.
-
-_Il Prologo._
-
-Chi potrebbe con intera mente nel futuro ricordare i falli, e gli
-orribili peccati che si commettono per la sfrenata licenza de’ principi
-e de’ signori mondani (lasciando le minori e le mezzane cose che
-per loro spesso senza giustizia si fanno) se la brevità del tempo
-dell’umana vita non togliesse l’esperienza, che per giustizia si
-dimostra nel mondo? Si maravigliano eziandio i savi quando avvenire
-veggono traboccamenti di potentissimi re e d’altri grandi signori,
-de’ quali avendo memoria de’ commessi mali non ammendati per tempo
-conceduto dalla divina grazia, ma piuttosto aggravati da que’ medesimi
-signori e da’ loro successori per disordinata presunzione, non
-recherebbono a maraviglia quello ch’avviene, ma a misericordievole
-gastigamento dalla divina mansuetudine e giustizia, che per non perdere
-l’anime eternalmente, temporalmente percuote e flagella, acciocchè
-per le loro rovine, e pe’ loro trabocchevoli casi si riconoscano,
-e correggano e ammendino. E apparecchiandosi al nostro trattato
-il cominciamento del settimo libro, alcuna particella di quello
-torneremo addietro, per dimostrare esempio delle cose qui narrate,
-per la successione che seguita a raccontare del grave caso occorso al
-re Filippo di Francia e al suo reame, e appresso al re Giovanni suo
-figliuolo.
-
-
-CAP. II.
-
-_Come il re di Francia prese la croce per fare il passaggio._
-
-Non è nascoso in antica memoria a’ viventi del nostro tempo, che per
-l’operazioni inique e crudeli, nate da invidia e da somma avarizia de’
-reali di Francia dello stocco anticato nella successione reale, onde
-fu il re Filippo dinominato il Bello, coll’aggiunta della sfrenata
-libidine delle loro donne, che a Dio piacque di porre termine a
-quello lignaggio. Rimasene sola la reina d’Inghilterra madre del
-valoroso re Adoardo di quell’isola, per la cui successione il detto
-re d’Inghilterra fece la guerra co’ Franceschi, come per lo nostro
-anticessore nella sua cronica, e appresso per noi in questa è in gran
-parte raccontato. Essendo venuti meno tutti i reali, messer Filippo,
-figliuolo che fu di messer Carlo di Valois detto Carlo Senza terra,
-prese la signoria, e fecesi coronare re di Francia. E trovandosi re
-di così grande ricco e potentissimo reame, e senza alcuna guerra, e
-trovandosi in grande amore del sommo pontefice e de’ cardinali di santa
-Chiesa, il detto re Filippo, simulando singulare affezione di volere
-imprendere e fare il santo passaggio d’oltremare per acquistare la
-terra santa, di suo movimento prese con molti baroni di suo reame la
-croce in pubblico parlamento, e sommosse a pigliarla altri re, prenzi,
-duchi e baroni, conti e gran signori, e per esempio di loro molti
-altri fedeli cristiani presono la croce con animo di seguire il detto
-re; e per tutta la cristianità, ed eziandio tra’ saracini, si divolgò
-la novella di questo passaggio; e dando vista il detto re di grande
-apparecchiamento, avvenne, che negli anni 1334 il detto re di Francia
-mandò a corte di Roma a Avignone per suoi ambasciadori l’arcivescovo di
-Ruen con altri grandi baroni a papa Giovanni di Caorsa vigesimosecondo
-e a’ suoi cardinali, il quale arcivescovo fu poi papa Clemente sesto,
-e in pubblico concestoro avendo fatto l’arcivescovo predetto un bello
-e alto sermone sopra la materia del santo passaggio, e confortato
-il sommo pontefice, e’ prelati di santa Chiesa, e tutto il popolo
-cristiano che si manifestassono a dare consiglio e aiuto al serenissimo
-re di Francia, il quale si movea per zelo della fede di Cristo a così
-alta impresa, per seguire e fare e per accrescere la sicurtà a’ fedeli
-cristiani, giurò nell’udienza di tutti nella maestà divina, al santo
-padre, e alla Chiesa di Roma, e a tutta la cristianità, nell’anima
-del detto re di Francia, che l’agosto prossimamente seguente, gli anni
-1335, e’ sarebbe uscito fuori del suo reame in via colla sua potenza,
-e con gli altri principi del suo reame crociati per andare oltremare al
-santo passaggio; e per questo impetrò da santa Chiesa le decime del suo
-reame per molti anni, e altre promissioni del tesoro di santa Chiesa, e
-quante altre cose domandò per parte del detto re al papa di tutte ebbe
-da lui piena grazia; e io scrittore, fui presente nel detto consistoro,
-e udii fare il saramento, come detto a verno.
-
-
-CAP. III.
-
-_Le parole disse frate Andrea d’Antiochia al re di Francia._
-
-Essendo divolgata la novella di questo passaggio in Egitto e in Soria,
-i cristiani del paese che sono sottoposti al giogo de’ saracini,
-ed eziandio i viandanti mercatanti ch’allora erano in quelli paesi,
-ricevettono gravi oppressioni e diversi tormenti, e molti ne furono
-morti da’ signori saracini, e tolto il loro avere sotto false cagioni
-d’essere trattatori del passaggio; per la qual cosa un valente
-religioso italiano, il quale era chiamato frate Andrea d’Antiochia,
-in fervore del suo animo dolendosi dell’ingiuria che riceveano
-gl’innocenti cristiani, si mosse di Soria e venne a corte di Roma a
-Avignone; e là giunse, quando il re Filippo di Francia era tornato
-di pellegrinaggio da Marsilia a Avignone, passato di lungo il termine
-della sua promessa, e non essendo di ciò nè dal papa nè da’ cardinali
-ripreso; e già avea presa la licenza dal santo padre, e avea valicato
-il Rodano, e desinato nel nobile ostiere di sant’Andrea, il quale
-avea fatto edificare messer Napoleone degli Orsini di Roma a fine di
-ricevervi il re di Francia e gli altri reali, il re era già montato
-a cavallo per prendere suo cammino verso Parigi, il valoroso frate
-Andrea, avendo accattato dagli scudieri de’ cardinali che l’atassono
-conducere al freno del cavallo del re, com’egli uscì dell’ostiere così
-li fu condotto al freno. Il religioso avea la barba lunga e canuta, e
-parea di santo aspetto, e per la reverenza di lui il re si sostenne,
-e frate Andrea disse: Se’ tu quello Filippo re di Francia, c’hai
-promesso a Dio e a santa Chiesa d’andare colla tua potenza a trarre
-delle mani de’ perfidi saracini la terra, dove Cristo nostro salvatore
-volle spandere il suo immaculato sangue per la nostra redenzione? Il
-re rispuose di sì; allora il venerabile religioso gli disse: Se tu
-questo hai mosso, e intendi di seguitare con pura intenzione e fede,
-io prego quel Cristo benedetto che per noi volle in quella terra
-santa ricevere passione, che dirizzi i tuoi andamenti al fine di piena
-vittoria, e intera prosperità di te e del tuo esercito, e che ti presti
-in tutte le cose il suo aiuto e la sua benedizione, e t’accresca ne’
-beni spirituali e temporali colla sua grazia, sicchè tu sii colui,
-che colla tua vittoria levi l’obbrobrio del popolo cristiano, e
-abbatti l’errore dell’iniquo e perfido Maometto, e purghi e mondi il
-venerabile luogo di tutte l’abominazioni degl’infedeli, in tua per
-Cristo sempiterna gloria. Ma se tu questo hai cominciato e pubblicato,
-la qual cosa resulta in grave tormento e morte de’ cristiani che in
-quel paese conversano, e non hai l’animo perfetto con Dio a questa
-impresa seguitare, e la santa Chiesa cattolica da te è ingannata, sopra
-te e sopra la tua casa, e i tuoi discendenti e ’l tuo reame venga l’ira
-della divina indegnazione, e dimostri contro a te e’ tuoi successori,
-e in evidenza de’ cristiani, il flagello della divina giustizia, e
-contro a te gridi a Dio il sangue degl’innocenti cristiani, già sparto
-perla boce di questo passaggio. Il re turbato nell’animo di questa
-maladizione disse al religioso: Venite appresso di noi; e frate Andrea
-rispose: Se voi andaste verso la terra di promissione in levante, io
-v’anderei davanti; ma perchè vostro viaggio è in ponente, vi lascerò
-andare, e io tornerò a fare penitenza de’ miei peccati in quella terra,
-che voi avete promesso a Dio di trarre delle mani de’ cani saracini.
-
-
-CAP. IV.
-
-_Molte laide cose fece il re di Francia._
-
-Da questo tempo innanzi cominciarono le commozioni del re d’Inghilterra
-già narrate per lo nostro antecessore; e prima il detto re di Francia
-vedendo sommuovere gl’Inghilesi contro a sè, con grande armata si mise
-in arme contro a loro, e di trentadue migliaia d’uomini che reggeano
-il suo navilio, perduto il navilio, ventotto migliaia d’uomini di
-sua gente furono morti dagl’Inghilesi. E poi appresso venuto il
-re d’Inghilterra in Francia con piccolo numero di gente, rispetto
-della moltitudine de’ cavalieri e di sergenti ch’avea seco il re di
-Francia a seguitarlo, fu sconfitto, come narrato abbiamo addietro; e
-campata la sua persona con pochi per grazia della notte, e tornato a
-Parigi, avendosi veduto nel giudicio di Dio, non ricorse alla virtù
-dell’umiltà, ma aggiugnendo male a male, per avere moneta assai, in
-cui era la sua fidanza, licenziò e sicurò tutti gli usurai del suo
-reame, dando loro licenza di prestare pubblicamente, pagando alla
-corte cinque per cento di quello che catuno era tassato dagli uficiali
-del re ogni anno. E aggiugnendo alla sua avarizia, fece battere nuova
-moneta d’oro e d’argento per tutto suo reame di molto meno valuta che
-quella che prima correa, e subitamente la fece correre per buona, e
-la buona fece disfare, in gran danno e confusione de’ suoi baroni, e
-di tutti i paesani e de’ mercatanti ch’aveano a ricevere mercatanzie
-nel suo reame; e dopo questo, con ordine dato a’ suoi ministri, per
-tutto il reame in una notte fece prendere in persona e arrestare
-l’avere a tutti gli usurieri del reame; e aggiugnendo male a male,
-fece gridare per tutto, che chi avesse accattato sopra pegno l’andasse
-a riscuotere per lo capitale, stando del capitale al suo saramento,
-e così dell’accattato a carta; per la qual cosa coloro ch’aveano
-accattato, per la larga licenza, vinti da avarizia, si spergiurarono,
-e pochi furono secondo la fama che stessono in fede; e tutto ciò che
-pagavano di capitale s’appropriò alla corte, che fu grandissimo tesoro,
-in disertagione di molte famiglie, ch’ogni cosa s’appropriò alla corte,
-dicendo, ch’aveano forfatto di aver messi più danari a usura che
-non doveano. Appresso, dopo la sua affrettata morte per disordinata
-lussuria, essendo di tempo, e dilettandosi nella sua giovane e bella
-donna, seguitarono più gravi persecuzioni di guerra nel suo reame, in
-fine il re Giovanni suo figliuolo e uno de’ suoi figliuoli furono presi
-nella grande battaglia ch’appresso racconteremo; conchiudendo, che
-come a inganno fu presa la croce, e promesso il santo passaggio per lo
-re di Francia, così nel suo reame fu passato per divino giudicio da’
-suoi nemici, e com’egli volle arricchire il suo reame indebitamente
-de’ beni di santa Chiesa, e degli altri stranieri mercatanti e usurieri
-del suo reame, così per giusta retribuzione impoverì il re, e il reame
-consumato da’ soldi e dalle prede; e volendosi per ambizione esaltare
-sopra gli altri signori della cristianità, veduti furono entrare in
-servaggio di prigione, vinti maravigliosamente da più impotenti di
-loro, secondo la forza e ’l numero della gente.
-
-
-CAP. V.
-
-_Come il re di Francia uscì di Parigi con suo sforzo, e andò in
-Normandia._
-
-Seguita, tornando a nostra materia, che ’l re di Francia vedendo
-assalire il suo reame ora dal conte di Lancastro con quelli di Navarra,
-ora dal duca di Guales coll’aiuto de’ Guasconi, e che per soperchia
-baldanza aveano preso sopra lui e sopra la gente francesca; vedendo
-al presente il conte di Lancastro e messer Filippo di Navarra ridotti
-in Normandia a Bertoglio, come poco innanzi abbiamo narrato, si
-propose in animo di perseguitarli, e di tutto il reame raunò a Parigi
-i suoi baroni e tutto il fiore della sua cavalleria, ed eziandio i
-ricchi borgesi di Parigi e dell’altre buone ville, i quali tutti si
-sforzarono di comparire bene in arme per accompagnare la persona del
-re; il quale era già ito in Normandia, e fatto fuggire di notte il
-conte di Lancastro e messer Filippo di Navarra ch’erano in Normandia a
-Bertoglio, e il re, come detto è poco addietro, avea vinto il castello,
-e cacciati i nemici del paese. E stando in Normandia, i baroni, e’
-cavalieri e’ borgesi del reame che smossi erano traevano d’ogni parte a
-lui, e all’entrata del mese di settembre si trovò più di quindicimila
-armadure di ferro ben montati e bene acconci a’ servigi del re, e
-con esso gran novero di sergenti in arme. E vedendosi aver vinto il
-castello, e avviliti i nemici, e cresciuta la sua forza, prese speranza
-di cacciare gl’Inghilesi al tutto del suo reame innanzi che ritornasse
-a Parigi. E con tutta questa cavalleria stava alle frontiere de’ suoi
-nemici per non lasciarli scorrere per tutte le sue terre al modo usato,
-e per prendere sopra loro suo vantaggio, stando apparecchiato alla
-fronte de’ suoi avversari.
-
-
-CAP. VI.
-
-_Quello faceva il prenze di Guales._
-
-Il valente duca di Cornovaglia prenze di Guales, primogenito del re
-d’Inghilterra, il quale avea in sua parte per guereggiare tremila buoni
-cavalieri bene montati, tra Inghilesi e Guasconi, e da duemila arceri
-inghilesi a cavallo, e altri masnadieri a piè da quattromila tra con
-archi e altre armadure, tutti bene capitanati; avendo sentito che ’l
-conte di Lancastro colla sua parte di gente d’arme avea cavalcata
-la Normandia ed entrato nel reame presso a Parigi a sedici leghe,
-parendogli avere vergogna se non facesse dalla sua parte, si mosse di
-Guascogna e vennesene in Berrì, ardendo e divorando con ferro e con
-fuoco ciò che innanzi gli si parava. E già avea fatta smisurata preda,
-perocchè assai ville di cinquecento e di mille fuocora, e di più e di
-meno, avea vinte, e rubate e arse senza trovare contasto; seguitando
-appresso avea costeggiato il fiume dell’Era infino ad Orliens, e
-fattole intorno grave danno, passò a Pettieri; e trovandosi presso alla
-grande oste del re di Francia, fu costretto di fermarsi ivi tra le due
-fiumora coll’oste e colla preda che raccolta avea, che di quel luogo,
-avendo di presso la gente del re di Francia ch’andava contro a lui, a
-salvamento non si potea partire nè con suo onore.
-
-
-CAP. VII.
-
-_Come il re di Francia pose il campo presso al prenze._
-
-Il re Giovanni di Francia, ch’era presso colla sua grande oste, e
-baldanzoso per lo duca di Lancastro che l’avea fuggito, e per la
-vittoria del castello, sentendo il duca ristretto tra le due fiumare,
-che l’una tramezzava a volere andare a lui, di presente si mosse con
-tutta la sua gente e appressossi a’ nemici, e pose il campo suo di
-costa a Berrì, e’ nemici erano dall’altra parte, la fiumara in mezzo,
-e’ ponti erano i più rotti, e alcuno ve n’avea rimaso in guardia
-de’ Franceschi: il duca non potea passare innanzi a prendere suo
-vantaggio di terreno, e ’l tornare addietro di lungo viaggio, per
-lo stretto de’ loro nemici, e avendo chi gli perseguitasse, non se
-ne potea pensare alcuna salute, e però la necessità gli accrescea in
-quel luogo l’ardire. Il coraggioso duca di Guales vedendosi a questo
-stretto partito, non dimostrò a’ suoi segno d’alcuna paura nè viltà,
-ma francamente provvide il suo campo, e mostrossi a tutta sua gente,
-confortandoli che non dovessono temere di quella gente cui eglino tante
-volte avevano fatta ricredente, e ammaestrandoli di buona e sollecita
-guardia il dì e la notte, dicendo, come tosto avrebbono in loro aiuto
-il valente conte di Lancastro con tutta la sua gran forza. Gl’Inghilesi
-e’ Guasconi presono gran conforto della valentria e buona voglia del
-loro signore, e intesono a fortificare loro campo, e a fare buona e
-sollecita guardia il dì e la notte. E questo fu a dì 17 di settembre
-anno detto.
-
-
-CAP. VIII.
-
-_Due conti del re di Francia rimasono presi da un aguato._
-
-Saputo che ’l re ebbe la condizione de’ suoi nemici, e come il loro
-campo stava, segretamente con alquanti de’ più confidenti baroni prese
-consiglio di valicare alla mezza notte, venendo il sabato, per un ponte
-della riviera, che gli dava più certo il cammino ad aggiugnersi co’
-nemici, e più atto il cammino alla gran gente che l’avea a seguitare.
-Il duca di Guales, o che sapesse il segreto del re, o che per avviso
-di guerra avesse che così dovesse seguire, la notte medesima venne
-con sua gente eletta, e misesi in un bosco presso al cammino che ’l re
-dovea fare, e veniagli fatto d’avere il re con buona parte della sua
-compagnia per lo presto avviso. Il re si mosse con duemila cavalieri,
-e con quelli baroni a cui s’era manifestato: e appressandosi al passo
-del bosco, mandò innanzi dieci cavalieri sperti e bene montati a
-provvedere se aguato vi fosse. I detti cavalieri scopersono il guato,
-e di presente ritornarono al re, il quale conoscendo il pericolo prese
-una volta, e dilungossi da quel passo, e girò verso Pittieri, e valicò
-a salvamento con tutta sua cavalleria: ma addietro non mandò all’altra
-sua gente che ’l seguiva ad avvisarli di quello aguato, onde avvenne,
-che seguitandolo il conte d’Alzurro, e quello di Clugnì con altri
-baroni e cavalieri, avendo sentita la sua subita partita, non però con
-tutta l’oste, ma colle loro masnade facendo la via che dovea fare il re
-del bosco, credendo che per quella fosse andato, gl’Inghilesi maestri
-di baratti avendo mandati cavalieri de’ loro a ingegno che tornassono
-la notte per quel cammino, e dimostrandosi essere de’ Franceschi che
-seguissono il re, come se per quel cammino fosse passato, e scorgendo i
-conti questi cavalieri, e facendoli domandare, risposono in Francesco
-che seguivano monsignor lo re, e però con più sicurtà si misono a
-cammino; ed entrati nell’aguato senza ordine, essendo d’ogni parte
-assaliti, non v’ebbe resistenza altro che del fuggire e del campare chi
-potea; il conte d’Alzurro valente barone, e quello di Clugnì rimasono
-presi con quattrocento compagni di buona gente, e menati prigioni nel
-campo, il duca e tutta la sua oste ne presono assai conforto: e questo
-fu il sabato a dì 17 di settembre del detto anno.
-
-
-CAP. IX.
-
-_Puose il re di Francia il campo suo presso agl’Inghilesi._
-
-Valicato il re di Francia con duemila cavalieri a Pettieri, e scoperto
-l’aguato degl’Inghilesi, come detto abbiamo, di presente tutta l’altra
-oste de’ Franceschi seguirono il loro re per lo sicuro cammino, e
-giunti a lui, si trovarono più di quattordicimila cavalieri e molti
-sergenti, e non v’era però tutta la sua forza, che al continovo vi
-crescea gente a cavallo e a piè, sperando avere degl’Inghilesi buon
-mercato; e misonsi a campo presso al campo del duca a meno di due leghe
-parigine, in parte che gl’Inghilesi non si poteano allargare; ed erano
-per venire in pochi dì in gran soffratta di vittuaglia, e ancora erano
-condotti in parte, che ’l conte di Lancastro non li potea venire a
-soccorrere per lo campo preso per i Franceschi, avvegnachè troppo era
-di lungi a quel paese; per la qual cosa al re di Francia pareva avere
-la vittoria in mano, e così era per ragione di guerra, ove fortuna
-e mala provvedenza non avesse mutata la condizione del fatto, come
-seguendo immantinente racconteremo.
-
-
-CAP. X.
-
-_I legati cercarono accordo tra’ due signori._
-
-Come addietro avemo narrato, in questa guerra la Chiesa di Roma
-continovo tenea suoi legati che trattassono la concordia e la pace
-tra’ due re, e al presente era nella compagnia del re il cardinale
-di Bologna suo confidente, e il cardinale di Pelagorga confidente
-del duca e degl’Inghilesi, i quali continovo cercavano di recarli a
-pace; e vedendo la cosa a questo stremo condotta e ultimo partito,
-acciocchè tra questi due signori de’ maggiori della cristianità non
-si venisse a mortale battaglia, di concordia furono con lo re di
-Francia, mostrandoli quanto erano vari e non sicuri gli uscimenti
-delle battaglie, pregandolo, che dove con suo onore potesse venire a
-buona pace, non volesse ricercare per vantaggio ch’avere li paresse
-il dubbioso fine delle battaglie. Il re diede udienza al savio
-consiglio; e però incontanente il cardinale di Pelagorga cavalcò al
-duca nel suo campo; e ricevuto da lui graziosamente, con savie parole
-gli mostrò il pericolo dov’era egli e tutta la sua oste, e ricordogli
-le grandi ingiurie per lo suo padre, e per lo suo zio, e per lui
-fatte alla corona di Francia, e conchiudendo disse, che acciocchè Dio
-non giudicasse la sua causa per disordinata presunzione e superbia
-in cotanto pericolo quanto egli era di sè e di tutta la sua gente,
-ch’e’ volea ch’e’ si dichinasse a volere restituire e rendere al
-re di Francia il suo onore e le terre ch’avea occupate delle sue, e
-l’ammenda del danno che fatto gli avea nel suo reame, acciocchè buona
-e ferma pace si fermasse tra loro. Il giovane duca, conoscendo il
-forte caso dove la fortuna l’avea condotto, e avendo reverenza a santa
-Chiesa, avvegnaché ’l suo animo fosse fermo e sicuro di grande sdegno,
-acconsentì innanzi di pigliare concordia, che tentare la pericolosa
-parte della battaglia; e data speranza al legato, il fece ritornare al
-re di Francia, per ordinare i patti e le convenenze della concordia.
-
-
-CAP. XI.
-
-_I patti che si trattarono e quasi conchiusono._
-
-Tornato il cardinale al re di Francia, il re fece raunare il suo
-consiglio, per fare assentire a tutte l’offerte che ’l cardinale avea
-portate al re da parte del duca per avere buona pace; e l’offerta
-era, ch’e’ volea restituire al re di Francia tutte le terre prese per
-gl’Inghilesi e’ Guasconi nel suo reame ne’ tre anni prossimi passati,
-e che renderebbe liberi tutti i prigioni, e che per ammenda de’ danni
-fatti darebbe al re di Francia dugento migliaia di nobili, che valeano
-cinquecento migliaia di fiorini d’oro; e domandava per fermezza di
-buona pace per moglie la figliuola del re di Francia, quando a lui
-piacesse, e per dote la duchea d’Anghiemem facendosi suo uomo, e a
-questo non si fermava oltre alla volontà del detto re; e in preghiera
-domandava, che ’l re di Navarra fosse lasciato e restituito nel suo
-reame. A queste cose il re e il consiglio s’acconciavano assai bene,
-e conosceano senza pericolo il loro vantaggio. È vero che queste cose
-non si poteano fermare senza la volontà del re Adoardo d’Inghilterra
-suo padre, ma il duca impromettea in termine di pochi dì fargliele
-attenere e confermare; e andato e rivenuto più volte il cardinali per
-recare a fine di buona pace questo trattato, e avendo ogni libertà dal
-duca che domandare si seppe, e che per lui si potea fare, avendo che la
-concordia fosse fatta, ritornò al re di Francia; ma la cosa ebbe tutto
-altro fine che non si sperava, come incontanente racconteremo.
-
-
-CAP. XII.
-
-_Come il vescovo di Celona sturbò la pace._
-
-Essendo venuto con pieno mandato il cardinale al re di Francia, il re
-avendo veduto per esperienza i pericoli della battaglia, e parendogli
-venire a convenevole ammenda dell’ingiuria ricevuta, si disponea alla
-pace, e per darle compimento, fece raunare i baroni e ’l suo consiglio:
-tra gli altri quegli in cui il consiglio del re più si posava per piena
-confidanza era il vescovo di Celona; costui udite le convenenze e’
-patti della pace raccontati per lo cardinale di Pelagorga, e come il
-re d’Inghilterra gli avea infra certi giorni a confermare, stigato dal
-peccato non purgato nè ammendato da’ Franceschi si levò in parlamento,
-e molto arditamente disse al re di Francia: Sire, se io mi ricordo
-bene, il re d’Inghilterra e ’l duca ch’è qui presso suo figliuolo,
-e ’l conte di Lancastro suo cugino, v’hanno fatto lungamente grande
-onta e sconvenevole oltraggio a tutto vostro reame per molte riprese,
-sconfiggendo in campo vostro padre con perdita di re, e di gran baroni,
-e in mare hanno tagliate le vostre forze, e arso e dipopolato il vostro
-reame in diverse parti; ditemi sire, che vendetta v’avete voi fatta,
-che senza vostra onta, e di tutto vostro reame, questa pace si faccia?
-Avendo voi qui il vostro corporale nemico, con gran parte de’ baroni
-e de’ cavalieri inghilesi e guasconi c’hanno contra voi e contro al
-vostro reame fatti tutti i grandi mali, e oltre a quelli ch’io v’ho
-contati, e ora gli ha Iddio ridotti e rinchiusi nelle vostre mani per
-modo, ch’addietro non possono tornare, nè a destra nè a sinistra si
-possono allargare. Da vivere hanno poco, e soccorso non attendono: voi
-siete signore di fare altamente la vostra vendetta, e veggovi trattare
-di lasciarli andare; ed eziandio per non certa fede o fermezza delle
-loro promesse, ma piene d’aguati e d’inganni, come è loro antica
-usanza, che sotto i patti di fare confermare la pace al re, intende
-di subito avere il suo soccorso e quello del conte di Lancastro, ch’è
-apparecchiato con grande oste, come tutti quanti sapete; e se questo
-avviene, chi v’accerta che la vostra vittoria non possa tornare in mano
-de’ vostri nemici, con vituperoso inganno della vostra reale maestà?
-E però consiglio, che a’ vinti non si dia più dilazione, e che la
-vendetta delle vostre ricevute offese e la piena vittoria, che Iddio
-v’ha apparecchiata, non vi scampi per tardamento de’ vostri trattati e
-de’ vostri consigli. Le parole dell’ardito prelato feciono cambiare la
-volontà del re e di tutti i baroni del consiglio, e catuno s’inanimò
-alla battaglia, e al cardinale fu risposto precisamente che più non si
-travagliasse della concordia; e deliberato fu di strignere il duca alla
-battaglia la mattina vegnente, e questo consiglio fu preso domenica
-a dì 18 di settembre anno detto; operando fortuna, per lo franco
-consiglio di quel prelato, la materia dell’occulto giudicio di Dio
-contro al detto re di Francia.
-
-
-CAP. XIII.
-
-_Diceria che fece il prenze di Guales a’ suoi._
-
-Il cardinale di Pelagorga avuta la risposta dal re di Francia e
-dal suo consiglio contradia al suo trattato e alla sua opinione,
-avendo singulare affezione al giovane duca, in cui avea trovato
-molta liberalità, parendogli sconvenevole se colla sua bocca non gli
-rispondesse, il dì medesimo valicò nel suo campo: ed essendo innanzi
-al duca ch’attendea la fermezza della pace, il cardinale gli disse:
-Sire, io ho assai travagliato per poterti recare pace, ma non ho
-potuto per alcuna maniera; e però a te conviene procacciare d’essere
-valente prenze, e pensare alla tua difesa colla spada in mano, perocchè
-alla battaglia ti conviene venire co’ Franceschi, rimossa ogni altra
-speranza d’accordo o di pace. Udendo questa parola il magnanimo duca,
-non perdè in atto o in segno sua virtù, anzi disse: Voi ci potete
-essere testimonio, che dalla nostra parte non è mancata la concordia
-alla quale con pura fede ci recavamo; ora che da’ nostri avversari
-manca, prendiamo fidanza che Iddio sia dalla nostra parte. E dato
-con reverenza congio al cardinale, di presente ebbe i suoi baroni e’
-suoi capitani de’ cavalieri e degli arcieri inghilesi e guasconi, e
-manifestò loro l’intenzione del re di Francia e del suo consiglio,
-e come al mattino attendessono la battaglia, con franche e signorili
-parole dicendo, come Iddio e la ragione era dalla loro parte, e che
-però catuno prendesse cuore e ardire, e inanimasse sè e’ suoi a ben
-fare; e ricordassonsi come i Franceschi vinti e sconfitti più volte
-da loro, non avrebbono cuore di sostenere la battaglia. E oltre a ciò
-disse: Signori e compagni, non dimenticate il luogo ove fortuna ci
-ha inchiusi, nel quale se noi vogliamo stare alla difesa, avendo la
-forza de’ nemici nostri a petto, in breve ci manca la vittuaglia, e di
-niuna parte ci può venire, perchè noi e’ nostri cavalli verremo meno di
-fame, e saremo vilissima preda a’ nostri nemici. E nel partire non si
-vede salvamento, avendo al fuggire lungo il cammino per le terre de’
-nostri nemici d’ogni parte, e così gran forza qui, e de’ nemici alle
-spalle, anzi possiamo essere molto certi, che dando loro le reni, ci
-faranno morire a gran tormento; e però niuna speranza di salute rimane
-dalla nostra parte, se non di combattere francamente, e procurare colla
-virtù dell’indurata fortezza delle nostre braccia abbattere la delicata
-e apparente pompa de’ nostri avversari; e quanto la loro potenza e
-numero di cavalieri e di sergenti è maggiore, tanto conviene in noi
-più accendere l’animo a dimostrare nostra virtù: e se fortuna ci pur
-volesse abbattere, facciamo sì ch’a’ nostri nemici rimanga dolorosa
-vittoria, e a noi eterno nome di valorosa cavalleria. E confortata
-e inanimata la sua gente, comandò ch’al mattino tutta la preda loro
-delle cose grosse fosse recata nel campo, e messa fuori tra loro e’
-nemici, e fattone tre monti, e che la notte stessono in buona guardia,
-e confortassono loro e’ loro cavalli, sicchè al mattino si trovassono
-forti e acconci alla battaglia;
-
-
-CAP. XIV.
-
-_Come i Franceschi s’apparecchiarono alla battaglia._
-
-Avendo il re di Francia preso per partito nel consiglio di combattere
-la mattina vegnente, fece il dì raunare tutti i suoi baroni e’ capitani
-della sua cavalleria e dei sergenti, e con allegra faccia manifestò
-loro il consiglio di combattere la mattina vegnente gl’Inghilesi e’
-Guasconi, i quali erano pochi alla loro comparazione, i quali tutti si
-mostrarono allegri, stimando che non li dovessono attendere conoscendo
-il soperchio, e che si dovessono fuggire come fatto avea poco innanzi
-il conte di Lancastro. E diedono ordine alle loro schiere, e la gente
-che in catuna dovesse essere, e quale andasse prima ad assalire i
-nemici e quale appresso, e chi fosse nella schiera grossa del re. E
-avvisato catuno capitano della sua gente e di quello ch’al mattino avea
-a fare, tutti intesono per quello resto della giornata a provvedere
-le loro armi e’ loro cavalli, per essere presti la mattina innanzi il
-giorno alla battaglia.
-
-
-CAP. XV.
-
-_Le schiere e gli ordini de’ Franceschi._
-
-Venuto il lunedì mattina, il maliscalco di Dina, a cui toccava il
-primo assalto, fece per tempo la sua schiera co’ cavalieri di Spagna
-e d’altri circustanti a quella lingua, ch’erano venuti e condotti al
-servigio del re, e a questa schiera vi s’aggiunsono masnadieri italiani
-e spagnuoli, sperti delle battaglie, e buoni assalitori. A costoro fu
-commesso d’assalire prima i nemici, ed essendo apparecchiati in sul
-campo, e le spianate fatte, appresso a lui fu fatta la schiera del
-conestabile di Francia, ch’era il duca d’Atene, e in sua schiera ebbe
-molti valenti baccellieri di Francia, provenzali e normandi, e questa
-schiera dovea percuotere appresso i feditori. Dopo questa il Dalfino
-di Vienna figliuolo primogenito del re di Francia, e ’l duca d’Orliens
-fratello del re, furono fatti conduttori della terza schiera, ove
-aveano più di cinquemila cavalieri franceschi e del reame, e questa
-dovea fedire appresso al duca d’Atene. La quarta e ultima schiera era
-quella del re di Francia, nella quale avea più di seimila cavalieri
-con molti grandi baroni, e questa era per fermezza e riscossa di tutte
-l’altre. Avendo i Franceschi così fornite e ordinate le loro schiere:
-essendo lungo spazio di terreno tra loro e’ nemici, innanzi che
-s’aggiungano alla battaglia, ci conviene narrare l’ordine che prese il
-duca di Guales nella sua gente.
-
-
-CAP. XVI.
-
-_L’ordine degl’Inghilesi con le loro schiere._
-
-Avendo il duca di Guales fatto, come detto è, raunare fuori del
-campo innanzi al suo carreggio, verso la frontiera de’ Franceschi
-per buono spazio, in tre monti tutto il grosso della loro preda, vi
-fece aggiugnere legname la mattina innanzi dì e mettervi entro fuoco,
-acciocchè l’avarizia della preda non impedisse l’animo a’ suoi, e
-non fosse speranza agli avversari di racquistarla. E fatti i fuochi
-grandi tra loro e’ nemici, i fummi occuparono la pianura a modo d’una
-grossa nebbia, sicchè i Franceschi non poteano scorgere quello che
-gl’Inghilesi si dovessono fare. E in questo tempo il duca e ’l suo
-consiglio feciono due parti de’ loro arcieri, che n’aveano intorno
-di tremila, e nascosonli in boschi e in vigne, a destra e a sinistra
-inverso dove i Franceschi potessono venire per assalirli, sicchè al
-bisogno d’ogni parte potessono ferire la gente di Francia e’ loro
-cavalli colle saette; e ordinarono fuori del loro campo innanzi al
-carreggio una schiera, che sostenesse il primo assalto, e ’l duca con
-tutta l’altra cavalleria in un fiotto erano armati, e schierati nel
-campo dentro al loro carreggio, per provvedere il portamento de’ loro
-nemici. E in questo modo fu apparecchiata l’una e l’altra oste di
-venire alla battaglia.
-
-
-CAP. XVII.
-
-_La battaglia tra il re di Francia, e il prenze di Guales._
-
-Il maliscalco di Dina colla sua schiera de’ feditori, come poco
-avveduto e assai baldanzoso, vedendo i fuochi che gl’Inghilesi
-facevano, pensò che ardessono il campo, e che per paura se ne
-fuggissono, e per questa folle burbanza, non attendendo d’avere
-appresso la seconda e terza schiera, levato un grido, se ne vanno
-con matto ardimento, e avacciarono il loro assalto, e dilungaronsi
-subitamente tanto dall’altre schiere, che per lo lungo terreno non
-poterono essere veduti da loro, e con grande ardire si misono ad
-assalire la schiera degl’Inghilesi, ch’era di fuori del carreggio, e
-fedironli per tal virtù, che li feciono rinculare a dietro, e perdere
-assai terreno. Il duca e’ suoi, che conobbono la mala condotta che
-aveano fatta gli Spagnuoli, e che non aveano la riscossa appresso,
-mandarono per costa millecinquecento cavalieri de’ loro, e inchiusonli,
-combattendoli dinanzi e di dietro, e sbarattaronli, facendone grande
-uccisione in poca d’ora. Seguendo appresso l’altra più grossa schiera
-del duca d’Atene conestabile di Francia, gli arcieri ch’erano riposti
-uscirono d’ogni parte per costa a saettare a questa schiera, e
-sollecitando le loro saette, molti uomini e cavalli fedirono e assai
-n’uccisono; e ’l duca di Guales, vedendo questa schiera già impedita
-e magagnata dagli arcieri, uscì loro addosso colla baldanza della
-prima vittoria, e dopo non grande resistenza furano tutti morti e
-presi, innanzi che ’l re ne sapesse la novella. Il Delfino di Vienna,
-e ’l duca d’Orliens, che aveano più di cinquemila cavalieri, e il re
-appresso con seimila in sua compagnia, avendo sentita la rotta delle
-due prime schiere, come vilissimi e codardi, avendo ancora due tanti e
-più di cavalieri e di baroni freschi e ben montati, ed essendo i nemici
-stanchi per le due battaglie, tanta paura entro ne loro animi rimessi e
-vili, che potendo ricoverare la battaglia, non ebbono cuore di fedire
-a’ nemici, nè vergogna d’abbandonare il re, ch’era presso di loro sul
-campo, nè l’altra baronia di Francia, e senza ritornarsi a dietro a
-far testa col re insieme, e senza essere cacciati, si fuggirono del
-campo, e andaronsene verso Parigi, abbandonando il padre e’ fratelli
-nel pericolo della grave battaglia; degni non di titoli d’onore, ma di
-gravi pene, se giustizia avesse forza in loro.
-
-
-CAP. XVIII.
-
-_La sconfitta del re di Francia e sua gente._
-
-Avendo il valoroso duca di Guales già sbarattate le due prime schiere
-de’ nemici, e veduto che la terza schiera, ov’era il figliuolo e ’l
-fratello del re con cinquemila cavalieri, per paura s’erano fuggiti
-senza dare o ricevere colpo, prese speranza dell’incredibile vittoria,
-e con molta baldanza tutti in uno drappello fatto s’addirizzarono ad
-andare a combattere la grossa schiera del re. Il quale re, avendosi
-messe innanzi l’altre schiere, si pensò, per ritenere più ferma la
-baronia, di scendere a piè, e così fece. E vedendosi venire addosso
-gl’Inghilesi e’ Guasconi con gran baldanza, e avendo saputa la fuga
-del figliuolo e del fratello non invilì, ma virtuosamente confortando
-i suoi baroni che gli erano di presso, si fece innanzi a’ nemici per
-riceverli alla battaglia coraggiosamente. Il duca co’ suoi franchi
-cavalieri, e sperti in arme a quel tempo più ch’e’ Franceschi, e
-cresciuti nella speranza della vittoria, si fedirono aspramente nella
-schiera del re. Quivi erano di valorosi baroni e di pro’ cavalieri;
-e sentendovi la persona del re, faceano forte e aspra resistenza, e
-mantennono francamente lo stormo, abbattendo, tagliando e uccidendo
-di loro nemici; ma perocchè fortuna favoreggiava gl’Inghilesi, molti
-Franceschi come poteano ricoverare a cavallo si fuggivano, senz’essere
-perseguitati; che la gente del duca non si snodava, e la schiera del
-re al continovo mancava; e ’l re medesimo, conoscendo già la vittoria
-in mano de’ suoi nemici, non volendo per viltà di fuga vituperare
-la corona, fieramente s’addurò alla battaglia, facendo grandi cose
-d’arme di sua persona; ma sentendosi allato messer Gianni suo piccolo
-figliuolo, comandò che fosse menato via e tratto della battaglia; il
-quale per comandamento del re essendo montato a cavallo con alquanti
-in sua compagnia, e partito un pezzo, il fanciullo ebbe tanta onta
-di lasciare il padre nella battaglia che ritornò a lui, e non potendo
-adoperare l’arme, considerava i pericoli del padre, e spesso gridava:
-Padre, guardatevi a destra, o a sinistra o d’altra parte, come vedea
-gli assalitori; ed essendo appresso del re messer Ruberto di Durazzo
-della casa reale di Puglia, ch’avea aoperate sue virtù come paladino,
-e lungamente con altri baroni difesa la battaglia, e morti e magagnati
-assai di quelli ch’a loro si strigneano, in fine abbattuti e morti
-intorno al re, il re fu intorniato dagl’Inghilesi e da’ Guasconi, e
-domandato fu che si dovesse arrendere; ed egli vedendosi intorneato
-de’ suoi baroni e nimici morti e de’ nemici vivi, e fuori d’ogni
-speranza di potere più sostenere la battaglia, s’arrendè per sua voce
-a’ Guasconi, e lasciò l’arme sotto la loro guardia: e ’l suo piccolo
-figliuolo di corpo, e grande d’animo, non si voleva arrendere, ma
-pregato, e ricevuto comandamento dal padre che s’arrendesse, così fece;
-e questo fu il fine della disavventurata battaglia per li Franceschi, e
-d’alta gloria per gl’Inghilesi.
-
-
-CAP. XIX.
-
-_Racconta molti morti e presi nella battaglia._
-
-In questa battaglia furono morti il duca di Borbona della casa di
-Francia, il duca d’Atene, il maliscalco di Chiaramonte, messer Rinaldo
-di Ponzo, messer Giuffrè di Ciarnì, il conte di Galizia, messer Ruberto
-di Durazzo de’ reali del regno di Cicilia, il sire di Landone, il sire
-di Crotignacco, messer Gianni Martello, messer Guglielmo di Montaguto,
-messer Gramonte di Cambelli, il vescovo di Celona, cagione di questo
-male, il vescovo d’Alzurro, tutti alti e gran baroni; e furono morti
-in sul campo oltre a costoro più di milledugento altri cavalieri a
-sproni d’oro, e banderesi, e cavalieri di scudo e borgesi, tutta nobile
-cavalleria, perocchè non v’erano quasi soldati; tutti erano famigli
-di gran signori, e uomini ch’erano venuti al servigio del loro re. I
-presi furono messer Giovanni re di Francia, messer Giovanni suo piccolo
-figliuolo, il maliscalco da Udinam, messer Iacopo di Borbona, il conte
-di Trincia villa, il conte di Monmartino, il visconte di Ventador, il
-Conte di Salembrucco Alamanno, il sire di Craone, il sire di Montaguto,
-il sire di Monfreno, messer Brucicolto, messer Bremont della volta,
-messer Amelio del Balzo, e ’l castellano d’Amposta, messer Gianni e
-messer Carlo d’Artese, l’arcivescovo di Sensa, il vescovo di Lingres, e
-molti altri baroni che qui non si nominano; e oltre a questi caporali,
-vi rimasono presi più di duemila cavalieri franceschi tutti uomini
-di pregio, e grandi e ricchi borgesi, e scudieri e gentili uomini.
-Questa battaglia fu fatta lunedì la mattina, a dì 18 di settembre, gli
-anni 1356, presso a Pittieri a due leghe, in una villa che si chiama
-Trecceria, la quale per questo caso piuttosto confermò il suo nome che
-altra mutazione le desse.
-
-
-CAP. XX.
-
-_Come il re di Francia n’andò preso in Guascogna._
-
-Seguita, che vedendosi il giovane duca sì altamente vittorioso, non
-ne montò in superbia, e non volle come potea mettersi più innanzi
-nel reame, che lieve gli era a venirsene fino a Parigi, ma avendo la
-persona del re a prigione. e ’l figliuolo, e tanti baroni e cavalieri,
-per savio consiglio diliberò di non volere tentare più innanzi la sua
-fortuna; e però raccolta la preda e tutta la sua gente, e fatto fare
-solenne uficio per li morti, e rendute grazie a Dio della sua vittoria,
-si partì del paese, e senz’altro arresto se ne tornò in Guascogna alla
-città di Bordello. E giunto là, fece apparecchiare al re nobilemente
-il più bello ostiere, ove largamente tenea lui e ’l figliuolo, facendo
-loro reale onore, e spesse volte la sua persona il serviva alla
-mensa. È vero che lo volle al cominciamento menare in Inghilterra per
-più sua sicurtà, ma i Guasconi, a cui il re s’era accomandato, non
-acconsentirono, e però si rimase in Guascogna alcun tempo innanzi che
-condotto fosse in Inghilterra, che si fece con grande ingegno, come
-innanzi racconteremo.
-
-
-CAP. XXI.
-
-_I modi tenne il re d’Inghilterra sentendo la novella di sì gran
-vittoria._
-
-Corsa la fama dell’incredibile vittoria in Inghilterra, e avendo il
-re Adoardo di ciò lettere dal figliuolo che li contavano il pericolo
-dov’egli con tutta la sua oste era stato, e l’alta e la grande vittoria
-che Iddio gli avea data, il savio re contenente nella faccia e negli
-atti, senza mostrare vana allegrezza, di presente fece raunare i suoi
-baroni e ’l suo consiglio, e con belle e savie parole dimostrò a tutti
-che questo non era avvenuto per virtù nè operazione di sua gente, ma
-per singulare grazia di Dio, e comandò a tutti che niuna vana gloria o
-festa se ne mostrasse; ma per suo dicreto fece ordinare e mandare per
-tutta l’isola, che in catuna buona terra, castello e villa, otto dì
-continovi si facesse in tutte le chiese ogni mattina solenne sacrificio
-per l’anime de’ morti nella battaglia, e che si rendesse a Dio grazia
-della vittoria ricevuta. E fuori di questi esequi non si udì nè
-vide alcuna festa in tutta l’isola, strignendo catuna l’esempio e il
-comandamento del re. La quale mansuetudine fu al re maggiore laude, che
-al figliuolo la non pensata vittoria.
-
-
-CAP. XXII.
-
-_Battaglia fra due cavalieri, e perchè._
-
-Fu vero, avvegnachè non in questi dì ma poi, che due grandi e valorosi
-cavalieri, l’uno Guascone e l’altro Inghilese, vennero a quistione,
-perocchè catuno si vantava ch’avea preso il re. E venne tanto montando
-la loro riotta, che s’appellarono per questo a battaglia, la quale con
-grande pompa e riguardo feciono a Calese, e il Guascone fece ricredente
-l’Inghilese. E al Guascone ch’ebbe la vittoria furono fatti gran doni
-dal re di Francia e dal prenze di Guales, ma poco appresso gl’Inghilesi
-per invidia il feciono morire. Avendo raccontate l’oltramontane
-fortune, le italiane con sollecitudine addomandano il debito alla
-nostra penna.
-
-
-CAP. XXIII.
-
-_Processo fatto contro a’ signori di Milano per lo vicario
-dell’imperadore._
-
-Narrato abbiamo nel sesto libro, come messer Marcovaldo vescovo
-augustinese vicario in Pisa per l’imperadore, era fatto capitano della
-compagnia, e dell’altra oste de’ Lombardi ch’erano collegati contro
-a’ signori di Milano; ed essendo raunati tutti in Lombardia e acconci
-d’andare verso Milano, il vescovo fece esaltare nell’oste l’insegna
-imperiale ne’ campi di Modena, e ivi dichiarò a tutti, com’egli era
-vicario dell’imperadore, e formò un processo sotto il titolo del
-vicariato contro a messer Bernabò e a messer Galeazzo signori di
-Milano, il quale in effetto contenea: come in derisione e in contento
-della santa Chiesa e’ davano l’investiture de’ beneficii ecclesiastici
-a cui voleano, togliendoli a cui la santa Chiesa gli avea investiti, e
-a’ legati del papa non lasciavano in tutta loro tirannica giurisdizione
-fare uficio, e alquanti n’aveano fatti morire crudelmente; e come
-aveano trattato con messer Palletta da Montescudaio di tradire
-l’imperadore, e di torgli la città di Pisa, e come per loro violenta
-tirannia aveano occupate le città e’ popoli di Lombardia pertinenti al
-santo imperio, e come in vergogna della maestà imperiale, tornandosi
-l’imperadore in Alamagna, valicando per Lombardia, gli feciono serrare
-le porte delle città e castella di loro distretto, e guardare le mura
-con gente d’arme, come da loro nemico, avendo titolo di suoi vicari;
-e formato il processo, mandò per sue lettere a richiedere i tiranni,
-che a dì 11 del presente mese d’ottobre del detto anno comparissono
-personalmente dinanzi da lui a scusarsi del detto processo, altrimenti
-non ostante la loro contumace contro a loro pronunzierebbe giusta
-sentenza. E di quella, coll’aiuto di Dio, e del santo imperio e del suo
-potente esercito, tosto intendea fare piena esecuzione.
-
-
-CAP. XXIV.
-
-_Risposta fatta per li signori di Milano al vicario._
-
-«Avendo per alcuni nostri fedeli notizia delle tue superbe e pazze
-lettere, colle quali noi, come fanciulli, col tuo ventoso intronamento
-credi spaurire, noi, avvegnachè dell’età giovani, molte cose avendo
-già vedute, al postutto il mormorio delle mosche non temiamo. Tu
-immerito del preclarissimo nome del santo imperio ti fai vicario, dei
-quale noi fedeli vicari ci confessiamo. Contro dunque a te non vicario
-dell’imperio, ma capo de’ ladroni, e guida di fuggitivi soldati, infra’
-l termine che ci hai assegnato, acciocchè non t’affatichi venendo
-sopra il milanese, piagentino ovvero parmigiano tenitorio, pe’ nostri
-precussori idonei, acciocchè non ti vanti ch’a tua volontà le nostre
-persone abbi mosse, co’ tuoi guai, forse ti risponderemo. Noi adunque
-promettiamo a te, che con nefaria mano di ladroni a depopolare e ardere
-i nostri pacifichi confini con pazzo campo se’ mosso, non come vescovo
-ma come uomo di sangue, se la fortuna ministra, della giustizia nelle
-nostre mani ti conducerà, non altrimenti che come famoso ladrone, e
-incendiario ti puniremo.»
-
-
-CAP. XXV.
-
-_Risposta fatta, per lo vicario, alla detta lettera._
-
-«Rallegriamo delle lettere che mandate ci avete, quali mostrano la
-superbia della quale voi vi gloriate. Della nostra ingiuria intendiamo
-soprassedere, ma della bugia scritta nelle vostre lettere non ci
-possiamo contenere. Scriveste dunque, che co’ vostri precursori,
-innanzi ch’entrassimo nel vostro tenitorio, ci rispondereste
-minacciandone di battaglia. E ora con la grazia di Dio e col suo
-aiuto, nel quale solo è la nostra speranza, non occultamente a modo di
-predoni, ma palesi, passati Parma, siamo in sul campo presso a cinque
-miglia a Piacenza, e col detto divino aiutorio intendiamo procedere
-innanzi, e co’ vostri precursori non ci avete ovviati, in vituperio
-della vostra vana superbia. Data a Ponte miro, a dì 10 d’ottobre.»
-
-
-CAP. XXVI.
-
-_Come i soldati de’ tiranni non vollono venire contro all’insegna
-dell’imperadore._
-
-Era in questo mezzo avvenuto, ch’e’ signori di Milano, temendo
-l’avvenimento de’ sopraddetti loro avversari, aveano mandato a Parma
-il marchese Francesco con quattromila barbute di gente tedesca e
-Borgognoni ivi raunati altri cavalieri e gran popolo per uscire a
-campo, e non lasciare i nemici entrare sul terreno de’ signori di
-Milano, e di combattere con loro. Quando il marchese volle uscire
-fuori a campo, i conestabili de’ Tedeschi e de’ Borgognoni tutti di
-concordia dissono al marchese loro capitano, che contro al vicario
-dell’imperadore e alla sua insegna non anderebbono, nè in campo non
-farebbono resistenza contro al loro signore. Questo fu il titolo della
-scusa, ma più li mosse non volere fare resistenza alla compagnia,
-perocchè aveano parte in quella non istandovi, e il refugio e il soldo
-quand’erano cassi in altre parti; ma dissono, ch’erano apparecchiati di
-stare alla guardia delle città e delle castella lealmente. I signori
-sentendo l’intenzione de’ soldati, ch’acconsentivano d’essere cassi
-innanzi che uscire contro al vicario dell’imperadore, pensarono che a
-cassarli era aggiugnere forza a’ loro nemici, e pericolo di loro stato:
-e però dissimularono con loro, e ritrassonli a Milano, lasciando in
-Parma e in Piacenza buona guardia per difendere le mura.
-
-
-CAP. XXVII.
-
-_Come il vicario puose campo._
-
-Il vescovo d’Augusta, ch’era prod’uomo in fatti d’arme e bene avveduto,
-sentendo ch’e’ soldati de’ signori di Milano non erano per uscire in
-campo contro a lui, con più ardire valicò Parma, cavalcando con tutta
-sua oste presso alle porti, e così Cremona, e ristette alquanto in sui
-Piacentino, ove fece la risposta della lettera sopraddetta. E predando
-il paese d’intorno per alcuno dì, si partì di là, ed entrò sul contado
-di Milano; e facendo in quello grandissime prede, trovando la gente
-male provveduta, si mise a fermare suo campo a una grossa villa che si
-chiama Rosario, presso a Milano a quattordici miglia di piano, intorno
-alla quale a due, e a tre, e quattro miglia sono altre grosse villate,
-raccolte a modo di casali, piene di molta vittuaglia e bestiame, e
-per l’abbondanza l’oste vi stette a grande agio; e indi cavalcarono
-per tutto il Milanese, facendo danno grave a’ paesani, che per lungo
-tempo non aveano sentito che guerra si fosse; e con tutta la forza de’
-signori di Milano, niuna resistenza trovarono in campo in molti giorni:
-e però lasceremo alquanto questa materia, tanto che le grandi cose che
-ne seguirono abbiano il tempo loro, non partendoci però dall’italiane
-tempeste, che prima si vogliono raccontare.
-
-
-CAP. XXVIII.
-
-_Ordine del re d’Ungheria alla guerra con i Veneziani._
-
-Tornato il re in Ungheria, avvisato che la moltitudine degli Ungheri
-non si può mantenere in Italia come ne’ diserti, ebbe suo consiglio, ed
-elesse trenta suoi grandi baroni per capitani, ciascuno di cinquemila
-Ungheri a cavallo, con ordine che catuno il servisse tre mesi, come
-sono tenuti per omaggio. E per questo modo deliberò di continovare
-la guerra a’ Veneziani, succedendo l’uno barone all’altro di due in
-due mesi, perocchè ’l terzo aveano per la venuta e pel ritorno. E a
-dì 15 d’ottobre del detto anno giunse l’uno de’ baroni a Colligrano
-con quattromila Ungheri, i quali di presente si misono a scorrere e a
-predare il paese infino a Trevigi. In campo non trovavano contasto,
-perocchè come questo signore era sopra Trevigi, così altri signori
-erano a Giara e nella Schiavonia sopra le terre de’ Veneziani, sicchè i
-Veneziani aveano tanto a fare a guardare le mura delle loro terre, che
-non sapeano come pur quello si potessono fornire, sicchè gli Ungheri al
-tutto signoreggiavano i campi di Trevigiana, e assediavano le castella.
-
-
-CAP. XXIX.
-
-_L’aguato misono gli Ungheri a gente de’ Veneziani._
-
-Il doge di Vinegia col suo consiglio, vedendo la soperchia baldanza
-degli Ungheri, per tenerli più a freno si sforzarono di conducere un
-gran barone della Magna con seicento cavalieri tedeschi, per mandarli a
-Trevigi, e pagaronlo per quattro mesi innanzi; e datogli a compagnia un
-gentile uomo di Vinegia, all’uscita d’ottobre li mandarono a Trevigi,
-e per loro la paga per gli altri soldati a cavallo e a piè ch’erano
-a Trevigi. Costoro con poca provvedenza de’ loro nemici faceano la
-via per lo Vicentino. Gli Ungheri da Colligrano sentirono la via che
-costoro faceano; e di subito eletti mille Ungheri, li feciono cavalcare
-la notte contro a’ Tedeschi; e venne loro si contamente fatto, che
-innanzi ch’e’ Tedeschi avessono novella di loro, gli ebbono addosso
-nel cammino; ed essendo male armati, chi si mise a difendere fu morto,
-gli altri tutti ebbono a prigioni, e tolti loro i danari, e l’arme, e’
-cavalli; e le robe, in camicia gli rimandarono a Vinegia. Per questo
-i Veneziani perderono molto vigore, e a’ nemici baldanza grande ne
-crebbe, e quasi come paesani sicuravano i villani, e faceano lavorare
-le terre per la nuova sementa.
-
-
-CAP. XXX.
-
-_Come il re Luigi trattò d’avere Messina in Cicilia._
-
-Addietro avemo fatta memoria nel quarto libro, come messer Niccola di
-Cesaro rientrò in Messina e caccionne i suoi nemici, e con assentimento
-del re Luigi riprese Melazzo, e fecesene maggiore, ma non tanto
-ch’avesse ardire di scoprirsi a’ Messinesi, se non si sentisse più
-forte. E però s’accostò alla setta di que’ di Chiaramonte, e fece
-tornare da Firenze a Messina certi cavalieri ch’erano stati cacciati
-quando fu cacciato egli. E vedendo morto colui che dovea essere loro
-re, si mise in trattato col gran siniscalco del re Luigi di dargli
-Messina, e per questa cagione il re Luigi, e la reina Giovanna andarono
-in Calavria, e stettono parecchi mesi a Reggio, innanzi che l’accordo
-avesse il suo effetto. E facendo suo sforzo d’avere galee armate a
-questo servigio, con gran fatica ve n’erano sette, e alquanti legni
-armati in questo tempo. Lasceremo al presente questa materia tanto
-che venga a perfezione, e seguiremo quello che prima ci occorre a
-raccontare.
-
-
-CAP. XXXI.
-
-_Come si trattò pace fra il conte di Fiandra e i Brabanzoni._
-
-I Brabanzoni vedendosi sottoposti al conte di Fiandra e a’ Fiamminghi,
-cosa molto strana al loro costume, non potendo più sostenere il giogo,
-e non volendosi rimettere in guerra, che n’erano mal capitati e mal
-destri, per savio avvisamento presono consiglio tutte le comuni di
-Brabante, fuori che la villa di Mellina ch’appartenea al conte, che la
-duchessa, ch’era cognata carnale del conte, tornasse in Brabante: e
-fattala venire, la ricevettono in Loano, affinchè tra lei e ’l conte
-si trovasse accordo. E per questa cagione, niuna vista o sentimento
-mostrarono di pigliare arme: e ’l conte, sentendo tornata la cognata
-in Brabante, non ne prese turbazione come avrebbe fatto del duca. E di
-presente che la duchessa fu in Brabante, si levarono baroni e amici di
-catuna parte, a trattare tra loro concordia per riposo de’ Fiamminghi
-e Brabanzoni. Per lo quale trattato, avvegnachè durasse lungamente,
-in fine, come trovare si potrà appresso nel suo tempo, vennero a final
-pace e concordia; ma questo principio fu del mese d’ottobre del detto
-anno.
-
-
-CAP. XXXII.
-
-_Come i Fiorentini si partirono da Pisa, e andarono a Siena con le
-mercatanzie._
-
-Seguita, per non lasciare in silenzio lo sdegno preso pe’ Fiorentini
-contro a’ Pisani, i quali, come narrato è addietro, aveano loro rotta
-la pace, togliendo a’ Fiorentini la franchigia, della quale appresso
-seguitò grande materia di guerra, come leggendo per li tempi si potrà
-trovare. I Fiorentini avendo ritratta la loro mercatanzia e’ danari,
-in calen di novembre anno detto, tutti i cittadini e distrettuali di
-Firenze furono partiti di Pisa; e come questo fu fatto, e le strade
-sbandite per divieto fatto a tutte le mercatanzie, arnese e roba, i
-Genovesi, e’ Provenzali, e’ Catalani, e tutti altri mercatanti se ne
-partirono, e rimase la città di Pisa ne’ luoghi della mercatanzia
-solitaria; e allora si cominciarono a avvedere i Pisani che non
-aveano fatta buona impresa, e grande repetio ebbe nella città de’
-loro maggiori nel reggimento, che dato avea a intendere, che per
-gravezze ch’e’ facessono a’ Fiorentini non se ne partirebbono, tant’era
-l’agiamento del porto, e la comodità del cammino e dell’altre cose,
-e’ non pensavano che lo sdegno dell’ingiuria ponderasse contro alla
-loro comodità. La cosa andò tutto per altro modo. I Fiorentini presono
-porto a Talamone, e pertinacemente si disposono a volere vedere se fare
-potessono la mercatanzia senza i Pisani. Per questo i Pisani ch’erano
-amici di Simone Boccanegra doge di Genova, si misono a fare lega con
-lui, e armare galee, per impedire che la mercatanzia non ponesse a
-Talamone. Onde seguitarono non piccole e disusate novità, come leggendo
-innanzi a loro tempo si potrà trovare.
-
-
-CAP. XXXIII.
-
-_Come il capitano di Forlì si provvide._
-
-Essendo la compagnia valicata in Lombardia, il legato intendea a
-riprendere la guerra contro al capitano di Forlì il signore di Faenza,
-e apparecchiavasi d’assediare la città di Forlì. Il capitano ch’era
-coraggioso e avvisato, innanzi che l’assedio gli venisse addosso,
-ebbe trecento suoi cavalieri e cinquecento masnadieri, e di subito e
-improvviso a’ Malatesti cavalcò con questa gente a Rimini, e accolse
-una grande preda d’uomini, e d’arnesi, e di bestiame, e data la
-volta, senza contasto con tutta la preda si tornò in Forlì; e fatto
-questo, fece ardere e disfare tutti i casali e terre da non potersi
-bene difendere, e intese a votare la terra di tutta la gente disutile
-alla guerra, e a fornirsi copiosamente di vittuaglia, acciocchè più
-lungamente potesse fare sua difesa contro al legato, ch’era per farlo
-assediare, come appresso avvenne, ma più tardi ch’e’ non s’avvisava.
-
-
-CAP. XXXIV.
-
-_Come Faenza s’arrendè al legato, e’ patti._
-
-Messer Giovanni di messer Ricciardo de’ Manfredi signore di Faenza,
-conoscendo la sua forza debole a resistere a santa Chiesa, si mise
-a trattare accordo col legato, mediante gli ambasciadori del re
-d’Ungheria, che a stanza di messer Giovanni se ne travagliavano, e in
-fine del mese di Novembre anno detto, a dì 10, vennero a questi patti:
-che al legato si dovesse rendere liberamente la signoria di Faenza, e
-delle castella e del contado, e messer Giovanni dovesse avere tutto suo
-patrimonio salvo, e la terra di Bagnacavallo. E per attenere i patti
-diede due suoi figliuoli stadichi, e mandolli co’ detti ambasciadori
-alla guardia del signore di Padova. E appresso, del mese di dicembre
-vegnente, il legato attesi d’ogni parte i patti, fece prendere la
-tenuta della città di Faenza e di tutte le castella. E innanzi che
-la terra si desse al legato, il tiranno fece a’ cittadini gravi
-oppressioni, e tolse loro molti danari, e di quelli cui egli odiava
-per sospetto fece uccidere. E a questo modo prese fine la tirannia di
-messer Giovanni sopraddetto, la quale per lo suo principio fu cagione,
-come addietro avemo contato, di molti mali avvenuti in Italia.
-
-
-CAP. XXXV.
-
-_Che fece la gente della lega de’ Lombardi in questo tempo._
-
-Tornando a’ fatti di Lombardia, essendo stato lungamente il vicario
-dell’imperadore colla gente della lega e della compagnia a oste in
-sul contado di Milano senza avere trovato contasto, si ridussono a
-una villa chiamata Margotto in sul Tesino, e ivi si rassegnarono
-tremilacinquecento cavalieri bene armati e bene a cavallo, senza
-l’altra cavalleria da saccomanno, e seimila masnadieri: costoro
-prendeano molta fidanza, non temendo ch’e’ soldati tedeschi e
-borgognoni venissono contro a loro. Il marchese di Monferrato trasse
-dell’oste cinquecento cavalieri per un trattato ch’egli avea tenuto
-della città di Novara, e a dì 9 di novembre anno detto entrò nella
-terra, e presela, e assediò il castello, ch’era grande e forte e
-bene fornito di gente alla difesa, e di molta vittuaglia da potere
-lungamente attendere il soccorso, e francamente manteneano la difesa.
-
-
-CAP. XXXVI.
-
-_Della materia medesima._
-
-Avvenne, che presa Novara per lo marchese prosperamente, avendo egli e
-messer Azzo da Correggio un altro trattato in Vercelli, si sforzarono
-d’avacciare la cavalcata, e per tema di riparo che pensavano vi si
-metterebbe per esempio di Novara; e per questo messer Azzo trasse
-dell’oste anche settecento barbute di buona gente, e andando per
-entrare in Vercelli, a dì 11 di novembre detto, quelli che v’erano
-dentro per lo signore di Milano avendo udita la novità di Novara
-ripararono alla guardia di Vercelli, sicchè la cavalcata fu invano.
-Nondimeno pensando il marchese e messer Azzo che da Milano non potesse
-venire loro soccorso, vi si misono a oste, ove stettono più dì; e in
-questo mezzo fortuna cambiò la faccia a coloro che troppo si fidavano,
-come spesso avviene in fatti di guerra, che fa vinti i vincitori avere
-a schifo il suo nemico.
-
-
-CAP. XXXVII.
-
-_Come l’oste della lega fu rotta dalla gente di Milano._
-
-I signori di Milano che riceveano cotanto oltraggio per la malizia de’
-loro soldati, non si ruppono da loro, ma carezzaronli in vista e in
-opere, e massimamente certi conestabili più confidenti, e tanto seppono
-fare, che una parte ne recarono a loro volontà; e nondimeno per tutte
-loro città raccolsono arme de’ soldati de’ loro sudditi e degli altri
-Italiani intorno di quattromila cavalieri, e altrettanti n’ebbono
-de’ loro soldati; e questo fu fatto per modo, che poco avvisamento
-n’ebbono i loro nemici. E sentendo tratti dell’oste del vicario
-milledugento barbute per lo fatto di Novara e di Vercelli, subitamente
-feciono capitano messer Loderigo de’ Visconti valente cavaliere, ma
-di grande età. Costui uscì subito con bene seimila cavalieri e molto
-gran popolo di Milano, e andatosene verso i nemici, ch’erano col loro
-campo a Margotto in sul Tesino, puosesi a campo a dì 12 di novembre
-predetto, presso a’ nemici a tre miglia, e mandò a richiedere il
-vescovo di battaglia, la quale richiesta il vicario mostrò d’accettare
-allegramente, e ’l termine fu per la domenica mattina vegnente, a dì
-13 del mese. Ma vedendosi il vescovo sfornito il campo di milledugento
-buoni cavalieri, si provvide la notte di fare valicare il Tesino a
-tutta la sua oste, a fine di riducersi con essa presso a Pavia, per
-avere il sussidio della città, che troppo gli parea avere grande
-disavvantaggio. In questo movimento prigioni si fuggirono ch’avvisarono
-messer Loderigo del fatto: il quale di subito la notte mandò messer
-Vallerano Interminelli, figliuolo che fu di Castruccio, con trecento
-cavalieri, e comandogli che si strignesse co’ nemici francamente,
-sicch’egli impedisse la partita loro, tanto ch’e’ giugnesse colla sua
-oste, della quale incontanente ordinò le battaglie, e seguitò appresso.
-Messer Vallerano fece coraggiosamente il suo servigio, e innanzi
-dì assalì il campo ora dall’una parte ora dall’altra, per li quali
-assalti molto impedì il valico del Tesino alla gente del vicario. Ma
-schiarito il giorno, per lo soperchio della gente del vicario fu preso
-colla maggiore parte de’ suoi cavalieri. Nondimeno il carreggio del
-campo, e la salmeria, e ’l popolo, e parte de’ cavalieri valicavano
-continovamente, e di qua alla riscossa erano rimasi col vicario
-dell’imperadore il conte di Lando capitano della compagnia, e messer
-Dondaccio di Parma, e messer Ramondino Lupo, e quasi tutti i migliori
-conestabili dell’oste con millecinquecento barbute e co’ sopraddetti
-prigioni. E avendosi messa innanzi tutta l’altra oste, innanzi che
-potessono conducersi al passo, messer Loderigo colla sua cavalleria,
-tutti schierati e ordinati alla battaglia, fu loro addosso la mattina
-al chiaro dì. I cavalieri del vicario, ch’erano uomini di gran virtù
-in fatti d’arme, vedendosi allo stretto partito, tutti s’annodarono
-insieme, e feciono testa, e ricevettono l’assalto de’ nemici
-francamente, non lasciandosi di serrare, facendo d’arme gran cose
-contro al soperchio ch’aveano addosso: e combattendo continovamente
-per spazio di tre ore sostennero l’assalto d’ogni parte, danneggiando
-molto i nemici loro. Infine la fatica e ’l soperchio della moltitudine
-de’ loro avversari li ruppe. Allora molti, che temettono più la paura
-che la vergogna, si misono alla fuga e camparono. In sul campo ne
-rimasono presi seicento e più, tra’ quali fu il vescovo già detto,
-vicario dell’imperadore, e ’l conte di Lando, e messer Ramondino Lupo,
-e messer Dondaccio. È vero che ’l conte venne a mano de’ Tedeschi,
-che ’l celarono e camparono, e due cavalieri tedeschi camparono messer
-Dondaccio, e fuggironsi con lui, e fidaronsi alle sue promesse, e per
-diversi cammini il condussono a Firenze, e poi in Lombardia. Tutta
-l’altra oste, che avea valicato Tesino, sani e salvi si ricolsono in
-Pavia con tutto il carreaggio e l’altro arnese. E questa fu la fine
-della nuova impresa del nuovo vicario dell’imperadore, ma non de’ fatti
-della lega.
-
-
-CAP. XXXVIII.
-
-_Il consiglio prese il capitano di Forlì._
-
-Veduto che Francesco degli Ordelaffi ebbe, che Faenza, e tutta l’altra
-Romagna, e la Marca, e ’l Ducato era venuta all’ubbidienza di santa
-Chiesa, e che al legato ch’avea gran potenza di danari e d’uomini
-d’arme, non restava a fare altra guerra che contro a lui, ragunò a
-consiglio tutti i buoni uomini di Forlì, e domandò consiglio da loro
-di quello ch’avesse a fare. Costoro consigliati insieme, di concordia
-feciono dire al capitano in quel consiglio, che la fede e l’amore
-ch’e’ Forlivesi aveano sempre portato alla sua casa e a lui non era
-in loro mancata; e come altre volte de’ loro propri beni nelle fortune
-loro gli aveano atati e mantenuti, tanto ch’elli erano ritornati nella
-signoria; così intendeano di fare quando il bisogno incorresse, di che
-Iddio il guardasse. Nondimeno conoscendo al presente la gran forza
-della Chiesa contro a lui solo, e niuno soccorso, consigliavano che
-col legato si trattasse accordo il migliore che avere si potesse. E
-di questo avverrebbe, ch’eglino suoi amici non perderebbono i loro
-beni, e potrebbonlo sovvenire e atare. Quando egli ebbe udito il loro
-consiglio, disse: Ora voglio che voi udiate la mia intenzione. Io
-non intendo fare accordo colla Chiesa, se Forlì e l’altre terre ch’io
-tengo non mi rimangono, e quelle intendo mantenere e difendere fino
-alla morte. E prima Cesena, e le castella di fuori, e Forlimpopoli,
-e appresso perdute quelle, le mura di Forlì, e perdute le mura,
-difendere le vie e le piazze, all’ultimo questo mio palazzo, e in fine
-l’ultima torre di quello, innanzi che per suo assentimento alcuna
-n’abbandonasse; e però volea che tutti sapessono in palese la sua
-intenzione, pregandoli con minacciamento di gravi minacce che catuno li
-fosse fedele amico e leale: e di presente mandò la moglie e’ figliuoli
-con buona compagnia di gente d’arme a cavallo e a piè, e raccomandolle
-la guardia di Cesena; e fornì di vantaggio tutte le castella, e di
-Forlì trasse da capo femmine e fanciulli, e gente disutile in tempo
-d’assedio, e soldati mise nelle case e masserizie di certi cittadini
-meno confidenti; e così disposto, intendea a difendersi dal legato.
-
-
-CAP. XXXIX.
-
-_Messer Niccola prese Messina per lo re Luigi._
-
-Tornando nostra materia a’ fatti di Messina, essendo il re Luigi a
-Reggio, messer Niccola di Cesaro avea procurato d’avere in sua guardia
-il castello di Sansalvadore in sulla marina, e aggiuntosi i cavalieri
-di sua setta, ch’avea fatti ritornare da Firenze, si provvide che non
-era sicuro a fare sua impresa col re Luigi, s’e’ non avesse il castello
-di Mattagrifone sopra Messina, che era fortissimo, e dava l’entrata e
-l’uscita della città per la montagna; questo procacciò per ingegno,
-che per forza non avea luogo. Il castellano non prendea guardia de’
-suoi cittadini, e’ cavalieri tornati da Firenze erano amici, e per
-modo d’andarlo a vicitare con alquanti loro famigli, furono con festa
-ricevuti da lui; e tenendolo in novelle, com’era ordinato, messer
-Niccola sopravvenne con altri suoi compagni, e non gli fu contradetta
-l’entrata per mala provvisione del castellano; e trovandosi dentro
-forte, cortesemente ne trasse il castellano, ch’era male provveduto
-alla difesa. Fornito questo messer Niccola vi mise il castellano e le
-guardie a suo modo; e avendo fermo il trattato col re Luigi, il re del
-mese di novembre vi mandò messer Niccola Acciaiuoli da Firenze ch’avea
-menato questo trattato, con sette galee e un legno armato cariche di
-grano, e con lui cinquanta cavalieri e trecento masnadieri di Toscana;
-e giunti a Messina, furono ricevuti da messer Niccola di Cesaro e da’
-suoi seguaci a grande onore; e ’l popolo ch’avea necessità grande di
-vittuaglia, sentendo le galee cariche di grano, fu molto contento, e
-incontanente per sicurtà del re fu consegnato al gran siniscalco la
-guardia di Sansalvadore, ch’è la forza del porto, e Mattagrifone, ch’è
-la guardia della città; e fatto questo, e lasciato in catuno masnadieri
-e balestrieri alla guardia, fu condotto il gran siniscalco e l’altra
-sua gente d’arme all’abitazione del re, ove trovò due figliuole del
-re Petro, le quali ritenute cortesemente mandò poi al re e alla reina
-ch’erano a Reggio, e da loro furono ricevute graziosamente, come
-appresso racconteremo, e la reina le ritenne con seco onorevolemente.
-Qui si desti la memoria della reale eccellenza del re Ruberto: qui
-s’agguagli la sua sollecitudine, la sua grande potenza, l’armata di
-cento, e di centosessanta, e di dugento galee per volta, e di molte
-armate colla forza grande de’ suoi baroni, e della sua cavalleria e
-delle sue osti, per acquistare alcuna terra nell’isola di Cicilia non
-che Messina, ch’è la corona dell’isola, e non potutolo fare, acciocchè
-per esempio si raffreni l’impotente ambizione degli uomini, e non si
-stimi alcuna cosa per forza avere fermezza, nè potere fuggire a tempo
-le calamità innate nelle mortali e cadevoli cose del mondo.
-
-
-CAP. XL.
-
-_Come si ribellò Genova a que’ di Milano._
-
-Seguitasi, che in questi dì i Genovesi, i quali di natura sono altieri,
-vedendosi sì vilmente sottoposti a’ tiranni di Milano, e che vendicati
-s’erano de’ Veneziani e de’ Catalani, per la cui fortuna s’erano
-sottoposti al tirannesco giogo, avendo sentito che ’l marchese di
-Monferrato avea rubellato a’ tiranni Asti in Piemonte, e che i signori
-di Pavia s’erano accostati con lui, e ’l vicario dell’imperadore
-era colla gente della lega e colla compagnia a oste in sul Milanese,
-innanzi che sapessono della sconfitta del vicario, parendo loro avere
-tempo da rubellarsi senza pericolo, a dì 15 di novembre anno detto, il
-popolo si levò a romore, e prese l’arme, e corse la terra, gridando:
-Viva libertà, e muoiano i tiranni; e corsi al palagio, dov’era il
-vicario de’ signori, senza contasto furono messi dentro, e trassonne il
-vicario e tutta sua famiglia, e tutte le masnade de’ soldati a cavallo
-e a piè con lui misono fuori della città e del loro distretto, senza
-fare loro villania o altro male. E incontanente mandarono a Pisa per
-messer Simone Boccanegra, ch’era prima stato doge di Genova, il quale
-essendo molto amico de’ Pisani, e avendo secondo l’opinione di molti
-trattata questa rivoltura, coll’aiuto de’ cavalieri di Pisa e per loro
-consiglio si mise per terra, e andò a Genova, e prese la signoria dal
-popolo. E per questo modo fu libera la città di Genova dalla signoria
-de’ Visconti di Milano, della qual cosa i signori di Milano rimasono
-indegnati contro al comune di Pisa, aggiugnendo allo sdegno, ch’aveano
-dato aiuto al vicario dell’imperadore quando andò contro a loro, e la
-morte di messer Paffetta loro confidente amico; ma tutto comporta nel
-tempo l’animo della parte.
-
-
-CAP. XLI.
-
-_Come fu disfatta la chiesa di santo Romolo._
-
-Era la chiesa di santo Romolo in sulla piazza de’ priori, e impedia
-molto la piazza; entrò un uficio al priorato ch’aveano poco a fare, e
-però, come fu loro messo innanzi di rallargare e dirizzare la piazza,
-preso di concordia tra loro il partito, subitamente la sera e la
-notte feciono mettere in puntelli la chiesa e le case sue, e a dì 20
-di novembre tutto feciono rovinare, e ivi presso volgendo le loggie
-verso la piazza, ordinarono che si redificasse maggiore e più bella,
-e ordinaronvi i danari, e fu fatto. Costoro, a dì 3 di dicembre del
-detto anno, volendo fare una gran loggia per lo comune in sulla via di
-Vacchereccia, non bene provveduti al beneficio del popolo, subitamente
-feciono puntellare e tagliare da piè il nobile palagio e la torre della
-guardia della moneta, dov’era la zecca del comune, ch’era dirimpetto
-all’entrata del palagio de’ priori in sulla via di Vacchereccia, e
-quella abbattuta, e fatta la stima delle case vicine fino al chiasso
-de’ Baroncelli e de’ Raugi (biasimati dell’impresa, e che loggia si
-convenia a tiranno e non a popolo) vi rimase la piazza de’ casolari, e
-la moneta assai debole e vergognosa a cotanto comune. Questo medesimo
-uficio comperò da’ Tornaquinci la grande e bella torre ch’aveano sul
-canto di mercato vecchio e in sul corso del palio, la quale strignea
-e impediva la via del corso; questa feciono abbattere e cadere in sul
-mercato all’uscita del loro uficio; e fu molto a grado a’ cittadini, e
-utile alla via e al mercato.
-
-
-CAP. XLII.
-
-_Quello fece messer Filippo di Taranto e di Vercelli._
-
-Era in questi dì a corte di Roma a Avignone messer Filippo di
-Taranto fratello carnale del re Luigi, il quale aspettava che ’l papa
-dispensasse con lui e con la moglie che s’avea tolta, sirocchia della
-reina Giovanna, quella che fu moglie del duca di Durazzo e appresso di
-Ruberto del Balzo, ed era sua nipote, figliuola del fratello carnale;
-e ’l papa, per l’irreverenza ch’ebbono al sagramento matrimoniale
-di copularsi prima ch’avessono la dispensagione, tardava di farla,
-e mostrava di non volerla fare: e in questo aspetto messer Filippo
-sommosse certi baroni e cavalieri provenzali, e raunò quattrocento
-barbute, e tenne segreta la sua cavalcata, avendo boce ch’andava in
-aiuto a’ signori di Milano o al marchese; ma egli ch’avea suo trattato
-cavalcò a Carasco in Piemonte, e ripresesi la terra, e lasciolla
-in ordine di guardia, e se ne tornò a Avignone del detto mese di
-novembre. In questo medesimo mese, non ostante la sconfitta del vicario
-dell’imperadore, il marchese di Monferrato, e messer Azzo da Correggio,
-e ’l conte di Lando, ch’era lasciato, accolsono tutto il rimanente
-della loro gente, e que’ di Milano, avendo la vittoria, ne cassarono,
-e assediarono di fuori il castello di Novara, e anche dalla parte della
-città, e assediarono Vercelli, e tutto il verno mantennero gli assedi,
-tanto che vinsono la punga del castello di Novara, come seguendo nostro
-trattato al suo tempo diviseremo.
-
-
-CAP. XLIII.
-
-_Come si fuggì di Milano la donna che fu di messer Luchino col
-figliuolo._
-
-Di messer Luchino Visconti tiranno di Milano era rimaso uno figliuolo
-nudrito per la madre, ch’era di quelli dal Fiesco di Genova. I tiranni
-di Milano, per tema della signoria, l’aveano assottigliato delle
-possessioni e del tesoro che ’l padre gli avea lasciato, e il giovane
-crescea in aspetto d’essere valoroso e in amore de’ cittadini, e questo
-gravava l’animo a’ signori per gelosia dal loro stato. La madre, ch’era
-savia e accorta, temea forte che messer Bernabò e messer Galeazzo nol
-facessono morire, i quali teneano lui e lei in guardia, ch’uscire non
-poteano di Milano. La donna ordinò molto saviamente con danari e con
-grandi promesse, con certi conestabili di cavalieri ch’aveano a fare
-la guardia, che ’l dì ch’ella disse loro la donna fu provveduta, e
-montata in su buoni cavalli, e con parte di loro tesoro furono tratti
-di Milano, e avviati con cavalieri in verso Pavia. La cosa fu tosto
-manifestata a’ signori; i quali li feciono perseguitare insino presso
-a Pavia, e arebbonli ritenuti, se non che gente uscì di Pavia, e
-ricevettonli, e tutti condussonli sani e salvi nella città di Pavia.
-
-
-CAP. XLIV.
-
-_Come il Re Luigi e la reina andarono a Messina._
-
-Dappoichè per la gente del re Luigi fu presa la tenuta delle fortezze
-della città di Messina e del porto, i cittadini ordinarono di comune
-consiglio di mandare per lo re e per la reina a Reggio, acciocchè
-venissono in Messina a ricevere il saramento e la reverenza come loro
-signori; ed elessono undici cittadini i maggiori per ambasciadori,
-i quali tutti si vestirono di scarlatto foderato di vaio, e con le
-due figliuole di don Petro valicarono a Reggio, del mese di dicembre
-anno detto; e giunti là, e fatta la reverenza al re e alla reina,
-furono da loro ricevuti con grande allegrezza e festa; e sposta la
-loro ambasciata, e pregato il re e la reina che dovessono andare a
-Messina, incontanente mandarono a far tornare le loro galee: e ricevute
-le damigelle a grande onore, la reina l’ordinò di sua compagnia,
-trattandole caritatevolmente in tutte le cose; e venute le galee, il re
-e la reina e le damigelle vi montarono suso con tutti gli ambasciadori,
-e valicarono a Messina, a dì 24 di dicembre la vigilia di Natale,
-ove furono ricevuti con grande solennità di festa, fatta per tutti i
-cittadini, e collocati nelle case reali: e fatta la solenne festa del
-Natale, ricevettono il saramento e l’omaggio da tutti i cittadini, e
-a richiesta de’ cittadini promise il re di risedere colla corte di là,
-cosa che poi non attenne.
-
-
-CAP. XLV.
-
-_Come fu murato il borgo di Fegghine._
-
-Ricordandosi i cittadini di Firenze, come in tutte le gravi guerre
-ch’al loro comune erano sopravvenute, il borgo di Fegghine ricevea
-le percosse, e veggendo quanto il porto di quel luogo era utile al
-fornimento della città, per la grande abbondanza della vittuaglia
-che a quello mercato continovamente venia, diliberarono che ’l borgo
-si murasse di grosse mura e di buone torri, e facessevisi una grossa
-terra alle spese del comune con l’aiuto delle circustanti vicinanze;
-e dato l’ordine del mese di dicembre del detto anno, e chiamati gli
-uficiali del mese di gennaio, cominciarono a fare i fossi e le porte
-principali, e appresso a fondare le mura e le torri. Penossi a compiere
-questa terra lungamente, ma fornita fu d’essere circundata di mura da
-difesa l’anno 1363, e compiuta e perfetta del mese di.....: Furono le
-mura in fondamento grosse braccia .... e sopra terra grosse braccia
-... e alte con merli braccia ... con un corridoio dentro in beccatelli
-largo braccia ... e con torri alte braccia .... senza le porte, catuna
-alta sopra le mura braccia ... E con due porte maestre, l’una verso
-Firenze chiamata porta fiorentina, e l’altra verso castello Sangiovanni
-chiamata porta aretina, catuna Con gran torri, alte sopra le mura
-braccia ... la faccia delle mura di verso Firenze è per lunghezza
-braccia ... e diverso l’Arno è braccia ... e quella verso castello
-Sangiovanni è braccia ... e quella di verso il poggio è braccia ...
-E così in tutto girano le mura di quella terra braccia ... E innanzi
-che la terra fosse murata, fu ripiena di molte case nuove edificate
-da’ cittadini di Firenze, e da’ paesani d’intorno. Costò al comune
-di Firenze fiorini .... e a’ terrazzani e circustanti fiorini....
-E in questo medesimo tempo ne fece porre il comune una di nuovo al
-Pontassieve di costa ove si dice Filicaia, la quale è più per ridotto
-d’una guerra, che per abitazione o per mercato che vi si potesse
-allignare.
-
-
-CAP. XLVI.
-
-_D’un parlamento fece l’imperadore in Alamagna._
-
-L’imperadore Carlo convocati i prelati e’ baroni d’Alamagna alla festa
-della natività di Cristo a Mezza nello Reno, vi si trovò con bene
-ventimila cavalieri, e in abito della maestà imperiale fu servito
-a mensa dal duca di Brandimborgo, e dagli altri baroni ordinati per
-consuetudine a quel servigio. E a quella festa vennero ambasciadori
-del re d’Inghilterra, e due figliuoli del re di Francia per trattare
-pace intra ’l re di Francia e ’l re d’Inghilterra, ma gli Alamanni
-poco vi seppono trovare modo, ma trattovvisi la concordia, che poi ebbe
-compimento, tra ’l conte di Fiandra e ’l duca di Brabante per l’opera
-di Mellina. In quella festa fu molto ubbidito e reverito l’imperadore
-da’ prencipi d’Alamagna, e con tutti si mostrò in buona pace. In
-questi medesimi dì, a dì 23 di dicembre, papa Innocenzio sesto fece
-più cardinali di suo movimento, fra’ quali fu il vescovo di Firenze,
-ch’avea nome messer Andrea da Todi valente uomo, il cancelliere di
-Parigi uomo di grande autorità, e il generale de’ frati minori e quello
-de’ predicatori, che niuno l’avea procurato.
-
-
-CAP. XLVII.
-
-_Come il marchese di Monferrato ebbe il castello di Novara._
-
-Il Marchese Francesco di Monferrato, come narrato abbiamo addietro,
-avea assediato il castello di Novara, ma per via d’assedio o per forza
-non si potea avere, ch’era inespugnabile e fornito per molti anni:
-ma il valente marchese avea presi e facea guardare i passi del Tesino
-per modo, che ’l soccorso più volte mandato pe’ signori di Milano più
-volte ributtò addietro, e la rocca fece cavare; e avendo gli assediati
-recati a partito, che le mura erano in puntelli nella maggiore parte,
-e non attendeano altro che d’arrendersi o di mettervi entro il fuoco;
-la gente de’ signori di Milano passò Tesino, per andare a soccorrere
-quelli del castello. Il marchese colla sua gente francamente si fece
-loro incontro, e nella prima affrontata gli mise in rotta, e fece
-loro danno ma non grande. E tornato colla vittoria, fece vedere a
-quelli del castello le cave e le mura tagliate, e il loro soccorso
-sconfitto: e però, a dì 21 di gennaio s’arrenderono al marchese,
-salve le persone, e diedongli il castello fornito d’armadura, e di
-saettamento, e d’ogni bene da vivere maravigliosamente. Ed è da notare,
-non senza ammirazione, come la famosa potenza de’ signori di Milano,
-essendo vittoriosi, come avemo contato, in termine di due mesi e mezzo
-non poterono soccorrere il castello di Novara; e tutto avvenne per
-la franca e buona sollicitudine del buono marchese. Di questo mese,
-a dì 22, in sull’ora della terza trapassò di verso settentrione in
-meriggio un grande bordone di fuoco, e valicato per l’aria alla vista
-de’ nostri occhi, essendo il tempo chiaro e cheto, s’udì a modo d’un
-tuono tremolante avvisato dal movimento del grosso vapore. Videsi la
-state singulare e grandissimo caldo, e lungamente secco e sereno, e
-molte terzane nell’arie grosse e presso alle fiumare, con seguito di
-morti oltre al consueto modo; altro non ne sapemmo notare se da lui
-procedette.
-
-
-CAP. XLVIII.
-
-_Come messer Bernabò volle uccidere messer Pandolfo Malatesti._
-
-Messer Pandolfo figliuolo di messer Malatesta da Rimini giovane
-cavaliere, franco e ardito e di grande aspetto, era andato per
-esperimentare in arme sua virtù a Milano, fatto capitano di tutta
-la cavalleria di messer Galeazzo Visconti: ed era venuto tanto nel
-piacere del suo signore, che tutto il consiglio e la confidanza di
-messer Galeazzo riposava in messer Pandolfo. Avvenne di questo mese di
-gennaio, essendo messer Galeazzo malato di podagre e d’altro, comandò
-a messer Pandolfo che cavalcasse per Milano colla sua cavalleria, e
-messer Pandolfo fece come comandato gli fu dal suo signore. Questa
-cosa parve che generasse sdegno a messer Bernabò, ma non lo volle
-dimostrare contro al fratello; ma ivi a pochi dì mandò per messer
-Pandolfo, il quale di presente andò a lui e per reverenza gli
-s’inginocchiò davanti. Messer Bernabò, avendo in mano una spada dentro
-alla guaina, il percosse con essa senza dirgli la cagione: il giovane
-sostenne alquanto, ma menandogli sopra la testa, parò il braccio, e
-in quella percossa il fodero della spada uscì del ferro; e rimase il
-ferro ignudo nelle mani del tiranno, incrudelì forte, e menogli un
-colpo di punta, che l’avrebbe passato dall’uno lato all’altro (e fu
-bene l’intenzione del tiranno d’ucciderlo) ma per schifare il colpo,
-il giovane cavaliere si lasciò cadere in terra, e ’l colpo andò in
-vano. Intanto la moglie di messer Bernabò, ch’era presente, con gli
-altri circostanti cominciarono a riprenderlo, dicendo, che non era
-suo onore in casa sua colle sue mani volere uccidere un gentile uomo.
-E per questo si ritenne, e fecelo prendere e legare, e comandò che
-fosse decapitato. Messer Galeazzo sentendo il furore del fratello,
-mandò a lui prima la moglie, e appresso due suoi cavalieri, pregandolo
-che gli rimandasse il suo capitano. Allora disse messer Bernabò: Dite
-al mio frate, che questi ha offeso lui come me, e io gliel rimando,
-acciocchè ne faccia giustizia, e non perdoni a costui la nostra onta.
-Come messer Galeazzo il riebbe, senza alcuno arresto in quell’ora il
-fece accompagnare per le sue terre, e rimandollo in suo paese. La
-cagione che messer Bernabò disse palese della sua ingiuria fu, che
-’l giovane dovea usare con una donna colla quale usava egli, e che
-conobbe a messer Pandolfo in dito un suo anello. La cagione segreta, a
-che più si diede fede, fu, perchè gli parea che costui facesse troppo
-montare il suo fratello nella consorte signoria. Pochi dì appresso
-si mostrò di ciò un altro segno; che essendo venuti a parole due
-scudieri, l’uno di messer Bernabò, e l’altro di messer Galeazzo, e
-dalle parole a mischia, ove fu fedito il famiglio di messer Bernabò,
-e quello di messer Galeazzo rifuggito in casa il suo signore, di
-presente messer Bernabò vi cavalcò in persona; e vedendo il fratello
-alle finestre, gli disse, che gli mandasse giù quello scudiere che
-avea fedito il suo. Messer Galeazzo glie le mandò; e lo scudiere gli
-si gettò a’ piedi domandandogli misericordia. La misericordia che
-gli fece fu, che negli occhi del fratello il fece tutto stampanare,
-e lasciolli il corpo senza anima così forato all’uscio, e tornossi a
-casa. Avvenne ancora in questi dì, che un giovane di buona famiglia
-di Bergamo, essendo richiesto da uno messo per la signoria, il prese
-per la barba, e confessato in giudicio il fallo suo, fu condannato in
-venticinque libbre. Sentendolo messer Bernabò, scrisse al potestà che
-gli facesse tagliare la mano. E avendolo il potestà preso per seguire
-il comandamento, i buoni cittadini della città comparenti del giovane,
-parendo loro troppa dura cosa questo giudicio, operarono tanto con il
-potestà, che sostenne l’esecuzione tanto ch’eglino andassono per avere
-grazia dal signore. Come il tiranno sentì per questi ambasciadori ch’al
-giovane non era tagliata la mano, comandò che al giovane le due, e al
-potestà l’una fossono tagliate, e a fare questo vi mandò gli esecutori.
-La potestà sentendo il crudele comandamento, col giovane ch’avea
-preso si fuggirono in uno castello ribello al tiranno. E non molto
-di lungi da questi dì uno lavoratore uccise con una mazza una lepre,
-che gli occorse per caso tra le mani, e portolla all’oste suo, ch’era
-grande cittadino di Milano, e dimestico di messer Bernabò. Vedendola
-costui sformatamente grande e grassa la presentò a messer Bernabò; il
-quale veduta la lepre, si maravigliò, e domandò ov’ell’era nudrita:
-fugli detto, ch’ell’era stata presa per lo cotale lavoratore. Mandò
-per lui, e domandollo come l’avea presa. Il lavoratore lietamente
-gli raccontò il caso intervenuto. Il tiranno, perchè avea comandato
-che il salvaggiume non si pigliasse con alcuno ingegno, fuori che co’
-cani o uccelli, non avendo compassione alla semplicità del villano, nè
-al caso occorso, incrudelì contro al semplice; e mandato per li suoi
-cani alani, nella sua presenza il fece morire e dilacerare a quelli.
-Le crudeltà sono poco degne di memoria, ma alquanto ci scusa averne
-raccontate delle molte alcune, per esempio del pericolo che si corre
-sotto il giogo della sfrenata tirannia.
-
-
-CAP. XLIX.
-
-_Come i Genovesi racquistarono Savona._
-
-Messer Simone Boccanegra doge di Genova, avendo ripresa la signoria
-per lo popolo, mandò per avere tutte le terre e castella della riviera
-di levante e di ponente e fra terra, e in breve tutti feciono i suoi
-comandamenti, fuori che Savona, Ventimiglia, e Monaco; i quali essendo
-in forza de’ Grimaldi, e d’altri gentili uomini di Genova, non vollono
-ubbidire il doge. E però il doge commosse il popolo, e per mare e per
-terra fece assediare Savona, e strignerla per modo, che tosto venne
-in soffratta; e quelli che la teneano avendola di poco rubellata
-al Biscione, non erano provveduti a potere avere soccorso, e però
-trattarono certi patti, e del mese di febbraio del detto anno feciono
-i comandamenti del doge, e ricevettono la sua signoria e del popolo di
-Genova.
-
-
-CAP. L.
-
-_Guerra dal re di Castella a quello d’Araona._
-
-Pella guerra incominciata, come addietro è narrato, tra ’l re di
-Castella e quello d’Araona, il re di Castella essendo apparecchiato
-con sua gente, improvviso al suo avversario cavalcò sopra le terre
-di quello d’Araona, e danneggiò assai il paese, e per forza vinse e
-prese la città di Saragozza, e arse la terra, e ritennesi la rocca, e
-misevi gente alla guardia. Di questo nacque l’abboccamento che appresso
-ne seguitò de’ due re con tutto loro sforzo, come seguendo al tempo
-racconteremo. E questo avvenne del mese di febbraio del detto anno.
-
-
-CAP. LI.
-
-_Come messer Filippo di Navarra cavalcò presso a Parigi._
-
-Messer Filippo fratello carnale del re di Navarra, ch’era preso dal re
-di Francia, si mise in compagnia del conte di Lancastro, e con molti
-cavalieri e arcieri cavalcarono verso Parigi, scorrendo e predando il
-paese, senza trovare in campo alcuno contasto, e accostaronsi presso a
-Parigi a quindici leghe, e di là elesse messer Filippo mille cavalieri
-Franceschi, navarresi e normandi, e con essi cavalcò all’uscita di
-gennaio del detto anno infino presso a Parigi a tre leghe, ardendo
-ville casali e manieri in grande quantità, e uccidendo e predando bene
-alla disperata; e sì avea in quell’ora in Parigi cinquemila cavalieri
-armati, e non ebbono ardire d’uscire della città, tanto erano inviliti.
-E avendo per questo modo danneggiato il paese, e fatto onta e vergogna
-al vilissimo Delfino, raccolta sua preda, con tutta sua gente sano e
-salvo si tornò al conte, e di là tutti insieme carichi degli arnesi e
-de’ beni de’ Franceschi, e di loro prigioni si tornarono, senza vedere
-viso di nemico, in loro paese. In questi dì il Delfino s’era rimesso
-nel consiglio e nelle mani di certi borgesi, i quali erano stati
-eletti per comune consiglio del popolo di Parigi, e avea giurato nelle
-loro mani di fare pace e guerra come per loro si diliberasse. E molti
-stimarono che questa fosse la cagione perchè non uscì contro a messer
-Filippo di Navarra, potendolo fare con molta maggiore forza per numero
-di cavalieri che non avea egli.
-
-
-CAP. LII.
-
-_Come si cominciò le mulina del comune di Firenze._
-
-Del mese di marzo, anno 1356 all’entrante, diliberò il comune di
-Firenze di far fare la gran pescaia in Arno sopra la città, dalla
-torre del Renaio alla porta di san Niccolò, e ’l canale che prende
-di sopra a san Niccolò infino al Ponte rubaconte da san Gregorio, nel
-quale ordinarono e poi fornirono due case a traverso al canale, l’una
-di sopra e l’altra di sotto, catuna con sei palmenta per lo comune
-molto bene edificate, e ancora per ordine vi se ne dovea fare quattro
-penzole. Provvide questo il comune per fatti delle guerre di fuori,
-che faceano alcuna volta venire di farina la città in gran soffratta,
-e queste vengono nella guardia dentro alle mura della città, e spesso
-hanno d’acqua grande abbondanza.
-
-
-CAP. LIII.
-
-_Come il reame di Francia ebbe gran divisione._
-
-Detto abbiamo poco addietro come i borgesi di Parigi doveano guidare
-il Delfino e ’l reame, ma il mestiere di tanto fascio non era loro;
-e per la presura del re Giovanni, e per la codardia del Delfino suo
-figliuolo, l’ordine del consueto corso del reame era rotto, e’ baroni
-e’ popoli si governavano a loro senno, e’ borgesi di Parigi non poteano
-nè sapeano riparare. Gl’Inghilesi tennono con loro trattati d’accordo,
-e a mano a mano gli cavalcavano, facendo loro gran danni; e però,
-credendosi potere meglio riparare, ordinarono di comune concordia del
-reame che la balía e ’l consiglio del reggimento in quelle fortune
-fosse di tre prelati, e di tre baroni, e di tre borgesi, con piena
-balía di potere fare pace e guerra, e leggi e comandamenti come a loro
-paresse; e convenne che ’l Delfino acconsentisse a questo reggimento, e
-promettesse reggersi per loro consiglio. Dall’altra parte tutti quelli
-di Linguadoca feciono loro conducitore il conte d’Ormignac, dandoli
-due altri cavalieri per suo consiglio per certo termine, e ’l Delfino
-convenne che glie le confermasse; della qual cosa nacque lo sdegno del
-conte di Fucì, che fu poi cagione di gran guerra tra loro, come innanzi
-si potrà trovare. Nel principio di questo nuovo reggimento al tutto si
-mostrarono strani di non volere udire trattato di pace, e cominciarono
-a dare ordine d’accogliere danari per fornirsi di cavalieri soldati,
-e parve in questi principii dovessono fare gran cose; ma in poco di
-tempo, come catuno ebbe fornite sue spezialità per virtù dell’uficio,
-lasciarono in abbandono il consiglio del comune reggimento, e senza
-ordine trascorsono alla figura della ruina dello sviato regno. I
-Piccardi prima avvedendosi di questo, presono da loro di reggersi per
-sè, e non conferire nè ubbidire alle colte, nè agli ordini de’ detti
-uficiali, e così feciono molte altre provincie e ville del reame; e
-di questo nacquono poi cose di gravi danni di tutto il reame, come
-seguendo nostra materia si potrà trovare.
-
-
-CAP. LIV.
-
-_Morte del conte Simone di Chiaramonte in Cicilia._
-
-Essendo il re Luigi in Messina, vi venne il conte Simone di
-Chiaramonte; e parendogli avere fatto al detto re gran cose, perocchè
-era principale cagione d’avergli fatto avere Messina, e l’altre terre
-e castella dell’isola, parendogli dovere avere dal re ogni grazia,
-gli addomandò di volere per moglie dama Bianca una delle figliuole di
-don Petro che fu re di Cicilia, e oltre a ciò si mostrava in atto e
-nel suo parlare più superbo che altiero. Al re e al suo consiglio non
-parve convenevole la sua domanda, che tant’era come dargli il regno, e
-però entrò in trattato con lui di volergli dare la figliuola del duca
-di Durazzo. E in questo stante al conte venne male, che in sette dì si
-trovò morto. Sospetto fu, che ’l consiglio del re avesse aoperato nella
-sua morte, per tema ch’e’ non movesse novità grandi nell’isola, come
-potea, non avendo dal re la sua intenzione. Se natural fu, assai fu a
-grado al re e al suo consiglio. E questo avvenne di marzo, anno detto
-1356.
-
-
-CAP. LV.
-
-_Come si liberò il Borgo a Sansepolcro da tirannia._
-
-Francesco di Nieri da Faggiuola essendo come tiranno signore del
-Borgo a Sansepolcro, e per tenere quello avea perdute certe delle
-sue proprie castella, e vedendosi debole in quello reggimento, trattò
-co’ terrazzani d’avere da loro seimila fiorini d’oro, e lasciarli in
-libertà; e avendone già avuti tremila, e data la fortezza a guardia
-de’ terrazzani, certi Boccognani, ch’erano in bando di Perugia e
-riparavansi con lui, il ripresono di viltà, e dissono che nol dovea
-fare, ma se avarazia di danari il movea, elli gli farebbono dare
-quindicimila fiorini in tre dì al comune di Perugia dando loro
-la terra. Costui stretto dalla cupidigia della moneta diè il suo
-consentimento a que’ Perugini. Ed egli avea ancora il titolo della
-signoria, e le masnade de’ forestieri a piè da poter mettere i
-Perugini nella terra, s’e’ borghigiani non se ne fossono accorti, ma
-sentirono il fatto; e senza attendere il dì, la notte furono tutti
-sotto l’arme, e per forza trassono Francesco e tutti i soldati del
-Borgo, e accompagnandoli, gli ebbono condotti in sul terreno di Città
-di Castello. Ivi il lasciarono co’ suoi soldati, i quali il ritennono
-tanto, ch’e’ tremila fiorini ch’avea avuto da’ borghigiani vennono
-nelle loro mani; e avuti i danari, e de’ suoi arnesi, il lasciarono
-andare povero e mendico, com’egli avea meritato. I borghigiani usciti
-delle mani del tiranno ghibellino si riformarono a popolo e a parte
-guelfa, tenendo di fuori tutti i Boccognani ghibellini ch’aveano
-tradita la loro terra, come addietro contammo, e’ loro seguaci.
-
-
-CAP. LVI.
-
-_Come l’abate di Clugnì succedette al cardinale di Spagna._
-
-Avea, come si può vedere addietro, il cardinale di Spagna legato del
-papa con prospera fortuna racquistato a santa Chiesa tolte le terre,
-ch’erano state occupate lungamente a santa Chiesa nel Patrimonio, nella
-Marca, nel Ducato e in Romagna, salvo quelle che tenea il signore di
-Forlì, e contro a quelle s’era apparecchiato di vincerle. In questo il
-papa, o che fosse movimento suo o de’ cardinali, o fatto a richiesta
-o a motiva del legato, la Chiesa mandò successore a fornire le guerre,
-che restavano, e a mantenere le ragioni di santa Chiesa in Italia, per
-successore del valoroso cardinale di Spagna l’abate di Clugnì con piena
-legazione; il quale giunse a Faenza all’entrante d’aprile anni 1357. E
-come l’abate fu giunto, la gente della Chiesa in una cavalcata fatta
-sopra Forlì, alla quale il capitano uscì incontro per riscuotere la
-preda, e’ cadde in un aguato ove perdè da cento uomini di suo i più a
-cavallo. E come il nuovo legato fu posato, il legato fece venire a Fano
-tutti i maggiori caporali del Patrimonio, e del Ducato, e della Marca
-e di Romagna, e ambasciadori delle comunanze, e in quel parlamento il
-cardinale fece suo sermone, commendando coloro ch’avea trovati fedeli e
-leali a santa Chiesa, e ammonì e pregò tutti generalmente che dovessono
-stare in ubbidienza e in fede di santa Chiesa, e a servire il nuovo
-legato lealmente come aveano fatto lui, commendando largamente in tutte
-le virtù il suo successore, e dicendo come sua intenzione era di voler
-tornare a corte di Roma di presente; e questo fu a dì 27 d’aprile del
-detto anno. I savi uomini ch’erano in quel parlamento, che conoscevano
-il pericolo che correa il paese ancora in guerra partendosi il legato
-cardinale, ch’avea l’amore di tutti e le cose aperte nelle mani, il
-pregarono di comune consiglio che non si dovesse partire del paese
-insino al settembre prossimo: l’abate medesimo con ogn’istanza per
-sua parte e per beneficio di santa Chiesa il ne richiese: ond’egli
-conoscendo la necessità, affinchè l’acquisto fatto per lui prendesse
-più fermezza, acconsentì di stare alle loro preghiere questo tempo. E
-quello che principalmente più l’indusse, fu l’impresa ch’avea ordinata
-contro all’aspra rubellione del capitano di Forlì, che per vantaggio
-che ’l cardinale gli avesse voluto fare, non volea a santa Chiesa
-restituire in pace le città di Forlì e di Cesena.
-
-
-CAP. LVII.
-
-_Come il re di Francia fu menato in Inghilterra._
-
-Tornando nostra materia a’ fatti del re di Francia, ch’era in prigione
-a Bordello in Guascogna, i Guasconi, a cui e’ s’era accomandato, non
-volendo acconsentire al re d’Inghilterra di mandarglielo nell’isola
-com’e’ volea, si pensò il re di fare per ingegno quello che per sua
-autorità, senza indegnazione de’ Guasconi co’ quali avea vinta la
-sua guerra, nol potea fare. E però fece venire i legati al figliuolo
-in Guascogna, e mandovvi i maggiori de’ suoi baroni a trattare la
-pace colla persona del re e co’ legati. E recata la cosa per lungo
-dibattimento a concordia, per dare più fede al fatto, fu ordinata e
-bandita nell’uno reame e nell’altro triegua per due anni; e’ patti
-della pace recati in iscritture private, con patto, che per fare onore
-al re d’Inghilterra, e per maggior bene della pace, il re dovesse
-andare nell’isola, e con lui i legati di santa Chiesa e tutti i baroni
-ch’erano presi, acciocchè la pace nella presenza de’ due re e de’
-legati avesse la sua intera e piena fermezza. E per questo ingegno,
-acconsentendo i Guasconi alla volontà del re e de’ legati, fu il re
-di Francia e gli altri baroni liberati al duca di Guales, i quali
-con gran compagnia di baroni e di cavalieri inghilesi gli condussono
-in Inghilterra, dove furono ricevuti con quella festa e onore ch’al
-suo tempo innanzi diviseremo: e questa partita da Bordello fu fatta
-d’aprile del detto anno.
-
-
-CAP. LVIII.
-
-_Come la gente della Chiesa entrò in Cesena._
-
-Dappoichè il cardinale legato ebbe preso partito di rimanere a fornire
-la guerra di Romagna, come detto è, ordinò la sua gente d’arme a
-cavallo e a piè, e tutti i sudditi richiese d’aiuto; e fece pubblicare
-la sentenza contro al capitano di Forlì e contro a chi gli desse
-aiuto o favore, e a dì 24 d’aprile anno detto fece scorrere la sua
-gente intorno a Forlì, e presono Castelvecchio, e predarono il paese
-facendo assai danno, e il capitano a questa volta si stette dentro
-alle mura. Avea, come detto è, Francesco Ordelaffi, detto capitano,
-mandato alla guardia di Cesena la valente sua donna madonna Cia,
-figliuola di Vanni da Susinana degli Ubaldini, con dugento cavalieri
-e con assai masnadieri, e comandato a tutti che l’ubbidissono come
-la sua persona; e per suo consiglio l’avea dato Sgariglino di....
-suo intimo amico. Questa mantenea la guardia della città con grande
-sollecitudine: ma i cittadini sentendo la molta gente d’arme ch’avea
-il legato, e che contro a loro s’apparecchiavano le percosse, e non si
-vedeano potenti alla difesa, quasi in subito movimento ordinarono di
-ricevere nella terra di sotto la gente del legato; il quale subitamente
-vi mandò millecinquecento cavalieri, e senza contasto furono messi pe’
-terrazzani nelle prime cinte delle mura. La donna colla sua forza per
-l’improvviso caso non potè riparare a’ nemici, ma ridussesi in quella
-parte più alta della terra che si chiama la murata e nella rocca,
-all’uscita d’aprile predetto, con tutte le sue masnade da piè e da
-cavallo. E presi tre cittadini ch’erano stati al trattato, in sulla
-murata li fece decapitare e gittarli di sotto a’ nemici; e con animo
-ardito e franco più che virile prese la difesa del minore cerchio e
-della rocca con sollecita guardia di dì e di notte, mostrando di poco
-temere cosa ch’avvenuta le fosse.
-
-
-CAP. LIX.
-
-_Come il legato con sua forza andò a Cesena._
-
-Come il legato ebbe la sua gente in Cesena, di presente mandò tutta
-l’altra sua cavalleria e fanti a piè a Cesena per assediare la donna e
-la sua gente nella murata e nella rocca, innanzi ch’ella potesse avere
-altro soccorso, e fece pigliare un monistero ch’era in un colle al pari
-della rocca, e fecevi stare gente a cavallo e a piè sì forte, che da
-quella parte la rocca non potesse essere soccorsa, e nella terra di
-sotto provvide d’afforzarsi per modo che maggior forza che la sua non
-gli potesse nuocere: e’ soldati del cardinale avendo contro a’ patti
-rubati i terrazzani, avea fatto cambiare loro gli animi, per la qual
-cosa la guardia della terra convenia essere grande e forte, e in questo
-per tenerli forniti ebbe il legato somma sollecitudine. La valente
-madonna Cia dalla sua parte facea francamente dì e notte buona guardia,
-tenendosi in grande ordine alla difesa.
-
-
-CAP. LX.
-
-_Abboccamento e triegua fatta dal re di Spagna al re d’Araona._
-
-Del mese d’aprile anno detto, il re di Castella avendo oltraggiato
-in mare e in terra quello d’Araona, come abbiamo contato, temendo
-che il re d’Araona non venisse sopra le sue terre colla sua oste,
-s’avacciò, e accolse tra Spagnuoli, e infedeli Giannetti, e Mori,
-cinquemila cavalieri e grandissimo popolo, e vennesene in sulle terre
-d’Araona; e pose campo intorno a Samona, la quale poco innanzi avea
-tolta a’ Catalani, e ivi attese il re d’Araona affine di combattersi
-con lui. Il re d’Araona avea fatto suo sforzo, e venne contro a lui con
-tremilacinquecento cavalieri catalani, e con moltitudine di mugaveri
-a piè con loro dardi, e pose il suo campo assai presso a quello degli
-Spagnuoli; e catuno s’ordinava per venire alla battaglia. E perchè
-il re d’Araona non avesse tanta gente a cavallo quanta il re di
-Spagna, non avea minore speranza nella vittoria, perocchè avea buoni
-cavalieri, e tutti d’una lingua, e animosi contro gli Spagnuoli, e
-dove abboccati si fossono, non era senza effusione di sangue grande,
-ma, come a Dio piacque, baroni di catuna parte si misono in mezzo, e
-mostrarono a’ signori come di lieve cagione non si convenia a’ due re
-essere operatori di tanto male, e presono ordine di trattare la pace,
-e in quello stante feciono fare loro due anni di triegua; e del mese di
-maggio del detto anno catuno si tornò addietro con tutta sua gente nel
-suo reame.
-
-
-CAP. LXI.
-
-_Come Rezzuolo si diede a’ Fiorentini._
-
-I terrazzani del castello di Rezzuolo, dappoichè furono liberati
-dall’assedio del conte Ruberto da Battifolle per comandamento del
-comune di Firenze, s’intesono insieme, e recaronsi in guardia e
-ubbidiano male Marco di messer Piero Sacconi, perchè si pensava non
-poterlo tenere. Nondimeno vi mandò, gente d’arme per guardare la rocca,
-dando boce che ’l volea dare al comune di Firenze, perchè sentiva della
-volontà de’ terrazzani; ma quelli del castello non li vollono ricevere,
-ma feciono loro sindaco con pieno mandato, a darsi liberamente e
-farsi contadini di Firenze, e Marco mandò ancora suo procuratore a
-Firenze colle ragioni ch’avea nel castello per darle al comune. I
-Fiorentini presono prima le ragioni di Marco, e appresso quelle degli
-uomini del castello, e questo fu fatto a dì 29 d’aprile anno detto. E
-recato Rezzuolo col suo contado a contado di Firenze, e aggiunto colla
-montagna fiorentina con cui confinava, e già per questo Marco non si
-fece amico de’ Fiorentini, nè i Fiorentini, di lui.
-
-
-CAP. LXII.
-
-_Come i Pisani vollono torre Uzzano a’ Fiorentini._
-
-I Pisani veggendosi privati del porto, e della mercatanzia, e de’
-mercatanti forestieri, della qual cosa seguitava alla loro città
-mancamento delle rendite del comune, e incomportabile danno agli
-artefici e a’ mercatanti, e scandalo e riprensione tra’ cittadini,
-coloro che reggeano lo stato con grande astuzia pensavano di trovare
-modo con loro vantaggio, ch’e’ Fiorentini si movessono contro a loro
-in guerra, stimando, se guerra si movesse, i cittadini di Pisa, che
-sono animosi contro a’ Fiorentini, dimenticherebbono ogni altra cosa
-di mercatanzia e di loro mestieri; e però cominciarono certo trattato
-in Uzzano di Valdinievole per torlo al comune di Firenze, non avendo
-il detto comune per tutta l’ingiuria della franchigia tolta a’ loro
-cittadini voluta rompere la pace. Il trattato si scoperse, e Uzzano e
-tutte l’altre terre si rifornirono pe’ Fiorentini di migliore guardia,
-e presesi per consiglio di dissimulare l’ingiuria. È oltre a questo
-usarono un altro scalterimento. Il doge di Genova era singulare loro
-amico, e sotto la sua baldanza mandarono ambasciadori a Genova, i
-quali fermarono compagnia e lega col doge per un anno, e co’ Genovesi,
-a tenere certe galee in mare per non lasciare andare mercatanzia a
-Talamone, ma farla scaricare in Porto pisano; e dierono a intendere
-a’ Genovesi, che quest’era di volontà de’ Fiorentini ch’aveano voglia
-di tornarsi a Pisa, ma non voleano mancare a’ Sanesi per loro fatto
-la promessa del porto di Talamone. E fornita la lega, con moltitudine
-di stromenti la feciono bandire, e nel bando dire, che i Fiorentini
-potessono colle persone e colle loro mercatanzie andare, stare, e
-navicare, e mettere e trarre del loro porto, e della città e distretto,
-sani e salvi, e franchi e liberi d’ogni dazio, e gabella e dirittura.
-E con questa loro provvisione credettono levare i Fiorentini dalla loro
-impresa di Talamone, ma trovaronsi ingannati, come appresso diviseremo.
-
-
-CAP. LXIII.
-
-_Come i Pisani armarono galee per impedire il porto._
-
-I Fiorentini sentendo i maliziosi agnati de’ Pisani, infinsono, come
-detto è il fatto d’Uzzano, e mandarono ambasciadori a Genova per
-avvisare il consiglio e il popolo di quella città l’inganno col quale i
-Pisani gli aveano indotti a fare lega contro al comune di Firenze. Il
-doge per la singolare amistà ch’avea co’ Pisani non lasciò avere loro
-il consiglio, sicchè non poterono fare quello perchè andati v’erano,
-e tornaronsi addietro non senza mormorio de’ cittadini che ’l seppono
-contro al doge. I Fiorentini conoscendo quanto danno tornava a’ Pisani
-il perdimento del porto e della mercatanzia più l’un dì che l’altro,
-aggravarono l’ordine del divieto, e aggiungono, che chi consigliasse,
-o procurasse o trattasse, o in segreto o in palese, che a Pisa si
-tornasse, fosse condannato nell’avere e nella persona; e mandarono in
-Proenza a fare armare galee per conducere la mercatanzia, e’ mercatanti
-si procacciarono cammino di Fiandra a. Vinegia ed a Avignone per terra,
-non curandosi, di maggior costo, e ogni cosa comportavano lietamente,
-acciocchè ’l comune mantenesse l’impresa. I Pisani si sforzarono tanto
-ch’ebbono sei galee armate, e più volte cercarono di prendere e ardere
-Talamone; la cosa si rimase in questi termini lungamente, tanto, ch’e’
-Fiorentini, procurarono di ributtarli in mare.
-
-
-CAP. LXIV.
-
-_L’aiuto mandò messer Bernabò al capitano di Forlì._
-
-Il capitano di Forlì, sentendo le masnade del legato in Cesena, e
-posta la bastita alla rocca, e racchiusa la moglie e i figliuoli
-nella murata, mandò per soccorso a messer Bernabò signore di Milano
-in cui riposava tutta sua speranza, il quale incontanente intese ad
-apparecchiarli il soccorso. Ma perchè scoprire non si volea allora
-nemico di santa Chiesa, trattò col conte di Lando caporale della
-compagnia, e segretamente si convenne con lui per li suoi danari;
-e fece servigio a se del levargli a’ nemici, e mandogli in Romagna
-contro al legato, perchè atassono il capitano di Forlì suo amico. E
-innanzi che la compagnia si partisse, per dare speranza agli amici,
-e raffrenare le imprese del legato, mandò in sul Modenese duemila
-barbute della sua propria cavalleria, e ivi si stavano senza fare
-guerra, tenendo in sospetto i Lombardi e ’l legato. In questo tempo il
-legato si studiava di strignere e forte quelli della murata di Cesena,
-dando loro il dì e la notte gravi assalti, e rittivi più trabocchi,
-gli fracassava d’ogni parte; e oltre a ciò, tentava con trattati e con
-spendio d’avere la murata innanzi che la compagnia venisse. Di questo
-nacque, che madonna Già avendo alcuno sentore, che senza sua saputa
-l’antico amico del capitano, il quale era in sua compagnia, Sgariglino,
-trattava alcuno accordo col legato per salvezza di tutti gli assediati,
-di presente il fece prendere e tagliargli la testa, del mese di maggio
-anno detto. Ella sola rimase guidatore della guerra e capitana de’
-soldati, e il dì e la notte coll’arme indosso difendea la murata dagli
-assalti della gente del legato sì virtuosamente, e con così ardito e
-fiero animo, che gli amici e’ nemici fortemente la ridottavano, non
-meno che se la persona del capitano fosse presente.
-
-
-CAP. LXV.
-
-_Come il conte d’Armignacca da Tolasana per gravezze fu cacciato._
-
-Di questo mese di maggio, essendo venuto il conte d’Armignacca capitano
-di quelli dei reame di Francia di Linguadoca, ed essendo venuto alla
-città di Tolosa, e trattando di fare gravezze per accogliere danari
-per la comune bisogna della guerra, il popolo si levò a romore e furore
-contro al conte, dicendo, ch’egli era sturbatore della pace, e voleali
-mettere in disusate gravezze; e corsono al palagio ov’egli abitava,
-e non potendovi entrare per forza, l’assediarono, e cominciarono
-ad affocare le porte. E soprastando la difesa, i gentili uomini di
-Tolosana si misono in mezzo, e feciono promettere e giurare al conte,
-che non renderebbe mal merito al popolo di Tolosa di ciò ch’aveva fatto
-contro a lui, e che non farebbe alcuna gravezza alla villa. E fatti i
-patti, il conte s’assicurò nelle mani de’ gentili uomini: e quetato il
-popolo, sano e salvo il condussono in suo paese colla sua gente.
-
-
-CAP. LXVI.
-
-_Conta dell’onore fatto al re di Francia in Inghilterra._
-
-Avendo il duca di Guales e gli altri baroni d’Inghilterra condotto
-il re di Francia, e ’l figliuolo, e gli altri baroni presi nella
-battaglia, nell’isola d’Inghilterra, feciono assapere al re Adoardo
-la loro venuta. Il re di presente fece assembrare in Londra di tutta
-l’isola baroni, e cavalieri d’arme, e gran borgesi per volere fare
-singulare festa in onore del re di Francia per la sua venuta; e fece
-ch’e’ cavalieri si vestissono d’assisa, e li scudieri e’ borgesi,
-e per piacere al loro re catuno si sforzò di comparire orrevole e
-bello; e ordinato fu che tutti andassono incontro al re di Francia,
-e facessongli reverenza, e onore, e compagnia, e ’l re Adoardo in
-persona vestito d’assisa, con alquanti de’ suoi più alti baroni, avendo
-ordinata sua caccia a una foresta in sul cammino fuori di Londra,
-si mise là co’ detti suoi baroni; e mandato innanzi incontro al re
-di Francia tutta la sopraddetta cavalleria, com’egli s’approssimò
-alla foresta, il re d’Inghilterra uscito dalla foresta per traverso
-s’aggiunse col re di Francia in sul cammino, e avvallato il cappuccio,
-inchinatolo con reverenza, gli disse salutandolo: Bel caro cugino,
-voi siate il ben venuto nell’isola d’Inghilterra. E ’l re avvallato il
-suo cappuccio gli rispose, che ben foss’egli trovato. E appresso il re
-d’Inghilterra l’invitò alla caccia, ed egli lo merciò dicendo che non
-era tempo: e ’l re disse a lui: Voi potete e a caccia e riviera ogni
-vostro diporto prendere nell’isola. Il re di Francia glie ne rendè
-grazie. E detto, addio bel cugino, si ritornò nella foresta alla sua
-caccia, e ’l re di Francia con tutta la compagnia degl’Inghilesi con
-gran festa fu condotto nella città di Londra, essendo montato in sul
-maggiore destriere dell’isola spagnuolo adorno realmente, e guidato
-da’ baroni al freno e alla sella, con dimostramento di grande onore fu
-guidato per tutte le buone vie della città, ordinate e parate a quello
-reale servigio, acciocchè tutti gl’Inghilesi piccoli e grandi, donne
-e fanciulli il potessono vedere. E con questa solennità fu condotto
-fuori della terra all’abitazione reale; e ivi apparecchiata la desinea
-con magnifico paramento d’oro, e d’arnesi, e di argento, e di nobili
-vivande, fu ricevuto e servito alla mensa realmente, e tutti gli
-altri baroni, e il figliuolo del re, ch’erano prigioni, furono onorati
-conseguentemente in questa giornata, che fu a dì 24 di maggio del detto
-anno. Per questa singolare allegrezza e festa si diede più piena fede
-che la pace fosse ferma e fatta; ma chi vuole riguardare la verità del
-fatto, conoscerà in questo processo accresciuta la miseria dell’uno re
-e esaltata la pompa dell’altro, e quello che si nascose nella simulata
-festa si manifestò appresso ne’ fatti che ne seguirono, come seguendo,
-ne’ tempi racconteremo.
-
-
-CAP. LXVII.
-
-_Trattato tenuto per li Fiorentini in accordare il capitano di Forlì
-con il legato._
-
-In questi medesimi dì, vedendo i Fiorentini la durezza del capitano
-di Forlì, e temendo che l’avvenimento della compagnia e d’altra nuova
-gente d’arme in Romagna non rimbalzasse in loro dannaggio, mandarono
-ambasciadori allegato, i quali voleano essere mezzani a trovare accordo
-e pace intra lui e ’l capitano di Forlì; e intesisi col legato, il
-trovarono grazioso per amore de’ Fiorentini alla concordia, e con
-buona speranza andarono al capitano di Forlì, il quale li ricevette
-onorevolmente; e udita l’ambasciata, ringraziò gli ambasciadori, e
-disse ch’era contento d’avere pace col legato e con santa Chiesa,
-rimanendo egli signore di Forlì, e di Cesena, e di tutte le terre che
-tenea, volendole riconoscere da santa Chiesa, e per omaggio pagare ogni
-anno quel censo alla Chiesa che fosse convenevole; per altro modo non
-voleva che se ne parlasse, e a questo era fermo; e per questo modo si
-tornarono a Firenze senza frutto alcuno.
-
-
-CAP. LXVIII.
-
-_Come il legato ebbe la murata di Cesena._
-
-Trapassate le parole del trattato, il legato, ch’avea l’animo sollecito
-a vincere sua punga, innanzi che ’l soccorso giugnesse a’ nemici,
-a dì 28 di maggio anno detto, ordinata sua gente e molti dificii da
-combattere la murata, fece d’ogni parte cominciare la battaglia aspra
-e forte, e avendo provveduto alcuna parte del muro si poteva per cave
-abbattere, il fece rovinare, e que’ dentro subitamente ripararono
-con steccati; e aggravando la battaglia d’ogni parte, rinfrescandosi
-spesso per quelli di fuori nuovi combattitori, e dove il muro era
-caduto, quivi senza arresto si continova va sì aspra battaglia, che
-quelli ch’erano alla difesa, per lo soperchio affanno di loro corpi,
-senza potere avere rinfrescamento, conobbono di non potere sostenere, e
-l’altre parti erano ancora sì strette da’ combattitori che non poteano
-soccorrere alle più deboli parti; e vedendosi non potere più resistere,
-benchè assai avessono morti e fediti e magagnati de’ loro avversari,
-diedono segno tra loro, e abbandonarono la murata, e ridussonsi nella
-rocca, e la gente del legato di presente vittoriosamente la si prese.
-Madonna Cia avendo fatto maravigliosamente d’arme e di capitaneria alla
-difesa, si ridusse con quattrocento tra cavalieri e masnadieri nella
-rocca, acconci a’ comandamenti della donna per singulare amore infino
-alla morte.
-
-
-CAP. LXIX.
-
-_De’ fatti di madonna Cia donna del capitano di Forlì._
-
-Racchiusa madonna Cia nella rocca con Sinibaldo suo giovane figliuolo,
-e con due suoi nipoti piccoli fanciulli, e con una fanciulla grande da
-marito, e con due figliuole di Gentile da Mogliano e cinque damigelle,
-ed essendo cinta stretta d’assedio, e combattuta da otto dificii che
-continovo gittavano dentro maravigliose pietre, non avendo sentimento
-d’alcuno soccorso, e sapendo che le mura della rocca e delle torri
-di quella per li nemici si cavavano, maravigliosamente si teneva,
-atando e confortando i suoi alla difesa. E stando in questa durezza,
-Vanni da Susinana degli Ubaldini suo padre, conoscendo il pericolo a
-che la donna si conducea, andò al legato, e impetrò grazia d’andare a
-parlare colla figliuola, per farla arrendere al legato con salvezza
-di lei e della sua gente. E venuto a lei, essendo padre, e uomo di
-grande autorità, e maestro di guerra, le disse: Cara figliuola, tu dei
-credere ch’io non sono venuto qui per ingannarti, nè per tradirti del
-tuo onore. Io conosco e veggo, che tu e la tua compagnia siete agli
-stremi d’irremediabile pericolo, e non ci conosco alcuno rimedio, altro
-che di trarre vantaggio di te e della tua compagnia, e di rendere la
-rocca al legato. E sopra ciò l’assegnò molte ragioni perch’ella il
-dovea fare, mostrando, ch’al più valente capitano del mondo non sarebbe
-vergogna trovandosi in così fatto caso. La donna rispose al padre,
-dicendo: Padre mio, quando voi mi deste al mio signore, mi comandaste,
-che sopra tutte le cose io gli fossi ubbidiente, e così ho fatto
-infino a qui, e intendo di fare infino alla morte. Egli m’accomandò,
-questa terra, e disse, che per niuna cagione io l’abbandonassi, o ne
-facessi alcuna cosa senza la sua presenza, o d’alcuno segreto seguo
-che m’ha dato. La morte, e ogni altra cosa curo poco, ov’io ubbidisca
-a’ suoi comandamenti. L’autorità del padre, le minacce degl’imminenti
-pericoli, nè altri manifesti esempli di cotanto uomo poterono smuovere
-la fermezza della donna: e preso comiato dal padre, intese con
-sollicitudine a provvedere la difesa e la guardia di quella rocca che
-rimasa l’era a guardare, non senza ammirazione del padre, e di chi udì
-la fortezza virile dell’animo di quella donna. Io penso, che se questo
-fosse avvenuto al tempo de’ Romani, i grandi autori non l’avrebbono
-lasciata senza onore di chiara fama, tra l’altre che raccontano degne
-di singulari lode per la loro costanza.
-
-
-CAP. LXX.
-
-_Novità fatte in Ravenna._
-
-Essendo venuta in Ravenna la novella, come la gente del legato aveano
-per forza vinta la murata di Cesena, il signore di Ravenna, ch’allora
-era all’ubbidienza del legato, comandò che i cittadini ne facessono
-festa di fuoco e di luminaria. E però domenica, a dì 28 di maggio,
-i cittadini si radunarono insieme per le contrade e per le piazze,
-e festeggiavano: e nelle loro radunanze cominciarono a mormorare
-contro a messer Bernardino da Polenta loro signore per le gravezze che
-faceva, perocchè in breve tempo avea fatto pagare dell’estimo loro
-in tre paghe libbre sette soldi dieci per libbra, onde generalmente
-i cittadini erano mal contenti. E cominciato il bollore negli animi,
-riscaldato col fuoco della festa, e facendosi alcuno caporale,
-cominciò a gridare: Viva il popolo, e muoia l’estimo, e le gabelle. E
-crescendo la boce, e multiplicando la gente al romore, il popolo corse
-all’arme, e cominciossi a riducere in sulla piazza, e multiplicare le
-grida. Il signore sentendo le grida mandò là due suoi famigli, l’uno
-appresso l’altro, i quali giunti alla piazza furono morti dal popolo.
-Il tiranno sentendo procedere la cosa da mala parte s’armò con sua
-famiglia, e montato a cavallo corse alla piazza. Il popolo si rivolse
-coll’arme contro a lui per modo, che per campare la persona si ritornò
-nel castello; e accolto maggiore aiuto, da capo tornò alla piazza per
-modo di volere acquetare il popolo: ma crescendo più il furore, fu
-costretto per altra via ritornare a una postierla del castello; ma i
-vili servi di quello popolazzo, avendo la libertà nelle proprie mani,
-non la seppono per propria pigrizia seguitare, che al tutto erano
-signori. E però, come si venne facendo notte, senza ordine e senza
-capo cominciarono ad abbandonare la piazza, e tornarsi a casa, come
-si tornassono da uno giuoco, e pochi furono quelli che vi rimasono,
-e male provveduti. Per la qual cosa nella mezza notte uno fratello
-bastardo del signore con venticinque masnadieri sì fedì di subito in
-quel popolo stordito, e il signore con pochi a cavallo stava alla porta
-del castello per riscuotere i suoi; ma i vili popolari, essendo ancora
-in grande numero, senza fare resistenza si lasciarono percuotere, e
-uccidere, e cacciare da que’ pochi assalitori, e abbandonata la piazza,
-si tornarono a casa. La mattina vegnente il signore mandò per certi
-cittadini, i quali come usciti d’ebrietà, e assicurati v’andarono; e
-avendo i primi, mandò per anche, e raunonne in sua forza, centoventi e
-più, i quali messi in prigione corse la terra; e appresso per diversi
-modi gran parte ne fece morire, e degli altri fece danari. E da indi
-innanzi fu più fortemente dal suo popolo ubbidito, temuto, e ridottato.
-
-
-CAP. LXXI.
-
-_Novità di Grecia, e presura di loro signori._
-
-In questo medesimo tempo, Orcam grande signore de’ Turchi, avea
-lasciato in Gallipoli un suo figliuolo primogenito per guardare le
-terre dell’imperio di Costantinopoli, ch’egli avea acquistate quando
-furono i grandi tremuoti nel paese. Il giovane prendendo vaghezza di
-vedere pescare, follemente si mise in una barca, e valicando legni
-armati di Greci, presono la barca; e conosciuto il figliuolo d’Orcam,
-il condussono a Foglia vecchia, una terra che l’imperadore avea data a
-un suo barone, e ’l figliuolo l’avea tolta al padre; capitando questi
-Greci a lui, e sapendo cui eglino aveano preso, il ritenne a se, e a’
-marinai diede cinquemila perperi. L’imperadore volle il prigione, e
-non lo potè avere. E però prese accordo col Cerabì, uno de’ signori
-de’ Turchi, che ’l verno appresso venisse per terra con sua forza ad
-assediare la città di Foglia, ed egli vi verrebbe per mare, con patto,
-che racquistata la terra l’imperadore farebbe rendere a Orcam il suo
-figliuolo che ivi era preso. Il Cerabì vi venne con grande oste, e
-l’imperadore con sei galee e con assai legni armati. E stati lungamente
-all’assedio, e non potendo vincere la terra, l’imperadore per consiglio
-di messer Francesco di.... di Genova suo cognato, a cui egli avea dato
-in dota l’isola di Metelino, stando l’imperadore in un’isoletta che
-fa porto a Foglia, invitò il Cerabì ed egli fidandosi dell’imperadore
-andò a lui; e trovandosi tradito, innanzi che altra novità gli fosse
-fatta, disse all’imperadore: Io so ch’io sono prigione, ma tu non fai
-quello che fare ti credi se tu non seguiti il mio consiglio. Se questo
-s’intende tra’ miei Turchi, uno mio fratello prenderà la signoria, e
-sarà contento ch’io sia prigione, e troppo più ch’io fossi morto; ed
-io so che tu hai bisogno di moneta, e per questo modo non avresti mai
-una dobla. Ma fa’ com’io ti dirò, e arai la tua intenzione. Fa’ palese
-ch’io abbi tolta la tua sirocchia per moglie, e facciamo di ciò festa;
-e io manderò per lo mio fratello e per otto miei grandi baroni, i quali
-si sforzeranno di venire alla festa per farmi onore, e come ci saranno,
-terrai loro tanto ch’io ti mandi i danari di che saremo in accordo. E
-fatta la convegna della moneta, l’imperadore conoscendo ch’e’ diceva
-il vero, fece come il Cerabì il consigliò, ed ebbe di presente gli
-stadichi venuti sotto il titolo della festa del parentado, e lasciato
-il Cerabì, come fu nelle terre della sua signoria di presente mandò la
-moneta promessa, e liberò il fratello e’ suoi baroni dall’imperadore,
-e per savio provvedimento liberò se dal fortunevole caso di perdere la
-sua signoria, e per lo poco senno della sua confidanza, aggravando però
-nondimeno la vergogna dell’infedele imperadore.
-
-
-CAP. LXXII.
-
-_Come il re Luigi assediò Catania in Cicilia._
-
-Essendo il re Luigi a Messina, per attrarre a sè gli animi de’
-paesani, diede loro intendimento di dimorare nell’isola sei anni, e
-di tenervi la corte di tutto il Regno; e per dimostrare, coll’opera
-quello che promettea colla bocca, richiese i baroni del Regno per
-volere assediare il figliuolo di don Petro, ch’era in Catania, per
-riducere tutta l’isola in sua signoria, e prenderne la corona. I
-baroni furono ubbidienti per modo, che del mese di maggio detto col
-debito servigio de’ suoi baroni si trovò nell’isola millecinquecento
-cavalieri, e commise la bisogna a messer Niccola Acciaiuoli di Firenze
-suo grande siniscalco; il quale co’ cavalieri e col popolo cavalcò
-a Catania e misesi ad assedio, strignendola fortemente per modo, che
-senza gran forze non potevano gli assediati per terra avere entrata o
-uscita d’alcuna gente, e per mare fece stare nel porto quattro galee
-armate e due legni le quali assediavano la città per mare, e nondimeno
-recavano ogni dì rinfrescamento all’oste, perocchè, per, terra non
-v’era modo d’andarvi la vittuaglia per lo cammino ch’era lungo, e’
-passi malagevoli e stretti. Nella terra avea centocinquanta cavalieri
-catalani di buona gente d’arme, i quali bene apparecchiati si stavano
-nella città senza fare alcuna vista o sentore a’ loro nemici di
-fuori. La gente del re Luigi non trovando contasto, baldanzosamente
-cavalcavano il paese, e mantenevano loro assedio.
-
-
-CAP. LXXIII.
-
-_Della materia medesima._
-
-Stando l’assedio di Catania in questo modo, occorse per caso non
-provveduto che due galee di Catalani ch’andavano in corso arrivarono
-a Saragozza in Cicilia, e sentendo ivi come quattro galee e due legni
-del re Luigi erano nel porto di Catania, come valenti uomini, e grandi
-maestri de’ baratti del mare, innanzi che lingua venisse di loro
-a quelli dell’oste, di subito feciono armare due legni ch’erano in
-quel porto, e fornirli di trombe, e di trombette, e nacchere e altri
-stromenti più che di gente da combattere, e fatta la notte si mossono,
-e improvviso con gran baldanza le due galee de’ Catalani, lasciatosi
-dietro i due legni che facessono gran rumore e grande stormeggiata,
-entrarono nel porto, e con molto romore cominciarono ad assalire le
-galee del re: le due ch’erano del Regno, temendo del romore di fuori
-che non fossono assai galee, senza intendere alla difesa uscirono
-del porto, e andaronsene a Messina, e l’altre due ch’erano genovesi
-stettono alla difesa; ma perocch’e’ non erano provveduti nel subito
-assalto furono vinte, e presi le galee e’ legni; e questo fu la notte
-della Pentecoste, a dì 29 di maggio del detto anno.
-
-
-CAP. LXXIV.
-
-_Come l’oste del re Luigi si levò da Catania in isconfitta._
-
-L’oste del re Luigi più baldanzosa che provveduta, sentendo prese le
-due galee e’ legni, e l’altre fuggite, per le quali veniva loro il
-fornimento della vittuaglia, ed essendo di lungi da Messina quaranta
-miglia per terra, e i passi stretti in forza de’ nemici, sbigottirono
-forte, e conobbono che se’ soprastessono quivi tanto che i nemici
-mandassono gente a’ passi elli erano senza rimedio tutti perduti; e
-vivanda non aveano da mantenere il campo, tanto che il re li potesse
-soccorrere, e però diliberarono d’abbandonare il campo e gli arnesi,
-e di campare le persone; e a dì 30 del detto mese si misono a cammino
-senza ardere il campo, a fine di non essere da’ cavalieri incalciati.
-I centocinquanta cavalieri catalani di presente uscirono fuori, e
-avvrebbono avuto de’ nemici ogni derrata, ma la cupidigia della preda
-del campo li ritenne alquanto. I nemici che fuggivano avanzavano
-loro cammino per quella via ond’erano venuti, nondimeno i Catalani
-li danneggiarono alquanto alla codazza. Ma quello che peggio fece
-loro furono i villani ridotti a’ passi colle pietre, ch’altr’arme non
-aveano. In questa caccia fu morto il figliuolo del conte di Sinopoli,
-che per l’antichità del padre si dicea conte, e preso il conte
-camarlingo, e morti da quaranta a cavallo e assai di quelli da piè.
-Il gran siniscalco campò per lunga fuga sopra di un buono destriere,
-perduto grande tesoro di suoi gioielli e arnesi, e così tutti gli
-altri baroni e cavalieri, che molto v’erano pomposi. E nota, come
-un’oste reale di più di millecinquecento cavalieri e gran popolo,
-con quattro galee in mare e due legni armati, per troppa baldanza, e
-mala provvedenza intorno alle cose che si richieggono a un’oste, dal
-provveduto scalterimento di due corsali con due galee furono sconfitti
-e rotti, abbandonando il campo a’ nemici vituperevolmente.
-
-
-CAP. LXXV.
-
-_Come la compagnia venne sul Bolognese._
-
-La compagnia del conte di Lando mossa di Lombardia co’ danari di
-messer Bernabò Visconti e con quelli del capitano di Forlì, per venire
-al soccorso di Cesena, a dì 18 di giugno del detto anno venne in sul
-Bolognese con licenza del signore di Bologna, senza far danno al paese
-di ruberie o di prede, ma prendeano derrata per danaio, e accampati al
-Borgo a Panicale, intendeano più a’ loro propri fatti che ad andare a
-soccorrere la rocca di Cesena, perocchè vi sentivano il legato forte
-da non potere vincere la punga; e stando quivi, accrescevano la loro
-brigata, che secondo l’usanza d’ogni parte vi veniano uomini d’arme a
-mettersi in quella per vaghezza della preda, e non di trovare nemici
-in campo, che quasi tutti i soldati d’Italia v’aveano parte; e stando
-coperti di loro movimenti, feceano paura a tutti i popoli di Toscana e
-dell’altre provincie circustanti, e attraevano a loro ambasciadori da
-quelli per prendere accordo; e così sospesi usavano la loro mercatanzia
-molto sagacemente. E bench’e’ tiranni e’ popoli d’Italia avessono
-la compagnia in odio, tant’era la divisione delle parti e la gelosia
-de’ popoli contro a’ tiranni, che catuno volea piuttosto ubbidire al
-servigio della compagnia co’ suoi danari che contastare con quella, e
-però ora era condotta per l’uno ora per l’altro, rimanendo continovo
-l’ordine della compagnia. E in questi dì era già durata più di quindici
-anni questa tempesta in Italia.
-
-
-CAP. LXXVI.
-
-_Come il comune di Firenze afforzò lo Stale._
-
-I Fiorentini vedendo che la compagnia era in parte che in un dì potea
-valicare l’alpe ed entrare nel Mugello, per certa piaggia dell’alpe
-assai aperta che si chiama la via dello Stale, richiesono gli
-Ubaldini, i quali s’impromisono d’essere co’ Fiorentini alla guardia
-del passo; il comune vi mandò di presente tremila balestrieri, e bene
-altrettanti fanti e ottocento cavalieri, e gli Ubaldini vi vennono
-con millecinquecento fanti di loro fedeli, e diedono il mercato
-abbondantemente a tutta l’oste, e co’ capitani insieme de’ Fiorentini
-feciono fare una tagliata che comprendea i passi di quello Stale per
-spazio d’un miglio e mezzo tra’ due poggi, e sopra la tagliata feciono
-barre di grandi e grossi faggi a modo di steccato, e vi feciono loro
-abitazioni, e stettonvi alla guardia de’ passi mentre che la compagnia
-dimorò sul Bolognese, desiderando ch’ella si mettesse nell’alpe per
-volere passare, com’erano le loro minacce, ma sentendo la provvisione
-de’ Fiorentini, conceputo maggiore sdegno tennono altro cammino.
-
-
-CAP. LXXVII.
-
-_Come s’arrendè la rocca di Cesena al legato._
-
-Sentendo il legato la compagnia soggiornare in sul Bolognese,
-abbandonato ogni altra cosa, con sommo studio si diè a volere vincere
-la rocca di Cesena, facendola cavare per abbattere le mura e le
-torri, e traboccarvi dentro grandi pietre con otto trabocchi, e
-oltre a ciò spesso la faceva assaggiare di battaglia; ma tanto era
-la severità di madonna Cia, e la sua sollecitudine di dì e di notte
-alla difesa, che per cosa che si facesse quell’animo non si cambiava;
-e già essendo per le cave caduto parte delle mura e l’una delle
-torri, la donna in persona facea riparare con isteccati e con fossi,
-oltre alla considerazione de’ più fieri e de’ più valenti uomini
-del mondo, non dimostrando alcuna paura. Ma i valenti conestabili
-ch’erano con lei, sapendo che la mastra torre della rocca si mettea in
-puntelli, e vedendo la pertinace costanza della donna, ebbono madonna
-Cia a consiglio, e dissono: Madonna, e’ si può sapere e conoscere
-manifestamente che per voi è mantenuta la difesa della murata e della
-rocca infino agli ultimi stremi, e di noi avete potuto conoscere intera
-e pura fede, mentre che alcuna speranza s’è per voi e per noi potuta
-conoscere, ma ora non ne resta via da potere campare la sepultura de’
-nostri corpi sotto la ruina di questa rocca. E perocchè questo non
-dobbiamo comportare per alcuna ragione, siamo disposti, o di vostra
-volontà, o contro al vostro volere, rendere la rocca per salvare le
-nostre persone. La valente donna per questo non cambiò faccia, nè
-perdè di sua virtù, e conobbe ch’e’ soldati aveano ragione di così
-fare, e però disse a’ conestabili: Io voglio che lasciate fare a me
-questo accordo; e i conestabili conoscendo il grande animo della donna,
-dissono che di ciò erano contenti; e mandato al legato, e avuti da lui
-uditori con pieno mandato secondo la sua volontà, trattò che tutti
-i conestabili colle loro masnade, e tutti gli altri soldati fossono
-franchi e liberi, e potessonne portare ciò che volessono in su’ loro
-colli: ed ella rimanesse prigione del legato col figliuolo, e con una
-sua figliuola, e con due suoi nipoti madornali e uno bastardo, e con
-due figliuole di Gentile da Mogliano, e cinque sue damigelle. Per sè
-e per la sua famiglia non cercò grazia, potendo salvare i soldati che
-lealmente l’aveano atata. E fatti e fermi i patti, a dì 21 di giugno
-gli anni domini 1357 rendè la rocca al legato, e fu signore di tutto
-con gran gloria della sua punga, ma non con mancamento di chiara fama
-del forte animo di quella donna: la quale per alcuno caso avverso,
-per alcuna intollerabile fatica, mentre ch’era in sua libertà, mai non
-cambiò faccia, o mancò di consiglio o d’ardire. E menata in prigione
-dov’era il legato nel castello d’Ancona, così contenne il suo animo non
-vinto e non corrotto, e in aspetto continente come se la vittoria fosse
-stata sua. E il legato maravigliandosi della costanza di questa donna,
-benchè la ritenesse prigione a fine di piuttosto domare l’alterezza del
-capitano, assai la fece stare onestamente, e bene servire.
-
-
-CAP. LXXVIII.
-
-_De’ fatti di Costantinopoli._
-
-L’imperadore di Costantinopoli avendo perduta la speranza di vincere
-la città di Foglia vecchia, mutò consiglio, e trattò con quello Greco
-che la tenea, e confermogliele in feudo, e aggiunseli alla baronia,
-e diegli sessantamila perperi; e la primavera vegnente ebbe da lui
-il figliuolo d’Orcam signore de’ Turchi, il quale egli avea prigione,
-come addietro abbiamo contato. E per costui l’imperadore riebbe tutte
-le terre che Orcam gli avea tolte, e oltre a ciò molti danari, e
-stadichi per mantenere la pace che feciono insieme quando gli rendè il
-figliuolo.
-
-
-CAP. LXXIX.
-
-_Come il legato prese Castelnuovo e Brettinoro._
-
-Vinta la punga di Cesena, i cavalieri del legato baldanzosi per la
-vittoria di subito cavalcarono a Castelnuovo di Cesena, e trovandolo
-male provveduto alla difesa, vi s’entrarono dentro. E appresso si
-dirizzarono al nobile castello di Brettinoro, il quale era fornito
-di suoi terrazzani, e d’assai soldati a cavallo e a piè, e di
-molta vittuaglia, sicchè poco se ne potea sperare o per forza o per
-assedio. Nondimeno la gente del legato vi s’accampò intorno: e poco
-stante vi si cominciò un badalucco tra quelli della terra e la gente
-della Chiesa, della quale messer Galeotto Malatesta era capitano; il
-badalucco durò molto, e per questo s’ingrossò da ogni parte, e per
-lo soperchio della gente della Chiesa, quella del castello fu rotta.
-Messer Galeotto, ch’era in ordine co’ suoi cavalieri, perseguitò
-quelli che fuggivano verso la terra, e mescolossi con loro per modo,
-che giunti alle porte, entrarono con quelli del castello insieme,
-combattendo continovamente; e avendo seguito presso de’ loro cavalieri
-e masnadieri, presono la porta e le guardie di quella, per la qual
-cosa la loro gente vi s’ingrossò di subito, e venne bene a bisogno,
-perocchè tutti i terrazzani e’ soldati che v’erano francamente li
-combatteano, e colle pietre delle case per difendere la terra. Ma il
-soperchio che vince ogni cosa, dopo la lunga e aspra battaglia, essendo
-multiplicata la gente della Chiesa, e molti morti dall’una parte e
-dall’altra, i terrazzani e i loro soldati furono costretti a fuggire
-nella rocca; e la gente del legato presa la terra e rubata, la tennero
-vittoriosamente, essendo tenuta grande maraviglia per la fortezza del
-castello. Alcuni dissono, che tra’ terrazzani ebbe divisione, che
-se fossono stati interi alla difesa non si potea perdere. E questo
-fu l’ultimo dì di giugno detto. Presa la terra, il legato mandò di
-presente molti dificii a tormentare la rocca, e cavatori per cavare
-e abbattere le mura, com’altra volta avea fatto il capitano; ma avea
-molto rafforzati i fondamenti con gran pietre, e molte stanghe e
-cinghie di ferro, ma poco valse, che in assai breve tempo quelli della
-terra feciono i comandamenti del legato, come appresso racconteremo.
-
-
-CAP. LXXX.
-
-_Di processi fatti contro la compagnia per lo legato._
-
-Avendo a questi dì la compagnia tentato di volere entrare in Toscana, e
-trovati tutti i passi dell’alpe occupati e in guardia de’ Fiorentini, e
-il più largo dello Stale afforzato da non mettersi a prova, con molto
-sdegno contro al comune di Firenze valicarono in Romagna, e a dì 6
-di luglio furono a Villafranca a tre miglia di Forlì con quattromila
-cavalieri, i più bene armati e bene montati, e milleseicento masnadieri
-e balestrieri, e grandissimo numero di ribaldi e di femmine al comune
-servigio, seguitando la carogna della compagnia, e ivi a pochi dì
-si misono al ponte a Ronto e posono il campo e afforzarlo. Il legato
-vedendosi la compagnia presso, ristrinse tutta la sua gente in Cesena
-e in Brettinoro, senza mettersi a campo o fare assalto contro a loro.
-E per avere aiuto da’ fedeli di santa Chiesa, fece sopra la compagnia
-il processo ch’avea fatto sopra il capitano di Forlì come suoi fautori,
-e pronunziolli incorsi in quella medesima sentenza; e fece in Italia
-bandire la croce sopra loro con maggiore istanza, e con maggior mercato
-dell’indulgenza, e con minore termine del servigio che dato avea
-contro al capitano, e mandò di nuovo i predicatori e gli accattatori a
-sommuovere i popoli, e fece grande commozione, e raunò tesoro e gente
-assai, come al debito tempo racconteremo,
-
-
-CAP. LXXXI.
-
-_Della gravezza facea il tiranno a’ Bolognesi._
-
-Quando la compagnia fu valicata in Romagna, i duemila cavalieri che
-messer Bernabò tenea sul Modenese, e appresso a Sassuolo in su quello
-di Bologna, senza fare alcuna novità di guerra pur facea stare i
-collegati in sospetto, e anche il legato, e però i Lombardi della
-lega accolsono gente, e ’l tiranno bolognese fece a’ suoi Bolognesi,
-per avere danari, sconvenevoli gravezze sopra l’usate. Perocchè ogni
-mese volea da catuno de’ suoi sudditi soldi cinque di bolognini per
-bocca di sale, e soldi quattro per macinatura la corba del grano,
-oltre all’usata mulenda, e per ogni tornatura di terra soldi venti
-di bolognini l’anno sopra l’altre gabelle delle porti, e del vino, e
-dell’altre cose ch’entravano con some e con carra, che tutte erano
-gabellate, e per questo modo traeva loro delle coste e de’ fianchi
-libbre seicentomila di bolognini l’anno. E oltre a ciò, avendo tolto
-loro l’arme, in questo tempo mandò bando, che chiunque l’amava andasse
-nell’oste. Il popolo sottoposto al duro giogo, per ubbidire il tiranno,
-si mosse con bastoni e con lanciotti in mano, ch’altr’arme non avea,
-e andò dove fu il comandamento del tiranno, e nel campo stette due dì
-senza mercato di vittuaglia a grande stretta di loro vita, e non osò
-fiatare. La gente della lega era uscita fuori, e ingrossatasi, per
-contastare la cavalleria di messer Bernabò, che si stava a Sassuolo,
-avvenne, a dì 21 di luglio del detto anno, che trovandosi insieme parte
-dell’una gente e dell’altra per scontrazzo, si combatterono tra loro,
-e furono rotti quelli di messer Bernabò; gli altri suoi cavalieri,
-sentendo quella rotta, si partirono, e tornarsi sani e salvi a Milano.
-Dappoichè furono partiti si scoperse un trattato, che dovea essere data
-loro la porta del castello di Bologna, e furono presi i traditori, e
-giustiziati.
-
-
-CAP. LXXXII.
-
-_Come i Veneziani domandarono pace al re d’Ungheria._
-
-I Veneziani vedendo che il re d’Ungheria gli guerreggiava in
-Trevigiana, e in Ischiavonia e in Dalmazia con grave guerra, e ch’egli
-avea preso ordine da poterla senza spesa e senza pericolo della
-moltitudine degli Ungheri, usati di generare confusione, continuare,
-conobbono che a loro era cosa incomportabile; e però elessono solenni
-ambasciadori, e mandarli al re per addomandare pace, volendosi ritenere
-Giadra, e renderli l’altre terre della Schiavonia, e darli per tempi
-danari assai per l’ammenda; e fra l’altre terre che dare gli voleano,
-nominarono Trau e Spalatro. I cittadini di quelle terre sentendo
-ch’e’ Veneziani gli voleano dare al re d’Ungheria per loro vantaggio,
-si accolsono insieme, e presono per consiglio di volere accattare la
-benivolenza del re, e non attendere ch’e’ Veneziani ne volessono fare
-loro mercatanzia; e però liberamente si diedono al re, e ricevettono la
-sua gente e’ suoi vicari con grado in pace, e’ rettori e la gente che
-v’era pe’ Veneziani rimandarono a Vinegia sani e salvi, e il re con gli
-ambasciadori non volle accordo se non riavesse Giadra e l’altre terre
-del suo reame.
-
-
-CAP. LXXXIII.
-
-_Come il legato ebbe la rocca di Brettinoro._
-
-Il legato, ch’avea presa la terra di Brettinoro, e stretti quelli della
-rocca per modo che poco si poteano tenere per la molta gente che dentro
-v’era racchiusa, non ostante che vedessono l’oste della compagnia da
-cui attendeano soccorso presso a tre miglia, feciono accordo, e diedono
-stadichi, che se la domenica vegnente, a dì 23 di luglio anno detto, e’
-non fossono soccorsi, s’arrenderebbono, salvo le persone, e l’arme e
-’l loro arnese. Il capitano che v’era per lo legato, messer Galeotto,
-provvide sì sollicitamente il dì e la notte che ciò non si potesse
-fare, che non valse ingegno del capitano di Forlì, nè forza ch’avesse
-la compagnia, che fornire o soccorrere la potessono; e valicato
-il giorno, la sera medesima, ch’era il termine, s’arrenderono, con
-onorevole vittoria del legato, e abbassamento della fallace fama della
-compagnia, e della pertinace superbia del capitano.
-
-
-CAP. LXXXIV.
-
-_Come si bandì la croce contro la compagnia._
-
-Seguita, che per tema della compagnia, la quale ogni dì crescea, il
-legato avea oltre al processo della croce bandita mandato a richiedere
-aiuto contro alla compagnia a tutti i Toscani, e più confidentemente
-dal comune di Firenze, e mandovvi suo legato un vescovo di Narni
-Fiorentino chiamato frate Agostino Tinacci de’ frati romitani, buono
-Altopascino; costui con grande solennità fece tre dì ogni mattina
-in Firenze processione, e acconsentitagli da’ signori, per reverenza
-della Chiesa sonate tutte le campane del comune a parlamento, in sulla
-ringhiera de’ priori fatta sua predica, pubblicò il processo fatta
-contro alla compagnia, e pronunziò l’indulgenza a chi prendesse la
-croce, e allargò che dodici uomini potessono concorrere al soldo d’uno
-cavaliere, e raccorciò il tempo del servigio in sei mesi ov’era in
-dodici; e ancora più, che prenderebbe ciò che gli uomini e le femmine
-gli volessono dare, e dispenserebbe con loro; e divolgato il fatto,
-tanto fu il concorso degli uomini e delle donne della nostra città, che
-senz’altra provvisione di suo mandato gli portavano i danari per modo,
-ch’e’ non potea resistere di potere ricevere e di porre la mano in
-capo: e trovossi di vero, ch’e’ ricevea per dì mille, e milledugento,
-e millecinquecento fiorini d’oro, e in non molti dì raunò più di
-trentamila fiorini d’oro, i più dalle donne e dalla gente minuta. Il
-comune per sè avea diliberato di volere mandare aiuto al legato, ma
-avvedendosi tardi per gli suoi cittadini ch’aveano già piene le mani
-agli accattatori, vide co’ savi, che ’l comune per tutto il popolo
-potea avere l’indulgenza, volendo servire di prendere l’aiuto della
-Chiesa, per avere il beneficio dell’indulgenza; e però convertì la
-sua gente a fare il servigio per tutto il comune, acciocchè ogni uomo
-avesse il perdono; e così fatto, il detto vescovo, a dì 26 di luglio
-anno detto, pronunziò il perdono a tutti i cittadini, e contadini e
-distrettuali di Firenze, i quali fossono confessi e pentuti de’ loro
-peccati, o che fra tre mesi avvenire si confessassono. E nota, che in
-nove anni tre volte si concedette questo perdono; nel 1343, quando fu
-la generale mortalità, e l’anno del cinquantesimo, e in questa guerra
-romagnuola.
-
-
-CAP. LXXXV.
-
-_Aiuti mandarono i Fiorentini al legato._
-
-Il comune di Firenze, a dì 20 di luglio anno detto, fatto capitano
-messer Manno di messer Apardo de’ Donati, e datogli il pennone del
-comune, il mandarono in Romagna con settecento barbute di buona gente,
-e con ottocento balestrieri, affinchè la battaglia si prendesse colla
-compagnia; e oltre a ciò v’andarono singulari masnade di cittadini e’
-contadini crociati, che furono dugento a cavallo e duemila a piè. E
-contando la raccolta de’ danari, e la spesa del comune e de’ singulari
-uomini, più di centomila fiorini costò la beffa al comune di Firenze a
-questa volta. È vero che ’l tutto s’intendea a combattere la compagnia,
-e però vi mandò il comune un confidente cittadino popolare, il quale in
-segreto si dovesse strignere col legato, e con autorità di promettere
-ventimila fiorini d’oro per lo comune a’ soldati se vincessono la
-compagnia; ed era tanta la buona gente ch’avea il legato, e quella
-del comune di Firenze, e de’ crociati che v’erano di volontà, ch’assai
-se ne potea sperare piena vittoria. Il legato n’avea dato di prima al
-comune buona speranza, e ancora poi il suo ambasciadore, ma appresso,
-o che il legato invilisse, impaurisse di mettersi a partito, o che non
-si confidasse de’ soldati, dissimulò il fatto, e tennelo pendente, e
-mantennesi in riguardo, dando ardimento agli avversari, e viltà alla
-sua parte che gli tornò in poco onore.
-
-
-CAP. LXXXVI.
-
-_Come i Genovesi ebbono Ventimiglia._
-
-Di questo mese di luglio, tenendosi la città di Ventimiglia per i
-figliuoli e consorti di messer Carlo Grimaldi, e non ubbidivano il
-comune nè ’l doge di Genova, per la qual cosa il doge diede boce di
-volere fare guerra a’ Catalani, e per questo fece armare venti galee:
-e avendo alcuno trattato in Ventimiglia, costeggiando la riviera, come
-furono a una punta di mare presso alla terra di Ventimiglia feciono
-scendere masnade e balestrieri con un capitano, il quale gli menò
-copertamente sopra la città da quella parte dove era il trattato, e
-dove non si prendea piena guardia, e le galee andarono per mare; e
-giunte nel porto, volendo prendere una galea armata di quelli di Monaco
-che v’era dentro, i terrazzani per difendere la galea tutti trassono
-alla marina; e in questo, l’aguato de’ Genovesi ch’erano smontati sopra
-la terra scesono alla porta, e senza contasto entrarono nella città, e
-presono la guardia della porta, e feciono il cenno ordinato alle galee,
-le quali si strinsono alla terra. I cittadini di presente conobbono
-ch’alla difesa non avea riparo, e però ricevettono i Genovesi come
-maggiori, ed eglino, senza alcuna novità fare nella città, presono la
-signoria della terra per lo comune di Genova e per lo doge, e’ Grimaldi
-che la teneano se n’andarono colle persone e coll’avere a Monaco, e le
-galee si ritornarono a Genova.
-
-
-CAP. LXXXVII.
-
-_Come l’arciprete con compagnia entrò in Provenza._
-
-Essendo in alcuno sollevamento delle guerre il reame di Francia per
-la presura del re e de’ baroni, molti uomini d’arme non avendo soldi,
-per alcuna industria, secondo che la fama corse, del cardinale di
-Pelagorga zio del figliuolo del duca di Durazzo, i quali erano dal re
-Luigi e da’ suoi fratelli male stati trattati, essendo messer Filippo
-di Taranto fratello del re Luigi in Provenza, mosse l’arciprete di
-Pelagorga, uomo bellicoso e di mala fama, il quale si fece capo d’una
-parte de’ Guasconi acconci a fare ogni male, e di volgo il nome di
-fare compagnia. E con lui s’accostò messer Amelio del Balzo e messer
-Giovanni Rubescello di Nizza, e molti uomini d’arme ch’aveano voglia
-di rubare s’accozzarono con loro, sicchè in pochi dì accolsono ed
-ebbono nelle contrade di Ponte di Sorga di là dal Rodano più di duemila
-cavalieri, e stesonsi inverso Oringa e Carpentrasso, standosi per le
-villate e a campo senza rubare o far danno al paese, ma per paura i
-paesani davano loro vittuaglia. Messer Filippo di Taranto, ch’era in
-Provenza, volendo riparare che non entrassono nella Provenza del re
-di qua dal Rodano, accolse suo sforzo di Provenzali, e fece, capo a
-Orgona, e stese la guardia sua su per lo fiume della Durenza. Ma la
-sua gente era poca, e mancava, e la compagnia cresceva, perchè il
-papa e tutta la corte ne cominciò forte a temere. Ma i capitani della
-compagnia ammaestrati della corte medesima, mandarono ambasciadori al
-papa per assicurarlo, che contro della corte e alle terre della Chiesa
-non intendeano fare alcuno male, e per sicurtà offeriano i saramenti
-de’ caporali, e stadichi, se gli volesse, ma la loro intenzione era
-d’andare contro a messer Filippo di Taranto, il quale aveano per loro
-nemico, e di guerreggiare le sue terre e del re Luigi. E ivi a pochi
-dì valicarono il Rodano ed entrarono in Provenza, che messer Filippo,
-non avea forza da campeggiare con loro, e cominciarono a correre il
-paese, e a guastarlo, e a uccidere e a predare in ogni parte; e presono
-Lallona buona terra e piena d’ogni bene, e poi andarono infino a san
-Massimino, e anche il presono, e più altre castella. Le buone terre
-s’armarono alla difesa, e ’l papa fece afforzare Avignone, e guardare
-la città, e d’altro non s’intramise: e così tutta la state consumarono
-quel paese.
-
-
-CAP. LXXXVIII.
-
-_Come il conte di Fiandra rendè Brabante alla duchessa facendo pace._
-
-Noi dicemmo poco addietro che la duchessa di Brabante era tornata, e
-’l conte di Fiandra pazientemente l’avea comportata, perocchè era sua
-cognata, e perchè sapea la natura de’ Brabanzoni, che non si potrebbono
-tenere sotto la signoria de’ Fiamminghi, e già parecchi buone ville
-aveano accomiatati gli uficiali del conte; e avvegnachè fortuna
-l’avesse fatto signore di Brabante, la sua intenzione non era di volere
-altro che Mellino, ch’egli s’avea comperata con giusto titolo. E però,
-essendo trattato della pace nella festa che fece l’imperadore, il conte
-si dichinò benignamente alla cognata, e rendelle la signoria di tutto
-Brabante, con patto, ch’alcuno lieve omaggio ella ne facesse alla
-compagna sua sirocchia, e che a lui rimanesse libera la signoria di
-Mellino. E fermata la concordia, con gran piacere de’ Fiamminghi e de’
-baroni si pubblicò la pace del mese di luglio del detto anno.
-
-
-CAP. LXXXIX.
-
-_Come il legato s’accordò colla compagnia per danari._
-
-Tornando a’ fatti della compagnia, seguita a contare poco onore di
-santa Chiesa e di due comuni di Toscana. Messer Egidio cardinale di
-Spagna legato avendo, com’è detto, da sè molta buona gente d’arme, e
-accoltane per l’indulgenza della croce maggior quantità, sicchè assai
-si trovava più forte che non era la compagnia per poterla combattere,
-e promesso l’avea alle comunanze di Toscana e nelle prediche della
-croce, e se alla fortuna della battaglia non si volea abbandonare per
-senno, almeno standosi a riguardo si conoscea manifesto, che dov’elli
-erano poco poteano soggiornare che non aveano vivanda, e volendosi
-partire, avendo tanti nimici a petto, male il poteano fare senza
-loro gran danno. Tanto invilì la loro vista l’animo del legato, che
-infino allora era da pregiare sopra gli altri baroni, ch’e’ si mise
-in trattato col conte di Lando capitano della compagnia, e fecelo più
-volte venire a sè: e in fine prese accordo, ch’e’ si dovesse partire
-colla sua compagnia e tornarsene in Lombardia, e liberare tre anni le
-terre della Chiesa, e la città di Firenze, di Pisa, di Perugia, e di
-Siena, avendo la compagnia dal legato e da’ detti comuni cinquantamila
-fiorini d’oro, e cominciasse il termine di calen di novembre 1357. Il
-comune di Perugia e quello di Siena se ne feciono beffe, e non vollono
-attenere quello che il legato n’avea ordinato. I Fiorentini furono
-contenti, e pagarono per la loro rata sedicimila fiorini: e’ Pisani
-anche s’acconciarono, e pagarono la loro rata e il legato la sua. E
-avuto il tributo della Chiesa, e de’ maggiori comuni di Toscana, ove
-si conoscevano essere a mal partito, baldanzosi e lieti si tornarono in
-Lombardia, in grande abbassamento dell’onore del legato; e se senno fu,
-troppa codardia vi si nascose dentro.
-
-
-CAP. XC.
-
-_Ricominciamento dello studio in Firenze._
-
-Del mese d’agosto del detto anno, i rettori di Firenze s’avvidono,
-come certi cittadini malevoli per invidia, trovandosi agli ufici,
-aveano fatto gran vergogna al nostro comune, perocchè al tutto aveano
-levato e spento lo studio generale in Firenze, mostrando che la
-spesa di duemila cinquecento fiorini d’oro l’anno de’ dottori dovesse
-essere incomportabile al comune di Firenze, che in un’ambasciata e
-in una masnada di venticinque soldati si gittavano l’anno parecchie
-volte senza frutto e senza onore, e in questo si levava cotanto onore
-al comune; e però ordinarono la spesa, e chiamarono gli uficiali
-ch’avessono a mantenere lo studio; e benchè fosse tardi, elessono i
-dottori, e feciono al tempo ricominciare lo studio in tutte le facoltà
-di catuna scienza. E di questo mese nacquono in Firenze due leoni.
-
-
-CAP. XCI.
-
-_Come si trovarono l’ossa di papa Stefano in Firenze._
-
-In questo mese d’agosto, cavandosi a lato all’altare di san Zanobi
-nella chiesa cattedrale di Firenze, per fare uno de’ gran pilastri per
-la chiesa nuova, vi si trovò uno monumento verso tramontana, nel quale
-erano l’ossa di papa Stefano nono nato di Lotteringia, e così diceano
-le lettere soscritte nella sua sepoltura; e in sul petto gli si trovò
-il fermaglio papale con pietre preziose e con lo stile dell’oro, e
-la mitra in capo e l’anello in dito; e raccolto ogni sua reliquia, si
-riserrarono appo i canonici per fargli al tempo onorevole sepoltura.
-Questi sedette papa mesi dieci; e morì gli anni 1088.
-
-
-CAP. XCII.
-
-_Leggi fatte sopra i medici._
-
-Cominciossi di questo mese d’agosto nel Valdarno di sotto, e in
-Valdelsa, e in Valdipesa, e in molte parti del contado di Firenze e
-nel suo distretto, un’epidemia d’aria corrotta intorno alle riviere
-che generò molte malattie, le quali erano lunghe e mortali, e grande
-quantità d’uomini e di femmine mise a terra, e assai cavalieri di
-Firenze stati in contado morirono, che fu singolare cosa, e durò fino
-a mezzo ottobre; e in Firenze morirono assai uomini e donne, ma de’
-cinque i quattro tornati di contado malati. Fece allora il comune
-per riformagione, che niuno medico dovesse andare a vicitare alcuno
-malato da due volte in su, se il malato non fosse confessato, avendo
-di ciò degna testimonianza, sotto pena di libbre cinquecento, e che
-di ciò catuno medico dovesse fare ogni anno saramento alla corte
-dell’esecutore. La legge fu buona, ma l’avarizia de’ medici e la
-pigrizia de’ malati, mescolata colla cattiva consuetudine, fece perdere
-l’esecuzione di quella, che se fosse messa in pratica, e tornata in
-consuetudine, era gran beneficio dell’anime e santa de’ corpi.
-
-
-CAP. XCIII.
-
-_Come i Genovesi ebbono Monaco._
-
-Avendo avuto il doge di Genova onore d’avere racquistata la città di
-Ventimiglia, fece armata di quattordici galee, e sei ne mandarono
-i Pisani ch’erano in lega col loro comune; e queste venti galee
-misono nel porto ch’è sotto il castello, e sopra Monaco di verso la
-montagna misono quattromila fanti armati, tra’ quali avea di molti
-balestrieri, che di notte guardavano i passi della montagna; e tenutolo
-così assediato un mese, e tentatolo con loro danno alcune volte di
-battaglia, perocch’era troppo forte, vi si stavano. I Grimaldi che
-’l teneano pensarono che a lungo andare e’ non potrebbono contastare
-al comune, ed essendo preso in Genova un figliuolo di messer Carlo
-Grimaldi, trattarono di volere dare il castello di Monaco al doge e
-al comune per danari, e riavere il figliuolo di messer Carlo libero
-di prigione, ed essere ribanditi; e venuti a concordia, ebbono contati
-fiorini sedicimila d’oro, e quattromila ne scontarono per la prigione,
-e renderono Monaco al comune di Genova; il quale aveano tenuto
-trentadue anni in loro balía, che rade volte aveano ubbidito al loro
-comune, e sempre corseggiato e tribolato i navicanti di quel mare, e
-fatto del luogo spilonca di ladroni; e questo fu il dì di nostra Donna
-a mezzo agosto del detto anno.
-
-
-CAP. XCIV.
-
-_Come il cardinale assediò Forlì._
-
-Avendo, come detto è, il cardinale fatta partire la compagnia di
-Romagna, e trovato il capitano di Forlì ostinato e indurato di non
-volere venire all’ubbidienza di santa Chiesa, e volendo il cardinale
-tornarsene a corte; innanzi la sua partita ordinò coll’altro legato,
-ch’era l’abate di Giugni, d’assediare la città di Forlì, e all’uscita
-d’agosto vi posono il campo con duemila cavalieri e con gran popolo,
-e cominciarono a dare il guasto intorno alla città, e ’l capitano
-con grande animo si ristrinse con pochi soldati a cavallo, e co’
-suoi cittadini alla guardia della terra, e provvedutosi delle cose
-bisognevoli alla vita, si mise francamente alla difesa: e spesso a
-sua posta usciva fuori con sua gente, e assaliva i nemici al campo e
-danneggiavali, e per savia condotta si ricoglieva a salvamento. E a
-suo diletto inducea i giovani garzoni all’esercizio della guerra, e
-tornando nella terra, tutti li facea venire innanzi, e giocandosi con
-loro dicea delle loro valantrie, e raccontava com’eglino avien fatto,
-e a quelli ch’erano più iti innanzi dava a catuno uno grosso, o due o
-tre bolognini. E per queste lusinghe, e per queste lievi provvisioni,
-movea i giovani a seguitarlo senza richiesta di grande volontà, e per
-sperimentarli nell’arme. E con questo si faceva tanto amare da loro,
-che non gli bisognava guardia per alcuno sospetto, e ’l tedio dell’ozio
-degli assediati mitigava con alcuno diletto del continovo esercizio;
-e guida vali sì saviamente, ed era sì ubbidito da loro, che niuno ne
-perdea, e poca speranza dava a’ nemici di vincere la città.
-
-
-CAP. XCV.
-
-_Come il re d’Inghilterra ruppe i patti della pace._
-
-Tornando alquanto nostra materia al fatto de’ due re, ed avendo
-narrata la festa che fu fatta a Londra quando vi giunse il re di
-Francia, credendosi per tutti che la pace fatta tra’ legati e ’l duca
-di Guales a Bordello per lo re Adoardo si dovesse confermare, essendo
-però valicati nell’isola i cardinali e molti baroni di Francia,
-strignendo il re e ’l suo consiglio a dar fine e fermezza all’opera,
-il re d’Inghilterra, mostrandosi a ciò volonteroso, mantenea la cosa
-sospesa, oggi con una cagione e domani con altra, e però non rompea
-il trattato; e spesso infingea cagione a’ Franceschi, e dimostrava che
-’l fallo fosse loro, e poi l’acconciava, a facevane muovere un’altra.
-E per questo modo maestrevolmente e per sua astuzia ritenea il re e
-’l figliuolo, e’ baroni e’ cavalieri ch’avea prigioni in Inghilterra,
-come egli desiderava; e tanto avvolse questa materia, che straccò i
-legati e i baroni ch’erano di là valicati; i quali vedendosi menare al
-re con queste simulazioni senza frutto, all’uscita del mese d’agosto
-anno detto abbandonarono il trattato, e tornarsi nel reame di Francia,
-e per tutto la boce corse che la pace era rotta, e che al primo tempo
-il re d’Inghilterra dovea venire a Rems e farsi coronare del reame di
-Francia, e non fu senza cagione revelata del segreto: ma indugiossi
-più, e il trattato della pace senza il suo effetto poco appresso si
-riprese, e tornarono nell’isola i legati.
-
-
-CAP. XCVI.
-
-_Della mostra fatta a Avignone di cortigiani per tema della compagnia._
-
-Di questo mese d’agosto, nella compagnia dell’arciprete di Pelagorga,
-ch’era in Provenza, s’aggiunse il conte d’Avellino e cinque nipoti di
-papa Clemente sesto, e trovaronsi più di tremila barbute, e scorsono
-predando e guastando la Provenza infino a Grassa, e non trovarono
-contasto fuori delle terre murate. Vedendo il papa crescere questa
-tempesta, volle vedere in arme tutti i cortigiani, e fece ordinare
-di fare la mostra, che fu grande e bella, perchè catuno si sforzò
-di comparire in arme, e trovaronsi in questa mostra quattromila
-Italiani tutti bene armati, ch’erano due cotanti o più che tutti gli
-altri cortigiani. E come furono armati e raunati insieme, gridavano e
-volevano correre sopra i cardinali nipoti di papa Clemente, dicendo,
-ch’erano autori di quella compagnia, che conturbava la corte e tutta la
-mercatanzia, e a gran pena furono ritenuti da’ loro capitani. Il papa,
-veduta la mostra, ordinò di fare rifare le mura e’ fossi d’Avignone, e
-riparare le porti per tenere la città sicura; altro rimedio di fuori
-contro alla compagnia non prese, ma stava continovo la corte in gran
-paura, e in vergognosa vacazione di tutti i mestieri.
-
-
-CAP. XCVII.
-
-_Come il re Luigi da Messina tornò a Napoli._
-
-Il re Luigi avendo con danno e con vergogna levata l’oste sua da
-Catania, come narrato abbiamo, e non trovandosi in mare nè in terra
-potente da rifare oste, e i suoi avversari aveano ripreso ardire
-della loro vittoria; e sentendo il regno di qua dal Faro in molta
-discordia per la ribellione di messer Luigi di Durazzo e del conte
-di Minerbino, i quali teneano in guerra la Puglia, e molti caporali
-di ladroni rompevano le strade e’ cammini; non ostante ch’egli avesse
-promesso a’ Messinesi di stare alcun tempo risedente a Messina, cambiò
-proposito, per non correre in peggio, e a dì 30 d’agosto del detto anno
-si partì da Messina in su una galea d’Ischia, e pose a Reggio, ov’era
-prima venuta la reina. E in Messina lasciò suo vicario un figliuolo
-del gran siniscalco con trecento cavalieri alla guardia della terra,
-confidandosi sopra tutto in messer Niccolò di Cesaro e nel suo seguito,
-ch’aveano cura alla guardia per loro medesimi, ch’aveano di fuori
-i loro avversari. E poi da Reggio per Calavria e per Puglia se ne
-tornarono a Napoli, del mese di settembre del detto anno.
-
-
-CAP. XCVIII.
-
-_Come si perdè Governo a’ Mantovani._
-
-I signori da Gonzaga, essendo uomini savi di guerra, avendo lungamente
-tenuta la signoria di Mantova, vicini e in mezzo tra’ signori di Milano
-e quelli di Verona, avean provveduto di tenere salvo gran parte del
-loro contado in questo modo. La loro città è posta nel mezzo d’un lago
-di fiumi correnti, e di questo lago di verso levante alla città esce un
-fiume, che si stende correndo verso mezzo dì ed entra in Po; e dov’egli
-entra in Po è un castello e un ponte: il castello si chiama Governo:
-e dall’uscita del fiume al detto castello ha dieci miglia di terreno,
-e per i Mantovani è alzato e fortificato un argine sopra il fiume
-dal lato d’entro, e fattovi forti steccati e molte bertesche a potere
-fare ogni gran difesa. E dall’altra parte del lago, di verso ponente
-alla città e di lungi tre miglia, esce un altro fiume, e corre verso
-mezzo dì anche al Po, e stendesi ancora per dieci miglia di terreno,
-e l’argine di questo fiume è fatto maggiore e più forte che l’altro,
-e steccato e imbertescato a ogni difesa, e in sul Po s’aggiugne a
-un forte castello de’ Mantovani che si chiama Borgoforte, e anche a
-questo castello è un ponte sul Po. Tra queste due fiumare si stende un
-gran contado tutto piano, e di buono terreno da lavorare, e ubertuoso
-di frutti e di vittuaglia. Questo contado per infino a qui per forza
-ch’avessono i tiranni vicini non avien mai potuto noiare, e viveanne i
-Mantovani in grande sicurtà, e chiamavano questo contado la Serraia.
-In questi dì era guerra tra’ signori di Milano e quelli di Mantova,
-e però i Mantovani avieno mandate masnade di fanti a piè alla guardia
-del ponte e anche di Governo, e anche de’ loro soldati a cavallo, tra’
-quali era un conestabile che avea ricevuta ingiuria da’ signori da
-Gonzaga. Costui ordinò, che là venisse la gente de’ signori di Milano
-per suo trattato, e diede loro il passo del ponte, mostrando a’ suoi,
-che come ne fosse passati una parte darebbono loro addosso, e tutti
-gli avrebbono a mansalva; ma innanzi che il traditore si mettesse al
-contasto ve ne lasciò tanti venire, che a’ suoi per necessità convenne
-abbandonare il campo e ’l castello; e per questo modo fu preso il forte
-passo di Governo, da potere correre ed entrare nella Serraia; e questo
-fu all’uscita del mese d’agosto anno detto.
-
-
-CAP. XCIX.
-
-_Come i signori di Milano presono Borgoforte, e assediarono Mantova._
-
-Messer Bernabò e messer Galeazzo di Milano, avendo novelle come ’l
-ponte e ’l castello di Governo era preso per la loro gente, ebbono
-grande allegrezza, e lasciandosi addietro i fatti di Pavia e di Novara,
-subitamente accolsono tremila cavalieri di loro soldati e gran popolo,
-e l’una parte mandarono a Governo, e l’altra per la riva del Po a
-Borgoforte. Quelli ch’andarono a Governo feciono di loro due parti;
-l’una si dirizzò, verso Mantova, e misonsi a campo in capo del ponte
-onde i Mantovani della terra veniano nel contado della Serraia, e
-ivi di presente dirizzarono una bastita con torri e con bertesche, e
-tolsono il passo e la speranza a’ Mantovani, che per forza ch’avessono
-nella Serraia non poterono entrare per soccorrere Borgoforte, e l’altra
-parte cavalcò per la Serraia dentro a Borgoforte, e così dentro e di
-fuori subitamente fu assediato Borgoforte. E vedendo coloro ch’aveano
-la guardia della terra che soccorso non poteano avere da niuna parte,
-s’arrenderono salve le persone; e così in pochi dì ebbono i signori
-da Milano l’uno castello e l’altro, e la signoria di tutto il contado
-della Serraia, infino al lago che cigne la città di Mantova. Avuto
-Borgoforte, feciono maggiore e più forte la bastita a capo del ponte
-del lago, e mantennonvi l’oste grande, perocchè per niente avevano loro
-vita; e dall’altra parte fuori della Serraia misono l’oste presso della
-città, il lago in mezzo, e tutto l’altro paese mantovano corsono e
-rubarono. E per questo assedio speravano tosto avere libero la signoria
-di Mantova, e sarebbe venuto fatto, se non fosse il soccorso degli
-allegati, come nel suo tempo diviseremo. I signori di Milano, ch’aveano
-il castello e ’l passo di Borgoforte ch’era verso il loro terreno,
-abbandonarono Governo ch’era molto lontano al loro soccorso e presso
-a’ nemici, e’ Mantovani il ripresono, e fecionlo più forte, e misonvi
-buona guardia.
-
-
-CAP. C.
-
-_Come il cardinale Egidio passò per Firenze._
-
-Il cardinale di Spagna messer Egidio legato, avendo lasciato successore
-l’abate di Clugnì, e assediata la città di Forlì, a dì 14 di settembre
-anno detto fu ricevuto in Firenze a grande solennità, andandoli
-incontro a processione tutto il chericato, e le religioni, e ’l popolo,
-sonando le campane del comune e delle chiese a Dio laudiamo, e messo
-sopra la sua persona fuori della città un ricco palio di baldacchini di
-seta e d’oro adorno intorno riccamente, tutti i cavalieri di Firenze
-gli furono intorno, ed addestrarlo al freno e alla sella, e’ grandi
-cittadini portavano il palio; e guidatolo con questo onore per la
-città, il condussono al luogo de’ frati minori, ove fece suo albergo; e
-ivi fu visitato con grande reverenza da’ priori e da tutti i collegi,
-e dagli altri buoni cittadini; e dopo la vicitazione i priori gli
-mandarono doni di cera lavorata e di confetti d’ogni ragione in gran
-quantità, e uno grande e ricco destriere fornito di nobili arredi e
-coverto di scarlatto, e per vestire la sua persona due pezze di fini
-panni scarlatti di grana, e una cappella doppia di baldacchini d’oro
-e di seta fini. Il cardinale ricevette graziosamente ogni cosa, e
-poi fatto suo sermone, magnificò molto il comune di Firenze e sopra
-tutti gli altri di divozione e di fede alla santa Chiesa, offerendosi
-sempre protettore del comune; e fatto un solenne convito a’ signori
-e a’ collegi e a molti altri gran cittadini, a dì 19 di settembre si
-partì di Firenze e mandato a’ Pisani per la licenza di potere passare
-per la città di Lucca, i Pisani vi mandarono dugento barbute e molti
-balestrieri alla guardia, e feciono serrare le porte, e per loro
-ambasciadori gli feciono dire, che se la sua persona con alquanti
-compagni senz’arme volesse entrare per la città, ch’egli il potea
-fare; il cardinale non volle quella grazia, e cavalcando di fuori,
-vide le porte serrate e le mura fornite di molti balestrieri colle
-balestra tese, per la qual cosa si dilungò dalla città, sdegnato forte
-della vergogna che da’ Pisani gli parve ricevere. Questo legato per
-suo senno, e per grande e sollecita provvisione di guerra, racquistò
-a santa Chiesa il Patrimonio e Terra di Roma, e ridusse il prefetto
-occupatore alla sua misericordia. Vinse per forza e per ingegno tutte
-le terre della Marca d’Ancona, abbattendo la signoria di messer
-Malatesta da Rimini, e di Gentile da Mogliano, e ’l nuovo tiranno
-d’Agobbio; e per forza vinse in Romagna Cesena e Brettinoro e racquistò
-Faenza, e lasciò Forlì assediata, e’ Malatesti tutti riconciliati
-all’ubbidienza di santa Chiesa; e contastò assai colla compagnia,
-avvegnachè nell’ultimo, o per paura, o per fretta ch’avesse della sua
-partenza, s’accordò a levarlisi d’addosso con danari, con poco suo
-onore e di santa Chiesa; e tutte queste cose fece in termine di quattro
-anni e un mese dal suo avvenimento in Italia.
-
-
-CAP. CI.
-
-_Come per i cardinali non si fè nulla della pace de’ due re._
-
-Chi potrebbe senza fallare scrivere le movitive degl’Inghilesi? il
-re d’Inghilterra da capo fece tornare i legati per dare termine al
-trattato della pace, e dichiararono i patti e le terre che al re
-d’Inghilterra si doveano dare, e la quantità de’ danari e’ termini
-quando per diliberare il re, e ’l figliuolo, e’ baroni, e rimanere
-in buona pace; e questo accordo si divolgò per tutto, per conferma
-fatta del mese di settembre. Questa concordia tornò addietro, perocchè
-per sicurtà delle cose il re all’ultimo domandò di volere tenere per
-stadichi il Delfino di Vienna, e l’altro figliuolo del re di Francia
-e ’l conte di Fiandra, tanto che ’l re di Francia tornato nel suo
-reame fornisse le cose promesse; la qual cosa non potea aver luogo,
-che ’l Delfino per lo fallo commesso non si fidava, e ’l conte di
-Fiandra non era debito al re di Francia di cotanto servigio; e però
-rotto il trattato, il re di Francia e ’l figliuolo con altri baroni
-furono mandati in prigione a Guindifora, per addietro detta la Gioiosa
-guardia. In questo medesimo tempo il re d’Inghilterra avea anche in
-prigione nell’isola il re David di Scozia; sicchè di tenerli prigioni
-non abbassava l’ambizione della vanagloria alla quale i mortali
-volentieri attraggono, e ’l tenere i trattati della concordia rompea
-gli animi de’ Franceschi dell’apparecchio della guerra, e riteneali in
-divisione e fuori del loro antico reggimento, e di ciò pensava non meno
-che dell’arme il re d’Inghilterra potere avere suo intendimento. E però
-traendo sperienza dal fatto, piuttosto si può ritrarre ch’e’ trattati
-sono stati fatti finti, che di vero intendimento.
-
-
-CAP. CII.
-
-_Come fu impiccato il conte di Minerbino._
-
-Il conte di Minerbino, detto Paladino, di cui tanto avemo addietro
-parlato, essendo da natura incostante e senza fede, tratto egli e ’l
-fratello di prigione dopo la morte del re Ruberto, appresso come fu
-morto il duca Andreasso se n’andò in Ungheria, e col re d’Ungheria
-tornò nel Regno, e col re stette mentre che gli mise bene, e non gli
-tenne fede. E venuto alla misericordia, e ricevuto perdonanza da lui,
-dopo la partita del re si riconciliò più volte col re Luigi, e da
-lui ebbe provvisione e doni per tenerlo in pace: ma la sua incostanza
-non glie le consentia, ma stava in rubellione, e accogliea rubatori e
-soldataglia, e correa in Puglia per pazzia non meno che per ruberia;
-e vedendo messer Luigi di Durazzo in discordia col re, s’accostava
-con lui; altra volta il lasciava, e prendea a suo vantaggio, e stava
-sì forte e avvisato, che in palese non potea ricevere impedimento.
-Il prenze di Taranto, chiamato l’imperadore, vedendo quanto costui
-tribolava la Puglia, commise a messer Betto de’ Rossi suo cavaliere,
-che segretamente avesse cura a’ suoi andamenti. Costui sentendolo
-in Matera, trattò con certi masnadieri che ’l seguitavano alla sua
-provvisione, e corruppeli per moneta per modo, che cavalcatovi colla
-gente dell’imperadore, di subito fu lasciato entrare nella terra. Il
-conte vedendosi tradito da’ suoi, ricoverò nel castello. Il prenze vi
-fu di presente intorno con molta gente, e cinselo dentro e di fuori
-per modo che non poteva uscire della fortezza, e da vivere non v’avea,
-sicchè fu costretto da necessità d’uscirne in camicia con uno capestro
-in collo, e gittossi a’ piè del prenze, come altra volta avea fatto
-a Trani al re d’Ungheria; ma la cosa non succedette a quel modo. Il
-prenze il fece prendere, e menollo ad Altemura; e fattosi dare il
-castello, a uno de’ merli il fece impendere per la gola nel detto
-castello.
-
-
-CAP. CIII.
-
-_Come fu preso Minerbino._
-
-Sentendo messer Luigi fratello del conte come il prenze avea morto
-il fratello, essendo uomo di grande ardire e di seguito, di presente
-accolse soldati e caporali di ladroni, e misesi in Minerbino loro
-castello, il quale era forte a maraviglia, e credette poterlo tenere in
-rubellione. I terrazzani sapendo che il conte loro principale signore
-era morto, non assentirono di volere prendere arme contro a’ reali;
-e però messer Luigi elesse i compagni che volle, e fornita la rocca,
-ch’era inespugnabile, vi si racchiuse dentro, senza paura di forza
-che noiare lo potesse di fuori. Ma la fede corruttibile de’ soldati
-tosto l’ingannò. Che avendo seco dentro un conestabile lombardo, per
-danari e per larghe impromesse ricevette dentro, nella rocca colle sue
-mani uccise messer Luigi, e il corpo suo e la rocca diede al prenze,
-del mese di dicembre del detto anno. L’altro fratello, ch’era conte
-di Vico, con poca virtù e semplice uomo, vedendo lo sterminio de’
-fratelli si partì del Regno, abbandonando le sue castella e la sua
-giurisdizione. E così prese fine ne’ successori il dominio di messer
-Gianni Pipino, il quale di piccolo notaio per la sua industria fatto
-de’ maggiori signori del reame al tempo del re Carlo vecchio, e colui
-ch’avea maggiore mobole fatto dell’avere de’ saracini di Nocera,
-quand’egli con sagacità e con inganno trasse i saracini del Regno, e
-acquistò al re Carlo la forte città di Nocera in Puglia. Costui comperò
-a’ figliuoli, e poi i figliuoli a’ nipoti, grandi e larghi baronaggi,
-miserabili per la loro fine.
-
-
-CAP. CIV.
-
-_Come i Genovesi mandarono in Sardigna venti galee per racquistare la
-Loiera, e non poterono._
-
-Avendo il doge di Genova con l’armata di venti galee racquistato
-al comune Ventimiglia e Monaco, come poco innanzi abbiamo contato,
-coll’empito di quella vittoria le mandò di subito in Sardigna,
-acciocchè per forza vincessono la Loiera. E giunti là improvviso,
-scesono con molti balestrieri e con altri dificii a combattere la
-terra, sforzandosi di vincerla con ogni forza e ingegno che seppono.
-Ma i Catalani che dentro v’erano alla guardia valentemente si misono
-alla difesa, e ripararono sì francamente, che i loro nemici perderono
-ogni speranza d’acquistarla per forza. E lasciatovi di loro morti, e
-molti fediti e magagnati, raccolti a galea si tornarono a Genova, e
-disarmarono di novembre anno detto.
-
-
-
-
-TAVOLA
-
-DEI CAPITOLI
-
-
- _Qui comincia il quinto libro della Cronica di Matteo
- Villani; e prima il Prologo_ Pag. 5
- _CAP. II. Come messer Carlo di Luzimborgo fu coronato
- imperadore de’ Romani_ 7
- _CAP. III. Come messer Ruberto di Durazzo prese per
- furto il Balzo in Provenza_ 9
- _CAP. IV. Come i Provenzali s’accolsono per porre
- l’assedio al Balzo_ 10
- _CAP. V. Come si cominciò l’izza da messer Galeazzo
- Visconti a messer Giovanni da Oleggio_ 11
- _CAP. VI. Come il capitano di Forlì sconfisse gente
- della Chiesa_ 12
- _CAP. VII. Come messer Filippo di Taranto prese per
- moglie la figliuola del duca di Calavria_ 13
- _CAP. VIII. Come Massa e Montepulciano non ricevettono
- i vicari del patriarca_ 14
- _CAP. IX. Come i Visconti tolsono a messer Giovanni
- da Oleggio il suo castello_ 15
- _CAP. X. Andamenti della gran compagnia_ 16
- _CAP. XI. Come il re di Tunisi fu morto_ 16
- _CAP. XII. Come messer Giovanni da Oleggio rubellò
- Bologna_ 17
- _CAP. XIII. Come il doge di Vinegia fu decapitato_ 23
- _CAP. XIV. Come l’imperadore tornò coronato a Siena_ 26
- _CAP. XV. Come il legato parlamentò a Siena con
- l’imperadore_ 27
- _CAP. XVI. Come l’imperadore ebbe la seconda paga
- da’ Fiorentini_ 28
- _CAP. XVII. Come il nuovo tiranno di Bologna mandò
- a Firenze ambasciatori a richiedere i Fiorentini_ 19
- _CAP. XVIII. Come fu sconfitto e preso messer Galeotto
- da Rimini da’ cavalieri del legato_ 30
- _CAP. XIX. Come la fama della liberazione di Lucca
- si sparse_ 32
- _CAP. XX. Come l’imperadore diede Siena al patriarca_ 33
- _CAP. XXI. Come i capi de’ ghibellini d’Italia si
- dolsono all’imperadore_ 34
- _CAP. XXII. Come l’imperadore si partì da Siena
- e andò a Samminiato_ 36
- _CAP. XXIII. Come il cardinale d’Ostia fu ricevuto
- a Firenze_ 37
- _CAP. XXIV. Come la gente del legato presono quattro
- castella de’ Malatesta_ 38
- _CAP. XXV. Come morì il duca di Pollonia_ 39
- _CAP. XXVI. Come fu coronato poeta maestro Zanobi
- da Strada_ 41
- _CAP. XXVII. Come fu morto messer Francesco Castracani
- da’ figliuoli di Castruccio_ 42
- _CAP. XXVIII. Come i Fiorentini mandarono tre
- cittadini all’imperadore a sua richiesta_ 44
- _CAP. XXIX. Come i Sanesi ebbono novità_ 44
- _CAP. XXX. Come i Pisani per gelosia furono in
- arme_ 46
- _CAP. XXXI. Ancora gran novità di Pisa_ 47
- _CAP. XXXII. Come furono in Pisa presi i Gambacorti_ 49
- _CAP.XXXIII. Come fur arse le case de’ Gambacorti_ 51
- _CAP. XXXIV. Di novità seguite a Lucca_ 53
- _CAP. XXXV. Come nuovo romore si levò in Siena_ 55
- _CAP. XXXVI. Come i Sanesi feciono rinunziare la
- signoria al patriarca_ 56
- _CAP. XXXVII. Come furono decapitati i Gambacorti_ 57
- _CAP. XXXVIII. Dello stato de’ Gambacorti passato_ 60
- _CAP. XXXIX Come l’imperadore prese in guardia
- Pietrasanta e Serezzana_ 61
- _CAP. XL. Come l’imperadore si partì di Pisa_ 62
- _CAP. XLI. Come i Sanesi domandarono vicario all’imperadore,
- e non l’accettarono_ 63
- _CAP. XLII. Come i Sanesi presono e rubarono la Massa_ 64
- _CAP. XLIII. Come l’imperadore domandò menda
- a’ Pisani_ 65
- _CAP. XLIV. Come i Sanesi vollono fornire la rocca di
- Montepulciano, e non poterono_ 66
- _CAP. XLV. Come i Veneziani feciono pace co’ Genovesi
- senza i Catalani_ 67
- _CAP. XLVI. Come si fè l’accordo dal legato a messer
- Malatesta da Rimini_ 68
- _CAP. XLVII. Come i Genovesi appostarono Tripoli_ 69
- _CAP. XLVIII. Come i Genovesi presono Tripoli a inganno_ 71
- _CAP. XLIX. Di quello medesimo_ 73
- _CAP. L. Come la gente del marchese di Ferrara fu
- sconfitta a Spaziano_ 74
- _CAP. LI. Come l’imperadore ebbe l’ultima paga
- da’ Fiorentini, e fè la fine_ 75
- _CAP. LII. Come il figliuolo di Castruccio fu decapitato_ 76
- _CAP. LIII. D’una fanciulla pilosa presentata
- all’imperadore_ 77
- _CAP. LIV. Come l’imperadore e l’imperadrice si partirono
- per tornare in Alamagna_ 78
- _CAP. LV. Come il minuto popolo di Siena prese al
- tutto la signoria di quella_ 79
- _CAP. LVI. Come la compagnia del conte di Lando
- cavalcò a Napoli_ 80
- _CAP. LVII. Come Fermo tornò alla Chiesa e si rubellò
- da Gentile da Mogliano_ 81
- _CAP. LVIII. Come il re di Francia mandò gente in
- Scozia per guerreggiare gl’Inghilesi_ 82
- _CAP. LIX. Come i prigioni d’Ostiglia presono il castello_ 83
- _CAP. LX. Come i Genovesi venderono Tripoli_ 84
- _CAP. LXI. Come gli usciti di Lucca tentarono di far
- guerra_ 85
- _CAP. LXII. Conta della gran compagnia di Puglia_ 86
- _CAP. LXIII. Come il gran siniscalco condusse mille barbute
- contro alla compagnia, ond’ella s’accrebbe_ 87
- _CAP. LXIV. Come gli usciti di Lucca s’accolsono
- senza far nulla_ 88
- _CAP. LXV. Come il re di Cicilia racquistò più terre_ 89
- _CAP. LXVI. Novità di Padova_ 90
- _CAP. LXVII. Come i Visconti tentarono di racquistare
- Bologna_ 91
- _CAP. LXVIII. Come in Firenze nacquono quattro lioni_ 91
- _CAP. LXIX. Novità fatte per gli usciti di Lucca_ 92
- _CAP. LXX. Come i Catalani non vollono la pace
- co’ Genovesi fatta per i Veneziani_ 93
- _CAP. LXXI. Come messer Ruberto di Durazzo lasciò
- il Balzo_ 94
- _CAP. LXXII. Come arse la bastita da Modena_ 95
- _CAP. LXXIII. Come fu fatto il castello di Sancasciano_ 95
- _CAP. LXXIV. Come in Firenze s’ordinò la tavola
- delle possessioni_ 97
- _CAP. LXXV. Come il re d’Inghilterra con grande apparecchio
- valicò a Calese_ 98
- _CAP. LXXVL Come il re Luigi s’accordò colla compagnia
- del conte di Lando_ 99
- _CAP. LXXVII. Come il conte da Doadola fu sconfitto
- e morto dal capitano di Forlì_ 100
- _CAP. LXXVIII. Come la gente del Biscione prese le
- mura di Bologna e furono cacciati_ 101
- _CAP. LXXIX. Novità state in Udine_ 102
- _CAP. LXXX. Come abbondarono grilli in Cipri e in
- Barberia_ 103
- _CAP. LXXXI. Come messer Maffiolo Visconti fu
- morto da’ fratelli_ 103
- _CAP. LXXXII. Come messer Bernabò ebbe la Mirandola_ 105
- _CAP. LXXXIII. Come i Perugini presono a difendere
- Montepulciano_ 106
- _CAP. LXXXIV. Come il re d’Inghilterra tornò in
- Francia_ 107
- _CAP. LXXXV. Come il re d’Inghilterra cavalcò il
- reame fino ad Amiens_ 108
- _CAP. LXXXVI. Della materia degl’Inghilesi medesima_ 109
- _CAP. LXXXVII. Come morì il re Lodovico di Cicilia,
- e l’isola rimase in male stato_ 111
- _CAP. LXXXVIII. Come in Napoli fu romore_ 111
-
- LIBRO SESTO
-
- _CAP. I. Il prologo_ 113
- _CAP. II. Come nacque briga da’ Visconti a que’ di
- Pavia e di Monferrato_ 114
- _CAP. III. Come si rubellarono terre di Piemonte_ 117
- _CAP. IV. Come i Fiorentini feciono lega contro la
- compagnia_ 118
- _CAP. V. Come gli Scotti presono Vervic_ 119
- _CAP. VI. D’un trattato fatto per racquistare Bologna_ 121
- _CAP. VII. Come si scoperse il trattato di Bologna, e
- fevvisi giustizia_ 122
- _CAP. VIII. Come il signore di Bologna fece lega_ 125
- _CAP. IX. Come l’oste del Biscione ch’era a Reggio
- si levò in isconfitta_ 125
- _CAP. X. Come i Chiaravallesi di Todi tenevano trattato
- col prefetto_ 127
- _CAP. XI. Come morì messer Piero Sacconi de’ Tarlati_ 127
- _CAP. XII. Come scurò tutto il corpo della luna_ 128
- _CAP. XIII. Come la gran compagnia presono Venosa_ 130
- _CAP. XIV. Come il legato bandì la croce contro al capitano
- di Forlì_ 130
- _CAP. XV. Come il conte Paffetta fu da’ Pisani messo
- in prigione_ 132
- _CAP. XVI. Come gli Aretini riposono certe fortezze_ 133
- _CAP. XVII. Di nuove rivolture della gran compagnia_ 134
- _CAP. XVIII. Di grandi gravezze fatte dal re di
- Francia nel suo reame_ 135
- _CAP.XIX. Come i Pisani facevano simulata guerra_ 136
- _CAP. XX. Come il capitano della Chiesa assediò Cesena_ 138
- _CAP. XXI. Come ’l conte da Battifolle assediò Reggiuolo_ 138
- _CAP. XXII. Come il conticino da Ghiaggiuolo racquietò
- Ghiaggiuolo_ 139
- _CAP. XXIII. Come i Visconti assediarono Pavia_ 140
- _CAP. XXIV. Come il re di Francia prese il re di Navarra_ 141
- _CAP. XXV. Come il re di Francia fece decapitare il
- sire di Ricorti e altri quattro cavalieri normandi_ 143
- _CAP. XXVI. Di un grosso badalucco fu a Pavia-_ 144
- _CAP. XXVII. Come i Visconti assediarono Borgoforte_ 145
- _CAP. XXVIII. Come i Visconti feciono contro a’ prelati
- di santa Chiesa_ 145
- _CAP. XXIX. Come i Visconti feciono tre bastite a
- Pavia_ 147
- _CAP. XXX. Come i Turchi con loro legni feciono
- gran danno in Romania_ 147
- _CAP. XXXI. Come gl’Inghilesi guerreggiarono il
- reame di Francia_ 148
- _CAP. XXXII. Come gl’Inghilesi furarono un forte
- castello_ 150
- _CAP. XXXIII. Come il zio del conte di Ricorti si rubellò
- al re di Francia_ 151
- _CAP. XXXIV. Come messer Filippo di Navarra si
- rubellò al re di Francia_ 151
- _CAP. XXXV. Come il popolo di Pavia prese le bastite,
- e liberossi dall’assedio_ 152
- _CAP. XXXVI. Il movimento del re d’Ungheria per
- assediare Trevigi_ 155
- _CAP. XXXVII. Come per l’avvenimento del re d’Ungheria
- si temette in Italia_ 156
- _CAP. XXXVIII. Come la cavalleria del re Luigi sconfissono
- i nemici, e furono vinti_ 157
- _CAP. XXXIX D’appelli fatti per lo conte di Lando
- di tradigione_ 159
- _CAP. XL. Come i Sanesi per paura ricorsono a’ Fiorentini_ 160
- _CAP. XLI. Come l’oste si levò da Borgoforte_ 161
- _CAP. XLII. Principio della guerra da’ Fiamminghi
- a’ Brabanzoni_ 162
- _CAP. XLIII. Come il conte di Fiandra andò su quello
- di Brabante_ 164
- _CAP. XLIV. Come si fece accordo sul campo da’
- Fiamminghi a’ Brabanzoni_ 165
- _CAP. XLV. Come la città d’Ascoli s’arrendè al legato_ 166
- _CAP. XLVI. Come il legato procacciò tenere il Tronto
- alla compagnia_ 167
- _CAP. XLVII. Come i Pisani ruppono la franchigia
- a’ Fiorentini_ 168
- _CAP. XLVIII. Come i Fiorentini deliberarono partirsi
- da Pisa e ire a Talamone_ 170
- _CAP. XLIX. Come fu disfatta la città di Venafri in
- Terra di Lavoro_ 171
- _CAP. L. Come l’oste del re d’Ungheria cominciò a
- venire a Trevigi_ 172
- _CAP. LI. De’ parlamenti che di questo si feciono in
- Lombardia_ 173
- _CAP. LII. Come il re d’Ungheria ebbe Colligrano_ 174
- _CAP. LIII. Come il re d’Ungheria venne a oste a
- Trevigi_ 175
- _CAP. LIV. Come si reggeano gli Ungheri in oste_ 176
- _CAP. LV. Come l’oste si mantenea a Trevigi_ 180
- _CAP. LVI. Come la gran compagnia passò nella
- Marca_ 182
- _CAP. LVII. De’ fatti dell’isola di Cicilia_ 183
- _CAP. LVIII. Come il conte di Lancastro cavalcò fino
- a Parigi_ 184
- _CAP. LIX. Come il re di Francia andò in Normandia_ 185
- _CAP. LX. Come il papa e l’imperadore diedono titolo
- al re d’Ungheria_ 186
- _CAP. LXI. Come i Fiorentini s’acordarono di fare
- porto a Talamone_ 187
- _CAP. LXII. Come messer Bruzzi cercò di tradire il
- signore di Bologna_ 189
- _CAP. LXIII. Come i Veneziani cercarono accordo col
- re d’Ungheria_ 190
- _CAP. LXIV. Come il signore di Bologna scoperse un
- altro trattato contro a sè_ 192
- _CAP. LXV. Di certa novità che gli Ungheri feciono
- nel campo a Trevigi_ 193
- _CAP. LXVI. Come il re d’Ungheria si levò da oste
- da Trevigi_ 194
- _CAP. LXVII. Raccoglimento di condizioni
- e movimento del re_ 195
- _CAP. LXVIII. Come la gente della lega di Lombardia
- sconfisse il Biscione a Castel Lione_ 190
- _CAP. LXIX. Trattati de’ Ciciliani_ 197
- _CAP. LXX Come la compagnia stette sopra Ravenna_ 198
- _CAP. LXXI. Come i Fiorentini ordinarono di fare
- balestrieri_ 199
- _CAP. LXXII. L’ordine ch’e’ Fiorentini presono per
- mantenere i balestrieri_ 200
- _CAP. LXXIII. Come i Trevigiani furono soppresi
- dagli Ungheri con loro grave danno_ 201
- _CAP. LXXIV. Come il Regno era d’ogni parte in guerra_ 202
- _CAP. LXXV. Come i collegati condussono la compagnia
- al loro soldo_ 203
- _CAP. LXXVI. De’ fatti de’ collegati di Lombardia_ 204
- _CAP. LXXVII. Come i Brabanzoni ruppono i patti
- a’ Fiamminghi_ 205
- _CAP. LXXVIII. Come il conte di Fiandra andò sopra
- Brabante_ 206
- _CAP. LXXIX. Come il duca di Brabante si fè incontro
- a’ Fiamminghi_ 207
- _CAP. LXXX. Come i Fiamminghi sconfissono i Brabanzoni_ 208
- _CAP. LXXXI Come il conte di Fiandra ebbe Borsella_ 209
- _CAP. LXXXII. Come il conte di Fiandra ebbe tutto
- Brabante a suo comandamento_ 211
- _CAP. LXXXIII. Perchè si mosse guerra dagli Spagnuoli
- a’ Catalani_ 212
- _CAP. LXXXIV. Di gran tremuoti furono in Ispagna_ 214
-
- LIBRO SETTIMO
-
- _CAP. I. Il Prologo_ 215
- _CAP. II. Come il re di Francia prese la croce per fare
- il passaggio_ 216
- _CAP. III. Le parole disse frate Andrea d’Antiochia
- al re di Francia_ 218
- _CAP. IV. Molte laide cose fece il re di Francia_ 220
- _CAP. V. Come il re di Francia uscì di Parigi con suo
- sforzo, e andò in Normandia_ 222
- _CAP. VI. Quello faceva il prenze di Guales_ 223
- _CAP. VII. Come il re di Francia pose il campo pressò
- al prenze_ 224
- _CAP. VIII. Due conti del re di Francia rimasono presi
- da un aguato_ 226
- _CAP. IX. Puose il re di Francia il campo suo presso
- agl’Inghilesi_ 227
- _CAP. X. I legati cercarono accordo tra due signori_ 228
- _CAP. XI. I patti che si trattarono e quasi conchiusono_ 229
- _CAP. XII. Come il vescovo di Celona sturbò la pace_ 231
- _CAP. XIII. Diceria che fece il prenze di Guales a’ suoi_ 233
- _CAP. XIV. Come i Franceschi s’apparecchiarono alla
- battaglia_ 235
- _CAP. XV. Le schiere e gli ordini de’ Franceschi_ 235
- _CAP. XVI. L’ordine degl’Inghilesi con le loro schiere_ 236
- _CAP. XVII. La battaglia tra il re di Francia, e il
- prenze di Guales_ 237
- _CAP. XVIII. La sconfitta del re di Francia e sua gente_ 239
- _CAP. XIX. Racconta molti morti e presi nella battaglia_ 241
- _CAP.XX. Come il re di Francia n’andò preso in Guascogna_ 242
- _CAP. XXI. I modi tenne il re d’Inghilterra sentendo la
- novella di sì gran vittoria_ 243
- _CAP. XXII. Battaglia fra due cavalieri, e perchè_ 244
- _CAP. XXIII. Processo fatto contro a’ signori di Milano
- per lo vicario dell’imperadore_ 245
- _CAP. XXIV. Risposta fatta per li signori di Milano
- al vicario_ 246
- _CAP. XXV. Risposta fatta per lo vicario alla detta
- lettera_ 247
- _CAP. XXVI. Come i soldati de’ tiranni non vollono
- venire contro all’insegna dell’imperadore_ 248
- _CAP. XXVII. Come il vicario puose campo_ 249
- _CAP. XXVIII. Ordine del re d’Ungheria alla guerra
- con i Veneziani_ 250
- _CAP. XXIX. L’aguato misono gli Ungheri a gente
- de’ Veneziani_ 251
- _CAP. XXX. Come il re Luigi trattò d’avere Messina
- in Cicilia_ 252
- _CAP. XXXI. Come si trattò pace fra il conte di Fiandra
- e i Brabanzoni_ 253
- _CAP. XXXII. Come i Fiorentini si partirono da Pisa
- e andarono a Siena con le mercatanzie_ 254
- _CAP. XXXIII. Come il capitano di Forlì si provvide_ 255
- _CAP. XXXIV. Come Faenza s’arrendè al legato, e’ patti_ 256
- _CAP. XXXV. Che fece la gente della lega de’ Lombardi
- in questo tempo_ 257
- _CAP. XXXVI. Della materia medesima_ 257
- _CAP. XXXVII. Come l’oste della lega fu rotta dalla
- gente di Milano_ 258
- _CAP. XXXVIII. Il consiglio prese il capitano di Forlì_ 261
- _CAP.XXXIX. Messer Niccola prese Messina per lo re
- Luigi_ 262
- _CAP. XL. Come si ribellò Genova a que’ di Milano_ 264
- _CAP. XLI. Come fu disfatta la chiesa di santo Romolo_ 265
- _CAP. XLII. Quello fece messer Filippo di Taranto e
- di Vercelli_ 267
- _CAP. XLIII. Come si fuggì di Milano la donna che fu
- di messer Luchino col figliuolo_ 268
- _CAP. XLIV. Come il Re Luigi e la reina andarono a Messina_ 269
- _CAP. XLV. Come fu murato il borgo di Fegghine_ 270
- _CAP. XLVI. D’un parlamento fece l’imperadore in
- Alamagna_ 271
- _CAP. XLVII. Come il marchese di Monferrato ebbe il
- castello di Novara_ 272
- _CAP. XLVIII. Come messer Bernabò volle uccidere
- messer Pandolfo Malatesti_ 273
- _CAP. XLIX. Come i Genovesi racquistarono Savona_ 277
- _CAP. L. Guerra dal re di Castella a quello d’Araona_ 277
- _CAP. LI. Come messer Filippo di Novara cavalcò presso
- a Parigi_ 278
- _CAP. LII. Come si cominciò le mulina del comune di
- Firenze_ 279
- _CAP. LIII. Come il reame di Francia ebbe gran divisione_ 280
- _CAP. LIV. Morte del conte Simone di Chiaramonte
- in Cicilia_ 281
- _CAP. LV. Come si liberò il Borgo a Sansepolcro da
- tirannia_ 282
- _CAP. LVI. Come l’abate di Clugnì succedette al cardinale
- di Spagna_ 283
- _CAP. LVII. Come il re di Francia fu menato in Inghilterra_ 283
- _CAP. LVIII. Come la gente della Chiesa entrò in Cesena_ 286
- _CAP. LIX. Come il legato con sua forza andò a Cesena_ 287
- _CAP. LX. Abboccamento e triegua fatta dal re di
- Spagna al re d’Araona_ 288
- _CAP. LXI. Come Rezzuolo si diede a’ Fiorentini_ 289
- _CAP. LXII. Come i Pisani vollono torre Uzzano
- a Fiorentini_ 290
- _CAP. LXIII. Come i Pisani armarono galee per impedire
- il porto_ 291
- _CAP. LXIV. L’aiuto mandò messer Bernabò al capitano
- di Forlì_ 292
- _CAP. LXV. Come il conte d’Armignacca da Tolasana per
- gravezze fu cacciato_ 293
- _CAP. LXVI. Conta dell’onore fatto al re di Francia
- in Inghilterra_ 294
- _CAP. LXVII. Trattato tenuto per li Fiorentini in
- accordare il capitano di Forlì con il legato_ 298
- _CAP. LXVIII. Come il legato ebbe la murata di Cesena_ 297
- _CAP. LXIX. De’ fatti di madonna Cia donna del
- capitano di Forlì_ 298
- _CAP. LXX. Novità fatte in Ravenna_ 300
- _CAP. LXXI. Novità di Grecia, e presura di loro signori_ 302
- _CAP. LXXII. Come il re Luigi assediò Catania in
- Cicilia_ 304
- _CAP. LXXIII. Della materia medesima_ 305
- _CAP. LXXIV. Come l’oste del re Luigi si levò da Catania
- in isconfitta_ 306
- _CAP. LXXV. Come la compagnia venne sul Bolognese_ 307
- _CAP. LXXVI. Come il comune di Firenze afforzò lo
- Stale_ 308
- _CAP. LXXVII. Come s’arrendè la rocca di Cesena
- al legato_ 309
- _CAP. LXXVIII. De’ fatti di Costantinopoli_ 311
- _CAP. LXXIX. Come il legato prese Castelnuovo e
- Brettinoro_ 312
- _CAP. LXXX. Di processi fatti contro la compagnia
- per lo legato_ 313
- _CAP. LXXXI. Della gravezza facea il tiranno a’ Bolognesi_ 314
- _CAP. LXXXII. Come i Veneziani domandarono pace
- al re d’Ungheria_ 316
- _CAP. LXXXIII. Come il legato ebbe la rocca di Brettinoro_ 317
- _CAP. LXXXIV. Come si bandì la croce contro la
- compagnia_ 317
- _CAP. LXXXV. Aiuti mandarono i Fiorentini al legato_ 319
- _CAP. LXXXVI. Come i Genovesi ebbono Ventimiglia_ 320
- _CAP. LXXXVII. Come l’arciprete con compagnia
- entrò in Provenza_ 321
- _CAP. LXXXVIII. Come il conte di Fiandra rendè
- Brabante alla duchessa facendo pace_ 323
- _CAP. LXXXIX. Come il legato s’accordò alla compagnia
- per danari_ 323
- _CAP. XC. Ricominciamento dello studio in Firenze_ 325
- _CAP. XCI. Come si trovarono l’ossa di papa Stefano
- in Firenze_ 325
- _CAP. XCII. Leggi fatte sopra i medici_ 326
- _CAP. XCIII. Come i Genovesi ebbono Monaco_ 327
- _CAP. XCIV. Come il cardinale assediò Forlì_ 328
- _CAP. XCV. Come il re d’Inghilterra ruppe i patti
- della pace_ 329
- _CAP. XCVI. Della mostra fatta a Avignone di cortigiani
- per tema della compagnia_ 330
- _CAP. XCVII. Come il re Luigi da Messina tornò a
- Napoli_ 331
- _CAP. XCVIII. Come si perdè Governo a’ Mantovani_ 332
- _CAP. XCIX. Come i signori di Milano presono Borgoforte,
- e assediarono Mantova_ 333
- _CAP. C. Come il cardinale Egidio passò per Firenze_ 335
- _CAP. CI. Come per i cardinali non si fe’ nulla della
- pace de’ due re_ 337
- _CAP. CII. Come fu impiccato il conte di Minerbino_ 338
- _CAP. CIII. Come fu preso Minerbino_ 339
- _CAP. CIV. Come i Genovesi mandarono in Sardigna
- venti galee per racquistare la Loiera, e non poterono_ 340
-
-
-
-
- ERRORI CORREZIONI
-
- TOMO III.
-
- p. 57 v. 21 dimostare dimostrare
- — 124 — 6 e a avuti e avuti
- — 257 — 27 si sfo (In alcune copie) si sfor-
- — 275 — 24 stamapanare, e stampare, e
- — 277 — 24 avversaro avversario
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in
-fine libro sono state riportate nel testo.
-
-*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL.
-III ***
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-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<p style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. III</span>, by Matteo Villani</p>
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online
-at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. If you
-are not located in the United States, you will have to check the laws of the
-country where you are located before using this eBook.
-</div>
-</div>
-
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>Cronica di Matteo Villani, vol. III</span></p>
-<p style='display:block; margin-left:2em; text-indent:0; margin-top:0; margin-bottom:1em;'><span lang='it' xml:lang='it'>A miglior lezione ridotta coll&#039;aiuto de&#039; testi a penna</span></p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Matteo Villani</p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Editor: Ignazio Moutier</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: January 29, 2023 [eBook #69900]</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p>
- <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by the Bayerische Staatsbibliothek)</p>
-<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. III</span> ***</div>
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-CRONICA<br>
-DI<br>
-MATTEO VILLANI<br><br>
-TOMO III.
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver">
-
-<div class="titlepage">
-<p class="main-t">
-CRONICA
-</p>
-
-<p class="pad2 small">DI</p>
-
-<p class="pad1 x-large">
-MATTEO<br>
-<span class="g">VILLANI</span>
-</p>
-
-<p class="pad2">
-A MIGLIOR LEZIONE RIDOTTA<br>
-coll’aiuto<br>
-DE’ TESTI A PENNA
-</p>
-
-<p class="pad1 large">
-TOMO III.
-</p>
-
-<p class="pad4">
-FIRENZE<br>
-PER IL MAGHERI<br>
-1825
-</p>
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr>
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-</p>
-
-<h2 id="libro5">LIBRO QUINTO
-<span class="smaller"><i>Qui comincia il quinto libro della Cronica
-di Matteo Villani; e prima il Prologo.</i></span></h2>
-</div>
-
-<h3 id="cap1-5">CAPITOLO PRIMO.</h3>
-</div>
-
-<p>
-Chiunque considera con spedita e libera mente
-il pervenire a’ magnifici e supremi titoli degli
-onori mondani, troverà che più paiono mirabili
-innanzi al fatto e di lungi da quello, che
-nella presenza della desiderata ambizione e gloria:
-e questo avviene, perchè il sommo stato
-delle cose mobili e mortali, venuto al termine
-dell’ottato fine, invilisce, perocchè non può empiere
-la mente dell’animo immortale; ancora
-si fa più vile, se con somma virtù non si governa
-e regge; ma quando s’aggiugne a’ vizi, l’ottata
-signoria diventa incomportabile tirannia,
-e muta il glorioso titolo in ispaventevole tremore
-de’ sudditi popoli. Ma perocchè ogni signoria
-procede ed è data da Dio in questo mondo, assai
-è manifesto, che per i peccati de’ popoli regna
-l’iniquo. L’imperial nome sormonta gli altri
-per somma magnificenza, al qual solea ubbidire
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-tutte le nazioni dell’universo, ma a’ nostri tempi
-gl’infedeli hanno quello in dispregio, e nella
-parte posseduta per i cristiani tanti sono i potenti
-re, signori, e tiranni, comuni, e popoli
-che non l’ubbidiscono, che piccolissima
-parte ne rimane alla sua suggezione; la qual
-cosa estimano ch’avvenga principalmente dalla
-divina disposizione, il cui provvedimento e consiglio
-non è nella podestà dell’intelletto umano.
-Ancora n’è forse cagione non piccola l’imperiale
-elezione trasportata ai sette principi d’Alamagna,
-i quali hanno continovato lungamente a eleggere
-e promuovere all’imperio signori di loro
-lingua, i quali colla forza teutonica, e col consiglio
-indiscreto e movimento furioso di quella
-gente barbara hanno voluto reggere e governare
-il romano imperio; la qual cosa è strana da
-quel popolo italiano che a tutto l’universo diede
-le sue leggi, e’ buoni costumi e la disciplina
-militare: e mancando a’ Tedeschi le principali
-parti che si richieggono all’imperiale governamento,
-non è maraviglia perchè mancata sia
-la somma signoria di quello. E stringendone l’usata
-materia a fare principio al quinto libro, la
-coronazione di Carlo di Luzimborgo, e quanto
-di quella seguitò in brevissimo tempo, sieno in
-parte esempio di quello che narrato avemo nella
-presente rubrica.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap2-5">CAP. II.
-<span class="smaller"><i>Come messer Carlo di Luzimborgo fu
-coronato imperadore de’ Romani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Domenica mattina a dì 5 del mese d’aprile, gli
-anni Domini 1355 dalla sua salutevole incarnazione,
-il dì della Resurrezione di Cristo, essendo
-il cardinale d’Ostia legato del papa a fare la consecrazione
-dell’imperadore con molti prelati nella
-basilica di san Pietro, l’eletto Carlo sopraddetto
-giugnendo a san Pietro co’ Romani, e colla
-grande cavalleria e moltitudine di popolo che
-l’aveano accompagnato, scavalcato colla sua donna,
-furono ricevuti nella chiesa con grande tumulto
-di stromenti, e allegrezza e festa di catuna
-gente. E incontanente ch’egli fu in san Pietro,
-com’egli avea ordinato, molti cavalieri armati
-tramezzarono tra la sua persona e della
-donna con alquanti più confidenti prelati
-ch’erano all’uficio dell’altare, e l’altro popolo
-riempierono sì il mezzo della grande basilica
-che niuno potea valicare verso l’altare, o vedere
-la sua consacrazione, salvo i prelati e coloro
-ch’erano in compagnia con l’eletto. E celebrato
-l’uficio della solenne messa, spogliato
-l’eletto de’ suoi primi vestimenti, e stando a
-piè dell’altare, ricevuta la sagra unzione, e confessata
-la sua cattolica fede, con quelle cerimonie
-che l’usanza richiede, fu vestito dell’imperiali
-vestimenta, e consecrato dal cardinale;
-per lo prefetto di Vico, in chi sta l’uficio d’incoronare,
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-gli fu messo la corona dell’oro imperiale,
-ed egli incoronò l’imperatrice. E fatta la
-solennità della sua coronazione, l’imperadore nella
-maestà imperiale montò in su uno grande e
-nobile destriere, portando nella mano destra
-un bastone d’oro, e nella sinistra una palla d’oro
-ivi suso una crocetta di sopra, e sotto nobilissimi
-palii d’oro e di seta, addestrato da’ principi
-romani e da altri nobili signori alla sella
-e al freno e d’intorno, e appresso a lui l’imperadrice,
-con grande allegrezza e festa furono
-condotti per la città di Roma a san Giovanni
-Laterano, ov’era fatto l’apparecchiamento per
-desinare; e ivi smontati, con grande reverenza
-andarono a vicitare l’altare: e già valicata l’ora
-di nona, si posono a mangiare: e fatta la desinea,
-l’imperadore e l’imperadrice, con poca compagnia
-di loro gente, mutato l’abito dell’imperiale
-maestà, montarono a cavallo, e andarono
-ad albergare fuori della città di Roma a san Lorenzo
-tra le vigne: e questo fece per ubbidire
-al comandamento a lui fatto dal santo padre,
-che coronato che fosse, non dovesse albergare in
-Roma. A questa coronazione si trovarono cinquemila
-tra baroni e cavalieri alamanni, i più
-Boemi, e più di diecimila Italiani vi furono a
-cavallo, tutti al servigio e a fare onore all’imperadore.
-E niuno contrario o sospetto a lui si
-trovò in Italia, per l’umile venuta e savia pratica
-che tenne, di non essere partefice e di
-non seguire il consiglio de’ ghibellini come i
-suoi antecessori, cosa maravigliosa e non udita,
-addietro per molti tempi. E partito l’imperadore
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-da san Lorenzo con minore compagnia
-se n’andò a Tivoli per osservare alcuna ceremonia
-debita a’ novelli imperadori; incontanente
-tutta la cavalleria si cominciò a partire da
-Roma, e venire verso Siena e Pisa, e chi a ritrarsi
-verso la Magna. Lasceremo alquanto l’imperadore
-e la sua cavalleria al cammino, e seguiremo
-d’altre novità strane, che in questi giorni
-s’apparecchiano alla nostra materia.
-</p>
-
-<h3 id="cap3-5">CAP. III.
-<span class="smaller"><i>Come messer Ruberto di Durazzo prese per
-furto il Balzo in Provenza.</i></span></h3>
-
-<p>
-Quello che seguita essendo molto strano dalla
-schiatta reale, ci fa manifesto, che dove la
-necessità regna, rade volte s’aggiugne la ragione.
-Messer Ruberto, figliuolo che fu di messer
-Gianni duca di Durazzo, nipote del re Ruberto,
-tornato di prigione d’Ungheria, e male
-provveduto dal re Luigi suo cugino, se n’andò
-in Francia; e servendo il re alle sue spese, non
-essendo provveduto da lui tornò in Provenza; e
-ivi, per mantenersi a onore, gravati gli amici
-e’ parenti, consumò ciò ch’egli avea: e venuto
-a tanto che non potea mantenere quattro scudieri,
-si pensò di fare male; e non avendo da
-se la forza, s’accostò col sire della Guardia, a
-cui manifestò il suo pensiero, e richieselo d’aiuto.
-Costui, ch’era uomo atto alla guerra più
-ch’al riposo, disse di seguirlo volentieri, e accolsono
-ottanta cavalieri, e provvidonsi di scale;
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-e una notte, a dì 6 d’aprile del detto anno, essendo
-il forte castello del Balzo in Provenza senza
-alcuno sospetto, e ’l signore del Balzo nel Regno
-in cortese guardia del re, messer Ruberto vi s’entrò
-dentro, e senza contasto prese il castello e
-la rocca inespugnabile. Sentendosi la novella in
-corte, il papa e’ cardinali se ne turbarono forte,
-salvo il cardinale di Pelagorga ch’era suo zio,
-il quale con seguito di certi cardinali di sua setta
-lo scusavano in concestoro, e segretamente l’atavano
-per modo, che in pochi dì ebbe nel Balzo
-trecento cavalieri e cinquecento fanti armati, e
-cominciò a correre il paese e fare preda fin
-presso Avignone, non senza sospetto del papa,
-e de’ cardinali, e di tutta la Provenza.
-</p>
-
-<h3 id="cap4-5">CAP. IV.
-<span class="smaller"><i>Come i Provenzali s’accolsono per porre
-l’assedio al Balzo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo questa cosa divolgata per la Provenza,
-i baroni del paese ch’amavano la casa del Balzo,
-e temeano delle loro castella per lo male
-esempio, senza essere richiesti da altro signore
-fece catuno suo sforzo, e trassero con cavalieri e
-fanti che poterono fare al Balzo, e in pochi giorni
-vi si trovarono ottocento cavalieri e gran popolo:
-e dato ordine tra loro, tennono assediato il
-castello e la gente che dentro v’era. La novella
-andò di subito a Napoli al conte d’Avellino
-signore del Balzo, il quale di presente il disse al
-re; ond’egli si turbò forte, e incontanente licenziò
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-il conte, e rimandollo in Provenza, profferendogli
-il suo aiuto: il conte si mise in fretta
-al suo viaggio. Il papa e’ cardinali erano in turbazione
-colla setta di quelli di Pelagorga, la qual
-cosa conturbava non poco la corte e tutta la Provenza.
-Lasceremo al presente la materia del Balzo,
-e trapasseremo alle novità che occorsono in
-Italia innanzi che il Balzo si racquistasse.
-</p>
-
-<h3 id="cap5-5">CAP. V.
-<span class="smaller"><i>Come si comincio l’izza da messer Galeazzo
-Visconti a messer Giovanni da Oleggio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Giovanni da Oleggio vicario di Bologna
-per messer Maffiolo de’ Visconti di Milano, innanzi
-che l’arcivescovo avesse presa Bologna era
-provveduto dal detto arcivescovo, del quale si
-credea che fosse figliuolo, tra altre utili possessioni
-d’un castello grande e nobile chiamato....,
-del quale messer Giovanni avea buona rendita:
-il castello vicinava con certe terre di messer Galeazzo
-Visconti. Avvenne, che messer Giovanni
-s’intendea in Milano d’amore con alcuna donna
-la quale nel segreto era al servigio di messer
-Galeazzo, il quale accorgendosi di messer Giovanni,
-l’ebbe a sdegno, e senza altro dimostramento
-della cagione prese izza contro a lui, e
-messer Giovanni sforzandosi di fargli onore nol
-potea contentare: infine gli tolse il castello, più
-per fargli dispetto che per altra cagione. Della
-qual cosa messer Giovanni non s’osò rammaricare
-nè dolere, ma di questo nacque poi maggiore
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-novità quando messer Giovanni si rubellò
-alla casa de’ Visconti, come leggendo appresso si
-potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap6-5">CAP. VI.
-<span class="smaller"><i>Come il capitano di Forlì sconfisse gente
-della Chiesa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese d’aprile del detto anno, il capitano
-di Forlì cavalcava nella Marca, e avea in sua
-compagnia dugento cavalieri i più gentili uomini
-giovani, i quali erano con lui per amore a sua provvisione.
-Il capitano della gente d’arme della
-Chiesa seppe l’andata del capitano di Forlì, e di
-notte gli si fece incontro, e misegli un aguato
-di quattrocento cavalieri. Il capitano di Forlì,
-innanzi che fosse al passo dell’aguato, per sue
-spie seppe come i nemici in quantità di quattrocento
-cavalieri l’attendeano di presso; egli era in
-parte ch’el si poteva tornare addietro salvamente,
-ma pensando che ciò gli tornerebbe a vergogna,
-avendo l’animo grande, e giovani cavalieri
-con seco pro’ e arditi, diliberò con loro d’andare
-ad assalire i nemici, non ostante che gran vantaggio
-avessono del numero della gente e del terreno;
-fece cento feditori ch’andassono innanzi
-a cominciare la zuffa, i quali si mossono in un
-fiotto, e dirizzaronsi al cammino verso l’aguato,
-a modo come se ’l capitano fosse tra loro. I nemici
-pensandogli raccogliere a mansalva uscirono
-loro addosso, credendo che vi fosse il capitano
-di Forlì. I cento cavalieri, vedendo venire
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-verso loro tutto l’aguato, strettamente con
-grande ardire, sì fedirono tra loro sì virtuosamente,
-che gli feciono invilire; e vedendo come
-francamente sosteneano contro a loro, temettono
-che il capitano con maggior forza non venisse
-loro addosso; e vedendo dalla lunga apparire gente
-al loro soccorso, e che questi cento cavalieri
-tanto francamente si sosteneano, innanzi che il
-capitano giugnesse ruppono; e giugnendo il capitano
-di Forlì al soccorso de’ suoi, trovò rotti i nemici,
-e perseguitandoli, prese dugento cavalieri e
-più di quell’aguato, e raccolta la preda, vittoriosamente
-fornì il suo viaggio.
-</p>
-
-<h3 id="cap7-5">CAP. VII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Filippo di Taranto prese per
-moglie la figliuola del duca di Calavria.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo dama Maria, sirocchia della reina Giovanna
-figliuola del duca di Calavria, rimasa vedova
-di due mariti tagliati a ghiado, che l’uno fu
-il duca di Durazzo, l’altro Ruberto figliuolo del
-conte d’Avellino, de’ quali innanzi è fatta menzione,
-essendo così vedova, del mese d’aprile,
-ella e messer Filippo di Taranto fratello carnale
-del re Luigi senza moglie, non ostante ch’ella fosse
-figliuola di suo cugino carnale e stata moglie del
-duca suo cugino, senza alcuna dispensazione, con
-volontà e consiglio del detto re e della reina
-Giovanna sua sirocchia, per nome di matrimonio
-si congiunsono insieme; e dopo la loro congiunzione
-e maritaggio, il detto messer Filippo andò
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-a corte di Roma a Avignone al papa per avere la
-dispensagione. Il papa ebbe questa cosa molto a
-grave, e il collegio de’ cardinali, e fu da loro
-messer Filippo mal veduto, e dimorò in corte e
-in Provenza lungamente, adoperando cose da piacere
-al papa per potere avere la dispensazione a
-lui più volte negata. Infine dopo lungo dimoro,
-caricato il papa dal re e dalla reina, che questa
-vergogna non rimanesse nella casa reale, infine
-per lo meno male, e per ricoprire quello vituperio,
-concedette la detta dispensagione.
-</p>
-
-<h3 id="cap8-5">CAP. VIII.
-<span class="smaller"><i>Come Massa e Montepulciano non ricevettono
-i vicari del patriarca.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi dì, essendo l’imperadore a Roma, i
-Massetani, e’ Montepulcianesi, e que’ di Grosseto,
-che soleano ubbidire al comune di Siena,
-avendo sentiti i romori della città, e l’abbattimento
-dell’ordine de’ nove e di tutti gli ufici
-del comune mandandovi il vicario dell’imperadore
-per riprendere la signoria di quelle terre,
-catuna si ritenne senza volere ricevere la
-signoria del vicario, volendo prima vedere come
-la città di Siena si dovea riposare. E di
-questa novità il minuto popolo e gli artefici
-ch’aveano abbattuto l’ordine de’ nove, che di
-ciò erano contenti, furono turbati assai, e presono
-cagione d’intendersi insieme, onde poi seguirono
-gravi revoluzioni, come al suo tempo
-appresso racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap9-5">CAP. IX.
-<span class="smaller"><i>Come i Visconti tolsono a messer Giovanni
-da Oleggio il suo castello.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo messer Giovanni de’ Peppoli che
-vendè Bologna molto confidente a messer Galeazzo
-Visconti, per accattare benivolenza a’ suoi
-amici da Bologna da messer Giovanni da Oleggio
-che n’era vicario operò tanto, che messer
-Galeazzo gli rendè la grazia sua, e il castello, che
-per sdegno gli avea tolto; la qual cosa fu a messer
-Giovanni da Oleggio a grado, e di presente si
-provvide di ricchi doni, e mandolli a messer Galeazzo,
-il quale gli ricevette graziosamente. Messer
-Maffiolo vedendo che messer Giovanni era tornato
-nella grazia di messer Galeazzo, incominciò a
-prendere sconfidanza di lui, e inanimossi di rimuoverlo
-del vicariato di Bologna, e il suo proprio
-castello ch’avea riavuto da messer Galeazzo
-recò cortesemente al suo governamento,
-e certa provvisione ch’egli era usato di fare
-ogni anno a messer Giovanni per i servigi che
-ricevea da lui cominciò a sostenere con dissimulazioni.
-E parendogli che messer Giovanni
-ubbidisse più gli altri suoi fratelli che se,
-avendo intendimento di mutarlo e trarlo di
-Bologna, copria il suo intendimento con povero
-consiglio, che non sapea più; ma colui con
-cui egli avea a fare era uomo astuto e avvisato,
-e però il fine andò tutto per altro modo
-che messer Maffiolo e’ fratelli non pensarono,
-come leggendo innanzi si potrà vedere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap10-5">CAP. X.
-<span class="smaller"><i>Andamenti della gran compagnia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo lungamente stata in Puglia la compagnia
-del conte di Lando, favoreggiata dal duca
-di Durazzo e dal conte Paladino in vergogna
-della corona, perchè dal re erano stati mal
-trattati, del mese di maggio la condussono in
-Terra di Lavoro, e misonsi a Serni e a Matalona,
-facendo per lo paese danni di ruberie e di
-prede quanto più poteano, senza trovare fuori
-delle mura delle terre alcuno contasto: e appresso
-feciono più parti di loro, e sparsonsi per
-lo paese facendo danni assai, come per i tempi
-innanzi si racconteranno.
-</p>
-
-<h3 id="cap11-5">CAP. XI.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Tunisi fu morto.</i></span></h3>
-
-<p>
-Innanzi ch’e’ Genovesi prendessono Tripoli
-di Barberia, il re di Tunisi avendo assai figliuoli
-di diverse donne, com’è usanza de’ saracini,
-i quali figliuoli male ordinati, non volendo che
-la successione del regno venisse a quel loro fratello
-a cui il re intendea di lasciare la reale signoria,
-trattarono e misono ad esecuzione la
-violente morte del re loro padre; e rimanendo
-il reame in vacazione, i baroni occuparono chi in
-un paese e chi in un altro le possessioni e ragioni
-del reame; e nondimeno alcuni de’ piccoli figliuoli
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-del re che non era partefice al patricidio
-feciono re, il quale possedea Tunisi e
-parte del reame, ma non l’occupava. In quel
-tempo avvenne, ch’un figliuolo d’un fabbro saracino,
-essendo sperto, e ben parlante, e di
-grand’animo, ebbe cuore, trovandosi in Tunisi,
-d’occupare la città con tirannia; ed essendovi
-grande per la sua eloquenza, per la sua industria
-se ne fece signore, e reggea e governava
-quel popolo e quell’antica città a suo volere,
-senza lasciarli ritornare alla debita signoria
-del re di Tunisi; e per lo male stato di quello
-reame non era chi lo repugnasse. Per la qual
-cosa avvenne, che certi Genovesi ch’aveano
-veduto il reggimento di quel tiranno, e sentito
-com’egli era in odio al re di Tunisi e a’ suoi
-baroni, da cui non avrebbe soccorso, e il gran
-tesoro ch’era in quel popolo, si pensarono di
-prendere per ingegno e per forza quella città,
-come poi venne loro fatto, secondo che appresso
-leggendo si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap12-5">CAP. XII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Giovanni da Oleggio
-rubellò Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Noi abbiamo poco addietro narrato come messer
-Maffiolo de’ Visconti di Milano, nella cui parte
-era venuta la città di Bologna, avea preso sospetto
-di messer Giovanni da Oleggio suo vicario, e provvedeasi
-segretamente a rimuoverlo; e parendogli
-tempo, mandò a Bologna messer Galeazzo de’ Pigli
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-da Modena con certa famiglia, acciocchè prendesse
-da messer Giovanni la signoria, e rimanesse
-suo vicario in Bologna, e a messer Giovanni
-scrisse, ch’assegnato ch’avesse al nuovo vicario la
-tenuta e la signoria, che se ne tornasse a Milano,
-facendogli assai larghe offerte. E giunto in Bologna
-messer Galeazzo, fu da messer Giovanni ricevuto
-graziosamente nella prima apparenza, e per mostrarsi
-fedele e ubbidiente al suo signore, di presente
-fece assegnare la rocca e la guardia della
-porta di verso Modena a uno Milanese, di cui
-messer Maffiolo n’avea fatto castellano. Questo
-si crede che facesse piuttosto per poter meglio
-trattare l’altre cose che gli bollivano nell’animo,
-che per semplice disposizione d’ubbidienza.
-E vedendosi egli allo stremo partito, lavorava
-dentro con grande angoscia dell’animo, e non
-avea con cui confidentemente potersi consigliare;
-e dall’una parte il premea la fede promessa
-alla casa de’ Visconti di cui e’ si tenea per
-nazione, ma più per i grandi onori e per lo stato
-ov’era pervenuto di piccolo grande, per i beneficii
-ricevuti da’ suoi signori; e dall’altro lato
-tempellava la mente l’ambizione della signoria
-che gli convenia lasciare, e lo sdegno che già sentiva
-preso per messer Maffiolo gli generava paura
-che lasciata la signoria e’ non fosse mal trattato, e
-però, ma più l’appetito della signoria, il fece diliberare
-di mettersi innanzi a ogni pericolo di sua fortuna,
-che di lasciare così grande signoria com’egli
-avea tra le mani, e ogni fede promessa, e tutte l’altre
-ragioni di sua natura, e d’onori e di beneficii
-ricevuti mise addietro per niente. E avendo in se
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-medesimo così diliberato, ebbe a se messer Galeazzo
-nuovo vicario, e fecegli vedere con belle
-ragioni, come la subita revoluzione della signoria
-di Bologna era di gran pericolo, e maggiormente
-perchè sapea che ’l marchese di Ferrara avea
-accolto gente d’arme, e manifesto era per l’aspre
-cose ch’egli avea fatte a’ Bolognesi ch’elli
-erano mal contenti; e però consigliava, ch’egli
-prima andasse a prendere le tenute delle
-castella di fuori, e quelle rifornisse e provvedesse
-di buona guardia, e fatto questo, senza
-pericolo potea sicuramente ricevere la signoria.
-Costui ignorante del baratto seguitò il consiglio
-di messer Giovanni, e prese le masnade ch’avea
-in Bologna a cavallo e a piè, e’ nuovi castellani
-e le lettere del comandamento, ch’e’ castellani
-e l’altre masnade dovessono ubbidire al
-nuovo vicario; e messolo fuori della città di
-Bologna, incontanente messer Giovanni mandò
-pe’ rettori e per tutti gli uficiali ch’erano in
-Bologna, catuno per se, e come veniano a lui,
-gli facea mettere in certa camera del suo palagio
-in salva guardia: e com’ebbe raccolti tutti i rettori,
-e uficiali in quella sera, mandò per tutti
-i maggiori cittadini di Bologna grandi e popolani,
-e per coloro cui egli avea più serviti e
-meno gravati, e raunatili insieme nel suo palagio,
-essendo già assai infra la notte, disse,
-com’egli col loro aiuto intendea di volere torre
-la signoria di Bologna a messer Maffiolo e agli altri
-suoi fratelli signori di Milano, e voleala tenere
-per se, promettendo di trattare benignamente
-grandi e popolani, e d’alleggiare i cittadini
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-dal disordinato giogo, che a petizione di que’ tiranni
-era stato costretto di tenere loro addosso
-contro a sua volontà; scusando se, che come
-sottoposto al duro comandamento avea fatte
-assai aspre e crudeli cose a que’ cittadini, facendole
-contro alla sua natura e all’animo suo
-per ubbidire a’ crudeli tiranni, a cui non avea
-potuto fare resistenza, ma da quinci innanzi intendea
-trattarli come fratelli, e ne daria loro
-un segnale, mettendo il governamento della cittadinanza
-nelle loro mani. I cittadini paurosi
-per l’usata tirannia, temendo che ’l parlare
-di messer Giovanni non fosse per tentarli della
-loro fedeltà, dimostrarono e rispuosono di
-concordia, ch’elli erano apparecchiati a mantenere
-a lui e a’ suoi signori la fede promessa.
-Messer Giovanni vedendo la ferma risposta de’ cittadini,
-e temendo il pericolo della brevità del
-tempo, con aspre parole cominciò a minacciare
-i cittadini, dicendo, che parlava aperto e non
-per tentarli, e che poteano bene comprendere,
-che in questo punto a lui convenia prendere
-o lasciare la signoria, ed egli per suo vantaggio,
-e per trarre loro del servaggio, volea fare con
-loro consentimento quello ch’avea loro proposto
-e ragionato: ma poichè vedea tanta follia nelle
-cieche menti di que’ cittadini, disse, che contro
-a loro e contro agli altri che non v’erano
-farebbe aspre e dure cose infino alla morte di
-catuno, e la città arderebbe e lascerebbe desolata.
-E questo dimostrava con tanto infocamento
-d’animo, che manifesto fu a tutti ch’e’ parlava
-da dovero e non per alcuna tentazione. Allora
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-presono tra loro consiglio, e dissono: Signor
-nostro, che aiuto vi possiamo noi fare, essendo
-senz’arme? messer Giovanni disse, che volea
-ch’eglino il chiamassono signore, e in quella
-notte farebbe a catuno rendere l’armi: ed eglino
-il feciono, e l’armi furono rendute in quella
-notte a chi le volle. La mattina messer Giovanni
-mandò per i conestabili de’ soldati da cavallo
-e da piè, e disse, che volea il saramento
-da loro a se come signore di Bologna, e chi
-fare nol volesse di presente si partisse di Bologna,
-e del contado e del suo distretto, a pena
-della testa; giurarono a lui le due parti, e gli altri
-si partirono, e di presente uscirono del paese:
-e tutti gli uficiali ch’egli avea rinchiusi
-rimutò de’ loro ufici, e misevi de’ nuovi che
-giurarono a lui, e quelli fece partire della città.
-Il nuovo castellano, ch’avea messo nella rocca della
-porta verso Modena, avendo messer Giovanni
-mandato per lui, non v’era voluto andare, ma
-per mattia n’avea mandato il figliuolo, il quale
-messer Giovanni ritenne: e in quella mattina
-con gran fretta mandò a tutti i castellani di
-fuori, che non si dovessono rimuovere, nè ricevere
-in loro castella messer Galeazzo de’ Pigli
-per lettere o per comandamento ch’e’ portasse
-da sua parte, e di ciò fu bene ubbidito. Il castellano
-della città sopraddetto, sentendo la ribellione
-di messer Giovanni, non volea rendergli
-la rocca. Messer Giovanni, dal venerdì mattina
-fino alla domenica sera, con molta sollecitudine
-intese a ordinare e a rifermare il reggimento
-della città e della guardia dentro: e in questo
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-tempo il marchese di Ferrara, cui egli avea
-richiesto d’aiuto, gli mandò dugentocinquanta
-cavalieri. Il lunedì mattina, non volendo il castellano
-milanese rendere la rocca della porta,
-messer Giovanni vi mandò gente d’arme per
-mostrare di volerla combattere, e per fare impiccare
-il figliuolo nel cospetto del padre; la battaglia
-fu ordinata, e le forche ritte, e ’l figliuolo
-menatovi a piè per impiccare. Il padre doloroso,
-vedendosi senza soccorso da non potere resistere,
-e ’l figliuolo per essere impiccato, rendè
-la tenuta, e fu libero egli e ’l figliuolo: e
-messer Giovanni rimase libero signore della città
-di Bologna, levatala dalla signoria de’ signori
-di Milano, per cui l’avea governata e retta in
-cruda tirannia infino a dì 20 del mese d’aprile
-1355 che se ne fece signore ed ebbe la detta
-rocca, e in Bologna prese tutti i Milanesi che
-v’erano e le loro mercatanzie, de’ quali trasse
-molti danari per riscatto delle persone e della
-mercatanzia. E nelle castella di fuori non ebbe
-podere d’entrare messer Galeazzo, salvo che in
-Luco, e ivi si ritenne, sentendo la ribellione
-di messer Giovanni, aspettando la volontà
-de’ suoi signori. Messer Giovanni mettendosi alla
-fortuna rimase signore; quegli che segue rifrenandola
-per senno, ovvero per mattia, ne
-perdè la vita, come appresso diviseremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap13-5">CAP. XIII.
-<span class="smaller"><i>Come il doge di Vinegia fu decapitato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Marino Faliere doge di Vinegia, uomo
-di gran virtù e senno, reggendo l’uficio di cotanta
-dignità, e senza sospetto e in grazia de’ suoi
-cittadini, avendo l’animo grande si contentava
-male, non parendogli potere fare a sua volontà
-com’avrebbe voluto, strignendolo la loro antica
-legge di non potere passare la deliberazione del
-consiglio a lui diputato per lo comune; e però
-avea preso sdegno contro a’ gentili uomini che
-più lo repugnavano presontuosamente. E intanto
-avvenne, che certi popolani furono da alquanti
-de’ grandi di parole e di fatti oltraggiati villanamente;
-e crescendo lo sdegno del doge per la disordinata
-baldanza de’ gentili uomini, prese sicurtà
-di scoprire agli oltraggiati popolani l’animo suo
-ch’avea contro la riverenza de’ gentili uomini,
-che tutti erano del consiglio; e di questo seguitò,
-che il doge concedette segretamente licenza
-a’ popolari ingiuriati che si procacciassono di
-confidenti amici, e d’arme e di gente acconcia
-al servigio, e una notte ordinata fossono su la
-piazza di san Marco, e sonassono le campane a
-stormo, e dessono voce che le galee de’ Genovesi fossono
-nel golfo; e per usanza in cotali novità i gentili
-uomini di consiglio soleano venire al palazzo al
-doge per provvedere e consigliare quello che fosse
-da fare, e in quella venuta i popolani armati li
-doveano uccidere, ovvero radunati in palagio metterli
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-alle spade; e questo fatto, doveano correre
-la città gridando, viva il popolo, e fare il doge
-signore, e annullare l’ordine del consiglio e de’ gentili
-uomini, e fare tutti gli uficiali popolari. Ed essendo
-con molta credenza la cosa condotta sino
-alla sera che la notte dovea seguire, il fatto come
-a Dio piacque per lo minore male, il doge in
-questa sera mandò per un suo confidente popolare
-amico, uomo di grande ricchezza, a cui rivelò il
-trattato, e come in quella notte si dovea fare il
-fatto: costui turbato nella mente, con savie parole
-gli biasimò l’impresa e impaurì il doge, e non
-ostante che la cosa fosse recata molto agli stremi
-del tempo, disse, che là dove piacesse al doge,
-che metterebbe subito consiglio che la cosa non
-procederebbe. Il doge invilito nell’animo al
-consiglio di questo suo amico, gli diè mattamente
-parola ch’egli ordinasse segretamente che il
-fatto si rimanesse; e acciocchè dato gli fosse fede,
-gli diè un suo segreto suggello. Questi andò di
-presente ai caporali a cui il doge il mandò ch’aveano
-accolta la loro compagnia, e disse loro da
-parte del doge, che si dovessono ritrarre dall’impresa,
-e mostrò loro il segno del suo suggello. A’
-popolari ch’erano apparecchiati parve essere traditi,
-e non ardirono di procedere più innanzi,
-sentendo la mutazione del doge. Uno pellicciere
-ch’era degl’invitati, sentendo che la cosa non
-procedea, per paura d’essere incolpato se n’andò
-a uno gentile uomo di consiglio, e manifestogli
-quello che sapea del fatto, che non sapea però tutto.
-Costui menò il pellicciere al doge, il quale, non
-sapendo che il doge sentisse di questo fatto, gli
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-narrò ciò che ne sapea, e nominogli i caporali. Il
-doge annullò molto il fatto, dicendo, che per
-alcuno sentimento che n’avea avuto avea fatto
-spiare, e trovato avea che la cosa era nulla. Il
-savio consigliere disse al doge, che volea che questa
-cosa sentisse il consiglio; e contradiandolo
-il doge, costui perseverò tanto in questo, che il
-savio doge divenuto per viltà fuori del senno promise
-farlo raunare; commettendo fallo capitale
-della sua testa, che lieve gli era ritenere costoro,
-e fare eseguire quello che ordinato era,
-o stringerli e giudicarli a suo volere segretamente.
-La mattina raunato il consiglio, e divolgata la
-novella, furono mandati a prendere i caporali, e
-venuti dinanzi al doge e al consiglio, il doge li
-chiamò traditori per dimostrarsi strano dal trattato,
-ma vennegli fallato, perocchè in faccia gli
-dissono, che ogni cosa che ordinata era s’era mossa
-da lui e proceduta dal suo consiglio. Il doge
-nol seppe negare. Il consiglio incontanente il fece
-guardare nel suo palagio per loro medesimi. In
-prima impesono quattro de’ caporali alle colonne
-del palagio del doge, e il dì seguente confiscarono
-tutti i beni del doge, ch’era grande ricco uomo,
-al comune, salvo che per grazia gli concedettono
-che di duemila fiorini potesse testare a sua
-volontà; e menatolo in sulla scala dov’egli avea
-fatto il saramento quando il misono nella signoria,
-gli feciono tagliare la testa, e vilissimamente
-il suo corpo messo in una barca fu mandato a seppellire
-a’ frati; e l’amico suo che sturbò il patricidio
-de’ grandi cittadini, e il rivolgimento dello
-stato di quella città, ebbe per merito condannagione
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-grande pecuniale, e perpetuo esilio, rilegato
-nell’isola di Creti.
-</p>
-
-<h3 id="cap14-5">CAP. XIV.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore tornò coronato a Siena.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’imperadore Carlo ricevuta la corona in Roma,
-come detto abbiamo, se ne tornò verso Siena,
-e soggiornato a Montalcino, e appresso venuto
-a Montepulciano; e in catuno luogo lasciati suoi
-vicari con alcuna gente, domenica a dì 19 d’aprile
-in sul vespero giunse alla città di Siena; e innanzi
-che entrasse nella città, fattoglisi incontro
-i cittadini con gran festa in sull’ora del vespero,
-in quest’abboccamento otto cittadini pomposi e
-avari per cessare la debita spesa alla cavalleria
-si feciono a lui fare cavalieri, e appresso entrato
-nella città glie n’accorreano molti senza ordine o
-provvisione, ed egli avvisato del vano e lieve movimento
-di quella gente, commise al patriarca che
-in suo nome gli facesse. Il patriarca non potea
-resistere a farne tanti quanti nella via glie n’erano
-appresentati: e vedendone così gran mercato,
-assai se ne feciono che innanzi a quell’ora
-niuno pensiere aveano avuto a farsi cavalieri, nè
-provveduto quello che richiede a volere ricevere
-la cavalleria, ma con lieve movimento si faceano
-portare sopra le braccia a coloro ch’erano intorno
-al patriarca, e quand’erano a lui nella via il
-levavano alto, e traevangli il cappuccio usato,
-e ricevuta la guanciata usata in segno di cavalleria
-gli mettevano un cappuccio accattato col
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-fregio dell’oro, e traevanlo della pressa, ed era
-fatto cavaliere; e per questo modo se ne feciono
-trentaquattro in quella sera tra grandi e popolari.
-E condotto l’imperadore al suo ostiere, fu
-fatto sera, e catuno si tornò a casa; e’ cavalieri
-novelli senza niuno apparecchiamento o spesa
-con la loro famiglia celebrarono quella notte la
-festa della loro cavalleria. Chi considera con la
-mente non sottoposta alla vile avarizia l’avvenimento
-d’un novello imperadore in cotanto famosa
-città, e tanti nobili e ricchi cittadini promossi
-all’onore della cavalleria nella patria loro,
-uomini di natura pomposi, non avere fatto alcuna
-solennità in comune o in diviso a onore della
-cavalleria, può giudicare quella gente poco essere
-degna del ricevuto onore.
-</p>
-
-<h3 id="cap15-5">CAP. XV.
-<span class="smaller"><i>Come il legato parlamentò a Siena
-con l’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Gilio cardinale di Spagna, a cui il papa
-e’ cardinali aveano commesso il procaccio e
-la legazione di riacquistare la Marca, e ’l Ducato,
-e la Romagna occupata per messer Malatesta
-da Rimini e per gli altri tiranni Romagnuoli,
-avendo molto premuto e dirotto messer Malatesta,
-l’avea condotto in parte, ch’e’ tentava di volere
-accordarsi col cardinale per le mani dell’imperadore,
-e avea detto di venire a Siena per
-questa cagione all’imperadore; e ’l legato per
-questo fatto, e per vicitare l’imperadore, si mosse
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-della Marca, e a Siena giunse a dì primo di
-Maggio; e ivi, con l’altro cardinale d’Ostia
-ch’avea coronato l’imperadore, furono a parlamentare
-con lui de’ fatti d’Italia ch’apparteneano
-a santa Chiesa, attendendo messer Malatesta
-per pigliare accordo con lui: ma il tiranno
-mutato consiglio, non vi volle andare. In
-questo attendere, l’imperadore trattò con loro
-de’ fatti di Perugia, che a lui aveano proposto
-ch’erano immediate sotto la giurisdizione di santa
-Chiesa, come del ducato di Spuleto, per liberarsi
-da lui, e al legato non rispondeano in alcuna
-ubbidienza per nome di santa Chiesa; e per
-questa cagione deliberarono tra loro, che l’imperadore
-senza offendere santa Chiesa potea trattare
-con loro, come con l’altre città d’Italia, e
-così si pensava l’imperadore di fare, ma sopravvenendogli
-altre novitadi, come noi diviseremo
-appresso, feciono dimenticare i fatti di Perugia,
-e partire il legato in animo forte adirato contro
-a messer Malatesta, da cui si tenea deluso a questa
-volta.
-</p>
-
-<h3 id="cap16-5">CAP. XVI.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore ebbe la seconda paga
-da’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo l’imperadore in Siena, obbligato a
-molti baroni e cavalieri da cui avea ricevuto servigio,
-mostrandosi povero di moneta, li nutricava
-di promesse, e rimandavali nella Magna
-mal contenti: e volendogli i Fiorentini fare la
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-seconda paga, mandò a dire a’ signori di Firenze,
-che glie la mandassimo segretamente. I Fiorentini
-innanzi al termine promesso, all’uscita
-d’aprile gli mandarone contanti trentamila fiorini:
-e fattogli in segreto sentire come i danari
-erano venuti, di presente fece uscire dall’ostiere
-tutta sua famiglia, e rinchiusosi in una camera,
-in sua presenza li fece contare al patriarca;
-e trovato che uno di sua famiglia stava a vedere
-al buco dell’uscio, il punì gravemente, temendo
-ch’e’ suoi baroni nol sentissono, perocchè
-più amava di tenersi i danari in borsa, che
-l’amore de’ suoi baroni o il loro contentamento.
-</p>
-
-<h3 id="cap17-5">CAP. XVII.
-<span class="smaller"><i>Come il nuovo tiranno di Bologna mandò
-a Firenze ambasciadori a richiedere
-i Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Giovanni da Oleggio avendo novellamente
-tolto e rubato la città di Bologna a’ suoi
-signori de’ Visconti, e trovandosi povero d’aiuto
-a sostenere il fascio di quella città e de’ potenti
-avversari, incontanente mandò lettere
-per suoi messaggi, e appresso solenni ambasciadori
-al comune di Firenze, offerendo di volere
-essere singulare amico de’ Fiorentini, e di governare
-e reggere quella città alla volontà e piacere
-del comune di Firenze. E i detti ambasciadori
-con molte suasioni e larghe promesse da parte di
-messer Giovanni pregarono, ch’almeno in privato,
-se non volesse in palese, il nostro comune
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-il dovesse consigliare, acciocchè potesse quella
-città mantenere in amore e in fratellanza, come
-anticamente era costumata d’essere co’ Fiorentini,
-e difenderla da’ tiranni di Milano, originali
-nemici del comune di Firenze. I Fiorentini
-conobbono chiaramente, ch’essendo Bologna
-in loro amistà e lega, sarebbe a modo che forte
-muro alla difesa del nostro comune contro a ogni
-potenza tirannesca di Lombardia; ma per osservare
-lealmente la promessa pace a’ Visconti signori
-di Milano, per niuno vantaggio che conoscessono,
-o per promesse che fatte fossono
-loro, poterono essere recati a fare in segreto o
-in palese cosa, che sospetto potesse essere alla
-pace promessa a’ Visconti. E avendo gli ambasciadori
-trovata ferma costanza nel comune a
-mantenere sua fede, si tornarono mal contenti
-al loro signore a Bologna a dì 4 mese di
-maggio del detto anno; e questo fu chiaramente
-manifesto a’ signori di Milano, che molto l’ebbono
-a bene, e offersonsi largamente al comune
-di Firenze.
-</p>
-
-<h3 id="cap18-5">CAP. XVIII.
-<span class="smaller"><i>Come fu sconfitto, e preso messer Galeotto
-da Rimini da’ cavalieri del legato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo poco addietro narrato come messer Malatesta
-da Rimini avea cambiato l’animo dell’accordo
-con messer lo cardinale legato, seguitò, che
-la sua gente d’arme capitanata e guidata per messer
-Galeotto suo fratello, perocchè in pochi giorni
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-due volte avea rotti i cavalieri della Chiesa, avviliva
-tanto quella gente che poco se ne curava. E
-però avendo per assedio e per forza preso un castello
-di Recanati, con più di seicento barbute e gran
-popolo s’era posto ad assedio a un altro, e nondimeno
-per buona provvidenza di guerra avea fortificato
-il campo con un muro per modo, ch’entrare nè
-uscire per lo piano non si potea se non per una
-sola entrata; e per questo stavano baldanzosi
-all’assedio con minore guardia, non temendo per
-gente che il legato avesse, per la qual cosa prima
-ebbono addosso la cavalleria del legato, che di
-loro si fossono provveduti. Messer Ridolfo da Camerino
-capitano della gente della Chiesa, con più
-d’ottocento cavalieri e con assai buoni masnadieri,
-avendogli condotti al campo de’ nemici, gli fece
-assalire agramente, e per due volte tolse loro
-l’entrata del campo, e quelli di messer Galeotto
-combattendo virtuosamente catuna volta lo racquistarono
-per forza d’arme. Infine avvedendosi
-il capitano della Chiesa che un piccolo poggetto
-si guardava per lo popolo d’Ancona ch’era sopra
-il campo, mosse i cavalieri e’ balestrieri contro
-a loro, i quali francamente gli assalirono: e non
-potendo avere soccorso dal campo, ch’erano combattuti
-dall’altra parte, per forza furono rotti:
-e di quel poggetto senza riparo di muro cacciando
-e uccidendo i nemici per forza entrarono nel
-campo, e l’altra parte di loro presono l’entrata
-del campo e misonsi dentro. Messer Galeazzo si
-ristrinse co’ suoi combattendo co’ nemici, dinanzi
-e di dietro assaliti, molto vigorosamente a modo
-di valenti cavalieri, e per più riprese si percosse
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-tra’ nemici, e due volte preso fu riscosso dà suoi
-cavalieri. Infine vincendo quelli della Chiesa, a
-messer Galeotto fu morto il destriere sotto, e ricoverato
-un piccolo cavallo, volendosi salvare, fu
-fedito di più fedite; e ritenuto prigione, e tutta
-sua gente rotta, presa e sbarattata e morta; e liberato
-il castello, messer Ridolfo detto con piena
-vittoria si tornò al legato: e questa fu la cagione
-perchè poi messer Malatesta non potè fare retta
-contro al legato, come appresso si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap19-5">CAP. XIX.
-<span class="smaller"><i>Come la fama della liberazione di Lucca
-si sparse.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne in questi dì, all’entrante del mese di
-maggio del detto anno, essendo l’imperadore libero
-signore di Pisa, di Lucca, di Siena, di Sangimignano
-e di Volterra, e dell’altre terre loro sottoposte,
-e in amore e pace co’ Fiorentini e’ Perugini,
-Pistoiesi e Aretini, senza alcuno avversario in
-Italia, onde che la cosa muovesse, una fama corse
-per tutta Italia ch’egli avea fatto accordo con gli
-usciti di Lucca, i quali si dicea che gli doveano
-far dare in Francia centoventimigliaia di fiorini
-d’oro quand’egli liberasse la città di Lucca
-della signoria de’ Pisani; e questo si dicea ch’avea
-promesso di fare finito il termine ch’e’ Pisani aveano
-promesso di liberarla; e doveala lasciare in
-libertà al reggimento del popolo e rimettervi tutti
-gli usciti, la quale suggezione de’ Pisani dovea
-seguire il secondo anno. Il divolgamento di
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-questa fama non si trovò ch’avesse fondamento da
-trattato fatto dall’imperadore, o se fatto fu, altrove
-che in Toscana e per altri che per la persona
-dell’imperadore ebbe movimento. Trovossi
-bene, che grandi ricchi mercatanti usciti di Lucca
-intendeano a fare colta di moneta. Ma come
-che la cosa si fosse o si spirasse, a tutti parve
-che così dovesse essere, e in segno di ciò furono
-revoluzioni e gravi novità ch’appresso ne seguitarono,
-come leggendo nostro trattato si potrà
-trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap20-5">CAP. XX.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore diede Siena al patriarca.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nel soggiorno che l’imperadore facea a Siena
-trattò di volere che il patriarca suo fratello fosse
-libero signore di quella città, e’ Sanesi avendosi
-condotti nel reggimento non però fermo dell’ignorante
-popolo vacillante nello stato, per volere accattare
-la benivolenza dell’imperadore consentirono
-d’avere il patriarca per loro signore, e di
-volontà dell’imperadore di nuovo feciono la suggezione
-e ’l saramento al patriarca, e a lui furono
-assegnate tutte le terre e castella della loro
-giurisdizione, nelle quali confermò suoi castellani
-e vicari, cosa strana all’antico governamento
-della loro libertà, e di matto consentimento:
-e l’imperadore per la sua autorità e pe’ suoi
-privilegi gli confermò la libera signoria di quella
-terra, e del suo contado e distretto. Il patriarca
-volendo confermare la sua signoria s’accostò
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-col minuto popolo, e di quelli fece uficiali a’ reggimenti
-comuni dentro nella città, e per lo loro
-consiglio si reggea, essendosi accorto che per
-lo favore di quella minuta gente era venuto alla
-signoria, e per questo avea schiusi gli altri maggiori
-popolani, e abbattuto in tutto la setta
-dell’ordine de’ nove per modo, che non ardivano
-in palese a comparire tra gli altri cittadini,
-</p>
-
-<h3 id="cap21-5">CAP. XXI.
-<span class="smaller"><i>Come i capi de’ ghibellini d’Italia si dolsono
-all’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi medesimi dì, all’entrante di maggio,
-i caporali di parte ghibellina ch’erano venuti
-alla coronazione dell’imperadore, aspettandone
-la loro esaltazione e l’abbassamento di parte
-guelfa in Toscana, e vedendo per opera il contradio,
-si raunarono insieme in una chiesa di
-Siena, e ivi ricordarono tra loro tutte le persecuzioni
-ricevute da’ guelfi per cagione dell’imperio,
-e le infamazioni de’ comuni di Toscana, e
-spezialmente del comune di Firenze, per le resistenze
-fatte agl’imperadori; e avendo raccolta
-loro materia da dire, feciono quelle cose pronunziare
-nel cospetto dell’imperadore al prefetto
-di Vico; il quale saviamente in prima raccontò
-la fede, l’amore, i servigi che i ghibellini d’Italia
-aveano portato e fatto per i tempi passati di
-quanto avere si potea memoria agl’imperadori
-alamanni, e in singularità all’imperadore Arrigo
-suo avolo, e come i guelfi d’Italia aveano
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-sempre fatto grave resistenza all’imperio, e tra
-gli altri comuni più singolarmente e con maggior
-forza il comune di Firenze; e come per operazione
-di quel comune l’imperadore Arrigo suo
-avolo era morto, e le imperiali forze recate
-al niente; e’ ghibellini sentendo l’avvenimento
-della sua signoria tutti erano venuti in grande
-speranza, aspettando per lui essere esaltati, e
-vedere la struzione de’ guelfi, e singolarmente
-del comune di Firenze sempre ribello all’imperadore;
-e vedendo che per danari egli s’era acconcio
-con quel comune, e a’ suoi fedeli ghibellini
-per sua venuta non era seguito vendetta delle
-loro oppressioni e de’ danni ricevuti, e le loro
-terre e castella perdute non erano racquistate,
-nè per suo procaccio loro restituite, essendo perdute
-per volere mantenere la parte imperiale, si
-maravigliavano forte, e molto più conoscendo
-che il tempo era venuto che col loro aiuto, e
-delle città e castella di Toscana tornate all’imperiale
-suggezione, e colla sua grande potenza, e’ potea
-essere signore della città e de’ danari de’ Fiorentini,
-e per un poco di danari avea fatto accordo
-con quel comune in poco onore della maestà
-imperiale. L’imperadore, udite le dette cose,
-senza ristrignersi ad altro consiglio o fare risponditore
-alcuno altro, come signore facondioso
-d’intendimento e d’eloquenza, coll’animo quieto
-parlando soavemente, disse: Noi sappiamo bene
-l’amore e la fede ch’avete portata all’imperio,
-e’ servigi fatti al nostro avolo per voi non possiamo
-dimenticare, perocchè scritti sono ne’ suoi annali.
-Appo i nostri registri troviamo noi, che i mali
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-consigli de’ ghibellini d’Italia, avendo più rispetto
-al proprio esaltamento, e a fare le loro proprie
-vendette, che all’onore e grandezza dell’imperadore
-Arrigo mio avolo, il feciono male capitare,
-e non il comune di Firenze, nè alcuna operazione
-di quel comune; e però non intendo in
-ciò seguitare vostro consiglio: e frustrati della
-loro corrotta intenzione, mal contenti e poco
-avanzati si tornarono in loro paese.
-</p>
-
-<h3 id="cap22-5">CAP. XXII.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore si partì da Siena
-e andò a Samminiato.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’imperadore raccomandata la signoria e ’l reggimento
-della città di Siena al patriarca, a dì 5
-di maggio del detto anno si partì della città, e
-vennesene da Staggia e da Poggibonizzi senza entrare
-nella terra; e fatta ivi di fuori sua lieve
-desinea, si mise a cammino, e la sera giunse a
-Samminiato del Tedesco, e da’ Samminiatesi fu
-ricevuto a onore come loro signore. E com’egli
-prese la via di là per andare a Pisa, molti de’ suoi
-baroni con grande comitiva de’ loro cavalieri si
-partirono da lui, e vennonsene a Firenze per
-seguire loro cammino tornandosi in Alamagna.
-In Firenze furono ricevuti cortesemente, rassegnandosi
-i caporali per nome, e dando il numero
-della loro gente al conservadore: e questo valico
-fu più giorni, avendo il dì e la notte da seicento
-in ottocento o più cavalieri tedeschi ad albergare
-in Firenze, e però niuno sospetto o movimento
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-si fece o si prese nella città, salvo che
-un pennone per gonfalone guardava la notte senza
-andare la gente attorno.
-</p>
-
-<h3 id="cap23-5">CAP. XXIII.
-<span class="smaller"><i>Come il cardinale d’Ostia fu ricevuto
-a Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il cardinale d’Ostia ch’avea coronato l’imperadore,
-avendo volontà di venire a Firenze per
-vedere la città e per procacciare alcuna cosa dal
-comune, venne a Firenze a dì 6 di maggio del
-detto anno, ricevuto da’ cittadini con grande
-onore, andandogli incontro la generale processione,
-e messo sotto un ricco palio d’oro e di seta,
-addestrato da’ cavalieri di Firenze e da’ maggiori
-popolari, sonando tutte le campane del comune
-e delle chiese a Dio laudiamo mentre ch’e’ penò
-ad essere albergato, con grande riverenza
-per onore di santa Chiesa fu collocato nelle case
-degli Alberti; e fattogli per lo comune ricchi
-presenti, domandatosi per lui a’ priori cose indiscretamente
-che non gli poteano fare, delle
-quali iscusatisi onestamente, non contento da
-loro per la sua ambizione, a dì 8 di maggio del
-detto anno, mal contento del nostro comune per
-suo disonesto sdegno se ne ritornò a Pisa, dimenticato
-l’onore ricevuto per lo corrotto appetito
-della sconcia domanda.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap24-5">CAP. XXIV.
-<span class="smaller"><i>Come la gente del legato presono quattro
-castella di Malatesta.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dopo la sconfitta e la presura di messer Galeotto
-narrata poco addietro, messer Malatesta
-andò a Pisa all’imperadore, perchè l’acconciasse
-in pace col legato e con la Chiesa; nondimeno
-avea alle frontiere della gente e delle terre
-della Chiesa tutta la forza della sua gente d’arme
-a cavallo e a piè ragunata quivi, avvisando
-che là si facesse la guerra, e così dimostrava
-di volere fare il capitano della gente della Chiesa;
-ma come uomo avvisato ne’ fatti della guerra,
-avendo condotto certo trattato per le mani del
-conticino da Ghiaggiuolo il quale era de’ Malatesti,
-ma nimico di messer Malatesta e de’ suoi
-per la morte di suo padre, questi avendo ordinato
-il suo trattato, fece col capitano della Chiesa
-che subito mandò della Marca in Romagna
-cinquecento cavalieri e altrettanti e più masnadieri,
-i quali furono prima in su le porte di Rimini
-ch’e’ terrazzani sprovveduti senza avere
-gente d’arme alla guardia se n’avvedessono, e
-funne la città in gran pericolo; e per questo subito
-avvenimento, non essendo gente nella terra
-da potere soccorrere di fuori nè riparare al trattato
-del conticino, presono e rubellarono a’ Malatesti
-il castello di sant’Arcagnolo, e ’l Verrucchio,
-e due altre castella intorno e di presso alla
-città di Rimini, le quali fornirono di gente da
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-cavallo e da piè che faceano guerra a Rimini e
-nel paese, ed erano come bastite che teneano assediata
-la terra. Di questa cosa si conturbò tutta
-la Romagna, e fu cagione di recare i Malatesti
-più tosto a rendersi alla volontà del legato, come
-al suo tempo appresso racconteremo; e questo
-fu del mese di maggio del detto anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap25-5">CAP. XXV.
-<span class="smaller"><i>Come morì il duca di Pollonia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il duca Stefano di Pollonia cugino dell’imperadore,
-giovane virtudioso e di grande autorità,
-avendo vaghezza di venire a Firenze per
-suo diporto, e lasciato l’imperadore a Pisa, venne
-con sua compagnia di giovani baroni a Firenze,
-ove fu ricevuto a grande onore; ed essendo
-il gran siniscalco del Regno messer Niccola
-Acciaiuoli a Firenze, gli fece compagnia festeggiando
-per la città. E avendo ricevuto onore di
-corredi da’ signori e dal gran siniscalco, e compiaciutosi
-molto co’ cavalieri e gentili uomini, e
-nella cittadinanza de’ Fiorentini e a più feste, tornato
-a Pisa all’imperadore si lodò molto de’ Fiorentini,
-e magnificò il nome della nostra città in
-molte cose, e dopo pochi dì cadde malato in Pisa,
-e d’una continua febbre in sette dì passò di questa
-vita. Dissesi ch’avea mangiato in Pisa d’un’anguilla,
-e che immantinente ammalò, ma la continua
-più ch’altro il trasse a fine; della cui morte
-fu gran danno, perocch’era barone di grande
-aspetto. Della morte di costui molto si dolse l’imperadore,
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-ma l’imperadrice vedendolo morire
-così brevemente impaurì molto, e stimolava l’imperadore
-di ritornare nella Magna, e molti baroni
-e cavalieri per la morte del duca Stefano abbandonarono
-l’imperadore e tornaronsi in Alamagna,
-e lasciaronlo con poca gente. E ’l sire
-della Lippa, uno dei maggiori signori di Boemia,
-essendo malato a Pisa si fece conducere a Firenze,
-e giunto nella città, e venuto a notizia de’ signori,
-di presente il feciono albergare nel vescovado con
-tutta sua famiglia, che non v’era il vescovo, e fornironlo
-di buone letta e di tutto ciò che a bene
-stare gli bisognava, e ordinarongli i migliori medici
-della città alla provvisione e consiglio della
-sua sanità, e continovo sera e mattina gli faceano
-apparecchiare delle loro dilicate vivande e de’ loro
-fini vini. E tanta fede aggiunta col suo piacere
-ebbe il nostro comune, che di lunga malattia e
-quasi incurabile, non pensando potere campare
-altrove, come fu piacere di Dio prese perfetta sanità
-nella città di Firenze, e guarito, fu onorato
-di doni e d’altre cose dal nostro comune. Per le
-quali cose fatto singulare amico del nostro comune
-e de’ suoi cittadini, soggiornò nella città a suo
-diletto infino alla..., tanto che fu tornato nella
-sua fortezza: poi ebbe dal comune i danari
-che i Fiorentini gli aveano promessi per l’imperadore,
-come innanzi racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap26-5">CAP. XXVI.
-<span class="smaller"><i>Come fu coronato poeta maestro Zanobi
-da Strada.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era in questi dì in Pisa il maestro Zanobi, nato
-del maestro Giovanni da Strada del contado di Firenze;
-il padre insegnò grammatica a’ giovani di
-Firenze e a questo suo figliuolo, il quale fu di tanto
-virtuoso ingegno, che morto il padre, e rimaso egli
-in età di vent’anni, ritenne in suo capo la scuola
-del padre; e venne in tanta fecondità di scienza,
-che senza udire altro dottore ammendò e passò
-in grammatica la scienza del padre, e alla sua
-aggiunse chiara e speculativa rettorica; e dilettandosi
-negli autori ne venne tanto copioso, che
-in breve tempo d’anni esercitando la sua nobile
-industria divenne tanto eccellente in poesia, che
-mosso l’imperadore alla gran fama della sua virtù,
-e da messer Niccola Acciaiuoli di Firenze
-gran siniscalco del reame di Cicilia, alla cui
-compagnia il detto maestro Zanobi era venuto,
-vedute e intese delle sue magnifiche opere fatte
-come grande poeta, volle che alla virtù dell’uomo
-s’aggiugnesse l’onore della dignità, e pubblicandolo
-in chiaro poeta in pubblico parlamento,
-con solenne festa il coronò dell’ottato alloro;
-e fu poeta coronato e approvato dall’imperiale
-maestà del mese di maggio del detto anno nella
-città di Pisa; e così coronato, accompagnato
-da tutti i baroni dell’imperadore e da molti altri
-della città di Pisa, con grand’onore celebrò
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-la festa della sua coronazione. E nota, che in questi
-tempi erano due eccellenti poeti coronati cittadini
-di Firenze, amendue di fresca età; e l’altro
-ch’avea nome messer Francesco di ser Petraccolo,
-onorevole e antico cittadino di Firenze, il cui
-nome e la cui fama coronato nella città di Roma
-era di maggiore eccellenza, e maggiori e più
-alte materie compose, e più, perocch’e’ vivette
-più lungamente, e cominciò prima; ma le loro
-cose nella loro vita a pochi erano note, e quanto
-ch’elle fossono dilettevoli a udire, le virtù teologhe
-a’ nostri dì le fanno riputare a vili nel cospetto
-de’ savi.
-</p>
-
-<h3 id="cap27-5">CAP. XXVII.
-<span class="smaller"><i>Come fu morto messer Francesco Castracani
-da’ figliuoli di Castruccio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sentendo i Pisani che messer Francesco Castracani
-di Lucca facea venire gente delle sue
-terre di Garfagnana in favore della setta de’ raspanti
-di Pisa per muovere novità nella città, il
-feciono assapere all’imperadore. L’imperadore gli
-mandò comandando che di presente si dovesse
-partire della città di Pisa. E sostenuti più comandamenti
-senza ubbidire, sentendo che ’l maliscalco
-colle masnade s’armavano contro a lui, si
-partì tenendo la via verso Lucca; e partito lui,
-fu comandato il simile a’ figliuoli di Castruccio
-Castracani, i quali dolendosi di quello ch’avvenne
-a loro per messer Francesco, si partirono
-cavalcando per quella medesima via, e la sera
-si trovarono ad albergo insieme, e ivi mostrandosi
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-di buona voglia albergarono insieme, e dormirono
-in uno letto. La mattina seguendo loro
-viaggio vennono a uno maniero, il quale Castruccio
-essendo signore di Lucca avea fatto edificare
-e acconciare a suo diletto molto nobilemente,
-e di pochi dì innanzi l’imperadore l’avea
-restituito a’ figliuoli di Castruccio; e trovandovisi
-presso, pregarono messer Francesco che con loro
-insieme andasse a vicitare il luogo, e risposto di
-farlo volentieri, uscirono di strada, e andarono al
-maniero, e giunti là, i famigli si dierono attorno
-per i giardini a loro diletto. Messer Arrigo e messer
-Valeriano di Castruccio rimasono con messer
-Francesco, e col figliuolo e con un suo genero,
-ed entrarono ne’ palagi per vedere l’edificio, il
-quale era bello, ma molto guasto, perchè diciassette
-anni era stato disabitato; e sedendo costoro in
-sulla sala del palagio, messer Arrigo s’accostò al
-fratello, e dissegli: Ora abbiamo tempo; e andando
-messer Francesco guardando l’edificio, messer Arrigo,
-essendogli poco addietro, di subito trasse la
-spada, e non avvedendosene messer Francesco, gli
-diede nella gamba un colpo grave e pericoloso.
-Messer Francesco sentendosi fedito, volendosi rivolgere,
-chiamando traditore messer Arrigo, non
-potendosi sostenere cadde, e messere Arrigo gli
-diè sù la testa un altro colpo della spada che
-non lo lasciò rilevare: e morto messer Francesco,
-i due fratelli corsono addosso al genero, e
-ivi senza arresto l’uccisono, e ’l figliuolo di messer
-Francesco lasciarono per morto; e rimontati
-a cavallo seguirono loro viaggio, e tornaronsi in
-Lombardia; e questo fu a dì 18 di maggio del
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-detto anno: cosa detestabile per lo grande tradimento
-mosso da invidia; ma per divino giudicio
-spesso avviene che le tirannie prendono termine
-e fine per simiglianti modi.
-</p>
-
-<h3 id="cap28-5">CAP. XXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini mandarono tre cittadini
-all’imperadore a sua richiesta.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’imperadore trovando l’animo de’ Pisani
-male contento per la voce corsa, come detto è,
-ch’egli trattava di liberare Lucca, e avvedendosi
-delle novità che cominciavano ad apparire in Pisa
-e in Siena, cominciò a sospettare, e avendo fidanza
-nel comune di Firenze, il richiese che gli
-mandasse tre confidenti suoi cittadini per averli
-al suo consiglio. Il comune di presente gliel
-mandò, e da lui furono ricevuti graziosamente.
-Ma poco si potè intendere o consigliare con loro,
-tante sfrenate novità occorsono l’una appresso
-l’altra, che voleano più operazione subita che
-consiglio, come seguendo appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap29-5">CAP. XXIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi ebbono novità.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il popolo minuto di Siena già avea cominciato
-a sperare nella signoria, e per l’appetito di quella
-dall’una parte, e per paura e gelosia dall’altra
-non potea acquetare; e già impaziente del loro signore,
-a cui di tanta concordia s’erano sottoposti,
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-a dì 18 di maggio del detto anno levarono la città
-a romore, e presono l’arme, e serrarono le porte
-della terra. Il patriarca maravigliandosi di
-questo subito movimento, senza muoversi ad altra
-novità domandò quello che ’l popolo volea: e
-risposto gli fu, che rivoleano le catene usate nella
-città a ogni canto delle vie, ch’erano state levate
-all’avvenimento dell’imperadore. Il patriarca
-l’acconsentì, e fecele rendere loro. E appresso
-domandarono di volere dodici uficiali sopra il
-governamento del comune di due in due mesi
-al modo che soleano essere i nove, e che da loro
-parte andasse il bando: e domandarono di volere
-avere un gonfalone del popolo, e che la misura
-del loro staio si crescesse. Il patriarca vedendosi
-male apparecchiato a potere resistere al popolo
-commosso e armato, ogni cosa concedette alla loro
-volontà. I loro grandi in questo fatto non si
-armarono, e non si dimostrarono in favore del minuto
-popolo nè in contrario; e se questo movimento
-ebbe ordine da loro non si scoperse: ma ’l popolo
-osò di dire che questo movimento avea fatto
-temendo che l’ordine dell’uficio de’ nove non si
-rifacesse; che sentivano che per forza di danari si
-cercava di rifare. E stato il popolo tre dì armato,
-e impetrata la loro intenzione si racquetò: e poste
-giù l’armi, rimase arrogante e superbo per la
-vittoria del loro primo cominciamento. E di presente
-ebbono fatto i dodici di loro minuti mestieri
-e messili nell’uficio, e fatto un gonfalone e datolo
-a uno loro vile artefice, con ordine che tutti
-dovessono accompagnare e seguire il loro gonfalone.
-E questo fu il principio del loro reggimento,
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-del quale poi seguirono maggiori cose come seguendo
-il tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap30-5">CAP. XXX.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani per gelosia furono in arme.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo venuta la novella della morte di messer
-Francesco Castracani a Pisa, la setta de’ raspanti
-cui e’ favoreggiava si cominciarono a dolere fortemente,
-e dire che questa era stata operazione
-della parte de’ Gambacorti, ma ciò non era vero;
-nondimeno l’imperadore se ne fece grande maraviglia,
-e tutta la città ne prese conturbazione, e
-crebbene l’izza delle loro sette. E stando la città
-in questo bollimento, a dì 20 del detto mese
-di maggio improvviso s’apprese fuoco nel palagio
-del comune ove abitava l’imperadore, e senza
-potervi mettere rimedio arse tutta la camera
-dell’arme del comune ch’era in quel palagio,
-ove arsono tutte le buone belestra, tende, e trabacche,
-e padiglioni, e l’altre armadure che v’erano,
-che niuna ne potè campare. E per questa cagione
-convenne che l’imperadore andasse ad
-abitare al duomo, e ’l popolo tutto sotto l’arme
-tra per l’una cagione e per l’altra stava in gelosia
-e in sospetto, e per questo modo stette armato
-il dì e la notte. La mattina vegnente rassicurata
-la gente lasciarono l’arme quetamente,
-e catuno intese a’ suoi mestieri. E in quella mattina
-ebbe l’imperadore novelle della novità di
-Siena, che gli dierono assai malinconia e pensiero,
-e più perchè si trovava fortuneggiare in Pisa, e
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-mal fornito di gente d’arme da potere provvedere
-e riparare alle fortune che si vedea apparecchiare.
-Allora cominciò a potere conoscere
-che l’avarizia era nimica d’ogni buona provvisione.
-</p>
-
-<h3 id="cap31-5">CAP. XXXI.
-<span class="smaller"><i>Ancora gran novità di Pisa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Quello che seguita è grande assalto d’avversa
-fortuna: e per esprimere meglio la verità del
-fatto, ci conviene alquanto ritornare a dietro la
-nostra materia avvolta in diversi e vari intendimenti,
-i quali per lungo spazio di tempo cercammo
-discretamente, per lasciare di tanto inopinato
-caso la verità del fatto nel nostro trattato. Egli
-è manifesto che i Gambacorti di Pisa aveano lungamente
-in grande prosperità governata e retta
-la città di Pisa, e quella magnificata con pace in
-grandi ricchezze de’ suoi cittadini. L’invidia
-delle loro buone operazioni avea creato una setta
-contro a loro chiamati i Raspanti, e la loro
-si chiamava de’ Bergolini. I Gambacorti furono
-coloro che ricevettono in pace l’imperadore, e
-che gli diedono la signoria di Pisa, benchè ciò
-facessono secondo la volontà del popolo. A costoro
-promise l’imperadore di mantenere e accrescere
-nella città di Pisa il governamento del comune
-e il loro buono stato, e ne’ cominciamenti
-appo l’imperadore erano i maggiori, e molto
-fedelmente si portavano al servigio dell’imperio.
-I raspanti, uomini astuti e vegghianti, per abbassare
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-i Gambacorti aveano più volte messo novità
-e romori nella terra, e’ Gambacorti con loro seguito,
-per riparare con dolcezza alla loro malizia,
-aveano acconsentito di raccomunarsi insieme
-nella cittadinanza e negli ufici, e fatta pace con
-loro, e acconsentito all’imperadore la derogazione
-de’ patti promessi, stretti dalla necessità più che
-dalla ferma fede dell’imperadore il feciono. È
-vero ch’e’ Gambacorti con la loro parte, e i raspanti
-e tutti i cittadini di Pisa si doleano d’uno
-modo della voce corsa che l’imperadore avesse
-l’animo di liberare Lucca, e questo parlavano
-pubblicamente. L’imperadore dicea di non liberarla,
-e nondimeno avea presa la guardia del castello
-dell’Agosta con la sua gente e trattine i Pisani,
-e a’ Pisani parea ch’egli attendesse il termine
-che compieva la sommissione di quella città, che
-venia il giugno seguente, e nel vero si sapea
-ch’e’ Lucchesi accoglievano moneta per la detta
-speranza: e trovammo nel vero che tutti i buoni
-cittadini di Pisa di catuna setta s’erano consigliati
-insieme per riparare che Lucca non si liberasse
-d’uno animo e d’una volontà, e di questo s’era
-fatto capo il Paffetta de’ conti di Montescudaio; e
-quelli della Rocca caporali della setta de’ raspanti,
-e a questo comune consiglio acconsentirono i
-Gambacorti; delle quali cose seguitò la loro morte,
-come appresso diviseremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap32-5">CAP. XXXII.
-<span class="smaller"><i>Come furono in Pisa presi i Gambacorti.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dopo la novità dell’arsione sopraddetta e della
-morte di messer Francesco Castracane, essendo il
-popolo insollito, e malcontento e sospettoso de’ fatti
-di Lucca, sopravvenne, che le some degli arnesi
-e dell’armadure de’ loro cittadini ch’erano stati
-alla guardia dell’Agosta in Lucca tornavano,
-avendo rassegnata la guardia di quella alla gente
-dell’imperadore. I Pisani della setta de’ raspanti,
-per le cui contrade le some passavano, facendosene
-capo il Paffetta, cominciarono a levare il
-romore contro all’imperadore, e ogni uomo s’andò
-ad armare; la gente dell’imperadore veggendo
-questa novità s’armarono, e montarono a cavallo
-in diverse contrade com’erano albergati, e
-tutti traevano al duomo dov’era il loro signore.
-I cittadini gli lanciavano, e assalivano, e uccidevano
-per le vie come fossono loro nemici, e in
-questo primo romore in più contrade furono
-morti più di centocinquanta cavalieri tedeschi
-di quelli dell’imperadore. L’imperadore vedendosi
-a questo pericolo, e mal fornito a fare resistenza
-al furore del commosso popolo, s’era
-armato e diliberato di volersi partire con la sua
-gente ch’avea raccolta al duomo. De’ Gambacorti,
-ciò era Franceschino e Lotto, quand’era questo
-romore si trovarono in casa l’imperadore con
-certi altri cittadini senz’arme; e Bartolommeo
-e Piero, maravigliandosi di questo subito romore,
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-si racchiusono in casa il cardinale d’Ostia legato
-del papa. I grandi e i buoni cittadini che non
-sapeano la cagione del romore traevano a casa
-i Gambacorti; e nel vero, se alcuno di loro
-fosse uscito fuori di casa armato, non ne dubito,
-che tanto e tale era il seguito de’ buoni cittadini,
-che la città di Pisa avrebbe preso quel
-partito ch’e’ Gambacorti avessono voluto, ma
-la loro mala provvedenza coperta da semplice
-ignoranza li condusse alla loro ruina, e la sagace
-malizia de’ loro avversari li fece signori.
-Il conte Paffetta e messer Lodovico della Rocca,
-ch’erano stati i movitori di questo romore, avvedendosi
-che la maggior forza de’ cittadini traevano
-a casa i Gambacorti, e che quelli della casa per
-folle consiglio non comparivano a farsi capo de’ cittadini,
-s’avvisarono d’abbatterli per malizia in
-quello furore, coll’aiuto della paura che sentivano
-ch’avea l’imperadore che cercava di volersi
-partire; e per fornire loro intendimento, acciocchè
-’l romore mosso per loro non tornasse in
-loro confusione, cambiarono la voce, e mostrandosi
-aiutatori dell’imperadore, con gran compagnia
-di loro seguito armati s’appresentarono
-dinanzi dall’imperadore, e dissono: Signor nostro,
-voi siete tradito da’ Gambacorti e dalla loro
-setta, perchè non pare loro essere signori di Pisa
-come e’ solieno, e per questa cagione hanno
-fatto levare questo romore e uccidere la vostra
-gente, e alle loro case hanno raccolto in arme la
-maggior forza de’ cittadini; dicendoli, che se per
-lui a questo punto non si mettesse riparo, egli e
-sua gente era in grave pericolo a campare del loro
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-furore, ed eglino medesimi co’ loro seguaci
-erano in grave pericolo di morte e d’essere cacciati
-di Pisa: e detto questo, s’offersono all’imperadore,
-e dissono; Se voi ci volete dare l’aiuto
-del vostro maliscalco e parte di vostre masnade,
-recheremo tosto al niente la parte de’ Gambacorti,
-e voi faremo libero signore di Pisa.
-L’imperadore avendo il suo senno intenebrato,
-e sviato da se per la via della paura, indiscretamente
-diede fede alla manifesta iniquità di costoro,
-e non volle la cosa ricercare con alcuna
-ragione o verità del fatto; ma in quello stante
-prese parte, e fecesi nemico de’ suoi fedeli e innocenti
-amici, e amico di coloro che gli erano
-stati avversari, e diede le sue masnade e il suo
-maliscalco a seguitare messer Paffetta, e messer
-Lodovico e la loro setta contro a’ Gambacorti, i
-quali senz’arme avea ne’ suoi palagi e in casa
-ignoranti di questo fatto, e per suo comandamento
-fece ritenere Franceschino e Lotto ch’avea
-in casa, e al legato mandò per gli altri
-ch’erano là fuggiti udendo il romore sotto le
-sue braccia, e fu di tanta vile condizione, che di
-presente glie le mandò, in gran disonore e infamia
-del suo cappello e della libertà di santa
-Chiesa; e così fece di più altri cittadini, che a
-lui erano fuggiti per tema del romore.
-</p>
-
-<h3 id="cap33-5">CAP. XXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come fur arse le case de’ Gambacorti.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il conte Paffetta e messer Lodovico della Rocca
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-avendo accolto loro seguito, e la gente e l’insegna
-dell’imperadore, i quali il dì aveano perseguitati
-e morti, ora per loro sagace industria
-li traevano alla morte de’ loro cittadini, e gridando
-viva l’imperadore, molta gente di loro
-seguito ragunata contro a lui rivolsono contro
-a’ Gambacorti, e contro a’ buoni cittadini ch’erano
-tratti senza loro saputa o procaccio alle loro
-case. E venendo a valicare i ponti dell’Arno, trovarono
-alcuna lieve resistenza di gente ignorante
-del fatto, e tra loro non era alcuno de’ Gambacorti,
-in manifesto segno che quel dì era terminato
-alla loro ruina; perocchè se alcuno di quella
-casa fosse comparito in arme, tanti e tali erano
-i cittadini tratti per difenderli, ch’avrebbono
-ributtati i loro avversari e la gente dell’imperadore
-al Ponte vecchio e al Ponte della spina;
-ma non apparendo alcuno de’ Gambacorti, il Paffetta
-e messer Lodovico colla cavalleria dell’imperadore
-furono lasciati passare, e addirizzaronsi
-verso casa i Gambacorti, e trovandole senza alcuna
-difesa, le feciono rubare e appresso ardere; e
-per questo inopinato furore presi i non colpevoli
-Gambacorti con certi altri loro amici, e arse le
-case, diedono per quella giornata, a dì 21 di
-maggio del detto anno, riposo al furore dello
-scommosso popolo. I presi furono Franceschino,
-Lotto, Bartolommeo, Piero e Gherardo de’ Gambacorti;
-e gli altri cittadini di loro seguito furono
-ser Benincasa Giunterelli notaio della condotta,
-Cecco Cinquini, ser Piero dell’Abate, ser
-Nieri Papa, Neruccio Mestondine, Neri di Lando
-da Faggiuola, Ugo di Guitto, e Giovanni delle
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-Brache, messer Guelfo de’ Lanfranchi, e messer
-Piero Baglia de’ Gualandi, messer Rosso de’ Sismondi
-e Francesco di Rossello. E avvegnachè
-tutti questi fossono in questo dì presi, nondimeno
-non però tutti furono giudicati dall’imperadore,
-come appresso diviseremo nei dì della loro
-condannazione.
-</p>
-
-<h3 id="cap34-5">CAP. XXXIV.
-<span class="smaller"><i>Di novità seguite a Lucca.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo avviluppato furore della commozione
-di Pisa fu di subito la novella a Lucca; e
-a’ Lucchesi parendo che fosse venuto il tempo di
-potere uscire del grave giogo e servaggio de’ Pisani,
-incontanente a dì 22 del detto maggio sommossono
-i loro contadini che venissono a liberare
-la città, che da loro erano impotenti a ciò
-fare, perocchè erano pochi e male in arme da
-potere muovere tanto fatto. I contadini caporali
-nemici de’ Pisani per l’animo della parte e
-per le gravi oppressioni, trassono subitamente
-d’ogni parte alla città, e i cittadini mossono il
-romore dentro, e presono l’arme contro alle guardie
-delle porti, che di quelli dell’Agosta non temeano,
-perocch’era in mano della gente dell’imperadore,
-e non si travagliavano di difendere la
-città a’ Pisani; e avendo già presa alcuna porta,
-misono dentro parte de’ loro contadini, e col loro
-aiuto ripresono tutte le fortezze della città e
-tutte le porti, fuori che quella del castello e quella
-del prato; essendo già liberi signori del corpo
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-della terra, e potendovi mettere i contadini e fortificarsi
-alla difesa della loro libertà, e poteano
-avere subito aiuto di gente d’arme da’ loro vicini,
-e’ Pisani non erano in istato da contradiarli,
-e l’imperadore tradito da’ Pisani non li avrebbe
-atati, assai chiaro era tornata la libertà nelle loro
-mani, ma forse non compiuto ancora il termine
-de’ loro peccati; e però avvenne, che certi popolani
-ch’erano meno male trattati da’ Pisani
-che gli altri, e alquanti degl’Interminelli, per
-tema che la tirannia già passata di Castruccio
-non tornasse loro a male, tradirono i loro cittadini,
-e dissono ch’aveano da’ Pisani ogni patto
-che sapessono dimandare, e che con buona pace
-sarebbono liberi. Il popolo vile, nutricato lungamente
-in servaggio, lievemente si lasciò ingannare,
-e lasciarono accomiatare i contadini e restituire
-la guardia delle porti a’ Pisani; i quali per
-riprendere con più asprezza la signoria, fattisi
-forti nella città arsono molte case de’ cittadini,
-e i più franchi e chi avea alcuno polso cacciarono
-fuori della terra, e i miseri che dentro vi lasciarono
-strinsono sotto gravi servaggi della loro
-vita, e tolsono loro ogni ferramento d’arme,
-e in Pisa tenendo in sospetto l’imperadore si feciono
-rendere la guardia dell’Agosta, e voleano
-che privilegiasse loro la signoria di Lucca: di
-questo li tenne sospesi a questa volta, ed eglino
-riavendo l’Agosta si contentarono.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap35-5">CAP. XXXV.
-<span class="smaller"><i>Come nuovo romore si levò in Siena.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo i cittadini di Siena male disposti tra
-loro, avvedendosi che ’l minuto popolo cercava la
-libera signoria, questo spiacea agli altri: e vedendo
-che ’l patriarca a dì 22 di maggio del detto
-anno avea ricevuto il saramento di nuovo, e
-però non ostante ch’egli avesse acconsentito al
-popolo l’uficio de’ dodici e ’l gonfalone si recava
-in dubbio quello uficio; nondimeno gli artefici
-e il minuto popolo esercitavano gli ufici loro sforzatamente,
-e aveano commessa la guardia della
-città a certi caporali i quali andavano alla cerca
-con grande compagnia di loro artefici per la terra,
-oggi l’uno e domani l’altro. In questo avvenne,
-che certi fanti da Casole di Volterra che veniano
-a petizione di certi gentili uomini, la guardia
-degli artefici gli presono, e di fatto li voleano
-fare impiccare. I grandi cittadini e ’l popolo grasso
-vedendo lo sfrenato furore del minuto popolo
-cominciarono a fare romore contro a loro, e tutta
-la città fu sotto l’arme, e l’esecuzione de’ presi
-si rimase. Allora il minuto popolo che reggea
-mandò all’imperadore a Pisa che mandasse loro
-aiuto. L’imperadore vedendosi in Pisa in cotanta
-briga e tempesta, e conoscendo l’incostanza
-del popolo, e vedendo le nuove cose che ogni
-dì nascevano in Siena, mandò a dire a’ Sanesi
-che gli rimandassono il patriarca suo fratello salvo,
-e facessono di quello reggimento come a loro
-piacesse, che tra loro non volea prendere parte.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap36-5">CAP. XXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi feciono rinunziare la
-signoria al patriarca.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avuti ch’ebbono i dodici nuovi ufiziali di Siena,
-a dì 26 di maggio detto, la risposta dall’imperadore,
-feciono loro generale consiglio, nel quale il minuto
-popolo e gli artefici furono per comune, ma
-non così gli altri cittadini, e nella loro presenza
-feciono venire il patriarca, il quale come loro
-signore venne colla bacchetta in mano; ed essendo
-nel consiglio, disonestamente gli feciono rendere
-la bacchetta, e rinunziare alla singulare
-signoria che data gli aveano a richiesta dell’imperadore,
-e fecionne trarre pubblichi istromenti
-a più notai. E fatto questo, parendo al patriarca
-essere in vergognoso e non sicuro partito tra le
-mani dello scondito popolazzo cui egli mattamente
-avea esaltato, domandò di potersene andare
-all’imperadore con sicuro condotto; fugli
-risposto, che tanto gli conveniva stare che le loro
-castella fossono restituite nella guardia del comune:
-avendo con suo mandato e colle sue lettere
-mandato gente a prenderle, nondimeno gli convenne
-contro a sua voglia due dì attendere: poi
-a dì 27 di maggio del detto anno in fretta si
-mise a cammino per ritornarsi all’imperadore.
-I Massetani e quelli di Montepulciano lasciarono
-partire la gente dell’imperadore, e però
-non accettarono la signoria de’ Sanesi a quella
-volta. Per queste rivolture di Pisa e di Siena
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-in così pochi giorni dopo la coronazione dell’imperadore
-si può comprendere, come altre volte
-abbiamo contato, che il reggimento della gente
-tedesca è strano agl’Italiani, e non si sanno reggere
-nè provvedere; e però è poco savio chi si
-sottomette alla loro suggezione, che non tengono
-fede a mantenere lo stato che trovano, e da loro
-non sanno governare i popoli, e però di necessità
-seguitano pericolose rivoluzioni de’ liberi
-comuni, e quello ch’è detto, e quello che seguita,
-sono manifesti esempi del nostro consiglio.
-</p>
-
-<h3 id="cap37-5">CAP. XXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come furono decapitati i Gambacorti.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo l’imperadore presi i Gambacorti e gli
-altri nominati cittadini, e fattili contradi alla
-maestà imperiale ov’erano fedeli, e rubelli ov’erano
-amici, a suggestione del conte Paffetta e di
-messer Lodovico della Rocca, come detto è, essendo
-racquetato il tumulto del popolo, e l’imperadore
-nell’animo quieto per coprire il notorio fallo,
-e perchè dimostare si potesse più certo, volendo
-giustificare la sua inconsulta impresa, essendo
-dal cominciamento della loro presura ciascuno
-racchiuso di per se senza sapere l’uno dell’altro,
-li fece disaminare a un giudice d’Arezzo, acciocchè
-potesse formare l’inquisizione contro a loro
-per poterli giudicare colpevoli. E avendoli disaminati
-senza martorio, e appresso con tormento,
-ciascuno disse per forza di tormento ciò che ’l
-giudice volle che dicessono, acciocchè li potesse
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-condannare colpevoli, come sapea la volontà del
-signore; e nondimeno pubblicato il processo si
-trovò, che l’uno non avea detto come l’altro, ma
-diversamente: l’uno, come avea trattato col comune
-di Firenze, e che dovea mandare la sua
-cavalleria in Valdarno, e non conchiudea; e
-l’altro nominò che ’l trattato era con tre cittadini
-di Firenze, e nominolli per nome, e non
-sapea dire il modo; e l’altro si trovò ch’avea
-detto per un altro modo: e così esaminati tutti,
-non era nel processo convenienza salvo che in
-una cosa, che tutti, vedendo che a diritto o a torto
-convenia loro morire, per non essere più tormentati,
-confessarono a volontà del giudice ch’aveano
-voluto tradire e uccidere l’imperadore e la
-sua gente. Il furore del romore mosso in Pisa
-era sì manifesto che non fu di loro operazione,
-che ’l processo nol potea contenere. I tre cittadini
-di Firenze nominati per Franceschino
-erano tali, che niuno sospetto ne cadde nel cospetto
-dell’imperadore: nondimeno non lasciò
-trarre del processo i loro nomi, anzi convenne
-che si appresentassono in giudicio in Samminiato
-del Tedesco, allora terra libera dell’imperadore,
-e per sentenza imperiale furono dichiarati
-non colpevoli e prosciolti. E allora veduto pe’ savi
-tutto il processo, fu manifesto che i presi per
-ragione non doveano esser giudicati colpevoli;
-ma gli sventurati Gambacorti, ch’aveano tanto
-tempo retta la città di Pisa in singolare buono
-stato, e onorato l’imperadore sopra gli altri cittadini,
-in parlamento fatto a dì 26 di maggio
-predetto furono giudicati traditori dell’imperiale
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-maestà, Franceschino Lotto e Bartolommeo
-Gambacorti fratelli carnali, e Cecco Cinquini
-e ser Nieri Papa, Ugo di Guitto e Giovanni
-delle Brache, tutti grandi popolani di Pisa:
-e armato il maliscalco con cinquecento cavalieri
-tedeschi furono menati in camicia cinti di strambe
-e di cinghie, e a modo di vilissimi ladroni tirati
-e tratti da’ ragazzi, furono così vilmente condotti
-dal duomo di Pisa alla piazza degli anziani,
-scusandosi fino alla morte non colpevoli,
-e scusando il comune di Firenze e i tre cittadini
-nominati; e ivi involti nel fastidio della
-piazza e nel sangue l’uno dell’altro furono decapitati,
-e gli sventurati corpi maculati dalla bruttura
-del sangue per comandamento dell’imperadore
-stettono tre dì in sulla piazza senza essere
-coperti o sepolti: la cui morte, in vituperio
-del cardinale legato del papa, e in abbassamento
-della gloria imperiale, diede ammaestramento
-a’ popoli che voleano vivere in libertà e a’ rettori
-di quelli, di non doversi potere fidare alle
-promesse imperiali nello stato delle loro signorie,
-nè nel grande stato cittadinesco alcuno
-singulare onorato cittadino, perocchè l’invidia
-spesso per non provvedute vie è cagione di grandi
-ruine. Per la morte di costoro, e per la paura
-conceputa nel petto dell’imperadore, messer
-Paffetta e messer Lodovico della Rocca rimasono
-i maggiori governatori di Pisa, ma tosto sentì
-messer Paffetta la volta della fallace fortuna,
-come al suo tempo appresso racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap38-5">CAP. XXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Dello stato de’ Gambacorti passato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè quello ch’è narrato de’ Gambacorti
-dovesse bastare, tuttavia per dare esempio
-agli altri cittadini di temperanza ne’ fallaci
-stati del comune ricordiamo, che costoro essendo
-mercatanti e antichi cittadini di Pisa, cacciati
-i Conti e quelli della Rocca ch’aveano retto
-un tempo, costoro senza usurpare il reggimento
-accostati e tratti innanzi da’ buoni cittadini di
-Pisa, per loro operazioni pacifiche e virtuose
-divennono i maggiori, e per loro consiglio si
-mantenea giustizia, e s’aumentava la pace de’ loro
-vicini; e per questo, e per la frequenza delle
-mercatanzie e del loro porto molto accrebbono
-le ricchezze a’ cittadini, e ’l comune uscì in
-piccol tempo di gran debito. Questi fratelli montarono
-in tanta autorità, che poterono fare la pace
-dall’arcivescovo di Milano al comune di Firenze
-e agli altri comuni di Toscana, e rimanere
-arbitri tra le parti: e venendo l’imperadore in
-Italia, e’ furono in podere di non riceverlo in
-Pisa s’avessono voluto, ma per loro consiglio
-si ricevette, con promissione d’essere da lui conservati
-nel loro stato. Costoro l’albergarono nelle
-loro case, facendoli grande onore e ricchi doni
-del loro e di quello del comune, e portandosi
-nelle rivoluzioni ch’avvennono sempre in
-fede e in purità verso il signore, e comportando
-pazientemente la loro detrazione mossa
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-dalla loro avversaria setta. Ma che vale la troppa
-ricchezza, e gli onori e ’l magnifico stato della
-cittadinanza contro alla rodente invidia de’ suoi
-cittadini? nella quale si racchiude gli aguati
-della fortuna e della mortale inimicizia, alla
-quale manca l’umana provvisione, e spesso genera
-inestimabili cadimenti e ruine; e per questo
-e molti altri esempi assai è più senno vivere
-civilmente, che prendere il reggimento del
-comune più che la comune sorte gli dea, e quella
-innanzi ristrignere e mancare, che crescere
-o allargare per ambizione; perocchè i popoli
-naturalmente sono ingrati, e tra loro le virtù e
-la troppa alterezza come è temuta e riverita,
-così in occulto è odiata, e l’invidia conceputa
-genera pericolosi traboccamenti; e la furiosa
-e matta baldanza più muove e guida il popolo,
-che virtù o giustizia non può sostenere o riparare.
-</p>
-
-<h3 id="cap39-5">CAP. XXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore prese in guardia
-Pietrasanta e Serezzana.</i></span></h3>
-
-<p>
-Parendo all’imperadore non stare sicuro in
-Pisa per le novità sopravvenute, domandò a’ Pisani
-di volere la libera guardia di Pietrasanta e di
-Serezzana, e’ Pisani glie la diedono, e incontanente
-vi mandò l’imperadrice con parte della sua
-gente, e fece pigliare la tenuta delle terre e la
-guardia della rocca di Pietrasanta; e quando ebbe
-novella che le castella erano in sua guardia
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-gli parve essere più al sicuro, sentendo ch’e’ cittadini
-si cominciavano a rammaricare de’ Gambacorti
-e degli altri cittadini decapitati, e rivoleano
-i presi; l’imperadore di presente si sarebbe partito,
-e abbandonato ogni cosa per grande paura
-che gli martellava la mente non senza gravezza di
-coscienza delle cose novellamente fatte, ma temeva
-forte del patriarca per le novità mosse in Siena,
-e grande pericolo gli pareva lasciarlovi addietro;
-e però attendeva con grande affezione, e ogni
-dì gli parea del soggiorno un anno aspettando.
-A’ caporali pisani nuovamente esaltati parea rimanere
-male partendosi l’imperadore, perocchè ancora
-erano troppo grandi i loro avversari; e per
-tanto furono all’imperadore, e domandarongli che
-vi lasciasse suo vicario; l’imperadore contento
-della loro domanda ordinò suo vicario un valente
-prelato, uomo sperto in arme e di gran consiglio,
-chiamato messer Antorgo Maraialdo vescovo d’Augusta,
-con trecento cavalieri, ma non determinatoli
-questo numero nè altro per l’avvenire, con salario
-della sua persona e della sua gente di fiorini
-dodicimila d’oro il mese; e così prese l’uficio e ’l
-titolo del vicariato.
-</p>
-
-<h3 id="cap40-5">CAP. XL.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore si partì da Pisa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo l’imperadore novelle certe che ’l patriarca
-era in cammino, e libero da’ Sanesi e’ tornavasi
-a lui, non aspettò che giugnesse in Pisa innanzi
-la sua partita, ma avute le novelle in sull’ora
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-del vespero, a dì 27 di maggio del detto anno si
-partì di Pisa, e con lui il cardinale d’Ostia, e
-cavalcando forte non si tenne sicuro infinch’e’
-fu giunto a Pietrasanta; e giunto là, si mise di
-presente con l’imperadrice a stare dentro dalla
-rocca, e mentre che vi dimorò, che furono più
-giorni, continovo tornò a dormire nella rocca,
-e in persona andava a fare serrare le porte, e
-mettea le guardie, e portavasene le chiavi nella
-sua camera, ch’era nella mastra torre di quella
-rocca.
-</p>
-
-<h3 id="cap41-5">CAP. XLI.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi domandarono vicario all’imperadore,
-e non l’accettarono.</i></span></h3>
-
-<p>
-Parendo a’ Sanesi avere offeso l’imperadore,
-e non essendo ancora in istato fermo del loro reggimento,
-mandarono all’imperadore che mandasse
-loro suo vicario. L’imperadore chiamò per suo
-vicario della città di Siena messer Agabito della
-Colonna di Roma. I Sanesi saputo cui egli mandava
-loro per vicario, uomo animoso in parte
-ghibellina e di disonesta vita, avvegnachè fosse
-di grande lignaggio, il ricusarono, e più non
-si travagliarono di domandare altro vicario all’imperadore,
-nè l’imperadore per sdegno preso di
-darlo loro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap42-5">CAP. XLII.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi presono e rubarono Massa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Rimasa la signoria di Siena nelle mani degli
-artefici e del minuto popolo favoreggiato dalle
-case de’ grandi, avendo veduto che Massa di Maremma
-non avea voluto ricevere la loro signoria,
-e dimostrava di volersi reggere in libertà, di subito
-senza provvisione, all’entrata del mese di
-giugno del detto anno, in furore si mosse il popolo
-con certi soldati ch’avea, e andaronne a
-Massa. Gl’infelici Massetani, che stando alle
-difese per lo disordine di quel popolo erano
-vincitori, per più disordinato modo che quello
-de’ Sanesi, baldanzosi uscirono della città di
-Massa e affrontaronsi alla battaglia co’ Sanesi,
-nella quale furono rotti e sconfitti; e fuggendo
-alla città, e’ Sanesi seguitandoli, con loro insieme
-v’entrarono dentro; e senza misericordia,
-come avessono preso una terra di nemici, intesono
-a rubare, e a spogliare la città di tutti i
-suoi beni, ch’erano pochi, e recare in preda gli
-uomini, e le femmine e’ fanciulli, e raccolta la
-gente, misono fuoco nella città, e menarne a
-Siena gli uomini, e le femmine, e’ fanciulli, e le
-masserizie e l’altre cose, in gran gloria e gazzarra
-di quello scondito popolazzo. E nell’empito
-di questa loro vittoria corsono a Grosseto, e feciono
-pruova di volerlo per forza, ma non ebbono
-podere d’accostarsi alle mura, e con vergogna
-si tornarono addietro. Ma poi i Grossetani
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-per fuggire la guerra de’ loro vicini s’accordarono
-co’ Sanesi, e ricevettono la loro signoria.
-A Montepulciano non vollono andare, perchè
-sentirono ch’e’ Montepulcianesi erano provveduti
-alla loro difesa, non ostante che per loro si
-tenesse la rocca del castello, ma non potea dare
-l’entrata.
-</p>
-
-<h3 id="cap43-5">CAP. XLIII.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore domandò menda a’ Pisani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo l’imperadore a Pietrasanta ove gli
-pareva essere sicuro dal furore del popolo, e pertanto
-traendo l’animo suo alla cupidigia più che
-all’onore imperiale, mandò a Pisa per certi cittadini
-caporali del nuovo reggimento, e fugli
-mandato messer Paffetta con altri cinque cittadini;
-e avendo costoro a se, disse, che voleva dal
-comune di Pisa l’ammenda del danno ricevuto
-al tempo del romore; del suo disonore e della
-morte de’ suoi cavalieri non fece conto. Questi
-cittadini tenendosi in istato per lui, e acciocchè ’l
-suo vicario li mantenesse negli onori, gli terminarono
-per ammenda fiorini tredicimila d’oro,
-ed egli ne fu contento; e tanto attese che gli furono
-mandati, e quitò del danno ricevuto il comune
-di Pisa. L’ingiuria e la vergogna sfogata nel
-sangue degl’innocenti, con più gravezza il seguitò
-per lunghi tempi infino nella Magna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap44-5">CAP. XLIV.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi vollono fornire la rocca di
-Montepulciano, e non poterono.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Niccolò e Messer Iacopo de’ Cavalieri
-di Montepulciano, che furono tratti della terra
-quando l’imperadore andò a desinare con loro, ed
-essendo nel cammino di Roma, come già è detto,
-quando sentirono la revoluzione del popolo e del
-patriarca si tornarono in Montepulciano, e avendo
-accolta gente d’arme coll’aiuto de’ loro terrazzani
-s’erano afforzati, e aveano assediati i
-Sanesi ch’erano nella rocca. Il popolo e gli artefici
-di Siena baldanzosi per la presura di Massa
-e per l’ubbidienza di Grosseto accolsono la
-loro potenza a cavallo e a piede, e andarono per
-fornire la rocca di Montepulciano. I terrazzani
-co’ loro signori provveduti di buona gente d’arme
-ordinatamente prenderono loro vantaggio, e ributtarono
-i Sanesi addietro con danno e con vergogna:
-e fatto questo, incontanente quelli della
-rocca s’arrenderono a’ terrazzani, i quali di presente
-la disfeciono, e fortificarono le mura della
-terra, e d’un animo, per lo tradimento che i Sanesi
-feciono a’ loro signori narrato addietro, si disposono
-e ordinarono alla difesa contro a loro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap45-5">CAP. XLV.
-<span class="smaller"><i>Come i Veneziani feciono pace co’ Genovesi
-senza i Catalani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Partendoci un poco di Toscana, i Veneziani
-non senza ammirazione ci si apparecchiano, nè
-però a loro cosa nuova, ma forse non troppo onesta.
-Compagni e collegati erano stati lungamente
-col re d’Araona e co’ suoi Catalani contro
-a’ Genovesi, e fatte con loro diverse e gravi
-battaglie, nelle quali comunemente aveano partecipato
-lo spargimento del loro sangue, e perdimento
-di navili nelle sconfitte, e l’onore e
-’l navilio e la preda nelle vittorie acquistate;
-e ancora essendo in lega e in giuramento con
-quel re e con quella gente, stretti dalla paura
-de’ Genovesi, che poco innanzi gli aveano mal
-guidati nel porto di Sapienza, e temendo che
-non si allegassono contro a loro col re d’Ungheria,
-a cui eglino teneano occupata Giadra e
-gran parte della Schiavonia, posponendo la vergogna
-della fede che rompeano a’ Catalani, senza
-loro consentimento, all’uscita di maggio predetto
-fermarono pace co’ Genovesi in questa maniera:
-che la pace dovesse avere tra loro cominciamento
-a dì 28 del mese di settembre prossimo
-avvenire, e che fra questo termine il re
-d’Aragona co’ suoi Catalani con certi patti potesse
-venire, s’e’ volesse, alla detta pace, e se non,
-rimanesse in guerra co’ Genovesi senza i Veneziani:
-e fu di patto, che infra questo tempo niuno comune
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-dovesse dinnovo armare, ma se le galee
-e’ legni armati di catuno comune ch’erano in
-mare in diverse parti del mondo s’abboccassono
-e facessono danno l’uno all’altro, intendessesi
-essere fatto per buona guerra, e ciò che
-n’avvenisse, e’ non avesse a maculare la detta
-pace. E’ Veneziani promisono di stare tre anni
-senza andare colle loro galee o altri navili alla
-Tana, ma in questo tempo fare loro porto e
-mercato a Caffa. E promisono i Veneziani a’ Genovesi
-per ammenda, e per riavere i loro prigioni,
-in certi termini ordinati dugento migliaia
-di fiorini d’oro, e’ prigioni di catuna parte
-furono lasciati liberamente.
-</p>
-
-<h3 id="cap46-5">CAP. XLVI.
-<span class="smaller"><i>Come si fè l’accordo dal legato a messer
-Malatesta da Rimini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Malatesta da Rimini, il quale tenea
-occupata a santa Chiesa Ancona con gran parte
-della Marca e alquante terre in Romagna, trovandosi
-assottigliato del danaro e della rendita
-per la tempesta della compagnia e per la sconfitta
-ricevuta dalla Chiesa, e preso il fratello, e i
-sudditi tanto gravati che più non poteano sostenere,
-e avendo addosso il legato a cui al continovo
-accresceva forza, e da niuno signore o comune
-di Toscana contro alla Chiesa non potea avere
-aiuto, e col legato non trovava accordo con patti,
-avendone lungamente fatto cercare, conoscendo
-egli e’ suoi essere naturali guelfi, che la pace piuttosto
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-che la guerra potea mantenere il loro stato,
-confortato da’ suoi amici e di santa Chiesa, che il
-legato gli sarebbe benivolo e grazioso, s’arrendè
-liberamente alla sua misericordia, e liberamente
-rendè a santa Chiesa quante terre tenea nella
-Marca e in Romagna; e il legato ricevuto ogni cosa
-in nome di santa Chiesa, essendo grato dell’onore
-ricevuto da’ Malatesti, e per compiacere a’ guelfi
-d’Italia, avendo promesso e giurato messer
-Malatesta e’ suoi di stare in ubbidienza, e di
-mantenere lealtà e fede a santa Chiesa, acciocchè
-potessono a onore mantenere loro stato, diede
-loro la libera giurisdizione e signoria di cinque
-città, ciò sono, Rimini, Pesaro, Fano, Fossombrone,
-e .... co’ loro contadi, per dodici anni
-avvenire; le quali riconobbono la santa Chiesa,
-e promisono di darne per censo ogni anno
-alla Chiesa certa piccola quantità di pecunia, e
-compiuto il termine, farne la volontà di santa
-Chiesa. E rimasi contenti e in pace, messer
-Malatesta e’ figliuoli e’ fratelli cominciarono fedelmente
-a seguitare il legato, e a servire la santa
-Chiesa; ed essendo singulari amici de’ Fiorentini,
-assai con più fidanza gli adoperava e onorava il
-legato ne’ fatti della guerra. E questa pace e accordo
-fu fatto all’uscita di maggio del detto
-anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap47-5">CAP. XLVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi appostarono Tripoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avea il comune di Genova, innanzi la pace
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-fatta co’ Veneziani, armate quindici galee di
-loro cittadini, e fattone ammiraglio Filippo Doria,
-ed era l’intenzione del comune di fare prendere
-la Loiera in Sardigna per alcuno trattato,
-che si menava per un soldato ch’era alla guardia
-di quella; e giunti in Sardigna, trovarono
-che il trattato non ebbe effetto. Allora l’ammiraglio
-si pensò di fare maggiore impresa, e avea
-l’animo a diverse terre per via di furto: e arrivati
-in Cicilia a Trapani, ebbe avviso, come
-Tripoli di Barberia era per un vile tirannello
-rubellato alla corona, ed era male guernito alla
-difesa d’un subito assalto, e per questo fece in
-Trapani fare scale e altri argomenti da potere
-combattere alle mura, tenendo segreta sua intenzione;
-e quando si vide apparecchiato, fece
-muovere le sue galee verso la Barberia. E giunto
-a Tripoli, mostrando d’andare pacificamente
-per mercatanzie, trovando due navi del signore
-cariche di spezieria che venivano d’Alessandria,
-si mostrarono come amici, e al signore
-feciono domandare licenza di potere mettere scala
-in terra per alcuno rinfrescamento, e il signore
-la concedette. L’ammiraglio mise in terra
-alquanti de’ suoi più savi e provveduti vestiti
-vilmente a modo di galeotti per comperare alcune
-cose per rinfrescamento, e commise loro
-che provvedessono il modo della guardia di quelli
-Saracini e di loro aspetto, e l’altezza delle mura
-della città, e da qual parte fosse più debole. Il
-signore più per paura che per amore fece fare
-onore a’ galeotti, e nondimeno guardare la terra.
-Eglino mostrandosi rozzi e grossi provvidono
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-molto bene quello che fu loro imposto: e
-comperate delle cose, si ritornarono a galea, e
-avvisarono pienamente il loro ammiraglio. Il signore
-presentò alle galee due grossi buoi, e castroni
-e vino; i Genovesi non vollono prendere
-le cose, ma molto grandi grazie ne feciono rapportare
-al signore, e incontanente, senza fare a’ legni
-carichi alcuna novità, suonarono loro trombetta,
-e partendosi di là, si misono in alto mare,
-tanto che si dilungarono da ogni vista della
-città, per assicurare più il signore e la gente
-della terra; i quali sentendo le galee partite, e
-che a’ loro legni carichi non aveano fatto nulla,
-che li poteano prendere, presono sicurtà, la
-quale tosto tornò loro amara, come appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap48-5">CAP. XLVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi presono Tripoli a inganno.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Genovesi ch’erano partiti da Tripoli, come
-la notte fu fatta, avendo bonaccia in mare, si
-strinsono insieme colle loro galee, e ragunato
-al consiglio padroni e nocchieri, l’ammiraglio
-manifestò loro l’intenzione ch’avea, quando a
-loro piacesse, di vincere per ingegno e per forza
-la città di Tripoli, ove tutti sarebbono ricchi di
-gran tesoro; e mostrò loro come il signore di
-quella era un vile tirannello nato d’un fabbro
-saracino, e disamato da tutti per la sua tirannia,
-e però se fosse assalito francamente non potrebbe
-fare resistenza, e soccorso non potea avere,
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-perchè non ubbidiva il re di Tunisi, ma era
-suo ribello; e avvisolli com’egli avea fatto provvedere
-di prendere le mura e la porta agevolmente:
-e però, là dove e’ volessono essere prod’uomini,
-la grande e la ricca preda era loro apparecchiata.
-Costoro cupidi della roba altrui, avendo
-udito il loro ammiraglio, con grande allegrezza
-deliberarono che l’impresa si facesse, e offersonsi
-tutti a ben fare il suo comandamento,
-e misonsi di presente in concio di loro armi, e
-balestra, e saettamento; e preso alcuno riposo,
-in quella notte, e innanzi che il giorno venisse,
-all’aurora tutti armati e ordinati di quello ch’aveano
-a fare giunsono nel porto di Tripoli, e
-di colpo con poca fatica ebbono presi i due navili
-del signore; e messe le ciurme in terra e’ loro
-soprassaglienti colle balestra, portando le
-scale a’ muri della città vi montarono suso senza
-trovare resistenza, e la parte di loro ch’era
-rimasa a guardia delle galee e de’ legni s’accostarono
-alla terra per dare aiuto e soccorso
-a’ loro compagni; e questo fu sì tosto e sì prestamente
-fatto, che appena i cittadini se n’avvidono,
-se non quando i Genovesi teneano le mura,
-e già aveano presa la porta. Levato il romore
-per la città, il signore armato colla sua gente,
-e con parte de’ cittadini ch’ebbono cuore alla
-difesa, corsono per volere riparare ch’e’ nemici
-non potessono correre la terra, e abboccaronsi
-con loro. I Genovesi erano già tanti entrati dentro
-e sì forti, che per suo assalto non li potè
-ributtare; e stando loro a petto, i Genovesi
-ordinati colle balestra a vicenda li sollecitavano
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-tanto co’ verrettoni, ch’e’ Saracini male armati
-non li poteano sostenere. E il signore vedendo
-che non potea riparare, vilmente diede
-la volta, e fuggendosi abbandonò la città e il
-popolo. I Genovesi, sentendo partito il tiranno,
-presono più ardire, e ordinatisi insieme si misono
-per la terra, e qualunque si volea difendere
-uccidevano, e grande strage feciono quel
-dì de’ Saracini; e avendo corsa tutta la terra,
-presono le porti e serraronle, e misonvi le guardie,
-e furono al tutto signori della terra e degli
-uomini, e di tutta la loro sostanza.
-</p>
-
-<h3 id="cap49-5">CAP. XLIX.
-<span class="smaller"><i>Di quello medesimo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Presa, come detto è, l’antica città di Tripoli,
-e chiuse le porti, i Genovesi diedono ordine di
-spogliare le case, e di farsi insegnare i tesori
-del signore e l’avere de’ cittadini, e che ogni
-cosa pervenisse a bottino, sicchè lo spogliamento
-andasse per ordine; e così seguitarono penando
-più giorni a fare questa esecuzione, e condussono a
-bottino in pecunia, e in avere sottile, e ornamenti
-d’oro e d’argento il valere di più di diciannove
-centinaia di migliaia di fiorini d’oro, e settemila
-prigioni tra uomini, femmine, e fanciulli; e
-questo fu senza le segrete ruberie ch’e’ galeotti
-e gli altri maggiori feciono, che non le rassegnarono
-in comune, e di ciò non si fece cerca nè
-inquisizione; e avendo così spogliata la terra,
-la guardarono, e mandarono una delle loro più
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-sottili galee al comune di Genova, significando
-quello ch’aveano fatto, e come teneano la città
-a farne la volontà del comune. I governatori di
-quel comune, e appresso i buoni cittadini si turbarono
-forte del tradimento fatto a coloro che
-non erano nemici, e non aveano guardia di loro,
-non ostante che fossono Saracini, e temettono
-forte, ch’e’ cittadini di Genova ch’erano in
-Tunisi e in Egitto tra’ Saracini, e in loro mani
-colle loro mercatanzie, non fossono per questo
-a furore presi e morti; e così sarebbe avvenuto,
-se non fosse che Tripoli era sotto reggimento di
-vile tiranno, e non ubbidia al re di Tunisi, e
-però egli e gli altri signori saracini contenti del
-suo male non se ne curarono. Agli ambasciadori
-della galea non fu risposto; i quali vedendo i
-cittadini mal contenti, senza prendere comiato
-si tornarono a Tripoli a’ loro compagni; i quali
-vedendosi smisuratamente ricchi, del cruccio
-del loro comune, sapendo che tutti erano corsali,
-poco si curarono, e in Tripoli si misono a
-stare, consumando ogni reliquia di quella città,
-e cercavano di venderla per averne danari da
-chi più ne desse: e questo fu di giugno del detto
-anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap50-5">CAP. L.
-<span class="smaller"><i>Come la gente del marchese di Ferrara
-fu sconfitta, a Spaziano.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi medesimi dì, il marchese di Ferrara
-avea mandato quattrocento cavalieri e millecinquecento
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-fanti ad assediare un castello ch’avea
-nome Spaziano, il quale avea occupato il signore
-di Milano nel Ferrarese; e avendolo tenuto assediato
-alcun tempo, messer Bernabò vi mandò
-subitamente de’ suoi cavalieri al soccorso, e
-furono tanti, che per forza li levarono dall’assedio
-e sconfissono, dando loro danno assai; e liberato
-il castello, il fornirono di ciò ch’avea
-bisogno, e tornarsene a Milano.
-</p>
-
-<h3 id="cap51-5">CAP. LI.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore ebbe l’ultima paga da’ Fiorentini,
-e fè la fine.</i></span></h3>
-
-<p>
-Restavano i Fiorentini a dare all’imperadore
-ventimila fiorini d’oro per lo resto de’ centomila,
-e sentendolo partito da Pisa, e ch’egli era a Pietrasanta,
-s’affrettarono di mandarglieli più tosto,
-e a dì 10 di giugno gli feciono appresentare contanti
-ventimila fiorini a Pietrasanta. L’imperadore
-considerato il suo partimento non d’onore ma
-piuttosto d’abbassamento dell’imperiale maestà,
-e vedendo la sollecitudine della fede promessa
-del comune di Firenze, e il luogo dove gli aveano
-mandata la pecunia, fu molto allegro, e commendò
-magnificamente la fede e il buono portamento
-ch’avea trovato ne’ cittadini di Firenze, dicendo,
-come i Pisani ch’erano camera d’imperio,
-e’ Sanesi che liberamente s’erano dati senza
-mezzo alla sua signoria l’aveano ingannato e
-tradito, e fattagli gran vergogna per loro corrotta
-fede, e’ Fiorentini l’aveano atato e consigliato
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-dirittamente, e onorato molto i suoi baroni, e
-la sua gente, e adempiutogli pienamente
-ciò ch’aveano promesso, onde molto si tenea
-per contento da quello comune; e di proprio movimento
-li privilegiò di nuovo ciò che teneano
-in distretto, e riconobbe diciotto migliaia di fiorini
-che il comune diede per lui al sire della
-Lippa suo alto barone, e tremila che per suo
-mandato avea pagati ad altri baroni, e di tutta
-la quantità di centomila fiorini d’oro ch’aveano
-promesso, come addietro abbiamo narrato, fece
-fine al detto comune per suoi documenti e cautela,
-per carta fatta per ser Agnolo di ser Andrea
-di messer Agnolo da Poggibonizzi notaio
-imperiale, fatta nella detta terra di Pietrasanta
-il detto dì.
-</p>
-
-<h3 id="cap52-5">CAP. LII.
-<span class="smaller"><i>Come il figliuolo di Castruccio fu decapitato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo veduto messer Altino figliuolo di Castruccio
-Castracane già tiranno di Lucca, come
-l’imperadore era uscito di Pisa con sua vergogna
-per andarsene nella Magna, accolti certi
-masnadieri e con sua gente entrò in Monteggoli
-presso a Pietrasanta, per tenersi la terra. I
-Pisani sdegnati di presente vi cavalcarono, e
-assediarono il castello intorno. Messer Altino intendea
-a difenderlo da’ Pisani, e credea poterlo
-fare. I Pisani sentendo ivi presso l’imperadore,
-mandarono a pregarlo che gli piacesse di
-venire nel campo, perocch’elli erano certi che
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-alla sua persona messer Altino non si terrebbe.
-L’imperadore v’andò, e fece comandare a messer
-Altino che si dovesse arrendere; il quale incontanente
-ubbidì a’ suoi comandamenti, e diede
-la terra a’ Pisani, e sè all’imperadore. I Pisani di
-presente arsono e disfeciono il castello: e richiesto
-l’imperadore da’ Pisani che desse loro messer
-Altino, con poco onore della sua corona il mandò
-prigione a Pisa, e ivi a pochi dì, partito l’imperadore
-da Pietrasanta, i Pisani gli feciono tagliare
-la testa.
-</p>
-
-<h3 id="cap53-5">CAP. LIII.
-<span class="smaller"><i>D’una fanciulla pilosa presentata
-all’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Mentre che l’imperadore era a Pietrasanta, per
-grande maraviglia, e cosa nuova e strana, gli fu
-presentata una fanciulla femmina d’età di sette
-anni, tutta lanuta come una pecora, di lana
-rossa mal tinta, ed era piena per tutta la persona
-di quella lana insino all’estremità delle labbra
-e degli occhi. L’imperadrice, maravigliatasi
-di vedere un corpo umano così maravigliosamente
-vestito dalla natura, l’accomandò a sue damigelle
-che la nudrissono e guardassono, e menolla
-nella Magna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap54-5">CAP. LIV.
-<span class="smaller"><i>Come l’imperadore e l’imperadrice si partirono
-per tornare in Alamagna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo l’imperadore col senno e colla provvedenza
-alamannica presa la corona dell’imperio,
-e guidati i fatti degl’Italiani come nel nostro
-trattato è raccontato, essendosi ridotto a
-Pietrasanta, l’imperadrice sollecitando che si
-tornasse nella Magna, a dì 11 di giugno del detto
-anno si partì di là con milledugento cavalieri
-di sua gente, e tenne la via di Lombardia; e
-giugnendo alle terre de’ signori di Milano non
-potè in alcuna entrare, ma a tutte trovò le porte
-serrate, e le mura e le torri piene d’uomini armati
-alla guardia colle balestra, e col saettamento
-apparecchiato. E giugnendo a Cremona, ch’è
-grossa città, volendovi entrare dentro, fu ritenuto
-alla porta per spazio di due ore innanzi
-che vi potesse entrare; poi ebbe licenza d’andarvi
-la sua persona con alquanta compagnia senza
-alcuna gente armata; e strignendolo la necessità,
-per non mostrare d’avere dimenticata la pace
-che la sua persona avea voluto trattare tra’ Lombardi,
-vi si mise ad entrare, e stettevi la notte e il
-dì seguente, continovo le porti della città serrate,
-e di dì e di notte i soldati armati facendo continova
-guardia. E ragionando l’imperadore con certi che
-v’erano per i signori di Milano, di volere trattare
-della pace tra’ Lombardi, gli fu detto da parte de’ signori,
-che non se ne dovesse affaticare. E però
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-la mattina vegnente, avendo già preso di se alcuno
-sospetto, s’uscì della città, e cavalcò a
-Soncino. Ivi fu ricevuto con pochi disarmati e
-con grandissima guardia: e vedendosi così onorare
-ora ch’era imperadore nella forza de’ tiranni
-di Milano, molto pieno di sdegno s’affrettò
-di tornare in Alamagna, ove tornò colla corona
-ricevuta senza colpo di spada, e colla borsa piena
-di danari avendola recata vota, ma con poca
-gloria delle sue virtuose operazioni, e con assai
-vergogna in abbassamento dell’imperiale maestà.
-</p>
-
-<h3 id="cap55-5">CAP. LV.
-<span class="smaller"><i>Come il minuto popolo di Siena prese al tutto
-la signoria di quella.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di giugno del detto anno, il minuto
-popolo di Siena avendo fino a qui avuto in certi
-ufici in compagnia alquanti delle grandi case di
-Siena, e desiderando d’avere in tutto il governamento
-di quella città, levò il romore, e tutti
-i cittadini presono l’arme; e stando il popolo armato,
-dimostrò di volere che i grandi rinunziassono
-agli ufici del comune; e sentendo i grandi
-che questo movea dal consiglio dato al minuto
-popolo per Giovanni d’Agnolino Bottoni de’ Salimbeni
-per accattare la benivolenza del minuto
-popolo per animo tirannesco, non vollono
-per forza d’arme cercare di ributtare i loro cittadini;
-e acciocchè il popolo non si tenesse d’avere
-lo stato del reggimento da Giovanni d’Agnolino,
-i Tolomei suoi avversari furono quelli che
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-prima cominciarono a rinunziare agli ufici, e volere
-che il popolo gli avesse in tutto, e così feciono
-gli altri appresso. E volle il popolo, che laddove
-lo staio era cresciuto per lo patriarca alla
-misura lieve, fosse alla picchiata, e così fu conceduto
-per tutti. Allora il popolo ordinò d’avere
-il gran consiglio, e lasciato l’arme, in questo stabilì
-per riformagione la loro somma signoria, reggendosi
-per dodici priori di due in due mesi, e ivi
-li crearono; e ancora feciono un gonfaloniere di
-popolo, e certi altri ch’avessono a rispondere a
-lui per terziere della città: e ivi da capo rifiutato
-messer Agapito della Colonna per loro vicario,
-come detto è, cominciò in libertà il reggimento
-di quello popolazzo.
-</p>
-
-<h3 id="cap56-5">CAP. LVI.
-<span class="smaller"><i>Come la compagnia del conte di Lando cavalcò
-a Napoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne ancora del detto mese di giugno,
-che la compagnia ch’era lungamente stata in Puglia
-guidata dal conte di Lando, sentendo che il
-re Luigi contro a loro non avea fatta alcuna provvisione
-a sua difesa, si partirono di Puglia, e
-vennonsene in Principato; e soggiornati alquanti
-dì nelle contrade di Serni, e di Matalona, e
-d’Argenza, feciono grandi prede; e non trovando
-fuori delle terre murate alcun contrasto, di là
-entrarono in Terra di Lavoro, e vennono infino
-presso a Napoli, e cavalcarono il paese d’intorno;
-e non sentendo chi vietasse loro il paese, essendo
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-ubbiditi da’ casali e da’ paesani di fuori,
-e forniti di quello che alla loro vita e dei
-loro cavalli bisognava, per potere stare più ad agio,
-si divisono in più compagnie, e l’una stando
-nell’una contrada, e l’altra nell’altra, compresono
-a modo di paesani tutto il paese; e lasciarono
-l’arme non sentendo alcuno avversario,
-e cominciarono a prendere diletti d’uccellare e
-di cacciare; e i loro cavalcatori e’ ragazzi visitavano
-le ville e’ casali, e recavano all’ostiere ciò
-che bisognava largamente per la loro vita e di
-loro cavalli, e quando i signori tornavano, trovavano
-apparecchiato, e i cattivelli paesani, che
-non aveano aiuto dal loro signore, erano consumati
-in vilissima fama della real corona.
-</p>
-
-<h3 id="cap57-5">CAP. LVII.
-<span class="smaller"><i>Come Fermo tornò alla Chiesa e si rubellò da
-Gentile da Mogliano.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo mese di giugno, quelli della città di
-Fermo, i quali per lo tradimento fatto per Gentile
-da Mogliano al legato quando gli rubellò la
-città colla forza del capitano di Forlì e coll’ordine
-di messer Malatesta, essendo contro al loro
-volere, come narrato è addietro, tornati contro
-alla signoria del legato, dove s’erano ridotti
-con loro grande piacere, vedendo ora la forza del
-legato loro di presso, e che Gentile era povero
-di gente, levarono il romore nella città, e rinchiusone
-Gentile nella rocca, e diedono la terra
-al legato; il quale la fornì di buone masnade
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-a piè e a cavallo, e presene buona e sollecita
-guardia.
-</p>
-
-<h3 id="cap58-5">CAP. LVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia mandò gente in Scozia
-per guerreggiare gl’Inghilesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Trapassando alquanto agli strani, il re di
-Francia vedendo che passate le triegue gl’Inghilesi
-cavalcavano nel reame, e facevano spesso
-danno alle sue genti e al paese, prese consiglio
-da’ suoi, e avendo alcuno intendimento da certi
-baroni di Scozia, mandò in Scozia il sire di Garendone
-suo barone con ottocento armadure di
-ferro, a fine di muovere gli Scotti a fare guerra
-agl’Inghilesi per modo, che quelli che guerreggiavano
-in Francia avessono cagione di tornare
-a guerreggiare con gli Scotti. E giunta questa
-gente in Scozia, gli Scotti tennero loro consiglio
-e diliberarono, che essendo il loro re David prigione
-del re d’Inghilterra, se gli Scotti movessono
-guerra agl’Inghilesi tornerebbe in pericolo
-e dannaggio del loro re; e però non vollono
-che ad istanza del re di Francia in Scozia
-si facesse movimento di guerra sopra gl’Inghilesi,
-e per questo la gente francesca ch’era di là passata
-si ritornò addietro. E questo avvenne del
-mese di giugno del detto anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap59-5">CAP. LIX.
-<span class="smaller"><i>Come i prigioni d’Ostiglia presono il castello.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese una buona brigata di prigioni,
-che messer Gran Cane della Scala avea racchiusi
-in Ostiglia, seppono tanto fare per loro sottile
-provvedimento che tutte le guardie delle prigioni
-e del castello uccisono, e presono il castello,
-e recaronlo nella loro guardia e signoria. Il castello
-era forte e in sù i confini del distretto di
-Mantova e di Ferrara. Sentendo i signori vicini
-questa rubellione, tentarono quelli di Mantova
-e di Ferrara catuno di volere dare danari a’ prigioni
-che l’aveano preso per avere quella tenuta,
-ch’era di piccola guardia, ed era forte da non potere
-essere vinta per battaglia, e dava il passo in
-catuna parte; i matti prigioni non seppono prendere
-il buono partito, e però s’accostarono al reo;
-e avendo grandi promesse da messer Gran Cane,
-cui eglino aveano cotanto offeso, affidandosi solamente
-alla fede delle sue promesse, che renderebbe
-loro i propri beni e farebbe a catuno altri vantaggi,
-dicendo, che non imputerebbe loro il misfatto,
-perocchè fatto l’aveano come prigioni, a
-cui era lecito di trovare ogni via di loro scampo,
-sicchè ciò non era tradimento. I miseri vinti
-dalle vane promesse renderono la tenuta del
-forte castello alla gente di messer Gran Cane,
-il quale ripresa la fortezza, incontanente attenne
-la promessa ammazzandone una parte colle scuri,
-e altri con gravi tormenti fece morire, e trentasei
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-de’ residui più vili fece impendere per la
-gola: e per questo modo morti tutti i prigioni riebbe
-la sua fortezza del castello d’Ostiglia.
-</p>
-
-<h3 id="cap60-5">CAP. LX.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi venderono Tripoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Genovesi ch’aveano preso Tripoli di Barberia,
-come addietro abbiamo narrato, e non
-avendo potuto avere risposta dal loro comune
-quello che della città si facessono, cercarono di
-venderla per danari a’ baroni saracini che v’erano
-di presso, e niuno trovarono che vi volesse
-intendere. Era a quel tempo signore dell’isola
-di Gerbi un Saracino ricco e di gran cuore; costui
-intese a volerla comperare, e trattato il
-mercato, ne diè a’ Genovesi cinquantamila doble
-d’oro; e ricevuto il pagamento e la tenuta
-della città, e sceltisi de’ cittadini uomini e femmine
-e fanciulle cui e’ vollono, gli altri lasciarono
-colla città spogliata d’ogni bene; e raccolti
-in su le loro quindici galee piene d’arnesi e di
-gran tesoro partironsi del paese, e lungamente
-stettono ora in una parte ora in un’altra, tanto
-che il loro comune fu rassicurato de’ loro cittadini
-ch’erano in Alessandria e in Tunisi, che per
-questa novità di Tripoli non aveano ricevuto
-danno, allora ribandirono quelli delle galee, i
-quali aveano sbanditi per lo fallo commesso, e
-dierono loro licenza che potessono tornare a Genova,
-quando tre mesi alle loro spese avessono
-guerreggiate le marine di Catalogna; i quali fatto
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-il servigio tornarono a Genova, e riempierono
-la città di schiavi e schiave saracine, e di
-molto tesoro acquistato con gran tradimento, ma
-per giusto giudicio di Dio in breve tempo capitarono
-quasi tutti male, rimanendo in povero
-stato.
-</p>
-
-<h3 id="cap61-5">CAP. LXI.
-<span class="smaller"><i>Come gli usciti di Lucca tentarono
-di far guerra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo per le novità sopravvenute all’imperadore
-in Pisa perduta agli usciti di Lucca la
-speranza d’essere liberati dal giogo de’ Pisani,
-secondo il trattato di cui era scorsa la fama; e
-veduto come fortuna avea fatti signori della città
-le piccole reliquie de’ Lucchesi ch’erano nella
-città in una giornata, per un poco d’ardire ch’aveano
-dimostrato, se da loro medesimi non fossono
-stati traditi, come detto è, trovandosi gli usciti
-avere ragunata alcuna moneta per la detta cagione
-della speranza dell’imperadore, e parendo
-loro ch’e’ Pisani fossono in dubbioso stato, s’intesono
-insieme i guelfi co’ ghibellini, e’ figliuoli
-di Castruccio ch’erano in Lombardia promisono
-a tutti i caporali delle famiglie guelfe uscite di
-Lucca nella loro fede, che contro alla loro origine
-e’ si farebbono guelfi per trarre di tanto servaggio
-la loro città; e trattarono con loro di fare
-ogni loro sforzo con buona punga per rientrare
-in Lucca, e catuno promise di fornirsi di gente
-per loro aiuto, e di cavalli e d’armi per fornire
-loro impresa. E sentendo i Pisani questo apparecchiamento,
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-si provvidono sollecitamente al
-riparo. Le cose procedettono e seguirono al loro
-fine come degnamente meritarono, e tosto ci
-verrà il tempo da raccontarlo.
-</p>
-
-<h3 id="cap62-5">CAP. LXII.
-<span class="smaller"><i>Conta della gran compagnia di Puglia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvedendosi quelli della compagnia ch’erano
-in Terra di Lavoro, che il re nè i suoi baroni
-mettevano alcuno riparo contro a loro, presono
-maggiore baldanza, e raccolti insieme se ne vennero
-verso Napoli, e posonsi a campo a Giuliano
-tra Aversa e Napoli, presso a Napoli a quattro
-miglia di piano, e domandavano al re danari
-senza fare guasto. Allora i Napoletani vedendo
-che il re non si movea, si mossono da loro,
-e accolsono de’ paesani e de’ forestieri una quantità
-di cavalieri, e feciono capo il conte camarlingo,
-e ’l conte di san Severino e l’ammiraglio
-di volontà del re; nondimeno costoro non
-uscivano di Napoli a riparare le cavalcate della
-compagnia e sturbavano l’accordo, che si cercava
-di dare loro danari. Per la qual cosa i Napoletani
-temendo di ricevere il guasto, di che
-la compagnia gli minacciava, a dì 12 di Luglio
-del detto anno s’armarono a cavallo e a piè
-romoreggiando, e minacciando i baroni che non
-lasciavano fare l’accordo colla compagnia. I baroni
-erano forti da loro, e aveano con seco i forestieri
-armati, sicchè poco curavano le minacce
-o le mostre de’ Napoletani, e avvedendosene
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-i Napoletani, posono giù l’arme, e se n’acquetarono.
-Nondimeno il re mostrando di fare al
-movimento de’ Napoletani l’accordo, vedendosi
-l’oste di presso addosso, per schifare maggiore
-pericolo, trattò di dare loro fiorini centoventimila
-in certi termini, e per questo si levarono
-da Giuliano, e dilungaronsi da Napoli, paesando
-e vivendo alle spese de’ paesani. L’effetto di
-questo trattato ebbe mutamenti con danno de’ regnicoli
-innanzi che si traesse a fine, come innanzi
-al suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap63-5">CAP. LXIII.
-<span class="smaller"><i>Come il gran siniscalco condusse mille barbute
-contro alla compagnia, ond’ella s’accrebbe.</i></span></h3>
-
-<p>
-Mentre che queste cose si trattavano in Napoli,
-il gran siniscalco del Regno messer Niccola Acciaiuoli
-di Firenze essendo stato in Toscana, e in
-Romagna e nella Marca accogliendo gente d’arme,
-s’era con essa messo a cammino: e giunto
-alla città di Sulmona con mille barbute di gente
-tedesca e oltramontana, fè sentire al re la sua venuta;
-il re richiese i baroni per volersi combattere
-colla compagnia venendo contro a’ patti promessi:
-ma la cosa venne dilatando e prendendo indugio,
-e nel soprastare il caldo appetito del re venne
-raffreddando, e ancora de’ suoi baroni, e il termine
-delle paghe de’ soldati menati per lo gran
-siniscalco cominciò a venire; e non essendo il re
-mobolato da poterli pagare e riconducere per innanzi,
-assai se ne partirono dal servigio del re.
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-e andarsene alla compagnia, e fecionla maggiore.
-</p>
-
-<h3 id="cap64-5">CAP. LXIV.
-<span class="smaller"><i>Come gli usciti di Lucca s’accolsono
-senza far nulla.</i></span></h3>
-
-<p>
-Ritornando nostra materia al fatto degli usciti
-di Lucca, que’ caporali ch’erano a soldo del
-comune di Firenze, con le loro bandiere appresentandosi
-al tempo ordinato tra loro, cominciò
-la cosa a pubblicarsi in Firenze. Quando il comune
-sentì questo, incontanente tutti gli cassò
-dal suo soldo, e comandò loro sotto pena della
-vita, che niuna ragunata di gente facessono nel
-contado o distretto di Firenze, e contradisse a
-tutti i cittadini e contadini sotto pena dell’avere
-e della persona, che niuno aiuto o favore si
-desse loro, perocchè non volea il nostro comune
-rompere per niuna cagione la pace ch’avea
-co’ Pisani. Nondimeno i Lucchesi guelfi ch’erano
-in Toscana, con loro sforzo s’accolsono in
-certo luogo in sù quello di Lucca, e ivi si trovarono
-con dugento cavalieri e con molti masnadieri
-che gli seguitavano per speranza di guadagnare.
-I conducitori furono Obizzi e Salamoncelli,
-e attendeano che dall’altra parte, com’era ordinato,
-venissono i figliuoli di Castruccio con
-gli usciti ghibellini, e col popolo di Lunigiana
-e Garfagnana. I Pisani sentendo che gli usciti
-di Lucca si cominciavano a ragunare, cacciarono
-di Lucca tutti i cittadini ch’aveano alcuna
-apparenza, e mandaronvi per comune
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-i due quartieri di Pisa alla guardia, e con grande
-studio si fornirono di gente d’arme alla difesa.
-I figliuoli di Castruccio non attennono la promessa
-al termine, per la qual cosa gli usciti guelfi
-soprastati al termine più di due dì, e non avendo
-novelle che venissono, si cominciarono a sfilare,
-e senza ordine tornare catuno a casa con poco
-onore. Abbianne fatto memoria non per lo
-fatto, che nol meritava, ma perchè in quel tempo
-che questo fu, erano quarantadue anni ch’e’ Lucchesi
-guelfi erano stati fuori della loro città, e
-mai non aveano fatta altrettanta vista per cercare
-di volere tornare in Lucca, come a questa
-volta.
-</p>
-
-<h3 id="cap65-5">CAP. LXV.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Cicilia racquistò più terre.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo, don Luigi di Cicilia coll’aiuto
-de’ Catalani dell’isola e della loro setta, accolti
-insieme in arme a piè e a cavallo si mossono
-da Catania con la persona del loro signore, e
-cavalcando sopra le terre ch’ubbidiano l’altra
-setta di Chiaramonti e il re di Puglia, e trovandole
-mal fornite alla difesa, s’arrenderono e ubbidirono,
-vedendo la persona di don Luigi, senza
-farli resistenza. E appresso preso più ardire, del
-mese di luglio con sei galee armate e con l’altra
-gente per terra venne a Palermo, e posevisi intorno
-credendolasi riavere, ma vedendo ch’e’ si
-difendeano colla gente forestiera che v’era per lo
-re Luigi di Puglia, fece danno assai nelle villate
-di fuori, e poi se ne ritornò a Catania.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap66-5">CAP. LXVI.
-<span class="smaller"><i>Novità di Padova.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo messer Iacopino da Carrara signore
-di Padova, e avendo lungamente tenuta la signoria
-in compagnia di Francesco suo nipote
-carnale, avendosi portato insieme grande onore,
-non sentendosi alcuna cagione d’odio o di sospetto
-tra loro, salvo che messer Francesco volea pace
-co’ signori di Milano, e messer Iacopo la volea
-con loro, e voleala co’ signori di Mantova insieme
-con cui erano collegati, non dovea però per questo
-essere cagione d’odio tra loro, ma piuttosto quello
-che non soffera d’avere consorto nella signoria tra
-gli animi ambiziosi di quella; e per questo Francesco
-ch’era più giovane e più atto a guerra, e
-avea il seguito della gente d’arme, una sera, a
-dì 26 del mese di luglio del detto anno, essendo
-messer Iacopino nella sua sala posto a cena,
-messer Francesco con suoi compagni armati copertamente
-venne al palagio, dove non gli era nè
-di dì nè di notte vietata porta, e andato suso, trovò
-il zio che cenava, e accogliendo il nipote senza
-alcuno sospetto, fu da lui preso, e incamerato e
-messo in buona guardia, senza essere per lui alcuna
-resistenza fatta nel palagio. La mattina vegnente
-messer Francesco cavalcò per la città, e senza
-fare novità nella terra fu ubbidito in tutto come
-signore, e si scusò al popolo, che questo avea
-fatto perocchè avea trovato di certo, che poichè
-messer Iacopino si vide avere figliuolo, avea
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-cercato di fare avvelenare lui: e che ciò fosse
-vero o no, tanto se ne dimostrò, che alcuni di ciò
-furono incolpati e martoriati, tanto che confessarono
-il malificio, e perderonne le persone.
-</p>
-
-<h3 id="cap67-5">CAP. LXVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Visconti tentarono di racquistare
-Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di luglio del detto anno, messer
-Bernabò de’ Visconti di Milano avendo tenuto
-alcuno trattato in Bologna, credendolasi
-racquistare, mandò di subito duemila cavalieri
-e di molti masnadieri di soldo sopra la città di
-Bologna, e la loro prima posta fu al Borgo a
-Panicale, e feciono vista d’afforzare loro campo
-presso a Bologna a tre miglia; poi all’entrata
-d’agosto si levarono di là e andarono a Budrio,
-e trovandovi difetto d’acqua, si partirono di là,
-e posono campo a Medicina tra Bologna e Imola,
-e là dimorarono attendendo che novità si movesse
-in Bologna. Lasceremo ora questa gente
-ch’attende di fare suo baratto, come al tempo
-innanzi racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap68-5">CAP. LXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come in Firenze nacquono quattro lioni.</i></span></h3>
-
-<p>
-A dì 3 d’agosto nacquono in Firenze quattro
-lioni, due maschi e due femmine; l’uno si donò
-al duca d’Osteric, che ’l domandò al comune,
-l’altro al signore di Padova.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap69-5">CAP. LXIX.
-<span class="smaller"><i>Novità fatte per gli usciti di Lucca.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’entrata del mese d’agosto del detto anno,
-messer Arrigo e messer Gallerano figliuoli di Castruccio
-usciti di Lucca, con quella gente d’arme
-ch’avere poterono in Lombardia apparirono in
-Lunigiana, e ivi e di Garfagnana accolsono fanti
-a piè; e i Lucchesi guelfi usciti da capo si ragunarono
-e accozzarono co’ figliuoli di Castruccio,
-e di concordia, trovandosi quattrocento cavalieri
-e duemilacinquecento fanti, si posono ad assedio
-a Castiglione, che si guardava per i Pisani.
-I Pisani avuto l’aiuto da’ Sanesi, con cui erano in
-lega e compagnia, con settecento cavalieri e
-seimila pedoni uscirono di Pisa per andare a soccorrere
-il castello, e a dì 12 d’agosto del detto
-anno, trovandosi ne’ campi presso a’ nemici, feciono
-loro schiere. Gli usciti di Lucca, veggendosi
-il vantaggio del terreno, si feciono ordinatamente
-loro incontro da quella parte donde li
-vidono venire. I Pisani si mostrarono di volerli
-assalire da quella parte, e cominciaronvi l’assalto
-per tenere i nemici a bada; e cominciata
-la battaglia, il loro capitano con quella gente
-ch’e’ s’avea eletta, mentre che d’ogni parte si
-mantenea l’assalto, girò il poggio, e montò sopra
-i nemici da quella parte onde venia la vittuaglia
-agli usciti che teneano l’assedio, e fece
-questo sì prestamente, che i Lucchesi, ch’aveano
-assai di buoni capitani, non vi poterono riparare,
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-ma veduto ch’ebbono ch’e’ nemici aveano
-tolto loro la via del pane, non vidono potere
-mantenere l’assedio al castello; e però si strinsono
-insieme, e arsone il campo loro, e ricolsonsi
-in alcuna parte ivi presso senza potere essere
-danneggiati da’ nemici; e raccolti quivi, senza alcuno
-danno di là si partirono salvamente, e valicarono
-l’alpe, e capitarono nel Frignano, e di
-là catuno con accrescimento d’onta, senza altro
-danno, perduta la speranza di tornare in Lucca,
-catuno tornò a procacciare sue condotte per vivere
-al soldo, e ’l castello rimase libero all’ubbidienza
-de’ Pisani.
-</p>
-
-<h3 id="cap70-5">CAP. LXX.
-<span class="smaller"><i>Come i Catalani non vollono la pace co’
-Genovesi fatta per i Veneziani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re d’Araona essendo in Ispagna dopo l’acquisto
-fatto della Loiera, e dell’accordo preso col
-giudice d’Alborea, sentendo che i Veneziani
-aveano fatta pace co’ Genovesi senza il suo consentimento
-contro al giuramento della loro compagnia,
-fece di presente armare venti galee per
-sua sicurtà: e domandaronli i Genovesi la Loiera
-e altre terre di Sardigna, se con loro volea pace.
-E questa fu la cagione già scritta addietro, perchè
-il comune di Genova ribandì le quindici
-galee ch’aveano preso Tripoli, le quali feciono
-per tre mesi gravi danni nella riviera di Catalogna,
-spezialmente d’ardere e di profondare loro
-navili ne’ porti. Le venti galee del re avendo fortificate
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-e fornite le terre di Sardigna, e reiterata
-la pace col giudice, si ritornarono in Catalogna
-senz’altra novità fare.
-</p>
-
-<h3 id="cap71-5">CAP. LXXI.
-<span class="smaller"><i>Come messer Ruberto di Durazzo
-lasciò il Balzo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese d’agosto, essendo stato messer
-Ruberto di Durazzo stretto da’ Provenzali nel
-Balzo per modo, che non avea potuto correre il
-paese nè fare prede com’avea cominciato, benchè
-’l castello potesse tenere lungamente, parendogli
-stare con sua vergogna senza guadagno, di
-sua volontà s’uscì del castello, e rilasciollo a’ signori
-del Balzo. Alcuni dissono, che ’l papa gli
-diè alcuni danari co’ quali si mise in arme, e
-andò a servire il re di Francia nelle sue guerre
-ove morì a onore, come a suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap72-5">CAP. LXXII.
-<span class="smaller"><i>Come arse la bastita da Modena.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo lungamente mantenuta per la forza
-di messer Bernabò di Milano una grande e forte
-bastita sopra la città di Modena con molti cavalieri
-e masnadieri, i quali aveano per stretto modo
-assediata la città, e recata in grandi stremi,
-come piacque a Dio, quello che non avea potuto
-fare la gran compagnia nel caso della ribellione
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-di Bologna, nè appresso tutta la forza della lega
-di Lombardia, fece subitamente un fuoco che vi
-s’apprese, ma piuttosto fu fama ch’un soldato
-corrotto dal signore di Bologna il vi mise. Questo
-fuoco infiammò per sì fatto modo la bastita,
-che per la gente dentro non si potè ammortare.
-I Modenesi stati a vedere lungamente, e sentendo
-il romore, presono l’arme, e corsono verso la
-bastita con smisurato romore. I cavalieri e’ masnadieri,
-che ve n’erano assai, impacciati dal fuoco,
-e impauriti del romore, si ritrassono fuori
-della bastita con animo di fermarsi di fuori, ma
-non ebbono potere di farlo, che di presente catuno
-cominciò a fuggire senza essere cacciati,
-e abbandonarono la bastita. I Modenesi la presono
-e spensono il fuoco: e appresso per tema che
-messer Bernabò non la rifacesse da capo riporre,
-ch’era il luogo molto forte, la feciono riparare
-e rafforzare, e misonvi gente a guardarla lungamente
-per sicurtà della terra.
-</p>
-
-<h3 id="cap73-5">CAP. LXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come fu fatto il castello di Sancasciano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando alquanto nostra materia al fatto di
-Firenze, occorse in questi dì, che tornando a memoria
-a’ collegi del nostro comune i danni ricevuti
-a’ tempi delle persecuzioni fatte al nostro
-comune, e i pericoli che occorsi erano
-alla città ponendosi i nemici a oste in sul
-poggio del borgo di Sancasciano in Valdipesa,
-e questo conosciuto per esperienza dell’imperadore
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-Arrigo di Luzimborgo, e appresso di Castruccio
-tiranno di Lucca, e novellamente della
-gran compagnia di fra Moriale, che catuno nimicando
-il nostro comune tennono campo in quel
-luogo con podere, per lo vantaggio del sito, di
-potere vantaggiare assai e non potere essere danneggiati:
-acciocchè questo non potesse più avvenire,
-deliberò il comune di farvi un forte e nobile
-castello di mura, e incontanente del mese
-d’agosto del detto anno 1355 si cominciarono
-a fare i fossi, e all’uscita di settembre del detto
-anno si cominciarono a fondare le mura, e tutte
-s’allogarono in somma a buoni maestri con discreti
-e avvisati provveditori, dando d’ogni
-braccio quadro soldi sette di piccioli, di lire tre
-soldi nove il fiorino dell’oro, dando il comune
-a’ maestri solo la calcina, acciocch’e’ maestri avessono
-cagione di fare buone le mura. Le mura
-furono larghe nel fondamento braccia quattro, e
-fondate braccia uno sotto il piano del fosso, e
-sopra terra grosse braccia due, ristrignendosi a
-modo di barbacane, e sopra terra alle braccia
-dodici, con corridoi intorno i beccatelli, e armate
-di torri intorno intorno, di lungi braccia
-cinquanta dall’una torre all’altra, alzate braccia
-dodici sopra le mura e con due porte mastre,
-catuna con due torri più alte che l’altre e bene
-ordinate alla guardia. E questo circuito comprese
-il poggio e il borgo, e senza arresto fu compiuto
-e perfetto il lavorio del mese di settembre
-seguente 1356. E veduto il conto del detto
-edificio, costò al Comune di Firenze trentacinque
-migliaia di fiorini d’oro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap74-5">CAP. LXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come in Firenze s’ordinò la tavola
-delle possessioni.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese d’agosto, alquanti cittadini di
-Firenze, parendo loro che dovesse essere util
-cosa al comune per levare la briga a’ creditori
-di ritrovare i beni del debitore, misono innanzi
-a’ signori che si facesse una tavola, nella quale
-si scrivessono tutti i beni immobili della città
-e del contado per popolo e per confini, e
-diedono il modo a catuno quartiere della città
-e del contado per se; e’ signori misono la petizione,
-e vinsesi, parendo a tutti che dovesse essere
-utile cosa. Agli uomini antichi, e savi e pratichi
-parea la cosa impossibile a potere avere perfezione,
-ma non fu loro creduto, se non quando
-per pratica si conobbe. Furono comandate le
-recate a ogni possessore sotto grave pena, e nondimeno
-ch’e’ reggitori de’ popoli anche le dovessono
-recare, catuno si provvidde di recare e di
-fare recare i beni in cui volle, e confinavali
-secondo che trovava l’usata vicinanza, e quando
-tali nelle loro recate mutavano i primi possessori,
-e così d’ogni parte discordavano i confini,
-e oltre a questa inconvenienza ve n’accorrevano
-molte altre maggiori. Per la qual cosa dopo
-la lunga scrittura, e la grande spesa cresciuta
-parecchi anni, in confusione senza frutto rimase
-abbandonata, e la sperienza ammaestrò il nostro
-comune alle sue spese. Avenne fatta memoria
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-per esempio di coloro che verranno appresso,
-acciocch’e’ notino quello ch’è detto
-provato per opera; e ancora, che molti recavano
-una medesima cosa per mostrare che possedessero
-i beni: ma quello ch’è più forte, si è
-la mutazione de’ beni, che più occorre nella nostra
-città che altrove, perchè più abbonda di
-mercatanzie e di mestieri e d’arti, c’hanno a fare
-la mutazione de’ beni immobili.
-</p>
-
-<h3 id="cap75-5">CAP. LXXV.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra con grande
-apparecchio valicò a Calese.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo noi addietro narrata la morte del conestabile
-di Francia, della quale il re di Navarra
-fu operatore, seguita, che d’allora innanzi il re di
-Navarra era in odio del re Giovanni di Francia, e
-per questa cagione tenne trattato col re d’Inghilterra
-di riceverlo nelle sue terre. Il re d’Inghilterra
-era di questo molto contento, e però mise
-in concio sua gente e suo navilio per valicare
-con forte braccio; e nel soprastare che facea,
-per sollecita operazione del cardinale di Bologna
-e d’altri baroni e’ fu fatta la pace tra ’l re
-di Francia a quello di Navarra, e perdonatoli
-liberamente l’offesa della morte del conestabile,
-e per suo amore a tutti gli altri ch’erano
-a ciò stati. Il re d’Inghilterra avendo apparecchiata
-la sua gente d’arme e ’l suo navilio,
-del mese di settembre del detto anno valicò
-a Calese. Il re di Francia avea d’altra parte
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-apparecchiata la sua baronia, e con quindicimila
-cavalieri e molti sergenti gli si fece incontro
-in Normandia. Il re d’Inghilterra sentendo
-la pace fatta tra’ due re, e vedendo la gran forza
-apparecchiata contro a sè dal re di Francia,
-non si attentò d’uscire a campo, nè di seguire
-sua impresa, e data la volta, con sua vergogna
-si ritornò con tutta la sua oste in Inghilterra. Il
-re di Francia sentendo i suoi nemici tornati
-nell’isola si ritornò a Parigi, e dimostrando
-grande amore al re di Navarra, gli accomandò
-il Delfino suo maggiore figliuolo, i quali d’allora
-innanzi si congiunsono di fraternale amore, e di
-grande compagnia.
-</p>
-
-<h3 id="cap76-5">CAP. LXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi s’accordò colla compagnia
-del conte di Lando.</i></span></h3>
-
-<p>
-Mandaci il tempo materia di ritornare in Italia.
-Di questo mese di settembre del detto anno,
-essendo la compagnia ritornata presso a Napoli
-in Terra di Lavoro, e il re per arroto al danno
-per la gente condotta nel Regno alle sue spese,
-volendo atare i Napoletani che non perdessono
-le loro vendemmie, e non avendo il podere altro
-che con danari, rifece la nuova concordia, e
-promise loro centocinque migliaia di fiorini d’oro;
-le trentacinque migliaia contanti, e le settanta
-in due paghe a venire: e mentre che le penassono
-ad avere si doveano stare in Puglia. E per
-fornire la prima paga, il re Luigi gravò di fatto
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-i Napoletani, e certi baroni, e forestieri, e mercatanti,
-e le loro mercatanzie, e pagò la compagnia,
-e andossene in Puglia alla roba d’ogni uomo,
-non senza grande rammarichio, contro alla
-corona degli uomini di quel paese.
-</p>
-
-<h3 id="cap77-5">CAP. LXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come il conte da Doadola fu sconfitto e morto
-dal capitano di Forlì.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il legato rivolto tutto suo intendimento
-di volere abbattere la tirannia di Francesco degli
-Ordelaffi capitano di Forlì, e guerreggiando la
-città di Cesena, il conte Carlo da Doadola con
-due figliuoli del conticino da Ghiaggiuolo de’ Malatesti
-si mise in preda con cento cavalieri e con
-assai masnadieri, e corsono insino presso alle
-mura di Cesena; e avendo raccolta una buona preda
-d’uomini e di bestiame, si raccoglievano per
-tornare al campo. Avendo questo sentito madonna
-Cia moglie del capitano, a cui egli avea accomandata
-la guardia di quella città, non come femmina,
-ma come virtudioso cavaliere montò a
-cavallo coll’arme indosso gridando, e smovendo
-i cavalieri soldati che v’erano che la dovessono
-seguire contro a’ nemici ch’erano di fuori.
-I cavalieri inanimati, vedendo tanto ardire in
-una femmina, di presente la seguitarono, e abboccatosi
-co’ nemici per forza li sconfissono, e fuvvi
-fedito il conte Carlo per modo che poco appresso
-morì, e presi i due figliuoli del conticino da
-Ghiaggiuolo, e la maggior parte de’ cavalieri e
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-assai masnadieri furono prigioni; e riscossa la
-preda, con grande onore si tornarono in Cesena
-del mese d’agosto predetto.
-</p>
-
-<h3 id="cap78-5">CAP. LXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come la gente del Biscione prese le mura di
-Bologna e furono cacciati.</i></span></h3>
-
-<p>
-Poco addietro ci ricorda, che noi trattammo
-de’ duemila cavalieri e de’ molti masnadieri che
-messer Bernabò avea mandati sopra Bologna, e
-le mute che fatte aveano di luogo in luogo; all’ultimo,
-all’uscita del mese d’agosto del detto
-anno, erano tornati al borgo a Panicale forniti di
-molte scale, e bolcioni ferrati da cozzare mura
-della città, e di queste cose il signore di Bologna
-non si prendeva guardia. E però una notte ordinata
-tutta l’oste se ne venne alle mura di
-Bologna dalla parte del prato, dov’era più solitario,
-ed ebbono poste le scale alle mura, e di
-subito vi montarono suso più di dugento cavalieri
-armati, ch’erano smontati de’ cavalli, e assai
-masnadieri, e traboccate le guardie che vi
-trovarono dalle mura in terra, cominciarono a
-perquotere le mura co’ bolcioni tanto che già
-l’aveano forate e aperte le mura da piè, innanzi
-che ’l signore o i cittadini se n’avvedessono, e alquanti
-per gagliardia erano scesi dentro e entrati
-per la piccola rottura; e parendo agli assalitori
-avere la forza delle mura e l’entrata, avvisando
-che dentro fosse dato loro alcuno aiuto per
-lo loro trattato, cominciarono a gridare ad alte boci:
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-Vivano i popolani, e muoia il signore. A questo
-romore il popolo si cominciò a sentire, e ogni
-uomo a prendere l’arme, e certe masnade di
-fanti a piè toscani con alquanti cittadini trassono
-in quella parte ov’erano i nemici, e quanti
-ne trovarono a basso entrati uccisono, e ingrossandosi
-alla difesa quelli della terra a cavallo e
-a piè, con molti balestrieri cacciarono a terra
-quelli ch’erano montati su per le mura; e avvedendosi
-i capitani della gente di messer Bernabò,
-che per lo fallo dell’affrettato romore la
-città era difesa, con vergogna sonarono a ricolta
-e tornarsi al borgo a Panicale, e indi cavalcate
-le contrade d’intorno, e fatto assai danno
-d’arsione presono loro cammino e andarono a
-Milano; e il signore di Bologna, vedendo il
-pericolo ch’avea corso, prese miglior guardia.
-</p>
-
-<h3 id="cap79-5">CAP. LXXIX.
-<span class="smaller"><i>Novità state in Udine.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo medesimo mese d’agosto: o che il
-patriarca d’Aquilea facesse fare gravezze con oppressione
-al popolo della città d’Udine a lui
-soggetta, o che il vicario ch’era testa lucchese,
-chiamato messer Iacopo Morvello, per soperchia
-baldanza, ch’avea per moglie la figliuola del
-patriarca, facesse da sè cose sconce, a furore
-di popolo con l’aiuto d’alquanti terrieri del
-paese fu preso nel palazzo del comune, e tratto
-di là, fu racchiuso in prigione, e poco appresso
-senza processo dicollato, in grande vituperio
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-e vergogna del patriarca, ch’era fratello dell’imperadore.
-</p>
-
-<h3 id="cap80-5">CAP. LXXX.
-<span class="smaller"><i>Come abbondarono grilli in Cipri
-e in Barberia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo abbondarono nell’isola di
-Cipri tanti grilli, che riempierono tutti i campi
-alti da terra un quarto di braccio, e consumarono
-ciò che verde trovarono sopra la terra, e guastarono
-i lavori per modo, che frutto non se ne
-potè avere in quest’anno. E ’l simigliante avvenne
-questo medesimo anno 1355 in molte parti
-della Barberia, e massimamente nel reame di Tunisi;
-ed essendo mancato il pane al minuto popolo
-di Barberia, metteano i grilli ne’ forni, e cotti
-alquanto incrosticati li mangiavano i Saracini, e
-con questa brutta vivanda mantennero la misera
-vita, ma grande mortalità seguitò di quel popolo.
-</p>
-
-<h3 id="cap81-5">CAP. LXXXI.
-<span class="smaller"><i>Come messer Maffiolo Visconti
-fu morto da’ fratelli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Maffiolo de’ Visconti di Milano essendo
-il maggiore de’ tre fratelli signori di Milano,
-perchè era dissoluto nella sua vita e senza
-alcuna virtù era riputato il minore nel reggimento
-della signoria: tuttavia messer Bernabò
-e messer Galeazzo gli rendeano assai onore. Avvenne,
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-che per scellerato stemperamento della sua
-lussuria accolse nella camera sua venti tra donne
-maritate, e fanciulle, e altre femmine, colle quali,
-avendole fatte spogliare ignude, si sollazzava a
-suo diletto con loro bestialmente; e ricordandosi
-in quello sformato e sfrenato ardore di libidine
-d’una bella giovane moglie d’un buono cittadino
-di Milano, mandò per lei, e minacciandolo di
-farlo morire se immantinente non glie la menasse,
-o mandasse. Vedendosi questo buono uomo a
-così villano partito, come disperato piangendo se
-n’andò a messer Bernabò, e contogli il grave partito
-a che messer Maffiolo l’avea messo, dicendo,
-che innanzi volea morire ch’assentire a cotanta
-sua vergogna, pregandolo che ’l dovesse atare.
-Messer Bernabò disse: Io non ho a gastigare il mio
-maggiore fratello, per non mostrare a colui la sua
-intenzione, e di presente cavalcò all’ostiere di
-Messer Maffiolo, e trovò la scellerata danza del
-suo fratello; e senza dire alcuna cosa diede la
-volta, e accozzossi con messer Galeasso, e disse:
-Noi corriamo gran pericolo di nostro stato, e le
-sconce e dissolute cose di messer Maffiolo ci faranno
-cacciare della signoria, se per noi non si
-ripara a cotanto pericolo a che ci conduce. E
-manifestatoli ciò che facea delle donne de’ buoni
-uomini di Milano, e il richiamo che n’avea avuto,
-di presente s’accordarono alla morte sua, che altro
-gastigamento non avea luogo. E però essendo
-andato messer Maffiolo a Moncia a fare una caccia,
-la sera di sant’Agnolo di settembre, li feciono
-dare con quaglie veleno; e la mattina vegnente
-essendo nella caccia si cominciò a sentir male
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-nel ventre, e di presente se ne tornò a Milano;
-e vicitato la sera da’ fratelli, la mattina si trovò
-morto in sù ’l letto. Alcuni dissono, che in quella
-visitazione e’ fu soffocato da loro, e altri tennono
-che morisse delle quaglie; e l’una cagione e
-l’altra potè essere, per non farlo storiare. Il vero
-fu che morì come un cane, senza confessione,
-di violenta morte, e forse degnamente per la sua
-dissoluta vita.
-</p>
-
-<h3 id="cap82-5">CAP. LXXXII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò ebbe la Mirandola.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dappoichè la bastita da Modena per l’arsione
-fu ripresa da’ Modenesi, messer Bernabò tenne
-nelle castella ch’avea acquistate nel Modenese
-gente d’arme per scorrere il paese, e fare continova
-guerra a Modena: e oltre a ciò mise a campo
-tra Reggio e Modena millecinquecento cavalieri
-e assai masnadieri, i quali assediavano il
-castello della Mirandola, il quale era di certi gentili
-uomini loro patrimonio: e non essendo potenti
-a poterlo lungamente difendere da’ signori
-di Milano, s’accordarono con loro, e diedono la
-guardia del castello a messer Bernabò, ed egli
-li ricevette in amistà, e con provvisione li mise
-nelle sue guerre. E in questi dì, vedendosi
-messer Giovanni da Oleggio in pericolo della
-guardia di Bologna, cercò accordo con messer Bernabò;
-e messer Bernabò per poterlo rimettere in
-confidenza, per meglio potere venire alla sua intenzione,
-s’accordò con lui; e messer Giovanni
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-gli promise di guardare Bologna per lui, e dopo la
-sua morte gliela lascerebbe, e riceverebbe nella
-città continuamente un suo potestà. E fece questo
-messer Giovanni da Oleggio senza volontà o
-consiglio de’ cittadini di Bologna, sperando rimanere
-in pace nella signoria, nella quale rimase
-in continovi aguati, come leggendo per innanzi
-si potrà trovare: e ricevette in prima per potestà
-di Bologna il signore della Mirandola sopraddetto.
-</p>
-
-<h3 id="cap83-5">CAP. LXXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Perugini presono a difendere
-Montepulciano.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Sanesi vedendosi avere perduta in tutto la
-signoria ch’avere soleano in Montepulciano, trattavano
-della guerra; ed essendo cercato se co’ Sanesi
-si potea trovare modo d’accordo senza fargliene
-signori, non trovandosi, i signori che dentro
-v’erano ritornati, ricordandosi che ’l comune
-di Siena non avea attenuti i patti promessi loro
-altra volta sotto la sicurtà e fede del comune di
-Firenze e di Perugia, a cui i Sanesi l’aveano rotta
-con inganno assai sconcio e manifesto, al quale
-i detti comuni senza l’arme non aveano potuto
-mettere rimedio, e l’arme non aveano voluto pigliare,
-per questa cagione non si vollono più fidare
-alla corrotta fede de’ Sanesi; e vedendosi impotenti
-da difendersi da’ Sanesi, s’accordarono,
-e misono di volontà del popolo la guardia di
-Montepulciano con certi patti nelle mani de’ Perugini;
-e i Perugini vaghi di crescere signoria,
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-e ricordandosi dell’ingiuria ricevuta in Siena
-per questi fatti di Montepulciano, accettarono
-la guardia, e incontanente la fornirono di loro
-soldati a cavallo e a piè per difenderla da’ Sanesi.
-Questa cosa conturbò molto il comune di
-Siena, e perciò facendosi la lega che seguitò
-appresso de’ Toscani, i Sanesi non vi vollono essere,
-e altre gravi cose ne seguirono, come innanzi
-si potrà trovare al debito tempo.
-</p>
-
-<h3 id="cap84-5">CAP. LXXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra tornò in Francia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Quello che seguita è cosa bene strana: essendo
-il re d’Inghilterra, come poco innanzi avemo
-contato, ritornato di state nell’isola d’Inghilterra
-con tutto suo oste e col navilio, e dovendosi
-secondo usanza della guerra, il navilio e la
-gente d’arme riposare per la grazia del verno,
-il detto re di maggiore animo e ardire che altro
-signore al suo tempo, del mese d’ottobre del
-detto anno, co’ figliuoli, e colla moglie, e co’ baroni,
-e con grande moltitudine di suoi cavalieri
-e arcieri, di subito e improvviso a’ Franceschi valicò
-a Calese: e di presente fece tre osti, l’una
-accomandò al conte di Lancastro suo cugino, e
-questa mandò in Brettagna, e la seconda accomandò
-al suo maggiore figliuolo duca di Guales,
-e questa mandò in Guascogna, e l’altra ritenne
-a sè, per venire verso Parigi, e a catuna comandò
-che dimostrasse sua virtù, mettendosi
-innanzi fra le terre del re di Francia ardendo
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-e predando, e facendo dimostranza di valorosi
-baroni contro a’ loro nemici.
-</p>
-
-<h3 id="cap85-5">CAP. LXXXV.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra cavalcò il reame
-fino ad Amiens.</i></span></h3>
-
-<p>
-Mandato ch’ebbe il re d’Inghilterra i detti
-baroni, catuno con grande compagnia di cavalieri
-e d’arcieri nel reame di Francia, egli in
-persona si mosse da Calese colla sua oste, e avviossi
-verso Parigi dov’era il re di Francia, e
-guastando le ville del paese con fuoco, facendo
-grandi prede se ne venne ad Amiens, e ivi
-s’arrestò alquanti dì. Ma vedendo che ’l soprastare
-gli era pericoloso per la gran cavalleria
-che ’l re di Francia apparecchiava contro a lui,
-e perchè i passi del suo ritorno erano da potere
-essere occupati, sopravvenendo la gente del re
-di Francia, a grave suo pericolo, come savio
-guerriere raccolse tutta la sua gente e tutta la
-preda ch’avea fatta, e senza contasto sano e
-salvo colla sua oste si tornò a Calese in dieci dì
-dalla sua mossa. Il conte di Lancastro entrò colla
-sua oste in Brettagna e cavalcò il paese, facendo
-danno assai e grandi prede, e stettevi più
-tempo: poi si raccolse colla sua oste, e con gran
-preda tornossi a salvamento.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap86-5">CAP. LXXXVI.
-<span class="smaller"><i>Della materia degl’Inghilesi medesima.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il valente prenze di Guales colla sua compagnia
-di tremila cavalieri e quattromila arcieri
-mosso da Calese, a gran giornate si mise in Tolosana,
-e trovando i paesi sprovveduti del suo
-subito avvenimento, fece in Tolosana molte
-grandi prede, e con fuoco guastò molto paese;
-e senza arrestarsi in Tolosana cavalcò a Carcasciona,
-e vinse e prese l’antica città di Carcasciona,
-fuori che la rocca della villa, ch’era un
-forte castello; e recato in preda ciò che potè fare
-portare, arse la maggior parte della villa, e
-cavalcò più innanzi in Bideurese, e arse e fece
-preda grande senza contasto, e della sua gente
-corse insino presso a Mompelieri a poche leghe,
-e dimostrava di voler venire insino a sant’Andrea
-dirimpetto a Avignone, il Rodano in
-mezzo, e forte se ne temette nella corte di Roma;
-ma il papa gli mandò a dire che non venisse
-più innanzi, e incontanente per ubbidire
-al santo padre si tornò addietro, essendo stato
-nuovo flagello di quel paese, che memoria non
-v’avea per i viventi a quel tempo ch’altra
-guerra gli avesse molestati. Il conestabile di
-Francia, ch’era allora messer Giacche figliuolo
-del duca di Borbona, giovane cavaliere e di
-gran cuore, avendo accolta assai gente d’arme,
-in compagnia del conte d’Armignacca, e del
-conte di Foci e di più altri baroni del paese,
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-sentendo tornare per quel paese il duca di Guales
-con tutta la preda, ch’era più di mille carrette
-cariche dell’avere de’ paesani, e più di
-cinquemila prigioni, si volle abboccare con gl’Inghilesi
-per combattere con loro per riscuotere
-la preda. Il conte d’Armignacca e gli altri baroni
-non vollono e non acconsentirono al conestabile,
-parendo loro avere disavvantaggio per
-la buona compagnia de’ franchi guerrieri ch’erano
-con il duca di Guales. Il giovane e franco
-barone ne prese sdegno, e cavalcò a Parigi e
-rifiutò l’uficio, e allora fu fatto conestabile il
-duca d’Atene conte di Brenna. Il valente duca
-di Guales intese a conducere la sua preda, ch’era
-oltre a modo grande, e sentendo i nemici appresso,
-come fu alla selva di Crugnì per maestria
-di guerra vi nascose una parte di sua gente in
-aguato, e i Franceschi vi mandarono ad imboscare,
-non sapendo degl’Inghilesi che v’erano,
-messer Astorgio di Duraforte con mille cavalieri,
-i quali entrando nella selva furono di subito assaliti
-dagl’Inghilesi che prima v’erano riposti, che
-poco sostennono, che furono sconfitti e sbarattati
-con loro danno, e d’allora innanzi non trovarono
-gl’Inghilesi contasto, e ricchi di preda, sani
-e salvi si tornarono a Bordello in Guascogna,
-del mese di novembre del detto anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap87-5">CAP. LXXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come morì il re Lodovico di Cicilia, e l’isola
-rimase in male stato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di novembre anno detto, Lodovico
-di Cicilia primogenito di don Pietro si
-morì molto giovane, e poco appresso di lui si
-morì il seguente suo fratello detto duca Giovanni,
-e de’ tre fratelli rimase Federigo il minore,
-il quale la setta de’ Catalani recarono appo loro,
-per potere sotto il titolo d’avere a governare il
-giovane, a cui s’appartenea il regno, aggiugnersi
-maggiore forza. Ma per questo l’altra setta degl’Italiani
-si feciono più strani contro al duca
-Federigo, e diventarono più animosi contro alla
-setta de’ Catalani. E per la detta maladizione di
-divisione e tempesta tanto intestina battaglia era
-nell’isola, che gli abitanti di catuna terra erano
-in fatica d’avere del pane per vivere, e consumavansi
-d’inopia e di carestia; e di questo seguitò
-poi grande novità nell’isola, come al suo
-tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap88-5">CAP. LXXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come in Napoli fu romore.</i></span></h3>
-
-<p>
-A’ Napoletani parendo essere gravati de’ danari
-pagati per la compagnia e d’alcune altre gravezze,
-del mese di novembre del detto anno,
-per mostrare la potenza e la franchigia di quella
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-città, tutti di concordia presono l’arme, e feciono
-armare tutti i forestieri mercatanti e artefici
-ch’erano nella città, e levarono il romore,
-gridando: Viva la reina, e muoia il suo consiglio.
-E di questo tumulto seguitò solamente, che la
-misura del sale fu alcuna cosa consentita loro
-migliore mercato: convenevole prezzo di cotanto
-movimento, non volendosi francare dell’antica
-consuetudine della loro natura, che
-come sono pieni di furore per ambizioso vento,
-così poco mantengono l’ira, che li riduce a pace.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-</p>
-
-<h2 id="libro6">LIBRO SESTO</h2>
-</div>
-
-<h3 id="cap1-6">CAPITOLO PRIMO.
-<span class="smaller"><i>Il Prologo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Perocchè ’l sesto libro del nostro trattato nuova
-e non pensata materia di guerra nel suo principio
-con seguito di gran cose in breve tempo
-ci apparecchia, ci fa pensare come e quanto lo stato
-della tirannesca signoria è pieno d’aguati e
-di calamitosa vita. Le loro scellerate operazioni
-sempre combattono e spesso abbattono le virtù
-de’ buoni: i loro diletti sono dissimiglianti a’ buoni
-costumi: per loro s’abbattono le ricchezze
-de’ sudditi; nimicano gli uomini che crescono
-nella loro giurisdizione in magnanimità e in
-senno; assottigliano con incarichi la sustanza
-de’ popoli: la loro sfrenata libidine non prende
-saziamento dal fatto, ma quanto il piacere della
-vista richiede, tanta in fatto a’ sudditi contro
-all’onesto debito conviene sostenere e patire. Ma
-perocchè in queste e molte altre maligne operazioni
-le violenti tirannie si manifestano, non
-richieggiono da noi nuovo raccontamento. Ma
-traendone una parte assai strana nell’apparenza
-e assai dimestica nel fatto, qual’è più maravigliosa
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-vista, guardando nella tirannesca gloria, a
-vedere antichi e nobili principi naturali ubbidienti
-a’ tiranneschi servigi, e uomini d’alti lignaggi
-e d’antica nobiltà usare le mense di coloro,
-e prendere le loro provvisioni? Ma se guardare
-vogliamo l’uscimento delle cose, quella gloria
-spesso si converte in calamitosa miseria. Chi la
-può disegnare maggiore? che i tiranni medesimi
-non sanno nè possono in alcuno riposare la
-loro fede, ed eglino al continovo aspettano il cadimento
-del tiranno, e lievemente si dispongono
-e accordano alla loro distruzione, non ostante le
-sopraddette cose. E questo non si trova avvenire
-nelle reali e naturali signorie, perocch’e’ loro fatti
-ne’ sudditi, e nelle loro virtù e cose son contrarie
-a’ tiranni. Dunque come le tirannie si criano, com’elle
-esaltando si fortificano e crescono, così
-in esse si nutrica e nasconde la materia della loro
-confusione e ruina. Certo intra l’altre questa
-è grandissima miseria de’ tiranni: e perocchè al
-presente ci occorre alcuna cosa di ciò manifestare
-in fatto non di lieve movimento, come seguirà
-appresso nostro volume, basti narrando quella
-avere fatto certa prova al nostro proponimento.
-</p>
-
-<h3 id="cap2-6">CAP. II.
-<span class="smaller"><i>Come nacque briga da’ Visconti e que’ di
-Pavia e di Monferrato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Certa cosa è, che il marchese di Monferrato
-per vicinanza e per larghe provvisioni de’ tiranni
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-di Milano, e i signori da Beccheria di Pavia
-parenti stretti e dimestichi della loro mensa,
-per lunghi tempi uniti colla casa de’ Visconti signori
-di Milano, e nelle loro guerre stati i principali
-aiutatori, e in questo tempo valicando Carlo
-d’Osteric re de’ Romani in Lombardia, come
-già è detto, il marchese, non ostante ch’e’ fosse
-soggetto all’imperio, venne a Milano per dare
-aiuto e favore a’ signori con seicento cavalieri
-di buona gente d’arme, e que’ da Beccheria anche
-vi mandarono loro sforzo. Avvenne, che un
-dì essendo il marchese in Piacenza in compagnia
-di messer Maffiolo Visconti, ch’allora vivea,
-un suo scudiere andò in cucina al cuoco di messer
-Maffiolo per un tagliere di vivanda: il cuoco
-villanamente gliel contradicea: lo scudiere
-sdegnoso diede una gotata al cuoco, e portonne
-la vivanda; il cuoco di presente se n’andò a
-dolere a messer Maffiolo suo signore. Il tiranno
-mosso a furore non considerò suo onore, nè quello
-di tant’uomo quant’era il marchese, e senza
-dirli alcuna cosa, avendolo in sua compagnia,
-fece prendere lo scudiere, e in quell’istante tagliarli
-la mano; della qual cosa il marchese fu
-molto turbato, ma ritenne con virtù nel petto
-il grave sdegno. Questo li rinnovò nella mente
-certo oltraggio che la famiglia di messer Galeazzo
-Visconti per maggioranza avea fatto alla
-sua gente che vicinavano con sue terre, la quale
-cosa con senno avea trapassata insino allora.
-E ancora di nuovo sentiva, come al continovo
-per nuovi dispetti la gente di messer Galeazzo oltraggiava
-i detti sudditi che vicinavano con loro,
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-e il signore il sentiva, e vedea l’onore che ’l marchese
-facea alla loro signoria, e per arrogante
-maggioranza mostrava d’esserne contento; onde
-turbato il marchese, cambiò l’animo, ed
-essendo con quelli da Beccheria una cosa, s’intesono
-insieme, essendo l’imperadore futuro a
-Mantova, e ancora, con lui s’intesono in segreto.
-E trattando l’imperadore co’ signori di Milano
-di volere prendere la corona a Moncia, sentirono
-i Visconti, che se non s’accordavano con lui,
-che quelli da Beccheria erano acconci di riceverlo
-in Pavia; onde i signori concepettono
-contro a loro; per la qual cosa poterono comprendere,
-che partito l’imperadore, a loro converrebbe
-mutare stato. E tornando l’imperadore
-coronato da Moncia in Milano, i signori feciono
-molti cavalieri, e in questo stante il marchese
-cavalcò subito a Pavia, e menò seco due di
-quelli da Beccheria e feceli fare cavalieri all’imperadore,
-e questo accrebbe l’izza e la malavoglia
-a’ tiranni. Poi partito l’imperadore il marchese
-se n’andò via, e quelli da Beccheria rimasono
-in gran sospetto de’ signori di Milano,
-e stavanne in più guardia che non soleano. E
-dalle sopraddette cose seguitarono le ribellioni
-e le nuove guerre che appresso seguirono a’ signori
-di Milano, come seguendo nostro trattato
-per li tempi racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap3-6">CAP. III.
-<span class="smaller"><i>Come si rubellarono terre di Piemonte.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il marchese di Monferrato avendo ordinato
-co’ signori di Pavia che si fortificassono di gente
-e di buona guardia, acciocchè i tiranni vicini
-non li potessono improvviso sorprendere, tornato
-nelle sue terre, procacciò aiuto di gente d’arme
-da certi baroni tedeschi di sua amistà, e con suoi
-trattati (ch’era molto amato da quelli del Piemonte
-e dalla sua gente) trovandosi forte di cavalieri
-e favoreggiato dall’imperadore, del mese
-di dicembre, gli anni di Cristo 1355, fece
-rubellare nel Piemonte a messer Galeazzo de’ Visconti
-di Milano Chieri e Carasco; e poco appresso
-del mese di gennaio fece rubellare al detto
-tiranno la ricca terra d’Asti, e appresso Albi,
-Valenza, e Tortona, e più altre terre del Piemonte,
-e tutti i popoli di quelle d’un animo, con
-ordine di mantenere la difesa, feciono loro capitano
-il detto marchese. Messer Galeazzo vi mandò
-incontanente molta gente d’arme a cavallo e
-a piè credendo ricoverare delle terre; il marchese
-era provveduto di buona gente, e coll’aiuto de’ Piemontesi
-si fece loro incontro alle frontiere, e in
-alcuni abboccamenti fece vergogna alla gente di
-messer Galeazzo, e difese bene i Piemontesi.
-Allora quelli da Beccheria, ch’erano confederati
-nella amistà e compagnia del marchese, non si
-poterono più coprire, e però in aperto si fortificarono
-di gente e d’altre cose, aspettando l’impeto
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-dell’ira e della forza de’ tiranni contro a
-loro, non dimostrando però di volere essere i movitori
-della guerra, ma apparecchiati alla difesa.
-Lasceremo alquanto questa materia per raccontare
-al suo tempo con più chiarezza le cose che ne
-seguitarono, e diremo degli altri fatti che prima
-occorrono alla nostra materia.
-</p>
-
-<h3 id="cap4-6">CAP. IV.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini feciono lega contro
-la compagnia.</i></span></h3>
-
-<p>
-E’ m’incresce di scrivere quello ch’ora seguita,
-perocchè ’l nostro comune delle leghe e delle
-compagnie c’ha usato di fare co’ comuni di
-Toscana, al bisogno sempre s’è trovato ingannato,
-nondimeno il fatto narreremo. Sentendosi
-già per tutta Italia che ’l conte di Lando colla
-compagnia ch’aveva nel Regno era per venire
-al primo tempo nella Marca, e valicare in Toscana,
-i Fiorentini volendo riparare ch’ella non
-facesse ricomperare i comuni di Toscana, mandarono
-a Perugia, e a Pisa, e a Siena, e all’altre
-minori comuni di Toscana, richieggendo i detti
-comuni, che per beneficio di tutti parea loro di fare
-una lega e una taglia di duemila cavalieri il meno,
-i quali fossono al tempo apparecchiati interi
-e cavalcanti al servigio della detta lega contro
-alla compagnia, o a chi venisse a fare guerra sopra
-alcuna città di quelle della lega. E a ciò feciono
-muovere i detti comuni per loro ambasciadori,
-e durò il trattato lungamente, sturbandolo i Sanesi
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-per l’izza ch’aveano presa co’ Perugini
-per l’impresa di Montepulciano; in fine, essendo
-la cosa cominciata al principio di gennaio, del
-mese di febbraio del detto anno ebbe compimento
-in questo modo tra’ Fiorentini, e’ Pisani, e’ Perugini:
-che la lega dovesse durare tre anni,
-e la taglia fosse di milleottocento cavalieri,
-ottocento de’ Fiorentini, cinquecentocinquanta
-de’ Pisani, e quattrocentocinquanta de’ Perugini;
-con patto ch’e’ Sanesi vi potessono entrare colla
-loro parte della taglia de’ cavalieri, e che del
-mese d’aprile fossono pagati e apparecchiati, e che
-l’uno comune dovesse fare rassegnare i cavalieri
-dell’altro. La lega fu ferma e fatta, l’effetto
-che ne seguitò fa manifesto quello che poco innanzi
-n’avemo detto.
-</p>
-
-<h3 id="cap5-6">CAP. V.
-<span class="smaller"><i>Come gli Scotti presono Vervic.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo tornato il re d’Inghilterra a Calese
-dalla cavalcata ch’avea fatta ad Amiens, come
-poco innanzi abbiamo detto, i baroni di Scozia
-sentendo il re, e i figliuoli, e’ baroni, e tutta
-la forza del re d’Inghilterra valicati nel reame
-di Francia, e cominciatovi grande guerra,
-non ostante che il loro re vi fosse in prigione,
-prestamente accolsono molta gente d’arme
-a cavallo e a piè, e improvviso agl’Inghilesi
-se ne vennono a Vervic, grande e forte terra
-degl’Inghilesi, situata agli stremi de’ confini
-di Scozia; e giugnendo alla città sprovveduta,
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-per forza v’entrarono dentro e presono la
-terra, ma il castello del re che v’era forte e bene
-guernito non poterono avere; ma com’ebbono
-presa la terra, la lasciarono guernita di loro
-gente, e per savia provvisione con tutta loro
-oste si misono innanzi, e presono una montagna
-onde il soccorso degl’Inghilesi potea venire
-alla terra, e non d’altra parte, e ivi s’accamparono
-per contradire agl’Inghilesi il passo.
-Era in que’ dì il conte di Lancastro già tornato
-in Inghilterra, il quale di presente cavalcò nel
-paese colla sua gente, ma non ebbe podere di
-levare gli Scotti dal passo. Il re Adoardo sentendo
-la novella degli Scotti, incontanente valicò
-nell’isola con quella gente che subitamente potè
-muovere, e senza arresto se n’andò contro
-a’ nemici che teneano il passo della montagna,
-e aggiuntosi il conte di Lancastro colla sua gente,
-non ostante che grande fosse il loro disavvantaggio
-ad avere a combattere i nemici all’erta,
-colla sua persona si mise innanzi, e diede tanto
-conforto a’ suoi, ricordando loro le vittorie avute
-sopra gli Scotti e la loro viltà, che con tanto ardore
-d’animo, e con tanto duro assalto d’ogni
-parte li percossono, che per forza li ributtarono
-della montagna; e senza avere cuore di rifare
-testa alla terra ch’aveano presa l’abbandonarono
-in tanta fretta, che la preda ch’aveano
-accolta non ne portarono, e assai de’ loro Scotti
-vi lasciarono morti e presi per ricordanza. E
-questo fu del mese di gennaio del detto anno.
-Allora fece il re racconciare la terra, e fornire
-di miglior guardia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap6-6">CAP. VI.
-<span class="smaller"><i>D’un trattato fatto per racquistare Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Bernabò de’ Visconti di Milano avendo
-la mente attenta a trovar modo di racquistare
-Bologna, e di vendicarsi di messer Giovanni
-da Oleggio; quanto che per l’accordo
-fatto si dimostrasse amico, diede boce e dimostrò
-manifesto segno di volere guerreggiare in
-sul Ferrarese; e mandò messer Arrigo figliuolo
-di Castruccio che fu tiranno di Lucca in Romagna,
-a conducere al suo soldo mille barbute
-della compagnia ch’allora era nel paese,
-il quale avea caparrati i conestabili, e intesosi
-secondo il segreto a lui commesso da messer
-Bernabò col capitano di Forlì, e col signore di
-Ravenna, e con alquanti degli Ubaldini in cui
-si confidava, e ancora s’intendea col podestà di
-Bologna, ch’avea nome messer Ramondo de’ Ramondi
-di Parma, ed erano in questo trattato
-certi caporali di quelli da Pagano, e altri Bolognesi
-confidenti di messer Bernabò. Il modo era,
-che la forza del tiranno dovea venire da Milano
-sul Ferrarese secondo la palese boce, e già era
-messer Bernabò venuto in persona a Parma con
-duemila cavalieri, e come messer Bernabò fosse
-in sul Ferrarese, messer Arrigo di Castruccio
-co’ cavalieri condotti di Romagna, e coll’aiuto
-de’ Romagnuoli e degli Ubaldini, essendo provveduti
-e apparecchiati, doveano il dì nominato,
-essendo messer Bernabò in sul Ferrarese, valicare
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-sopra Bologna da quella parte, e messer Arrigo
-colla sua compagnia venire dall’altra, e
-allora il podestà, e que’ da Pagano con gli altri
-Bolognesi confidenti doveano levare il romore
-nella città, e con loro quattordici conestabili di
-cavalieri che tenevano a questo trattato; e costoro,
-ch’erano soldati di messer Giovanni, nel
-romore doveano trarre a lui, e ucciderlo se potessono,
-e se non, si doveano strignere dall’una
-parte della città, e aprire e spezzare la porta,
-e mettervi dentro quella gente di fuori che più
-avessono di presso. Questo trattato era segreto
-per li palesi verisimili della vicina impresa della
-guerra di Ferrara, alla quale il marchese prendea
-ogni riparo che potea; ma come fu piacere
-di Dio, per lo meno male, la cosa fu rivelata per
-strano e non pensato modo come appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap7-6">CAP. VII.
-<span class="smaller"><i>Come si scoperse il trattato di Bologna,
-e fevvisi giustizia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In Bologna era tornato di Romagna messer
-Arrigo di Castruccio, avendo fornito e messo
-in punto ciò che gli era stato commesso, e ivi
-era venuto per intendersi con gli altri traditori.
-Avvenne, che, all’entrata del mese di Febbraio
-del detto anno, Francesco de’ Roaldi di Bologna,
-grande cittadino e molto confidente di messer
-Giovanni da Oleggio, tanto ch’al continovo ricevea
-provvisione da lui, essendo in questo trattato,
-confidandosi nel suo senno, volendosi sgravare
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-della sua provvisione, se n’andò a messer
-Giovanni, e per me’ coprire quello che sentiva
-in sè, disse: Signor mio, pigliate ne’ vostri fatti
-buona guardia, perocch’io sento che molti uomini,
-e oltre al modo usato, sono venuti della
-montagna nella città in questi giorni; e a dirli
-questo il movea la tenerezza ch’avea nell’animo
-del suo stato e onore, per lo beneficio ch’avea
-ricevuto e ricevea da lui. Il tiranno il commendò
-di questo fatto, e ringrazionnelo assai, e dopo
-questo confortò della buona guardia. Messer
-Francesco entrando in altra materia disse a messer
-Giovanni: Signor mio, io vi prego che vi
-piaccia di darmi licenza, ch’io possa prendere
-altrove mio vantaggio, perocchè della provvisione
-ch’io ho da voi non posso comportare la
-vita mia a onore. Il tiranno si maravigliò di questo,
-perocchè gli avea assegnate grandi provvisioni
-e altri gaggi, e ricordogli le dette cose, e ancora
-li promettea al tempo maggiori, e nondimeno
-messer Francesco pure gli domandava licenza.
-Il tiranno gli disse, che si ripensasse, e poi tornasse
-a lui; e a tanto si partì messer Francesco.
-Messer Giovanni mandò incontanente alle porti,
-e fece sapere chi a que’ giorni vi fosse entrato
-oltre all’usato modo, e trovò che non v’erano
-entrati contadini nè altra gente oltre al modo
-usato, e così se n’erano usciti. E per questo cominciò
-a maravigliarsi più del movimento di
-messer Francesco de’ Roaldi, e sospicciando mandò
-per lui; e quando l’ebbe seco, il tiranno
-finse di sapere che sentisse contro a lui alcuno
-trattato. Il savio cavaliere veggendosi preso
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-dall’astuzia, pensò che senza grave tormento
-non potea passare mettendosi al niego, e però di
-cheto gli confessò e manifestò tutto il trattato. Il
-tiranno senza arresto mandò per lo potestà, e per
-messer Arrigo di Castruccio ch’era in Bologna, e
-per que’ caporali da Pagano, e a avuti costoro disse,
-e a certi degli Ubaldini ch’era no in quel servigio,
-ch’e’ perdonava loro per vicinanza e per
-molti servigi ch’avea ricevuti da quella casa,
-ma comandò loro che incontanente si dovessono
-partire, e così fu fatto. E abboccando messer
-Giovanni i traditori insieme, fu da loro al tutto
-chiaro del trattato sopraddetto: e a dì 12 di
-febbraio, non trovando il tiranno chi volesse fare
-la condannagione nè l’esecuzione, fece podestà
-messer Tassino de’ Donati rubello di Firenze;
-costui li condannò; e Sinibaldo di messer
-Amerigo Donati di Firenze, allora in bando e al
-soldo del tiranno, con dugento fanti tutti armati
-a corazze fece tagliare la testa a messer Arrigo,
-figliuolo che fu di Castruccio signore di Lucca
-e di Pisa, e a messer Bernardo e a Galeotto da
-Pagano, e a messer Ramondo Ramondi da Parma
-podestà di Bologna, e a Francesco de’ Roaldi di
-Bologna; e appresso, a dì 20 del detto mese, ne
-furono decapitati diciassette tra conestabili de’ soldati
-e famigli de’ traditori. E fatto questo, messer
-Giovanni rimase in maggior paura, e in gran
-sospetto di messer Bernabò di Milano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap8-6">CAP. VIII.
-<span class="smaller"><i>Come il signore di Bologna fece lega.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era insino a qui messer Giovanni da Oleggio,
-poichè avea fatta la pace e la concordia con
-messer Bernabò, stato in fede ne’ suoi servigi, e
-intesosi con lui e ricevuto in Bologna le sue podestà,
-e attendea dopo la sua morte lasciarli Bologna,
-come gli avea promesso, ma vedendo questo
-mortale trattato contro a sè, non pensò potersi
-mai più fidare de’ signori di Milano, e conobbe,
-che a volersi meglio potere guardare gli
-convenia essere loro mortale nemico, e però incontanente
-si rifornì di nuove masnade di cavalieri
-e di masnadieri. Ed essendo in guerra il signore
-di Mantova e il marchese di Ferrara col
-Biscione, ch’allora era così chiamata la tirannia
-di Milano per la loro arme, si collegò con
-loro, e promise d’essere sempre contro alla casa
-de’ Visconti di Milano, e mandò la sua gente
-a fare loro guerra con gli altri collegati.
-</p>
-
-<h3 id="cap9-6">CAP. IX.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste del Biscione ch’era a Reggio
-si levò in isconfitta.</i></span></h3>
-
-<p>
-A Reggio era stata lungamente l’oste de’ signori
-di Milano in una forte bastita presso alla
-terra, nella quale avea ottocento cavalieri e
-grande popolo, e in quel tempo vi s’aspettava il
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-fornimento della vittuaglia da Parma con grande
-scorta. Il marchese di Ferrara, e quegli di Mantova,
-e ’l signore di Bologna sentendo quell’apparecchio,
-accolsono loro gente per impedire la
-scorta a loro podere; e avendo a Modena seicento
-barbute e cinquecento masnadieri, il signore
-di Bologna n’aggiunse dugento cavalieri e cinquanta
-masnadieri; e avendo lingua come la
-vittuaglia in dugento carra colla scorta dovea
-l’altro dì venire alla bastita, cavalcarono la notte
-per modo, che essendo giunta l’altra parte alla
-bastita, e messavi la roba, tornandosene senza sospetto,
-costoro li assalirono sprovveduti, i quali
-non feciono retta, e quasi tutti furono presi,
-i buoi e le carra in preda. E avuta subitamente
-questa vittoria, con grandi grida e con maggiore
-baldanza percossono alla bastita dalla parte di
-fuori; e quelli di Reggio ch’aveano veduta la vittoria
-della loro gente francamente li assalirono
-dalla parte d’entro, e combattendo la bastita d’ogni
-parte, in fine per forza v’entrarono dentro, ed
-ebbono a prigioni i cavalieri e’ masnadieri che
-quella guardavano, e pochi ne poterono campare;
-e messa la vittuaglia e l’arme, e tutti i prigioni
-guadagnati in Reggio, arsono in tutto la bastita:
-e riposati alcuno dì la gente in Reggio,
-cavalcarono infino a Parma, e valicarono quella
-facendo grandi prede e danno a’ paesani: e del
-mese di febbraio del detto anno, con grande onore
-e ricca preda, in vergogna de’ tiranni di Milano,
-si ritornò catuna gente a’ suoi signori senza
-trovare alcuno contasto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap10-6">CAP. X.
-<span class="smaller"><i>Come i Chiaravallesi di Todi tenevano
-trattato col prefetto.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di febbraio del detto anno, i Chiaravallesi
-di Todi per provvisione del comune tornarono
-a’ loro beni, e potendo colle loro persone
-usare la cittadinanza, cercavano, come mal contenti,
-trattato col prefetto di Roma di metterlo
-in Todi per farlone signore; e non potendo menare
-eglino questo perchè erano sospetti, il feciono
-menare a un messer Andrea giudice di Todi
-loro confidente. Il trattato si scoperse, e al giudice
-fu tagliata la testa. I Chiaravallesi avvedendosi
-che il comune di Todi per questo prendea
-di loro maggiore sospetto, temendo di non essere
-corsi un dì a furore, da capo uscendo della città,
-presono il castello di Toscina l’aprile seguente, e
-rubellaronlo al comune.
-</p>
-
-<h3 id="cap11-6">CAP. XI.
-<span class="smaller"><i>Come morì messer Pietro Sacconi de’ Tarlati.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo messer Pietro Sacconi de’ Tarlati
-d’Arezzo in età decrepita intorno al centinaio
-degli anni, e malato a morte, in questi dì si disse
-pubblico, ch’e’ pensò di non volere morire
-che non ordinasse prima alcuno nobile fatto
-del suo antico mestiere: e ordinò con Marco
-suo figliuolo, dicendo: Ora, che si crede che tu
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-sia imbrigato intorno alla mia malattia, e che
-altri non prenderà guardia di te, procaccia di furare
-Gressa al vescovo d’Arezzo e agli Ubertini.
-Il figliuolo ubbidì al consiglio del padre, e molto
-segretamente accolse gente, e di furto entrò nel
-castello di Gressa, ma essendovi gli Ubertini forti,
-per forza ne lo pinsono fuori; e forse per dolore
-che messer Pietro n’ebbe s’avacciò la sua
-dispettosa e non contenta morte, lasciando nuova
-guerra tra’ suoi Tarlati e gli Ubertini per questo
-furto. Pro’ e valente uomo fu e avvisato, in
-fatti di guerra, ma più in operazioni di trattati,
-e di furti e di subite cavalcate, che in campo o
-in aperta guerra; e’ fu fortunato contro agli altri
-suoi nemici, e infortunato contro al comune
-di Firenze, e per animosità di parte ghibellina
-non seppe tener fede.
-</p>
-
-<h3 id="cap12-6">CAP. XII.
-<span class="smaller"><i>Come scurò tutto il corpo della luna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Martedì notte alle ore quattro, a dì 16 di febbraio
-anno 1355, cominciò la scurazione della
-luna nel segno dell’Aquario, e alle cinque ore e
-mezzo fu tutta scurata, e bene dello spazio d’un’altra
-ora si penò a liberare. E non sapendo noi
-per astrologia di sua inflenza, considerammo
-gli effetti di questo seguente anno, e vedemmo
-continovamente infino a mezzo aprile serenissimo
-cielo, e appresso continove acque oltre all’usato
-modo il rimanente d’aprile e tutto il mese
-di maggio, e appresso continovi secchi e stemperati
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-caldi insino a mezzo ottobre. E in questi
-tempi estivali e autunnali furono generali infezioni,
-e in molte parti malattie di febbri e altri
-stemperamenti di corpi umani, e singularmente
-malattie di ventre e di pondi con lungo duramento.
-Ancora avvenne in quest’anno un disusato
-accidente agli uomini, e cominciossi in Calavria a
-Fiume freddo e scorse fino a Gaeta, e chiamavano
-questo accidente male arrabbiato. L’effetto
-mostrava mancamento di celabro con cadimenti
-di capogirli con diversi dibattimenti, e mordeano
-come cani e percoteansi pericolosamente,
-e assai se ne morivano, ma chi era provveduto e
-atato guariva. E fu nel detto anno mortalità di
-bestie dimestiche grande. E in quest’anno medesimo
-furono in Fiandra, e in Francia e in Italia
-molte grandi e diverse battaglie, e nuovi movimenti
-di guerre e di signorie, come leggendo si
-potrà trovare. E nel detto anno fu singulare buona
-e gran ricolta di pane, e più vino non si sperava,
-perchè un freddo d’aprile l’uve già nate seccò
-e arse, e da capo molte ne rinacquono e condussonsi
-a bene, cosa assai strana. E da mezzo ottobre
-a calen di gennaio furono acque contino ve
-con gravi diluvi, e perdessene il terzo della sementa,
-ma il gennaio vegnente fu sì bel tempo, che
-la perduta sementa si racquistò. I frutti degli
-alberi dimestichi tutti si perderono in quest’anno.
-Non ne avremmo stesa questa memoria se
-la scurazione predetta non vi ci avesse indotto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap13-6">CAP. XIII.
-<span class="smaller"><i>Come la gran compagnia presono Venosa.</i></span></h3>
-
-<p>
-La compagnia del conte di Lando ch’avea
-avuta la prima paga dal re Luigi, e dovea attendere
-l’altre paghe in Puglia senza far danno
-a’ paesani, vernava di là, e non faceva guerra;
-ma la fede, vedendosi il destro, non seppe per
-promessa o saramento ch’avessono fatto osservare:
-e però entrarono in Rapolla, e presa la terra
-la spogliarono d’ogni sustanza, e consumarono
-colle persone e co’ cavalli ciò che da vivere vi
-trovarono; e appresso, del mese di febbraio predetto,
-per aguato di furto presono la città di
-Venosa, e fecionne il simigliante. E questa è la
-fede delle compagnie, che ogni cosa fanno licito
-alla corrotta volontà della preda, e però è folle
-chi alle loro promissioni si fida.
-</p>
-
-<h3 id="cap14-6">CAP. XIV.
-<span class="smaller"><i>Come il legato bandì la croce contro
-al capitano di Forlì.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo tempo del verno, messer Gilio cardinale
-di Spagna legato di santa Chiesa, avendo
-prosperamente racquistato a santa Chiesa il Patrimonio,
-la Marca d’Ancona, e ’l ducato di Spoleto,
-e la maggior parte della Romagna, restavagli
-a racquistare Forlì e Faenza, e le terre
-vicine e de’ loro distretti, le quali tenevano occupate
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-per loro tirannie Francesco degli Ordilaffi
-capitano di Forlì, e messer Giovanni di
-messer Ricciardo Manfredi; e non trovando il
-detto legato concordia con loro, ordinò contro
-a’ detti suo processo, e seguitollo fino alla sentenza,
-perocchè tornare non vollono all’ubbidienza.
-E pubblicata per Italia la loro dannazione,
-e fattili scomunicare, avendo dal papa lettere
-d’indulgenza con piena remissione de’ peccati
-e della pena a chi fosse contrito e confesso,
-fece bandire la croce contro Francesco Ordilaffi
-tiranno di Forlì, e di Forlimpopoli e di
-Cesena, e contro a Giovanni e Rinieri de’ Manfredi
-tiranni di Faenza, condannati per eretichi
-e ribelli di santa Chiesa, potendo il cavaliere
-e il pedone partecipare in due anni il servigio
-d’un anno in arme contro a loro. Ordinati furono
-i predicatori, e’ collettori delle provincie
-e delle città, e incontanente l’avarizia de’ cherici
-cominciò a fare l’uficio suo, e allargarono
-colla predicazione l’indulgenza oltre alla commissione
-del papa, e cominciarono a non rifiutare
-danaio da ogni maniera di gente, compensando
-i peccati e i voti d’ogni ragione con danari
-assai o pochi come gli poteano attrarre; e
-per non mancare alla loro avarizia, sommoveano
-nelle città e ne’ castelli e nelle ville ogni
-femminella, ogni povero che non avea danari,
-e dare panni lini e lani, e masserizie, grani e
-biada, niuna cosa rifiutavano, ingannando la
-gente con allargare colle parole quello che non
-portava la loro commissione; e così davano la
-croce, e spogliavano le ville e le castella più che
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-non poteano fare le città, ma nelle città le donne
-e le femmine valicavano tutta l’altra gente,
-e per questa maniera davano la croce: e ’l termine
-della guerra cominciava in calen di maggio
-gli anni 1356. Della città di Firenze e del contado
-un frate de’ Romitani vescovo di Narni
-trasse grandissimo tesoro, del quale non potendo
-il cardinale avere diritto conto, lungo tempo
-tenne in prigione il detto vescovo in un suo castello
-nella Marca, guardato alle spese del detto
-vescovo.
-</p>
-
-<h3 id="cap15-6">CAP. XV.
-<span class="smaller"><i>Come il conte Paffetta fu da’ Pisani
-messo in prigione.</i></span></h3>
-
-<p>
-Egli è assai utile cosa agli uomini considerare
-contro alla malizia e alla superbia de’ grandi
-cittadini, quando possono far male e abbattere
-gli altri, ch’e’ medesimi sono sottoposti a
-quella medesima calamità e fortuna; ma provarlo
-per esperienza gli ne fa più certi, e a quelli
-c’hanno a venire ne rimane migliore esempio.
-Detto abbiamo come la malizia di messer Paffetta
-conte di Montescudaio cittadino di Pisa,
-colla perversa operazione fece morire e cacciare
-i Gambacorti di Pisa, e sè fece il maggiore di
-quella città; avvenne che gli altri cittadini, cui
-egli avea rimessi al governamento del comune,
-parendo loro che messer Paffetta fosse troppo
-grande, si legarono e feciono setta contro a lui
-segretamente, e un dì, essendo messer Paffetta
-andato agli anziani, come ordinato era, gli anziani
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-mandarono di subito a fare pigliare certi
-cittadini caporali della sua setta e stretti suoi
-confidenti, e altri di suo seguito intorno di cinquanta,
-e di presente li mandarono a’ confini,
-facendoli uscire della città, e messer Paffetta
-con alcuno altro mandarono in prigione nell’Agosta
-a Lucca; e messolo in carcere sotto buona
-guardia, rivocarono i confini agli altri e fecionli
-ritornare, senza fare altra novità o mutazione
-di loro stato. Parve a tutti rimanere più
-sicuri, e in migliore essere nella cittadinanza,
-che in prima; e questo fu all’entrata del mese
-d’aprile, e ancora non era compiuto l’anno
-ch’egli avea abbattuti i Gambacorti e gli altri
-buoni cittadini di Pisa. Era in Pisa il vicario sostituto
-del vicario dell’imperadore, il quale consentì
-a tutto, essendoli fatto intendere che messer
-Paffetta volea con certo trattato dare Pisa a’ signori
-di Milano: grande loro amico era, ma altro
-vero non se ne potè trovare; e stato alquanto
-in prigione, per tema che l’imperadore non lo ne
-facesse trarre, o i signori di Milano, di veleno, o
-d’altra violente morte, celatamente lo feciono
-morire in prigione.
-</p>
-
-<h3 id="cap16-6">CAP. XVI.
-<span class="smaller"><i>Come gli Aretini riposono certe fortezze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Gli Aretini sentendo morto messer Piero Sacconi
-de’ Tarlati loro nemico, il quale lungo
-tempo gli avea tenuti in guerra e in gran paura,
-contro al quale non s’ardivano a muovere vivendo,
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-incontanente dopo la sua morte, del detto
-mese di febbraio del detto anno, uscirono a
-oste, e riposono una tenuta contro al castello di
-Gaerina, e un’altra contro a Bibbiena, e una
-sopra Pietramala, e tanto stettono a campo, che
-tutte e tre furono fortificate e fornite, acciocchè
-i Tarlati non potessono correre sopra loro a loro
-volontà, com’erano usati di fare. E per la baldanza
-presa per la morte d’un decrepito vecchio, non
-avendo avuto ardire di farlo a sua vita, ordinarono
-tra nella città e nel contado tremila uomini
-a corazze, e trecento balestrieri e centocinquanta
-barbute, per potere mantenere il loro
-contado più sicuro, e guerreggiare i nemici. Abbianne
-fatta memoria per una cosa assai nuova,
-considerando che un uomo vecchio tenesse in freno
-e in paura così antica e gran città, che non pensavano
-in fatti di guerra potere resistere alla sua
-persona.
-</p>
-
-<h3 id="cap17-6">CAP. XVII.
-<span class="smaller"><i>Di nuove rivolture della gran compagnia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando la compagnia del conte di Lando a vernare
-in Puglia con grande abbondanza d’ogni
-bene da vivere, aspettando dal re Luigi la moneta
-promessa, per lo patto ch’avea di doversi partire
-al maggio prossimo e uscire del regno, una
-parte di loro con certi conestabili intorno di
-cinquecento barbute, contentandosi male d’aversi
-a partire del paese, senza tenere promessa al re
-o fede all’altra compagnia si rubellarono da essa,
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-e accostati al conte di Minerbino detto Paladino,
-se n’andarono per sua condotta in terra d’Otranto,
-ove per lunghi tempi passati non era sentita
-guerra, e di presente presono due castella nel
-paese piene di molta vittuaglia, e preda quanta
-ne poterono guardare di bestiame grosso e minuto,
-del quale poterono avere l’uso, ma non danari.
-Il conte di Lando si dolse al re Luigi del
-tradimento fatto per costoro, e offerse sè e l’altra
-compagnia al servigio del re contro a que’ ribelli,
-e contro a tutti i baroni che non volessono
-ubbidire alla corona. Il re, e il suo consiglio, e il
-gran siniscalco, credendosi fare meno male, accettarono
-la profferta, e una parte della compagnia
-con certa condotta de’ suoi uficiali mandò in Abruzzi
-per fare ubbidire alquanti comuni e baroni,
-i quali così rubavano e predavano il paese come
-se fossono nel servigio della compagnia e non
-in quello del re, e tanto più sicuramente, perchè
-niuno s’era provveduto contro a loro: e quelli ch’erano
-rimasi col conte di Lando volevano pur vivere
-largo all’altrui spese. E così nella concordia,
-come nella guerra, erano d’ogni parte i
-regnicoli mal trattati.
-</p>
-
-<h3 id="cap18-6">CAP. XVIII.
-<span class="smaller"><i>Di grandi gravezze fatte dal re di Francia
-nel suo reame.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo verno, vedendosi il re di Francia la
-guerra degl’Inghilesi addosso, e spogliare da’ forestieri
-il reame, come già abbiamo narrato, pensando
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-avere a moltiplicare la spesa, oltre alle
-colte de’ feudi delle città del reame e de’ baroni,
-e oltre alle gravezze dell’usate reve, e del gran
-danno fatto a’ sudditi del reame di cambiare le
-buone monete d’oro e d’argento in ree contro
-all’usanza di quel regno, ordinò, e pose per modo
-di gabelle, ch’ogni mercatanzia che si comperasse
-o vendesse nel reame dovesse pagare agli uficiali
-ordinati sopra ciò danari otto per catuna lira.
-La qual cosa gravò tanto i mercatanti, che abbandonarono
-in gran parte il reame e il trafficare
-in quello, e quasi tutto il peso rimase a’ baroni
-e a’ paesani, della qual gravezza forte si conturbarono
-inverso il loro signore, e desideravano il
-suo male; e alquante città per questa cagione si
-recarono a reggere per loro, e non voleano ricevere
-gli esecutori e gli uficiali del re di Francia,
-come per innanzi leggendo si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap19-6">CAP. XIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani facevano simulata guerra.</i></span></h3>
-
-<p>
-La materia ch’ora seguita non era degna di
-memoria per lo fatto, ch’assai fu lieve, ma il
-modo, c’ha poi generate più gravi cose, ci scusa.
-I Pisani, innanzi a questo tempo di più anni, per
-loro maliziosa industria, avendo buona e leale pace
-co’ Fiorentini, contro a’ patti di quella aveano
-fatto fare il castello di Sovrana, il quale il comune
-di Firenze tenea per li patti della pace, e fecionlo
-torre a certi ghibellini usciti di quel paese,
-e il comune di Pisa sotto nome di costoro si
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-tenea la terra, e mantenievi soldati che tribolavano
-tutto il paese e le terre d’intorno del comune
-di Firenze; essendo i Pisani, oltre alla
-pace, in singulare compagnia e lega col nostro
-comune, faceano queste coperte con grande ambizione.
-I Fiorentini lungamente dissimularono
-mostrando di non se n’avvedere, ma moltiplicandosi
-il male, e scoprendosi ogni dì più l’uno
-che l’altro, il nostro comune prese di gastigarli
-in quella contrada con quella malizia ch’eglino
-avevano insegnata. E del mese di febbraio del
-detto anno ordinarono co’ Pistoiesi che si lasciarono
-torre Calumao, una fortezza sopra Sovrana,
-a certi caporali di buoni masnadieri, i quali con
-aspra e continova guerra in breve tempo uccisono
-tutti i caporali di Sovrana, e presono masnade
-ch’e’ Pisani mandavano per guastare la Sambuca,
-e feciono grande guerra nel paese. E per questo
-tutti i ghibellini di Valdinievole erano mal condotti,
-ch’avendo pace vivevano in continua
-guerra per la cominciata malizia pisanesca. Ma
-aggiugnendo malizia a malizia, per vendicare loro
-onta sbandirono loro soldati, e mandarono
-trecento barbute e gran popolo agli usciti ghibellini
-di Valdinievole, i quali cavalcarono infino
-alla Pieve a Nievole, e arsono intorno a quella,
-e feciono quel danno che poterono; e appresso
-si dirizzarono a Castelvecchio, e ordinatamente il
-combatterono, ma nol vinsono. Il comune di Firenze
-sentendo questo fece cavalcare i suoi cavalieri
-in Valdinievole, e raunati i paesani, cercavano
-d’abboccarsi co’ nemici, ma eglino non
-attesono; e non potendo tornare per la via ond’erano
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-andati, per altra via più aspra, ma a loro
-più sicura, in fretta si ritornarono a Pisa, e furono
-ribanditi.
-</p>
-
-<h3 id="cap20-6">CAP. XX.
-<span class="smaller"><i>Come il capitano della Chiesa assediò Cesena.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il legato del papa, oltre alla gente ch’attendea
-de’ crociati avea da sè a soldo duemila
-barbute, e confidandosi de’ Malatesti, fece gonfaloniere
-di santa Chiesa e capitano della sua
-gente d’arme messer Galeotto da Rimini, e con
-mille cavalieri e con gran popolo del mese di
-febbraio del detto anno il mandò a oste sopra
-la città di Cesena; il quale in prima corse il paese
-predando d’intorno, e appresso visi pose ad assedio,
-e strettosi alla terra, vi stette infino che il
-conte di Lando venne del Regno in Romagna, come
-innanzi al suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap21-6">CAP. XXI.
-<span class="smaller"><i>Come il conte da Battifolle assediò Reggiuolo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il conte Ruberto da Battifolle ricevuto
-ingiuria nel suo contado di cavalcate e di
-prede fatte per Marco figliuolo di messer Piero
-de’ Tarlati, contro a’ patti della pace fatta con
-gli aderenti de’ signori di Milano, accolta sua
-gente e’ suoi fedeli in arme, all’entrata del mese
-d’aprile anni 1356, essendo per nevi e per
-venti smisurato freddo, se n’andò al castello di
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-Reggiuolo, il quale era allora del detto Marco,
-e cinselo d’assedio, e fece a’ suoi fare case di legname
-per ripararsi dal freddo, e rizzò trabocchi
-e manganelle che tribolavano il castello e
-coloro che dentro il guardavano, e aggiungendo
-al continovo forza avea sì stretti gli assediati,
-che più non si poteano difendere. Vedendo Marco
-che ’l castello non si potea più tenere, mandò
-a richiedere il comune di Firenze per li patti
-della pace, che non lasciassono al conte seguitare
-l’impresa. Il conte venne a Firenze, e mostrò
-al comune come Marco era stato movitore
-della guerra, e più che non avea voluto approvare
-nè ratificare per carta alla pace secondo i
-patti. Ma nondimeno il comune di Firenze, per
-non potere essere calunniato a diritto o a torto
-d’avere lasciato a’ suoi aderenti rompere la pace,
-diliberò, che ’l conte si dovesse partire dall’assedio.
-Il conte non ostante l’ingiuria ricevuta,
-e la spesa fatta, e la ferma speranza d’avere
-il castello, per ubbidire al comune di Firenze
-lasciò l’impresa, e a dì 18 d’aprile del detto
-anno si tornò in Casentino.
-</p>
-
-<h3 id="cap22-6">CAP. XXII.
-<span class="smaller"><i>Come il conticino da Ghiaggiuolo racquistò
-Ghiaggiuolo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di maggio 1356, il conticino
-da Ghiaggiuolo con alcuna gente del legato cavalcò
-nelle terre che il capitano di Forlì gli
-avea tolte; e stando nella contrada molto baldanzoso,
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-fece correre boce che Forlì s’era renduto
-al legato, e che il capitano era preso. E
-per mostrare la cosa ben certa, si fece venire un
-frate con lettere che contavano le novelle molto
-verisimili, e recò l’ulivo palese, e fu ricevuto
-con grande festa. E incontanente si strinse a
-Ghiaggiuolo, e fece vedere le lettere al castellano,
-e poi gli disse, che se incontanente non li
-rendesse il castello, che lui e’ compagni farebbe
-morire senza niuna misericordia. La cosa avea
-sembianza di verità, e il castellano era di poco
-intendimento, e pauroso e vile, e però gli rendè
-il castello, ch’era forte e bene fornito, e andossene
-colla sua compagnia a salvamento con
-vergogna, e non senza infamia di tradimento.
-</p>
-
-<h3 id="cap23-6">CAP. XXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Visconti assediarono Pavia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo nel principio di questo sesto libro narrato
-il sospetto preso, e la discordia tra’ signori
-di Milano e il marchese di Monferrato, e quelli
-da Beccheria di Pavia, e accresciuta la mala
-voglia per le rubellioni fatte in Piemonte, messer
-Bernabò e messer Galeazzo Visconti volendosi
-vendicare sopra i loro parenti e prossimani
-vicini, con grande moltitudine di cavalieri e di
-popolo, del mese di maggio del detto anno, valicarono
-il Tesino e strinsonsi alla città di Pavia,
-e vi poson l’assedio d’ogni parte, con intendimento
-di non levare l’oste se prima non avessono
-la città al loro comandamento, e così si
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-credette per tutta Italia, perocchè la città è presso
-a Milano a venti miglia di piano, e la potenza
-de’ tiranni era sopra modo grande a quella impresa.
-Ma perocchè non procede dalla volontà
-umana la potenza divina, le cose succedono spesso
-ad altro fine che gli uomini non divisano, e così
-avvenne di quest’assedio, come seguendo nostro
-trattato dimostreremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap24-6">CAP. XXIV.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia prese il re di Navarra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo racconto addietro come il re Giovanni
-di Francia avea renduto pace al re di Navarra,
-e perdonatagli la morte del conestabile e
-agli altri baroni ch’erano stati con lui, e come
-accomandato gli avea il Delfino suo figliuolo, seguitò,
-che in questo tempo, essendo loro commesso
-dal re la provvisione della guardia di
-Guascogna, insieme cavalcavano la provincia,
-provvedendo a quello ch’era di bisogno alla difesa
-del paese, e ancora andavano prendendo loro
-diporto; ed essendo nella città di Ruen, il re
-di Francia il sentì, e mossesi da Parigi quasi
-sconosciuto con poca compagnia e cavalcò ad Orliens,
-e là tenne a battesimo un fanciullo nato
-di quelli d’Artese, e parente stretto del conestabile
-di Francia che fu morto, a cui il re secondo
-il volgo avea portato disordinato amore: avvenne,
-o che la morte del suo diletto amico per
-lo fanciullo parente li rivenisse nella mente, o
-che altra cagione il movesse al presente fatto,
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-niuna certezza se ne potè avere, ma di subito
-armato a modo di cavaliere, con sessanta cavalieri
-armati di sua famiglia cavalcò a Ruen;
-e giunto senza arresto alla città, mandò un cavaliere
-innanzi a sè, il quale dicesse in segreto al
-Delfino suo figliuolo, che di cosa ch’avvenisse
-non prendesse turbazione nè paura; e seguendo
-il re co’ suoi cavalieri armati entrò nel palagio
-ov’era il re di Navarra, e il Delfino, e il conte
-di Ricorti con quattro cavalieri banderesi di
-Normandia, e aveano a desinare con loro altri
-baroni e cavalieri del paese. Ed essendo giunto
-innanzi il cavaliere, e appena compiuto di favellare
-al Delfino, il re di Francia armato colla
-barbuta in testa e co’ suoi cavalieri fu in sulla
-sala, e trovandoli alla mensa, comandò che alcuno
-non si movesse; e avviatosi verso il re di
-Navarra, il chiamò traditore della corona, e andogli
-addosso con uno stocco ignudo per ucciderlo
-di sue mani: ripreso e ritenuto da’ suoi, dicendo
-che a re non si convenia tanto fallo, il
-fece prendere e imprigionare, e detto fu che
-alquanto il punse dello stocco; e fece pigliare il
-conte di Ricorti, e i quattro cavalieri normandi,
-chiamandoli traditori, i quali si scusavano, dicendo
-ch’erano diritti e leali; ma il re mosso
-da furiosa tempesta d’animo giurò di non mangiare,
-prima che di loro avesse fatto secondo la
-sua intenzione piena giustizia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap25-6">CAP. XXV.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia fece decapitare il sire
-di Ricorti e altri quattro cavalieri
-normandi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo preso il re di Navarra, di presente il
-mandò a incarcerare a un forte castello che si
-chiama Castel Gagliardo: e in quello stante il
-re di Francia fece mettere in su una carretta il
-sire di Ricorti e i quattro cavalieri normandi
-per farli decapitare, innanzi che volesse desinare.
-E quelli della città per la subita tempesta
-del re vedendo tanta novità, e non sapendo che
-vi fosse la persona del re di Francia, traevano
-in piazza per aiutare i baroni presi. Il re conoscendo
-il pericolo del popolo commosso, si trasse
-la barbuta di testa e fecesi conoscere; e sparta la
-voce che ivi era la persona del re loro signore catuno
-stette cheto. Allora il re, per mostrare al
-popolo e agli altri maggiori che v’erano che
-’l suo furioso movimento a tanto fatto non era
-senza gran cagione, si trasse dal lato un brieve
-con molti suggelli, nel quale si contenea, come il
-re di Navarra col sire di Ricorti, e con quattro cavalieri
-normandi, e con altri che in quello si nominavano,
-aveano trattato col re d’Inghilterra
-d’uccidere il re di Francia e ’l Delfino suo figliuolo,
-e di fare re di Francia il detto re di Navarra,
-il quale fatto re, dovea rendere la Guascogna e
-la Normandia al re d’Inghilterra. E questo brieve,
-vero o simulato che fosse, continovo fino
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-alla morte fu negato per lo sire di Ricorti e per
-i quattro cavalieri normandi; nondimeno nella
-presenza del re tranati in sulla piazza furono decapitati,
-e i corpi loro legati con catene, senza concedere
-loro sepoltura, furono appesi. Altri dissono,
-che doveano dare prigione il Delfino al re
-d’Inghilterra, ma poca fede si diede all’una cagione
-e all’altra, ma più che ciò fosse fatto per
-vendetta della morte del conestabile. E appresso
-fu mandato il re di Navarra prigione in Castelletto,
-parendo a molti, che egli, egli altri ch’erano
-stati decapitati fossono senza colpa di quella
-infamia.
-</p>
-
-<h3 id="cap26-6">CAP. XXVI.
-<span class="smaller"><i>D’un grosso badalucco fu a Pavia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo l’oste de’ signori di Milano sopra la
-città di Pavia, del mese di maggio del detto anno,
-uscirono cavalieri della terra, e cominciarono giostre
-e badalucchi con quelli del campo; e venendo
-a poco a poco crescendo l’assalto e la gente
-da catuna parte, vi s’allignò un’aspra battaglia
-di più di mille cavalieri di catuna gente, tutti i
-più pro’ e i più arditi, che di grande volontà per
-fare d’arme si metteano in quello stormo. Infine
-per lo superchio de’ cavalieri che messer Galeazzo
-sollecitava di mandarvi, quelli di Pavia non
-poterono sostenere, e per forza convenne che dessono
-le reni, e fuggendo, alquanti ne furono presi;
-gli altri per campare si tornarono nel borgo
-della città, ed essendo fortemente incalciati da’ nemici
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-che li seguivano, con loro insieme si misono
-follemente nel borgo, ove racchiusi, si trovarono
-prigioni per troppa sicura gagliardia, e
-ben quattrocento se ne rassegnarono a bottino,
-per li quali quelli di Pavia riebbono tutti i loro
-prigioni; e guadagnati i cavalli e l’arme, tutti
-gli lasciarono andare alla fede, secondo l’usanza
-de’ Tedeschi.
-</p>
-
-<h3 id="cap27-6">CAP. XXVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Visconti assediarono Borgoforte.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di maggio, i signori di Milano,
-non ostante ch’avessono l’oste a Pavia, e mandata
-gran gente in Piemonte contro al marchese
-di Monferrato, mandarono duemila cavalieri e
-gran popolo con molto navilio ad assediare Borgoforte
-in sul Mantovano, e ivi si posono ad assedio
-per acqua e per terra, facendo nel Pò grandi
-palizzati, acciocchè levassono al castello ogni
-fornimento e soccorso che venire gli potesse per
-lo fiume del Po, e con bertesche, e con guardie,
-e con navili il chiusono, e per acqua e per terra
-l’assediarono strettamente.
-</p>
-
-<h3 id="cap28-6">CAP. XXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Visconti feciono contro a’ prelati
-di santa Chiesa.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne in questi dì, che ’l papa mandò un
-valente prete in Lombardia a predicare la croce,
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-guardandosi i maggiori prelati di non volere la
-grazia di quell’uficio. E la croce si bandiva e
-predicava, come detto è, contro al capitano di
-Forlì e al signore di Faenza. Il valente sacerdote
-se n’andò a Milano, e ivi favoreggiato dal
-vescovo di Parma, cominciò sollicitamente a fare
-l’uficio che commesso gli era dalla santa
-Chiesa. Come messer Bernabò ebbe notizia di
-questo servigio, senza vietarglielo, o ammonirlo
-che questo fosse contro alla sua volontà, il fece
-pigliare, e ordinata per lui una graticola di ferro
-tonda a modo d’una botte, là dentro vi
-fece mettere il sacerdote, e accesovi sotto il
-fuoco come si fa a uno arrosto, e facendolo
-volgere, crudelmente il fece morire a grande
-vitupero, non tanto per la sua persona ch’era
-prete sagrato, quanto per lo dispregio e irreverenza
-che per lui si mostrò fatto a santa
-Chiesa che l’avea mandato. E per arrogere al
-mal fatto aggiunse, che al vescovo di Parma
-fece torre il vescovado, e delle rendite di quello
-investì altrui, e contradiò alla predica della
-croce. E acciocchè il capitano si potesse difendere
-dal legato li mandò subitamente dieci
-bandiere di cavalieri, dandogli speranza di maggiore
-aiuto, e avendoli presso il castello di Luco,
-che tenea tra Bologna e la Romagna, senza
-contasto li vi mise dentro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap29-6">CAP. XXIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Visconti feciono tre bastite a Pavia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di maggio 1356, i signori di Milano
-volendo vincere per assedio la città di Pavia, feciono
-edificare attorno alla terra tre grandi bastite,
-le quali feciono armate di bertesche e di steccati,
-e molto afforzare con buoni e larghi fossi,
-e l’una strinsono alla città di là dal Tesino,
-e l’altra di verso Milano, il Tesino in mezzo;
-e in sul fiume feciono un largo ponte di legname
-per lo quale l’un’oste potea soccorrere all’altra,
-e l’altra bastita posono dall’altra parte della
-terra. E per non tenervi tanta gente impedita a
-tenervi campo aperto, misono in queste bastite
-cavalieri e pedoni assai, i quali faceano aspra
-guerra, e teneano la città sì stretta, che vittuaglia
-niuna o gente non grossa vi poteva entrare, e grande
-speranza aveano di vincere la città, se fortuna
-l’avesse conceduto alla loro volontà: ma non sempre
-agli appetiti de’ potenti tiranni acconsente
-la divina disposizione, come leggendo innanzi si
-potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap30-6">CAP. XXX.
-<span class="smaller"><i>Come i Turchi con loro legni feciono gran
-danno in Romania.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi medesimi tempi, i Turchi avendo
-settanta legni armati, e molte barche imborbottate,
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-valicarono in Romania, ricettati da un barone
-di quelli che rimase nel paese dell’antica
-compagnia, uomo di perversa condizione; e per
-far male a’ suoi paesani, dava a’ Turchi rinfrescamento
-e porto a’ loro navili, ed eglino quando per
-mare quando per terra correvano il paese predando
-uomini e bestiame e roba senza trovare da’ paesani
-contasto, e al barone, che gli ritenea e favoreggiava,
-di tutta la preda davano la decima
-parte. E così seguendo tutta la state feciono in
-Grecia grandissimi danni, e poi senza contasto
-si tornarono in Turchia carichi di servi greci
-e di molta roba.
-</p>
-
-<h3 id="cap31-6">CAP. XXXI.
-<span class="smaller"><i>Come gl’Inghilesi guerreggiarono,
-il reame di Francia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Non essendo per li legati di santa Chiesa potuto
-trovare in tutto il verno passato pace o tregua
-tra il re di Francia e quello d’Inghilterra, ma
-piuttosto aggravato l’animo del re di Francia e
-de’ suoi Franceschi per l’ingiurie ricevute dagl’Inghilesi;
-e gl’Inghilesi montati in maggiore audacia
-e baldanza aveano tanto a vile i Franceschi, che
-non pensavano potere perdere abboccandosi con
-loro: e però essendo tornato il re d’Inghilterra
-nell’isola per lo fatto degli Scotti, come detto
-è, da capo s’apparecchiarono il valente duca di
-Guales, e ’l pro’ e ardito conte di Lancastro, e
-tra loro divisono il paese ove doveano guerreggiare
-nel reame di Francia, e catuno prese tremila
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-cavalieri e molti arceri, e da capo cominciarono
-a correre il paese. E ’l conte entrò in
-Brettagna facendo nel paese aspra guerra, ardendo,
-e guastando e predando senza trovare contasto,
-e ’l duca se n’entrò in Guascogna scorrendo
-il paese, e valicando insino a Nerbona, guastando
-e predando il Nerbonese e ’l paese d’intorno
-senza trovare avversari in campo. Catuno si
-tenea alla guardia delle mura e delle fortezze,
-per modo che niuna terra vi potè acquistare. E
-in questo modo gl’Inghilesi stettono il maggio
-e ’l giugno del detto anno, facendo assai danno
-e vergogna al re di Francia e a’ sudditi del suo
-reame. Il re di Francia non avendo riparato infino
-a qui all’audacia degl’Inghilesi, vedendoli
-tanto montare in sua vergogna e in danno del
-paese, s’apparecchiò con ogni sollecitudine che
-potè di tutta sua forza di cavalieri e di sergenti
-e d’arme, a intenzione d’andare a trovare
-i nemici, e di combattere con loro, e cacciarli del
-reame a suo podere. Ma i due baroni colle due
-osti, si tornarono a Bordello in Guascogna colle
-loro prede, per ordinarsi insieme de’ nuovi assalti
-che intendeano fare nel reame, e per
-provvedersi contro all’apparecchiamento che
-sentivano fare al re di Francia. Come le cose seguirono,
-leggendo appresso per li loro termini
-si potranno trovare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap32-6">CAP. XXXII.
-<span class="smaller"><i>Come gl’Inghilesi furarono un forte castello.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo un forte castello nel mezzo della contea
-della Marcia chiamato...., ove si facea
-grandi mercati certi dì per li circostanti paesani,
-gl’Inghilesi feciono prendere a più loro cavalieri
-abito di mercatanti, i quali sapeano la
-lingua francesca, e mostrando d’andare a fare
-loro investite al mercato, a due a due giugnendo
-al castello prendevano albergo; ed essendovene
-entrati una buona compagnia, facendo vista
-d’attendere il mercato per lo seguente dì, faceano
-grandi e larghe spese e cortesie, e diportandosi
-per lo castello verso la rocca, il castellano
-che non si prendea guardia de’ mercatanti
-fu da loro morto. E morto il castellano, entrarono
-nella fortezza, e quella tennono tanto, che
-gl’Inghilesi che stavano però attenti n’ebbono
-la novella, e cavalcaronvi di subito quattrocento
-cavalieri e altri arceri; e giugnendo alla terra,
-avendo l’entrata, senza uccisione vi s’entrarono
-e afforzaronvisi dentro, e feciono in quello loro
-ridotto, guerreggiando tutto il paese d’intorno,
-con fare danno grave a’ paesani. E questo avvenne
-del mese di giugno predetto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap33-6">CAP. XXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come il zio del conte di Ricorti si rubellò al
-re di Francia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dappoichè il re di Francia ebbe morto il conte
-di Ricorti e gli altri cavalieri normandi, come
-già è detto, mandò in Normandia un suo barone,
-e fecelo giustiziere in quel paese. Costui cavalcò
-nel paese, e faceva senza contasto l’uficio del
-suo baliato, ubbidito da tutti i paesani. Avvenne
-che una terra della contea di Ricorti era nel
-giustiziato del suo uficio; il balio vi cavalcò con
-tutta sua famiglia per tenervi ragione, come facea
-in tutte l’altre terre. Il zio carnale del conte di
-Ricorti ch’era morto, con sua forza prese il detto
-balio e’ suoi famigli, e in dispetto del re di
-Francia, a lui e a’ diciassette suoi compagni, per
-ricordanza di quello ch’era stato fatto al nipote
-sire di Ricorti, fece tagliare le teste, e quella terra
-e l’altre della contea di Ricorti fece rubellare al
-re di Francia; e allegatosi col re d’Inghilterra
-fornì le sue terre, e ricettando gl’Inghilesi, faceva
-grande guerra a’ Normandi.
-</p>
-
-<h3 id="cap34-6">CAP. XXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come messer Filippo di Navarra si rubellò
-al re di Francia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Appresso alla detta rubellione, sentendo messer
-Filippo di Navarra fratello del re, come il re Giovanni
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-in persona sconciamente avea a Ruen voluto
-uccidere il re di Navarra suo fratello, e appresso
-l’avea villanamente imprigionato, e come
-avea morto il conte di Ricorti, disperandosi della
-salute del fratello e della sua, incontanente rubellò
-tutte le terre di Navarra al re di Francia; e cavalcando
-per tutte le terre accogliendo a parlamento
-gli uomini del reame, si dolea del grande tradimento
-fatto per lo re di Francia al loro signore,
-e inanimandoli contro al re di Francia, gli confortò
-alla difesa del paese, e ordinò e fornì tutte
-le buone ville; e fatto questo, colla sua persona
-si mise nel forte e nobile castello posto in sulla
-marina, che si chiama...., e ivi si fortificò, per
-potere dare l’entrata in Navarra agl’Inghilesi
-e a cui volesse, senza potere essere impedito. E
-messovi buona e confidente guardia, si partì del
-reame e andossene al re d’Inghilterra, e fece
-lega e compagnia con lui. E poi seguitò coll’aiuto
-e in compagnia degl’Inghilesi a fare grande
-guerra al re di Francia, come seguendo nostra
-materia si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap35-6">CAP. XXXV.
-<span class="smaller"><i>Come il popolo di Pavia prese le bastite, e
-liberossi dall’assedio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo con tre grandi e forti bastite assediata
-la città di Pavia da’ signori di Milano, confidandosi
-nelle grandi fortezze, ne trassono de’ cavalieri
-e de’ masnadieri per sovvenire all’altre loro imprese;
-e avvedendosene quelli da Beccheria che
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-governavano la città, procacciarono d’avere segretamente
-aiuto dal marchese di Monferrato. Era
-in quella stagione in Pavia un frate Iacopo Bossolaro
-de’ romitani, in cui gli uomini e le donne di
-Pavia aveano grande divozione: costui colle sue
-prediche avea confortato molto il popolo alla sua
-franchigia contro alla potente tirannia di quelli
-di Milano; e avendo avuta gente dal marchese, la
-quale v’era entrata di notte chetamente, essendosi
-provveduti della bastita ch’era loro più di presso,
-che rispondea a quella di là dal Tesino, dato il
-dì ordine a’ cavalieri e al popolo, e apparecchiate
-scale e argomenti di legname da entrare nella
-bastita, per modo che i loro nemici non n’ebbono
-alcuno sentimento, e dato l’ordine dell’assalto
-a’ caporali, sicchè catuno sapea ciò che
-s’aveva a fare, e da qual parte avea a fornire la
-sua battaglia, s’andarono la sera a posare: e nella
-mezza notte s’armarono e guernirono d’ogni
-cosa; e poi, come ordinato era, in sù l’aurora, a dì
-28 di maggio del detto anno, uscirono della città,
-e il buono frate Iacopo Bossolaro con loro. Cominciarono
-l’assalto d’ogni parte alla bastita, e
-fecionlo sì contamente, ch’elli sprovveduti dentro
-del subito assalto perderono ogni facondia di consiglio
-e d’aiuto alla loro difesa; e’ cavalieri tedeschi
-che dentro v’erano, vedendosi d’ogni parte
-assaliti, non ebbono cuore alla difesa, e stavano
-smarriti a vedere come se fossimo consenzienti,
-e ciò non era vero: ma per loro natura rinchiusi
-non sanno combattere, nè resistere come in aperto
-campo. E però quelli di Pavia con poca resistenza
-entrarono nella bastita, e presonla, facendo
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-grande uccisione de’ loro nemici, e la maggiore
-parte ne presono; gli altri che poterono fuggire
-non furono perseguitati, e camparono. Presa la
-prima bastita, di presente si dirizzarono al ponte,
-e presonlo, e fedironsi nell’altra bastita di là
-dal Tesino. I capitani di quella impauriti della
-sconfitta de’ loro compagni, e della perdita della
-forte bastita, non ebbono cuore di mettersi alla difesa,
-ma alla fuga, chi meglio il seppe fare, ma non
-sì che assai non ne rimanessono morti e presi.
-E vinta, e messo fuoco alla seconda bastita, si
-dirizzarono alla terza ch’era dall’altra parte
-della città, e quella vinsono per simigliante modo.
-E come saviamente per loro era ordinato, seicento
-de’ loro fanti a piè forniti di seghe, e d’altri argomenti
-da tagliare, e da svegliere palizzati e
-rompere catene, furono mandati per acqua al navilio
-di Piacenza ch’era raunato in Po, e alquanti
-cavalieri per terra in loro aiuto, i quali valorosamente
-feciono il servigio: e per forza presono
-il navilio, e arsonne la maggiore parte, e alquanto
-ne ritennono, e quelli che v’erano alla
-guardia ne mandarono in rotta. E così maravigliosamente,
-come a Dio piacque, quella franca
-gente assediata lungamente dalla gran potenza
-de’ signori di Milano, in uno dì se ne liberò vittoriosamente,
-dando abbassamento alla superba
-potenza de’ grandi tiranni.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap36-6">CAP. XXXVI.
-<span class="smaller"><i>Il movimento del re d’Ungheria
-per assediare Trevigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sopravvenendo nuova guerra a raccontare alla
-nostra materia, così cominciamo. Avendo Lodovico
-re d’Ungheria per lungo tempo molte volte
-richiesto a’ Veneziani la città di Giara e l’altre
-terre, che del suo regno teneano occupate in
-Schiavonia, e non trovando modo con loro di
-riaverle con pace, di questo mese di maggio del
-detto anno, si mosse dalla città di Buda in persona
-con trenta compagni, e misesi a cammino
-dirizzandosi in Schiavonia alla città di Sagabria,
-ch’è in Dalmazia, e innanzi che quivi fosse
-giunto, si trovò con cinquecento cavalieri. E
-giunto in Sagabria, in pochi dì vi vennono tutti
-i baroni del reame e del suo distretto, e catuno
-colla gente d’arme del debito servigio, la quale era
-tanta che non la comportava il paese; per la qual
-cosa fu costretto il re di parlare a uno a uno, e dir
-loro la gente ch’e’ volea in quel servigio, e tutti gli
-altri fece rimandare addietro in Ungheria. A Sagabria
-vennono a lui ambasciadori del comune di Vinegia
-i quali addomandavano la sua pace, offerendoli
-danari quanti più potessono, per rimanere in
-concordia con lui. Il re rispose che non cercava
-i loro danari, perocchè n’avea assai, ma s’eglino
-avevano in mandato dal loro comune di renderli
-le sue terre, per questo poteano avere la sua concordia
-e la sua pace. Gli ambasciadori risposono,
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-che ciò non aveano in commissione. Il re disse, che
-per altro non si travagliassono: onde gli ambasciadori
-si tornarono addietro al loro comune. Il re
-stando in Sagabria ordinò di fare la sua guerra,
-come appresso la diviseremo. La boce che usciva
-si spandea per diversi luoghi; i più credeano che
-a Giara si facesse la gran punga, come altra volta
-era fatta, altri nell’Istria, altri a Trevigi,
-e ’l certo non si potea sapere; e per questo i Veneziani
-aveano più a pensare, e maggiore spesa
-a provvedere alle loro terre in diverse parti: e
-incontanente, non curando la spesa, dando grandi
-e disordinati soldi, fornirono Giara, e l’altre
-terre di Schiavonia e dell’Istria, e provvidono
-e fornirono la città di Trevigi di gente d’arme
-a cavallo e a piè con grande spesa.
-</p>
-
-<h3 id="cap37-6">CAP. XXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come per l’avvenimento del re d’Ungheria
-si temette in Italia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sentendosi per tutta Italia, che il re d’Ungheria
-con grande moltitudine d’Ungheri e d’altri
-suoi sudditi infedeli s’apparecchiava per passare
-sopra i Veneziani, aggiugnendosi alla novella,
-che l’imperadore e ’l duca d’Osteric tenea
-mano con lui, e che l’imperadore dovea
-creare re in Lombardia e re in Toscana, non
-senza sospetto stettono tutti i tiranni d’Italia,
-e ancora i popoli di catuna parte sospesi, e massimamente
-i tiranni di Lombardia. E per questa
-cagione s’accostarono a parlamento insieme, e
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-ordinarono loro leghe, e di concordia li mandarono
-ambasciadori per sapere la sua intenzione
-de’ fatti loro; e avuta da lui amichevole
-risposta, catuno rimase senza paura della sua
-impresa, salvo il comune di Vinegia, contro a
-cui egli manifestamente s’apparecchiava.
-</p>
-
-<h3 id="cap38-6">CAP. XXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come la cavalleria del re Luigi sconfissono
-i nemici, e furono vinti.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di maggio, essendo il conte
-Paladino in ribellione del re Luigi, e avendo con
-seco due grandi conestabili con cinquecento barbute,
-ch’egli avea tratte della compagnia contro
-alla volontà del conte di Lando, come addietro
-abbiamo narrato, e avendone messi quattrocento
-in una sua terra di Puglia che guerreggiavano
-il paese, il re, avendo concordia col conte di
-Lando, mandò in Puglia ottocento cavalieri per
-ristrignere quelli del conte nella terra, e poi
-coll’aiuto de’ paesani assediativi dentro. Ma
-gli avvisati Tedeschi non si vollono rinchiudere
-tra le mura, e partire non si sarebbono potuti
-senza loro grande danno e vergogna. E però,
-come uomini di grande ardire, uscirono della
-terra, e sentendo nel paese la gente del re,
-vennono loro incontro, e misonsi in aguato, e
-appressatasi la cavalleria del re, per modo che
-quelli dell’aguato non si poteano coprire, si
-schierarono e ordinarono a battaglia, e mandarono
-a richiedere i cavalieri del re di battaglia,
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-ch’erano ivi cinquecento cavalieri bene armati,
-e montati tutti in buoni cavalli; i quali sentendo
-la richiesta, e avendoli in dispregio, senza
-fare altra risposta, accoltisi insieme e dato il
-nome, s’addirizzarono contro a’ nemici, e percossongli
-per tale virtù, ch’al primo assalto gli
-ruppono e sbarattarono; e cacciandoli per avere
-in preda, si cominciarono a sciogliere della
-loro massa con mala provvedenza, e chi cacciarono
-qua e chi là. L’uno de’ due conestabili con
-pochi de’ suoi si ridusse in alcuno vantaggio di
-terreno e fece testa, e degli altri che fuggivano,
-vedendo ferma quella bandiera, per loro scampo
-si riduceano ad essa, e ingrossavano la sua
-forza. La gente del re vittoriosa, avendo morti
-e presi de’ loro nemici, vedendo che alquanti
-aveano fatto testa sotto quella bandiera, s’addirizzarono
-a loro con più baldanza che buon ordine.
-Il conestabile avvisato di guerra, conoscendo
-la sciocca venuta de’ suoi avversari, confortò
-i suoi di ben fare, e stretto co’ suoi pochi sì
-percosse tra gli assai male ordinati, e ruppegli
-più per maestria di guerra che per forza ch’egli
-avesse; e coloro ch’erano vincitori, per la stolta
-baldanzosa tratta rimasono vinti in questa
-parte, e il conestabile, per lo savio accorgimento
-e buona condotta, essendo prima vinto e
-fuggito del campo, rimase vincitore, e tanti
-prese de’ suoi avversari, quanti i suoi cavalieri
-ne poterono menare prigioni, tra’ quali furono
-certi baroni e alcuni cavalieri di Napoli e altri
-Toscani, tutti ricchi prigioni; e senza arresto,
-quanto i cavalli di buono andare li poterono menare
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-si partirono, e condussonli senza cercare
-più altra fortuna in sul campo a salvamento. E
-nondimeno della loro compagnia ne rimasono
-morti assai, e più presi che quelli ch’e’ ne menarono
-in buona quantità, ma de’ loro poco si
-curarono: di quelli ch’aveano presi eglino ebbono
-danari assai, e per mala condotta la bella
-vittoria condussono a vergognoso fine.
-</p>
-
-<h3 id="cap39-6">CAP. XXXIX.
-<span class="smaller"><i>D’appelli fatti per lo conte di Lando
-di tradigione.</i></span></h3>
-
-<p>
-Quello che seguita non è cosa che meriti memoria,
-se non per dimostrare con esempio del
-fatto la matta follia degli oltramontani. Il conte
-di Lando era lungamente stato colla sua
-compagnia a nimicare con operazioni latrocine
-e infedeli il Regno, e con lui i sopraddetti due
-conestabili alamanni. Avvenne, che fatta la
-sopraddetta battaglia, il conte di Lando appellò
-di tradimento i detti due conestabili, dicendo,
-che contro al loro saramento s’erano partiti
-della compagnia. E’ conestabili dall’altre parte
-appellavano lui per traditore, dicendo, che contro
-al suo saramento avea rotti loro i patti.
-L’antica pazzia oltramontana per l’usanza del
-loro appello li recò in giudicio, e commisonsi
-nel re Luigi; e appresentandosi l’una parte e
-l’altra in giudicio nella sua corte, non senza
-giusto pericolo delle loro persone, essendo prencipi
-di manifesti ladroni senza alcuna fede,
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-nondimeno il re guardò alla liberalità ch’e’ nemici
-ebbono confidandosi alla sua persona, e
-fedelmente commise a disputare la loro questione,
-facendo loro assessore il suo gran siniscalco,
-e d’ogni parte per lungo piato furono i savi ad
-allegare. Ma in fine, o ragione o torto che si
-fosse, il re, avuta la relazione dal suo consiglio,
-liberò il conte, e i due conestabili condannò per
-traditori, e ritenneli per prigioni alla volontà del
-conte. E per questo modo forse fece in parte la
-sua vendetta per la capitosa follia tedesca.
-</p>
-
-<h3 id="cap40-6">CAP. XL.
-<span class="smaller"><i>Come i Sanesi per paura ricorsono
-a’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvedutosi alquanto il comune di Siena, che
-l’essere strano dal comune di Firenze gli potea
-tornare a pericoloso danno, e massimamente sentendosi
-male forniti, e che la compagnia del Regno
-era già in Abruzzi per valicare nella Marca
-e appresso in Toscana, elesse de’ suoi maggiori
-cittadini grandi e popolani, e accompagnati da
-molta famiglia pomposamente alla loro maniera,
-a dì 16 di giugno del detto anno vennero a Firenze.
-E fatti adunare i collegi e gli altri buoni
-cittadini di Firenze, con parole di grande reverenza
-cominciarono loro sermone, chiamando
-padri del loro comune il popolo e ’l comune di
-Firenze, e come figliuoli al padre a loro si raccomandavano,
-offerendo il loro comune apparecchiato
-di non partirsi dal reverente consiglio e
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-ubbidienza del comune di Firenze, dicendo, ch’erano
-apparecchiati ad entrare nella lega e compagnia
-già provveduta e ordinata per lo comune di
-Firenze, e di pigliare la loro taglia, e di fare
-quanto il detto comune volesse comandare in
-questo e nell’altre cose. I governatori della nostra
-città, non guardando alli sconvenevoli falli
-per addietro commessi pe’ Sanesi contro al nostro
-Comune, li riceverono graziosamente in compagnia
-e in lega, e promisono, dov’eglino volessono
-essere uniti e in fede al nostro comune,
-d’aiutarli e difenderli come cari e diletti fratelli
-amichevolemente.
-</p>
-
-<h3 id="cap41-6">CAP. XLI.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste si levò da Borgoforte.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando a nostro conto all’assedio di Borgoforte
-in sul Mantovano, il quale i signori di
-Milano molto si sforzarono per acquistare, e’ ruppono
-e svelsono i grandi palizzati che v’erano
-per difesa del castello, e per molte battaglie e
-gravi assalti tentarono d’averlo, e sarebbe venuto
-fatto, se non fosse il grande e buono aiuto
-ch’ebbono da Mantova e da Reggio, e per questo
-si difesono francamente. Vedendo i capitani
-dell’oste che a quella pugna si perdea il tempo
-senza frutto, e sapendo che Reggio per soccorrere
-Borgoforte era sfornito della gente d’arme,
-si levarono subito, e cavalcarono a Reggio; e
-trovando la città sprovveduta dei loro subito
-avvenimento, di poco fallì che non entrarono
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-nella terra, ma quella poca gente che v’era si
-mise francamente a guardare le mura e le porte,
-per la qual cosa l’oste corse danneggiando il
-contado, e appresso vi si misono ad assedio, e
-stettonvi più dì; ed ebbono novelle, come gente
-del marchese di Monferrato s’era ingrossata
-a Pavia, per la qual cosa temendo i signori di
-ricevere vergogna in sul Milanese, feciono partire
-l’oste da Reggio, e all’uscita di luglio del
-detto anno con poco onore si tornarono a Milano.
-</p>
-
-<h3 id="cap42-6">CAP. XLII.
-<span class="smaller"><i>Principio della guerra da’ Fiamminghi
-a’ Brabanzoni.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sopravvenendo in questi dì alla nostra materia
-grande e non pensata guerra, e volendone
-dimostrare la cagione, ci conviene alquanto tornare
-addietro nostra materia. Certa cosa fu, che
-per antico la villa e gli uomini di Mellina in
-Brabante erano della chiesa cattedrale di Legge,
-ma essendo nella provincia di Brabante e
-tra’ Brabanzoni, erano usati di fare lega col duca
-di Brabante per essere più sicuri e più riguardati,
-e per antica costuma con ogni novello duca
-di Brabante facevano l’usata lega e compagnia,
-e ne’ patti tra loro era che ’l duca li dovea
-difendere e aiutare in tutte le loro brighe, e
-la comune di Mellina dovea servire il duca in
-tutte le loro guerre, essendo i primi che venissono
-al servigio e gli ultimi che si partissono.
-Avvenne, che un duca di Brabante ebbe guerra
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-col vescovo di Legge e fece oste sopra le sue terre,
-nella quale due di Mellina furono in arme
-contro al loro signore; per la qual cosa, finita la
-guerra, il vescovo andò a corte di Roma a Avignone
-a papa Benedetto sesto, e tanto procacciò, ch’egli
-ebbe di licenza dal papa sotto la sua bolla
-ch’e’ potesse vendere Mellina, e convertire i danari
-in altre possessioni a utilità della chiesa di
-Legge, il quale di presente si mise in cerca, e
-venne a concordia segretamente col conte di
-Fiandra per dugento migliaia di reali d’oro; e
-trovato a ciò il sussidio de’ Fiamminghi, pagò il
-vescovo innanzi ch’avesse la possessione della
-città, pensando, ma non saviamente, non avere
-contasto. Ma incontanente che quelli di Mellina
-sentirono il fatto, andando il conte per la tenuta
-serrarono le porte, e presono l’arme alla difesa
-e non lo vi lasciarono entrare, e misonsi
-a procacciare di fare ritrattare la vendita; e
-non potendolo fare, ricorsono al duca di Brabante,
-richieggendolo per li patti della lega
-e compagnia ch’aveano con lui che li dovesse
-aiutare e difendere, ed egli il fece, e fecelo
-volentieri, parendoli che la villa dovesse
-essere sua, ma non l’avea voluta comperare.
-Per questa ingiuria il conte richiese il re di Francia,
-il quale avendo conceputo contro al duca di
-Brabante per li fatti del re d’Inghilterra, prese
-ad aiutare il conte di Fiandra. E allora fu fatto
-grande sommovimento di Tedeschi e di Franceschi
-contro al duca di Brabante, e il conte di
-Fiandra co’ suoi Fiamminghi, per modo che il
-duca fu recato a grave e pericoloso partito di perdere
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-tutta la duchea, e fatto li venia, se non fosse
-che il conte di Bari con tutta sua forza il francò
-a quella volta, come trovare si può nella Cronica
-di Giovanni Villani nostro antecessore. Per
-questo sdegno preso per lo duca contro al re di
-Francia incontanente si collegò col re d’Inghilterra
-contro al re di Francia, onde grande
-male ne seguitò a’ Franceschi. Poi morto il duca
-predetto niella generale mortalità lasciò quattro
-figliuole femmine, che la maggiore fu moglie di
-messer..... fratello uterino di Carlo di Boemia
-eletto re de’ Romani, la seconda fu moglie
-del conte di Fiandra, la terza del duca di
-Giulieri, la quarta del duca di Ghelleri. E non essendovi
-reda maschio, il conte domandò di volere
-parte della duchea di Brabante per la legittima
-della moglie; e non potendola avere, perchè
-si tenne che all’anzianità rimanesse la successione
-del ducato, mosse di rivolere Mellina,
-come sua propria terra comperata dal vescovo
-di Legge, come di sopra è detto, ed essendoli
-dal nuovo duca dinegata, ne seguirono in breve
-tempo gran cose, come appresso racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap43-6">CAP. XLIII.
-<span class="smaller"><i>Come il conte di Fiandra andò su quello
-di Brabante.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di giugno 1356, il conte di
-Fiandra avendo raddomandato al cognato duca
-di Brabante la villa di Mellina che di ragione
-era sua, e non volendogliela rendere, fece bandire
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-per tutta la contea, di Fiandra il torto che
-il duca di Brabante e’ Brabanzoni faceano loro, e
-che catuno s’apparecchiasse d’arme, per seguitare
-la sua persona contro a’ Brabanzoni in Brabante,
-e in pochi dì ebbe, con apparecchiamento
-fatto di molta vittuaglia e di gran carreaggio,
-centocinquanta migliaia d’uomini armati, quasi
-tutti a modo di cavalieri, e con essi ebbe di suo
-sforzo e di sua amistà seimila cavalieri; e con questo
-grande esercito, e coll’animo acceso di tutti per
-l’ingiuria de’ Brabanzoni, uscirono di Fiandra,
-ed entrarono in Brabante per combattersi co’ Brabanzoni.
-</p>
-
-<h3 id="cap44-6">CAP. XLIV.
-<span class="smaller"><i>Come si fece accordo sul campo da’ Fiamminghi
-a’ Brabanzoni.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il duca di Brabante, ch’era Alamanno, accolse
-dall’imperadore e da altri baroni d’Alamagna
-molti cavalieri, e apparecchiò in arme i
-Brabanzoni a piè e a cavallo per comune; e
-sentendosi venire addosso il conte di Fiandra
-co’ Fiamminghi, si fece loro incontro con diecimila
-cavalieri, e con centodieci migliaia di Brabanzoni
-a piè bene armati. Ed essendo accampati
-l’uno presso all’altro, e cercando di combattere insieme
-più per altiera miccianza che per guerra che
-tra’ cognati fosse, alquanti baroni di catuna parte
-si mossono per trattare tra l’una parte e l’altra
-accordo, acciocchè a sì grande e pericolosa
-battaglia non si mettessono, e infine vennero a
-questa concordia: che catuno eleggesse quattro
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-buoni uomini di sua parte, e uomini d’autorità;
-e fatta la lezione, fu loro commesso di concordia
-delle parti che dovessono vedere le ragioni
-che ’l conte di Fiandra avea sopra la villa di
-Mellina e quelle del duca di Brabante, e veduta
-la verità del fatto, incontanente obbligati
-per loro saramento, ricevuto solennemente in
-presenza di molti baroni, che levato via ogni
-cavillazone o non vere ragioni, e’ giudicherei
-bono a cui la villa di Mellina dovesse rimanere
-per loro sentenza. I baroni e’ popoli promisono
-stare e osservare quello per loro fosse
-giudicato, e gli arbitri giurarono ancora in fra
-’l termine loro assegnato avere terminata e renduta
-la loro sentenza. E presa la detta concordia
-tra le parti, catuno dolcemente senz’altro
-movimento o segno d’alcuna arroganza,
-mansuetamente si ritornarono i Fiamminghi in
-Fiandra, e’ Brabanzoni in Brabante, catuno alle
-sue ville, del mese di giugno del detto anno.
-Lasceremo ora le novità di Fiandra e di
-Brabante, tanto che torni il tempo ove fu abbattuta
-la superbia del Tedesco e la baldanza
-de’ Brabanzoni, e torneremo alle italiane novità
-che prima ci occorrono a divisare.
-</p>
-
-<h3 id="cap45-6">CAP. XLV.
-<span class="smaller"><i>Come la città d’Ascoli s’arrendè al legato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il valente cardinale legato del papa, avendo
-duemila barbute a soldo della Chiesa, oltre ai molti
-crociati ch’avea in Romagna, avendo inteso come
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-la compagnia ch’usciva del Regno volea passare
-d’Abruzzi nella Marca d’Ancona inverso
-la città d’Ascoli, s’ingrossò di gente d’arme a
-piè e a cavallo in quelle contrade. Gli Ascolani
-temendosi della compagnia, perchè non erano ancora
-in accordo col legato, si disposono di rendersi
-a fare la volontà del legato. Il cardinale fu
-loro benigno e mansueto, facendo assai di quello
-ch’e’ voleano, e del mese di giugno del detto
-anno ricevettono la signoria del legato, e la sua
-cavalleria nella città a ubbidienza di santa Chiesa.
-E in questi medesimi giorni prese il legato accordo
-col signore di Fabriano, ch’era stato ribello a
-santa Chiesa per animo tirannesco e ghibellino;
-e col vescovo di Fuligno, che tenea la terra per lo
-detto modo, ogni cosa dissimulava con molta
-provvisione, secondo che ’l tempo glie la richiedea.
-</p>
-
-<h3 id="cap46-6">CAP. XLVI.
-<span class="smaller"><i>Come il legato procacciò tenere il Tronto
-alla compagnia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avuto che il legato ebbe la città d’Ascoli
-a’ suoi comandamenti, sentendo la compagnia del
-conte di Lando in Abruzzi a’ confini della Marca,
-e che i danari che ’l re Luigi dovea dare loro
-perch’elli uscissono del Regno veniano, temendo
-che valicato che avesse il Tronto e’ non si stendesse
-in troppo danno de’ suoi Marchigiani, con
-grande animo raunò al Tronto gran parte della
-sua cavalleria e il popolo del paese, e fece fare
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-in sulla riva del Tronto fossi di grande lunghezza,
-e fortificare con steccati, e faceva continovo di
-dì e di notte guardare i passi, acciocchè la compagnia
-non entrasse sopra le sue terre, e nondimeno
-tenea col conte capitano della compagnia
-trattato d’accordarsi con lui a suo vantaggio.
-</p>
-
-<h3 id="cap47-6">CAP. XLVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani ruppono la franchigia
-a’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvegnachè già per noi addietro sia narrato,
-come la non domata astuzia de’ Pisani avea fatto
-fare a’ Fiorentini rubellare Sovrana e Coriglia, e
-quelle faceano guardare e fare guerra a’ loro soldati,
-i quali diceano essere loro sbanditi, rompendo
-per indiretto modo la pace a’ Fiorentini, e il comune
-di Firenze dissimulando l’ingiuria per non turbare
-il tranquillo della pace, ed eglino multiplicando
-in superbia, confidandosi che per cagione
-del loro porto i Fiorentini portassono ogni soma,
-avendo rivolto lo stato e il reggimento della città
-come addietro è contato, volendo manifestamente
-rompere i patti della pace a’ Fiorentini, e
-mostrare che ciò non fosse, ordinarono, che per
-cagione che la mercatanzia venisse e stesse sicura
-nel porto e in quel mare, pagasse due danari per
-lira di ciò che la mercatanzia valesse, alla stima
-de’ loro uficiali ordinati sopra ciò. E sapendo
-che per i patti della pace i Fiorentini doveano
-essere liberi e franchi delle loro mercatanzie,
-e persone e cose nella loro città, e porto e distretto,
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-non glie ne feciono esenti, ma i primi
-a cui staggirono e arrestarono la mercatanzia per
-la detta gabella furono i Fiorentini. Il comune
-di Firenze sentendo la novità ch’e’ Pisani faceano
-di torre contro a’ patti della pace la franchigia
-a’ suoi cittadini, vi mandò solenni ambasciadori,
-richieggendo e pregando quello comune che non
-dovesse torre la franchigia debita per gli ordini
-della pace a’ suoi cittadini. La risposta fu, ch’elli
-erano sotto il governo del loro signore messer
-l’imperadore, e questo era sua fattura, per volere
-che ’l porto e ’l mare stesse guardato e sicuro.
-E non potendosi trarre altro da loro, il comune
-mandò all’imperadore in Boemia a sapere, se suo
-ordine era, e se volea ch’e’ Pisani sotto l’imperiale
-titolo rompessono loro la pace, togliendo la
-franchigia a’ suoi cittadini. L’imperadore udita
-la novella, gli dispiacque: e incontanente riscrisse
-al nostro comune, che ciò non era fatto di suo
-volere nè di suo sentimento, e che la sua volontà
-era ch’e’ Pisani mantenessero a’ Fiorentini la loro
-franchigia e buona e leale pace; e così riscrisse al
-comune di Pisa per sue lettere, ma poco il curarono,
-e però poco valse. E avuta la risposta dall’imperadore,
-più pertinacemente tennono fermo
-quello ch’aveano incominciato, e necessità fu
-a’ mercatanti fiorentini a cui era staggita la loro
-mercatanzia di pagare il dazio, e rompere la franchigia,
-se rivollono la loro mercatanzia. Questo
-fu il primo cominciamento del mese di giugno
-predetto; come le cose montarono poi a grande
-sdegno, e poi a incitazione di grave turbazione
-di guerra, appresso ne’ tempi come occorsono
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-si potrà trovare, e massimamente nel
-cominciamento dell’undecimo libro della nostra
-compilazione.
-</p>
-
-<h3 id="cap48-6">CAP. XLVIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini deliberarono partirsi da
-Pisa e ire a Talamone.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vedendo i Fiorentini la pertinacia de’ Pisani
-in non volersi rimuovere dall’impresa, conoscendo
-manifestamente che venivano contro a’ patti
-della pace con due maliziosi rispetti; il primo,
-che non sapeano vedere, e non poteano pensare,
-che per quella lieve gravezza i Fiorentini si dovessono
-sconciare della comodità ch’aveano del
-loro porto per le proprie mercatanzie, e per quelle
-degli altri mercatanti strani da cui aveano a comperare,
-trovandole in Pisa a una giornata presso
-alla loro città, e trovando in Pisa da’ Pisani la
-civanza delle scritte e della loro credenza; e perocchè
-partendosi di là la spesa e lo sconcio era
-sformato, non voleano pensare ch’e’ Fiorentini
-non s’acconciassono a consentire questo cominciamento:
-e quando ciò fosse recato in pratica e in
-usanza, aveano intenzione di venire crescendo il
-dazio a utilità del loro comune, e a servaggio di
-quello di Firenze. L’altro peggiore pensiere si era,
-se per questo i Fiorentini si movessono a guerra, lo
-stato di coloro che nuovamente reggeano, il quale
-era debole per i molti buoni cittadini cui eglino
-aveano abbattuti dello stato, si fortificherebbe
-per la guerra de’ Fiorentini, e sarebbono seguitati
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-e più ubbiditi dal loro popolo. I Fiorentini conoscendo
-la loro malizia, non vollono però rompere
-la pace, ma tennero più consigli, e trovarono
-i loro cittadini tutti acconci di portare ogni gravezza,
-e ogni spesa e interesso che incorrere potesse
-all’arti e alla mercatanzia, innanzi che
-volessono comportare un danaio di dazio o di
-gabella da’ Pisani contro alla loro franchigia.
-E però di presente ordinarono per riformagione
-penale, che catuno cittadino, o contadino, o distrettuale
-di Firenze, infra certo tempo giusto
-dato loro, catuno si venisse spacciando e ritraendo
-per modo, ch’al termine dato catuno si potesse
-partire da Pisa senza suo danno: e sopra ciò e sopra
-trovare modo d’avere porto altrove fu fatto
-un uficio di dieci buoni cittadini, due grandi e
-otto popolani con grande balìa, e chiamaronsi i
-dieci del mare; della quale provvisione seguirono
-gran cose, come innanzi al suo tempo diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap49-6">CAP. XLIX.
-<span class="smaller"><i>Come fu disfatta la città di Venafri
-in Terra di Lavoro.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re Luigi avendo lungamente avuto addosso
-la compagnia e certi de’ suoi baroni ribelli, non
-avea potuto resistere a’ ladroni, e per questo
-erano in ogni parte multiplicati i malfattori, e i
-baroni si teneano in loro fortezze, e davano più
-rifugio e favore a’ rei che a’ buoni; e per tanto
-il paese era nella forza di chi male volea fare,
-per tale, ch’uno conestabile tedesco, ch’avea
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-nome Currado Codispillo, si rubellò al re essendo
-al suo soldo, e con ottanta barbute e
-cento masnadieri era entrato nella città di Venafri,
-e tormentava le strade e’ cammini e tutto il
-paese d’intorno, cavalcando in prede e in ruberie
-infino ad Aversa, e ritornavasi in Venafri; e
-per questo erano assediate le strade e’ cammini,
-ch’e’ mercatanti non poteano andare nè mandare
-le mercatanzie per lo Regno. Sapendo il re
-che la compagnia era per uscire del Regno, fece
-di subito sua raunata, e in persona cavalcò a
-Venafri, e sopraggiunti li sprovveduti ladroni,
-combattè la terra ch’avea poca difesa, e vinsela,
-e’ forestieri si fuggirono per la montagna, e salvaronsi.
-Il re nel caldo del suo furore, non pensando
-che la città era sua e antica nel Regno,
-la fece ardere e disfare, perchè più non potesse
-essere ridotto di ladroni suoi ribelli, e del detto
-mese si ritornò a Napoli, cominciando a essere
-più ubbidito e temuto che non era prima.
-</p>
-
-<h3 id="cap50-6">CAP. L.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste del re d’Ungheria cominciò
-a venire a Trevigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo contato poco addietro il movimento
-del re d’Ungheria, seguita, che a dì 28 del
-mese di giugno del detto anno, messer Currado
-Lupo, il conte d’Aquilizia, Ilbano di Bossina con
-quattromila cavalieri tedeschi, friolani e ungari
-vennono sopra la città di Trevigi, la quale
-era a quel tempo sotto la guardia e libera signoria
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-de’ Veneziani; i quali avendo poco dinanzi
-avuta per li loro ambasciadori tornati dal detto
-re risposta della sua intenzione, aveano presa
-temenza ch’e’ non venisse sopra loro a Trevigi,
-e però in fretta intesono a fornire la città di gente
-d’arme a cavallo e a piè per la difesa, e d’altre
-cose necessarie, ma tanto giunsono tosto i nemici,
-che a compimento non lo poterono fare; nondimeno
-per levare il ridotto a’ loro avversari
-arsono le villate d’intorno, e i borghi del castello
-di Mestri. Giunto messer Currado Lupo incontenente
-colle sue masnade tedesche corse il paese,
-e cavalcò infino a Marghera presso di Vinegia
-a tre miglia di mare in sul canale ch’andava
-a Trevigi, nel quale trovarono più barche cariche
-di vittuaglia e d’arme ch’andavano a Trevigi,
-le quali prese, e gli uomini fece impiccare,
-e la roba conducere al campo. Costoro cominciarono
-a porre l’assedio alla città, e il re era
-rimaso addietro a Sigille con più di quaranta
-migliaia d’Ungari a cavallo, per venire appresso
-al detto assedio.
-</p>
-
-<h3 id="cap51-6">CAP. LI.
-<span class="smaller"><i>De’ parlamenti che per questo si feciono
-in Lombardia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Nell’avvenimento della gente del re d’Ungheria
-a Trevigi, da capo presono sospetto tutti
-i signori lombardi, e quelli di Milano andarono
-in persona a messer Cane Grande, e con
-lui s’accozzarono al lago di Garda a un suo castello,
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-e ivi fermarono tra loro lega e compagnia.
-E alla città di Bologna si ragunarono tutti gli altri
-collegati contro al signore di Milano, e da
-capo rifermarono loro lega, e di comune concordia
-catuna gente per sè mandò da capo ambasciadori
-al re d’Ungheria, a volere sapere se
-egli intendea con tanto grande esercito quant’egli
-avea seco fare altra novità in Italia che
-contro alla città di Trevigi; e saputo da lui che
-non venia per altro che per procacciare le sue
-terre dal comune di Vinegia, rimasono per contenti.
-E Ilbano di Bossina e messer Currado
-Lupo andarono al signore di Padova che vicinava
-col Trivigiano, e da parte del loro signore
-gli offersono amistà e buona pace e sicurtà del
-suo paese, pregandolo ch’allargasse la sua mano
-di dare all’oste del re vittuaglia per li loro
-danari, la qual cosa fu promessa con certo ordine
-a’ detti baroni. E tutte queste cose furono
-mosse e fatte in pochi dì, all’entrare del mese
-di luglio del detto anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap52-6">CAP. LII.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria ebbe Colligrano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Colligrano è un grande e forte castello in
-Trevigiana presso a Trevigi a sedici miglia, e in
-sul passo del Frioli. Questo castello aveano ben
-fornito i Veneziani di gente d’arme per impedire
-il passo al re. In questi dì il re venia con
-grande esercito verso Trevigi, e giunto a Colligrano,
-vedendolo forte e in sul passo, quanto che
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-potesse ben passare per forza della sua cavalleria,
-non lo si volle lasciare addietro, e però mise
-in ordine gli Ungheri, ch’erano più di quarantamila
-per fare combattere la terra, con
-intenzione di non partirsene ch’e’ l’arebbe. I
-terrazzani vedendo la moltitudine che copriva
-la terra intorno intorno parecchie miglia,
-tutti con gli archi e colle saette, temendo il
-pericolo della battaglia, s’arrenderono alla persona
-del re innanzi che battaglia si cominciasse.
-Ed egli in persona, senza lasciare fare
-loro alcuno male, v’entrò dentro con quella
-gente ch’e’ volle, a dì 12 di luglio del detto
-anno, e prese la signoria in nome dell’imperadore,
-e fornitolo di suoi cavalieri e d’uno
-confidente capitano, si mise innanzi col suo
-esercito in verso la città di Trevigi.
-</p>
-
-<h3 id="cap53-6">CAP. LIII.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria venne a oste a Trevigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo il detto re in cammino, prese un’altro
-castello che si chiama Asille, e altre tenute
-d’intorno senza arrestarsi ad esse, ed ebbele
-a’ suoi comandamenti. E cavalcando innanzi, a
-dì 14 del detto mese giunse nel campo a Trevigi
-con più di quarantamila Ungheri e Schiavi
-a cavallo, oltre a quelli che prima erano venuti
-co’ suoi baroni. E con questo grande esercito prese
-tutto il paese intorno a Trevigi, e assediò la
-città e più altre castella in Trevigiana ivi d’intorno;
-e ’l suo proponimento era di non partirsi
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-dall’assedio ch’egli avrebbe la città al suo comandamento.
-Ma le cose alcuna volta non succedono
-alla volontà umana, e però con tutta la
-smisurata potenza non potè adempiere suo proponimento,
-come leggendo appresso dimostreremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap54-6">CAP. LIV.
-<span class="smaller"><i>Come si reggeano gli Ungheri in oste.</i></span></h3>
-
-<p>
-E’ pare cosa maravigliosa agl’Italiani ne’ nostri
-dì, a udire la moltitudine de’ cavalieri che
-seguitano il re d’Ungheria quando cavalca in
-arme contro i suoi nemici. E però, avvegnachè
-gli antichi fossono di queste cose più sperti, per
-lo lungo trapassamento di quella memoria qui
-ne rinnoveremo alcuna cosa, per levare l’ammirazione
-de’ moderni. Gli Ungheri sono grandissimi
-popoli, e quasi tutti si reggono sotto baronaggi,
-e le baronie d’Ungheria non sono per
-successione nè a vita, ma tutte si danno e tolgono
-a volontà del signore: e hanno per loro antica
-consuetudine ordinate quantità di cavalieri,
-de’ quali catuno barone, e catuno comune hanno
-a servire il loro re quando va o manda in fatti
-d’arme, sicchè il numero e ’l tempo del servigio
-catuno sa che l’ha a fare. E perocchè alla
-richiesta del signore subitamente senza soggiorno
-o intervallo conviene che sieno mossi, per
-questo quel comune e quello barone ha diputato
-quelli che a quel servigio debbino continovo stare
-apparecchiati di doppi cavalli, e chi di più, e di
-loro leggieri armi da offendere, cioè l’arco colle
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-frecce ne’ loro turcassi, e una spada lunga a difensione
-di loro persone. Portano generalmente
-farsetti di cordovano, i quali continovano per
-loro vestimenta, e com’è bene unto, v’aggiungono
-il nuovo, e poi l’altro, e appresso l’altro, e
-per questo modo gli fanno forti e assai difendevoli.
-La testa di rado armano, per non perdere
-la destrezza del reggere l’arco, ov’è tutta la loro
-speranza. Gli Ungheri hanno le gregge de’ cavalli
-grandissime, e sono non grandi, e co’ loro cavalli
-arano e governano il lavorio della terra,
-e tutte loro some sono carrette, e tutti gli
-nudriscono a stare stretti insieme, e legati per
-l’uno de’ piedi, sicchè in catuna parte con
-uno cavigliuolo fitto in terra li possono tenere,
-e il loro nudrimento è l’erba, fieno e strame
-con poca biada; massimamente quando usano
-d’andare verso levante, e valicare i lunghi diserti.
-E andando verso que’ paesi, usano selle lunghe
-a modo di barde, congiunte con usolieri; e quando
-sono in que’ cammini disabitati e ne’ loro eserciti,
-l’uomo e ’l cavallo in sul campo a scoperto
-cielo fanno un letto senz’altra tenda, e in tempo
-sereno aprono le bande delle loro selle a modo
-di barda, e fannosene materasse, e sopr’esse
-dormono la notte; e se ’l tempo è di piova, che di
-rado avviene, o dell’una parte o d’amendue
-si fanno coperta, e’ loro cavalli usi a ciò non si
-curano di stare al sereno e alla piova, e non hanno
-danno in que’ paesi che di rado vi piove; altrove
-non è così, ma pure comportano meglio i disagi;
-e molti ne castrano, che si mantengono meglio,
-e sono più mansueti. Di loro vivanda con
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-lieve incarico sono ne’ diserti ben forniti, e la cagione
-di ciò e la loro provvisione è questa; che in
-Ungheria cresce grande moltitudine di buoi e di
-vacche, i quali non lavorano la terra, e avendo
-larga pastura, crescono e ingrassano tosto, i quali
-elli uccidono per avere il cuoio, e ’l grasso che
-fanno ne fanno grande mercatanzia, e la carne
-fanno cuocere in grandi caldaie; e com’ell’è ben
-cotta e salata la fanno dividere dall’ossa, e appresso
-la fanno seccare ne’ forni o in altro modo, e
-secca, la fanno polverezzare e recare in sottile polvere,
-e così la serbano; e quando vanno pe’ deserti
-con grande esercito, ove non trovano alcuna
-cosa da vivere, portano paiuoli e altri vasi di
-rame, e catuno per sè porta uno sacchetto di
-questa polvere per provvisione di guerra, e oltre
-a ciò il signore ne fa portare in sulle carrette
-gran quantità; e quando s’abbattono alle fiumane
-o altre acque, quivi s’arrestano, e pieni
-i loro vaselli d’acqua la fanno bollire, e bollita,
-vi mettono suso di questa polvere secondo la quantità
-de’ compagni che s’accostano insieme; la
-polvere ricresce e gonfia, e d’una menata o di
-due si fa pieno il vaso a modo di farinata, e dà
-sustanza grande da nutricare, e rende gli uomini
-forti con poco pane, o per se medesima senza
-pane. E però non è maraviglia perchè gran moltitudine
-stieno e passino lungamente per li diserti
-senza trovare foraggio, che i cavalli si nutricano
-coll’erbe e col fieno, e gli uomini con
-questa carne martoriata. Ma ne’ nostri paesi, ove
-trovano il pane e ’l vino e la carne fresca, infastidiscono
-il loro cibo, il quale per dolce usano
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-ne’ deserti; e però mutano costume, e non saprebbono
-vivere di quell’impastata vivanda,
-e però non potrebbono in tanto numero ne’ nostri
-paesi durare, che le città e le castella sono
-forti, e i campi stretti e le genti provvedute; e
-però avviene, che quanti più in numero di qua
-ne passano, più tosto per necessità di vita si confondono.
-La loro guerra non è in potere mantenere
-campo, ma di correre e fuggire e cacciare,
-saettando le loro saette, e di rivolgersi e di ritornare
-alla battaglia. E molto sono atti e destri a
-fare preda e lunghe cavalcate, e molto magagnano
-colle saette gli altrui cavalli e le genti a
-piede, e per tanto sono utili ove sia chi possa tenere
-campo, perocchè di fare guerra in corso e
-tribolare i nemici d’assalto sono maestri, e
-non si curano di morire, e però si mettono a
-ogni gran pericolo. E quando le battaglie si commettono,
-sempre gli Ungheri si tengono per loro,
-e combattono, partendosi a dieci o quindici
-insieme, chi a destra e chi a sinistra, e corrono
-a fedire dalla lunga con le loro saette, e appresso
-in su’ loro correnti cavalli si fuggono, e solieno
-andare senza insegna o alcuna bandiera, e
-senza stromento da battaglia, e a certa percossa
-di loro turcassi s’accoglievano insieme. Abbianne
-forse oltre al dovere stesa nostra materia, ma
-perchè in questo nostro tempo si sono cominciati
-a stendere nelle italiane guerre, non è male
-a sapere loro condizione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap55-6">CAP. LV.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste si mantenea a Trevigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando il re d’Ungheria all’assedio di Trevigi,
-venne a lui messer Gran Cane della Scala
-con cinquecento barbute di fiorita gente d’arme,
-e ricevuto dal re graziosamente stette a parlamentare
-con lui in segreto, e tornossi a Verona,
-lasciati al servigio del re que’ cavalieri che menati
-avea con seco, avvegnachè il re, avendo
-troppa gente della sua, non gli arebbe voluti,
-ma per cortesia gli ritenne. Messer Bernabò di
-Milano gli mandò cinquecento balestrieri, i quali
-gli furono assai a grado; e incontanente il re
-fece strignere l’oste intorno alla città, e rizzarvi
-da diverse parti da diciotto difici, e cominciava a
-volere fare cave per abbattere le mura, ma di
-quello quelli della città poco si torneano, perocch’ell’è
-posta in piano, ed è quel piano sì abbondante
-d’acqua viva, che non si può cavare
-braccia due in profondo, che da catuna parte
-l’acqua surge abbondante e bella. Quelli che
-dentro v’erano alla guardia della città per i Veneziani,
-vedendo l’oste strignersi alle mura
-della città, francamente si mostrarono apparecchiati
-alla difesa, e contro a’ trabocchi aveano
-fatti terrati e altri utili ripari. Il re e ’l suo consiglio
-avendo provveduto la terra intorno, conobbono
-che non era cosa possibile a volerla vincere
-per battaglia, avendo difensori come la sentivano
-fornita, perocchè le mura erano forti e alte,
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-e molto bene provvedute e armate, e i fossi
-larghi e pieni d’acqua viva. E per tanto non era
-da potere sperare vittoria, se non per lungo assedio,
-e a questo si disponea la volontà reale,
-ma la moltitudine de’ suoi Ungheri bestiali e
-baldanzosi generava confusione, che non si poteano
-reggere nè tenere ordine; e però avvenne,
-non ostante che il re col signore di Padova avesse
-pace e concordia (per la quale mandava ogni
-dì grande quantità di pane cotto all’oste in molte
-carra, e quattro carrette di vino per mantenere
-in dovizia l’oste, senza quella vittuaglia che le
-singulari persone del suo contado vi portavano)
-e in patto era che il suo contado e distretto dovea
-essere salvo e sicuro da tutto l’esercito del
-re, che non ostante le dette promesse gli Ungheri
-cavalcavano di loro movimento in sul Padovano,
-uccidendo ardendo e rubando, e facendo
-preda come sopra i nemici; onde il signore si
-turbò, e non mandò più nel campo l’ordinata
-vittuaglia, e’ paesani per non essere rubati si
-rimasono di portarvene, per la qual cosa il grande
-esercito cominciò a sentire difetto, e sformata
-carestia delle cose da vivere oltre all’usato
-modo. Lasceremo alquanto questa materia, per
-dare all’altre cose che occorsono alla fine di questo
-assedio il loro debito.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap56-6">CAP. LVI.
-<span class="smaller"><i>Come la gran compagnia passò nella Marca.</i></span></h3>
-
-<p>
-All’uscita del mese di luglio del detto anno,
-il conte di Lando colla sua compagnia uscì del
-Regno per la via della marina di san Fabiano.
-La forza del legato ch’era in sul Tronto non si
-potè tanto stendere che la compagnia inverso la
-marina non valicasse il fiume, e valicati senza
-contasto, si dirizzarono verso Fermo, e tra la
-città d’Ascoli e di Fermo posono loro campo;
-nel quale si trovarono duemilacinquecento barbute
-ben montati e bene in arme, e gran quantità
-di cavallari e di saccomanni in ronzini e
-in somieri, e mille masnadieri, e barattieri, e
-femmine di mondo, e bordaglia da carogna bene
-più di seimila. Essendosi accampati, sentirono
-come il legato era forte di gente d’arme e apparecchiato
-a tenerli stretti dalle gualdane, e però
-cercarono accordo con lui, e vennero a’ patti,
-che promisono in dodici dì essere fuori della
-Marca d’Ancona, senza fare prede o danno al
-paese, e che prenderebbono derrata per danaio,
-e’ paesani doveano apparecchiare la vittuaglia al
-loro trapasso. Seguirono i patti, ma non del termine,
-e dovunque tenevano campo non poteano
-fare senza grave danno de’ paesani; e a dì 10
-del mese d’agosto furono passati in Romagna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap57-6">CAP. LVII.
-<span class="smaller"><i>De’ fatti dell’isola di Cicilia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi tempi nell’isola di Cicilia avvenne,
-che essendo morto Lodovico che si faceva
-dire re, e un suo fratello, ch’erano in guardia
-della setta de’ Catalani, l’altra parte della setta
-degl’Italiani, ond’erano capo i conti della
-casa di Chiaramonte, i quali s’erano accostati
-col re Luigi di Puglia, presono più ardire, e’ Catalani
-e’ loro seguaci n’abbassarono; e per questo
-avvenne, che messer Niccola di Cesaro con
-alquanti grandi cittadini di Messina i quali erano
-stati cacciati di Messina vi ritornarono; e
-questo messer Niccola essendo cacciato della terra,
-s’era ridotto di volontà del re Luigi nel castello
-di Melazzo, e fatto capitano de’ cavalieri
-del detto re Luigi per guardare il castello e guerreggiare
-i Messinesi. Costui ritornato in Messina
-co’ suoi consorti e con altri di suo seguito, molto
-segretamente si cominciò a intendere co’ caporali
-di Chiaramonte, e all’entrata di luglio
-del detto anno, provveduto a’ suoi segreti, fece
-muovere certi di sua setta, i quali cominciarono
-mischia con quelli cittadini ch’erano avversari
-di messer Niccola, e che l’aveano tenuto
-fuori di Messina. Essendo per questa novità la
-terra a romore, come ordinato era, messer Niccola
-ebbe di subito da Melazzo dugento cavalieri
-che v’erano del re Luigi e quattrocento fanti,
-i quali mise nella città, e con loro e con suo
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-seguito di cittadini corse la terra, e caccionne
-fuori diciannove famiglie de’ suoi avversari, e
-tutti gli fece rubare, e fecesene signore, non per
-titolo, ma come maggiore governava il reggimento
-di quella. E così in tutte le parti dell’isola
-erano dissensioni e brighe per le maladette
-sette, ma l’una calava e l’altra montava con
-continove uccisioni e guastamento del paese; e
-già per terre che ’l re Luigi v’avesse o per sua
-forza di gente, che ve ne manteneva poca per
-povertà di moneta, lievemente montava al fatto.
-La divisione de’ paesani mutava la loro fortuna,
-come seguendo nel loro tempo si potrà vedere.
-</p>
-
-<h3 id="cap58-6">CAP. LVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il conte di Lancastro cavalcò
-fino a Parigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di luglio del detto anno, il conte di
-Lancastro con due fratelli del redi Navarra, con
-quattromila cavalieri e molti arcieri inghilesi,
-per fare maggiore onta al re di Francia, sentendo
-s’apparecchiava di molta baronia, si misono
-a cammino, scorrendo i paesi inverso la città
-di Parigi, facendo col fuoco gran danno alle
-villate di fuori e predando in ogni parte, e misonsi
-tanto innanzi, che a una giornata s’appressarono
-a Parigi. Sentendo che ’l re s’apparecchiava
-di venire contro a loro con diecimila cavalieri
-e grande popolo, diedono la volta girando il
-paese, e facendo continovi danni e gravi si
-ridussono in Normandia a un castello che si
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-chiamava Bertoglio, innanzi al quale fermarono
-loro campo per difenderlo, avvisando che ’l re
-di Francia il dovesse fare assediare, perocchè
-tribolava col ricetto degl’Inghilesi tutta Normandia.
-</p>
-
-<h3 id="cap59-6">CAP. LIX.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia andò in Normandia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re di Francia infocato di sdegno più contro
-a messer Filippo di Navarra che gli era venuto
-addosso, che contro al duca di Lancastro, sentendo
-che s’era ridotto nel Castello di Bertoglio
-sotto la guardia degl’Inghilesi, di presente in
-persona si mosse da Parigi con quella cavalleria
-ch’avea accolta, lasciando d’essere seguito dagli
-altri, e dirizzossi in Normandia verso Bertoglio;
-e trovandosi con più di diecimila cavalieri, e
-con grande moltitudine di sergenti, si mise a
-campo presso a’ suoi nemici, a intenzione di combattere
-con loro. Il conte di Lancastro avvisato
-guerriere, sentendosi il re appresso con molto
-maggior forza che la sua, ebbe un suo avvisato
-scudiere e ben parlante, il quale mandò al re
-di Francia, e fecelo richiedere di battaglia. Il
-re allegramente ricevette il gaggio della battaglia,
-facendo allo scudiere larghi doni; il quale volendo
-dimostrare ch’avesse amore al re, in sul partire
-gli disse, che la venuta del conte alla battaglia
-sarebbe innanzi dì, dicendogli, che per tempo si
-dovesse apparecchiare. Il re mucciando gli disse,
-che di ciò non si curava; venisse quando volesse,
-pure che venisse alla battaglia; ma le parole dello
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-scudiere furono molto piene di malizia, perocchè
-sapendo che ’l conte la notte si dovea partire, disse
-questo acciocch’e’ Franceschi sentendo il movimento
-credessono che ciò fosse apparecchio di battaglia
-e non di fuga, e così avvenne, che ’l conte di
-Lancastro, e messer Filippo di Navarra in quella
-notte, facendo fare gran vista nel campo e gran
-romore, chetamente si ricolsono, e partirono colla
-loro gente. Il re la mattina scoperto il baratto
-degl’Inghilesi si mise a oste al castello con
-proponimento di lasciare gli altri assalti degl’Inghilesi,
-e attendere a racquistare le terre che
-rubellate gli erano in Normandia. In questo
-tempo il duca di Guales faceva alle terre del re
-di Francia grandi guerre in Guascogna, ma però
-il re non si volle partire dall’assedio di Bertuglio
-infino a tanto che l’ebbe a’ suoi comandamenti,
-arrenduti al re salve le persone, e così fu fatto;
-avendo il re vittoria d’avere cacciati con
-vergogna i nemici, e vinto il castello.
-</p>
-
-<h3 id="cap60-6">CAP. LX.
-<span class="smaller"><i>Come il papa e l’imperadore diedono titolo
-al re d’Ungheria.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi tempi mostravano il papa e’ cardinali
-grande affezione al re d’Ungheria, o che fosse
-procaccio del detto re, che spesso avea in corte
-suoi ambasciadori, o che motivo fosse della Chiesa
-per fargli onore, a dì quattro del mese d’agosto
-del detto anno, il papa e i cardinali di concordia
-in consistoro il pronunziarono e dichiararono
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-gonfaloniere di santa Chiesa contro agl’infedeli.
-In questo medesimo tempo, essendo il detto re
-all’assedio di Trevigi, l’imperadore il fece suo
-vicario nella guerra de’ Veneziani, ed egli levò
-nel campo la sua insegna, e tutte le terre che
-per lui s’acquistavano riceveva in nome dell’imperadore.
-</p>
-
-<h3 id="cap61-6">CAP. LXI.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini s’accordarono di fare
-porto a Talamone.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avemo narrato addietro, come il comune di
-Firenze per lo torto ch’e’ Pisani faceano a’ suoi
-cittadini, d’avere levata loro la franchigia contro
-a’ patti della pace, essendo venuto il termine
-che i mercatanti s’erano partiti da Pisa, e ritrattone
-le mercatanzie e’ danari, del presente mese
-d’agosto del detto anno, avendo i dieci del mare
-lungamente trattato col comune di Siena di volere
-far porto a Talamone, recato l’acconciamento
-del porto e del ridotto in terra, e della
-guardia, che da loro parte era a fare, e del dirizzamento
-del cammino, e dell’albergherie, e appresso
-di quello che per dazio e gabelle la mercatanzia
-de’ Fiorentini avesse a pagare, in piena
-concordia, per riformagioni de’ consigli di catuno
-comune, si fermò per dieci anni di fare i Fiorentini
-porto là e ridotto a Siena, e i Sanesi di conservare
-i patti promessi. È vero, che tra gli altri
-patti era promesso di sbandire le strade da Siena a
-Pisa per divieto d’ogni mercatanzia, ma questo
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-non osservarono i Sanesi, anzi correa il cammino
-dall’una città all’altra in grande acconcio de’ Pisani.
-Avvedendosene i Fiorentini, se ne dolsono,
-ma ’l reggimento del comune di Siena non se ne
-movea. Vedendo de’ cittadini che voleano s’attenesse
-la fede al comune di Firenze, e che i loro
-rettori non lo faceano, ordinarono, che certi sbanditi
-loro cittadini rompessono e rubassono la
-strada e la mercatanzia, e forse fu d’assentimento
-de’ rettori per coprirsi al comune di Pisa.
-Costoro feciono volentieri il servigio per modo
-che ’l cammino al tutto per terra fu loro tolto.
-E i Pisani sopra gli altri Toscani saputi e maliziosi,
-a questa volta si trovarono presi nella loro
-malizia; perocchè incontanente che i Fiorentini
-presono porto a Talamone e ridotto a Siena,
-tutti gli altri mercatanti d’ogni parte abbandonarono
-il porto e la città di Pisa, e votarono la
-città d’ogni mercatanzia, e le case dell’abitazioni,
-e ’l mestiere delle loro mercerie, e gli alberghi
-de’ mercatanti e de’ viandanti, e’ cammini
-de’ vetturali, e ’l porto delle navi, per modo che
-in brieve tempo s’avvidono, che la loro città era
-divenuta una terra solitaria castellana; e nella
-città n’era contro a’ loro rettori grande repetio.
-Allora s’accorsono senza suscitamento di guerra
-quanto guadagno tornava al loro comune per avere
-rotta la pace e la franchigia a’ Fiorentini. Allora
-cominciarono a cercare ogni via e modo, con
-ogni vantangio che volessono i Fiorentini, di ritornarli
-a stare in Pisa; ma i Fiorentini, sdegnati
-della fede rotta pe’ Pisani cotante volte al loro
-comune, non poterono essere smossi del fermo proposito
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-di fare col fatto conoscenti i Pisani, che i
-Fiorentini poteano ben fare le mercatanzie per
-terra e per mare senza loro, ed eglino male usare
-il porto, e’ mercatanti, e la mercatanzia, e l’arti,
-e’ mestieri a utilità de’ loro cittadini, e l’entrate
-del loro comune senza i Fiorentini. E perchè
-per indietro non si potessono atare, si fece
-divieto in tutto il distretto di Firenze d’ogni
-mercatanzia o roba ch’andasse o venisse verso
-Pisa, senza rompere il cammino a’ viandanti.
-E di questo seguitarono appresso maggiori cose
-per mare e per terra, come leggendo innanzi
-per li tempi si potrà trovare,
-</p>
-
-<h3 id="cap62-6">CAP. LXII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Bruzzi cercò di tradire il
-signore di Bologna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Bruzzi, figliuolo non legittimo che fu
-di messer Luchino signore di Milano, essendo per
-sospetto de’ signori di Milano cacciato di quella,
-e per sue cattive operazioni stato in ribellione
-più tempo, vedendosi messer Giovanni da Oleggio
-molto solo di confidenti nella sua signoria, e
-conoscendo messer Bruzzi pro’ e ardito, e bene
-avvisato in guerra e di gran consiglio, il recò a
-sè, parendogli potersi confidare di lui, e assegnogli
-larga provvisione, e facevagli onore, e tutte
-le maggiori cose di fatti d’arme li commettea;
-e oltre a ciò in camera l’avea a’ suoi segreti
-consigli, e mostravagli tanto amore, ch’e’ Bolognesi
-temevano, che se messer Giovanni morisse
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-costui non rimanesse signore; ma l’animo tirannesco
-affrettando l’ambizione della signoria li
-gravava d’attendere, e però cercava di fornirlo
-più tosto, e trattò di torre la signoria a messer
-Giovanni, ma non seppe fare il trattato sì coperto
-che a messer Giovanni, ch’era maestro di
-buona guardia e di savia investigagione, non li
-venisse palese. E tornando messer Bruzzi di fuori
-con molta gente d’arme in Bologna con grande
-pompa, messer Giovanni mandò per lui, e avendolo
-in camera, li rammentò l’onore e ’l beneficio
-che gli avea cominciato a fare, e l’animo
-ch’avea di farlo grande; e appresso li mostrò il
-trattato ch’e’ tenea per torli la signoria di Bologna
-sì aperto, ch’e’ non glie lo potè negare: ma
-per amore della casa de’ Visconti, dond’era nato,
-gli disse, che li perdonava la morte; ma per
-vendetta dello sconoscimento dell’onore che gli
-avea fatto trovandolo traditore il fece spogliare
-in giubbetto, e cacciare a piè fuori di suo distretto
-incontanente, e diede congio a tutta sua famiglia,
-e ritenne l’arme gli arnesi e i cavalli.
-</p>
-
-<h3 id="cap63-6">CAP. LXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Veneziani cercarono accordo
-col re d’Ungheria.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese d’agosto del detto anno, vedendo
-i Veneziani essere recati a mal partito
-nella guerra col re d’Ungheria, signore di così
-gran potenza, e pensando che per lo cominciamento
-della guerra i loro cittadini erano per le
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-spese loro premuti dal comune infino al sangue,
-pensarono ch’altro scampo non era per loro se non
-di procacciare la sua pace; e però elessono parecchi
-de’ maggiori e de’ più savi cittadini di Vinegia,
-e mandaronli al re nel campo a Trevigi
-con pieno mandato, informati dell’intenzione
-e volontà del loro comune, e giunti al re, da lui
-furono ricevuti onorevolemente; ed essendo a parlamento
-con lui, gli offersono da parte del comune
-di Vinegia, come quando potessono avere da
-lui buona pace, che ’l comune lascerebbe la città
-di Giara, con patto ch’ella dovesse rimanere
-nel primo stato in sua libertà, e che renderebbono
-liberamente certe terre nomate della Schiavonia
-a sua volontà, e certe altre voleano ritenere
-e riconoscere da lui, con quello convenevole
-censo a dare ogn’anno al re ch’a lui piacesse,
-e offerendoli di ristituire per tempo ordinato
-quella quantità di pecunia per suoi interessi
-e spese che fosse convenevole, e di che egli giustamente
-si potesse contentare. Al re parve strano
-ch’e’ volessono trarre Giara del suo reame
-e metterla in libertà, e che per patto li convenisse
-lasciare le sue terre al comune di Vinegia
-a censo; e questo riputava in vergogna della sua
-corona, e però non volle consentire a questa pace,
-nè a questo accordo, se liberamente non gli
-fossono restituite le terre del suo reame. Molti
-di questo biasimarono il re, parendo ch’egli
-dovesse avere preso questo accordo con suo vantaggio,
-per quello ch’appresso ne seguitò di suo
-poco onore, ma chi riguarderà al fine e alla potenza
-reale non li darà biasimo della sua alta
-risposta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap64-6">CAP. LXIV.
-<span class="smaller"><i>Come il signore di Bologna scoperse un altro
-trattato contro a sè.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Bernabò di Milano, avendo sopra all’altre
-cose cuore a’ fatti di Bologna, come avea
-ordinato l’uno trattato contro al signore di Bologna,
-e era scoperto, così avea ricominciato
-l’altro: apparve cosa maravigliosa, che tutti si
-scoprivano per sè stessi per non pensati nè provveduti
-modi. Avea in questi dì messer Giovanni
-da Oleggio fatto podestà di san Giovanni in Percesena,
-e datali provvisione in altre terre circustanti,
-un Milanese, in cui avea grande e antica
-confidanza. Tanto seppe adoperare messer Bernabò,
-che corruppe questo podestà milanese, e
-corruppe il suo cancelliere, il quale dovea fare
-lettere da parte del signore per certo modo
-come volea il detto podestà; e già ogni cosa
-era recata in opera per modo, ch’era mossa
-la cavalleria che dovea entrare nelle castella
-sotto il titolo delle lettere del signore di Bologna,
-e mandò messer Bernabò un suo fidato
-messaggere innanzi al podestà di san Giovanni
-colle sue lettere. Avvenne che in quel dì, alcune
-ore innanzi che ’l fante giugnesse al castello
-di san Giovanni, il podestà era ito a Bologna; il
-fante li tenne dietro, e cominciò infra sè a dubitare
-delle lettere che portava, perocchè sentiva
-della cagione perch’egli andava; e giunto a Bologna,
-trovo che ’l podestà era col signore, e
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-allora li montò più il sospetto, immaginando
-che ’l trattato fosse scoperto, e per campare sè,
-tanto fu forte la sua immaginazione ch’e’ si mise
-ad andare al signore, e con grande improntitudine
-fece d’avere udienza da lui, e allora li
-manifestò il fatto; e per provare la verità li diè
-le lettere di messer Bernabò ch’e’ portava al
-podestà, per le quali fu manifesto che san Giovanni,
-e Nonantola e altre castella, in uno dì
-doveano essere date per lo trattato del podestà
-alla gente di messer Bernabò, il quale era ancora
-in casa del signore; messer Giovanni vedute
-quelle lettere e disaminato il fante, fece ritenere
-il podestà e il cancelliere, è ritrovata con loro
-la verità del fatto, e colpevoli, di presente
-provvide alla guardia delle terre, e costoro con
-anche dieci di loro seguito fece morire.
-</p>
-
-<h3 id="cap65-6">CAP. LXV.
-<span class="smaller"><i>Di certa novità che gli Ungheri feciono
-nel campo a Trevigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-La disordinata moltitudine de’ cavalieri ungheri,
-che a modo di gente barbara non sanno
-osservare la disciplina militare, nè essere ubbidienti
-a’ loro conducitori, come detto è poco
-addietro, aveano scorso il Padovano, perchè la vittuaglia
-che di là solea venire non venia, e la carestia
-montava nel campo. Per la qual cosa al
-primo fallo n’arrosono uno maggiore, e presono
-riotta co’ cavalieri tedeschi che v’erano con messer
-Currado Lupo e con gli altri conestabili tedeschi
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-che fedelmente servivano il loro signore,
-e per arroganza li villaneggiavano; e fatto questo,
-corsono con furore alla camera dove il re
-avea ordinato il fornimento della vittuaglia e
-dell’altre cose per conservare l’oste, e rubaronla;
-e così in pochi dì ebbono a tanto condotta
-l’oste, sconciando l’ordine che la mantenea,
-che per necessità fu costretto il re di partirsi
-dall’assedio, come appresso diviseremo: verificandosi
-quel detto del filosofo il quale disse: che
-le sopragrandi cose reggere non si possono, e
-quelle che reggere non si possono, lungamente
-durare non possono.
-</p>
-
-<h3 id="cap66-6">CAP. LXVI.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Ungheria si levò da oste
-da Trevigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re d’Ungheria vedendo l’oste sua sconcia
-per la sfrenata baldanza della moltitudine
-de’ suoi Ungheri, e che i difetti della vittuaglia
-erano senza rimedio, si pentè di non avere presa
-la concordia che potuta avea prendere con suo
-onore co’ Veneziani; ed essendo naturalmente
-di subito movimento, senza deliberare con altro
-consiglio, improvviso a tutti, a dì 23 del mese d’agosto
-del detto anno si partì dall’assedio di Trevigi,
-ov’era con più di trecento migliaia di cavalieri,
-è passò la Piave raccolta tutta sua gente a
-salvamento; perocchè quelli della città nè segno
-nè avviso n’ebbono ch’e’ si dovesse partire, e alcuni
-dì stettono innanzi che pienamente si potesse
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-credere la loro partita. A Colligrano fu la
-loro raccolta, e in quella terra lasciò duemila
-cavalieri ungari alla guardia della terra per fare
-guerra a Trevigi, ed egli con tutto l’altro esercito
-si tornò in Ungheria con poco onore della sua
-impresa a questa volta.
-</p>
-
-<h3 id="cap67-6">CAP. LXVII.
-<span class="smaller"><i>Raccoglimento di condizioni,
-e movimento del re.</i></span></h3>
-
-<p>
-Questo re d’Ungheria, per quella verità che
-sapere ne potemmo, è uomo di gran cuore, pro’
-e ardito di sua persona, e nelle prosperità di
-grandi imprese molto animoso, rigido e fiero in
-quelle, e molto si fa temere a’ suoi baroni, e
-vuole avere presti i loro debiti servigi; è grande
-impigliatore senza debita provvedenza; e a sua
-gente in fatti d’arme è più abbandonato e baldanzoso
-che provveduto, per la soperchia fidanza, che
-havea in loro ed eglino in lui, perocchè molto è
-cortese a tutti e di buona aria; assai volte ha mostrati
-esempi di subiti e lievi movimenti nelle
-grandi cose, e l’avverse sa meglio abbandonare,
-partendosi da esse, che stando con virtù resistere
-a quelle.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap68-6">CAP. LXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come la gente della lega di Lombardia
-sconfisse il Biscione a Castel Lione.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo lungamente stato assediato il forte
-Castel Leone de’ Mantovani dalla forza de’ signori
-di Milano, e recato a stretto partito, i signori
-di Mantova coll’aiuto del marchese di
-Ferrara e del signore di Bologna raunate subitamente,
-all’uscita d’agosto anno detto, mille dugento
-barbute e grande popolo per soccorrere
-il castello, s’avviarono molto prestamente verso
-il campo de’ nemici, i quali vedendosi venire
-improvviso addosso i Mantovani si levarono
-dall’assedio, e ordinarono una grossa schiera alla
-loro riscossa e innanzi che la gente de’ Mantovani
-giugnesse al campo, si ridussono a uno castello
-ivi presso de’ loro signori di Milano; ma
-la schiera fatta per la riscossa fu soppressa dalla
-gente de’ Mantovani e sconfitta, e morti e presi
-la maggior parte, e ’l castello liberato dall’assedio;
-e rifornito di nuova gente e di molta vittuaglia
-con vittoria si tornarono al loro signore,
-avendo vituperata la gente de’ signori di
-Milano di quella loro lunga impresa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap69-6">CAP. LXIX.
-<span class="smaller"><i>Trattati de’ Ciciliani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Detto abbiamo addietro, come certi potenti
-cittadini della città di Messina nominati que’ di
-Cesare cacciarono della città altri cittadini loro
-avversari, e rimasi i maggiori, s’accostarono co’ baroni
-di Chiaramonte, i quali teneano col re Luigi
-del Regno. Nondimeno perchè a loro parea essere
-nell’isola i maggiori, eziandio senza l’aiuto
-del detto re, e’ cercarono di riducere a loro Federigo
-loro legittimo signore, e trarlo delle mani
-de’ Catalani, e conducerlo a Messina e farlo coronare
-dell’isola. E per dimostrare che eglino
-avessono affezione al loro signore naturale dell’isola,
-messer Niccola di Cesaro in persona, a
-cui il re Luigi avea accomandata la terra di Melazzo,
-andò là con gente d’arme, e fece per più
-di combattere coloro che per lo re guardavano la
-rocca, tanto che l’ebbe. Per la qual cosa i Messinesi
-presono molta confidanza di messer Niccola,
-e don Federigo medesimo prese speranza e diede
-intenzione di venire a Messina, e per tutto si divolgò
-che l’accordo di Cicilia era fatto. Ma o
-che questo trattato fosse fatto ad ingegno di malizia,
-come si credette, o che la setta de’ Catalani
-non si fidasse, la cosa si ruppe tra’ Ciciliani, e
-seguitonne la chiamata a Messina del re Luigi,
-come appresso al suo tempo, conseguendo nostra
-materia, diviseremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap70-6">CAP. LXX.
-<span class="smaller"><i>Come la compagnia stette sopra Ravenna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Venuta la compagnia del conte di Lando del
-Regno in Romagna, il legato per tema de’ baratti
-di quella gente senza fede si ritrasse dall’assedio
-di Cesena, e dalla cominciata guerra contro al capitano
-di Forlì, pensando saviamente i pericoli
-che occorrere li poteano. Il capitano a quella compagnia
-dava il mercato, e a’ capitani e a’ maggiori
-conestabili facea doni per avere il loro aiuto:
-e la moltitudine di quello esercito si stava
-in sul contado di Ravenna facendo danno di
-prede, e minacciando di dargli il guasto, se ’l loro
-signore messer Bernardino da Polenta non
-desse loro danari. Ma egli, essendo molto ricco
-di moneta, chiamò a consiglio i Cittadini di Ravenna;
-e con loro ordinò il modo dell’ammenda
-del guasto, e volle in questo caso, come valoroso
-tiranno, innanzi sodisfare il danno a’ suoi cittadini,
-che sottomettersi al tributo della compagnia.
-Onde molto fu commendato da’ savi; perocchè
-del guasto la compagnia fa danno a sè senza
-trarne alcun frutto, e il trarre danari da’ signori
-e da’ comuni è un accrescere baldanza e favore
-a mantenere le compagnie e servaggio de’ popoli.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap71-6">CAP. LXXI.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini ordinarono di fare
-balestrieri.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sentendo i Fiorentini la gran compagnia in
-Romagna, e che ’l termine promesso per quella
-di non gravare i Fiorentini compieva, si provvidono
-d’alquanti cavalieri, e mandaronli in Mugello
-per contradire i passi dell’alpe, e feciono
-eletta nella città e nel contado di balestrieri, e
-del mese di luglio del detto anno feciono mostra
-di duemilacinquecento balestrieri sperti del balestro,
-tutti armati a corazzine, e mandaronne
-a’ passi dell’alpe, e senza arresto, ne compresono
-appresso fino in quattromila, tutti con buone corazzine,
-della qual cosa le terre vicine ghibelline,
-e guelfe di Toscana, che allora viveano in sospetto,
-stavano in gelosia e in guardia, e la compagnia medesima
-ne cominciò a dottare. Nondimeno il comune,
-per savia e segreta provvidenza, mandò alcuni
-cittadini per ambasciadori alla compagnia, i
-quali teneano ragionamento di trattato, e passavano
-tempo, e tentavano con ispesa di trarre de’ caporali
-della compagnia e conducergli a soldo; e
-per questo modo temporeggiando co’ conducitori
-di quella, tanto che il grano e i biadi del nostro
-contado fu fuori de’ campi, e ’l comune fortificato
-di cavalieri, e masnadieri, e balestrieri, e presi
-i passi in tutta l’alpe, ove potea essere il passo alla
-compagnia, si ruppono dal trattato, e tornaronsi
-a Firenze. La compagnia, sentendo il comune di
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-Firenze provveduto contro a sè, con accrescimento
-di sdegno perdè la speranza d’entrare a fare
-la ricolta tributaria in Toscana, e però tenne
-co’ Lombardi suo trattato, il quale fornì, come
-innanzi al suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap72-6">CAP. LXXII.
-<span class="smaller"><i>L’ordine ch’e’ Fiorentini presono per
-mantenere i balestrieri.</i></span></h3>
-
-<p>
-Piacendo a’ Fiorentini molto il nuovo trovato
-de’ balestrieri, il fermarono con ordine, e nella
-città n’elessono ottocento, tutti balestrieri provati,
-partendoli per gonfalone, e a venticinque
-davano un conestabile, e le balestra e le corazze
-di catuno inarcavano del marco del comune,
-e per simile modo n’elessono nel contado, dandone
-secondo l’estimo cotanti per cento, e appresso
-nel distretto ne feciono scegliere a catuna
-comunanza, terra o castello quelli che si conveniano,
-tanti che in tutto n’ebbono quattromila;
-e ordinarono per li loro soldi certa entrata
-del comune, e che catuno de’ detti balestrieri,
-non andando al servigio del comune, standosi
-a casa sua avesse ogni mese soldi venti di
-provvisione dal comune, e ’l conestabile soldi
-quaranta, e dovessono stare apparecchiati a ogni
-richiesta del comune; e quando il comune li
-mandasse o tenesse in suo servigio, dovessono
-avere il mese fiorini tre di soldo, e ogni capo di
-tre o di quattro mesi erano tenuti a volontà degli
-uficiali deputati sopra loro, ch’erano due
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-cittadini per catuno quartiere, colle loro balestra
-e colle corazze marcate del marco del comune.
-E oltre a ciò, a ogni rassegnamento gli uficiali
-facevano fare per ogni gonfalone un bello
-e nobile balestro e tre ricche ghiere, il quale poneano
-in premio e in onore di quel balestriere
-della compagnia del gonfalone, che tre continovi
-tratti saettando a berzaglio vinceva gli altri; e
-ancora così faceano ne’ comuni del contado per
-esercitare gli uomini, per vaghezza dell’onore,
-a divenire buoni balestrieri; e fu cagione di
-grande esercitamento del balestro, tanto che
-tra sè nella città e nel contado ogni dì di festa
-si ragunavano insieme i balestrieri a farne loro
-giuoco e sollazzo per singulare diporto.
-</p>
-
-<h3 id="cap73-6">CAP. LXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Trevigiani furono soppresi dagli Ungheri
-con loro grave danno.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando un poco nostra materia, a’ fatti di
-Trevigi, avendo veduto coloro ch’erano per i
-Veneziani alla guardia di Trevigi la subita partita
-del re d’Ungheria e del suo grande esercito,
-cominciarono a far tornare i lavoratori nel
-contado, e conducervi il bestiame, e sparti per le
-contrade. Gli Ungheri ch’erano rimasi a Colligrano
-e per le terre vicine, sentendo il paese
-pieno di preda, mandarono scorrendo di loro
-Ungheri fino presso a Trevigi intorno di quattrocento
-cavalli, i quali raunarono d’uomini
-e di bestiame una grande preda; i cavalieri e’ balestrieri
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-ch’erano in Trevigi con loro capitani
-veneziani, per risquotere la preda gagliardamente
-uscirono fuori più di cinquecento cavalieri
-e assai masnadieri, i quali di presente
-s’aggiunsono con gli Ungheri; ed eglino si cominciarono
-a difendere andando verso i nemici,
-e voltando e appresso ritornando; e continovo
-si ritraevano, ove sapevano ch’era l’aguato
-della loro gente, non facendone alcuno sembiante;
-e così continuando, e perseguitandoli i
-Trevigiani, gli ebbono condotti dov’erano riposti
-in aguato ottocento de’ loro Ungheri, i quali
-di subito uscirono addosso a’ Trevigiani, e
-rinchiusi tra loro, più di dugento n’uccisono in
-sul campo, e presonne più di trecento, e menaronsene
-i prigioni e la preda, avendo più danno
-fatto a’ Veneziani e a quelli del paese in
-questa giornata, che il re nell’assedio con tutto
-il suo esercito; e questo fu a dì 23 del mese
-d’agosto anno detto.
-</p>
-
-<h3 id="cap74-6">CAP. LXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come il Regno era d’ogni parte in guerra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo, come detto abbiamo poco innanzi,
-uscita la compagnia del reame, il re rimaso povero
-d’avere e di gente d’arme non potea riparare
-alla forza de’ ladroni che per tutto scorrevano
-il reame, ricettati da’ baroni ch’erano
-scorsi a mal fare, e partivano le ruberie e le
-prede con loro; e di verso le parti di Campagna
-centocinquanta cavalieri, ch’erano rimasi della
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-compagnia, tribolavano tutto il paese d’intorno,
-e rubavano e rompevano le strade e’ cammini, e
-così gli altri caporali de’ ladroni facevano in principato
-e in Terra di Lavoro; e in Puglia il paladino
-col favore del duca di Durazzo, faceva il
-simigliante, e con ottocento barbute avea assediato
-Sanseverino, scorrendo e rubando tutto il piano
-di Puglia; e per questo il Regno era in maggiore
-tempesta che quando v’era la gran compagnia,
-e niuno cammino v’era rimaso sicuro;
-catuna parte del Regno era corrotta a mal fare,
-fuori che le buone terre, per gran colpa della mala
-provvedenza del re loro signore, che fuori
-de’ suoi diletti poco d’altro si mostrava di curare.
-</p>
-
-<h3 id="cap75-6">CAP. LXXV.
-<span class="smaller"><i>Come i collegati condussono la compagnia
-al loro soldo.</i></span></h3>
-
-<p>
-La compagnia del conte di Lando stando lungamente
-sopra il contado di Ravenna, e premendo
-per via d’aiuto gravemente i Forlivesi,
-conosciuto che per lo riparo e provvedenza del
-comune di Firenze a loro era malagevole e pericoloso
-entrare in Toscana, s’accordarono d’andare
-a servire i collegati contro a’ signori di Milano
-in Lombardia; e condotti per quattro mesi
-per quelli della lega, promisono di stare il detto
-tempo sopra le terre de’ signori di Milano guerreggiando
-il paese a loro utilità; e a dì 18 del mese
-di settembre anni Domini 1356 si partirono
-di Romagna, e presono loro cammino in Lombardia,
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-e tra Bologna e Modena attesono l’altra
-forza de’ collegati e ’l capitano ch’appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap76-6">CAP. LXXVI.
-<span class="smaller"><i>De’ fatti de’ collegati di Lombardia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Erano in questo tempo collegati contro a’ signori
-di Milano il signore di Mantova, il marchese
-di Ferrara e ’l signore di Bologna, nominati
-caporali, avvegnachè assai degli altri tacitamente
-teneano con loro; e avendo procacciato
-d’avere la compagnia al loro servigio, come detto
-è, trattarono coll’imperadore d’avere capitano
-da lui a quell’impresa, e l’imperadore
-avendo l’animo contro a’ signori di Milano, i
-quali avea trovati molto potenti, avendo in Pisa
-per suo vicario messer Astorgio Marcovaldo
-vescovo d’Augusta, uomo valoroso in arme e di
-grande autorità, per non volersi scoprire manifestamente
-contro a’ tiranni, concedette la libertà
-al vescovo, e in segreto l’ordinò suo vicario, e
-a ciò li concedette tacitamente suoi privilegi,
-commettendoli che ciò non manifestasse se non
-quando sopra loro si vedesse in gran prosperità,
-sicchè con onore dell’imperio il potesse fare,
-altrimenti nol facesse, ma mostrasse da sè fare
-quell’impresa. Costui chiamato dalla lega de’ Lombardi
-si partì da Pisa e venne a Firenze, ove li
-fu fatto grande onore; e senza soggiorno se n’andò
-alla compagnia, e fu fatto loro conduttore,
-e dell’altra gente de’ Lombardi collegati; il quale
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-valentemente s’ordinò contro a’ tiranni, e fece
-grandi cose, come appresso narreremo; ma richiedendoci
-innanzi alcune cose grandi conviene
-che prima abbiano il debito della nostra penna.
-</p>
-
-<h3 id="cap77-6">CAP. LXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come i Brabanzoni ruppono i patti
-a’ Fiamminghi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo poco innanzi narrato la concordia che
-si prese in luogo dell’apparecchiata battaglia
-tra’ Fiamminghi, e’ Brabanzoni per lo fatto di Mellina,
-seguita, che gli otto albitri eletti, quattro
-da catuna parte, sotto la fede del loro saramento,
-aveano diligentemente vedute, e disaminate le
-ragioni di catuna parte; e trovando di concordia
-tutti gli albitri la ragione della villa di Mellina
-essere del conte di Fiandra, e così essere acconci
-di sentenziare per osservare il loro saramento;
-il duca di Brabante, rompendo la fede promessa,
-mandò per fare pigliare i quattro suoi Brabanzoni
-ch’erano albitri, acciocchè non potessono dare
-la sentenza, e due ne presono, e due se ne fuggirono.
-Per questa cosa il conte di Fiandra,
-e’ Fiamminghi si tennono traditi da’ Brabanzoni
-e dal loro duca, e di presente mossono guerra
-nel paese. Ed essendo alquanti cavalieri fiamminghi
-entrati in Brabante guerreggiando, i Brabanzoni
-si misono con maggiore forza contro a
-loro, e rupponli, e uccisono ottanta cavalieri, e
-più altri ne imprigionarono. E aggiunto alla
-prima ingiuria il secondo danno e vergogna
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-de’ Fiamminghi, s’infiammarono tutti di tanto
-sdegno, che per comune tutti diedono luogo a’ loro
-mestieri, e intesono ad apparecchiarsi in arme
-per andare contro a’ Brabanzoni, onde uscirono
-notabili cose come appresso racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap78-6">CAP. LXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il conte di Fiandra andò sopra Brabante.</i></span></h3>
-
-<p>
-È da sapere, per meglio intendere quello che
-seguita, che non per nuovo accidente, ma per
-antica virtù, e continovata ambizione, il popolo
-Fiammingo era più pro’ e più sperto e audace
-in fatti d’arme che il popolo brabanzone, e i
-cavalieri brabanzoni più sperti e più atti in fatti
-d’arme ch’e’ cavalieri fiamminghi. Ma recando
-a sè il popolo fiammingo l’ingiuria ricevuta
-da’ Brabanzoni, nell’impeto del furore del
-suo animo, come un uomo, s’accolsono insieme
-più di centocinquanta migliaia d’uomini, tutti armati
-a modo di cavalieri, e con loro il conte loro
-signore con quattromila cavalieri, e raccolto grandissimo
-carreaggio carico di vivanda, e d’armadura
-a dì 9 d’agosto anno detto presono loro cammino
-per entrare in Brabante, e a dì 12 del detto
-mese si trovarono sopra la gran città di Borsella,
-presso a mezza lega, e ivi fermarono loro campo,
-scorrendo il paese d’intorno, e facendo assai danno
-a’ paesani.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap79-6">CAP. LXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come il duca di Brabante si fè incontro
-a’ Fiamminghi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il duca di Brabante, il quale era Tedesco, fratello
-uterino di Carlo di Boemia imperadore,
-avendo in animo di non volere, Mellina al conte
-rendere attendendo la guerra, avea richiesto d’aiuto
-l’imperadore, e molti altri principi della Magna,
-e a questo punto si trovò da diecimila o più
-buoni cavalieri tedeschi e brabanzoni, e tutto il
-popolo di Brabante si mise in arme, e trovossi
-il duca a questo bisogno cento migliaia di Brabanzoni
-a piè bene armati. E vedendosi i nemici
-all’uscio, a dì 17 del detto mese d’agosto uscirono
-a campo fuori della villa di Borsella, e misonsi
-a campo a rimpetto de’ Fiamminghi presso
-a un mezzo miglio: e cominciarono a ordinare
-la loro gente, e disporla per battaglie a piè, e
-a cavallo; perocchè ben conosceano che l’impresa
-era tale, che non riceveva altro termine
-che la vittoria della battaglia a cui Iddio la concedesse.
-In questo ordinare stettono dalla mattina
-a nona; mezzani non si poteano in questo
-fatto tramettere per la fede altra volta rotta
-pe’ Brabanzoni, catuna parte s’acconciava di
-combattere, e tanto era presso l’un’oste all’altra,
-che battaglia non vi potea mancare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap80-6">CAP. LXXX.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiamminghi sconfissono i Brabanzoni.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Fiamminghi, ch’erano infocati per l’ingiurie
-ricevute, vedendosi i nemici così di presso, e
-sentendo tra loro gran romore, avvisandosi che
-per discordia si dovessono partire, senza attendere
-che venissono schierati al campo, valicata
-l’ora della nona, si misono ad assalirgli. E cominciato
-un grido tutti insieme a loro costuma, che
-trapassava il cielo vincendo ogni tonitruo, e giugnendo
-a’ nemici, i quali aveano incominciata
-alcuna discordia tra’ Tedeschi e’ Brabanzoni, gli
-assalirono con grande ardimento; e cominciata
-tra loro la battaglia, avvenne per caso, e non per
-operazione de’ nemici, che l’insegna del duca di
-Brabante si vide abbattuta. Veduto questo i Brabanzoni
-a piede in prima si misono alla fuga, e i
-cavalieri appresso volsono le reni a’ nemici senza
-fare alcuna resistenza, e intesonsi a salvare nella
-città ch’era loro presso; i Fiamminghi affannati
-per la corsa al primo assalto, e carichi d’arme,
-non li poterono seguire, e per questa cagione pochi
-ne morirono in sul campo, ma più n’annegarono,
-gittandosi a passare il fiume coll’armi
-indosso; ma tra tutti i morti in sul campo e annegati
-nel fiume appena aggiunsono al numero
-di cinquecento, che fu di così grande esercito
-gran maraviglia, e de’ Fiamminghi non morì
-alcuno di ferro, cosa quasi, incredibile a raccontare,
-ma così fu per la grazia di Dio, che non assentì
-tra loro maggiore effusione di sangue.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap81-6">CAP. LXXXI.
-<span class="smaller"><i>Come il conte di Fiandra ebbe Borsella.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il duca di Brabante fuggendo co’ suoi cavalieri
-tedeschi entrò in Borsella, e tanta paura gli entrò
-nell’animo per la fede rotta a’ Fiamminghi,
-che non ebbe cuore di ritenersi in Borsella, ma
-di presente senza ordinarla a difesa o a guardia
-se ne partì, e andossene in Loano. Il conte, avendo
-vittoriosamente rotti e cacciati del campo i
-suoi nemici, vedendo i suoi Fiamminghi per la
-vittoria baldanzosi e di grande volontà a seguire
-innanzi, di presente in quel giorno se n’andò a
-Borsella. I gentili uomini e i grandi borgesi di
-quella villa aveano per addietro ordinato, che
-tutti gli artefici de’ mestieri stessono fuori della
-città in grandi borghi che v’erano, per novità che
-v’erano di loro riotte alcuna volta avvenute in
-pericolo della villa, e in questa rotta non gli
-aveano lasciati rifuggire dentro. I borghi erano
-grandi a maraviglia cresciuti per li mestieri, ed
-erano pieni e forniti d’ogni bene. Il conte avendo
-in fuga i suoi nemici senza contasto s’entrò
-ne’ borghi facendo alcuna uccisione, e comincionne
-ad affocare uno, e disse, che tutti gli arderebbe
-se la terra non facesse i suoi comandamenti. Gli
-artefici ch’abitavano ne’ borghi, e aveano di fuori
-e nella villa di loro gente, e avendo già in loro
-balìa l’una delle porte, dissono a’ borgesi, che
-non intendeano essere diserti colle loro famiglie
-per loro, e che se di presente non facessono i
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-comandamenti del conte, che per forza il metterebbono
-nella villa. Per la qual cosa vedendosi
-i borgesi dentro a mal partito, elessono di concordia
-di volere innanzi essere all’ubbidienza del
-conte, che di lasciarsi prendere per forza da’ Fiamminghi
-e da’ loro propri cittadini, e guastare la
-città di sangue e di ruberia; e di presente elessono
-ambasciadori, e mandaronli ne’ borghi al
-conte, che voleano ubbidire a’ suoi comandamenti,
-promettendo salvarli d’uccisione e di ruberie,
-e così fu fatto; e di presente furono aperte le porte,
-ed entrovvi il conte e chi volle de’ Fiamminghi,
-ricevuti con grande onore da tutta la villa,
-e apparecchiato loro come ad amici ciò che era
-di bisogno, il conte ne prese la signoria dolcemente,
-e ordinovvi il reggimento e la guardia
-come a lui parve; e rinfrescata la sua gente, il
-terzo dì coll’empito della sua prospera fortuna
-si mosse da Borsella co’ suoi Fiamminghi, e andò
-a Villaforte, la quale come che molto fosse forte
-e difendevole a battaglia, sentendo che Borsella
-s’era renduta, e che il loro signore si fuggiva e
-non facea riparo, per non tentare maggiore fortuna
-s’arrendè a’ comandamenti del conte, il
-quale la ricevette benignamente. E la villa di
-Mellina, per cui era stato la cagione della guerra,
-senza attendere che l’oste v’andasse s’arrenderono
-al conte, e ricevettonlo per loro signore, e
-ordinaronsi per tutto a fare i suoi comandamenti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap82-6">CAP. LXXXII.
-<span class="smaller"><i>Come il conte di Fiandra ebbe tutto Brabante
-a suo comandamento.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il duca di Brabante, vilmente abbattuto per
-la sua corrotta fede, e poco amato perchè era Tedesco,
-avendo sentito come Borsella e Villaforte
-aveano fatto i comandamenti del conte, non si
-fidò in Loana nè in alcuna terra di Brabante,
-ma colla moglie, e colla sua famiglia, e co’ suoi
-arnesi s’uscì di tutta la provincia di Brabante e
-ridussesi in Alamagna, abbandonando così ricco
-e nobile paese per sua codardia. Il conte sentendo
-partito il duca, crebbe in ardire co’ suoi Fiamminghi,
-e dirizzossi verso Anversa: quelli d’Anversa
-feciono vista di volersi difendere: il conte
-non volle quivi fare sua pruova, e lasciata Anversa,
-se n’andò a Loano, affrettandosi prima
-che potessono mettere consiglio alla loro difesa.
-Quelli di Loano vedendosi abbandonati dal duca
-loro signore, e male provveduti alla subita
-guerra, e che l’altre buone ville di Brabante s’erano
-arrendute al conte, e che da lui erano bene
-trattati, per non ricevere il guasto nè maggiore
-danno s’arrenderono al conte, e con pace il
-misono nella città con gran festa ed onore; ed entrato
-in Loano, incontanente Anversa, e tutte le
-buone ville e castella della provincia di Brabante,
-si misono all’ubbidienza del conte e feciono
-i suoi comandamenti; e così in pochi giorni
-del rimanente del mese d’agosto del detto anno,
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-dopo la sconfitta de’ Brabanzoni, fu il conte di
-Fiandra messer Lodovico signore a cheto di tutta
-la ducea di Brabante; e dato ordine a loro reggimento,
-e fatti uficiali in tutte le terre, e messovi
-quella guardia ch’a lui parve a conservagione
-del paese, e fornito Mellina con più sua
-fermezza e guardia, perchè era propria villa di
-suo dominio, con allegra e piena vittoria, di letizia
-e non di sangue, co’ suoi Fiamminghi si
-tornò in Fiandra, accresciuto altamente il suo
-onore e la fama de’ suoi Fiamminghi.
-</p>
-
-<h3 id="cap83-6">CAP. LXXXIII.
-<span class="smaller"><i>Perchè si mosse guerra dagli Spagnuoli
-a’ Catalani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era in questi dì il re Petro di Castella giovane,
-e più pieno di dissolute volontà che d’oneste
-virtù, e molto era stemperato nella concupiscenza
-delle femmine; e dilettandosi con una sopra
-l’altre, non bastandogli le grandi camere e’ nobili
-verzieri a suo diletto, si mise a diporto con
-lei in mare in su un legno armato non di gran
-difesa; e andandosi sollazzando in alto mare,
-una galea armata di Catalani passava per quella
-marina, e vedendo il legno armato, si dirizzò a
-lui, e domandava di cui fosse il legno e la mercatanzia
-che su v’era carica: il re per isdegno
-non volea che risposta si facesse; per la qual cosa
-i Catalani più si sforzavano di volerlo sapere,
-e non potendone avere risposta, s’appressarono
-al legno, e cominciarono a saettare; e vedendo
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-da presso che gli uomini erano Spagnuoli, senza
-mettersi più innanzi si partirono, e seguirono
-loro viaggio. Il re rimase di questo con
-grande sdegno; e poco appresso avvenne, che in
-Sibilia arrivarono galee armate di Catalani, i
-quali aveano guerra co’ Genovesi, e trovando nel
-porto alquanti mercatanti di Genova, li presono,
-e raddomandandoli il re di Spagna, non li vollono
-rendere. E questa cagione più giusta infiammò
-più l’animo del re per modo, che immantinente
-per mare e per terra cominciò a’ Catalani nuova
-guerra; e incontanente fece armare dodici galee,
-e mandò scorrendo le marine fino nel porto di
-Maiolica, ardendo e mettendo in fuoco quanti legni
-di Catalani poterono trovare per tutta la riviera
-di Catalogna. E in questi dì, le quindici
-galee bandeggiate di Genova per la presura di
-Tripoli, avendo per uscire di bando a guerreggiare
-tre mesi i Catalani, feciono in Catalogna e nell’isola
-di Maiolica danno assai. E ’l re di Castella
-per terra con gran forza di suoi cavalieri venuto
-alle frontiere di Catalogna improvviso a’ Catalani,
-fece loro d’arsioni e di prede danno grande. Per
-la qual cosa d’ogni parte s’apparecchiò grande
-sforzo di gente d’arme, e catuno richiese gli
-amici per conducersi a battaglia, come seguendo
-appresso nel suo tempo racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap84-6">CAP. LXXXIV.
-<span class="smaller"><i>Di gran tremuoti furono in Ispagna.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo anno 1356 all’uscita del mese di settembre,
-e alquanti dì all’entrata d’ottobre, furono
-in Ispagna grandissimi terremuoti, i quali lasciarono
-in Cordova e in Sibilia grandi e gravi
-ruine di molti dificii in quelle due grandi città, e
-nelle loro circustanze, nelle quali perirono uomini,
-e femmine, e fanciulli in grandissimo numero,
-facendo sepoltura delle loro case. E questi
-medesimi tremuoti feciono nella Magna grandi
-fracassi, che quasi tutta Basola, e un’altra città
-feciono rovinare con grande mortalità de’ loro
-abitanti. In Toscana in questi medesimi dì si sentirono,
-ma piccoli e senza alcuno danno.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-</p>
-
-<h2 id="libro7">LIBRO SETTIMO</h2>
-
-<h3 id="cap1-7">CAPITOLO PRIMO.
-<span class="smaller"><i>Il Prologo.</i></span></h3>
-</div>
-
-<p>
-Chi potrebbe con intera mente nel futuro ricordare
-i falli, e gli orribili peccati che si commettono
-per la sfrenata licenza de’ principi e de’ signori
-mondani (lasciando le minori e le mezzane
-cose che per loro spesso senza giustizia si fanno)
-se la brevità del tempo dell’umana vita non
-togliesse l’esperienza, che per giustizia si dimostra
-nel mondo? Si maravigliano eziandio i savi
-quando avvenire veggono traboccamenti di potentissimi
-re e d’altri grandi signori, de’ quali
-avendo memoria de’ commessi mali non ammendati
-per tempo conceduto dalla divina grazia, ma
-piuttosto aggravati da que’ medesimi signori e
-da’ loro successori per disordinata presunzione,
-non recherebbono a maraviglia quello ch’avviene,
-ma a misericordievole gastigamento dalla
-divina mansuetudine e giustizia, che per non
-perdere l’anime eternalmente, temporalmente
-percuote e flagella, acciocchè per le loro rovine, e
-pe’ loro trabocchevoli casi si riconoscano, e correggano
-e ammendino. E apparecchiandosi al nostro
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-trattato il cominciamento del settimo libro, alcuna
-particella di quello torneremo addietro, per
-dimostrare esempio delle cose qui narrate, per la
-successione che seguita a raccontare del grave
-caso occorso al re Filippo di Francia e al suo
-reame, e appresso al re Giovanni suo figliuolo.
-</p>
-
-<h3 id="cap2-7">CAP. II.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia prese la croce per fare
-il passaggio.</i></span></h3>
-
-<p>
-Non è nascoso in antica memoria a’ viventi del
-nostro tempo, che per l’operazioni inique e crudeli,
-nate da invidia e da somma avarizia de’ reali
-di Francia dello stocco anticato nella successione
-reale, onde fu il re Filippo dinominato il Bello,
-coll’aggiunta della sfrenata libidine delle loro
-donne, che a Dio piacque di porre termine a
-quello lignaggio. Rimasene sola la reina d’Inghilterra
-madre del valoroso re Adoardo di
-quell’isola, per la cui successione il detto re d’Inghilterra
-fece la guerra co’ Franceschi, come per
-lo nostro anticessore nella sua cronica, e appresso
-per noi in questa è in gran parte raccontato.
-Essendo venuti meno tutti i reali, messer Filippo,
-figliuolo che fu di messer Carlo di Valois detto
-Carlo Senza terra, prese la signoria, e fecesi coronare
-re di Francia. E trovandosi re di così grande
-ricco e potentissimo reame, e senza alcuna
-guerra, e trovandosi in grande amore del sommo
-pontefice e de’ cardinali di santa Chiesa, il detto
-re Filippo, simulando singulare affezione di
-<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
-volere imprendere e fare il santo passaggio d’oltremare
-per acquistare la terra santa, di suo
-movimento prese con molti baroni di suo reame
-la croce in pubblico parlamento, e sommosse a
-pigliarla altri re, prenzi, duchi e baroni, conti
-e gran signori, e per esempio di loro molti altri
-fedeli cristiani presono la croce con animo di
-seguire il detto re; e per tutta la cristianità, ed
-eziandio tra’ saracini, si divolgò la novella di questo
-passaggio; e dando vista il detto re di grande
-apparecchiamento, avvenne, che negli anni 1334
-il detto re di Francia mandò a corte di Roma a
-Avignone per suoi ambasciadori l’arcivescovo di
-Ruen con altri grandi baroni a papa Giovanni di
-Caorsa vigesimosecondo e a’ suoi cardinali, il
-quale arcivescovo fu poi papa Clemente sesto, e in
-pubblico concestoro avendo fatto l’arcivescovo
-predetto un bello e alto sermone sopra la materia
-del santo passaggio, e confortato il sommo pontefice,
-e’ prelati di santa Chiesa, e tutto il popolo
-cristiano che si manifestassono a dare consiglio
-e aiuto al serenissimo re di Francia, il quale si
-movea per zelo della fede di Cristo a così alta
-impresa, per seguire e fare e per accrescere la sicurtà
-a’ fedeli cristiani, giurò nell’udienza di
-tutti nella maestà divina, al santo padre, e alla
-Chiesa di Roma, e a tutta la cristianità, nell’anima
-del detto re di Francia, che l’agosto prossimamente
-seguente, gli anni 1335, e’ sarebbe uscito
-fuori del suo reame in via colla sua potenza,
-e con gli altri principi del suo reame crociati
-per andare oltremare al santo passaggio; e per
-questo impetrò da santa Chiesa le decime del
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-suo reame per molti anni, e altre promissioni del
-tesoro di santa Chiesa, e quante altre cose domandò
-per parte del detto re al papa di tutte
-ebbe da lui piena grazia; e io scrittore, fui presente
-nel detto consistoro, e udii fare il saramento,
-come detto a verno.
-</p>
-
-<h3 id="cap3-7">CAP. III.
-<span class="smaller"><i>Le parole disse frate Andrea d’Antiochia
-al re di Francia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo divolgata la novella di questo passaggio
-in Egitto e in Soria, i cristiani del paese
-che sono sottoposti al giogo de’ saracini, ed eziandio
-i viandanti mercatanti ch’allora erano in
-quelli paesi, ricevettono gravi oppressioni e diversi
-tormenti, e molti ne furono morti da’ signori
-saracini, e tolto il loro avere sotto false
-cagioni d’essere trattatori del passaggio; per la
-qual cosa un valente religioso italiano, il quale
-era chiamato frate Andrea d’Antiochia, in fervore
-del suo animo dolendosi dell’ingiuria che
-riceveano gl’innocenti cristiani, si mosse di
-Soria e venne a corte di Roma a Avignone; e là
-giunse, quando il re Filippo di Francia era tornato
-di pellegrinaggio da Marsilia a Avignone,
-passato di lungo il termine della sua promessa,
-e non essendo di ciò nè dal papa nè da’ cardinali
-ripreso; e già avea presa la licenza dal santo
-padre, e avea valicato il Rodano, e desinato nel
-nobile ostiere di sant’Andrea, il quale avea fatto
-edificare messer Napoleone degli Orsini di
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-Roma a fine di ricevervi il re di Francia e gli
-altri reali, il re era già montato a cavallo per
-prendere suo cammino verso Parigi, il valoroso
-frate Andrea, avendo accattato dagli scudieri
-de’ cardinali che l’atassono conducere al freno
-del cavallo del re, com’egli uscì dell’ostiere
-così li fu condotto al freno. Il religioso avea la
-barba lunga e canuta, e parea di santo aspetto,
-e per la reverenza di lui il re si sostenne,
-e frate Andrea disse: Se’ tu quello Filippo re di
-Francia, c’hai promesso a Dio e a santa Chiesa
-d’andare colla tua potenza a trarre delle mani
-de’ perfidi saracini la terra, dove Cristo nostro
-salvatore volle spandere il suo immaculato
-sangue per la nostra redenzione? Il re rispuose
-di sì; allora il venerabile religioso gli disse: Se tu
-questo hai mosso, e intendi di seguitare con pura
-intenzione e fede, io prego quel Cristo benedetto
-che per noi volle in quella terra santa ricevere
-passione, che dirizzi i tuoi andamenti al
-fine di piena vittoria, e intera prosperità di te
-e del tuo esercito, e che ti presti in tutte le cose
-il suo aiuto e la sua benedizione, e t’accresca
-ne’ beni spirituali e temporali colla sua grazia,
-sicchè tu sii colui, che colla tua vittoria levi
-l’obbrobrio del popolo cristiano, e abbatti l’errore
-dell’iniquo e perfido Maometto, e purghi
-e mondi il venerabile luogo di tutte l’abominazioni
-degl’infedeli, in tua per Cristo
-sempiterna gloria. Ma se tu questo hai cominciato
-e pubblicato, la qual cosa resulta in grave
-tormento e morte de’ cristiani che in quel
-paese conversano, e non hai l’animo perfetto
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-con Dio a questa impresa seguitare, e la santa
-Chiesa cattolica da te è ingannata, sopra te e
-sopra la tua casa, e i tuoi discendenti e ’l tuo
-reame venga l’ira della divina indegnazione,
-e dimostri contro a te e’ tuoi successori, e in
-evidenza de’ cristiani, il flagello della divina giustizia,
-e contro a te gridi a Dio il sangue degl’innocenti
-cristiani, già sparto perla boce di questo
-passaggio. Il re turbato nell’animo di questa
-maladizione disse al religioso: Venite appresso
-di noi; e frate Andrea rispose: Se voi andaste
-verso la terra di promissione in levante, io v’anderei
-davanti; ma perchè vostro viaggio è in
-ponente, vi lascerò andare, e io tornerò a fare
-penitenza de’ miei peccati in quella terra, che voi
-avete promesso a Dio di trarre delle mani de’ cani
-saracini.
-</p>
-
-<h3 id="cap4-7">CAP. IV.
-<span class="smaller"><i>Molte laide cose fece il re di Francia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Da questo tempo innanzi cominciarono le commozioni
-del re d’Inghilterra già narrate per lo
-nostro antecessore; e prima il detto re di Francia
-vedendo sommuovere gl’Inghilesi contro a
-sè, con grande armata si mise in arme contro a
-loro, e di trentadue migliaia d’uomini che reggeano
-il suo navilio, perduto il navilio, ventotto
-migliaia d’uomini di sua gente furono
-morti dagl’Inghilesi. E poi appresso venuto il re
-d’Inghilterra in Francia con piccolo numero di
-gente, rispetto della moltitudine de’ cavalieri
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-e di sergenti ch’avea seco il re di Francia a seguitarlo,
-fu sconfitto, come narrato abbiamo addietro;
-e campata la sua persona con pochi per
-grazia della notte, e tornato a Parigi, avendosi
-veduto nel giudicio di Dio, non ricorse alla virtù
-dell’umiltà, ma aggiugnendo male a male,
-per avere moneta assai, in cui era la sua fidanza,
-licenziò e sicurò tutti gli usurai del suo reame,
-dando loro licenza di prestare pubblicamente,
-pagando alla corte cinque per cento di quello
-che catuno era tassato dagli uficiali del re ogni
-anno. E aggiugnendo alla sua avarizia, fece battere
-nuova moneta d’oro e d’argento per tutto
-suo reame di molto meno valuta che quella che
-prima correa, e subitamente la fece correre per
-buona, e la buona fece disfare, in gran danno
-e confusione de’ suoi baroni, e di tutti i paesani
-e de’ mercatanti ch’aveano a ricevere mercatanzie
-nel suo reame; e dopo questo, con
-ordine dato a’ suoi ministri, per tutto il reame
-in una notte fece prendere in persona e arrestare
-l’avere a tutti gli usurieri del reame; e aggiugnendo
-male a male, fece gridare per tutto, che
-chi avesse accattato sopra pegno l’andasse a riscuotere
-per lo capitale, stando del capitale al
-suo saramento, e così dell’accattato a carta; per
-la qual cosa coloro ch’aveano accattato, per la larga
-licenza, vinti da avarizia, si spergiurarono, e
-pochi furono secondo la fama che stessono in fede;
-e tutto ciò che pagavano di capitale s’appropriò
-alla corte, che fu grandissimo tesoro, in disertagione
-di molte famiglie, ch’ogni cosa s’appropriò
-alla corte, dicendo, ch’aveano forfatto di
-<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
-aver messi più danari a usura che non doveano.
-Appresso, dopo la sua affrettata morte per disordinata
-lussuria, essendo di tempo, e dilettandosi
-nella sua giovane e bella donna, seguitarono più
-gravi persecuzioni di guerra nel suo reame, in
-fine il re Giovanni suo figliuolo e uno de’ suoi figliuoli
-furono presi nella grande battaglia ch’appresso
-racconteremo; conchiudendo, che come a
-inganno fu presa la croce, e promesso il santo
-passaggio per lo re di Francia, così nel suo reame
-fu passato per divino giudicio da’ suoi nemici,
-e com’egli volle arricchire il suo reame indebitamente
-de’ beni di santa Chiesa, e degli
-altri stranieri mercatanti e usurieri del suo reame,
-così per giusta retribuzione impoverì il re,
-e il reame consumato da’ soldi e dalle prede;
-e volendosi per ambizione esaltare sopra
-gli altri signori della cristianità, veduti furono
-entrare in servaggio di prigione, vinti maravigliosamente
-da più impotenti di loro, secondo la
-forza e ’l numero della gente.
-</p>
-
-<h3 id="cap5-7">CAP. V.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia uscì di Parigi con suo
-sforzo, e andò in Normandia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguita, tornando a nostra materia, che ’l re di
-Francia vedendo assalire il suo reame ora dal conte
-di Lancastro con quelli di Navarra, ora dal
-duca di Guales coll’aiuto de’ Guasconi, e che
-per soperchia baldanza aveano preso sopra lui e
-sopra la gente francesca; vedendo al presente il
-<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
-conte di Lancastro e messer Filippo di Navarra
-ridotti in Normandia a Bertoglio, come poco innanzi
-abbiamo narrato, si propose in animo di
-perseguitarli, e di tutto il reame raunò a Parigi
-i suoi baroni e tutto il fiore della sua cavalleria,
-ed eziandio i ricchi borgesi di Parigi e dell’altre
-buone ville, i quali tutti si sforzarono di comparire
-bene in arme per accompagnare la persona del re;
-il quale era già ito in Normandia, e fatto fuggire
-di notte il conte di Lancastro e messer Filippo
-di Navarra ch’erano in Normandia a Bertoglio,
-e il re, come detto è poco addietro, avea vinto il
-castello, e cacciati i nemici del paese. E stando in
-Normandia, i baroni, e’ cavalieri e’ borgesi del reame
-che smossi erano traevano d’ogni parte a lui,
-e all’entrata del mese di settembre si trovò più
-di quindicimila armadure di ferro ben montati
-e bene acconci a’ servigi del re, e con esso gran
-novero di sergenti in arme. E vedendosi aver vinto
-il castello, e avviliti i nemici, e cresciuta la
-sua forza, prese speranza di cacciare gl’Inghilesi
-al tutto del suo reame innanzi che ritornasse
-a Parigi. E con tutta questa cavalleria stava alle
-frontiere de’ suoi nemici per non lasciarli scorrere
-per tutte le sue terre al modo usato, e per
-prendere sopra loro suo vantaggio, stando apparecchiato
-alla fronte de’ suoi avversari.
-</p>
-
-<h3 id="cap6-7">CAP. VI.
-<span class="smaller"><i>Quello faceva il prenze di Guales.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il valente duca di Cornovaglia prenze di Guales,
-primogenito del re d’Inghilterra, il quale
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-avea in sua parte per guereggiare tremila buoni
-cavalieri bene montati, tra Inghilesi e Guasconi,
-e da duemila arceri inghilesi a cavallo, e altri
-masnadieri a piè da quattromila tra con archi e
-altre armadure, tutti bene capitanati; avendo
-sentito che ’l conte di Lancastro colla sua parte
-di gente d’arme avea cavalcata la Normandia ed
-entrato nel reame presso a Parigi a sedici leghe,
-parendogli avere vergogna se non facesse dalla
-sua parte, si mosse di Guascogna e vennesene
-in Berrì, ardendo e divorando con ferro e con
-fuoco ciò che innanzi gli si parava. E già avea
-fatta smisurata preda, perocchè assai ville di cinquecento
-e di mille fuocora, e di più e di meno,
-avea vinte, e rubate e arse senza trovare contasto;
-seguitando appresso avea costeggiato il fiume dell’Era
-infino ad Orliens, e fattole intorno grave
-danno, passò a Pettieri; e trovandosi presso alla
-grande oste del re di Francia, fu costretto di fermarsi
-ivi tra le due fiumora coll’oste e colla
-preda che raccolta avea, che di quel luogo, avendo
-di presso la gente del re di Francia ch’andava
-contro a lui, a salvamento non si potea partire
-nè con suo onore.
-</p>
-
-<h3 id="cap7-7">CAP. VII.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia pose il campo presso
-al prenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re Giovanni di Francia, ch’era presso colla
-sua grande oste, e baldanzoso per lo duca di
-Lancastro che l’avea fuggito, e per la vittoria
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-del castello, sentendo il duca ristretto tra le due
-fiumare, che l’una tramezzava a volere andare
-a lui, di presente si mosse con tutta la sua gente
-e appressossi a’ nemici, e pose il campo suo di
-costa a Berrì, e’ nemici erano dall’altra parte,
-la fiumara in mezzo, e’ ponti erano i più rotti, e
-alcuno ve n’avea rimaso in guardia de’ Franceschi:
-il duca non potea passare innanzi a prendere
-suo vantaggio di terreno, e ’l tornare addietro di
-lungo viaggio, per lo stretto de’ loro nemici, e
-avendo chi gli perseguitasse, non se ne potea
-pensare alcuna salute, e però la necessità gli accrescea
-in quel luogo l’ardire. Il coraggioso duca
-di Guales vedendosi a questo stretto partito, non
-dimostrò a’ suoi segno d’alcuna paura nè viltà,
-ma francamente provvide il suo campo, e mostrossi
-a tutta sua gente, confortandoli che non dovessono
-temere di quella gente cui eglino tante
-volte avevano fatta ricredente, e ammaestrandoli
-di buona e sollecita guardia il dì e la notte,
-dicendo, come tosto avrebbono in loro aiuto il valente
-conte di Lancastro con tutta la sua gran
-forza. Gl’Inghilesi e’ Guasconi presono gran conforto
-della valentria e buona voglia del loro signore,
-e intesono a fortificare loro campo, e a fare
-buona e sollecita guardia il dì e la notte. E
-questo fu a dì 17 di settembre anno detto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap8-7">CAP. VIII.
-<span class="smaller"><i>Due conti del re di Francia rimasono presi
-da un aguato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Saputo che ’l re ebbe la condizione de’ suoi
-nemici, e come il loro campo stava, segretamente
-con alquanti de’ più confidenti baroni prese
-consiglio di valicare alla mezza notte, venendo
-il sabato, per un ponte della riviera, che gli dava
-più certo il cammino ad aggiugnersi co’ nemici,
-e più atto il cammino alla gran gente che l’avea
-a seguitare. Il duca di Guales, o che sapesse il segreto
-del re, o che per avviso di guerra avesse
-che così dovesse seguire, la notte medesima
-venne con sua gente eletta, e misesi in un bosco
-presso al cammino che ’l re dovea fare, e veniagli
-fatto d’avere il re con buona parte della sua compagnia
-per lo presto avviso. Il re si mosse con
-duemila cavalieri, e con quelli baroni a cui
-s’era manifestato: e appressandosi al passo del
-bosco, mandò innanzi dieci cavalieri sperti e bene
-montati a provvedere se aguato vi fosse. I
-detti cavalieri scopersono il guato, e di presente
-ritornarono al re, il quale conoscendo il pericolo
-prese una volta, e dilungossi da quel passo, e
-girò verso Pittieri, e valicò a salvamento con tutta
-sua cavalleria: ma addietro non mandò all’altra
-sua gente che ’l seguiva ad avvisarli di quello
-aguato, onde avvenne, che seguitandolo il conte
-d’Alzurro, e quello di Clugnì con altri baroni e
-cavalieri, avendo sentita la sua subita partita, non
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-però con tutta l’oste, ma colle loro masnade facendo
-la via che dovea fare il re del bosco, credendo
-che per quella fosse andato, gl’Inghilesi
-maestri di baratti avendo mandati cavalieri de’ loro
-a ingegno che tornassono la notte per quel cammino,
-e dimostrandosi essere de’ Franceschi che
-seguissono il re, come se per quel cammino fosse
-passato, e scorgendo i conti questi cavalieri, e facendoli
-domandare, risposono in Francesco che seguivano
-monsignor lo re, e però con più sicurtà si
-misono a cammino; ed entrati nell’aguato senza
-ordine, essendo d’ogni parte assaliti, non v’ebbe
-resistenza altro che del fuggire e del campare
-chi potea; il conte d’Alzurro valente barone, e
-quello di Clugnì rimasono presi con quattrocento
-compagni di buona gente, e menati prigioni
-nel campo, il duca e tutta la sua oste ne presono
-assai conforto: e questo fu il sabato a dì 17
-di settembre del detto anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap9-7">CAP. IX.
-<span class="smaller"><i>Puose il re di Francia il campo suo
-presso agl’Inghilesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Valicato il re di Francia con duemila cavalieri
-a Pettieri, e scoperto l’aguato degl’Inghilesi,
-come detto abbiamo, di presente tutta l’altra
-oste de’ Franceschi seguirono il loro re per
-lo sicuro cammino, e giunti a lui, si trovarono
-più di quattordicimila cavalieri e molti sergenti,
-e non v’era però tutta la sua forza, che al continovo
-vi crescea gente a cavallo e a piè, sperando
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-avere degl’Inghilesi buon mercato; e misonsi
-a campo presso al campo del duca a meno di
-due leghe parigine, in parte che gl’Inghilesi
-non si poteano allargare; ed erano per venire
-in pochi dì in gran soffratta di vittuaglia, e ancora
-erano condotti in parte, che ’l conte di
-Lancastro non li potea venire a soccorrere per
-lo campo preso per i Franceschi, avvegnachè troppo
-era di lungi a quel paese; per la qual cosa al
-re di Francia pareva avere la vittoria in mano,
-e così era per ragione di guerra, ove fortuna e
-mala provvedenza non avesse mutata la condizione
-del fatto, come seguendo immantinente
-racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap10-7">CAP. X.
-<span class="smaller"><i>I legati cercarono accordo tra’ due signori.</i></span></h3>
-
-<p>
-Come addietro avemo narrato, in questa guerra
-la Chiesa di Roma continovo tenea suoi legati
-che trattassono la concordia e la pace tra’ due
-re, e al presente era nella compagnia del re il
-cardinale di Bologna suo confidente, e il cardinale
-di Pelagorga confidente del duca e degl’Inghilesi,
-i quali continovo cercavano di recarli
-a pace; e vedendo la cosa a questo stremo condotta
-e ultimo partito, acciocchè tra questi due
-signori de’ maggiori della cristianità non si venisse
-a mortale battaglia, di concordia furono
-con lo re di Francia, mostrandoli quanto erano
-vari e non sicuri gli uscimenti delle battaglie,
-pregandolo, che dove con suo onore potesse venire
-<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
-a buona pace, non volesse ricercare per vantaggio
-ch’avere li paresse il dubbioso fine
-delle battaglie. Il re diede udienza al savio consiglio;
-e però incontanente il cardinale di Pelagorga
-cavalcò al duca nel suo campo; e ricevuto
-da lui graziosamente, con savie parole gli mostrò
-il pericolo dov’era egli e tutta la sua oste, e ricordogli
-le grandi ingiurie per lo suo padre, e
-per lo suo zio, e per lui fatte alla corona di Francia,
-e conchiudendo disse, che acciocchè Dio non
-giudicasse la sua causa per disordinata presunzione
-e superbia in cotanto pericolo quanto egli
-era di sè e di tutta la sua gente, ch’e’ volea ch’e’
-si dichinasse a volere restituire e rendere al
-re di Francia il suo onore e le terre ch’avea
-occupate delle sue, e l’ammenda del danno che
-fatto gli avea nel suo reame, acciocchè buona e
-ferma pace si fermasse tra loro. Il giovane duca,
-conoscendo il forte caso dove la fortuna l’avea
-condotto, e avendo reverenza a santa Chiesa,
-avvegnaché ’l suo animo fosse fermo e sicuro di
-grande sdegno, acconsentì innanzi di pigliare
-concordia, che tentare la pericolosa parte della
-battaglia; e data speranza al legato, il fece ritornare
-al re di Francia, per ordinare i patti e
-le convenenze della concordia.
-</p>
-
-<h3 id="cap11-7">CAP. XI.
-<span class="smaller"><i>I patti che si trattarono e quasi conchiusono.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornato il cardinale al re di Francia, il re
-fece raunare il suo consiglio, per fare assentire a
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-tutte l’offerte che ’l cardinale avea portate al re
-da parte del duca per avere buona pace; e l’offerta
-era, ch’e’ volea restituire al re di Francia
-tutte le terre prese per gl’Inghilesi e’ Guasconi
-nel suo reame ne’ tre anni prossimi passati, e
-che renderebbe liberi tutti i prigioni, e che per
-ammenda de’ danni fatti darebbe al re di Francia
-dugento migliaia di nobili, che valeano cinquecento
-migliaia di fiorini d’oro; e domandava
-per fermezza di buona pace per moglie la figliuola
-del re di Francia, quando a lui piacesse, e per
-dote la duchea d’Anghiemem facendosi suo uomo,
-e a questo non si fermava oltre alla volontà
-del detto re; e in preghiera domandava,
-che ’l re di Navarra fosse lasciato e restituito nel
-suo reame. A queste cose il re e il consiglio
-s’acconciavano assai bene, e conosceano senza
-pericolo il loro vantaggio. È vero che queste
-cose non si poteano fermare senza la volontà del
-re Adoardo d’Inghilterra suo padre, ma il duca
-impromettea in termine di pochi dì fargliele attenere
-e confermare; e andato e rivenuto più volte
-il cardinali per recare a fine di buona pace
-questo trattato, e avendo ogni libertà dal duca
-che domandare si seppe, e che per lui si potea fare,
-avendo che la concordia fosse fatta, ritornò
-al re di Francia; ma la cosa ebbe tutto altro fine
-che non si sperava, come incontanente racconteremo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap12-7">CAP. XII.
-<span class="smaller"><i>Come il vescovo di Celona sturbò la pace.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo venuto con pieno mandato il cardinale
-al re di Francia, il re avendo veduto per
-esperienza i pericoli della battaglia, e parendogli
-venire a convenevole ammenda dell’ingiuria ricevuta,
-si disponea alla pace, e per darle compimento,
-fece raunare i baroni e ’l suo consiglio:
-tra gli altri quegli in cui il consiglio del re più
-si posava per piena confidanza era il vescovo
-di Celona; costui udite le convenenze e’ patti
-della pace raccontati per lo cardinale di Pelagorga,
-e come il re d’Inghilterra gli avea infra
-certi giorni a confermare, stigato dal peccato
-non purgato nè ammendato da’ Franceschi si levò
-in parlamento, e molto arditamente disse al
-re di Francia: Sire, se io mi ricordo bene, il re
-d’Inghilterra e ’l duca ch’è qui presso suo figliuolo,
-e ’l conte di Lancastro suo cugino,
-v’hanno fatto lungamente grande onta e sconvenevole
-oltraggio a tutto vostro reame per molte
-riprese, sconfiggendo in campo vostro padre
-con perdita di re, e di gran baroni, e in mare
-hanno tagliate le vostre forze, e arso e dipopolato
-il vostro reame in diverse parti; ditemi sire,
-che vendetta v’avete voi fatta, che senza vostra
-onta, e di tutto vostro reame, questa pace si
-faccia? Avendo voi qui il vostro corporale nemico,
-con gran parte de’ baroni e de’ cavalieri inghilesi
-e guasconi c’hanno contra voi e contro al
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-vostro reame fatti tutti i grandi mali, e oltre a
-quelli ch’io v’ho contati, e ora gli ha Iddio
-ridotti e rinchiusi nelle vostre mani per modo,
-ch’addietro non possono tornare, nè a destra
-nè a sinistra si possono allargare. Da vivere hanno
-poco, e soccorso non attendono: voi siete signore
-di fare altamente la vostra vendetta, e veggovi
-trattare di lasciarli andare; ed eziandio per
-non certa fede o fermezza delle loro promesse,
-ma piene d’aguati e d’inganni, come è loro antica
-usanza, che sotto i patti di fare confermare
-la pace al re, intende di subito avere il suo soccorso
-e quello del conte di Lancastro, ch’è apparecchiato
-con grande oste, come tutti quanti
-sapete; e se questo avviene, chi v’accerta che
-la vostra vittoria non possa tornare in mano
-de’ vostri nemici, con vituperoso inganno della
-vostra reale maestà? E però consiglio, che a’ vinti
-non si dia più dilazione, e che la vendetta
-delle vostre ricevute offese e la piena vittoria,
-che Iddio v’ha apparecchiata, non vi scampi
-per tardamento de’ vostri trattati e de’ vostri
-consigli. Le parole dell’ardito prelato feciono
-cambiare la volontà del re e di tutti i baroni
-del consiglio, e catuno s’inanimò alla battaglia,
-e al cardinale fu risposto precisamente che più
-non si travagliasse della concordia; e deliberato
-fu di strignere il duca alla battaglia la mattina
-vegnente, e questo consiglio fu preso domenica
-a dì 18 di settembre anno detto; operando fortuna,
-per lo franco consiglio di quel prelato, la
-materia dell’occulto giudicio di Dio contro al
-detto re di Francia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap13-7">CAP. XIII.
-<span class="smaller"><i>Diceria che fece il prenze di Guales a’ suoi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il cardinale di Pelagorga avuta la risposta dal
-re di Francia e dal suo consiglio contradia al suo
-trattato e alla sua opinione, avendo singulare
-affezione al giovane duca, in cui avea trovato
-molta liberalità, parendogli sconvenevole se colla
-sua bocca non gli rispondesse, il dì medesimo valicò
-nel suo campo: ed essendo innanzi al duca
-ch’attendea la fermezza della pace, il cardinale gli
-disse: Sire, io ho assai travagliato per poterti recare
-pace, ma non ho potuto per alcuna maniera;
-e però a te conviene procacciare d’essere valente
-prenze, e pensare alla tua difesa colla spada
-in mano, perocchè alla battaglia ti conviene venire
-co’ Franceschi, rimossa ogni altra speranza
-d’accordo o di pace. Udendo questa parola il magnanimo
-duca, non perdè in atto o in segno sua
-virtù, anzi disse: Voi ci potete essere testimonio,
-che dalla nostra parte non è mancata la concordia
-alla quale con pura fede ci recavamo; ora che da’
-nostri avversari manca, prendiamo fidanza che
-Iddio sia dalla nostra parte. E dato con reverenza
-congio al cardinale, di presente ebbe i suoi baroni
-e’ suoi capitani de’ cavalieri e degli arcieri inghilesi
-e guasconi, e manifestò loro l’intenzione del re
-di Francia e del suo consiglio, e come al mattino
-attendessono la battaglia, con franche e signorili
-parole dicendo, come Iddio e la ragione era
-dalla loro parte, e che però catuno prendesse cuore
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-e ardire, e inanimasse sè e’ suoi a ben fare;
-e ricordassonsi come i Franceschi vinti e sconfitti
-più volte da loro, non avrebbono cuore di sostenere
-la battaglia. E oltre a ciò disse: Signori
-e compagni, non dimenticate il luogo ove fortuna
-ci ha inchiusi, nel quale se noi vogliamo stare alla
-difesa, avendo la forza de’ nemici nostri a petto,
-in breve ci manca la vittuaglia, e di niuna
-parte ci può venire, perchè noi e’ nostri cavalli
-verremo meno di fame, e saremo vilissima preda
-a’ nostri nemici. E nel partire non si vede salvamento,
-avendo al fuggire lungo il cammino per
-le terre de’ nostri nemici d’ogni parte, e così gran
-forza qui, e de’ nemici alle spalle, anzi possiamo
-essere molto certi, che dando loro le reni, ci faranno
-morire a gran tormento; e però niuna speranza
-di salute rimane dalla nostra parte, se non
-di combattere francamente, e procurare colla virtù
-dell’indurata fortezza delle nostre braccia abbattere
-la delicata e apparente pompa de’ nostri
-avversari; e quanto la loro potenza e numero di
-cavalieri e di sergenti è maggiore, tanto conviene
-in noi più accendere l’animo a dimostrare nostra
-virtù: e se fortuna ci pur volesse abbattere,
-facciamo sì ch’a’ nostri nemici rimanga dolorosa
-vittoria, e a noi eterno nome di valorosa cavalleria.
-E confortata e inanimata la sua gente,
-comandò ch’al mattino tutta la preda loro delle
-cose grosse fosse recata nel campo, e messa
-fuori tra loro e’ nemici, e fattone tre monti, e
-che la notte stessono in buona guardia, e confortassono
-loro e’ loro cavalli, sicchè al mattino si
-trovassono forti e acconci alla battaglia;
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap14-7">CAP. XIV.
-<span class="smaller"><i>Come i Franceschi s’apparecchiarono alla
-battaglia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il re di Francia preso per partito nel
-consiglio di combattere la mattina vegnente, fece
-il dì raunare tutti i suoi baroni e’ capitani della
-sua cavalleria e dei sergenti, e con allegra faccia
-manifestò loro il consiglio di combattere la mattina
-vegnente gl’Inghilesi e’ Guasconi, i quali
-erano pochi alla loro comparazione, i quali tutti
-si mostrarono allegri, stimando che non li dovessono
-attendere conoscendo il soperchio, e che si
-dovessono fuggire come fatto avea poco innanzi
-il conte di Lancastro. E diedono ordine alle loro
-schiere, e la gente che in catuna dovesse essere,
-e quale andasse prima ad assalire i nemici e
-quale appresso, e chi fosse nella schiera grossa
-del re. E avvisato catuno capitano della sua gente
-e di quello ch’al mattino avea a fare, tutti intesono
-per quello resto della giornata a provvedere
-le loro armi e’ loro cavalli, per essere presti la
-mattina innanzi il giorno alla battaglia.
-</p>
-
-<h3 id="cap15-7">CAP. XV.
-<span class="smaller"><i>Le schiere e gli ordini de’ Franceschi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Venuto il lunedì mattina, il maliscalco di Dina,
-a cui toccava il primo assalto, fece per tempo
-la sua schiera co’ cavalieri di Spagna e d’altri
-<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
-circustanti a quella lingua, ch’erano venuti e
-condotti al servigio del re, e a questa schiera
-vi s’aggiunsono masnadieri italiani e spagnuoli,
-sperti delle battaglie, e buoni assalitori. A costoro
-fu commesso d’assalire prima i nemici, ed
-essendo apparecchiati in sul campo, e le spianate
-fatte, appresso a lui fu fatta la schiera del conestabile
-di Francia, ch’era il duca d’Atene, e
-in sua schiera ebbe molti valenti baccellieri di
-Francia, provenzali e normandi, e questa schiera
-dovea percuotere appresso i feditori. Dopo
-questa il Dalfino di Vienna figliuolo primogenito
-del re di Francia, e ’l duca d’Orliens fratello
-del re, furono fatti conduttori della terza schiera,
-ove aveano più di cinquemila cavalieri franceschi
-e del reame, e questa dovea fedire appresso
-al duca d’Atene. La quarta e ultima schiera
-era quella del re di Francia, nella quale avea
-più di seimila cavalieri con molti grandi baroni,
-e questa era per fermezza e riscossa di tutte
-l’altre. Avendo i Franceschi così fornite e ordinate
-le loro schiere: essendo lungo spazio di terreno
-tra loro e’ nemici, innanzi che s’aggiungano
-alla battaglia, ci conviene narrare l’ordine
-che prese il duca di Guales nella sua gente.
-</p>
-
-<h3 id="cap16-7">CAP. XVI.
-<span class="smaller"><i>L’ordine degl’Inghilesi con le loro schiere.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il duca di Guales fatto, come detto è,
-raunare fuori del campo innanzi al suo carreggio,
-verso la frontiera de’ Franceschi per buono spazio,
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-in tre monti tutto il grosso della loro preda,
-vi fece aggiugnere legname la mattina innanzi dì
-e mettervi entro fuoco, acciocchè l’avarizia della
-preda non impedisse l’animo a’ suoi, e non fosse
-speranza agli avversari di racquistarla. E fatti
-i fuochi grandi tra loro e’ nemici, i fummi occuparono
-la pianura a modo d’una grossa nebbia,
-sicchè i Franceschi non poteano scorgere quello
-che gl’Inghilesi si dovessono fare. E in questo
-tempo il duca e ’l suo consiglio feciono due parti
-de’ loro arcieri, che n’aveano intorno di tremila,
-e nascosonli in boschi e in vigne, a destra e a
-sinistra inverso dove i Franceschi potessono venire
-per assalirli, sicchè al bisogno d’ogni parte
-potessono ferire la gente di Francia e’ loro cavalli
-colle saette; e ordinarono fuori del loro campo innanzi
-al carreggio una schiera, che sostenesse il
-primo assalto, e ’l duca con tutta l’altra cavalleria
-in un fiotto erano armati, e schierati nel campo
-dentro al loro carreggio, per provvedere il portamento
-de’ loro nemici. E in questo modo fu apparecchiata
-l’una e l’altra oste di venire alla
-battaglia.
-</p>
-
-<h3 id="cap17-7">CAP. XVII.
-<span class="smaller"><i>La battaglia tra il re di Francia, e il prenze
-di Guales.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il maliscalco di Dina colla sua schiera de’ feditori,
-come poco avveduto e assai baldanzoso,
-vedendo i fuochi che gl’Inghilesi facevano, pensò
-che ardessono il campo, e che per paura se ne
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-fuggissono, e per questa folle burbanza, non attendendo
-d’avere appresso la seconda e terza
-schiera, levato un grido, se ne vanno con matto
-ardimento, e avacciarono il loro assalto, e dilungaronsi
-subitamente tanto dall’altre schiere, che
-per lo lungo terreno non poterono essere veduti
-da loro, e con grande ardire si misono ad assalire
-la schiera degl’Inghilesi, ch’era di fuori del
-carreggio, e fedironli per tal virtù, che li feciono
-rinculare a dietro, e perdere assai terreno. Il duca
-e’ suoi, che conobbono la mala condotta che
-aveano fatta gli Spagnuoli, e che non aveano la
-riscossa appresso, mandarono per costa millecinquecento
-cavalieri de’ loro, e inchiusonli, combattendoli
-dinanzi e di dietro, e sbarattaronli,
-facendone grande uccisione in poca d’ora. Seguendo
-appresso l’altra più grossa schiera del
-duca d’Atene conestabile di Francia, gli arcieri
-ch’erano riposti uscirono d’ogni parte per
-costa a saettare a questa schiera, e sollecitando
-le loro saette, molti uomini e cavalli fedirono e
-assai n’uccisono; e ’l duca di Guales, vedendo
-questa schiera già impedita e magagnata dagli
-arcieri, uscì loro addosso colla baldanza della
-prima vittoria, e dopo non grande resistenza furano
-tutti morti e presi, innanzi che ’l re ne sapesse
-la novella. Il Delfino di Vienna, e ’l duca
-d’Orliens, che aveano più di cinquemila cavalieri,
-e il re appresso con seimila in sua compagnia,
-avendo sentita la rotta delle due prime schiere,
-come vilissimi e codardi, avendo ancora due tanti
-e più di cavalieri e di baroni freschi e ben
-montati, ed essendo i nemici stanchi per le due
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-battaglie, tanta paura entro ne loro animi rimessi
-e vili, che potendo ricoverare la battaglia, non
-ebbono cuore di fedire a’ nemici, nè vergogna
-d’abbandonare il re, ch’era presso di loro sul
-campo, nè l’altra baronia di Francia, e senza
-ritornarsi a dietro a far testa col re insieme, e
-senza essere cacciati, si fuggirono del campo, e
-andaronsene verso Parigi, abbandonando il padre
-e’ fratelli nel pericolo della grave battaglia; degni
-non di titoli d’onore, ma di gravi pene, se giustizia
-avesse forza in loro.
-</p>
-
-<h3 id="cap18-7">CAP. XVIII.
-<span class="smaller"><i>La sconfitta del re di Francia e sua gente.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il valoroso duca di Guales già sbarattate
-le due prime schiere de’ nemici, e veduto
-che la terza schiera, ov’era il figliuolo e ’l fratello
-del re con cinquemila cavalieri, per paura
-s’erano fuggiti senza dare o ricevere colpo, prese
-speranza dell’incredibile vittoria, e con molta
-baldanza tutti in uno drappello fatto s’addirizzarono
-ad andare a combattere la grossa schiera
-del re. Il quale re, avendosi messe innanzi
-l’altre schiere, si pensò, per ritenere più ferma
-la baronia, di scendere a piè, e così fece. E vedendosi
-venire addosso gl’Inghilesi e’ Guasconi
-con gran baldanza, e avendo saputa la fuga del
-figliuolo e del fratello non invilì, ma virtuosamente
-confortando i suoi baroni che gli erano
-di presso, si fece innanzi a’ nemici per riceverli
-alla battaglia coraggiosamente. Il duca co’ suoi
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-franchi cavalieri, e sperti in arme a quel tempo più
-ch’e’ Franceschi, e cresciuti nella speranza della
-vittoria, si fedirono aspramente nella schiera del
-re. Quivi erano di valorosi baroni e di pro’ cavalieri;
-e sentendovi la persona del re, faceano forte e
-aspra resistenza, e mantennono francamente
-lo stormo, abbattendo, tagliando e uccidendo
-di loro nemici; ma perocchè fortuna favoreggiava
-gl’Inghilesi, molti Franceschi come poteano
-ricoverare a cavallo si fuggivano, senz’essere
-perseguitati; che la gente del duca non si
-snodava, e la schiera del re al continovo mancava;
-e ’l re medesimo, conoscendo già la vittoria
-in mano de’ suoi nemici, non volendo per
-viltà di fuga vituperare la corona, fieramente
-s’addurò alla battaglia, facendo grandi cose
-d’arme di sua persona; ma sentendosi allato
-messer Gianni suo piccolo figliuolo, comandò
-che fosse menato via e tratto della battaglia; il
-quale per comandamento del re essendo montato
-a cavallo con alquanti in sua compagnia, e partito
-un pezzo, il fanciullo ebbe tanta onta di lasciare
-il padre nella battaglia che ritornò a lui,
-e non potendo adoperare l’arme, considerava i
-pericoli del padre, e spesso gridava: Padre, guardatevi
-a destra, o a sinistra o d’altra parte, come
-vedea gli assalitori; ed essendo appresso del
-re messer Ruberto di Durazzo della casa reale di
-Puglia, ch’avea aoperate sue virtù come paladino,
-e lungamente con altri baroni difesa la battaglia,
-e morti e magagnati assai di quelli ch’a
-loro si strigneano, in fine abbattuti e morti intorno
-al re, il re fu intorniato dagl’Inghilesi e
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-da’ Guasconi, e domandato fu che si dovesse arrendere;
-ed egli vedendosi intorneato de’ suoi baroni
-e nimici morti e de’ nemici vivi, e fuori d’ogni
-speranza di potere più sostenere la battaglia,
-s’arrendè per sua voce a’ Guasconi, e lasciò
-l’arme sotto la loro guardia: e ’l suo piccolo figliuolo
-di corpo, e grande d’animo, non si voleva
-arrendere, ma pregato, e ricevuto comandamento
-dal padre che s’arrendesse, così fece; e
-questo fu il fine della disavventurata battaglia
-per li Franceschi, e d’alta gloria per gl’Inghilesi.
-</p>
-
-<h3 id="cap19-7">CAP. XIX.
-<span class="smaller"><i>Racconta molti morti e presi nella
-battaglia.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questa battaglia furono morti il duca di
-Borbona della casa di Francia, il duca d’Atene,
-il maliscalco di Chiaramonte, messer Rinaldo
-di Ponzo, messer Giuffrè di Ciarnì, il conte di
-Galizia, messer Ruberto di Durazzo de’ reali del
-regno di Cicilia, il sire di Landone, il sire di
-Crotignacco, messer Gianni Martello, messer
-Guglielmo di Montaguto, messer Gramonte di
-Cambelli, il vescovo di Celona, cagione di questo
-male, il vescovo d’Alzurro, tutti alti e gran
-baroni; e furono morti in sul campo oltre a
-costoro più di milledugento altri cavalieri a
-sproni d’oro, e banderesi, e cavalieri di scudo
-e borgesi, tutta nobile cavalleria, perocchè non
-v’erano quasi soldati; tutti erano famigli di
-<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
-gran signori, e uomini ch’erano venuti al servigio
-del loro re. I presi furono messer Giovanni
-re di Francia, messer Giovanni suo piccolo figliuolo,
-il maliscalco da Udinam, messer Iacopo
-di Borbona, il conte di Trincia villa, il conte
-di Monmartino, il visconte di Ventador, il
-Conte di Salembrucco Alamanno, il sire di Craone,
-il sire di Montaguto, il sire di Monfreno,
-messer Brucicolto, messer Bremont della volta,
-messer Amelio del Balzo, e ’l castellano d’Amposta,
-messer Gianni e messer Carlo d’Artese,
-l’arcivescovo di Sensa, il vescovo di Lingres,
-e molti altri baroni che qui non si nominano;
-e oltre a questi caporali, vi rimasono presi
-più di duemila cavalieri franceschi tutti uomini
-di pregio, e grandi e ricchi borgesi, e scudieri
-e gentili uomini. Questa battaglia fu fatta
-lunedì la mattina, a dì 18 di settembre, gli anni
-1356, presso a Pittieri a due leghe, in una
-villa che si chiama Trecceria, la quale per questo
-caso piuttosto confermò il suo nome che altra
-mutazione le desse.
-</p>
-
-<h3 id="cap20-7">CAP. XX.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia n’andò preso
-in Guascogna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguita, che vedendosi il giovane duca sì altamente
-vittorioso, non ne montò in superbia, e
-non volle come potea mettersi più innanzi nel
-reame, che lieve gli era a venirsene fino a Parigi,
-ma avendo la persona del re a prigione.
-<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
-e ’l figliuolo, e tanti baroni e cavalieri, per
-savio consiglio diliberò di non volere tentare più
-innanzi la sua fortuna; e però raccolta la preda
-e tutta la sua gente, e fatto fare solenne uficio
-per li morti, e rendute grazie a Dio della sua
-vittoria, si partì del paese, e senz’altro arresto
-se ne tornò in Guascogna alla città di Bordello.
-E giunto là, fece apparecchiare al re nobilemente
-il più bello ostiere, ove largamente tenea lui
-e ’l figliuolo, facendo loro reale onore, e spesse
-volte la sua persona il serviva alla mensa. È vero
-che lo volle al cominciamento menare in Inghilterra
-per più sua sicurtà, ma i Guasconi, a cui
-il re s’era accomandato, non acconsentirono, e
-però si rimase in Guascogna alcun tempo innanzi
-che condotto fosse in Inghilterra, che si
-fece con grande ingegno, come innanzi racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap21-7">CAP. XXI.
-<span class="smaller"><i>I modi tenne il re d’Inghilterra sentendo
-la novella di sì gran vittoria.</i></span></h3>
-
-<p>
-Corsa la fama dell’incredibile vittoria in Inghilterra,
-e avendo il re Adoardo di ciò lettere
-dal figliuolo che li contavano il pericolo dov’egli
-con tutta la sua oste era stato, e l’alta e la grande
-vittoria che Iddio gli avea data, il savio re
-contenente nella faccia e negli atti, senza mostrare
-vana allegrezza, di presente fece raunare
-i suoi baroni e ’l suo consiglio, e con belle e
-savie parole dimostrò a tutti che questo non era
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-avvenuto per virtù nè operazione di sua gente,
-ma per singulare grazia di Dio, e comandò a
-tutti che niuna vana gloria o festa se ne mostrasse;
-ma per suo dicreto fece ordinare e mandare
-per tutta l’isola, che in catuna buona terra, castello
-e villa, otto dì continovi si facesse in tutte
-le chiese ogni mattina solenne sacrificio per l’anime
-de’ morti nella battaglia, e che si rendesse
-a Dio grazia della vittoria ricevuta. E fuori di
-questi esequi non si udì nè vide alcuna festa in
-tutta l’isola, strignendo catuna l’esempio e il
-comandamento del re. La quale mansuetudine
-fu al re maggiore laude, che al figliuolo la non
-pensata vittoria.
-</p>
-
-<h3 id="cap22-7">CAP. XXII.
-<span class="smaller"><i>Battaglia fra due cavalieri, e perchè.</i></span></h3>
-
-<p>
-Fu vero, avvegnachè non in questi dì ma poi,
-che due grandi e valorosi cavalieri, l’uno Guascone
-e l’altro Inghilese, vennero a quistione,
-perocchè catuno si vantava ch’avea preso il re.
-E venne tanto montando la loro riotta, che s’appellarono
-per questo a battaglia, la quale con
-grande pompa e riguardo feciono a Calese, e il
-Guascone fece ricredente l’Inghilese. E al Guascone
-ch’ebbe la vittoria furono fatti gran doni
-dal re di Francia e dal prenze di Guales, ma poco
-appresso gl’Inghilesi per invidia il feciono morire.
-Avendo raccontate l’oltramontane fortune,
-le italiane con sollecitudine addomandano il debito
-alla nostra penna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap23-7">CAP. XXIII.
-<span class="smaller"><i>Processo fatto contro a’ signori di Milano
-per lo vicario dell’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Narrato abbiamo nel sesto libro, come messer
-Marcovaldo vescovo augustinese vicario in Pisa
-per l’imperadore, era fatto capitano della compagnia,
-e dell’altra oste de’ Lombardi ch’erano
-collegati contro a’ signori di Milano; ed essendo
-raunati tutti in Lombardia e acconci d’andare
-verso Milano, il vescovo fece esaltare nell’oste
-l’insegna imperiale ne’ campi di Modena, e ivi
-dichiarò a tutti, com’egli era vicario dell’imperadore,
-e formò un processo sotto il titolo
-del vicariato contro a messer Bernabò e a messer
-Galeazzo signori di Milano, il quale in effetto
-contenea: come in derisione e in contento della
-santa Chiesa e’ davano l’investiture de’ beneficii
-ecclesiastici a cui voleano, togliendoli a cui la
-santa Chiesa gli avea investiti, e a’ legati del papa
-non lasciavano in tutta loro tirannica giurisdizione
-fare uficio, e alquanti n’aveano fatti
-morire crudelmente; e come aveano trattato con
-messer Palletta da Montescudaio di tradire l’imperadore,
-e di torgli la città di Pisa, e come per
-loro violenta tirannia aveano occupate le città
-e’ popoli di Lombardia pertinenti al santo imperio,
-e come in vergogna della maestà imperiale,
-tornandosi l’imperadore in Alamagna, valicando
-per Lombardia, gli feciono serrare le porte
-delle città e castella di loro distretto, e guardare
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-le mura con gente d’arme, come da loro
-nemico, avendo titolo di suoi vicari; e formato
-il processo, mandò per sue lettere a richiedere
-i tiranni, che a dì 11 del presente mese d’ottobre
-del detto anno comparissono personalmente
-dinanzi da lui a scusarsi del detto processo, altrimenti
-non ostante la loro contumace contro
-a loro pronunzierebbe giusta sentenza. E di
-quella, coll’aiuto di Dio, e del santo imperio e
-del suo potente esercito, tosto intendea fare
-piena esecuzione.
-</p>
-
-<h3 id="cap24-7">CAP. XXIV.
-<span class="smaller"><i>Risposta fatta per li signori di Milano
-al vicario.</i></span></h3>
-
-<p>
-«Avendo per alcuni nostri fedeli notizia delle
-tue superbe e pazze lettere, colle quali noi, come
-fanciulli, col tuo ventoso intronamento credi
-spaurire, noi, avvegnachè dell’età giovani,
-molte cose avendo già vedute, al postutto il
-mormorio delle mosche non temiamo. Tu immerito
-del preclarissimo nome del santo imperio
-ti fai vicario, dei quale noi fedeli vicari ci
-confessiamo. Contro dunque a te non vicario
-dell’imperio, ma capo de’ ladroni, e guida di fuggitivi
-soldati, infra’ l termine che ci hai assegnato,
-acciocchè non t’affatichi venendo sopra il milanese,
-piagentino ovvero parmigiano tenitorio,
-pe’ nostri precussori idonei, acciocchè non ti vanti
-ch’a tua volontà le nostre persone abbi mosse,
-co’ tuoi guai, forse ti risponderemo. Noi adunque
-<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
-promettiamo a te, che con nefaria mano di ladroni
-a depopolare e ardere i nostri pacifichi
-confini con pazzo campo se’ mosso, non come
-vescovo ma come uomo di sangue, se la fortuna
-ministra, della giustizia nelle nostre mani
-ti conducerà, non altrimenti che come famoso
-ladrone, e incendiario ti puniremo.»
-</p>
-
-<h3 id="cap25-7">CAP. XXV.
-<span class="smaller"><i>Risposta fatta, per lo vicario, alla detta lettera.</i></span></h3>
-
-<p>
-«Rallegriamo delle lettere che mandate ci avete,
-quali mostrano la superbia della quale voi
-vi gloriate. Della nostra ingiuria intendiamo soprassedere,
-ma della bugia scritta nelle vostre
-lettere non ci possiamo contenere. Scriveste
-dunque, che co’ vostri precursori, innanzi ch’entrassimo
-nel vostro tenitorio, ci rispondereste
-minacciandone di battaglia. E ora con la grazia
-di Dio e col suo aiuto, nel quale solo è la nostra
-speranza, non occultamente a modo di predoni,
-ma palesi, passati Parma, siamo in sul campo
-presso a cinque miglia a Piacenza, e col detto
-divino aiutorio intendiamo procedere innanzi, e
-co’ vostri precursori non ci avete ovviati, in vituperio
-della vostra vana superbia. Data a Ponte
-miro, a dì 10 d’ottobre.»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap26-7">CAP. XXVI.
-<span class="smaller"><i>Come i soldati de’ tiranni non vollono venire
-contro all’insegna dell’imperadore.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era in questo mezzo avvenuto, ch’e’ signori
-di Milano, temendo l’avvenimento de’ sopraddetti
-loro avversari, aveano mandato a Parma il
-marchese Francesco con quattromila barbute di
-gente tedesca e Borgognoni ivi raunati altri cavalieri
-e gran popolo per uscire a campo, e non
-lasciare i nemici entrare sul terreno de’ signori
-di Milano, e di combattere con loro. Quando il
-marchese volle uscire fuori a campo, i conestabili
-de’ Tedeschi e de’ Borgognoni tutti di
-concordia dissono al marchese loro capitano, che contro
-al vicario dell’imperadore e alla sua insegna
-non anderebbono, nè in campo non farebbono
-resistenza contro al loro signore. Questo fu
-il titolo della scusa, ma più li mosse non volere fare
-resistenza alla compagnia, perocchè aveano
-parte in quella non istandovi, e il refugio e il soldo
-quand’erano cassi in altre parti; ma dissono,
-ch’erano apparecchiati di stare alla guardia delle
-città e delle castella lealmente. I signori sentendo
-l’intenzione de’ soldati, ch’acconsentivano
-d’essere cassi innanzi che uscire contro
-al vicario dell’imperadore, pensarono che a cassarli
-era aggiugnere forza a’ loro nemici, e pericolo
-di loro stato: e però dissimularono con loro,
-e ritrassonli a Milano, lasciando in Parma e
-in Piacenza buona guardia per difendere le mura.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap27-7">CAP. XXVII.
-<span class="smaller"><i>Come il vicario puose campo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il vescovo d’Augusta, ch’era prod’uomo in
-fatti d’arme e bene avveduto, sentendo ch’e’
-soldati de’ signori di Milano non erano per uscire
-in campo contro a lui, con più ardire valicò
-Parma, cavalcando con tutta sua oste presso alle
-porti, e così Cremona, e ristette alquanto in
-sui Piacentino, ove fece la risposta della lettera
-sopraddetta. E predando il paese d’intorno
-per alcuno dì, si partì di là, ed entrò sul contado
-di Milano; e facendo in quello grandissime prede,
-trovando la gente male provveduta, si mise a fermare
-suo campo a una grossa villa che si chiama
-Rosario, presso a Milano a quattordici miglia di
-piano, intorno alla quale a due, e a tre, e quattro
-miglia sono altre grosse villate, raccolte a modo di
-casali, piene di molta vittuaglia e bestiame, e per
-l’abbondanza l’oste vi stette a grande agio; e indi
-cavalcarono per tutto il Milanese, facendo danno
-grave a’ paesani, che per lungo tempo non aveano
-sentito che guerra si fosse; e con tutta la forza
-de’ signori di Milano, niuna resistenza trovarono
-in campo in molti giorni: e però lasceremo alquanto
-questa materia, tanto che le grandi cose
-che ne seguirono abbiano il tempo loro, non
-partendoci però dall’italiane tempeste, che prima
-si vogliono raccontare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap28-7">CAP. XXVIII.
-<span class="smaller"><i>Ordine del re d’Ungheria alla guerra
-con i Veneziani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornato il re in Ungheria, avvisato che la
-moltitudine degli Ungheri non si può mantenere
-in Italia come ne’ diserti, ebbe suo consiglio, ed
-elesse trenta suoi grandi baroni per capitani, ciascuno
-di cinquemila Ungheri a cavallo, con ordine
-che catuno il servisse tre mesi, come sono tenuti
-per omaggio. E per questo modo deliberò
-di continovare la guerra a’ Veneziani, succedendo
-l’uno barone all’altro di due in due mesi, perocchè ’l
-terzo aveano per la venuta e pel ritorno.
-E a dì 15 d’ottobre del detto anno giunse l’uno
-de’ baroni a Colligrano con quattromila Ungheri,
-i quali di presente si misono a scorrere e a predare
-il paese infino a Trevigi. In campo non trovavano
-contasto, perocchè come questo signore
-era sopra Trevigi, così altri signori erano a Giara
-e nella Schiavonia sopra le terre de’ Veneziani,
-sicchè i Veneziani aveano tanto a fare a guardare
-le mura delle loro terre, che non sapeano come
-pur quello si potessono fornire, sicchè gli Ungheri
-al tutto signoreggiavano i campi di Trevigiana,
-e assediavano le castella.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap29-7">CAP. XXIX.
-<span class="smaller"><i>L’aguato misono gli Ungheri a gente
-de’ Veneziani.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il doge di Vinegia col suo consiglio, vedendo
-la soperchia baldanza degli Ungheri, per tenerli
-più a freno si sforzarono di conducere un gran
-barone della Magna con seicento cavalieri tedeschi,
-per mandarli a Trevigi, e pagaronlo per
-quattro mesi innanzi; e datogli a compagnia un
-gentile uomo di Vinegia, all’uscita d’ottobre li
-mandarono a Trevigi, e per loro la paga per gli
-altri soldati a cavallo e a piè ch’erano a Trevigi.
-Costoro con poca provvedenza de’ loro nemici
-faceano la via per lo Vicentino. Gli Ungheri da
-Colligrano sentirono la via che costoro faceano;
-e di subito eletti mille Ungheri, li feciono cavalcare
-la notte contro a’ Tedeschi; e venne loro si
-contamente fatto, che innanzi ch’e’ Tedeschi avessono
-novella di loro, gli ebbono addosso nel
-cammino; ed essendo male armati, chi si mise
-a difendere fu morto, gli altri tutti ebbono a prigioni,
-e tolti loro i danari, e l’arme, e’ cavalli; e
-le robe, in camicia gli rimandarono a Vinegia. Per
-questo i Veneziani perderono molto vigore, e
-a’ nemici baldanza grande ne crebbe, e quasi come
-paesani sicuravano i villani, e faceano lavorare
-le terre per la nuova sementa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap30-7">CAP. XXX.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi trattò d’avere Messina
-in Cicilia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Addietro avemo fatta memoria nel quarto libro,
-come messer Niccola di Cesaro rientrò in
-Messina e caccionne i suoi nemici, e con assentimento
-del re Luigi riprese Melazzo, e fecesene
-maggiore, ma non tanto ch’avesse ardire di
-scoprirsi a’ Messinesi, se non si sentisse più forte.
-E però s’accostò alla setta di que’ di Chiaramonte,
-e fece tornare da Firenze a Messina certi
-cavalieri ch’erano stati cacciati quando fu cacciato
-egli. E vedendo morto colui che dovea essere
-loro re, si mise in trattato col gran siniscalco
-del re Luigi di dargli Messina, e per questa
-cagione il re Luigi, e la reina Giovanna andarono
-in Calavria, e stettono parecchi mesi a Reggio,
-innanzi che l’accordo avesse il suo effetto. E
-facendo suo sforzo d’avere galee armate a questo
-servigio, con gran fatica ve n’erano sette, e alquanti
-legni armati in questo tempo. Lasceremo
-al presente questa materia tanto che venga a perfezione,
-e seguiremo quello che prima ci occorre
-a raccontare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap31-7">CAP. XXXI.
-<span class="smaller"><i>Come si trattò pace fra il conte di Fiandra
-e i Brabanzoni.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Brabanzoni vedendosi sottoposti al conte di
-Fiandra e a’ Fiamminghi, cosa molto strana al loro
-costume, non potendo più sostenere il giogo, e
-non volendosi rimettere in guerra, che n’erano
-mal capitati e mal destri, per savio avvisamento
-presono consiglio tutte le comuni di Brabante,
-fuori che la villa di Mellina ch’appartenea al
-conte, che la duchessa, ch’era cognata carnale
-del conte, tornasse in Brabante: e fattala venire,
-la ricevettono in Loano, affinchè tra lei e ’l
-conte si trovasse accordo. E per questa cagione,
-niuna vista o sentimento mostrarono di pigliare
-arme: e ’l conte, sentendo tornata la cognata in
-Brabante, non ne prese turbazione come avrebbe
-fatto del duca. E di presente che la duchessa
-fu in Brabante, si levarono baroni e amici di catuna
-parte, a trattare tra loro concordia per riposo
-de’ Fiamminghi e Brabanzoni. Per lo quale
-trattato, avvegnachè durasse lungamente, in fine,
-come trovare si potrà appresso nel suo tempo,
-vennero a final pace e concordia; ma questo principio
-fu del mese d’ottobre del detto anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap32-7">CAP. XXXII.
-<span class="smaller"><i>Come i Fiorentini si partirono da Pisa, e
-andarono a Siena con le mercatanzie.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguita, per non lasciare in silenzio lo sdegno
-preso pe’ Fiorentini contro a’ Pisani, i quali, come
-narrato è addietro, aveano loro rotta la pace, togliendo
-a’ Fiorentini la franchigia, della quale appresso
-seguitò grande materia di guerra, come
-leggendo per li tempi si potrà trovare. I Fiorentini
-avendo ritratta la loro mercatanzia e’ danari,
-in calen di novembre anno detto, tutti i
-cittadini e distrettuali di Firenze furono partiti
-di Pisa; e come questo fu fatto, e le strade
-sbandite per divieto fatto a tutte le mercatanzie,
-arnese e roba, i Genovesi, e’ Provenzali, e’ Catalani,
-e tutti altri mercatanti se ne partirono, e
-rimase la città di Pisa ne’ luoghi della mercatanzia
-solitaria; e allora si cominciarono a avvedere
-i Pisani che non aveano fatta buona impresa,
-e grande repetio ebbe nella città de’ loro maggiori
-nel reggimento, che dato avea a intendere,
-che per gravezze ch’e’ facessono a’ Fiorentini
-non se ne partirebbono, tant’era l’agiamento
-del porto, e la comodità del cammino e dell’altre
-cose, e’ non pensavano che lo sdegno dell’ingiuria
-ponderasse contro alla loro comodità. La
-cosa andò tutto per altro modo. I Fiorentini presono
-porto a Talamone, e pertinacemente si
-disposono a volere vedere se fare potessono la
-mercatanzia senza i Pisani. Per questo i Pisani
-<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span>
-ch’erano amici di Simone Boccanegra doge di
-Genova, si misono a fare lega con lui, e armare
-galee, per impedire che la mercatanzia non ponesse
-a Talamone. Onde seguitarono non piccole
-e disusate novità, come leggendo innanzi a loro
-tempo si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap33-7">CAP. XXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come il capitano di Forlì si provvide.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo la compagnia valicata in Lombardia,
-il legato intendea a riprendere la guerra contro
-al capitano di Forlì il signore di Faenza, e
-apparecchiavasi d’assediare la città di Forlì. Il
-capitano ch’era coraggioso e avvisato, innanzi
-che l’assedio gli venisse addosso, ebbe trecento
-suoi cavalieri e cinquecento masnadieri, e di subito
-e improvviso a’ Malatesti cavalcò con questa
-gente a Rimini, e accolse una grande preda
-d’uomini, e d’arnesi, e di bestiame, e data
-la volta, senza contasto con tutta la preda si
-tornò in Forlì; e fatto questo, fece ardere e disfare
-tutti i casali e terre da non potersi bene difendere,
-e intese a votare la terra di tutta la gente
-disutile alla guerra, e a fornirsi copiosamente di
-vittuaglia, acciocchè più lungamente potesse fare
-sua difesa contro al legato, ch’era per farlo
-assediare, come appresso avvenne, ma più tardi
-ch’e’ non s’avvisava.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap34-7">CAP. XXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come Faenza s’arrendè al legato, e’ patti.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Giovanni di messer Ricciardo de’ Manfredi
-signore di Faenza, conoscendo la sua forza
-debole a resistere a santa Chiesa, si mise a trattare
-accordo col legato, mediante gli ambasciadori
-del re d’Ungheria, che a stanza di messer
-Giovanni se ne travagliavano, e in fine del mese
-di Novembre anno detto, a dì 10, vennero a questi
-patti: che al legato si dovesse rendere liberamente
-la signoria di Faenza, e delle castella e del
-contado, e messer Giovanni dovesse avere tutto
-suo patrimonio salvo, e la terra di Bagnacavallo.
-E per attenere i patti diede due suoi figliuoli
-stadichi, e mandolli co’ detti ambasciadori alla
-guardia del signore di Padova. E appresso, del
-mese di dicembre vegnente, il legato attesi
-d’ogni parte i patti, fece prendere la tenuta
-della città di Faenza e di tutte le castella. E innanzi
-che la terra si desse al legato, il tiranno
-fece a’ cittadini gravi oppressioni, e tolse loro
-molti danari, e di quelli cui egli odiava per
-sospetto fece uccidere. E a questo modo prese
-fine la tirannia di messer Giovanni sopraddetto,
-la quale per lo suo principio fu cagione, come
-addietro avemo contato, di molti mali avvenuti
-in Italia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap35-7">CAP. XXXV.
-<span class="smaller"><i>Che fece la gente della lega de’ Lombardi
-in questo tempo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando a’ fatti di Lombardia, essendo stato
-lungamente il vicario dell’imperadore colla gente
-della lega e della compagnia a oste in sul
-contado di Milano senza avere trovato contasto,
-si ridussono a una villa chiamata Margotto in
-sul Tesino, e ivi si rassegnarono tremilacinquecento
-cavalieri bene armati e bene a cavallo,
-senza l’altra cavalleria da saccomanno, e seimila
-masnadieri: costoro prendeano molta fidanza,
-non temendo ch’e’ soldati tedeschi e borgognoni
-venissono contro a loro. Il marchese di
-Monferrato trasse dell’oste cinquecento cavalieri
-per un trattato ch’egli avea tenuto della città
-di Novara, e a dì 9 di novembre anno detto
-entrò nella terra, e presela, e assediò il castello,
-ch’era grande e forte e bene fornito di gente alla
-difesa, e di molta vittuaglia da potere lungamente
-attendere il soccorso, e francamente manteneano
-la difesa.
-</p>
-
-<h3 id="cap36-7">CAP. XXXVI.
-<span class="smaller"><i>Della materia medesima.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avvenne, che presa Novara per lo marchese
-prosperamente, avendo egli e messer Azzo da
-Correggio un altro trattato in Vercelli, si sforzarono
-<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
-d’avacciare la cavalcata, e per tema di riparo
-che pensavano vi si metterebbe per esempio di
-Novara; e per questo messer Azzo trasse dell’oste
-anche settecento barbute di buona gente, e andando
-per entrare in Vercelli, a dì 11 di novembre
-detto, quelli che v’erano dentro per lo signore
-di Milano avendo udita la novità di Novara ripararono
-alla guardia di Vercelli, sicchè la cavalcata
-fu invano. Nondimeno pensando il marchese
-e messer Azzo che da Milano non potesse venire
-loro soccorso, vi si misono a oste, ove stettono
-più dì; e in questo mezzo fortuna cambiò
-la faccia a coloro che troppo si fidavano, come
-spesso avviene in fatti di guerra, che fa vinti i
-vincitori avere a schifo il suo nemico.
-</p>
-
-<h3 id="cap37-7">CAP. XXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste della lega fu rotta dalla gente
-di Milano.</i></span></h3>
-
-<p>
-I signori di Milano che riceveano cotanto oltraggio
-per la malizia de’ loro soldati, non si
-ruppono da loro, ma carezzaronli in vista e in
-opere, e massimamente certi conestabili più confidenti,
-e tanto seppono fare, che una parte ne
-recarono a loro volontà; e nondimeno per tutte
-loro città raccolsono arme de’ soldati de’ loro
-sudditi e degli altri Italiani intorno di quattromila
-cavalieri, e altrettanti n’ebbono de’ loro soldati;
-e questo fu fatto per modo, che poco avvisamento
-n’ebbono i loro nemici. E sentendo tratti
-dell’oste del vicario milledugento barbute per lo
-<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span>
-fatto di Novara e di Vercelli, subitamente feciono
-capitano messer Loderigo de’ Visconti valente
-cavaliere, ma di grande età. Costui uscì subito
-con bene seimila cavalieri e molto gran popolo
-di Milano, e andatosene verso i nemici, ch’erano
-col loro campo a Margotto in sul Tesino, puosesi
-a campo a dì 12 di novembre predetto, presso
-a’ nemici a tre miglia, e mandò a richiedere il
-vescovo di battaglia, la quale richiesta il vicario
-mostrò d’accettare allegramente, e ’l termine fu
-per la domenica mattina vegnente, a dì 13 del
-mese. Ma vedendosi il vescovo sfornito il campo di
-milledugento buoni cavalieri, si provvide la notte
-di fare valicare il Tesino a tutta la sua oste, a fine
-di riducersi con essa presso a Pavia, per avere il
-sussidio della città, che troppo gli parea avere
-grande disavvantaggio. In questo movimento prigioni
-si fuggirono ch’avvisarono messer Loderigo
-del fatto: il quale di subito la notte mandò messer
-Vallerano Interminelli, figliuolo che fu di
-Castruccio, con trecento cavalieri, e comandogli
-che si strignesse co’ nemici francamente, sicch’egli
-impedisse la partita loro, tanto ch’e’ giugnesse
-colla sua oste, della quale incontanente
-ordinò le battaglie, e seguitò appresso. Messer
-Vallerano fece coraggiosamente il suo servigio, e
-innanzi dì assalì il campo ora dall’una parte ora
-dall’altra, per li quali assalti molto impedì il valico
-del Tesino alla gente del vicario. Ma schiarito il
-giorno, per lo soperchio della gente del vicario fu
-preso colla maggiore parte de’ suoi cavalieri. Nondimeno
-il carreggio del campo, e la salmeria, e ’l
-popolo, e parte de’ cavalieri valicavano continovamente,
-<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
-e di qua alla riscossa erano rimasi col vicario
-dell’imperadore il conte di Lando capitano della
-compagnia, e messer Dondaccio di Parma, e messer
-Ramondino Lupo, e quasi tutti i migliori conestabili
-dell’oste con millecinquecento barbute
-e co’ sopraddetti prigioni. E avendosi messa innanzi
-tutta l’altra oste, innanzi che potessono conducersi
-al passo, messer Loderigo colla sua cavalleria,
-tutti schierati e ordinati alla battaglia, fu loro
-addosso la mattina al chiaro dì. I cavalieri
-del vicario, ch’erano uomini di gran virtù in fatti
-d’arme, vedendosi allo stretto partito, tutti
-s’annodarono insieme, e feciono testa, e ricevettono
-l’assalto de’ nemici francamente, non lasciandosi
-di serrare, facendo d’arme gran cose
-contro al soperchio ch’aveano addosso: e combattendo
-continovamente per spazio di tre ore sostennero
-l’assalto d’ogni parte, danneggiando molto
-i nemici loro. Infine la fatica e ’l soperchio
-della moltitudine de’ loro avversari li ruppe. Allora
-molti, che temettono più la paura che la vergogna,
-si misono alla fuga e camparono. In sul
-campo ne rimasono presi seicento e più, tra’ quali
-fu il vescovo già detto, vicario dell’imperadore,
-e ’l conte di Lando, e messer Ramondino Lupo,
-e messer Dondaccio. È vero che ’l conte venne
-a mano de’ Tedeschi, che ’l celarono e camparono,
-e due cavalieri tedeschi camparono messer
-Dondaccio, e fuggironsi con lui, e fidaronsi alle sue
-promesse, e per diversi cammini il condussono a
-Firenze, e poi in Lombardia. Tutta l’altra oste, che
-avea valicato Tesino, sani e salvi si ricolsono in
-Pavia con tutto il carreaggio e l’altro arnese.
-<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
-E questa fu la fine della nuova impresa del nuovo
-vicario dell’imperadore, ma non de’ fatti della
-lega.
-</p>
-
-<h3 id="cap38-7">CAP. XXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Il consiglio prese il capitano di Forlì.</i></span></h3>
-
-<p>
-Veduto che Francesco degli Ordelaffi ebbe, che
-Faenza, e tutta l’altra Romagna, e la Marca, e ’l
-Ducato era venuta all’ubbidienza di santa Chiesa,
-e che al legato ch’avea gran potenza di danari e
-d’uomini d’arme, non restava a fare altra guerra
-che contro a lui, ragunò a consiglio tutti i buoni
-uomini di Forlì, e domandò consiglio da loro
-di quello ch’avesse a fare. Costoro consigliati insieme,
-di concordia feciono dire al capitano in
-quel consiglio, che la fede e l’amore ch’e’ Forlivesi
-aveano sempre portato alla sua casa e a lui
-non era in loro mancata; e come altre volte de’ loro
-propri beni nelle fortune loro gli aveano atati
-e mantenuti, tanto ch’elli erano ritornati nella
-signoria; così intendeano di fare quando il bisogno
-incorresse, di che Iddio il guardasse. Nondimeno
-conoscendo al presente la gran forza della
-Chiesa contro a lui solo, e niuno soccorso, consigliavano
-che col legato si trattasse accordo il
-migliore che avere si potesse. E di questo avverrebbe,
-ch’eglino suoi amici non perderebbono i
-loro beni, e potrebbonlo sovvenire e atare. Quando
-egli ebbe udito il loro consiglio, disse: Ora
-voglio che voi udiate la mia intenzione. Io non
-intendo fare accordo colla Chiesa, se Forlì e
-<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span>
-l’altre terre ch’io tengo non mi rimangono, e
-quelle intendo mantenere e difendere fino alla
-morte. E prima Cesena, e le castella di fuori, e
-Forlimpopoli, e appresso perdute quelle, le mura
-di Forlì, e perdute le mura, difendere le vie e
-le piazze, all’ultimo questo mio palazzo, e in
-fine l’ultima torre di quello, innanzi che per
-suo assentimento alcuna n’abbandonasse; e però
-volea che tutti sapessono in palese la sua intenzione,
-pregandoli con minacciamento di gravi
-minacce che catuno li fosse fedele amico e leale:
-e di presente mandò la moglie e’ figliuoli con
-buona compagnia di gente d’arme a cavallo e
-a piè, e raccomandolle la guardia di Cesena;
-e fornì di vantaggio tutte le castella, e di Forlì
-trasse da capo femmine e fanciulli, e gente disutile
-in tempo d’assedio, e soldati mise nelle
-case e masserizie di certi cittadini meno confidenti;
-e così disposto, intendea a difendersi dal legato.
-</p>
-
-<h3 id="cap39-7">CAP. XXXIX.
-<span class="smaller"><i>Messer Niccola prese Messina per lo re Luigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando nostra materia a’ fatti di Messina,
-essendo il re Luigi a Reggio, messer Niccola di
-Cesaro avea procurato d’avere in sua guardia il
-castello di Sansalvadore in sulla marina, e aggiuntosi
-i cavalieri di sua setta, ch’avea fatti
-ritornare da Firenze, si provvide che non era
-sicuro a fare sua impresa col re Luigi, s’e’ non
-avesse il castello di Mattagrifone sopra Messina,
-che era fortissimo, e dava l’entrata e l’uscita
-<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
-della città per la montagna; questo procacciò
-per ingegno, che per forza non avea luogo. Il castellano
-non prendea guardia de’ suoi cittadini,
-e’ cavalieri tornati da Firenze erano amici, e per
-modo d’andarlo a vicitare con alquanti loro famigli,
-furono con festa ricevuti da lui; e tenendolo
-in novelle, com’era ordinato, messer Niccola
-sopravvenne con altri suoi compagni, e non
-gli fu contradetta l’entrata per mala provvisione
-del castellano; e trovandosi dentro forte, cortesemente
-ne trasse il castellano, ch’era male
-provveduto alla difesa. Fornito questo messer
-Niccola vi mise il castellano e le guardie a suo
-modo; e avendo fermo il trattato col re Luigi,
-il re del mese di novembre vi mandò messer
-Niccola Acciaiuoli da Firenze ch’avea menato
-questo trattato, con sette galee e un legno armato
-cariche di grano, e con lui cinquanta cavalieri
-e trecento masnadieri di Toscana; e
-giunti a Messina, furono ricevuti da messer Niccola
-di Cesaro e da’ suoi seguaci a grande onore;
-e ’l popolo ch’avea necessità grande di vittuaglia,
-sentendo le galee cariche di grano, fu
-molto contento, e incontanente per sicurtà del
-re fu consegnato al gran siniscalco la guardia di
-Sansalvadore, ch’è la forza del porto, e Mattagrifone,
-ch’è la guardia della città; e fatto questo,
-e lasciato in catuno masnadieri e balestrieri
-alla guardia, fu condotto il gran siniscalco e
-l’altra sua gente d’arme all’abitazione del re,
-ove trovò due figliuole del re Petro, le quali
-ritenute cortesemente mandò poi al re e alla
-reina ch’erano a Reggio, e da loro furono ricevute
-<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
-graziosamente, come appresso racconteremo,
-e la reina le ritenne con seco onorevolemente.
-Qui si desti la memoria della reale eccellenza
-del re Ruberto: qui s’agguagli la sua
-sollecitudine, la sua grande potenza, l’armata
-di cento, e di centosessanta, e di dugento galee
-per volta, e di molte armate colla forza grande
-de’ suoi baroni, e della sua cavalleria e delle sue
-osti, per acquistare alcuna terra nell’isola di
-Cicilia non che Messina, ch’è la corona dell’isola,
-e non potutolo fare, acciocchè per esempio
-si raffreni l’impotente ambizione degli uomini,
-e non si stimi alcuna cosa per forza avere fermezza,
-nè potere fuggire a tempo le calamità innate
-nelle mortali e cadevoli cose del mondo.
-</p>
-
-<h3 id="cap40-7">CAP. XL.
-<span class="smaller"><i>Come si ribellò Genova a que’ di Milano.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguitasi, che in questi dì i Genovesi, i quali
-di natura sono altieri, vedendosi sì vilmente
-sottoposti a’ tiranni di Milano, e che vendicati
-s’erano de’ Veneziani e de’ Catalani, per la cui
-fortuna s’erano sottoposti al tirannesco giogo,
-avendo sentito che ’l marchese di Monferrato
-avea rubellato a’ tiranni Asti in Piemonte, e
-che i signori di Pavia s’erano accostati con lui,
-e ’l vicario dell’imperadore era colla gente della
-lega e colla compagnia a oste in sul Milanese,
-innanzi che sapessono della sconfitta del vicario,
-parendo loro avere tempo da rubellarsi senza pericolo,
-a dì 15 di novembre anno detto, il popolo
-<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span>
-si levò a romore, e prese l’arme, e corse la
-terra, gridando: Viva libertà, e muoiano i tiranni;
-e corsi al palagio, dov’era il vicario de’ signori,
-senza contasto furono messi dentro, e
-trassonne il vicario e tutta sua famiglia, e tutte
-le masnade de’ soldati a cavallo e a piè con lui
-misono fuori della città e del loro distretto,
-senza fare loro villania o altro male. E incontanente
-mandarono a Pisa per messer Simone
-Boccanegra, ch’era prima stato doge di Genova,
-il quale essendo molto amico de’ Pisani, e avendo
-secondo l’opinione di molti trattata questa
-rivoltura, coll’aiuto de’ cavalieri di Pisa e per
-loro consiglio si mise per terra, e andò a Genova,
-e prese la signoria dal popolo. E per questo
-modo fu libera la città di Genova dalla signoria
-de’ Visconti di Milano, della qual cosa i signori
-di Milano rimasono indegnati contro al comune
-di Pisa, aggiugnendo allo sdegno, ch’aveano dato
-aiuto al vicario dell’imperadore quando andò
-contro a loro, e la morte di messer Paffetta loro
-confidente amico; ma tutto comporta nel
-tempo l’animo della parte.
-</p>
-
-<h3 id="cap41-7">CAP. XLI.
-<span class="smaller"><i>Come fu disfatta la chiesa di santo Romolo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era la chiesa di santo Romolo in sulla piazza
-de’ priori, e impedia molto la piazza; entrò
-un uficio al priorato ch’aveano poco a fare,
-e però, come fu loro messo innanzi di rallargare
-e dirizzare la piazza, preso di concordia tra loro
-<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
-il partito, subitamente la sera e la notte feciono
-mettere in puntelli la chiesa e le case sue,
-e a dì 20 di novembre tutto feciono rovinare, e
-ivi presso volgendo le loggie verso la piazza, ordinarono
-che si redificasse maggiore e più bella,
-e ordinaronvi i danari, e fu fatto. Costoro, a dì
-3 di dicembre del detto anno, volendo fare una
-gran loggia per lo comune in sulla via di Vacchereccia,
-non bene provveduti al beneficio del
-popolo, subitamente feciono puntellare e tagliare
-da piè il nobile palagio e la torre della guardia
-della moneta, dov’era la zecca del comune, ch’era
-dirimpetto all’entrata del palagio de’ priori in sulla
-via di Vacchereccia, e quella abbattuta, e fatta
-la stima delle case vicine fino al chiasso
-de’ Baroncelli e de’ Raugi (biasimati dell’impresa,
-e che loggia si convenia a tiranno e non a
-popolo) vi rimase la piazza de’ casolari, e la moneta
-assai debole e vergognosa a cotanto comune.
-Questo medesimo uficio comperò da’ Tornaquinci
-la grande e bella torre ch’aveano sul
-canto di mercato vecchio e in sul corso del palio,
-la quale strignea e impediva la via del corso;
-questa feciono abbattere e cadere in sul mercato
-all’uscita del loro uficio; e fu molto a grado
-a’ cittadini, e utile alla via e al mercato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap42-7">CAP. XLII.
-<span class="smaller"><i>Quello fece messer Filippo di Taranto
-e di Vercelli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Era in questi dì a corte di Roma a Avignone
-messer Filippo di Taranto fratello carnale del
-re Luigi, il quale aspettava che ’l papa dispensasse
-con lui e con la moglie che s’avea tolta,
-sirocchia della reina Giovanna, quella che fu
-moglie del duca di Durazzo e appresso di Ruberto
-del Balzo, ed era sua nipote, figliuola del fratello
-carnale; e ’l papa, per l’irreverenza ch’ebbono
-al sagramento matrimoniale di copularsi
-prima ch’avessono la dispensagione, tardava di
-farla, e mostrava di non volerla fare: e in questo
-aspetto messer Filippo sommosse certi baroni
-e cavalieri provenzali, e raunò quattrocento
-barbute, e tenne segreta la sua cavalcata, avendo
-boce ch’andava in aiuto a’ signori di Milano
-o al marchese; ma egli ch’avea suo trattato
-cavalcò a Carasco in Piemonte, e ripresesi la
-terra, e lasciolla in ordine di guardia, e se ne
-tornò a Avignone del detto mese di novembre.
-In questo medesimo mese, non ostante la
-sconfitta del vicario dell’imperadore, il marchese
-di Monferrato, e messer Azzo da Correggio,
-e ’l conte di Lando, ch’era lasciato, accolsono
-tutto il rimanente della loro gente, e que’ di
-Milano, avendo la vittoria, ne cassarono, e assediarono
-di fuori il castello di Novara, e anche
-dalla parte della città, e assediarono Vercelli, e
-<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
-tutto il verno mantennero gli assedi, tanto che
-vinsono la punga del castello di Novara, come
-seguendo nostro trattato al suo tempo diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap43-7">CAP. XLIII.
-<span class="smaller"><i>Come si fuggì di Milano la donna che fu di
-messer Luchino col figliuolo.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di messer Luchino Visconti tiranno di Milano
-era rimaso uno figliuolo nudrito per la
-madre, ch’era di quelli dal Fiesco di Genova.
-I tiranni di Milano, per tema della signoria,
-l’aveano assottigliato delle possessioni e
-del tesoro che ’l padre gli avea lasciato, e il giovane
-crescea in aspetto d’essere valoroso e in
-amore de’ cittadini, e questo gravava l’animo
-a’ signori per gelosia dal loro stato. La madre,
-ch’era savia e accorta, temea forte che messer
-Bernabò e messer Galeazzo nol facessono morire,
-i quali teneano lui e lei in guardia, ch’uscire
-non poteano di Milano. La donna ordinò molto
-saviamente con danari e con grandi promesse,
-con certi conestabili di cavalieri ch’aveano a fare
-la guardia, che ’l dì ch’ella disse loro la donna
-fu provveduta, e montata in su buoni cavalli, e
-con parte di loro tesoro furono tratti di Milano,
-e avviati con cavalieri in verso Pavia. La cosa fu
-tosto manifestata a’ signori; i quali li feciono
-perseguitare insino presso a Pavia, e arebbonli
-ritenuti, se non che gente uscì di Pavia, e ricevettonli,
-e tutti condussonli sani e salvi nella
-città di Pavia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap44-7">CAP. XLIV.
-<span class="smaller"><i>Come il Re Luigi e la reina andarono
-a Messina.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dappoichè per la gente del re Luigi fu presa
-la tenuta delle fortezze della città di Messina
-e del porto, i cittadini ordinarono di comune
-consiglio di mandare per lo re e per la reina a
-Reggio, acciocchè venissono in Messina a ricevere
-il saramento e la reverenza come loro signori;
-ed elessono undici cittadini i maggiori per
-ambasciadori, i quali tutti si vestirono di scarlatto
-foderato di vaio, e con le due figliuole di
-don Petro valicarono a Reggio, del mese di dicembre
-anno detto; e giunti là, e fatta la reverenza
-al re e alla reina, furono da loro ricevuti
-con grande allegrezza e festa; e sposta la loro
-ambasciata, e pregato il re e la reina che dovessono
-andare a Messina, incontanente mandarono
-a far tornare le loro galee: e ricevute le damigelle
-a grande onore, la reina l’ordinò di
-sua compagnia, trattandole caritatevolmente in
-tutte le cose; e venute le galee, il re e la reina
-e le damigelle vi montarono suso con tutti gli
-ambasciadori, e valicarono a Messina, a dì 24
-di dicembre la vigilia di Natale, ove furono
-ricevuti con grande solennità di festa, fatta per
-tutti i cittadini, e collocati nelle case reali: e
-fatta la solenne festa del Natale, ricevettono il
-saramento e l’omaggio da tutti i cittadini, e a
-richiesta de’ cittadini promise il re di risedere
-colla corte di là, cosa che poi non attenne.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap45-7">CAP. XLV.
-<span class="smaller"><i>Come fu murato il borgo di Fegghine.</i></span></h3>
-
-<p>
-Ricordandosi i cittadini di Firenze, come in
-tutte le gravi guerre ch’al loro comune erano
-sopravvenute, il borgo di Fegghine ricevea le
-percosse, e veggendo quanto il porto di quel
-luogo era utile al fornimento della città, per la
-grande abbondanza della vittuaglia che a quello
-mercato continovamente venia, diliberarono
-che ’l borgo si murasse di grosse mura e di buone
-torri, e facessevisi una grossa terra alle spese
-del comune con l’aiuto delle circustanti vicinanze;
-e dato l’ordine del mese di dicembre
-del detto anno, e chiamati gli uficiali del mese
-di gennaio, cominciarono a fare i fossi e le porte
-principali, e appresso a fondare le mura e le
-torri. Penossi a compiere questa terra lungamente,
-ma fornita fu d’essere circundata di mura
-da difesa l’anno 1363, e compiuta e perfetta
-del mese di.....: Furono le mura in fondamento
-grosse braccia .... e sopra terra grosse
-braccia ... e alte con merli braccia ... con un
-corridoio dentro in beccatelli largo braccia ...
-e con torri alte braccia .... senza le porte,
-catuna alta sopra le mura braccia ... E con
-due porte maestre, l’una verso Firenze chiamata
-porta fiorentina, e l’altra verso castello
-Sangiovanni chiamata porta aretina, catuna
-Con gran torri, alte sopra le mura braccia ...
-la faccia delle mura di verso Firenze è per lunghezza
-<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span>
-braccia ... e diverso l’Arno è braccia ...
-e quella verso castello Sangiovanni è braccia ...
-e quella di verso il poggio è braccia ... E così
-in tutto girano le mura di quella terra braccia ...
-E innanzi che la terra fosse murata, fu
-ripiena di molte case nuove edificate da’ cittadini
-di Firenze, e da’ paesani d’intorno. Costò al
-comune di Firenze fiorini .... e a’ terrazzani
-e circustanti fiorini.... E in questo medesimo
-tempo ne fece porre il comune una di nuovo
-al Pontassieve di costa ove si dice Filicaia, la
-quale è più per ridotto d’una guerra, che per
-abitazione o per mercato che vi si potesse allignare.
-</p>
-
-<h3 id="cap46-7">CAP. XLVI.
-<span class="smaller"><i>D’un parlamento fece l’imperadore
-in Alamagna.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’imperadore Carlo convocati i prelati e’ baroni
-d’Alamagna alla festa della natività di
-Cristo a Mezza nello Reno, vi si trovò con bene
-ventimila cavalieri, e in abito della maestà
-imperiale fu servito a mensa dal duca di Brandimborgo,
-e dagli altri baroni ordinati per consuetudine
-a quel servigio. E a quella festa vennero
-ambasciadori del re d’Inghilterra, e due figliuoli
-del re di Francia per trattare pace intra
-’l re di Francia e ’l re d’Inghilterra, ma gli Alamanni
-poco vi seppono trovare modo, ma trattovvisi
-la concordia, che poi ebbe compimento, tra
-’l conte di Fiandra e ’l duca di Brabante per l’opera
-di Mellina. In quella festa fu molto ubbidito e
-<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
-reverito l’imperadore da’ prencipi d’Alamagna, e
-con tutti si mostrò in buona pace. In questi medesimi
-dì, a dì 23 di dicembre, papa Innocenzio sesto
-fece più cardinali di suo movimento, fra’ quali
-fu il vescovo di Firenze, ch’avea nome messer
-Andrea da Todi valente uomo, il cancelliere di
-Parigi uomo di grande autorità, e il generale de’
-frati minori e quello de’ predicatori, che niuno
-l’avea procurato.
-</p>
-
-<h3 id="cap47-7">CAP. XLVII.
-<span class="smaller"><i>Come il marchese di Monferrato ebbe
-il castello di Novara.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il Marchese Francesco di Monferrato, come
-narrato abbiamo addietro, avea assediato il castello
-di Novara, ma per via d’assedio o per forza
-non si potea avere, ch’era inespugnabile e fornito
-per molti anni: ma il valente marchese avea
-presi e facea guardare i passi del Tesino per modo,
-che ’l soccorso più volte mandato pe’ signori
-di Milano più volte ributtò addietro, e la rocca
-fece cavare; e avendo gli assediati recati a partito,
-che le mura erano in puntelli nella maggiore parte,
-e non attendeano altro che d’arrendersi o
-di mettervi entro il fuoco; la gente de’ signori di
-Milano passò Tesino, per andare a soccorrere
-quelli del castello. Il marchese colla sua gente
-francamente si fece loro incontro, e nella prima
-affrontata gli mise in rotta, e fece loro danno ma
-non grande. E tornato colla vittoria, fece vedere
-a quelli del castello le cave e le mura tagliate, e
-<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span>
-il loro soccorso sconfitto: e però, a dì 21 di gennaio
-s’arrenderono al marchese, salve le persone,
-e diedongli il castello fornito d’armadura, e di
-saettamento, e d’ogni bene da vivere maravigliosamente.
-Ed è da notare, non senza ammirazione,
-come la famosa potenza de’ signori di Milano, essendo
-vittoriosi, come avemo contato, in termine
-di due mesi e mezzo non poterono soccorrere il
-castello di Novara; e tutto avvenne per la franca
-e buona sollicitudine del buono marchese. Di questo
-mese, a dì 22, in sull’ora della terza trapassò
-di verso settentrione in meriggio un grande bordone
-di fuoco, e valicato per l’aria alla vista
-de’ nostri occhi, essendo il tempo chiaro e cheto,
-s’udì a modo d’un tuono tremolante avvisato
-dal movimento del grosso vapore. Videsi la state
-singulare e grandissimo caldo, e lungamente secco
-e sereno, e molte terzane nell’arie grosse e
-presso alle fiumare, con seguito di morti oltre
-al consueto modo; altro non ne sapemmo notare
-se da lui procedette.
-</p>
-
-<h3 id="cap48-7">CAP. XLVIII.
-<span class="smaller"><i>Come messer Bernabò volle uccidere messer
-Pandolfo Malatesti.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Pandolfo figliuolo di messer Malatesta
-da Rimini giovane cavaliere, franco e ardito e
-di grande aspetto, era andato per esperimentare
-in arme sua virtù a Milano, fatto capitano di tutta
-la cavalleria di messer Galeazzo Visconti: ed
-era venuto tanto nel piacere del suo signore, che
-<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
-tutto il consiglio e la confidanza di messer Galeazzo
-riposava in messer Pandolfo. Avvenne di
-questo mese di gennaio, essendo messer Galeazzo
-malato di podagre e d’altro, comandò a
-messer Pandolfo che cavalcasse per Milano colla
-sua cavalleria, e messer Pandolfo fece come comandato
-gli fu dal suo signore. Questa cosa parve
-che generasse sdegno a messer Bernabò, ma non
-lo volle dimostrare contro al fratello; ma ivi a
-pochi dì mandò per messer Pandolfo, il quale
-di presente andò a lui e per reverenza gli s’inginocchiò
-davanti. Messer Bernabò, avendo in
-mano una spada dentro alla guaina, il percosse
-con essa senza dirgli la cagione: il giovane sostenne
-alquanto, ma menandogli sopra la testa,
-parò il braccio, e in quella percossa il fodero della
-spada uscì del ferro; e rimase il ferro ignudo
-nelle mani del tiranno, incrudelì forte, e menogli
-un colpo di punta, che l’avrebbe passato dall’uno
-lato all’altro (e fu bene l’intenzione del
-tiranno d’ucciderlo) ma per schifare il colpo, il
-giovane cavaliere si lasciò cadere in terra, e ’l
-colpo andò in vano. Intanto la moglie di messer
-Bernabò, ch’era presente, con gli altri circostanti
-cominciarono a riprenderlo, dicendo, che non
-era suo onore in casa sua colle sue mani volere
-uccidere un gentile uomo. E per questo si
-ritenne, e fecelo prendere e legare, e comandò
-che fosse decapitato. Messer Galeazzo sentendo il
-furore del fratello, mandò a lui prima la moglie,
-e appresso due suoi cavalieri, pregandolo che gli
-rimandasse il suo capitano. Allora disse messer
-Bernabò: Dite al mio frate, che questi ha offeso lui
-<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
-come me, e io gliel rimando, acciocchè ne faccia
-giustizia, e non perdoni a costui la nostra onta.
-Come messer Galeazzo il riebbe, senza alcuno
-arresto in quell’ora il fece accompagnare per le
-sue terre, e rimandollo in suo paese. La cagione
-che messer Bernabò disse palese della sua ingiuria
-fu, che ’l giovane dovea usare con una donna
-colla quale usava egli, e che conobbe a messer
-Pandolfo in dito un suo anello. La cagione segreta,
-a che più si diede fede, fu, perchè gli parea che
-costui facesse troppo montare il suo fratello nella
-consorte signoria. Pochi dì appresso si mostrò di
-ciò un altro segno; che essendo venuti a parole
-due scudieri, l’uno di messer Bernabò, e l’altro
-di messer Galeazzo, e dalle parole a mischia, ove
-fu fedito il famiglio di messer Bernabò, e quello
-di messer Galeazzo rifuggito in casa il suo signore,
-di presente messer Bernabò vi cavalcò in
-persona; e vedendo il fratello alle finestre, gli
-disse, che gli mandasse giù quello scudiere che
-avea fedito il suo. Messer Galeazzo glie le mandò;
-e lo scudiere gli si gettò a’ piedi domandandogli
-misericordia. La misericordia che gli fece fu,
-che negli occhi del fratello il fece tutto stampanare,
-e lasciolli il corpo senza anima così forato
-all’uscio, e tornossi a casa. Avvenne ancora in
-questi dì, che un giovane di buona famiglia di
-Bergamo, essendo richiesto da uno messo per la signoria,
-il prese per la barba, e confessato in giudicio
-il fallo suo, fu condannato in venticinque
-libbre. Sentendolo messer Bernabò, scrisse al potestà
-che gli facesse tagliare la mano. E avendolo
-il potestà preso per seguire il comandamento, i
-<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span>
-buoni cittadini della città comparenti del giovane,
-parendo loro troppa dura cosa questo giudicio,
-operarono tanto con il potestà, che sostenne l’esecuzione
-tanto ch’eglino andassono per avere
-grazia dal signore. Come il tiranno sentì per
-questi ambasciadori ch’al giovane non era tagliata
-la mano, comandò che al giovane le due, e
-al potestà l’una fossono tagliate, e a fare questo
-vi mandò gli esecutori. La potestà sentendo
-il crudele comandamento, col giovane ch’avea
-preso si fuggirono in uno castello ribello
-al tiranno. E non molto di lungi da questi dì
-uno lavoratore uccise con una mazza una lepre,
-che gli occorse per caso tra le mani, e portolla all’oste
-suo, ch’era grande cittadino di Milano, e
-dimestico di messer Bernabò. Vedendola costui
-sformatamente grande e grassa la presentò a
-messer Bernabò; il quale veduta la lepre, si
-maravigliò, e domandò ov’ell’era nudrita: fugli
-detto, ch’ell’era stata presa per lo cotale lavoratore.
-Mandò per lui, e domandollo come
-l’avea presa. Il lavoratore lietamente gli raccontò
-il caso intervenuto. Il tiranno, perchè avea
-comandato che il salvaggiume non si pigliasse
-con alcuno ingegno, fuori che co’ cani o uccelli,
-non avendo compassione alla semplicità del villano,
-nè al caso occorso, incrudelì contro al semplice;
-e mandato per li suoi cani alani, nella sua
-presenza il fece morire e dilacerare a quelli. Le
-crudeltà sono poco degne di memoria, ma alquanto
-ci scusa averne raccontate delle molte alcune,
-per esempio del pericolo che si corre sotto il
-giogo della sfrenata tirannia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap49-7">CAP. XLIX.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi racquistarono Savona.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Simone Boccanegra doge di Genova,
-avendo ripresa la signoria per lo popolo, mandò
-per avere tutte le terre e castella della riviera
-di levante e di ponente e fra terra, e in breve
-tutti feciono i suoi comandamenti, fuori che Savona,
-Ventimiglia, e Monaco; i quali essendo in
-forza de’ Grimaldi, e d’altri gentili uomini di Genova,
-non vollono ubbidire il doge. E però il doge
-commosse il popolo, e per mare e per terra fece
-assediare Savona, e strignerla per modo, che tosto
-venne in soffratta; e quelli che la teneano avendola
-di poco rubellata al Biscione, non erano provveduti
-a potere avere soccorso, e però trattarono
-certi patti, e del mese di febbraio del detto
-anno feciono i comandamenti del doge, e ricevettono
-la sua signoria e del popolo di Genova.
-</p>
-
-<h3 id="cap50-7">CAP. L.
-<span class="smaller"><i>Guerra dal re di Castella a quello d’Araona.</i></span></h3>
-
-<p>
-Pella guerra incominciata, come addietro è
-narrato, tra ’l re di Castella e quello d’Araona,
-il re di Castella essendo apparecchiato con sua
-gente, improvviso al suo avversaro cavalcò sopra
-le terre di quello d’Araona, e danneggiò assai il
-paese, e per forza vinse e prese la città di Saragozza,
-e arse la terra, e ritennesi la rocca, e misevi
-<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span>
-gente alla guardia. Di questo nacque l’abboccamento
-che appresso ne seguitò de’ due re
-con tutto loro sforzo, come seguendo al tempo
-racconteremo. E questo avvenne del mese di febbraio
-del detto anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap51-7">CAP. LI.
-<span class="smaller"><i>Come messer Filippo di Navarra cavalcò
-presso a Parigi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Filippo fratello carnale del re di Navarra,
-ch’era preso dal re di Francia, si mise in
-compagnia del conte di Lancastro, e con molti
-cavalieri e arcieri cavalcarono verso Parigi, scorrendo
-e predando il paese, senza trovare in campo
-alcuno contasto, e accostaronsi presso a Parigi
-a quindici leghe, e di là elesse messer Filippo
-mille cavalieri Franceschi, navarresi e normandi,
-e con essi cavalcò all’uscita di gennaio
-del detto anno infino presso a Parigi a tre leghe,
-ardendo ville casali e manieri in grande quantità,
-e uccidendo e predando bene alla disperata; e
-sì avea in quell’ora in Parigi cinquemila cavalieri
-armati, e non ebbono ardire d’uscire della città,
-tanto erano inviliti. E avendo per questo modo
-danneggiato il paese, e fatto onta e vergogna
-al vilissimo Delfino, raccolta sua preda, con
-tutta sua gente sano e salvo si tornò al conte, e
-di là tutti insieme carichi degli arnesi e de’ beni
-de’ Franceschi, e di loro prigioni si tornarono,
-senza vedere viso di nemico, in loro paese. In
-questi dì il Delfino s’era rimesso nel consiglio e
-<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span>
-nelle mani di certi borgesi, i quali erano stati
-eletti per comune consiglio del popolo di Parigi,
-e avea giurato nelle loro mani di fare pace e
-guerra come per loro si diliberasse. E molti stimarono
-che questa fosse la cagione perchè non
-uscì contro a messer Filippo di Navarra, potendolo
-fare con molta maggiore forza per numero
-di cavalieri che non avea egli.
-</p>
-
-<h3 id="cap52-7">CAP. LII.
-<span class="smaller"><i>Come si cominciò le mulina del comune
-di Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese di marzo, anno 1356 all’entrante,
-diliberò il comune di Firenze di far fare la gran
-pescaia in Arno sopra la città, dalla torre del
-Renaio alla porta di san Niccolò, e ’l canale che prende
-di sopra a san Niccolò infino al Ponte rubaconte
-da san Gregorio, nel quale ordinarono
-e poi fornirono due case a traverso al canale,
-l’una di sopra e l’altra di sotto, catuna con sei
-palmenta per lo comune molto bene edificate, e
-ancora per ordine vi se ne dovea fare quattro
-penzole. Provvide questo il comune per fatti
-delle guerre di fuori, che faceano alcuna volta
-venire di farina la città in gran soffratta, e queste
-vengono nella guardia dentro alle mura della
-città, e spesso hanno d’acqua grande abbondanza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap53-7">CAP. LIII.
-<span class="smaller"><i>Come il reame di Francia ebbe gran divisione.</i></span></h3>
-
-<p>
-Detto abbiamo poco addietro come i borgesi
-di Parigi doveano guidare il Delfino e ’l reame,
-ma il mestiere di tanto fascio non era loro; e
-per la presura del re Giovanni, e per la codardia
-del Delfino suo figliuolo, l’ordine del consueto
-corso del reame era rotto, e’ baroni e’ popoli
-si governavano a loro senno, e’ borgesi di Parigi
-non poteano nè sapeano riparare. Gl’Inghilesi
-tennono con loro trattati d’accordo, e a mano a
-mano gli cavalcavano, facendo loro gran danni;
-e però, credendosi potere meglio riparare, ordinarono
-di comune concordia del reame che la balía
-e ’l consiglio del reggimento in quelle fortune
-fosse di tre prelati, e di tre baroni, e di tre
-borgesi, con piena balía di potere fare pace e
-guerra, e leggi e comandamenti come a loro
-paresse; e convenne che ’l Delfino acconsentisse
-a questo reggimento, e promettesse reggersi
-per loro consiglio. Dall’altra parte tutti quelli
-di Linguadoca feciono loro conducitore il conte
-d’Ormignac, dandoli due altri cavalieri per suo
-consiglio per certo termine, e ’l Delfino convenne
-che glie le confermasse; della qual cosa
-nacque lo sdegno del conte di Fucì, che fu poi
-cagione di gran guerra tra loro, come innanzi si
-potrà trovare. Nel principio di questo nuovo
-reggimento al tutto si mostrarono strani di non
-volere udire trattato di pace, e cominciarono
-<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span>
-a dare ordine d’accogliere danari per fornirsi
-di cavalieri soldati, e parve in questi principii
-dovessono fare gran cose; ma in poco di tempo,
-come catuno ebbe fornite sue spezialità per
-virtù dell’uficio, lasciarono in abbandono il consiglio
-del comune reggimento, e senza ordine
-trascorsono alla figura della ruina dello sviato
-regno. I Piccardi prima avvedendosi di questo,
-presono da loro di reggersi per sè, e non conferire
-nè ubbidire alle colte, nè agli ordini de’ detti uficiali,
-e così feciono molte altre provincie e ville
-del reame; e di questo nacquono poi cose di gravi
-danni di tutto il reame, come seguendo nostra
-materia si potrà trovare.
-</p>
-
-<h3 id="cap54-7">CAP. LIV.
-<span class="smaller"><i>Morte del conte Simone di Chiaramonte
-in Cicilia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo il re Luigi in Messina, vi venne il
-conte Simone di Chiaramonte; e parendogli avere
-fatto al detto re gran cose, perocchè era principale
-cagione d’avergli fatto avere Messina, e l’altre
-terre e castella dell’isola, parendogli dovere
-avere dal re ogni grazia, gli addomandò di volere
-per moglie dama Bianca una delle figliuole
-di don Petro che fu re di Cicilia, e oltre a ciò
-si mostrava in atto e nel suo parlare più superbo
-che altiero. Al re e al suo consiglio non parve
-convenevole la sua domanda, che tant’era come
-dargli il regno, e però entrò in trattato con lui di
-volergli dare la figliuola del duca di Durazzo. E in
-<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span>
-questo stante al conte venne male, che in sette dì
-si trovò morto. Sospetto fu, che ’l consiglio del re
-avesse aoperato nella sua morte, per tema ch’e’ non
-movesse novità grandi nell’isola, come potea,
-non avendo dal re la sua intenzione. Se natural
-fu, assai fu a grado al re e al suo consiglio.
-E questo avvenne di marzo, anno detto 1356.
-</p>
-
-<h3 id="cap55-7">CAP. LV.
-<span class="smaller"><i>Come si liberò il Borgo a Sansepolcro
-da tirannia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Francesco di Nieri da Faggiuola essendo come
-tiranno signore del Borgo a Sansepolcro, e per
-tenere quello avea perdute certe delle sue proprie
-castella, e vedendosi debole in quello reggimento,
-trattò co’ terrazzani d’avere da loro seimila
-fiorini d’oro, e lasciarli in libertà; e avendone
-già avuti tremila, e data la fortezza a guardia
-de’ terrazzani, certi Boccognani, ch’erano in bando
-di Perugia e riparavansi con lui, il ripresono
-di viltà, e dissono che nol dovea fare, ma se avarazia
-di danari il movea, elli gli farebbono dare
-quindicimila fiorini in tre dì al comune di Perugia
-dando loro la terra. Costui stretto dalla cupidigia
-della moneta diè il suo consentimento a que’ Perugini.
-Ed egli avea ancora il titolo della signoria,
-e le masnade de’ forestieri a piè da poter mettere
-i Perugini nella terra, s’e’ borghigiani non
-se ne fossono accorti, ma sentirono il fatto; e senza
-attendere il dì, la notte furono tutti sotto l’arme,
-e per forza trassono Francesco e tutti i soldati
-<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
-del Borgo, e accompagnandoli, gli ebbono
-condotti in sul terreno di Città di Castello. Ivi il
-lasciarono co’ suoi soldati, i quali il ritennono tanto,
-ch’e’ tremila fiorini ch’avea avuto da’ borghigiani
-vennono nelle loro mani; e avuti i danari, e
-de’ suoi arnesi, il lasciarono andare povero
-e mendico, com’egli avea meritato. I borghigiani
-usciti delle mani del tiranno ghibellino si
-riformarono a popolo e a parte guelfa, tenendo
-di fuori tutti i Boccognani ghibellini ch’aveano
-tradita la loro terra, come addietro contammo,
-e’ loro seguaci.
-</p>
-
-<h3 id="cap56-7">CAP. LVI.
-<span class="smaller"><i>Come l’abate di Clugnì succedette
-al cardinale di Spagna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avea, come si può vedere addietro, il cardinale
-di Spagna legato del papa con prospera fortuna
-racquistato a santa Chiesa tolte le terre, ch’erano
-state occupate lungamente a santa Chiesa nel
-Patrimonio, nella Marca, nel Ducato e in Romagna,
-salvo quelle che tenea il signore di Forlì, e
-contro a quelle s’era apparecchiato di vincerle.
-In questo il papa, o che fosse movimento suo o
-de’ cardinali, o fatto a richiesta o a motiva del legato,
-la Chiesa mandò successore a fornire le
-guerre, che restavano, e a mantenere le ragioni di
-santa Chiesa in Italia, per successore del valoroso
-cardinale di Spagna l’abate di Clugnì con piena
-legazione; il quale giunse a Faenza all’entrante
-d’aprile anni 1357. E come l’abate fu
-<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
-giunto, la gente della Chiesa in una cavalcata
-fatta sopra Forlì, alla quale il capitano uscì incontro
-per riscuotere la preda, e’ cadde in un
-aguato ove perdè da cento uomini di suo i più a
-cavallo. E come il nuovo legato fu posato, il legato
-fece venire a Fano tutti i maggiori caporali
-del Patrimonio, e del Ducato, e della Marca e di
-Romagna, e ambasciadori delle comunanze, e
-in quel parlamento il cardinale fece suo sermone,
-commendando coloro ch’avea trovati fedeli e
-leali a santa Chiesa, e ammonì e pregò tutti generalmente
-che dovessono stare in ubbidienza e in
-fede di santa Chiesa, e a servire il nuovo legato
-lealmente come aveano fatto lui, commendando
-largamente in tutte le virtù il suo successore,
-e dicendo come sua intenzione era di voler tornare
-a corte di Roma di presente; e questo fu a dì 27
-d’aprile del detto anno. I savi uomini ch’erano in
-quel parlamento, che conoscevano il pericolo che
-correa il paese ancora in guerra partendosi il legato
-cardinale, ch’avea l’amore di tutti e le cose
-aperte nelle mani, il pregarono di comune consiglio
-che non si dovesse partire del paese insino
-al settembre prossimo: l’abate medesimo
-con ogn’istanza per sua parte e per beneficio di
-santa Chiesa il ne richiese: ond’egli conoscendo
-la necessità, affinchè l’acquisto fatto per lui
-prendesse più fermezza, acconsentì di stare alle
-loro preghiere questo tempo. E quello che principalmente
-più l’indusse, fu l’impresa ch’avea
-ordinata contro all’aspra rubellione del capitano
-di Forlì, che per vantaggio che ’l cardinale gli
-<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span>
-avesse voluto fare, non volea a santa Chiesa restituire
-in pace le città di Forlì e di Cesena.
-</p>
-
-<h3 id="cap57-7">CAP. LVII.
-<span class="smaller"><i>Come il re di Francia fu menato
-in Inghilterra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando nostra materia a’ fatti del re di Francia,
-ch’era in prigione a Bordello in Guascogna, i
-Guasconi, a cui e’ s’era accomandato, non volendo
-acconsentire al re d’Inghilterra di mandarglielo
-nell’isola com’e’ volea, si pensò il re di
-fare per ingegno quello che per sua autorità, senza
-indegnazione de’ Guasconi co’ quali avea vinta
-la sua guerra, nol potea fare. E però fece venire
-i legati al figliuolo in Guascogna, e mandovvi
-i maggiori de’ suoi baroni a trattare la pace colla
-persona del re e co’ legati. E recata la cosa per
-lungo dibattimento a concordia, per dare più fede
-al fatto, fu ordinata e bandita nell’uno reame e
-nell’altro triegua per due anni; e’ patti della
-pace recati in iscritture private, con patto, che
-per fare onore al re d’Inghilterra, e per maggior
-bene della pace, il re dovesse andare nell’isola,
-e con lui i legati di santa Chiesa e tutti
-i baroni ch’erano presi, acciocchè la pace nella
-presenza de’ due re e de’ legati avesse la sua intera
-e piena fermezza. E per questo ingegno, acconsentendo
-i Guasconi alla volontà del re e
-de’ legati, fu il re di Francia e gli altri baroni
-liberati al duca di Guales, i quali con gran compagnia
-di baroni e di cavalieri inghilesi gli condussono
-<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
-in Inghilterra, dove furono ricevuti con
-quella festa e onore ch’al suo tempo innanzi diviseremo:
-e questa partita da Bordello fu fatta
-d’aprile del detto anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap58-7">CAP. LVIII.
-<span class="smaller"><i>Come la gente della Chiesa entrò in Cesena.</i></span></h3>
-
-<p>
-Dappoichè il cardinale legato ebbe preso partito
-di rimanere a fornire la guerra di Romagna,
-come detto è, ordinò la sua gente d’arme a cavallo
-e a piè, e tutti i sudditi richiese d’aiuto; e
-fece pubblicare la sentenza contro al capitano di
-Forlì e contro a chi gli desse aiuto o favore, e
-a dì 24 d’aprile anno detto fece scorrere la sua
-gente intorno a Forlì, e presono Castelvecchio, e
-predarono il paese facendo assai danno, e il capitano
-a questa volta si stette dentro alle mura.
-Avea, come detto è, Francesco Ordelaffi, detto
-capitano, mandato alla guardia di Cesena la valente
-sua donna madonna Cia, figliuola di Vanni
-da Susinana degli Ubaldini, con dugento cavalieri
-e con assai masnadieri, e comandato a tutti
-che l’ubbidissono come la sua persona; e per suo
-consiglio l’avea dato Sgariglino di.... suo intimo
-amico. Questa mantenea la guardia della
-città con grande sollecitudine: ma i cittadini sentendo
-la molta gente d’arme ch’avea il legato,
-e che contro a loro s’apparecchiavano le percosse,
-e non si vedeano potenti alla difesa, quasi in subito
-movimento ordinarono di ricevere nella terra
-di sotto la gente del legato; il quale subitamente
-<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
-vi mandò millecinquecento cavalieri, e
-senza contasto furono messi pe’ terrazzani nelle
-prime cinte delle mura. La donna colla sua forza
-per l’improvviso caso non potè riparare a’ nemici,
-ma ridussesi in quella parte più alta della terra
-che si chiama la murata e nella rocca, all’uscita
-d’aprile predetto, con tutte le sue masnade da
-piè e da cavallo. E presi tre cittadini ch’erano
-stati al trattato, in sulla murata li fece decapitare
-e gittarli di sotto a’ nemici; e con animo ardito
-e franco più che virile prese la difesa del
-minore cerchio e della rocca con sollecita guardia
-di dì e di notte, mostrando di poco temere cosa
-ch’avvenuta le fosse.
-</p>
-
-<h3 id="cap59-7">CAP. LIX.
-<span class="smaller"><i>Come il legato con sua forza andò a Cesena.</i></span></h3>
-
-<p>
-Come il legato ebbe la sua gente in Cesena, di
-presente mandò tutta l’altra sua cavalleria e fanti
-a piè a Cesena per assediare la donna e la sua gente
-nella murata e nella rocca, innanzi ch’ella potesse
-avere altro soccorso, e fece pigliare un monistero
-ch’era in un colle al pari della rocca, e fecevi
-stare gente a cavallo e a piè sì forte, che da
-quella parte la rocca non potesse essere soccorsa,
-e nella terra di sotto provvide d’afforzarsi
-per modo che maggior forza che la sua non gli
-potesse nuocere: e’ soldati del cardinale avendo
-contro a’ patti rubati i terrazzani, avea fatto
-cambiare loro gli animi, per la qual cosa la guardia
-della terra convenia essere grande e forte, e
-<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span>
-in questo per tenerli forniti ebbe il legato somma
-sollecitudine. La valente madonna Cia dalla
-sua parte facea francamente dì e notte buona
-guardia, tenendosi in grande ordine alla difesa.
-</p>
-
-<h3 id="cap60-7">CAP. LX.
-<span class="smaller"><i>Abboccamento e triegua fatta dal re
-di Spagna al re d’Araona.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese d’aprile anno detto, il re di Castella
-avendo oltraggiato in mare e in terra quello
-d’Araona, come abbiamo contato, temendo che
-il re d’Araona non venisse sopra le sue terre colla
-sua oste, s’avacciò, e accolse tra Spagnuoli, e infedeli
-Giannetti, e Mori, cinquemila cavalieri e
-grandissimo popolo, e vennesene in sulle terre
-d’Araona; e pose campo intorno a Samona, la
-quale poco innanzi avea tolta a’ Catalani, e ivi
-attese il re d’Araona affine di combattersi con
-lui. Il re d’Araona avea fatto suo sforzo, e venne
-contro a lui con tremilacinquecento cavalieri catalani,
-e con moltitudine di mugaveri a piè con loro
-dardi, e pose il suo campo assai presso a quello
-degli Spagnuoli; e catuno s’ordinava per venire
-alla battaglia. E perchè il re d’Araona non avesse
-tanta gente a cavallo quanta il re di Spagna,
-non avea minore speranza nella vittoria, perocchè
-avea buoni cavalieri, e tutti d’una lingua, e animosi
-contro gli Spagnuoli, e dove abboccati si
-fossono, non era senza effusione di sangue grande,
-ma, come a Dio piacque, baroni di catuna parte si
-misono in mezzo, e mostrarono a’ signori come
-<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span>
-di lieve cagione non si convenia a’ due re essere
-operatori di tanto male, e presono ordine di trattare
-la pace, e in quello stante feciono fare loro
-due anni di triegua; e del mese di maggio del
-detto anno catuno si tornò addietro con tutta sua
-gente nel suo reame.
-</p>
-
-<h3 id="cap61-7">CAP. LXI.
-<span class="smaller"><i>Come Rezzuolo si diede a’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-I terrazzani del castello di Rezzuolo, dappoichè
-furono liberati dall’assedio del conte Ruberto da
-Battifolle per comandamento del comune di Firenze,
-s’intesono insieme, e recaronsi in guardia
-e ubbidiano male Marco di messer Piero Sacconi,
-perchè si pensava non poterlo tenere. Nondimeno
-vi mandò, gente d’arme per guardare la rocca,
-dando boce che ’l volea dare al comune di Firenze,
-perchè sentiva della volontà de’ terrazzani;
-ma quelli del castello non li vollono ricevere,
-ma feciono loro sindaco con pieno mandato, a darsi
-liberamente e farsi contadini di Firenze, e Marco
-mandò ancora suo procuratore a Firenze colle
-ragioni ch’avea nel castello per darle al comune.
-I Fiorentini presono prima le ragioni di Marco, e
-appresso quelle degli uomini del castello, e questo
-fu fatto a dì 29 d’aprile anno detto. E recato
-Rezzuolo col suo contado a contado di Firenze, e
-aggiunto colla montagna fiorentina con cui confinava,
-e già per questo Marco non si fece amico
-de’ Fiorentini, nè i Fiorentini, di lui.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap62-7">CAP. LXII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani vollono torre Uzzano
-a’ Fiorentini.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Pisani veggendosi privati del porto, e della
-mercatanzia, e de’ mercatanti forestieri, della
-qual cosa seguitava alla loro città mancamento
-delle rendite del comune, e incomportabile danno
-agli artefici e a’ mercatanti, e scandalo e riprensione
-tra’ cittadini, coloro che reggeano lo stato con
-grande astuzia pensavano di trovare modo con loro
-vantaggio, ch’e’ Fiorentini si movessono contro
-a loro in guerra, stimando, se guerra si movesse,
-i cittadini di Pisa, che sono animosi contro
-a’ Fiorentini, dimenticherebbono ogni altra
-cosa di mercatanzia e di loro mestieri; e però
-cominciarono certo trattato in Uzzano di Valdinievole
-per torlo al comune di Firenze, non
-avendo il detto comune per tutta l’ingiuria della
-franchigia tolta a’ loro cittadini voluta rompere
-la pace. Il trattato si scoperse, e Uzzano
-e tutte l’altre terre si rifornirono pe’ Fiorentini
-di migliore guardia, e presesi per consiglio di
-dissimulare l’ingiuria. È oltre a questo usarono
-un altro scalterimento. Il doge di Genova era singulare
-loro amico, e sotto la sua baldanza mandarono
-ambasciadori a Genova, i quali fermarono
-compagnia e lega col doge per un anno,
-e co’ Genovesi, a tenere certe galee in mare per
-non lasciare andare mercatanzia a Talamone,
-ma farla scaricare in Porto pisano; e dierono
-<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
-a intendere a’ Genovesi, che quest’era di volontà
-de’ Fiorentini ch’aveano voglia di tornarsi a
-Pisa, ma non voleano mancare a’ Sanesi per loro
-fatto la promessa del porto di Talamone. E fornita
-la lega, con moltitudine di stromenti la feciono
-bandire, e nel bando dire, che i Fiorentini
-potessono colle persone e colle loro mercatanzie andare,
-stare, e navicare, e mettere e trarre del loro
-porto, e della città e distretto, sani e salvi, e franchi
-e liberi d’ogni dazio, e gabella e dirittura. E
-con questa loro provvisione credettono levare i Fiorentini
-dalla loro impresa di Talamone, ma trovaronsi
-ingannati, come appresso diviseremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap63-7">CAP. LXIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Pisani armarono galee
-per impedire il porto.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Fiorentini sentendo i maliziosi agnati de’ Pisani,
-infinsono, come detto è il fatto d’Uzzano,
-e mandarono ambasciadori a Genova per avvisare
-il consiglio e il popolo di quella città l’inganno
-col quale i Pisani gli aveano indotti a fare
-lega contro al comune di Firenze. Il doge per
-la singolare amistà ch’avea co’ Pisani non lasciò
-avere loro il consiglio, sicchè non poterono
-fare quello perchè andati v’erano, e tornaronsi
-addietro non senza mormorio de’ cittadini che
-’l seppono contro al doge. I Fiorentini conoscendo
-quanto danno tornava a’ Pisani il perdimento
-del porto e della mercatanzia più l’un dì che
-l’altro, aggravarono l’ordine del divieto, e aggiungono,
-<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span>
-che chi consigliasse, o procurasse o trattasse,
-o in segreto o in palese, che a Pisa si tornasse,
-fosse condannato nell’avere e nella persona;
-e mandarono in Proenza a fare armare
-galee per conducere la mercatanzia, e’ mercatanti
-si procacciarono cammino di Fiandra a.
-Vinegia ed a Avignone per terra, non curandosi,
-di maggior costo, e ogni cosa comportavano lietamente,
-acciocchè ’l comune mantenesse l’impresa.
-I Pisani si sforzarono tanto ch’ebbono sei
-galee armate, e più volte cercarono di prendere
-e ardere Talamone; la cosa si rimase in questi
-termini lungamente, tanto, ch’e’ Fiorentini, procurarono
-di ributtarli in mare.
-</p>
-
-<h3 id="cap64-7">CAP. LXIV.
-<span class="smaller"><i>L’aiuto mandò messer Bernabò al capitano
-di Forlì.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il capitano di Forlì, sentendo le masnade del
-legato in Cesena, e posta la bastita alla rocca, e
-racchiusa la moglie e i figliuoli nella murata,
-mandò per soccorso a messer Bernabò signore di
-Milano in cui riposava tutta sua speranza, il quale
-incontanente intese ad apparecchiarli il soccorso.
-Ma perchè scoprire non si volea allora nemico
-di santa Chiesa, trattò col conte di Lando caporale
-della compagnia, e segretamente si convenne con
-lui per li suoi danari; e fece servigio a se del levargli
-a’ nemici, e mandogli in Romagna contro
-al legato, perchè atassono il capitano di Forlì suo
-amico. E innanzi che la compagnia si partisse,
-<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span>
-per dare speranza agli amici, e raffrenare le imprese
-del legato, mandò in sul Modenese duemila
-barbute della sua propria cavalleria, e ivi si stavano
-senza fare guerra, tenendo in sospetto i
-Lombardi e ’l legato. In questo tempo il legato
-si studiava di strignere e forte quelli della murata
-di Cesena, dando loro il dì e la notte gravi
-assalti, e rittivi più trabocchi, gli fracassava
-d’ogni parte; e oltre a ciò, tentava con trattati
-e con spendio d’avere la murata innanzi che
-la compagnia venisse. Di questo nacque, che madonna
-Già avendo alcuno sentore, che senza sua
-saputa l’antico amico del capitano, il quale era
-in sua compagnia, Sgariglino, trattava alcuno accordo
-col legato per salvezza di tutti gli assediati,
-di presente il fece prendere e tagliargli la
-testa, del mese di maggio anno detto. Ella sola
-rimase guidatore della guerra e capitana de’ soldati,
-e il dì e la notte coll’arme indosso difendea
-la murata dagli assalti della gente del legato sì
-virtuosamente, e con così ardito e fiero animo,
-che gli amici e’ nemici fortemente la ridottavano,
-non meno che se la persona del capitano fosse
-presente.
-</p>
-
-<h3 id="cap65-7">CAP. LXV.
-<span class="smaller"><i>Come il conte d’Armignacca da Tolasana per
-gravezze fu cacciato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di maggio, essendo venuto il
-conte d’Armignacca capitano di quelli dei reame
-di Francia di Linguadoca, ed essendo venuto alla
-<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span>
-città di Tolosa, e trattando di fare gravezze per
-accogliere danari per la comune bisogna della
-guerra, il popolo si levò a romore e furore contro
-al conte, dicendo, ch’egli era sturbatore della
-pace, e voleali mettere in disusate gravezze; e corsono
-al palagio ov’egli abitava, e non potendovi
-entrare per forza, l’assediarono, e cominciarono
-ad affocare le porte. E soprastando la difesa, i
-gentili uomini di Tolosana si misono in mezzo,
-e feciono promettere e giurare al conte, che non
-renderebbe mal merito al popolo di Tolosa di
-ciò ch’aveva fatto contro a lui, e che non farebbe
-alcuna gravezza alla villa. E fatti i patti, il
-conte s’assicurò nelle mani de’ gentili uomini:
-e quetato il popolo, sano e salvo il condussono
-in suo paese colla sua gente.
-</p>
-
-<h3 id="cap66-7">CAP. LXVI.
-<span class="smaller"><i>Conta dell’onore fatto al re di Francia
-in Inghilterra.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il duca di Guales e gli altri baroni
-d’Inghilterra condotto il re di Francia, e ’l figliuolo,
-e gli altri baroni presi nella battaglia,
-nell’isola d’Inghilterra, feciono assapere al re
-Adoardo la loro venuta. Il re di presente fece assembrare
-in Londra di tutta l’isola baroni, e cavalieri
-d’arme, e gran borgesi per volere fare
-singulare festa in onore del re di Francia per la
-sua venuta; e fece ch’e’ cavalieri si vestissono
-d’assisa, e li scudieri e’ borgesi, e per piacere
-al loro re catuno si sforzò di comparire orrevole e
-<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span>
-bello; e ordinato fu che tutti andassono incontro
-al re di Francia, e facessongli reverenza, e onore, e
-compagnia, e ’l re Adoardo in persona vestito d’assisa,
-con alquanti de’ suoi più alti baroni, avendo
-ordinata sua caccia a una foresta in sul cammino
-fuori di Londra, si mise là co’ detti suoi baroni;
-e mandato innanzi incontro al re di Francia tutta
-la sopraddetta cavalleria, com’egli s’approssimò
-alla foresta, il re d’Inghilterra uscito dalla
-foresta per traverso s’aggiunse col re di Francia in
-sul cammino, e avvallato il cappuccio, inchinatolo
-con reverenza, gli disse salutandolo: Bel caro
-cugino, voi siate il ben venuto nell’isola d’Inghilterra.
-E ’l re avvallato il suo cappuccio gli rispose,
-che ben foss’egli trovato. E appresso il re d’Inghilterra
-l’invitò alla caccia, ed egli lo merciò dicendo
-che non era tempo: e ’l re disse a lui: Voi potete
-e a caccia e riviera ogni vostro diporto prendere
-nell’isola. Il re di Francia glie ne rendè grazie.
-E detto, addio bel cugino, si ritornò nella
-foresta alla sua caccia, e ’l re di Francia con tutta
-la compagnia degl’Inghilesi con gran festa fu condotto
-nella città di Londra, essendo montato in
-sul maggiore destriere dell’isola spagnuolo adorno
-realmente, e guidato da’ baroni al freno e
-alla sella, con dimostramento di grande onore
-fu guidato per tutte le buone vie della città, ordinate
-e parate a quello reale servigio, acciocchè
-tutti gl’Inghilesi piccoli e grandi, donne e
-fanciulli il potessono vedere. E con questa solennità
-fu condotto fuori della terra all’abitazione
-reale; e ivi apparecchiata la desinea con magnifico
-paramento d’oro, e d’arnesi, e di argento,
-<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span>
-e di nobili vivande, fu ricevuto e servito alla
-mensa realmente, e tutti gli altri baroni, e il figliuolo
-del re, ch’erano prigioni, furono onorati
-conseguentemente in questa giornata, che fu a dì
-24 di maggio del detto anno. Per questa singolare
-allegrezza e festa si diede più piena fede che
-la pace fosse ferma e fatta; ma chi vuole riguardare
-la verità del fatto, conoscerà in questo processo
-accresciuta la miseria dell’uno re e esaltata
-la pompa dell’altro, e quello che si nascose
-nella simulata festa si manifestò appresso ne’ fatti
-che ne seguirono, come seguendo, ne’ tempi
-racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap67-7">CAP. LXVII.
-<span class="smaller"><i>Trattato tenuto per li Fiorentini in accordare
-il capitano di Forlì con il legato.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questi medesimi dì, vedendo i Fiorentini
-la durezza del capitano di Forlì, e temendo che
-l’avvenimento della compagnia e d’altra nuova
-gente d’arme in Romagna non rimbalzasse in
-loro dannaggio, mandarono ambasciadori allegato,
-i quali voleano essere mezzani a trovare
-accordo e pace intra lui e ’l capitano di Forlì; e
-intesisi col legato, il trovarono grazioso per amore
-de’ Fiorentini alla concordia, e con buona
-speranza andarono al capitano di Forlì, il quale
-li ricevette onorevolmente; e udita l’ambasciata,
-ringraziò gli ambasciadori, e disse ch’era
-contento d’avere pace col legato e con santa
-Chiesa, rimanendo egli signore di Forlì, e di
-<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span>
-Cesena, e di tutte le terre che tenea, volendole
-riconoscere da santa Chiesa, e per omaggio pagare
-ogni anno quel censo alla Chiesa che fosse
-convenevole; per altro modo non voleva che se
-ne parlasse, e a questo era fermo; e per questo
-modo si tornarono a Firenze senza frutto alcuno.
-</p>
-
-<h3 id="cap68-7">CAP. LXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il legato ebbe la murata di Cesena.</i></span></h3>
-
-<p>
-Trapassate le parole del trattato, il legato,
-ch’avea l’animo sollecito a vincere sua punga,
-innanzi che ’l soccorso giugnesse a’ nemici, a
-dì 28 di maggio anno detto, ordinata sua gente
-e molti dificii da combattere la murata, fece
-d’ogni parte cominciare la battaglia aspra e forte,
-e avendo provveduto alcuna parte del muro
-si poteva per cave abbattere, il fece rovinare,
-e que’ dentro subitamente ripararono con steccati;
-e aggravando la battaglia d’ogni parte, rinfrescandosi
-spesso per quelli di fuori nuovi combattitori,
-e dove il muro era caduto, quivi senza
-arresto si continova va sì aspra battaglia, che quelli
-ch’erano alla difesa, per lo soperchio affanno
-di loro corpi, senza potere avere rinfrescamento,
-conobbono di non potere sostenere, e l’altre parti
-erano ancora sì strette da’ combattitori che non
-poteano soccorrere alle più deboli parti; e vedendosi
-non potere più resistere, benchè assai
-avessono morti e fediti e magagnati de’ loro
-avversari, diedono segno tra loro, e abbandonarono
-la murata, e ridussonsi nella rocca, e la
-<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span>
-gente del legato di presente vittoriosamente la
-si prese. Madonna Cia avendo fatto maravigliosamente
-d’arme e di capitaneria alla difesa, si
-ridusse con quattrocento tra cavalieri e masnadieri
-nella rocca, acconci a’ comandamenti della
-donna per singulare amore infino alla morte.
-</p>
-
-<h3 id="cap69-7">CAP. LXIX.
-<span class="smaller"><i>De’ fatti di madonna Cia donna
-del capitano di Forlì.</i></span></h3>
-
-<p>
-Racchiusa madonna Cia nella rocca con Sinibaldo
-suo giovane figliuolo, e con due suoi nipoti
-piccoli fanciulli, e con una fanciulla grande da
-marito, e con due figliuole di Gentile da Mogliano
-e cinque damigelle, ed essendo cinta stretta d’assedio,
-e combattuta da otto dificii che continovo gittavano
-dentro maravigliose pietre, non avendo
-sentimento d’alcuno soccorso, e sapendo che
-le mura della rocca e delle torri di quella per li
-nemici si cavavano, maravigliosamente si teneva,
-atando e confortando i suoi alla difesa. E
-stando in questa durezza, Vanni da Susinana degli
-Ubaldini suo padre, conoscendo il pericolo
-a che la donna si conducea, andò al legato, e
-impetrò grazia d’andare a parlare colla figliuola,
-per farla arrendere al legato con salvezza di lei
-e della sua gente. E venuto a lei, essendo padre, e
-uomo di grande autorità, e maestro di guerra, le
-disse: Cara figliuola, tu dei credere ch’io non
-sono venuto qui per ingannarti, nè per tradirti
-del tuo onore. Io conosco e veggo, che tu e la
-<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span>
-tua compagnia siete agli stremi d’irremediabile
-pericolo, e non ci conosco alcuno rimedio, altro
-che di trarre vantaggio di te e della tua compagnia,
-e di rendere la rocca al legato. E sopra ciò
-l’assegnò molte ragioni perch’ella il dovea fare,
-mostrando, ch’al più valente capitano del mondo
-non sarebbe vergogna trovandosi in così fatto
-caso. La donna rispose al padre, dicendo: Padre
-mio, quando voi mi deste al mio signore, mi
-comandaste, che sopra tutte le cose io gli fossi
-ubbidiente, e così ho fatto infino a qui, e intendo
-di fare infino alla morte. Egli m’accomandò,
-questa terra, e disse, che per niuna cagione io
-l’abbandonassi, o ne facessi alcuna cosa senza la
-sua presenza, o d’alcuno segreto seguo che m’ha
-dato. La morte, e ogni altra cosa curo poco, ov’io
-ubbidisca a’ suoi comandamenti. L’autorità del
-padre, le minacce degl’imminenti pericoli, nè altri
-manifesti esempli di cotanto uomo poterono
-smuovere la fermezza della donna: e preso comiato
-dal padre, intese con sollicitudine a provvedere
-la difesa e la guardia di quella rocca che
-rimasa l’era a guardare, non senza ammirazione
-del padre, e di chi udì la fortezza virile dell’animo
-di quella donna. Io penso, che se questo fosse
-avvenuto al tempo de’ Romani, i grandi autori
-non l’avrebbono lasciata senza onore di chiara
-fama, tra l’altre che raccontano degne di singulari
-lode per la loro costanza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap70-7">CAP. LXX.
-<span class="smaller"><i>Novità fatte in Ravenna.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo venuta in Ravenna la novella, come
-la gente del legato aveano per forza vinta la murata
-di Cesena, il signore di Ravenna, ch’allora
-era all’ubbidienza del legato, comandò che i cittadini
-ne facessono festa di fuoco e di luminaria. E
-però domenica, a dì 28 di maggio, i cittadini si
-radunarono insieme per le contrade e per le piazze,
-e festeggiavano: e nelle loro radunanze cominciarono
-a mormorare contro a messer Bernardino
-da Polenta loro signore per le gravezze
-che faceva, perocchè in breve tempo avea fatto
-pagare dell’estimo loro in tre paghe libbre sette
-soldi dieci per libbra, onde generalmente i cittadini
-erano mal contenti. E cominciato il bollore negli
-animi, riscaldato col fuoco della festa, e facendosi alcuno
-caporale, cominciò a gridare: Viva il
-popolo, e muoia l’estimo, e le gabelle. E crescendo
-la boce, e multiplicando la gente al romore,
-il popolo corse all’arme, e cominciossi a riducere
-in sulla piazza, e multiplicare le grida. Il signore
-sentendo le grida mandò là due suoi famigli,
-l’uno appresso l’altro, i quali giunti alla
-piazza furono morti dal popolo. Il tiranno sentendo
-procedere la cosa da mala parte s’armò con
-sua famiglia, e montato a cavallo corse alla piazza.
-Il popolo si rivolse coll’arme contro a lui per modo,
-che per campare la persona si ritornò nel
-castello; e accolto maggiore aiuto, da capo tornò
-<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span>
-alla piazza per modo di volere acquetare il popolo:
-ma crescendo più il furore, fu costretto per altra
-via ritornare a una postierla del castello; ma
-i vili servi di quello popolazzo, avendo la libertà
-nelle proprie mani, non la seppono per propria
-pigrizia seguitare, che al tutto erano signori. E però,
-come si venne facendo notte, senza ordine e
-senza capo cominciarono ad abbandonare la piazza,
-e tornarsi a casa, come si tornassono da uno
-giuoco, e pochi furono quelli che vi rimasono,
-e male provveduti. Per la qual cosa nella mezza
-notte uno fratello bastardo del signore con venticinque
-masnadieri sì fedì di subito in quel popolo
-stordito, e il signore con pochi a cavallo stava
-alla porta del castello per riscuotere i suoi; ma
-i vili popolari, essendo ancora in grande numero,
-senza fare resistenza si lasciarono percuotere, e
-uccidere, e cacciare da que’ pochi assalitori, e abbandonata
-la piazza, si tornarono a casa. La mattina
-vegnente il signore mandò per certi cittadini,
-i quali come usciti d’ebrietà, e assicurati v’andarono;
-e avendo i primi, mandò per anche, e
-raunonne in sua forza, centoventi e più, i quali
-messi in prigione corse la terra; e appresso per
-diversi modi gran parte ne fece morire, e degli
-altri fece danari. E da indi innanzi fu più fortemente
-dal suo popolo ubbidito, temuto, e ridottato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap71-7">CAP. LXXI.
-<span class="smaller"><i>Novità di Grecia, e presura di loro signori.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo medesimo tempo, Orcam grande signore
-de’ Turchi, avea lasciato in Gallipoli un suo
-figliuolo primogenito per guardare le terre dell’imperio
-di Costantinopoli, ch’egli avea acquistate
-quando furono i grandi tremuoti nel paese.
-Il giovane prendendo vaghezza di vedere pescare,
-follemente si mise in una barca, e valicando legni
-armati di Greci, presono la barca; e conosciuto
-il figliuolo d’Orcam, il condussono a Foglia
-vecchia, una terra che l’imperadore avea
-data a un suo barone, e ’l figliuolo l’avea tolta al
-padre; capitando questi Greci a lui, e sapendo cui
-eglino aveano preso, il ritenne a se, e a’ marinai
-diede cinquemila perperi. L’imperadore volle il
-prigione, e non lo potè avere. E però prese accordo
-col Cerabì, uno de’ signori de’ Turchi, che ’l
-verno appresso venisse per terra con sua forza
-ad assediare la città di Foglia, ed egli vi verrebbe
-per mare, con patto, che racquistata la terra
-l’imperadore farebbe rendere a Orcam il suo figliuolo
-che ivi era preso. Il Cerabì vi venne con
-grande oste, e l’imperadore con sei galee e con
-assai legni armati. E stati lungamente all’assedio,
-e non potendo vincere la terra, l’imperadore
-per consiglio di messer Francesco di.... di
-Genova suo cognato, a cui egli avea dato in dota
-l’isola di Metelino, stando l’imperadore in un’isoletta
-che fa porto a Foglia, invitò il Cerabì
-<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span>
-ed egli fidandosi dell’imperadore andò a lui; e
-trovandosi tradito, innanzi che altra novità gli fosse
-fatta, disse all’imperadore: Io so ch’io sono
-prigione, ma tu non fai quello che fare ti
-credi se tu non seguiti il mio consiglio. Se questo
-s’intende tra’ miei Turchi, uno mio fratello
-prenderà la signoria, e sarà contento ch’io sia
-prigione, e troppo più ch’io fossi morto; ed io
-so che tu hai bisogno di moneta, e per questo
-modo non avresti mai una dobla. Ma fa’ com’io
-ti dirò, e arai la tua intenzione. Fa’ palese
-ch’io abbi tolta la tua sirocchia per moglie, e
-facciamo di ciò festa; e io manderò per lo mio
-fratello e per otto miei grandi baroni, i quali
-si sforzeranno di venire alla festa per farmi
-onore, e come ci saranno, terrai loro tanto ch’io
-ti mandi i danari di che saremo in accordo. E
-fatta la convegna della moneta, l’imperadore
-conoscendo ch’e’ diceva il vero, fece come il
-Cerabì il consigliò, ed ebbe di presente gli stadichi
-venuti sotto il titolo della festa del parentado,
-e lasciato il Cerabì, come fu nelle terre
-della sua signoria di presente mandò la moneta
-promessa, e liberò il fratello e’ suoi baroni
-dall’imperadore, e per savio provvedimento liberò
-se dal fortunevole caso di perdere la sua signoria,
-e per lo poco senno della sua confidanza,
-aggravando però nondimeno la vergogna dell’infedele
-imperadore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap72-7">CAP. LXXII.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi assediò Catania in Cicilia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo il re Luigi a Messina, per attrarre a
-sè gli animi de’ paesani, diede loro intendimento
-di dimorare nell’isola sei anni, e di tenervi
-la corte di tutto il Regno; e per dimostrare, coll’opera
-quello che promettea colla bocca, richiese
-i baroni del Regno per volere assediare il figliuolo
-di don Petro, ch’era in Catania, per
-riducere tutta l’isola in sua signoria, e prenderne
-la corona. I baroni furono ubbidienti per
-modo, che del mese di maggio detto col debito
-servigio de’ suoi baroni si trovò nell’isola millecinquecento
-cavalieri, e commise la bisogna a
-messer Niccola Acciaiuoli di Firenze suo grande
-siniscalco; il quale co’ cavalieri e col popolo cavalcò
-a Catania e misesi ad assedio, strignendola
-fortemente per modo, che senza gran forze non
-potevano gli assediati per terra avere entrata o
-uscita d’alcuna gente, e per mare fece stare nel
-porto quattro galee armate e due legni le quali
-assediavano la città per mare, e nondimeno recavano
-ogni dì rinfrescamento all’oste, perocchè,
-per, terra non v’era modo d’andarvi la vittuaglia
-per lo cammino ch’era lungo, e’ passi
-malagevoli e stretti. Nella terra avea centocinquanta
-cavalieri catalani di buona gente d’arme,
-i quali bene apparecchiati si stavano nella
-città senza fare alcuna vista o sentore a’ loro nemici
-di fuori. La gente del re Luigi non trovando
-<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span>
-contasto, baldanzosamente cavalcavano il paese,
-e mantenevano loro assedio.
-</p>
-
-<h3 id="cap73-7">CAP. LXXIII.
-<span class="smaller"><i>Della materia medesima.</i></span></h3>
-
-<p>
-Stando l’assedio di Catania in questo modo,
-occorse per caso non provveduto che due galee
-di Catalani ch’andavano in corso arrivarono a
-Saragozza in Cicilia, e sentendo ivi come quattro
-galee e due legni del re Luigi erano nel porto
-di Catania, come valenti uomini, e grandi
-maestri de’ baratti del mare, innanzi che lingua
-venisse di loro a quelli dell’oste, di subito feciono
-armare due legni ch’erano in quel porto, e fornirli
-di trombe, e di trombette, e nacchere e altri
-stromenti più che di gente da combattere, e fatta
-la notte si mossono, e improvviso con gran baldanza
-le due galee de’ Catalani, lasciatosi dietro
-i due legni che facessono gran rumore e grande
-stormeggiata, entrarono nel porto, e con molto
-romore cominciarono ad assalire le galee del re:
-le due ch’erano del Regno, temendo del romore
-di fuori che non fossono assai galee, senza intendere
-alla difesa uscirono del porto, e andaronsene
-a Messina, e l’altre due ch’erano genovesi
-stettono alla difesa; ma perocch’e’ non
-erano provveduti nel subito assalto furono vinte,
-e presi le galee e’ legni; e questo fu la notte
-della Pentecoste, a dì 29 di maggio del detto
-anno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap74-7">CAP. LXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come l’oste del re Luigi si levò da Catania
-in isconfitta.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’oste del re Luigi più baldanzosa che provveduta,
-sentendo prese le due galee e’ legni, e
-l’altre fuggite, per le quali veniva loro il fornimento
-della vittuaglia, ed essendo di lungi da
-Messina quaranta miglia per terra, e i passi stretti
-in forza de’ nemici, sbigottirono forte, e conobbono
-che se’ soprastessono quivi tanto che i
-nemici mandassono gente a’ passi elli erano senza
-rimedio tutti perduti; e vivanda non aveano
-da mantenere il campo, tanto che il re li potesse
-soccorrere, e però diliberarono d’abbandonare il
-campo e gli arnesi, e di campare le persone; e
-a dì 30 del detto mese si misono a cammino
-senza ardere il campo, a fine di non essere da’ cavalieri
-incalciati. I centocinquanta cavalieri
-catalani di presente uscirono fuori, e avvrebbono
-avuto de’ nemici ogni derrata, ma la cupidigia
-della preda del campo li ritenne alquanto.
-I nemici che fuggivano avanzavano loro cammino
-per quella via ond’erano venuti, nondimeno
-i Catalani li danneggiarono alquanto alla
-codazza. Ma quello che peggio fece loro furono
-i villani ridotti a’ passi colle pietre, ch’altr’arme
-non aveano. In questa caccia fu morto il figliuolo
-del conte di Sinopoli, che per l’antichità
-del padre si dicea conte, e preso il conte camarlingo,
-e morti da quaranta a cavallo e assai di
-<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span>
-quelli da piè. Il gran siniscalco campò per lunga
-fuga sopra di un buono destriere, perduto grande
-tesoro di suoi gioielli e arnesi, e così tutti gli
-altri baroni e cavalieri, che molto v’erano pomposi.
-E nota, come un’oste reale di più di millecinquecento
-cavalieri e gran popolo, con quattro
-galee in mare e due legni armati, per troppa
-baldanza, e mala provvedenza intorno alle
-cose che si richieggono a un’oste, dal provveduto
-scalterimento di due corsali con due galee furono
-sconfitti e rotti, abbandonando il campo
-a’ nemici vituperevolmente.
-</p>
-
-<h3 id="cap75-7">CAP. LXXV.
-<span class="smaller"><i>Come la compagnia venne sul Bolognese.</i></span></h3>
-
-<p>
-La compagnia del conte di Lando mossa di
-Lombardia co’ danari di messer Bernabò Visconti
-e con quelli del capitano di Forlì, per venire
-al soccorso di Cesena, a dì 18 di giugno del detto
-anno venne in sul Bolognese con licenza del
-signore di Bologna, senza far danno al paese di
-ruberie o di prede, ma prendeano derrata per
-danaio, e accampati al Borgo a Panicale, intendeano
-più a’ loro propri fatti che ad andare a soccorrere
-la rocca di Cesena, perocchè vi sentivano
-il legato forte da non potere vincere la punga; e
-stando quivi, accrescevano la loro brigata, che
-secondo l’usanza d’ogni parte vi veniano uomini
-d’arme a mettersi in quella per vaghezza della
-preda, e non di trovare nemici in campo, che
-quasi tutti i soldati d’Italia v’aveano parte; e
-<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span>
-stando coperti di loro movimenti, feceano paura
-a tutti i popoli di Toscana e dell’altre provincie
-circustanti, e attraevano a loro ambasciadori da
-quelli per prendere accordo; e così sospesi usavano
-la loro mercatanzia molto sagacemente. E
-bench’e’ tiranni e’ popoli d’Italia avessono la
-compagnia in odio, tant’era la divisione delle
-parti e la gelosia de’ popoli contro a’ tiranni, che
-catuno volea piuttosto ubbidire al servigio della
-compagnia co’ suoi danari che contastare con
-quella, e però ora era condotta per l’uno ora
-per l’altro, rimanendo continovo l’ordine della
-compagnia. E in questi dì era già durata più di
-quindici anni questa tempesta in Italia.
-</p>
-
-<h3 id="cap76-7">CAP. LXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come il comune di Firenze afforzò lo Stale.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Fiorentini vedendo che la compagnia era in
-parte che in un dì potea valicare l’alpe ed entrare
-nel Mugello, per certa piaggia dell’alpe assai
-aperta che si chiama la via dello Stale, richiesono
-gli Ubaldini, i quali s’impromisono d’essere
-co’ Fiorentini alla guardia del passo; il comune
-vi mandò di presente tremila balestrieri, e bene
-altrettanti fanti e ottocento cavalieri, e gli Ubaldini
-vi vennono con millecinquecento fanti di
-loro fedeli, e diedono il mercato abbondantemente
-a tutta l’oste, e co’ capitani insieme
-de’ Fiorentini feciono fare una tagliata che comprendea
-i passi di quello Stale per spazio d’un
-miglio e mezzo tra’ due poggi, e sopra la tagliata
-<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span>
-feciono barre di grandi e grossi faggi a modo di
-steccato, e vi feciono loro abitazioni, e stettonvi
-alla guardia de’ passi mentre che la compagnia dimorò
-sul Bolognese, desiderando ch’ella si mettesse
-nell’alpe per volere passare, com’erano le loro
-minacce, ma sentendo la provvisione de’ Fiorentini,
-conceputo maggiore sdegno tennono altro
-cammino.
-</p>
-
-<h3 id="cap77-7">CAP. LXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come s’arrendè la rocca di Cesena al legato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sentendo il legato la compagnia soggiornare
-in sul Bolognese, abbandonato ogni altra cosa,
-con sommo studio si diè a volere vincere la rocca
-di Cesena, facendola cavare per abbattere le
-mura e le torri, e traboccarvi dentro grandi
-pietre con otto trabocchi, e oltre a ciò spesso la
-faceva assaggiare di battaglia; ma tanto era la severità
-di madonna Cia, e la sua sollecitudine di dì
-e di notte alla difesa, che per cosa che si facesse
-quell’animo non si cambiava; e già essendo per
-le cave caduto parte delle mura e l’una delle
-torri, la donna in persona facea riparare con
-isteccati e con fossi, oltre alla considerazione
-de’ più fieri e de’ più valenti uomini del mondo,
-non dimostrando alcuna paura. Ma i valenti conestabili
-ch’erano con lei, sapendo che la mastra
-torre della rocca si mettea in puntelli, e vedendo
-la pertinace costanza della donna, ebbono
-madonna Cia a consiglio, e dissono: Madonna, e’
-si può sapere e conoscere manifestamente che
-per voi è mantenuta la difesa della murata e
-<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span>
-della rocca infino agli ultimi stremi, e di noi
-avete potuto conoscere intera e pura fede, mentre
-che alcuna speranza s’è per voi e per noi potuta
-conoscere, ma ora non ne resta via da potere
-campare la sepultura de’ nostri corpi sotto la
-ruina di questa rocca. E perocchè questo non dobbiamo
-comportare per alcuna ragione, siamo disposti,
-o di vostra volontà, o contro al vostro volere,
-rendere la rocca per salvare le nostre persone.
-La valente donna per questo non cambiò
-faccia, nè perdè di sua virtù, e conobbe ch’e’ soldati
-aveano ragione di così fare, e però disse a’
-conestabili: Io voglio che lasciate fare a me questo
-accordo; e i conestabili conoscendo il grande
-animo della donna, dissono che di ciò erano
-contenti; e mandato al legato, e avuti da lui
-uditori con pieno mandato secondo la sua volontà,
-trattò che tutti i conestabili colle loro masnade,
-e tutti gli altri soldati fossono franchi e
-liberi, e potessonne portare ciò che volessono in
-su’ loro colli: ed ella rimanesse prigione del legato
-col figliuolo, e con una sua figliuola, e con due suoi
-nipoti madornali e uno bastardo, e con due figliuole
-di Gentile da Mogliano, e cinque sue damigelle.
-Per sè e per la sua famiglia non cercò grazia, potendo
-salvare i soldati che lealmente l’aveano
-atata. E fatti e fermi i patti, a dì 21 di giugno
-gli anni domini 1357 rendè la rocca al legato,
-e fu signore di tutto con gran gloria della sua
-punga, ma non con mancamento di chiara fama
-del forte animo di quella donna: la quale per alcuno
-caso avverso, per alcuna intollerabile fatica,
-mentre ch’era in sua libertà, mai non cambiò
-<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span>
-faccia, o mancò di consiglio o d’ardire. E menata
-in prigione dov’era il legato nel castello d’Ancona,
-così contenne il suo animo non vinto e non
-corrotto, e in aspetto continente come se la vittoria
-fosse stata sua. E il legato maravigliandosi
-della costanza di questa donna, benchè la ritenesse
-prigione a fine di piuttosto domare l’alterezza
-del capitano, assai la fece stare onestamente,
-e bene servire.
-</p>
-
-<h3 id="cap78-7">CAP. LXXVIII.
-<span class="smaller"><i>De’ fatti di Costantinopoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-L’imperadore di Costantinopoli avendo perduta
-la speranza di vincere la città di Foglia vecchia,
-mutò consiglio, e trattò con quello Greco
-che la tenea, e confermogliele in feudo, e aggiunseli
-alla baronia, e diegli sessantamila perperi; e
-la primavera vegnente ebbe da lui il figliuolo
-d’Orcam signore de’ Turchi, il quale egli avea
-prigione, come addietro abbiamo contato. E per
-costui l’imperadore riebbe tutte le terre che
-Orcam gli avea tolte, e oltre a ciò molti danari,
-e stadichi per mantenere la pace che feciono insieme
-quando gli rendè il figliuolo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap79-7">CAP. LXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come il legato prese Castelnuovo
-e Brettinoro.</i></span></h3>
-
-<p>
-Vinta la punga di Cesena, i cavalieri del legato
-baldanzosi per la vittoria di subito cavalcarono
-a Castelnuovo di Cesena, e trovandolo male provveduto
-alla difesa, vi s’entrarono dentro. E appresso
-si dirizzarono al nobile castello di Brettinoro,
-il quale era fornito di suoi terrazzani, e
-d’assai soldati a cavallo e a piè, e di molta vittuaglia,
-sicchè poco se ne potea sperare o per
-forza o per assedio. Nondimeno la gente del legato
-vi s’accampò intorno: e poco stante vi si
-cominciò un badalucco tra quelli della terra e la
-gente della Chiesa, della quale messer Galeotto
-Malatesta era capitano; il badalucco durò molto,
-e per questo s’ingrossò da ogni parte, e per lo
-soperchio della gente della Chiesa, quella del castello
-fu rotta. Messer Galeotto, ch’era in ordine
-co’ suoi cavalieri, perseguitò quelli che fuggivano
-verso la terra, e mescolossi con loro per modo,
-che giunti alle porte, entrarono con quelli del
-castello insieme, combattendo continovamente; e
-avendo seguito presso de’ loro cavalieri e masnadieri,
-presono la porta e le guardie di quella, per la
-qual cosa la loro gente vi s’ingrossò di subito, e
-venne bene a bisogno, perocchè tutti i terrazzani
-e’ soldati che v’erano francamente li combatteano,
-e colle pietre delle case per difendere la terra. Ma
-il soperchio che vince ogni cosa, dopo la lunga
-<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span>
-e aspra battaglia, essendo multiplicata la gente
-della Chiesa, e molti morti dall’una parte e
-dall’altra, i terrazzani e i loro soldati furono
-costretti a fuggire nella rocca; e la gente del legato
-presa la terra e rubata, la tennero vittoriosamente,
-essendo tenuta grande maraviglia per
-la fortezza del castello. Alcuni dissono, che tra’
-terrazzani ebbe divisione, che se fossono stati
-interi alla difesa non si potea perdere. E questo
-fu l’ultimo dì di giugno detto. Presa la terra, il
-legato mandò di presente molti dificii a tormentare
-la rocca, e cavatori per cavare e abbattere le
-mura, com’altra volta avea fatto il capitano; ma
-avea molto rafforzati i fondamenti con gran pietre,
-e molte stanghe e cinghie di ferro, ma poco
-valse, che in assai breve tempo quelli della terra
-feciono i comandamenti del legato, come appresso
-racconteremo.
-</p>
-
-<h3 id="cap80-7">CAP. LXXX.
-<span class="smaller"><i>Di processi fatti contro la compagnia
-per lo legato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo a questi dì la compagnia tentato di volere
-entrare in Toscana, e trovati tutti i passi dell’alpe
-occupati e in guardia de’ Fiorentini, e il più
-largo dello Stale afforzato da non mettersi a prova,
-con molto sdegno contro al comune di Firenze
-valicarono in Romagna, e a dì 6 di luglio furono
-a Villafranca a tre miglia di Forlì con quattromila
-cavalieri, i più bene armati e bene montati,
-e milleseicento masnadieri e balestrieri, e grandissimo
-<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span>
-numero di ribaldi e di femmine al comune
-servigio, seguitando la carogna della compagnia,
-e ivi a pochi dì si misono al ponte a Ronto
-e posono il campo e afforzarlo. Il legato vedendosi
-la compagnia presso, ristrinse tutta la sua gente
-in Cesena e in Brettinoro, senza mettersi a campo
-o fare assalto contro a loro. E per avere aiuto da’
-fedeli di santa Chiesa, fece sopra la compagnia il
-processo ch’avea fatto sopra il capitano di Forlì
-come suoi fautori, e pronunziolli incorsi in quella
-medesima sentenza; e fece in Italia bandire
-la croce sopra loro con maggiore istanza, e con
-maggior mercato dell’indulgenza, e con minore
-termine del servigio che dato avea contro
-al capitano, e mandò di nuovo i predicatori e
-gli accattatori a sommuovere i popoli, e fece grande
-commozione, e raunò tesoro e gente assai,
-come al debito tempo racconteremo,
-</p>
-
-<h3 id="cap81-7">CAP. LXXXI.
-<span class="smaller"><i>Della gravezza facea il tiranno a’ Bolognesi.</i></span></h3>
-
-<p>
-Quando la compagnia fu valicata in Romagna,
-i duemila cavalieri che messer Bernabò tenea
-sul Modenese, e appresso a Sassuolo in su quello
-di Bologna, senza fare alcuna novità di guerra
-pur facea stare i collegati in sospetto, e anche il
-legato, e però i Lombardi della lega accolsono
-gente, e ’l tiranno bolognese fece a’ suoi Bolognesi,
-per avere danari, sconvenevoli gravezze
-sopra l’usate. Perocchè ogni mese volea da catuno
-de’ suoi sudditi soldi cinque di bolognini per
-<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span>
-bocca di sale, e soldi quattro per macinatura
-la corba del grano, oltre all’usata mulenda,
-e per ogni tornatura di terra soldi venti di bolognini
-l’anno sopra l’altre gabelle delle porti, e
-del vino, e dell’altre cose ch’entravano con
-some e con carra, che tutte erano gabellate, e
-per questo modo traeva loro delle coste e de’ fianchi
-libbre seicentomila di bolognini l’anno. E
-oltre a ciò, avendo tolto loro l’arme, in questo
-tempo mandò bando, che chiunque l’amava
-andasse nell’oste. Il popolo sottoposto al duro
-giogo, per ubbidire il tiranno, si mosse con
-bastoni e con lanciotti in mano, ch’altr’arme
-non avea, e andò dove fu il comandamento del
-tiranno, e nel campo stette due dì senza mercato
-di vittuaglia a grande stretta di loro vita, e
-non osò fiatare. La gente della lega era uscita
-fuori, e ingrossatasi, per contastare la cavalleria
-di messer Bernabò, che si stava a Sassuolo, avvenne,
-a dì 21 di luglio del detto anno, che trovandosi
-insieme parte dell’una gente e dell’altra
-per scontrazzo, si combatterono tra loro, e
-furono rotti quelli di messer Bernabò; gli altri
-suoi cavalieri, sentendo quella rotta, si partirono,
-e tornarsi sani e salvi a Milano. Dappoichè furono
-partiti si scoperse un trattato, che dovea
-essere data loro la porta del castello di Bologna,
-e furono presi i traditori, e giustiziati.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap82-7">CAP. LXXXII.
-<span class="smaller"><i>Come i Veneziani domandarono pace al re
-d’Ungheria.</i></span></h3>
-
-<p>
-I Veneziani vedendo che il re d’Ungheria
-gli guerreggiava in Trevigiana, e in Ischiavonia
-e in Dalmazia con grave guerra, e ch’egli avea
-preso ordine da poterla senza spesa e senza pericolo
-della moltitudine degli Ungheri, usati di
-generare confusione, continuare, conobbono che a
-loro era cosa incomportabile; e però elessono
-solenni ambasciadori, e mandarli al re per addomandare
-pace, volendosi ritenere Giadra, e
-renderli l’altre terre della Schiavonia, e darli
-per tempi danari assai per l’ammenda; e fra
-l’altre terre che dare gli voleano, nominarono
-Trau e Spalatro. I cittadini di quelle terre sentendo
-ch’e’ Veneziani gli voleano dare al re
-d’Ungheria per loro vantaggio, si accolsono insieme,
-e presono per consiglio di volere accattare
-la benivolenza del re, e non attendere ch’e’ Veneziani
-ne volessono fare loro mercatanzia; e però
-liberamente si diedono al re, e ricevettono la sua
-gente e’ suoi vicari con grado in pace, e’ rettori
-e la gente che v’era pe’ Veneziani rimandarono
-a Vinegia sani e salvi, e il re con gli ambasciadori
-non volle accordo se non riavesse Giadra e
-l’altre terre del suo reame.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap83-7">CAP. LXXXIII.
-<span class="smaller"><i>Come il legato ebbe la rocca di Brettinoro.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il legato, ch’avea presa la terra di Brettinoro,
-e stretti quelli della rocca per modo che poco
-si poteano tenere per la molta gente che dentro
-v’era racchiusa, non ostante che vedessono l’oste
-della compagnia da cui attendeano soccorso presso
-a tre miglia, feciono accordo, e diedono stadichi,
-che se la domenica vegnente, a dì 23 di luglio
-anno detto, e’ non fossono soccorsi, s’arrenderebbono,
-salvo le persone, e l’arme e ’l loro arnese.
-Il capitano che v’era per lo legato, messer Galeotto,
-provvide sì sollicitamente il dì e la notte
-che ciò non si potesse fare, che non valse
-ingegno del capitano di Forlì, nè forza ch’avesse
-la compagnia, che fornire o soccorrere la potessono;
-e valicato il giorno, la sera medesima, ch’era
-il termine, s’arrenderono, con onorevole vittoria
-del legato, e abbassamento della fallace fama
-della compagnia, e della pertinace superbia del
-capitano.
-</p>
-
-<h3 id="cap84-7">CAP. LXXXIV.
-<span class="smaller"><i>Come si bandì la croce contro la compagnia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Seguita, che per tema della compagnia, la quale
-ogni dì crescea, il legato avea oltre al processo
-della croce bandita mandato a richiedere aiuto
-contro alla compagnia a tutti i Toscani, e
-<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span>
-più confidentemente dal comune di Firenze, e
-mandovvi suo legato un vescovo di Narni Fiorentino
-chiamato frate Agostino Tinacci de’ frati
-romitani, buono Altopascino; costui con grande
-solennità fece tre dì ogni mattina in Firenze
-processione, e acconsentitagli da’ signori, per reverenza
-della Chiesa sonate tutte le campane del
-comune a parlamento, in sulla ringhiera de’ priori
-fatta sua predica, pubblicò il processo fatta
-contro alla compagnia, e pronunziò l’indulgenza
-a chi prendesse la croce, e allargò che dodici
-uomini potessono concorrere al soldo d’uno
-cavaliere, e raccorciò il tempo del servigio in
-sei mesi ov’era in dodici; e ancora più, che
-prenderebbe ciò che gli uomini e le femmine
-gli volessono dare, e dispenserebbe con loro;
-e divolgato il fatto, tanto fu il concorso
-degli uomini e delle donne della nostra città,
-che senz’altra provvisione di suo mandato gli portavano
-i danari per modo, ch’e’ non potea resistere
-di potere ricevere e di porre la mano in capo:
-e trovossi di vero, ch’e’ ricevea per dì mille,
-e milledugento, e millecinquecento fiorini d’oro, e
-in non molti dì raunò più di trentamila fiorini
-d’oro, i più dalle donne e dalla gente minuta.
-Il comune per sè avea diliberato di volere mandare
-aiuto al legato, ma avvedendosi tardi per gli
-suoi cittadini ch’aveano già piene le mani agli
-accattatori, vide co’ savi, che ’l comune per tutto
-il popolo potea avere l’indulgenza, volendo
-servire di prendere l’aiuto della Chiesa, per avere
-il beneficio dell’indulgenza; e però convertì la
-sua gente a fare il servigio per tutto il comune,
-<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span>
-acciocchè ogni uomo avesse il perdono; e così
-fatto, il detto vescovo, a dì 26 di luglio anno
-detto, pronunziò il perdono a tutti i cittadini, e
-contadini e distrettuali di Firenze, i quali fossono
-confessi e pentuti de’ loro peccati, o che fra tre
-mesi avvenire si confessassono. E nota, che in nove
-anni tre volte si concedette questo perdono;
-nel 1343, quando fu la generale mortalità, e l’anno
-del cinquantesimo, e in questa guerra romagnuola.
-</p>
-
-<h3 id="cap85-7">CAP. LXXXV.
-<span class="smaller"><i>Aiuti mandarono i Fiorentini al legato.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il comune di Firenze, a dì 20 di luglio anno
-detto, fatto capitano messer Manno di messer
-Apardo de’ Donati, e datogli il pennone del comune,
-il mandarono in Romagna con settecento barbute
-di buona gente, e con ottocento balestrieri,
-affinchè la battaglia si prendesse colla compagnia;
-e oltre a ciò v’andarono singulari masnade
-di cittadini e’ contadini crociati, che furono
-dugento a cavallo e duemila a piè. E contando la
-raccolta de’ danari, e la spesa del comune e de’
-singulari uomini, più di centomila fiorini costò
-la beffa al comune di Firenze a questa volta. È
-vero che ’l tutto s’intendea a combattere la
-compagnia, e però vi mandò il comune un confidente
-cittadino popolare, il quale in segreto si
-dovesse strignere col legato, e con autorità di
-promettere ventimila fiorini d’oro per lo comune
-a’ soldati se vincessono la compagnia; ed era
-tanta la buona gente ch’avea il legato, e quella
-<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span>
-del comune di Firenze, e de’ crociati che v’erano
-di volontà, ch’assai se ne potea sperare piena
-vittoria. Il legato n’avea dato di prima al comune
-buona speranza, e ancora poi il suo ambasciadore,
-ma appresso, o che il legato invilisse,
-impaurisse di mettersi a partito, o che non si
-confidasse de’ soldati, dissimulò il fatto, e tennelo
-pendente, e mantennesi in riguardo, dando
-ardimento agli avversari, e viltà alla sua parte
-che gli tornò in poco onore.
-</p>
-
-<h3 id="cap86-7">CAP. LXXXVI.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi ebbono Ventimiglia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese di luglio, tenendosi la città di
-Ventimiglia per i figliuoli e consorti di messer
-Carlo Grimaldi, e non ubbidivano il comune nè
-’l doge di Genova, per la qual cosa il doge diede
-boce di volere fare guerra a’ Catalani, e per questo
-fece armare venti galee: e avendo alcuno trattato
-in Ventimiglia, costeggiando la riviera, come
-furono a una punta di mare presso alla terra
-di Ventimiglia feciono scendere masnade e balestrieri
-con un capitano, il quale gli menò copertamente
-sopra la città da quella parte dove
-era il trattato, e dove non si prendea piena guardia,
-e le galee andarono per mare; e giunte nel
-porto, volendo prendere una galea armata di
-quelli di Monaco che v’era dentro, i terrazzani
-per difendere la galea tutti trassono alla marina;
-e in questo, l’aguato de’ Genovesi ch’erano
-smontati sopra la terra scesono alla porta, e senza
-<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span>
-contasto entrarono nella città, e presono la
-guardia della porta, e feciono il cenno ordinato
-alle galee, le quali si strinsono alla terra. I
-cittadini di presente conobbono ch’alla difesa
-non avea riparo, e però ricevettono i Genovesi
-come maggiori, ed eglino, senza alcuna novità
-fare nella città, presono la signoria della terra per
-lo comune di Genova e per lo doge, e’ Grimaldi
-che la teneano se n’andarono colle persone e
-coll’avere a Monaco, e le galee si ritornarono
-a Genova.
-</p>
-
-<h3 id="cap87-7">CAP. LXXXVII.
-<span class="smaller"><i>Come l’arciprete con compagnia entrò
-in Provenza.</i></span></h3>
-
-<p>
-Essendo in alcuno sollevamento delle guerre
-il reame di Francia per la presura del re e de’ baroni,
-molti uomini d’arme non avendo soldi,
-per alcuna industria, secondo che la fama corse,
-del cardinale di Pelagorga zio del figliuolo del
-duca di Durazzo, i quali erano dal re Luigi e da’
-suoi fratelli male stati trattati, essendo messer
-Filippo di Taranto fratello del re Luigi in Provenza,
-mosse l’arciprete di Pelagorga, uomo bellicoso
-e di mala fama, il quale si fece capo d’una
-parte de’ Guasconi acconci a fare ogni male, e
-di volgo il nome di fare compagnia. E con lui
-s’accostò messer Amelio del Balzo e messer Giovanni
-Rubescello di Nizza, e molti uomini d’arme
-ch’aveano voglia di rubare s’accozzarono
-con loro, sicchè in pochi dì accolsono ed ebbono
-<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span>
-nelle contrade di Ponte di Sorga di là dal
-Rodano più di duemila cavalieri, e stesonsi inverso
-Oringa e Carpentrasso, standosi per le
-villate e a campo senza rubare o far danno al
-paese, ma per paura i paesani davano loro vittuaglia.
-Messer Filippo di Taranto, ch’era in Provenza,
-volendo riparare che non entrassono nella
-Provenza del re di qua dal Rodano, accolse suo
-sforzo di Provenzali, e fece, capo a Orgona, e stese
-la guardia sua su per lo fiume della Durenza. Ma
-la sua gente era poca, e mancava, e la compagnia
-cresceva, perchè il papa e tutta la corte ne cominciò
-forte a temere. Ma i capitani della compagnia
-ammaestrati della corte medesima, mandarono
-ambasciadori al papa per assicurarlo, che contro
-della corte e alle terre della Chiesa non intendeano
-fare alcuno male, e per sicurtà offeriano
-i saramenti de’ caporali, e stadichi, se gli volesse,
-ma la loro intenzione era d’andare contro
-a messer Filippo di Taranto, il quale aveano
-per loro nemico, e di guerreggiare le sue terre e
-del re Luigi. E ivi a pochi dì valicarono il Rodano
-ed entrarono in Provenza, che messer Filippo,
-non avea forza da campeggiare con loro, e cominciarono
-a correre il paese, e a guastarlo, e a uccidere
-e a predare in ogni parte; e presono Lallona
-buona terra e piena d’ogni bene, e poi andarono
-infino a san Massimino, e anche il presono, e
-più altre castella. Le buone terre s’armarono
-alla difesa, e ’l papa fece afforzare Avignone,
-e guardare la città, e d’altro non s’intramise:
-e così tutta la state consumarono quel paese.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span>
-</p>
-
-<h3 id="cap88-7">CAP. LXXXVIII.
-<span class="smaller"><i>Come il conte di Fiandra rendè Brabante
-alla duchessa facendo pace.</i></span></h3>
-
-<p>
-Noi dicemmo poco addietro che la duchessa di
-Brabante era tornata, e ’l conte di Fiandra pazientemente
-l’avea comportata, perocchè era
-sua cognata, e perchè sapea la natura de’ Brabanzoni,
-che non si potrebbono tenere sotto la
-signoria de’ Fiamminghi, e già parecchi buone
-ville aveano accomiatati gli uficiali del conte; e
-avvegnachè fortuna l’avesse fatto signore di Brabante,
-la sua intenzione non era di volere altro
-che Mellino, ch’egli s’avea comperata con giusto
-titolo. E però, essendo trattato della pace nella
-festa che fece l’imperadore, il conte si dichinò
-benignamente alla cognata, e rendelle la signoria
-di tutto Brabante, con patto, ch’alcuno lieve
-omaggio ella ne facesse alla compagna sua sirocchia,
-e che a lui rimanesse libera la signoria di
-Mellino. E fermata la concordia, con gran piacere
-de’ Fiamminghi e de’ baroni si pubblicò la
-pace del mese di luglio del detto anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap89-7">CAP. LXXXIX.
-<span class="smaller"><i>Come il legato s’accordò colla compagnia
-per danari.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando a’ fatti della compagnia, seguita a
-contare poco onore di santa Chiesa e di due comuni
-<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span>
-di Toscana. Messer Egidio cardinale di
-Spagna legato avendo, com’è detto, da sè molta
-buona gente d’arme, e accoltane per l’indulgenza
-della croce maggior quantità, sicchè assai si
-trovava più forte che non era la compagnia per
-poterla combattere, e promesso l’avea alle comunanze
-di Toscana e nelle prediche della croce,
-e se alla fortuna della battaglia non si volea
-abbandonare per senno, almeno standosi a riguardo
-si conoscea manifesto, che dov’elli erano poco
-poteano soggiornare che non aveano vivanda,
-e volendosi partire, avendo tanti nimici a petto,
-male il poteano fare senza loro gran danno. Tanto
-invilì la loro vista l’animo del legato, che infino
-allora era da pregiare sopra gli altri baroni,
-ch’e’ si mise in trattato col conte di Lando capitano
-della compagnia, e fecelo più volte venire
-a sè: e in fine prese accordo, ch’e’ si dovesse
-partire colla sua compagnia e tornarsene in Lombardia,
-e liberare tre anni le terre della Chiesa, e
-la città di Firenze, di Pisa, di Perugia, e di Siena,
-avendo la compagnia dal legato e da’ detti comuni
-cinquantamila fiorini d’oro, e cominciasse il termine
-di calen di novembre 1357. Il comune di Perugia
-e quello di Siena se ne feciono beffe, e non
-vollono attenere quello che il legato n’avea ordinato.
-I Fiorentini furono contenti, e pagarono per
-la loro rata sedicimila fiorini: e’ Pisani anche
-s’acconciarono, e pagarono la loro rata e il legato
-la sua. E avuto il tributo della Chiesa, e
-de’ maggiori comuni di Toscana, ove si conoscevano
-essere a mal partito, baldanzosi e lieti si tornarono
-in Lombardia, in grande abbassamento
-<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span>
-dell’onore del legato; e se senno fu, troppa codardia
-vi si nascose dentro.
-</p>
-
-<h3 id="cap90-7">CAP. XC.
-<span class="smaller"><i>Ricominciamento dello studio in Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Del mese d’agosto del detto anno, i rettori di
-Firenze s’avvidono, come certi cittadini malevoli
-per invidia, trovandosi agli ufici, aveano
-fatto gran vergogna al nostro comune, perocchè
-al tutto aveano levato e spento lo studio generale
-in Firenze, mostrando che la spesa di duemila
-cinquecento fiorini d’oro l’anno de’ dottori dovesse
-essere incomportabile al comune di Firenze,
-che in un’ambasciata e in una masnada di
-venticinque soldati si gittavano l’anno parecchie
-volte senza frutto e senza onore, e in questo si levava
-cotanto onore al comune; e però ordinarono
-la spesa, e chiamarono gli uficiali ch’avessono a
-mantenere lo studio; e benchè fosse tardi, elessono
-i dottori, e feciono al tempo ricominciare lo
-studio in tutte le facoltà di catuna scienza. E di
-questo mese nacquono in Firenze due leoni.
-</p>
-
-<h3 id="cap91-7">CAP. XCI.
-<span class="smaller"><i>Come si trovarono l’ossa di papa Stefano in Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-In questo mese d’agosto, cavandosi a lato
-all’altare di san Zanobi nella chiesa cattedrale
-di Firenze, per fare uno de’ gran pilastri per la
-<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span>
-chiesa nuova, vi si trovò uno monumento verso
-tramontana, nel quale erano l’ossa di papa Stefano
-nono nato di Lotteringia, e così diceano le
-lettere soscritte nella sua sepoltura; e in sul petto
-gli si trovò il fermaglio papale con pietre preziose
-e con lo stile dell’oro, e la mitra in capo
-e l’anello in dito; e raccolto ogni sua reliquia,
-si riserrarono appo i canonici per fargli al tempo
-onorevole sepoltura. Questi sedette papa mesi
-dieci; e morì gli anni 1088.
-</p>
-
-<h3 id="cap92-7">CAP. XCII.
-<span class="smaller"><i>Leggi fatte sopra i medici.</i></span></h3>
-
-<p>
-Cominciossi di questo mese d’agosto nel Valdarno
-di sotto, e in Valdelsa, e in Valdipesa, e
-in molte parti del contado di Firenze e nel suo
-distretto, un’epidemia d’aria corrotta intorno
-alle riviere che generò molte malattie, le quali
-erano lunghe e mortali, e grande quantità d’uomini
-e di femmine mise a terra, e assai cavalieri
-di Firenze stati in contado morirono, che fu
-singolare cosa, e durò fino a mezzo ottobre; e
-in Firenze morirono assai uomini e donne, ma
-de’ cinque i quattro tornati di contado malati.
-Fece allora il comune per riformagione, che niuno
-medico dovesse andare a vicitare alcuno malato
-da due volte in su, se il malato non fosse
-confessato, avendo di ciò degna testimonianza,
-sotto pena di libbre cinquecento, e che di ciò
-catuno medico dovesse fare ogni anno saramento
-alla corte dell’esecutore. La legge fu buona,
-<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span>
-ma l’avarizia de’ medici e la pigrizia de’ malati,
-mescolata colla cattiva consuetudine, fece perdere
-l’esecuzione di quella, che se fosse messa
-in pratica, e tornata in consuetudine, era gran
-beneficio dell’anime e santa de’ corpi.
-</p>
-
-<h3 id="cap93-7">CAP. XCIII.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi ebbono Monaco.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo avuto il doge di Genova onore d’avere
-racquistata la città di Ventimiglia, fece armata
-di quattordici galee, e sei ne mandarono
-i Pisani ch’erano in lega col loro comune; e
-queste venti galee misono nel porto ch’è sotto il
-castello, e sopra Monaco di verso la montagna
-misono quattromila fanti armati, tra’ quali avea
-di molti balestrieri, che di notte guardavano
-i passi della montagna; e tenutolo così assediato
-un mese, e tentatolo con loro danno alcune volte
-di battaglia, perocch’era troppo forte, vi si
-stavano. I Grimaldi che ’l teneano pensarono
-che a lungo andare e’ non potrebbono contastare
-al comune, ed essendo preso in Genova un
-figliuolo di messer Carlo Grimaldi, trattarono
-di volere dare il castello di Monaco al doge e al
-comune per danari, e riavere il figliuolo di messer
-Carlo libero di prigione, ed essere ribanditi;
-e venuti a concordia, ebbono contati fiorini sedicimila
-d’oro, e quattromila ne scontarono per la
-prigione, e renderono Monaco al comune di Genova;
-il quale aveano tenuto trentadue anni in
-loro balía, che rade volte aveano ubbidito al loro
-<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span>
-comune, e sempre corseggiato e tribolato i navicanti
-di quel mare, e fatto del luogo spilonca di
-ladroni; e questo fu il dì di nostra Donna a mezzo
-agosto del detto anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap94-7">CAP. XCIV.
-<span class="smaller"><i>Come il cardinale assediò Forlì.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo, come detto è, il cardinale fatta partire
-la compagnia di Romagna, e trovato il capitano
-di Forlì ostinato e indurato di non volere
-venire all’ubbidienza di santa Chiesa, e volendo
-il cardinale tornarsene a corte; innanzi la sua
-partita ordinò coll’altro legato, ch’era l’abate
-di Giugni, d’assediare la città di Forlì, e all’uscita
-d’agosto vi posono il campo con duemila
-cavalieri e con gran popolo, e cominciarono a
-dare il guasto intorno alla città, e ’l capitano
-con grande animo si ristrinse con pochi soldati
-a cavallo, e co’ suoi cittadini alla guardia della
-terra, e provvedutosi delle cose bisognevoli alla
-vita, si mise francamente alla difesa: e spesso a
-sua posta usciva fuori con sua gente, e assaliva i
-nemici al campo e danneggiavali, e per savia
-condotta si ricoglieva a salvamento. E a suo diletto
-inducea i giovani garzoni all’esercizio della
-guerra, e tornando nella terra, tutti li facea
-venire innanzi, e giocandosi con loro dicea delle
-loro valantrie, e raccontava com’eglino avien fatto,
-e a quelli ch’erano più iti innanzi dava a catuno
-uno grosso, o due o tre bolognini. E per queste
-lusinghe, e per queste lievi provvisioni, movea
-<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span>
-i giovani a seguitarlo senza richiesta di grande
-volontà, e per sperimentarli nell’arme. E con
-questo si faceva tanto amare da loro, che non gli
-bisognava guardia per alcuno sospetto, e ’l tedio
-dell’ozio degli assediati mitigava con alcuno diletto
-del continovo esercizio; e guida vali sì saviamente,
-ed era sì ubbidito da loro, che niuno ne perdea,
-e poca speranza dava a’ nemici di vincere la
-città.
-</p>
-
-<h3 id="cap95-7">CAP. XCV.
-<span class="smaller"><i>Come il re d’Inghilterra ruppe i patti
-della pace.</i></span></h3>
-
-<p>
-Tornando alquanto nostra materia al fatto
-de’ due re, ed avendo narrata la festa che fu
-fatta a Londra quando vi giunse il re di Francia,
-credendosi per tutti che la pace fatta tra’ legati
-e ’l duca di Guales a Bordello per lo re
-Adoardo si dovesse confermare, essendo però valicati
-nell’isola i cardinali e molti baroni di
-Francia, strignendo il re e ’l suo consiglio a dar
-fine e fermezza all’opera, il re d’Inghilterra,
-mostrandosi a ciò volonteroso, mantenea la cosa
-sospesa, oggi con una cagione e domani con altra,
-e però non rompea il trattato; e spesso infingea
-cagione a’ Franceschi, e dimostrava che ’l fallo
-fosse loro, e poi l’acconciava, a facevane muovere
-un’altra. E per questo modo maestrevolmente
-e per sua astuzia ritenea il re e ’l figliuolo,
-e’ baroni e’ cavalieri ch’avea prigioni in Inghilterra,
-come egli desiderava; e tanto avvolse
-questa materia, che straccò i legati e i baroni
-<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span>
-ch’erano di là valicati; i quali vedendosi menare
-al re con queste simulazioni senza frutto, all’uscita
-del mese d’agosto anno detto abbandonarono
-il trattato, e tornarsi nel reame di Francia,
-e per tutto la boce corse che la pace era rotta, e
-che al primo tempo il re d’Inghilterra dovea venire
-a Rems e farsi coronare del reame di Francia,
-e non fu senza cagione revelata del segreto:
-ma indugiossi più, e il trattato della pace senza il
-suo effetto poco appresso si riprese, e tornarono
-nell’isola i legati.
-</p>
-
-<h3 id="cap96-7">CAP. XCVI.
-<span class="smaller"><i>Della mostra fatta a Avignone di cortigiani
-per tema della compagnia.</i></span></h3>
-
-<p>
-Di questo mese d’agosto, nella compagnia dell’arciprete
-di Pelagorga, ch’era in Provenza, s’aggiunse
-il conte d’Avellino e cinque nipoti di papa
-Clemente sesto, e trovaronsi più di tremila
-barbute, e scorsono predando e guastando la Provenza
-infino a Grassa, e non trovarono contasto
-fuori delle terre murate. Vedendo il papa crescere
-questa tempesta, volle vedere in arme tutti i cortigiani,
-e fece ordinare di fare la mostra, che fu
-grande e bella, perchè catuno si sforzò di comparire
-in arme, e trovaronsi in questa mostra
-quattromila Italiani tutti bene armati, ch’erano
-due cotanti o più che tutti gli altri cortigiani.
-E come furono armati e raunati insieme, gridavano
-e volevano correre sopra i cardinali nipoti
-di papa Clemente, dicendo, ch’erano autori di
-<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span>
-quella compagnia, che conturbava la corte e tutta
-la mercatanzia, e a gran pena furono ritenuti
-da’ loro capitani. Il papa, veduta la mostra, ordinò
-di fare rifare le mura e’ fossi d’Avignone,
-e riparare le porti per tenere la città sicura; altro
-rimedio di fuori contro alla compagnia non
-prese, ma stava continovo la corte in gran paura,
-e in vergognosa vacazione di tutti i mestieri.
-</p>
-
-<h3 id="cap97-7">CAP. XCVII.
-<span class="smaller"><i>Come il re Luigi da Messina tornò a Napoli.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il re Luigi avendo con danno e con vergogna
-levata l’oste sua da Catania, come narrato abbiamo,
-e non trovandosi in mare nè in terra
-potente da rifare oste, e i suoi avversari aveano
-ripreso ardire della loro vittoria; e sentendo il
-regno di qua dal Faro in molta discordia per la
-ribellione di messer Luigi di Durazzo e del conte
-di Minerbino, i quali teneano in guerra la Puglia,
-e molti caporali di ladroni rompevano le
-strade e’ cammini; non ostante ch’egli avesse promesso
-a’ Messinesi di stare alcun tempo risedente
-a Messina, cambiò proposito, per non correre in
-peggio, e a dì 30 d’agosto del detto anno si partì
-da Messina in su una galea d’Ischia, e pose a
-Reggio, ov’era prima venuta la reina. E in Messina
-lasciò suo vicario un figliuolo del gran siniscalco
-con trecento cavalieri alla guardia della
-terra, confidandosi sopra tutto in messer Niccolò
-di Cesaro e nel suo seguito, ch’aveano cura alla
-guardia per loro medesimi, ch’aveano di fuori i
-<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span>
-loro avversari. E poi da Reggio per Calavria e
-per Puglia se ne tornarono a Napoli, del mese di
-settembre del detto anno.
-</p>
-
-<h3 id="cap98-7">CAP. XCVIII.
-<span class="smaller"><i>Come si perdè Governo a’ Mantovani.</i></span></h3>
-
-<p>
-I signori da Gonzaga, essendo uomini savi
-di guerra, avendo lungamente tenuta la signoria
-di Mantova, vicini e in mezzo tra’ signori di Milano
-e quelli di Verona, avean provveduto di
-tenere salvo gran parte del loro contado in questo
-modo. La loro città è posta nel mezzo d’un
-lago di fiumi correnti, e di questo lago di verso
-levante alla città esce un fiume, che si stende
-correndo verso mezzo dì ed entra in Po; e dov’egli
-entra in Po è un castello e un ponte: il
-castello si chiama Governo: e dall’uscita del fiume
-al detto castello ha dieci miglia di terreno, e
-per i Mantovani è alzato e fortificato un argine
-sopra il fiume dal lato d’entro, e fattovi forti steccati
-e molte bertesche a potere fare ogni gran
-difesa. E dall’altra parte del lago, di verso ponente
-alla città e di lungi tre miglia, esce un altro
-fiume, e corre verso mezzo dì anche al Po,
-e stendesi ancora per dieci miglia di terreno, e
-l’argine di questo fiume è fatto maggiore e più
-forte che l’altro, e steccato e imbertescato a
-ogni difesa, e in sul Po s’aggiugne a un forte
-castello de’ Mantovani che si chiama Borgoforte,
-e anche a questo castello è un ponte sul Po. Tra
-queste due fiumare si stende un gran contado
-<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span>
-tutto piano, e di buono terreno da lavorare, e
-ubertuoso di frutti e di vittuaglia. Questo contado
-per infino a qui per forza ch’avessono i tiranni
-vicini non avien mai potuto noiare, e viveanne
-i Mantovani in grande sicurtà, e chiamavano
-questo contado la Serraia. In questi dì
-era guerra tra’ signori di Milano e quelli di Mantova,
-e però i Mantovani avieno mandate masnade
-di fanti a piè alla guardia del ponte e anche
-di Governo, e anche de’ loro soldati a cavallo,
-tra’ quali era un conestabile che avea ricevuta ingiuria
-da’ signori da Gonzaga. Costui ordinò, che
-là venisse la gente de’ signori di Milano per suo
-trattato, e diede loro il passo del ponte, mostrando
-a’ suoi, che come ne fosse passati una parte
-darebbono loro addosso, e tutti gli avrebbono a
-mansalva; ma innanzi che il traditore si mettesse
-al contasto ve ne lasciò tanti venire, che
-a’ suoi per necessità convenne abbandonare il
-campo e ’l castello; e per questo modo fu preso il
-forte passo di Governo, da potere correre ed entrare
-nella Serraia; e questo fu all’uscita del
-mese d’agosto anno detto.
-</p>
-
-<h3 id="cap99-7">CAP. XCIX.
-<span class="smaller"><i>Come i signori di Milano presono Borgoforte,
-e assediarono Mantova.</i></span></h3>
-
-<p>
-Messer Bernabò e messer Galeazzo di Milano,
-avendo novelle come ’l ponte e ’l castello di
-Governo era preso per la loro gente, ebbono
-grande allegrezza, e lasciandosi addietro i fatti
-<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span>
-di Pavia e di Novara, subitamente accolsono tremila
-cavalieri di loro soldati e gran popolo, e
-l’una parte mandarono a Governo, e l’altra per la
-riva del Po a Borgoforte. Quelli ch’andarono a
-Governo feciono di loro due parti; l’una si
-dirizzò, verso Mantova, e misonsi a campo in capo
-del ponte onde i Mantovani della terra veniano
-nel contado della Serraia, e ivi di presente
-dirizzarono una bastita con torri e con bertesche,
-e tolsono il passo e la speranza a’ Mantovani,
-che per forza ch’avessono nella Serraia non poterono
-entrare per soccorrere Borgoforte, e l’altra
-parte cavalcò per la Serraia dentro a Borgoforte,
-e così dentro e di fuori subitamente fu assediato
-Borgoforte. E vedendo coloro ch’aveano la guardia
-della terra che soccorso non poteano avere
-da niuna parte, s’arrenderono salve le persone;
-e così in pochi dì ebbono i signori da Milano
-l’uno castello e l’altro, e la signoria di tutto il
-contado della Serraia, infino al lago che cigne la
-città di Mantova. Avuto Borgoforte, feciono maggiore
-e più forte la bastita a capo del ponte del lago,
-e mantennonvi l’oste grande, perocchè per
-niente avevano loro vita; e dall’altra parte fuori
-della Serraia misono l’oste presso della città, il lago
-in mezzo, e tutto l’altro paese mantovano corsono
-e rubarono. E per questo assedio speravano
-tosto avere libero la signoria di Mantova, e sarebbe
-venuto fatto, se non fosse il soccorso degli
-allegati, come nel suo tempo diviseremo. I signori
-di Milano, ch’aveano il castello e ’l passo
-di Borgoforte ch’era verso il loro terreno,
-abbandonarono Governo ch’era molto lontano
-<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span>
-al loro soccorso e presso a’ nemici, e’ Mantovani
-il ripresono, e fecionlo più forte, e misonvi
-buona guardia.
-</p>
-
-<h3 id="cap100-7">CAP. C.
-<span class="smaller"><i>Come il cardinale Egidio passò per Firenze.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il cardinale di Spagna messer Egidio legato,
-avendo lasciato successore l’abate di Clugnì, e
-assediata la città di Forlì, a dì 14 di settembre
-anno detto fu ricevuto in Firenze a grande solennità,
-andandoli incontro a processione tutto il
-chericato, e le religioni, e ’l popolo, sonando le
-campane del comune e delle chiese a Dio laudiamo,
-e messo sopra la sua persona fuori della città
-un ricco palio di baldacchini di seta e d’oro
-adorno intorno riccamente, tutti i cavalieri di
-Firenze gli furono intorno, ed addestrarlo al freno
-e alla sella, e’ grandi cittadini portavano il
-palio; e guidatolo con questo onore per la città,
-il condussono al luogo de’ frati minori, ove fece
-suo albergo; e ivi fu visitato con grande reverenza
-da’ priori e da tutti i collegi, e dagli altri
-buoni cittadini; e dopo la vicitazione i priori gli
-mandarono doni di cera lavorata e di confetti
-d’ogni ragione in gran quantità, e uno grande
-e ricco destriere fornito di nobili arredi e coverto
-di scarlatto, e per vestire la sua persona due
-pezze di fini panni scarlatti di grana, e una cappella
-doppia di baldacchini d’oro e di seta fini.
-Il cardinale ricevette graziosamente ogni cosa,
-e poi fatto suo sermone, magnificò molto il comune
-<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span>
-di Firenze e sopra tutti gli altri di divozione
-e di fede alla santa Chiesa, offerendosi
-sempre protettore del comune; e fatto un solenne
-convito a’ signori e a’ collegi e a molti altri
-gran cittadini, a dì 19 di settembre si partì di
-Firenze e mandato a’ Pisani per la licenza di potere
-passare per la città di Lucca, i Pisani vi
-mandarono dugento barbute e molti balestrieri
-alla guardia, e feciono serrare le porte, e per
-loro ambasciadori gli feciono dire, che se la sua
-persona con alquanti compagni senz’arme volesse
-entrare per la città, ch’egli il potea fare; il
-cardinale non volle quella grazia, e cavalcando
-di fuori, vide le porte serrate e le mura fornite
-di molti balestrieri colle balestra tese, per la
-qual cosa si dilungò dalla città, sdegnato forte
-della vergogna che da’ Pisani gli parve ricevere.
-Questo legato per suo senno, e per grande e sollecita
-provvisione di guerra, racquistò a santa
-Chiesa il Patrimonio e Terra di Roma, e ridusse
-il prefetto occupatore alla sua misericordia. Vinse
-per forza e per ingegno tutte le terre della
-Marca d’Ancona, abbattendo la signoria di messer
-Malatesta da Rimini, e di Gentile da Mogliano,
-e ’l nuovo tiranno d’Agobbio; e per
-forza vinse in Romagna Cesena e Brettinoro e
-racquistò Faenza, e lasciò Forlì assediata, e’ Malatesti
-tutti riconciliati all’ubbidienza di santa
-Chiesa; e contastò assai colla compagnia, avvegnachè
-nell’ultimo, o per paura, o per fretta
-ch’avesse della sua partenza, s’accordò a levarlisi
-d’addosso con danari, con poco suo onore e di
-santa Chiesa; e tutte queste cose fece in termine
-<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span>
-di quattro anni e un mese dal suo avvenimento
-in Italia.
-</p>
-
-<h3 id="cap101-7">CAP. CI.
-<span class="smaller"><i>Come per i cardinali non si fè nulla
-della pace de’ due re.</i></span></h3>
-
-<p>
-Chi potrebbe senza fallare scrivere le movitive
-degl’Inghilesi? il re d’Inghilterra da capo
-fece tornare i legati per dare termine al trattato
-della pace, e dichiararono i patti e le terre
-che al re d’Inghilterra si doveano dare, e la
-quantità de’ danari e’ termini quando per diliberare
-il re, e ’l figliuolo, e’ baroni, e rimanere in
-buona pace; e questo accordo si divolgò per tutto,
-per conferma fatta del mese di settembre.
-Questa concordia tornò addietro, perocchè per
-sicurtà delle cose il re all’ultimo domandò di
-volere tenere per stadichi il Delfino di Vienna, e
-l’altro figliuolo del re di Francia e ’l conte di
-Fiandra, tanto che ’l re di Francia tornato nel
-suo reame fornisse le cose promesse; la qual cosa
-non potea aver luogo, che ’l Delfino per lo
-fallo commesso non si fidava, e ’l conte di
-Fiandra non era debito al re di Francia di cotanto
-servigio; e però rotto il trattato, il re di Francia
-e ’l figliuolo con altri baroni furono mandati
-in prigione a Guindifora, per addietro detta la
-Gioiosa guardia. In questo medesimo tempo il re
-d’Inghilterra avea anche in prigione nell’isola il
-re David di Scozia; sicchè di tenerli prigioni
-non abbassava l’ambizione della vanagloria alla
-quale i mortali volentieri attraggono, e ’l tenere i
-<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span>
-trattati della concordia rompea gli animi de’ Franceschi
-dell’apparecchio della guerra, e riteneali
-in divisione e fuori del loro antico reggimento,
-e di ciò pensava non meno che dell’arme il re
-d’Inghilterra potere avere suo intendimento. E
-però traendo sperienza dal fatto, piuttosto si può
-ritrarre ch’e’ trattati sono stati fatti finti, che di
-vero intendimento.
-</p>
-
-<h3 id="cap102-7">CAP. CII.
-<span class="smaller"><i>Come fu impiccato il conte di Minerbino.</i></span></h3>
-
-<p>
-Il conte di Minerbino, detto Paladino, di cui
-tanto avemo addietro parlato, essendo da natura
-incostante e senza fede, tratto egli e ’l fratello di
-prigione dopo la morte del re Ruberto, appresso come
-fu morto il duca Andreasso se n’andò in Ungheria,
-e col re d’Ungheria tornò nel Regno, e col
-re stette mentre che gli mise bene, e non gli tenne
-fede. E venuto alla misericordia, e ricevuto perdonanza
-da lui, dopo la partita del re si riconciliò
-più volte col re Luigi, e da lui ebbe provvisione e
-doni per tenerlo in pace: ma la sua incostanza
-non glie le consentia, ma stava in rubellione, e
-accogliea rubatori e soldataglia, e correa in Puglia
-per pazzia non meno che per ruberia; e
-vedendo messer Luigi di Durazzo in discordia
-col re, s’accostava con lui; altra volta il lasciava,
-e prendea a suo vantaggio, e stava sì forte
-e avvisato, che in palese non potea ricevere impedimento.
-Il prenze di Taranto, chiamato l’imperadore,
-vedendo quanto costui tribolava la
-<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span>
-Puglia, commise a messer Betto de’ Rossi suo
-cavaliere, che segretamente avesse cura a’ suoi
-andamenti. Costui sentendolo in Matera, trattò
-con certi masnadieri che ’l seguitavano alla sua
-provvisione, e corruppeli per moneta per modo,
-che cavalcatovi colla gente dell’imperadore, di
-subito fu lasciato entrare nella terra. Il conte
-vedendosi tradito da’ suoi, ricoverò nel castello.
-Il prenze vi fu di presente intorno con molta gente,
-e cinselo dentro e di fuori per modo che non
-poteva uscire della fortezza, e da vivere non
-v’avea, sicchè fu costretto da necessità d’uscirne
-in camicia con uno capestro in collo, e gittossi
-a’ piè del prenze, come altra volta avea fatto a
-Trani al re d’Ungheria; ma la cosa non succedette
-a quel modo. Il prenze il fece prendere, e
-menollo ad Altemura; e fattosi dare il castello,
-a uno de’ merli il fece impendere per la gola
-nel detto castello.
-</p>
-
-<h3 id="cap103-7">CAP. CIII.
-<span class="smaller"><i>Come fu preso Minerbino.</i></span></h3>
-
-<p>
-Sentendo messer Luigi fratello del conte come
-il prenze avea morto il fratello, essendo uomo
-di grande ardire e di seguito, di presente accolse
-soldati e caporali di ladroni, e misesi in Minerbino
-loro castello, il quale era forte a maraviglia,
-e credette poterlo tenere in rubellione. I
-terrazzani sapendo che il conte loro principale
-signore era morto, non assentirono di volere
-prendere arme contro a’ reali; e però messer Luigi
-<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span>
-elesse i compagni che volle, e fornita la rocca,
-ch’era inespugnabile, vi si racchiuse dentro,
-senza paura di forza che noiare lo potesse di fuori.
-Ma la fede corruttibile de’ soldati tosto l’ingannò.
-Che avendo seco dentro un conestabile
-lombardo, per danari e per larghe impromesse ricevette
-dentro, nella rocca colle sue mani uccise
-messer Luigi, e il corpo suo e la rocca diede al
-prenze, del mese di dicembre del detto anno. L’altro
-fratello, ch’era conte di Vico, con poca virtù
-e semplice uomo, vedendo lo sterminio de’ fratelli
-si partì del Regno, abbandonando le sue castella
-e la sua giurisdizione. E così prese fine ne’ successori
-il dominio di messer Gianni Pipino, il quale
-di piccolo notaio per la sua industria fatto de’ maggiori
-signori del reame al tempo del re Carlo
-vecchio, e colui ch’avea maggiore mobole fatto
-dell’avere de’ saracini di Nocera, quand’egli
-con sagacità e con inganno trasse i saracini del
-Regno, e acquistò al re Carlo la forte città di
-Nocera in Puglia. Costui comperò a’ figliuoli, e
-poi i figliuoli a’ nipoti, grandi e larghi baronaggi,
-miserabili per la loro fine.
-</p>
-
-<h3 id="cap104-7">CAP. CIV.
-<span class="smaller"><i>Come i Genovesi mandarono in Sardigna venti
-galee per racquistare la Loiera,
-e non poterono.</i></span></h3>
-
-<p>
-Avendo il doge di Genova con l’armata di
-venti galee racquistato al comune Ventimiglia
-e Monaco, come poco innanzi abbiamo contato,
-<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span>
-coll’empito di quella vittoria le mandò di subito
-in Sardigna, acciocchè per forza vincessono la
-Loiera. E giunti là improvviso, scesono con molti
-balestrieri e con altri dificii a combattere la terra,
-sforzandosi di vincerla con ogni forza e ingegno
-che seppono. Ma i Catalani che dentro
-v’erano alla guardia valentemente si misono alla
-difesa, e ripararono sì francamente, che i loro
-nemici perderono ogni speranza d’acquistarla
-per forza. E lasciatovi di loro morti, e molti fediti
-e magagnati, raccolti a galea si tornarono a
-Genova, e disarmarono di novembre anno detto.
-</p>
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-TAVOLA</a>
-<span class="smaller">DEI CAPITOLI</span></h2>
-
-<table class="indice">
- <tr>
- <td><i>Qui comincia il quinto libro della Cronica di Matteo Villani; e prima il Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#libro5">Pag. 5</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Come messer Carlo di Luzimborgo fu coronato imperadore de’ Romani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap2-5">7</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Come messer Ruberto di Durazzo prese per furto il Balzo in Provenza</i></td> <td class="pag"><a href="#cap3-5">9</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come i Provenzali s’accolsono per porre l’assedio al Balzo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap4-5">10</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Come si cominciò l’izza da messer Galeazzo Visconti a messer Giovanni da Oleggio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap5-5">11</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Come il capitano di Forlì sconfisse gente della Chiesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap6-5">12</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Come messer Filippo di Taranto prese per moglie la figliuola del duca di Calavria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap7-5">13</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come Massa e Montepulciano non ricevettono i vicari del patriarca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap8-5">14</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Come i Visconti tolsono a messer Giovanni da Oleggio il suo castello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap9-5">15</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Andamenti della gran compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap10-5">16</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come il re di Tunisi fu morto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap11-5">16</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come messer Giovanni da Oleggio rubellò Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap12-5">17</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Come il doge di Vinegia fu decapitato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap13-5">23</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Come l’imperadore tornò coronato a Siena</i></td> <td class="pag"><a href="#cap14-5">26</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Come il legato parlamentò a Siena con l’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap15-5">27</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Come l’imperadore ebbe la seconda paga da’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap16-5">28</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Come il nuovo tiranno di Bologna mandò a Firenze ambasciatori a richiedere i Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap17-5">19</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Come fu sconfitto e preso messer Galeotto da Rimini da’ cavalieri del legato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap18-5">30</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Come la fama della liberazione di Lucca si sparse</i></td> <td class="pag"><a href="#cap19-5">32</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come l’imperadore diede Siena al patriarca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap20-5">33</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Come i capi de’ ghibellini d’Italia si dolsono all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap21-5">34</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come l’imperadore si partì da Siena e andò a Samminiato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap22-5">36</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come il cardinale d’Ostia fu ricevuto a Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap23-5">37</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Come la gente del legato presono quattro castella de’ Malatesta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap24-5">38</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come morì il duca di Pollonia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap25-5">39</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come fu coronato poeta maestro Zanobi da Strada</i></td> <td class="pag"><a href="#cap26-5">41</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come fu morto messer Francesco Castracani da’ figliuoli di Castruccio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap27-5">42</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come i Fiorentini mandarono tre cittadini all’imperadore a sua richiesta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap28-5">44</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come i Sanesi ebbono novità</i></td> <td class="pag"><a href="#cap29-5">44</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come i Pisani per gelosia furono in arme</i></td> <td class="pag"><a href="#cap30-5">46</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Ancora gran novità di Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap31-5">47</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Come furono in Pisa presi i Gambacorti</i></td> <td class="pag"><a href="#cap32-5">49</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span>XXXIII. Come fur arse le case de’ Gambacorti</i></td> <td class="pag"><a href="#cap33-5">51</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Di novità seguite a Lucca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap34-5">53</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come nuovo romore si levò in Siena</i></td> <td class="pag"><a href="#cap35-5">55</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Come i Sanesi feciono rinunziare la signoria al patriarca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap36-5">56</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Come furono decapitati i Gambacorti</i></td> <td class="pag"><a href="#cap37-5">57</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Dello stato de’ Gambacorti passato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap38-5">60</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX Come l’imperadore prese in guardia Pietrasanta e Serezzana</i></td> <td class="pag"><a href="#cap39-5">61</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come l’imperadore si partì di Pisa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap40-5">62</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come i Sanesi domandarono vicario all’imperadore, e non l’accettarono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap41-5">63</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Come i Sanesi presono e rubarono la Massa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap42-5">64</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come l’imperadore domandò menda a’ Pisani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap43-5">65</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Come i Sanesi vollono fornire la rocca di Montepulciano, e non poterono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap44-5">66</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come i Veneziani feciono pace co’ Genovesi senza i Catalani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap45-5">67</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Come si fè l’accordo dal legato a messer Malatesta da Rimini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap46-5">68</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come i Genovesi appostarono Tripoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap47-5">69</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Come i Genovesi presono Tripoli a inganno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap48-5">71</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Di quello medesimo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap49-5">73</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Come la gente del marchese di Ferrara fu sconfitta a Spaziano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap50-5">74</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come l’imperadore ebbe l’ultima paga da’ Fiorentini, e fè la fine</i></td> <td class="pag"><a href="#cap51-5">75</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come il figliuolo di Castruccio fu decapitato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap52-5">76</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. D’una fanciulla pilosa presentata all’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap53-5">77</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come l’imperadore e l’imperadrice si partirono per tornare in Alamagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap54-5">78</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Come il minuto popolo di Siena prese al tutto la signoria di quella</i></td> <td class="pag"><a href="#cap55-5">79</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come la compagnia del conte di Lando cavalcò a Napoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap56-5">80</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Come Fermo tornò alla Chiesa e si rubellò da Gentile da Mogliano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap57-5">81</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come il re di Francia mandò gente in Scozia per guerreggiare gl’Inghilesi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap58-5">82</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come i prigioni d’Ostiglia presono il castello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap59-5">83</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Come i Genovesi venderono Tripoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap60-5">84</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Come gli usciti di Lucca tentarono di far guerra</i></td> <td class="pag"><a href="#cap61-5">85</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Conta della gran compagnia di Puglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap62-5">86</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come il gran siniscalco condusse mille barbute contro alla compagnia, ond’ella s’accrebbe</i></td> <td class="pag"><a href="#cap63-5">87</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come gli usciti di Lucca s’accolsono senza far nulla</i></td> <td class="pag"><a href="#cap64-5">88</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Come il re di Cicilia racquistò più terre</i></td> <td class="pag"><a href="#cap65-5">89</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Novità di Padova</i></td> <td class="pag"><a href="#cap66-5">90</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Come i Visconti tentarono di racquistare Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap67-5">91</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Come in Firenze nacquono quattro lioni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap68-5">91</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Novità fatte per gli usciti di Lucca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap69-5">92</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Come i Catalani non vollono la pace co’ Genovesi fatta per i Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap70-5">93</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Come messer Ruberto di Durazzo lasciò il Balzo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap71-5">94</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Come arse la bastita da Modena</i></td> <td class="pag"><a href="#cap72-5">95</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come fu fatto il castello di Sancasciano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap73-5">95</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. Come in Firenze s’ordinò la tavola delle possessioni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap74-5">97</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come il re d’Inghilterra con grande apparecchio valicò a Calese</i></td> <td class="pag"><a href="#cap75-5">98</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVL Come il re Luigi s’accordò colla compagnia del conte di Lando</i></td> <td class="pag"><a href="#cap76-5">99</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come il conte da Doadola fu sconfitto e morto dal capitano di Forlì</i></td> <td class="pag"><a href="#cap77-5">100</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Come la gente del Biscione prese le mura di Bologna e furono cacciati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap78-5">101</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Novità state in Udine</i></td> <td class="pag"><a href="#cap79-5">102</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. Come abbondarono grilli in Cipri e in Barberia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap80-5">103</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Come messer Maffiolo Visconti fu morto da’ fratelli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap81-5">103</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Come messer Bernabò ebbe la Mirandola</i></td> <td class="pag"><a href="#cap82-5">105</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Come i Perugini presono a difendere Montepulciano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap83-5">106</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. Come il re d’Inghilterra tornò in Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap84-5">107</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. Come il re d’Inghilterra cavalcò il reame fino ad Amiens</i></td> <td class="pag"><a href="#cap85-5">108</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Della materia degl’Inghilesi medesima</i></td> <td class="pag"><a href="#cap86-5">109</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Come morì il re Lodovico di Cicilia, e l’isola rimase in male stato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap87-5">111</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVIII. Come in Napoli fu romore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap88-5">111</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center">LIBRO SESTO</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> I. Il prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap1-6">113</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Come nacque briga da’ Visconti a que’ di Pavia e di Monferrato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap2-6">114</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Come si rubellarono terre di Piemonte</i></td> <td class="pag"><a href="#cap3-6">117</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Come i Fiorentini feciono lega contro la compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap4-6">118</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Come gli Scotti presono Vervic</i></td> <td class="pag"><a href="#cap5-6">119</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. D’un trattato fatto per racquistare Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap6-6">121</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Come si scoperse il trattato di Bologna, e fevvisi giustizia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap7-6">122</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Come il signore di Bologna fece lega</i></td> <td class="pag"><a href="#cap8-6">125</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Come l’oste del Biscione ch’era a Reggio si levò in isconfitta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap9-6">125</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. Come i Chiaravallesi di Todi tenevano trattato col prefetto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap10-6">127</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. Come morì messer Piero Sacconi de’ Tarlati</i></td> <td class="pag"><a href="#cap11-6">127</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come scurò tutto il corpo della luna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap12-6">128</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Come la gran compagnia presono Venosa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap13-6">130</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Come il legato bandì la croce contro al capitano di Forlì</i></td> <td class="pag"><a href="#cap14-6">130</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Come il conte Paffetta fu da’ Pisani messo in prigione</i></td> <td class="pag"><a href="#cap15-6">132</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. Come gli Aretini riposono certe fortezze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap16-6">133</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. Di nuove rivolture della gran compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap17-6">134</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. Di grandi gravezze fatte dal re di Francia nel suo reame</i></td> <td class="pag"><a href="#cap18-6">135</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span>XIX. Come i Pisani facevano simulata guerra</i></td> <td class="pag"><a href="#cap19-6">136</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XX. Come il capitano della Chiesa assediò Cesena</i></td> <td class="pag"><a href="#cap20-6">138</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. Come ’l conte da Battifolle assediò Reggiuolo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap21-6">138</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Come il conticino da Ghiaggiuolo racquietò Ghiaggiuolo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap22-6">139</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Come i Visconti assediarono Pavia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap23-6">140</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Come il re di Francia prese il re di Navarra</i></td> <td class="pag"><a href="#cap24-6">141</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Come il re di Francia fece decapitare il sire di Ricorti e altri quattro cavalieri normandi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap25-6">143</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Di un grosso badalucco fu a Pavia-</i></td> <td class="pag"><a href="#cap26-6">144</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come i Visconti assediarono Borgoforte</i></td> <td class="pag"><a href="#cap27-6">145</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Come i Visconti feciono contro a’ prelati di santa Chiesa</i></td> <td class="pag"><a href="#cap28-6">145</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. Come i Visconti feciono tre bastite a Pavia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap29-6">147</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come i Turchi con loro legni feciono gran danno in Romania</i></td> <td class="pag"><a href="#cap30-6">147</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Come gl’Inghilesi guerreggiarono il reame di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap31-6">148</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Come gl’Inghilesi furarono un forte castello</i></td> <td class="pag"><a href="#cap32-6">150</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Come il zio del conte di Ricorti si rubellò al re di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap33-6">151</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Come messer Filippo di Navarra si rubellò al re di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap34-6">151</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Come il popolo di Pavia prese le bastite, e liberossi dall’assedio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap35-6">152</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Il movimento del re d’Ungheria per assediare Trevigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap36-6">155</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Come per l’avvenimento del re d’Ungheria si temette in Italia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap37-6">156</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Come la cavalleria del re Luigi sconfissono i nemici, e furono vinti</i></td> <td class="pag"><a href="#cap38-6">157</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIX D’appelli fatti per lo conte di Lando di tradigione</i></td> <td class="pag"><a href="#cap39-6">159</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come i Sanesi per paura ricorsono a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap40-6">160</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come l’oste si levò da Borgoforte</i></td> <td class="pag"><a href="#cap41-6">161</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Principio della guerra da’ Fiamminghi a’ Brabanzoni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap42-6">162</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come il conte di Fiandra andò su quello di Brabante</i></td> <td class="pag"><a href="#cap43-6">164</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Come si fece accordo sul campo da’ Fiamminghi a’ Brabanzoni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap44-6">165</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come la città d’Ascoli s’arrendè al legato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap45-6">166</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. Come il legato procacciò tenere il Tronto alla compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap46-6">167</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come i Pisani ruppono la franchigia a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap47-6">168</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Come i Fiorentini deliberarono partir si da Pisa e ire a Talamone</i></td> <td class="pag"><a href="#cap48-6">170</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come fu disfatta la città di Venafri in Terra di Lavoro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap49-6">171</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Come l’oste del re d’Ungheria cominciò a venire a Trevigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap50-6">172</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. De’ parlamenti che di questo si feciono in Lombardia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap51-6">173</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come il re d’Ungheria ebbe Colligrano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap52-6">174</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come il re d’Ungheria venne a oste a Trevigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap53-6">175</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Come si reggeano gli Ungheri in oste</i></td> <td class="pag"><a href="#cap54-6">176</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Come l’oste si mantenea a Trevigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap55-6">180</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come la gran compagnia passò nella Marca</i></td> <td class="pag"><a href="#cap56-6">182</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. De’ fatti dell’isola di Cicilia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap57-6">183</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come il conte di Lancastro cavalcò fino a Parigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap58-6">184</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come il re di Francia andò in Normandia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap59-6">185</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Come il papa e l’imperadore diedono titolo al re d’Ungheria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap60-6">186</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Come i Fiorentini s’acordarono di fare porto a Talamone</i></td> <td class="pag"><a href="#cap61-6">187</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Come messer Bruzzi cercò di tradire il signore di Bologna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap62-6">189</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come i Veneziani cercarono accordo col re d’Ungheria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap63-6">190</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. Come il signore di Bologna scoperse un altro trattato contro a sè</i></td> <td class="pag"><a href="#cap64-6">192</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Di certa novità che gli Ungheri feciono nel campo a Trevigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap65-6">193</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Come il re d’Ungheria si levò da oste da Trevigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap66-6">194</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Raccoglimento di condizioni e movimento del re</i></td> <td class="pag"><a href="#cap67-6">195</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Come la gente della lega di Lombardia sconfisse il Biscione a Castel Lione</i></td> <td class="pag"><a href="#cap68-6">190</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. Trattati de’ Ciciliani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap69-6">197</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX Come la compagnia stette sopra Ravenna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap70-6">198</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Come i Fiorentini ordinarono di fare balestrieri</i></td> <td class="pag"><a href="#cap71-6">199</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. L’ordine ch’e’ Fiorentini presono per mantenere i balestrieri</i></td> <td class="pag"><a href="#cap72-6">200</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Come i Trevigiani furono soppresi dagli Ungheri con loro grave danno</i></td> <td class="pag"><a href="#cap73-6">201</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. Come il Regno era d’ogni parte in guerra</i></td> <td class="pag"><a href="#cap74-6">202</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come i collegati condussono la compagnia al loro soldo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap75-6">203</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. De’ fatti de’ collegati di Lombardia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap76-6">204</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come i Brabanzoni ruppono i patti a’ Fiamminghi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap77-6">205</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. Come il conte di Fiandra andò sopra Brabante</i></td> <td class="pag"><a href="#cap78-6">206</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come il duca di Brabante si fè incontro a’ Fiamminghi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap79-6">207</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. Come i Fiamminghi sconfissono i Brabanzoni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap80-6">208</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI Come il conte di Fiandra ebbe Borsella</i></td> <td class="pag"><a href="#cap81-6">209</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Come il conte di Fiandra ebbe tutto Brabante a suo comandamento</i></td> <td class="pag"><a href="#cap82-6">211</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Perchè si mosse guerra dagli Spagnuoli a’ Catalani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap83-6">212</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. Di gran tremuoti furono in Ispagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap84-6">214</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center">LIBRO SETTIMO</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> I. Il Prologo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap1-7">215</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> II. Come il re di Francia prese la croce per fare il passaggio</i></td> <td class="pag"><a href="#cap2-7">216</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> III. Le parole disse frate Andrea d’Antiochia al re di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap3-7">218</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IV. Molte laide cose fece il re di Francia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap4-7">220</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> V. Come il re di Francia uscì di Parigi con suo sforzo, e andò in Normandia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap5-7">222</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VI. Quello faceva il prenze di Guales</i></td> <td class="pag"><a href="#cap6-7">223</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VII. Come il re di Francia pose il campo pressò al prenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap7-7">224</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> VIII. Due conti del re di Francia rimasono presi da un aguato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap8-7">226</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> IX. Puose il re di Francia il campo suo presso agl’Inghilesi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap9-7">227</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> X. I legati cercarono accordo tra due signori</i></td> <td class="pag"><a href="#cap10-7">228</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XI. I patti che si trattarono e quasi conchiusono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap11-7">229</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XII. Come il vescovo di Celona sturbò la pace</i></td> <td class="pag"><a href="#cap12-7">231</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIII. Diceria che fece il prenze di Guales a’ suoi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap13-7">233</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIV. Come i Franceschi s’apparecchiarono alla battaglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap14-7">235</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XV. Le schiere e gli ordini de’ Franceschi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap15-7">235</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVI. L’ordine degl’Inghilesi con le loro schiere</i></td> <td class="pag"><a href="#cap16-7">236</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVII. La battaglia tra il re di Francia, e il prenze di Guales</i></td> <td class="pag"><a href="#cap17-7">237</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XVIII. La sconfitta del re di Francia e sua gente</i></td> <td class="pag"><a href="#cap18-7">239</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XIX. Racconta molti morti e presi nella battaglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap19-7">241</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span>XX. Come il re di Francia n’andò preso in Guascogna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap20-7">242</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXI. I modi tenne il re d’Inghilterra sentendo la novella di sì gran vittoria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap21-7">243</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXII. Battaglia fra due cavalieri, e perchè</i></td> <td class="pag"><a href="#cap22-7">244</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIII. Processo fatto contro a’ signori di Milano per lo vicario dell’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap23-7">245</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIV. Risposta fatta per li signori di Milano al vicario</i></td> <td class="pag"><a href="#cap24-7">246</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXV. Risposta fatta per lo vicario alla detta lettera</i></td> <td class="pag"><a href="#cap25-7">247</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVI. Come i soldati de’ tiranni non vollono venire contro all’insegna dell’imperadore</i></td> <td class="pag"><a href="#cap26-7">248</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVII. Come il vicario puose campo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap27-7">249</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXVIII. Ordine del re d’Ungheria alla guerra con i Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap28-7">250</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXIX. L’aguato misono gli Ungheri a gente de’ Veneziani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap29-7">251</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXX. Come il re Luigi trattò d’avere Messina in Cicilia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap30-7">252</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXI. Come si trattò pace fra il conte di Fiandra e i Brabanzoni</i></td> <td class="pag"><a href="#cap31-7">253</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXII. Come i Fiorentini si partirono da Pisa e andarono a Siena con le mercatanzie</i></td> <td class="pag"><a href="#cap32-7">254</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIII. Come il capitano di Forlì si provvide</i></td> <td class="pag"><a href="#cap33-7">255</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXIV. Come Faenza s’arrendè al legato, e’ patti</i></td> <td class="pag"><a href="#cap34-7">256</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXV. Che fece la gente della lega de’ Lombardi in questo tempo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap35-7">257</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVI. Della materia medesima</i></td> <td class="pag"><a href="#cap36-7">257</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVII. Come l’oste della lega fu rotta dalla gente di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap37-7">258</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XXXVIII. Il consiglio prese il capitano di Forlì</i></td> <td class="pag"><a href="#cap38-7">261</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span>XXXIX. Messer Niccola prese Messina per lo re Luigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap39-7">262</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XL. Come si ribellò Genova a que’ di Milano</i></td> <td class="pag"><a href="#cap40-7">264</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLI. Come fu disfatta la chiesa di santo Romolo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap41-7">265</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLII. Quello fece messer Filippo di Taranto e di Vercelli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap42-7">267</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIII. Come si fuggì di Milano la donna che fu di messer Luchino col figliuolo</i></td> <td class="pag"><a href="#cap43-7">268</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIV. Come il Re Luigi e la reina andarono a Messina</i></td> <td class="pag"><a href="#cap44-7">269</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLV. Come fu murato il borgo di Fegghine</i></td> <td class="pag"><a href="#cap45-7">270</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVI. D’un parlamento fece l’imperadore in Alamagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap46-7">271</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVII. Come il marchese di Monferrato ebbe il castello di Novara</i></td> <td class="pag"><a href="#cap47-7">272</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLVIII. Come messer Bernabò volle uccidere messer Pandolfo Malatesti</i></td> <td class="pag"><a href="#cap48-7">273</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XLIX. Come i Genovesi racquistarono Savona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap49-7">277</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> L. Guerra dal re di Castella a quello d’Araona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap50-7">277</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LI. Come messer Filippo di Novara cavalcò presso a Parigi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap51-7">278</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LII. Come si cominciò le mulina del comune di Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap52-7">279</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIII. Come il reame di Francia ebbe gran divisione</i></td> <td class="pag"><a href="#cap53-7">280</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIV. Morte del conte Simone di Chiaramonte in Cicilia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap54-7">281</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LV. Come si liberò il Borgo a Sansepolcro da tirannia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap55-7">282</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVI. Come l’abate di Clugnì succedette al cardinale di Spagna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap56-7">283</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVII. Come il re di Francia fu menato in Inghilterra</i></td> <td class="pag"><a href="#cap57-7">283</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LVIII. Come la gente della Chiesa entrò in Cesena</i></td> <td class="pag"><a href="#cap58-7">286</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LIX. Come il legato con sua forza andò a Cesena</i></td> <td class="pag"><a href="#cap59-7">287</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LX. Abboccamento e triegua fatta dal re di Spagna al re d’Araona</i></td> <td class="pag"><a href="#cap60-7">288</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXI. Come Rezzuolo si diede a’ Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap61-7">289</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXII. Come i Pisani vollono torre Uzzano a Fiorentini</i></td> <td class="pag"><a href="#cap62-7">290</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIII. Come i Pisani armarono galee per impedire il porto</i></td> <td class="pag"><a href="#cap63-7">291</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIV. L’aiuto mandò messer Bernabò al capitano di Forlì</i></td> <td class="pag"><a href="#cap64-7">292</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXV. Come il conte d’Armignacca da Tolasana per gravezze fu cacciato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap65-7">293</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVI. Conta dell’onore fatto al re di Francia in Inghilterra</i></td> <td class="pag"><a href="#cap66-7">294</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVII. Trattato tenuto per li Fiorentini in accordare il capitano di Forlì con il legato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap67-7">298</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXVIII. Come il legato ebbe la murata di Cesena</i></td> <td class="pag"><a href="#cap68-7">297</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXIX. De’ fatti di madonna Cia donna del capitano di Forlì</i></td> <td class="pag"><a href="#cap69-7">298</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXX. Novità fatte in Ravenna</i></td> <td class="pag"><a href="#cap70-7">300</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXI. Novità di Grecia, e presura di loro signori</i></td> <td class="pag"><a href="#cap71-7">302</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXII. Come il re Luigi assediò Catania in Cicilia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap72-7">304</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIII. Della materia medesima</i></td> <td class="pag"><a href="#cap73-7">305</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIV. Come l’oste del re Luigi si levò da Catania in isconfitta</i></td> <td class="pag"><a href="#cap74-7">306</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXV. Come la compagnia venne sul Bolognese</i></td> <td class="pag"><a href="#cap75-7">307</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVI. Come il comune di Firenze afforzò lo Stale</i></td> <td class="pag"><a href="#cap76-7">308</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVII. Come s’arrendè la rocca di Cesena al legato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap77-7">309</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXVIII. De’ fatti di Costantinopoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap78-7">311</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXIX. Come il legato prese Castelnuovo e Brettinoro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap79-7">312</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXX. Di processi fatti contro la compagnia per lo legato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap80-7">313</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXI. Della gravezza facea il tiranno a’ Bolognesi</i></td> <td class="pag"><a href="#cap81-7">314</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXII. Come i Veneziani domandarono pace al re d’Ungheria</i></td> <td class="pag"><a href="#cap82-7">316</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIII. Come il legato ebbe la rocca di Brettinoro</i></td> <td class="pag"><a href="#cap83-7">317</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIV. Come si bandì la croce contro la compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap84-7">317</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXV. Aiuti mandarono i Fiorentini al legato</i></td> <td class="pag"><a href="#cap85-7">319</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVI. Come i Genovesi ebbono Ventimiglia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap86-7">320</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVII. Come l’arciprete con compagnia entrò in Provenza</i></td> <td class="pag"><a href="#cap87-7">321</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXVIII. Come il conte di Fiandra rendè Brabante alla duchessa facendo pace</i></td> <td class="pag"><a href="#cap88-7">323</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> LXXXIX. Come il legato s’accordò alla compagnia per danari</i></td> <td class="pag"><a href="#cap89-7">323</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XC. Ricominciamento dello studio in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap90-7">325</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCI. Come si trovarono l’ossa di papa Stefano in Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap91-7">325</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCII. Leggi fatte sopra i medici</i></td> <td class="pag"><a href="#cap92-7">326</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIII. Come i Genovesi ebbono Monaco</i></td> <td class="pag"><a href="#cap93-7">327</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIV. Come il cardinale assediò Forlì</i></td> <td class="pag"><a href="#cap94-7">328</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCV. Come il re d’Inghilterra ruppe i patti della pace</i></td> <td class="pag"><a href="#cap95-7">329</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVI. Della mostra fatta a Avignone di cortigiani per tema della compagnia</i></td> <td class="pag"><a href="#cap96-7">330</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVII. Come il re Luigi da Messina tornò a Napoli</i></td> <td class="pag"><a href="#cap97-7">331</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCVIII. Come si perdè Governo a’ Mantovani</i></td> <td class="pag"><a href="#cap98-7">332</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> XCIX. Come i signori di Milano presono Borgoforte, e assediarono Mantova</i></td> <td class="pag"><a href="#cap99-7">333</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> C. Come il cardinale Egidio passò per Firenze</i></td> <td class="pag"><a href="#cap100-7">335</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CI. Come per i cardinali non si fe’ nulla della pace de’ due re</i></td> <td class="pag"><a href="#cap101-7">337</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CII. Come fu impiccato il conte di Minerbino</i></td> <td class="pag"><a href="#cap102-7">338</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CIII. Come fu preso Minerbino</i></td> <td class="pag"><a href="#cap103-7">339</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i><span class="smcap">Cap.</span> CIV. Come i Genovesi mandarono in Sardigna venti galee per racquistare la Loiera, e non poterono</i></td> <td class="pag"><a href="#cap104-7">340</a></td>
- </tr>
-</table>
-
-<hr>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<table class="errata">
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>&#160;</td> <td>ERRORI</td> <td>CORREZIONI</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6" class="center">TOMO III.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="6">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>p.</td> <td class="num">57</td> <td>v.</td> <td class="num">21</td> <td>dimostare</td> <td>dimostrare</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">124</td> <td>—</td> <td class="num">6</td> <td>e a avuti</td> <td>e avuti</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">257</td> <td>—</td> <td class="num">27</td> <td>si sfo (In alcune copie)</td> <td>si sfor-</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">275</td> <td>—</td> <td class="num">24</td> <td>stamapanare, e</td> <td>stampare, e</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>—</td> <td class="num">277</td> <td>—</td> <td class="num">24</td> <td>avversaro</td> <td>avversario</td>
- </tr>
-</table>
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate in
-fine libro sono state riportate nel testo.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CRONICA DI MATTEO VILLANI, VOL. III</span> ***</div>
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