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-The Project Gutenberg eBook of La vigna vendemmiata, by Antonio
-Beltramelli
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you
-will have to check the laws of the country where you are located before
-using this eBook.
-
-Title: La vigna vendemmiata
-
-Author: Antonio Beltramelli
-
-Release Date: August 19, 2022 [eBook #68788]
-
-Language: Italian
-
-Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team
- at http://www.pgdp.net (This file was produced from images
- made available by The Internet Archive)
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VIGNA VENDEMMIATA ***
-
-
- ANTONIO BELTRAMELLI
-
-
- LA VIGNA
- VENDEMMIATA
-
- NOVELLE
-
-
-
- MILANO
- FRATELLI TREVES, EDITORI
- 1919
- —
- Secondo migliaio.
-
-
-
-
- PROPRIETÀ LETTERARIA.
-
- _I diritti di riproduzione e di traduzione sono
- riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia,
- la Norvegia e l’Olanda._
-
- Milano, Tip. Treves.
-
-
-
-
-LA PACE.
-
-
-Erano due brigate, due parti in eterna contesa come chi dicesse il
-fuoco e l’acqua. La vita in comune non poteva essere accettata con
-sopportazione. Dove appariva un piccolo Borghigiano c’era sempre un
-piccolo Sobborghino che s’incaricava di fargli i versacci o viceversa.
-E la cosa era vecchia quanto l’anima dell’uomo, nè accennava a
-tramutare. I cronisti più antichi parlavano dei Borghigiani e dei
-Sobborghini e narravano come le loro fraterne lotte finissero tanto
-sovente con morti e lutti, che i capitani, i podestà, i signori del
-popolo avevano emanato a più riprese leggi e bandi e divieti per far
-cessare l’ebdomanaria impresa, ma invano.
-
-Tanto i Borghigiani come i Sobborghini erano innamorati dei loro ludi,
-delle bellicose tradizioni, degli odî inveterati e non potevano nè
-sapevano farne a meno. Così, oltre il volere dei reggenti, di secolo
-in secolo, giù per i millenni l’usanza si era perpetuata e ancora,
-per quanto i nuovi tempi e le freschissime dottrine avessero attenuata
-l’antica asprezza dei rapporti, non v’era Borghigiano che non nutrisse
-un velato disprezzo per un Sobborghino e viceversa. La medaglia era
-identica su le due facce.
-
-Ho detto imprese ebdomanarie e usava infatti, al tempo degli arieti e
-delle catapulte, al tempo dei castelli e dei fossati, usava che alla
-sera di ogni sabato, piacendo al buon Dio, una brigata di Borghigiani
-si imbattesse in una brigata di Sobborghini, dato il quale incontro
-e la lièta disposizione degli animi ne nasceva tale intesa fraterna
-che l’una brigata si lanciava sull’altra e, perchè non vi fosse
-dubbio su l’intenzione, si affrettava a suonar certi colpi, a sferrar
-certe mazzate, a picchiare con tanta foga e sì dolce ardimento che
-il campo risuonava in breve di strida e di urla e di incitamenti e
-di imprecazioni. Scorreva il sangue. Qualcuno cadeva. Il rumore era
-grande. E quando le parti parevano soddisfatte si separavano e ciascuno
-si portava via i propri feriti. Seguiva una tregua fino al sabato
-venturo, nel qual sabato, piacendo a Dio, si ricominciava la sinfonia.
-
-Da che derivasse la gioconda consuetudine nessuno sapeva e men può
-saperlo la critica moderna. I cronisti sono oscuri; narrano e non
-ricercano. Gli archivi non hanno rivelato mai documenti che lumeggino
-il problema. La tradizione popolare canta le sue gesta ma non si occupa
-della causale delle medesime. Buio perfetto adunque e nel buio le due
-brigate che menavano le mani nei secoli dei secoli, in tutti i costumi,
-sotto tutti i Governi, nonostante tutte le proibizioni.
-
-La città che non nomino ma che ha d’altra parte molte consimili
-fra l’Alpe e i due mari, godeva adunque, da immemorabile tempo, del
-giostrare de’ suoi due sobborghi e per tali giostre andava nominata
-nei dintorni e nelle lontananze. Si sapeva, ad esempio, che il dialetto
-dei Borghigiani non assomigliava affatto al dialetto dei Sobborghini,
-pur vivendo entrambe le brigate entro i confini di una stessa fossa;
-correvano per il mondo circostante, come corrono tuttavia, benchè
-l’antico spirito sia ormai cosa morta, i lazzi e le burlesche calunnie
-di cui l’una parte si compiaceva di adornar l’altra e viceversa. I
-Borghigiani avevano, ad esempio, nel loro rione un magnifico campanile
-a cono, alto settantacinque metri e più, tanto che imperava su tutti i
-compagni della città. Tale campanile ridestava il loro giusto orgoglio.
-Ora siccome i Sobborghini non ne avevano uno compagno da poter opporre
-e si vedevano impossibilitati a rapire quello dei Borghigiani, andavano
-narrando a beffa che costoro per far crescere il loro campanile ogni
-anno più, venivano concimandolo ad ogni autunno coi frutti di tutte
-le stalle del rione tanto da accumulargli intorno una montagna di
-letame poi come con le abbondanti piogge autunnali il letame scemava,
-lasciando sui muri la traccia del suo antico livello, i Borghigiani
-si adunavano a festa e facevano suonare tutte le campane, e danzando e
-cantando e trepestando gridavano:
-
-— È cresciuto!... È cresciuto!...
-
-I Sobborghini, in luogo del campanile, avevano un fiume che
-attraversava il loro rione e ne erano naturalmente orgogliosi. Durante
-l’estate le brigate vi si rinfrescavano, ma con l’autunno e con le
-piogge v’era sempre la minaccia dell’inondazione. Ora i Borghigiani per
-beffare il coraggio leonino dei Sobborghini narravano come in tempo
-d’autunno questi ultimi andassero sempre armati dei loro schioppi e
-che, al minimo accenno di fiumana, corressero ad assieparsi sul ponte,
-e dal ponte, gridando e bestemmiando e facendo i più orribili ceffi che
-si fossero veduti mai, tempestassero l’acqua di schioppettate tantochè
-il povero fiume, vistosi assalito in sì mala guisa, tutto spaurito e
-sbigottito, cessava di scorrere al mare, e volto il corso turbinoso se
-ne ritornava alla nativa montagna.
-
-E i Sobborghini narravano come in un inverno frigidissimo, in cui
-la neve era caduta in tanta abbondanza da seppellirne le case, i
-Borghigiani, per impetrare pietà dal Signore e liberarsi dal malanno,
-erano usciti su la loro piazza e avevano pregato un maestro di pietra,
-che si trovava a passare dal luogo, di far loro un Cristo di neve.
-
-Il Cristo era stato fatto e tanto era parso bello ed amabile ed
-adorabile nel suo lucente candore che avevano pensato di serbarlo. Ma
-come serbarlo?... Gli anziani si erano adunati; fu tenuto consiglio e,
-per giudizio delle persone più assennate, fu deciso che il Cristo di
-neve sarebbe stato cotto al forno.
-
-— Una volta cotto è salvato! — dissero gli anziani.
-
-E il popolo disse:
-
-— È giusto!
-
-Fu riscaldato un gran forno fino ad arroventarlo e quando apparve
-bianchiccio dal calore il Cristo fu infornato di botto e tappato chè
-non dovesse uscire.
-
-E le donne pregavano e gli uomini sognavano la bellezza del loro
-Cristo bianco come la nube. Trascorsa l’ora necessaria alla cottura i
-Borghigiani si accostarono a capo scoperto addensandosi e, trepidando,
-attesero. Il più vecchio fra tutti si fece il segno della croce,
-afferrò il manico della serranda, lo trasse a sè religiosamente,
-guardò. Mille occhi si affissarono co’ suoi ricercando per entro il
-tenebrore la ben nota forma, ma non fu visto se non un po’ di bagnato.
-Allora un:
-
-— Oooooh! — lungo, incredulo, stupefatto si levò dai Borghigiani
-assiepati, e l’anziano che aveva tolta la serranda si rivolse e disse:
-
-— Ha fatto pipì e se n’è andato!...
-
-E il popolo giurò sul verbo del maestro e fu creduto che il Cristo di
-neve avesse fatto pipì e se ne fosse andato.
-
-I Borghigiani a loro volta narravano come i Sobborghini avendo un
-giorno deciso di atterrare una vecchia torre, l’avessero legata con un
-fil di lana e, afferrato il filo, come questo cedeva, si fossero dati a
-gridare:
-
-— Viene!... Viene!...
-
-Finchè non andarono tutti ruzzoloni. E così le reciproche gagliofferie
-erano squisitamente esaltate da parte a parte e correvano il mondo,
-animando le brigate, che ne facevano allegra festa.
-
-Poi, col passar dei secoli, le cose vennero modificandosi, ma l’antica
-aspra scissura non si appianò e non è appianata tuttavia; non che le
-antiche baruffe si rinnovino, ma un Borghigiano preferirà sempre un
-Borghigiano a un Sobborghino e viceversa.
-
-Una volta non si facevano mai matrimoni fra le due parti, ora se ne
-fanno; una volta, a una certa ora di notte, un abitante di uno fra i
-due rioni in contesa non si attentava di avventurarsi nel rione nemico;
-ora i Borghigiani bazzicano per le osterie dei Sobborghini e viceversa.
-Le cose han mutato segno ma l’antica tradizione non è morta tuttavia:
-abbandonata dagli uomini è scesa in retaggio ai fanciulli.
-
-Così le due masnade di marmocchi facevano onore ai loro bisnonni,
-tempestandosi di santa ragione ogni qual volta si scontrassero. Certi
-poveri piccoli cristi ostentavano con rassegnata fierezza le loro
-innumerevoli lividure, ma ciò non formava impedimento. Bastava che
-Vituperio o Scampoli, i condottieri delle due masnade, lanciassero il
-loro grido di guerra perchè dalle botteghe, dai negozi, dalle case, di
-fra le immondizie delle strade, sbucassero i componenti le due masnade.
-Le mura, il greto del fiume, la piazza d’Armi erano i luoghi dei loro
-scontri. Le baruffe non avevano termine se non quando l’una delle
-due parti fosse volta in fuga ed inseguita fin dove gli uomini non si
-potessero intromettere coi loro irriducibili scapaccioni.
-
-Naturalmente, ad ogni nuova baruffa, seguiva il parapiglia delle
-comari, che si vedevano ritornare i loro eredi malconci. Fierissime
-strida si levavano di catapecchia in catapecchia e la maggior parte
-delle volte i belligeranti venivano sottoposti a una nuova dose di
-legnate.
-
-Ma l’onor della parte faceva lieve ogni supplizio. E sempre, dove
-appariva un Sobborghino sbucava un piccolo Borghigiano a fargli i
-versacci.
-
-Così stavano le cose quando nacque bellamente al mondo la guerra
-libica. L’entusiasmo delle due masnade fu grande. Per qualche tempo
-Vituperio e Scampoli pensarono di riunire i loro gianizzeri e di
-andarsene per davvero in Libia, ma quando la cosa apparve impossibile,
-perchè dove ne parlarono non si ebbero che risa e rabuffi, dimettendo
-il pensiero della lega, ricominciarono a guardarsi in cagnesco. E
-furono nemici più di prima. Questo era naturale perchè tutti e due,
-sognando giorno e notte i turchi e non potendoli aver sottomano, furono
-predisposti a vedere, nella parte avversa, un’orda turchesca. Non
-vi fu intesa fra di loro; la cosa maturò di per se stessa; bisognava
-combattere.
-
-Furon quelli i giorni in cui le botteghe furon maggiormente disertate,
-in cui i garzoni dei ciabattini, dei falegnami e dei fabbri furon
-licenziati con maggior frequenza, in cui le catapecchie risuonarono di
-violenti rabuffi; ma che importava? Bisognava combattere. E i marmocchi
-combattevano. Come fare altrimenti se tutti i giorni avevano sotto gli
-occhi lo spettacolo dei grandi che partivano per andare alla guerra? Se
-i turchi erano in Libia potevano essere anche dietro le mura della loro
-città ed ogni Sobborghino fu turco per i Borghigiani e viceversa. Fu
-bandita la crociata. Nessuno più mantenne la foga della marmocchieria
-battagliera, nè i padri nè le madri, nè la coalizione degli adulti.
-Furono schiaffi e pugni, una robusta meraviglia. Vituperio e Scampoli
-affinarono la loro arte guerresca, ne toccarono e ne dettero finchè un
-bel giorno, dopo mesi e mesi di lotta, risuonò la novella della pace.
-
-La pace? Vituperio e Scampoli adunarono i loro marmocchi e tennero
-consiglio. Era la prima volta, nei secoli dei secoli, che fra
-Borghigiani e Sobborghini si parlava di una simile cosa. Eppure se la
-pace l’avevano fatta gli altri, i grandi, doveva ben essere una cosa
-seria. Furono sospese le ostilità, e una bella domenica Vituperio e
-Scampoli, ciascuno a capo della propria turba, si diressero per strade
-diverse ad uno stesso luogo.
-
-Il luogo prescelto era la piazza d’Armi.
-
-Scalzi, con gli enormi berretti appartenuti già a tutta una generazione
-di adulti innanzi di scendere sulle loro orecchie, con certi giubboni
-sbrindellati che si affloscivano giù giù per le stremenzite persone,
-fino alla caviglia; senza camicia, senz’altro se non il loro buon
-umore, si adunarono e partirono. Baiocco, Fringuello, Martufo,
-Piedipiatti, Boccatorta, Frosone, Virgola, Cartoccio, ciascuno col
-proprio nomignolo, come con un singolare adornamento, se ne andò a
-testa alta. C’era il signor Sole. Essi adoravano il signor Sole, come
-la signora Luna e come ogni cosa che fosse lucente. Erano come la gazza
-e la cornacchia. Qualche donna si fece su la porta.
-
-— Dove andate, canaglie, rompicolli, avanzi di galera?
-
-I marmocchi non risposero e non fecero sberleffi. Un altro giorno forse
-avrebbero scaricato sulla linguacciuta comare tutto il vocabolario
-dei loro improperi, ma quel giorno no. Andavano a far la pace e c’era
-il signor Sole. Essi lo chiamavano così perchè la parola _signore_
-significava per loro una cosa grande e lontana. Ciò che avrebbero fatto
-e detto non lo sapevano, ma Virgola cantava e Piedipiatti gonfiava le
-gote ad imitar la banda.
-
-Scampoli aveva le mani in tasca, ciò voleva dire che pensava. Quando
-Scampoli pensava doveva essere in vista qualcosa di grosso.
-
-Boccatorta chiese a Frosone:
-
-— E dopo?
-
-— Dopo che?
-
-— Dopo, quando la pace sarà fatta?
-
-— Ebbene?
-
-— Che cosa si farà?
-
-— Io credo che ci bastoneremo in un altro modo!
-
-Boccatorta sputò e Frosone dette una spinta a Fringuello perchè non
-camminava. Ne nacque un battibecco e volò qualche pugno. Scampoli non
-si rivolse, fu Martufo che s’interpose e separò i contendenti:
-
-— Non vi fate male!... Pensate che avete una famiglia!...
-
-Frosone non aveva nessuno e Fringuello viveva con una vecchia zia che
-non sapeva di averlo. Ma si rappacificarono perchè ciascuno credeva di
-avere una famiglia là dove andava a dormire, fosse pure sotto l’arco di
-una porta o in un loggiato.
-
-Guardarono il fiume. Qualcuno si soffermò a raccogliere qualche
-sasso lucente. Salirono la sponda opposta e Virgola cantava sempre e
-Piedipiatti gonfiava le gote a imitar la banda.
-
-Baiocco disse a quest’ultimo:
-
-— Vuoi finirla di sbuffare come un bue?
-
-Piedipiatti rispose:
-
-— No!... — E intonò l’inno di Garibaldi.
-
-— _Taracin, taracin, taracin._
-
-Allora, per lo spirito suo repubblicano, anche Baiocco cominciò a
-cantare. Le foglie erano color d’oro. Un pettirosso e un forasiepe
-volaron pei rami bassi a guardare. C’erano tre piccole nubi che
-correvano verso il sole, tutte scapigliate. Le montagne turchine pareva
-si fossero levate a fare una bella corona al cielo limpido.
-
-Cispola, che era il più piccolo, guardò un contadino che passava con
-una vacca e per associazione di idee disse:
-
-— Ho fame!
-
-Ma nessuno gli badò. Pancaccia ebbe un grande sbadiglio.
-
-E arrivarono in vista della piazza d’Armi. Quando videro le mura del
-Tiro a segno, qualcuno chiese:
-
-— Ci sono?
-
-Fu risposto:
-
-— Sì, ci sono.
-
-Infatti i Borghigiani erano in fondo al prato, immobili.
-
-— Che cosa fanno? — chiese Virgola.
-
-— Non vedi?... — mormorò Pancaccia. — Aspettano la pace!...
-
-Scampoli camminava sempre con le mani in tasca e così continuò a
-camminare fino a metà del prato e la sua turba dietro.
-
-Quando fu giunto a metà del prato si fermò. I Borghigiani non si
-movevano. Si vedeva benissimo Vituperio fermo innanzi ai suoi. Stettero
-così qualche tempo.
-
-— Be’?... — fece Baiocco accostandosi a Scampoli.
-
-— Be’, che cosa?... — domandò Scampoli rivolgendosi.
-
-— Che facciamo?
-
-— Si aspetta.
-
-— Ma anche gli altri aspettano!
-
-— Hai visto? — disse Fringuello. — Hanno inalberata la bandiera bianca!
-
-Si vedeva infatti un cencio pendere dalla cima di una canna.
-
-— Chi ha un fazzoletto? — fece Scampoli rivolgendosi.
-
-Nessuno rispose.
-
-— Chi ha la camicia? — riprese Scampoli.
-
-— Io! — disse Cispola.
-
-— Dalla qua.
-
-E Cispola fu costretto a togliersi la camicia che era turchina. Non vi
-si badò. Qualcuno trovò una canna e la bandiera fu fatta.
-
-Allora i Borghigiani si mossero con Vituperio alla testa. Anche
-Scampoli si mosse con i suoi.
-
-Quando le due masnade furono a dieci passi si soffermarono.
-
-Tanto i Borghigiani come i Sobborghini ridevano.
-
-— Che c’è da ridere? — domandò Scampoli.
-
-— E voi altri perchè ridete? — rispose Vituperio.
-
-Passò un silenzio. Scampoli e Vituperio si fecero innanzi. Le due
-masnade si guardavano con occhi da locomotiva.
-
-E Scampoli disse:
-
-— Facciamo pace?
-
-— Facciamo pace! — rispose Vituperio.
-
-E i condottieri si teser la mano, veduta la qual cosa i marmocchi
-d’ambo le parti si spinsero gli uni contro gli altri e cominciarono a
-baciarsi, ad abbracciarsi che era una meraviglia vederli.
-
-Se ne andarono insieme e parevano in verità tutti fratelli. Giammai un
-Borghigiano aveva avuta tanta esuberanza d’amore per un Sobborghino.
-La secolare antinomia, la lotta senza quartiere, ecco, aveva trovata
-la sua fine, la pace trionfava su la guerra; un sentimento umano su la
-barbara usanza sanguinaria.
-
-I marmocchi non sapevano e non pensavano questo, erano allegri per
-la cosa nuova, per il loro numero accresciuto, per il signor Sole che
-rideva sempre compiendo la sua strada nel turchino. E tutto pensarono
-fuorchè a riprender la strada delle loro case.
-
-Attraversarono campi e fossati, presero a sassate i cani, insolentirono
-i bifolchi per la superiorità che ogni marmocchio cittadino sentiva
-di avere su la gente del contado, devastarono qualche vigneto, fecero
-quanto più danno poterono per il loro amore che non era l’amore degli
-altri. E così camminando, piroettando, cantando, devastando, giunsero,
-ebbri di pace e di fratellanza, ad una città vicina.
-
-Come ne vider le mura sostarono. Vituperio disse:
-
-— Entriamo a portar la pace anche fra i Tonti?
-
-— Sì!... — gridaron le masnade. — Evviva la pace!...
-
-E in verità parevano tanti piccoli Arcangeli in Cristo, illuminati di
-grazia e di soavità.
-
-Scampoli raccolse un ramo di ulivo. L’esempio suo fu imitato. In
-breve la povera pianta, per la pace degli uomini, fu dispogliata da’
-suoi rami. Poi si posero in ordine, a quattro a quattro, e ciascuno
-recava il suo ramo di ulivo. In mancanza di meglio intonarono un coro
-scolastico:
-
- Noi siamo piccoli ma cresceremo....
-
-E a gola aperta, fra lo strepito del canto stonato, agitando alte le
-loro rame si diressero verso la porta medioevale della città dei Tonti.
-
-Due piccoli Tonti li accolsero con uno sberleffo; un altro disse loro:
-
-— Che cosa venite a fare in casa nostra?
-
-Ma gli apostoli non intesero o finsero di non intendere. Varcarono le
-mura cantando sempre e credevano di andare incontro ad un’accoglienza
-trionfale, senonchè i Tonti, avvertiti dal frastuono, si erano raccolti
-in buon numero e non appena le apostoliche masnade avevan posto piede
-nella loro città che incominciò la più tempestosa sassaiuola che queste
-avesser dovuta subir mai.
-
-— Siamo amici! — gridò Vituperio. — Vi portiamo la pace!
-
-— La pace!... La pace!... — gridarono le masnade.
-
-E allora un brutto piccolo rospo della famiglia dei Tonti, un segnato
-da Dio, con un occhio cieco, la bocca torta e sciancato, come udì il
-grido si fece innanzi e in un momento di tregua gridò:
-
-— Che cosa volete?...
-
-— La pace!
-
-Lo sgorbio umano ebbe un riso sinistro, si pose la mano alla bocca e
-rispose con un suono inarticolato.
-
-I Tonti risero.
-
-Vituperio e Scampoli allibirono. Piedipiatti disse:
-
-— Torniamo indietro.
-
-Vi fu un momento di scompiglio e ancora le masnade dell’amore non si
-erano rifatte dalla loro sorpresa che una seconda frotta di Tonti,
-armati di randelli, sbucò da un vicolo, assalì i pacifici Borghigiani e
-Sobborghini e, senza che essi potessero reagire, li conciò nel più malo
-modo possibile.
-
-La rotta fu vergognosa e disperata. E da quel giorno, per il dolce
-volto di madonna Pace, la Guerra non fece che un inchino ai suoi vecchi
-messeri e cambiò luogo se non cambiò costume.
-
-Borghigiani e Sobborghini furono alleati contro i Tonti, tanto è vero
-che tutto è parziale al mondo e l’universalità è una utopia.
-
-
-
-
-LO SPAVENTA PASSERI.
-
-
-Seduto in mezzo al campo, presso la croce di canna elevata a porre il
-seminato sotto la protezione del Signore, lo squallido vecchio aveva
-a quando a quando un rauco grido e levava a stento un suo vinciglio,
-fra le mani anchilosate. Incurvo il mento sul petto, tutto pervaso dal
-tremito della paralisi, attendeva al suo còmpito dall’alba al tramonto,
-da quando i passeri scendevano dai loro rifugi fino all’ora in cui vi
-ritornavano con un frullo, mentre suonava un’Ave.
-
-Era il tempo dell’estremo autunno, chè novembre traeva l’invernata dai
-cieli preclusi, con le nebbie, le brine e le burrascose furie di Borea.
-Anche i pettirossi se ne andavano con le ultime foglie e le nostalgiche
-voci delle giovinette cantavan la leggenda di Solicello che muore
-impigliato fra i roveti.
-
-La terra si mostrava ignuda fra zone di basse nebbie o nei magici
-bagliori della galaverna. E fra le nebbie e la galaverna, sotto
-l’esigua croce di canna, rattrappito, bistorto, ravvolto come un ramo
-secco, padron Veli attendeva la sua morte in mezzo al campo seminato.
-Nè pregava Iddio che l’affrettasse, nè vedeva cosa che gli paresse
-ingiusta anche in quella sua postrema sofferenza.
-
-Vegeto e sano aveva sempre pensato, come i suoi tre figli, che tanto
-ci si può prender cura di un uomo quanto utile può rendere; ed ora
-che si vedeva immobilizzato dal male su di una sedia, più gli sarebbe
-parso atroce essere come l’aratro arrugginito o come lo stollo fracido
-che non regge il suo mucchio anzichè giovare, in quel modo che poteva,
-a coloro che avevano preso il posto di lui. Così s’illividiva sotto i
-plumbei cieli tranquillamente, levando a quando a quando un rauco grido
-o il rossigno vimine a spaventare i passeri che non vedeva ormai più
-perchè gli occhi suoi non gli mostravan del mondo se non un’immagine
-smorticcia, una teoria di fantasmi evanescenti dall’ombra densa.
-
-E Maiore e Pietro e Benedetto utilizzavano il vecchio in tal modo,
-contenti dell’opera loro e di quel qualsiasi utile che ne ritraevano.
-
-Erano costoro tre uomini scalati come tre canne di una zampogna, ma
-di uguale tipo e di anima uguale, se ben poteva dirsi anima il vago
-baglior di vita che appena schiariva la loro grossezza. Ridevan di
-nulla così come il minimo suono s’ingigantisce nelle stanze vuote,
-l’un dopo l’altro con la bocca aperta e gli occhi tondi: avevan quella
-semplicità la quale confina con l’ebetudine, ma solo fino al punto in
-cui non entrasse in gioco il loro tornaconto.
-
-Infaticati come la bestia a coltivare il campo e la vigna, consideravan
-sè stessi a simiglianza degli altri, a seconda dell’utile che potevan
-dare, nè avevan tolto moglie perchè più pane avrebbe consumato una
-donna che non ne avrebbe reso. Così conducevano la casa da soli,
-compiendo ogni opera femminile, perfettamente.
-
-Nel contado li chiamavan gli Scalzi e infatti fino ai giorni del più
-rigido inverno andavan scalzi e solo allora infilavano gli zoccoli
-quando la neve era per le vie. Nè possedevan mantelle a ripararsi dai
-rigori del gennaio, nè ferrajoli, nè altra veste che non fosse una
-pelle di pecora la quale avevan cucita alla meglio e che infilavan
-sulla giacchetta a volta a volta, chè ne possedevano una sola.
-
-Il loro mondo era in tale avarizia, all’infuori della quale nessuna
-cosa più li toccava o li commuoveva e non sapevan che ridere.
-
-Così quando padron Veli, il padre loro venerando, fu ridotto fra il
-letto e la sedia, incapace a qualsiasi opera, i tre Scalzi sentirono
-appesantirsi sull’anima loro la nube di quella vecchiaia dannosa e,
-tardando la morte a render giustizia, strologarono nel pensier loro il
-modo di far servire a qualcosa il malato.
-
-Fu Maiore che una mattina, all’alba, levato col canto del gallo, disse
-a Pietro:
-
-— Prendi il vecchio e portalo con te.
-
-— Dove?
-
-— Nel campo.
-
-Pietro trasse padron Veli dal letto e se lo caricò sulle spalle. Questi
-non fiatò, tremava soltanto, ma per la sua paralisi.
-
-Poi Maiore chiamò Benedetto e gli disse:
-
-— Prendi una sedia e vieni con me.
-
-— Dove?
-
-— Nel campo.
-
-Maiore si caricò di tre marre e andarono. Traversata l’aia, seguendo le
-redole, giunsero al campo della croce che era il più grande.
-
-Avevano seminato il giorno prima. Maiore andava innanzi. Quando fu
-presso la croce disse a Benedetto:
-
-— Metti la sedia qui.
-
-Fu fatto. Maiore la piantò bene sulla terra smossa chè non avesse a
-rovesciarsi, compiuta la qual opera, disse a Pietro:
-
-— Vien qua. Fa sedere il vecchio. Spaventerà i passeri.
-
-Padron Veli capì solo allora che cosa gli preparavano e non si dolse
-della cosa, come non si sarebbe dispiaciuto anco se l’avesser sepolto.
-
-Come fu seduto, Maiore gli disse:
-
-— Voi siete quasi cieco ma non importa. I passeri avranno paura di voi.
-Badate al grano. Se avrete fame vi ho messo il pane in tasca. Qui c’è
-la fiasca dell’acqua. Verremo a prendervi questa sera.
-
-Padron Veli non parlava più e non potè rispondere; continuò a tremare,
-la testa inchiodata al petto, le braccia penzoloni. Ma per quel che
-capì fu soddisfatto. Maiore si fermò à guardarlo. Disse a Benedetto:
-
-— Va a tagliare una rama.
-
-Benedetto andò in un filare e tornò con un vimine rossigno. Maiore lo
-pose nelle mani del vecchio e disse ancora:
-
-— Tenete questa rama. Vi farà buono per i passeri!
-
-Poi raccolse la marra, Pietro e Benedetto fecero similmente e senza
-rivolgersi se ne andarono all’opera loro.
-
-Padron Veli rimase in mezzo al seminato col suo vimine sanguigno. Su le
-prime non si rimosse, stette con le braccia abbandonate, istupidito,
-senza saper come eseguire degnamente il compito nuovo, chè nulla
-vedeva se non l’ombra degli alberi, sul cielo, e un mare grigiastro
-ed uniforme; poi a qualcosa che trasentì e che non seppe comprendere
-nell’ombra sua moritura, mandò un grido rauco e levò il vinciglio
-e così fece e continuò fra lunghe pause finchè giunse la sera e lo
-riportarono via.
-
-Il nuovo costume non fu più dimesso. Ad ogni alba gli Scalzi partivano
-col vecchio paralitico e ritornavano col tramonto. E fra le ultime
-foglie che le raffiche si portavano via frullando, fra lo strido dei
-forasiepe, l’argento delle brine, il grave aduggiarsi delle nebbie
-Padron Veli attese la sua morte che non poteva mancare.
-
-Ma egli era di salda radice e il freddo e l’umido e la nebbia e
-la pioggia non l’abbatterono. Anche quando scendeva sulla terra la
-caligine livida, sì che non vedeva la cinta degli alberi, i tre Scalzi
-che lavoravano nel campo vicino, udivano uscire dal fitto velo della
-foschia il grido del vecchio; e pareva giungesse di tanto lontano
-che già la morte l’avesse serrato e condotto giù per le sue fosche
-contrade.
-
-E Maiore diceva alludendo al vecchio:
-
-— Lavora bene!
-
-E Pietro e Benedetto assentivano.
-
-Poi giunsero le piogge e il còmpito di padron Veli parve esaurito. Dal
-primo giorno in cui il cielo si oscurò per non aver più sole il vecchio
-fu posto in una panca, vicino al focolare spento. Faceva freddo, ma
-in casa degli Scalzi il fuoco non si accendeva mai se non per cuocere
-le vivande. Quel giorno non v’erano vivande da cuocere e padron Veli
-tremava presso la cenere del focolare e aveva il volto illividito
-come quando sedeva in mezzo al seminato, fra il turbinìo del vento.
-Gli occhi gli si erano ormai chiusi e non udiva intorno che il ronzìo
-cupo delle sue stanche vene. E quel ronzìo gli figurò lo svolare e il
-pigolar dei passeri fra la sementa. Alzò un braccio, ad un tratto e
-mandò il suo rauco grido.
-
-Maiore levò il capo di su lo spianatoio e si volse a guardare. Così
-fecero Pietro e Benedetto, ma non corse parola. Dall’angusta finestra
-chiusa da un’impannata, entrava appena uno scialbo livore di luce. E,
-fra i colpi del telaio, si udiva il gran pianto del giorno senza sole.
-
-Fu una pausa durante la quale Padron Veli continuò a tremare nella sua
-solitudine moritura, poi con lo stanco gesto del braccio il suo rauco
-grido empì di nuovo la stanza.
-
-Benedetto ristette, la spola in una mano, e domandò:
-
-— Che ha il vecchio?
-
-Disse Maiore:
-
-— Si sogna!
-
-E lo guardarono un poco in silenzio. Padron Veli non vedeva e
-non udiva; udiva solamente gli immensi stormi dei passeri voraci
-cinguettare, cantare, svolare in una persecuzione senza tregua, penosa,
-e i campi erano devastati, sotto la croce di canna coronata dal candor
-della brina.
-
-Solo al quinto, al sesto grido, Maiore disse:
-
-— Si pensa di essere nel seminato e lavora!...
-
-Pietro e Benedetto risero e nessuno pensò più alla cosa. Padron Veli
-continuò nel gesto e nel grido automatico, seduto innanzi la cenere del
-focolare, illividito dal freddo, sperduto nell’ultima sua visione di
-tormento.
-
-Ma al secondo e al terzo giorno, come il maltempo non accennava a
-tramutare e il vecchio a ravvedersi, Maiore disse:
-
-— Bisogna avvertirlo che non è più nel campo!...
-
-E Pietro e Benedetto risposero:
-
-— Sì!
-
-Bisognava avvertirlo e Maiore si accostò a padron Veli, gli battè una
-mano sulla spalla, gridò:
-
-— Vecchio, siete in casa, qui non ci sono i passeri!... — Pietro e
-Benedetto ridevano. Padron Veli non intese, non poteva intendere, tremò
-un po’ più forte senza rispondere.
-
-E Maiore:
-
-— Avete capito?... Non gridate più che non c’è bisogno!...
-
-E l’opera diuturna fu ripresa, ma il vecchio Veli non aveva inteso.
-Egli non viveva ormai più se non nella sua estrema visione.
-
-Allora i tre figli si dissero:
-
-— Chiamiamo Puntèrla chè lo faccia tacere con le sue erbe!
-
-E Puntèrla giunse. Era questi un semplicista e aveva grande rinomanza
-per le campagne, chè le sue guarigioni erano prodigiose. Giunse e
-guardò padron Veli. Maiore, Pietro e Benedetto gli stavano intorno con
-la bocca tonda.
-
-Maiore domandò!
-
-— Potrete guarirlo senza farci spendere?
-
-Disse Puntèrla:
-
-— È vecchio!
-
-I tre figli assentirono.
-
-E Maiore chiese:
-
-— Che cosa potremmo dargli?
-
-Puntèrla disse:
-
-— Morirà!...
-
-I tre figli assentirono. Già, era giusto che dovesse morire perchè era
-troppo vecchio.
-
-Ora padron Veli urlava sempre più forte e la sua paralisi lo faceva
-traballare sulla sedia.
-
-— Vedete come trema? — disse Puntèrla. — Ha il male della spingarda?
-
-— Della spingarda?
-
-— Sì — fece il sapiente di semplici. — Bisognerebbe farlo sudare!...
-
-— Non basterebbe qualche pillola?
-
-— No. Fatelo sudare!...
-
-E Puntèrla si ravvolge nel suo ferraiolo. Quando fu sulla porta Maiore
-gli pose fra le mani due uova e disse:
-
-— Prendete per il vostro incomodo!
-
-Puntèrla intascò le uova senza dir parola e scomparve.
-
-Come rimasero soli, Maiore pensò per qualche secondo, poi disse ai
-fratelli:
-
-— Aspettatemi qui! — E uscì sotto il portico.
-
-Per circa mezz’ora Pietro e Benedetto lo udirono andare e venire senza
-sapere che si facesse. Padron Veli era sempre più agitato e le sue urla
-aumentavano d’intensità.
-
-Di repente la porta che immetteva nel portico si aperse, e Maiore
-apparve, vermiglio in volto.
-
-Disse ai fratelli:
-
-— Prendete il vecchio!
-
-Pietro e Benedetto ubbidirono senza domandare, com’erano soliti, chè
-Maiore poteva avere il comando, essendo il primo nato.
-
-Sollevarono padron Veli fra le braccia e uscirono. Maiore andava
-innanzi. In un angolo del portico era aperta la nera bocca del forno.
-
-— Che facciamo? — domandarono i fratelli.
-
-— Portatelo qua! — disse Maiore.
-
-Padron Veli aveva gli occhi serrati. Quando
-
-furono innanzi alla bocca del forno Maiore guardò dentro e chiese:
-
-— Potrà starvi seduto?...
-
-Pietro e Benedetto risposero:
-
-— Sì!...
-
-E l’opera fu compiuta. Quando ebbero chiusa la serranda e l’ebber
-tappata intorno con molta mota, ristettero ad ascoltare, tutti e tre
-reclini.
-
-— Ora suda!... Non urla più!... — disse Maiore.
-
-E se ne andarono tranquilli.
-
-Padron Veli sudava infatti dentro il forno serrato e più non udiva il
-cupo ronzio delle sue vene tramutarsi nell’acuto pigolìo dei passeri
-voraci. Il giorno declinò ed i tre fratelli compirono le opere loro
-in pace. Quando fu la sera, Maiore si accostò alla bocca del forno e
-chiamò forte:
-
-— Vecchio?... o vecchio?... Sudate?...
-
-Padron Veli non rispose. Pietro e Benedetto dissero:
-
-— Dormirà!...
-
-— Lasciamolo tranquillo!...
-
-— Sì, lasciamolo tranquillo!
-
-E com’ebber mangiato il loro pan secco sul palmo della mano, se ne
-andarono a dormire, contenti nella loro anima ottusa.
-
-All’alba il gallo rosso cantò presso il fico dispoglio dal quale
-stillava la pioggia. I tre fratelli si levarono e scesero nella stalla.
-
-Com’ebbero governate le bestie era il mattino, e la giornata era
-piovosa.
-
-Dall’aia qualcuno chiamò:
-
-— Oh!... Gli Scalzi!...
-
-— Avanti!... — gridò Maiore.
-
-Entrò Puntèrla.
-
-— Benvenuto! — fece Maiore. — Che volete?...
-
-— Come sta padron Veli?
-
-— Deve star bene perchè ha sudato! Non l’abbiamo sentito più!
-
-— Si può vedere?
-
-— Venite!...
-
-E Maiore e Pietro e Benedetto s’accostarono alla bocca del forno.
-Puntèrla li guardava fare.
-
-Com’ebbero aperta la serranda Maiore disse a Pietro:
-
-— Va a prendere il lume!
-
-Venne il lume e Maiore lo legò in cima a una pertica.
-
-— Ma che avete fatto?... — domandò Punterla, e stralunava.
-
-I tre fratelli si volsero a guardarlo, stupiti. Non risposero.
-
-Maiore spinse la lampada nel forno. Apparve l’ombra del vecchio,
-appoggiata all’incurva parete, ma il volto non si vedeva, non si vedeva
-che il corpo rattrapito, risecchito.
-
-— O vecchio?... — chiamò Maiore. Passò un silenzio e padron Veli non
-rispose a quella e alle nuove chiamate. Allora Maiore levò la lampada
-fin presso il volto del taciturno e, nella luce rossastra, l’orrendo
-volto apparve di un subito, come dal fondo di un sepolcro millenne.
-Non era più inchiodato al petto, ma levato fino alla vôlta del forno e
-gli occhi erano sbarrati e i capelli irti e le mascelle contratte e la
-bocca socchiusa e stirata sulle vuote gengive. Impietrito nello spasimo
-era segnato nei solchi e nell’ossa e nella cavità profonda, da una
-forza spaventevole.
-
-Maiore lo guardò tranquillo e chiamò ancora:
-
-— O vecchio?... Non ci sentite?
-
-— Sì che ci sente — sussurrò Pietro. — Guardalo!... Ride!...
-
-E Benedetto:
-
-— Ride!...
-
-E tutti e tre sporsero la testa entro la nera bocca del forno e
-ripeterono adagio, soddisfatti:
-
-— Ride!
-
-Poi, levatisi in un silenzio, si guardarono negli occhi e scoppiarono a
-ridere a loro volta tutti e tre, l’uno di fronte all’altro, inconsci e
-tremendi innanzi alla muta morte che li guatava dalla tenebra.
-
-
-
-
-LA VIGNA VENDEMMIATA.
-
-
-C’era, lungo la casa, una riga di ombra e il sole batteva tuttavia
-sui muri opposti con tanta violenza che l’aria ne era affocata.
-Le finestre e le porte erano chiuse e per la strada non c’era che
-Calandra accoccolato lungo la riga di ombra, presso il muro della sua
-casipola, le ginocchia divaricate, le braccia su le ginocchia e le mani
-penzoloni.
-
-Sonnecchiava. Ogni suo còmpito era esaurito.
-
-Interrotto il sonno, sul far dell’alba, era sorto dallo stramazzo
-bell’e vestito come si coricava e, sbirciata l’Amalia, la quale
-continuava a dormire mezza nuda, appoggiata la larga gota rossa sul
-braccio ripiegato, era disceso alla vigna.
-
-Uomo di tenace fatica, paziente, placido e resistente come il bue, non
-aveva badato alla violenza solare, protraendo il lavoro suo finchè la
-fame imperiosa non lo avesse discacciato di tra i filari.
-
-Ritornato alla casipola sua nel paese, poco dopo mezzogiorno, si era
-fatto alla madia senza cercar di Amalia, e preso un pane, un boccale di
-vinello e un bicchiere, seduto su la panca innanzi alla tavola, aveva
-mangiato il suo pane, pensando ai bei grappoli che avevano alleghito e
-ai pampini superbi.
-
-Ora sonnecchiava presso la soglia, addossato al muro, lungo l’esigua
-ombra delle gronde.
-
-Sul principio, come i suoi piedi scalzi erano ancora nel sole e gli
-ardevano, nè pensava a ritrarli, sul principio aveva udito il ronzìo
-delle mosche e un malo odore entrargli per le nari insistente, ma nè
-l’una cosa nè l’altra erano tali da fargli rivolgere gli occhi o da
-farlo scansare; vi si era adattato calando le ciglia su la sua torpida
-volontà di sonno e di tregua.
-
-Il rotolìo di uno di quei pesanti plaustri vermigli, antichi come
-l’arca e la nave, pieni di ferramenta e solidi a simiglianza dei
-quadrati buoi che li trascinano, non gli fece levar le palpebre di
-sopra gli occhi suoi grigi e piccoli come quelli del cane; un fanciullo
-che trascorse gridando come un invaso dal farnetico, ma solo per la
-barbara gioia di sentirsi vivo, non lo riscosse. Quando Calandra aveva
-chiuso gli occhi sul suo silenzio, era disceso nel torpor del suo
-riposo come nell’immensità del non essere, occorreva una ben diversa
-ragione a farlo levar di repente, diritto nel sole, con la sua piccola
-coscienza.
-
-E così ristava nell’ebetudine della siesta, simile ad un cencio gettato
-sopra una corda tesa, quando, nella casa che gli era dirimpetto, si
-aprì ad un tratto un usciuolo, un braccio si sporse e gettò in mezzo
-alla via il contenuto di un grande orcio rossigno.
-
-Il liquido si espanse per l’aria e giunse fino al muro opposto e piovve
-sul collo, sul petto e su le braccia di Calandra. Questi, al brivido
-inatteso, levò il capo e grugnì e al grugnito sordo fece seguito una
-fra quelle sonanti imprecazioni, sì comuni in Romagna, che possono
-dirsi una più scabra natura di quella gente scabrosa.
-
-Ma Calandra imprecò per l’abito suo di imprecare, così come avrebbe
-presa la marra o guardato l’aspetto del cielo; il brivido che lo aveva
-riscosso violentemente dalla sua torpida vacuità aveva ridesta la parte
-di lui più viva e più inconscia: quella che bestemmiava; era stato come
-un atto riflesso, la conseguenza necessaria di un’azione indipendente
-dalla volontà e nulla più. E con l’innocente imprecare tutto sarebbe
-finito, se la Checca, donna irosa e maligna, non avesse prese per
-sè le sùbite parole di Calandra e, riaperto l’usciuolo che già aveva
-richiuso, non si fosse fatta su la soglia per dimandare a provocazione:
-
-— Che c’è da brontolare?... Con chi l’avete?...
-
-Calandra, che già aveva ripresa la flaccida posa dell’uomo insonnolito,
-levò lentamente le palpebre e guardò la Checca co’ suoi piccoli occhi
-di cane, senza capir che si volesse.
-
-E la donnacola ribattè:
-
-— Dico con voi, sapete!... Che c’è da brontolare?...
-
-Calandra non si scompose, richiuse gli occhi e borbottò:
-
-— Chi brontola?
-
-— Voi!... E mandate degli accidenti a chi non v’ha fatto nulla di male.
-Sarebbe meglio apriste gli occhi sui fatti vostri, povero merlo!...
-
-Calandra non rispose.
-
-— Sì, fate le orecchie da mercante. A voi vi interviene come a quello
-che dava consigli al vicino perchè si guardasse dal fuoco e aveva il
-fuoco in casa!
-
-E Calandra muto.
-
-— E la gente dicono che non sapete niente, che nessuno vi ha fatto mai
-aprir gli occhi!... A crederci!... Ma se ve la fanno sotto il naso!...
-
-Calandra ritrasse le mani sul grembo, levò un poco la testa, chiese
-lentamente, come se gli fosse giunta appena appena la eco di un
-discorso strano, nel sonno:
-
-— Che cosa mi fanno sotto il naso?
-
-— Quello che non volete sapere! — fece la Checca.
-
-E Calandra con la stessa lentezza beota:
-
-— Che cos’è che non voglio sapere?
-
-— Sì, fate lo smarrito?
-
-— Che smarrito?
-
-La Checca squadrò in tralice il tardigrado, crollò le spalle, disse:
-
-— E chi non lo sa che siete becco e contento? — E su tali parole
-richiuse violentemente l’usciuolo.
-
-Allora Calandra alzò la grande mano noccoluta, si calcò su la nuca il
-cappello, che il solfato di rame delle sue viti aveva stinto e ritinto,
-sputò di traverso e disse, ma placidamente:
-
-— Vacca!
-
-E l’ira sua fu compiuta.
-
-La Checca non c’era più; la strada divenne silenziosa dall’un capo
-all’altro; Calandra ricadde nella sua immobilità di vegetale che dalle
-soglie del non essere si affaccia alla vita. Avvertì tuttavia il malo
-odore e il fitto ronzìo delle mosche, udì il grido di un bifolco a’
-suoi bovi, da un prossimo campo, e i tocchi delle ore dalla torre del
-Palagio. Non voleva darsi la fatica di contar le ore, ma le contò senza
-addarsene. L’orologio della torre aveva suonato il tocco e un quarto;
-poteva dormire ancora; ma in quel che ridiscendeva verso la profonda
-beatitudine del riposo, eccoti lo Scancio che giungeva cantarellando
-lungo la riga d’ombra.
-
-Calandra chiuse gli occhi e non si rimosse.
-
-Lo Scancio era il garzone dei Falistri, un giovinastro cane che non
-avrebbe portato rispetto neppure all’anima santa di una madre.
-
-Il Calandra non lo temeva, per vero dire, perchè egli non aveva che un
-timore al mondo ed era quello di Dio; ma la presenza dello Scancio gli
-dava sempre un malessere inesplicabile, un fastidio inespresso che lo
-lasciava scontento. Attese senza levar la testa. Lo Scancio si fermò
-all’osteria del Moro, parlò sommesso, dalla strada, con qualcuno che
-era oltre la porta, rise forte e proseguì.
-
-Ora Calandra fingeva di essere preso dal più pesante sonno. Lo Scancio
-gli gridò:
-
-— Buon riposo, Calandra!
-
-Il bifolco non rispose.
-
-E lo Scancio:
-
-— Ti fa buon pro il sonno?... Dormi, dormi, passero, che c’è chi veglia
-per te!...
-
-Calandra aprì un occhio e poi l’altro e la sua faccia era torva.
-
-— Sei stato alla vigna?
-
-Calandra non rispose.
-
-— Tu vegli la notte perchè non ti rubin l’uva, e il giorno che cosa fai?
-
-Calandra inarcò un sopracciglio in un suo particolar gesto di noia e di
-stupore.
-
-Fece:
-
-— Perchè?...
-
-— Perchè se tu andassi di giorno troveresti i ladri che non ci sono la
-notte!
-
-— Quali ladri?...
-
-— E tu va se vuoi sapere! Tu la sentirai la novella!
-
-E lo Scancio rise forte e proseguì lungo la riga d’ombra cantando una
-canzonettaccia di scherno.
-
-Poi giunse Serafina, la moglie dell’oste, e dalla strada incominciò a
-chiamare:
-
-— Amalia?... O Amalia?...
-
-Calandra aveva abbassata la faccia fra le grosse mani terrose e udiva
-il borbottare di Serafina fra il reiterato grido:
-
-— Amalia?... O Amalia?...
-
-La Checca, pronta al rumore, riaprì l’usciuolo e si fece su la soglia.
-Guardò Serafina e domandò:
-
-— Chi cercate?
-
-— Cerco l’Amalia chè ne ho bisogno.
-
-— O non sapete che non c’è?
-
-— Quando è uscita?
-
-— Saranno tre ore.
-
-— Dov’è? — domandò Serafina e ammiccò a Calandra che non levava la
-faccia di tra le grosse mani.
-
-— Che volete che sappia io? — fece la Checca. — Domandatelo a Calandra.
-
-Calandra alzò una spalla e non levò la faccia.
-
-— Allora non potrò trovarla? — domandò Serafina.
-
-— Ma sì!... Andate alla vigna che la troverete e non sarà sola!
-
-Le donnacole risero, poi l’una richiuse l’usciuolo della sua tana e
-l’altra ritornò ciabattando all’osteria.
-
-Calandra incominciò a pensare e l’opera del pensamento gli fu come una
-mortale fatica.
-
-Sudò sette camicie, ma ormai non poteva più separarsi dal tardo
-sospetto che si muoveva dentro di lui a simiglianza di un orso
-inebetito in prigionia. Non era adirato nè prossimo all’ira, e neppure
-un qualsiasi sdegno per la possibile offesa era per nascergli dentro.
-In primo luogo non era tuttavia convinto della cosa; in secondo luogo,
-se pure qualche forte dubbio lo teneva perplesso, egli non vedeva e
-non sentiva ancora il proprio atteggiamento di fronte all’avvenimento
-impensato. Eran parole che gli giravan per la mente e non altro.
-La figurazione materiale del tradimento, l’unica che avesse potuto
-smuoverlo, non gli si presentava. Vedeva tutt’al più la vigna,
-l’Amalia, la strada affocata dall’ardore, il suo capanno di guardia, i
-bei tralci delle solide viti, e non quell’alcunchè di preciso che muove
-la violenta gelosia nell’anima degli uomini. Si traviava dietro le
-chiacchiere udite, ma non aveva sentimento che lo spingesse ad agire,
-come avrebbe agito un uomo par suo, a simiglianza di una catapulta.
-Nello stesso tempo la dolce ebetudine del riposo era scomparsa, epperò
-si tolse dal muro, aprì l’uscio della casipola, entrò.
-
-Ancora gli sorrise la speranza di trovare l’Amalia addormentata in
-qualcuna delle quattro stanze e di potersene ritornare così alla sua
-vigna senza altro pensiero; ma l’Amalia non c’era. Ebbe lo scrupolo
-di guardare anche negli angoli, di smuovere lo stramazzo dell’enorme
-letto, di aprire l’armadio, ma non vide la sposa sua dalle rotonde
-guance vermiglie e dal grande seno bestiale. L’Amalia non c’era, se
-n’era ita a nozze con Martin della Fratta.
-
-Calandra uscì e chiuse a chiave la porta di casa. Non seppe bene se
-facesse questo per guardarsi dai ladri o perchè l’Amalia non rientrasse
-durante l’assenza di lui; gli venne fatto di girar la chiave nella
-toppa e tirò di lungo.
-
-La stradicciuola del paese sboccava ben presto nella campagna. Calandra
-si trovò fra le faticate terre degli uomini, senza volerlo. L’abitudine
-e non la volontà lo aveva avviato lungo il cammino che egli percorreva
-da quarant’anni: dalla casa alla vigna. Si soffermò. Riconobbe i campi
-dei Falistri, i campi dei Vicelli; si interessò alle culture; vide
-che i grani dei Falistri erano i più belli, fece in sè le lodi del
-capoccio. E udì suonare una campana. Si tolse il cappello a quella che
-egli riteneva la voce di Dio, inchinò gli occhi e ancora non li aveva
-tolti di su la terra riarsa che si sentì domandare:
-
-— Dove vai, Calandra?
-
-Levò la faccia e vide don Beniamino, a cavallo della sua rozza.
-
-Calandra si passò il cappello da una mano all’altra. Disse:
-
-— Vado.... andavo.... così....
-
-— Metti il cappello.
-
-— Grazie, don Beniamino.
-
-— Be’ — fece il parroco — come vanno gli affari?
-
-— Ah!... se è per gli affari, non c’è male, si tira innanzi! — rispose
-Calandra.
-
-— Che altro c’è allora?
-
-Calandra si rimise il cappello e rispose:
-
-— Niente.
-
-Don Beniamino fece girare il parasole color cenere che aveva appoggiato
-ad una spalla e stava per congedarsi quando Calandra gli si accostò e
-prese la brenna per la capezza.
-
-— Sentite, don Beniamino, vorrei domandarvi una cosa.
-
-— Di’!
-
-— Se un uomo avesse moglie e gli fosse detto che questa moglie gli fa
-le corna, che cosa avrebbe diritto di fare quest’uomo?...
-
-— Prima di tutto avrebbe il dovere di accertarsi se l’accusa fosse
-giusta.
-
-— Sì. E poi?
-
-— E poi, una volta che fosse riuscito a procurarsi delle prove
-inattaccabili, potrebbe separarsi dalla moglie.
-
-— Questo sarebbe il suo diritto?
-
-— Sì.
-
-— E se quest’uomo trovasse la moglie con un altro dentro un capanno in
-una vigna, che cosa avrebbe diritto di fare?
-
-— La cosa sarebbe grave!
-
-— Potrebbe prendere un randello e rompere le costole a tutti due?
-
-— Eh!...
-
-— Questo sarebbe il suo diritto?
-
-— Forse sì e forse no....
-
-— Bene. Arrivederci, signor parroco.
-
-— Dove vai?
-
-— Alla vigna.
-
-— A quest’ora bruciata?
-
-— Sì.
-
-Si separarono.
-
-Ora Calandra ci vedeva chiaro. Nel mondo della sua angusta coscienza si
-erano venute formando una convinzione e una risoluzione; le parole del
-parroco avevano diradate le gravi nebbie. Calandra sapeva la propria
-strada. Era disposto ad agire perchè riteneva che tale fosse il suo
-còmpito e nessun altro; ma, nel cuor suo piccolo di bove dai placidi
-sensi, non era turbamento di sorta. La passione, la gelosia, l’offesa
-dignità di marito trascurato fino all’ultimo limite non avevan parola
-che lo commuovesse. Egli avrebbe, con tranquillità in nulla diversa,
-fermato un bue tragiogante o un gagliardo ladro nella sua florida
-vigna. Non che l’Amalia fosse una vigna per lui, anzi non era ormai che
-una maggiatica, una terra in riposo, chè la sterilità di lei glie la
-faceva maledetta da Dio; ma capiva che l’Amalia era sua come la terra e
-l’aratro e la sua solida marra e il letame.
-
-Tagliò frattanto, da un querciolo, un suo solido randello e, quando fu
-presso la vigna, prese una via traversa e preferì aprire un varco nella
-siepe anzichè entrare dal cancelletto di spine. Ogni cosa era immota
-nell’accasciante calura. Disseccate le fonti, inariditi i torrenti, la
-terra si distendeva intorpidita e riarsa fra lo stridere di un mare di
-cicale.
-
-Calandra proseguì carponi. Era sotto la siepe. Ora aguzzava i
-piccoli occhi di cane e stava su l’intesa se gli giungesse la voce
-degli adulteri. E se non c’erano? E s’egli avesse dovuto forzare la
-sua faticata siepe per nulla? Non si udivano che le cicale, quelle
-maledette cicale che pareva stridesser più forte tanto da coprire
-ogni altro suono. Scoprì finalmente, più presso la proda del fosso,
-un piccolo varco nella siepe, un varco aperto dai polli e dai cani,
-ma tanto piccolo che appena vi sarebbe passato un fanciullo. Calandra
-non vi badò; troppo gli sarebbe stato penoso dover aprire la siepe
-in un altro punto; si distese, infilò la testa nel vano, fece forza
-di braccia, puntò, cercò di inarcarsi, ma le spine gli entravan
-per le carni e lo facevan dolorare. Poi, appena era passato con una
-spalla, e il braccio gli sanguinava, che una gallina si levò dal suo
-caldo nido fra la terra e urlando e schiamazzando e traendo dal suo
-beccaccio giallo i più acuti strilli che mai fossero usati, fuggì come
-una freccia tra i filari delle viti. E lo spavento di quella mosse lo
-spavento di tutte le galline che dirazzolavano per la vigna, tanto che,
-nel batter di un ciglio, fu tale e tanto il frastuono che non solo gli
-adulteri ne sarebbero venuti in sospetto, ma qualsiasi altra creatura
-che non avesse ragioni a timore.
-
-Calandra rimase inchiodato alla terra, imprecando, in cuor suo, a
-tutti i volatili immaginabili, e vedeva, di tra i fusti delle viti, il
-suo capanno di paglia rilucer nel sole. Vedeva e attendeva un attimo
-di calma per riprendere l’aspra sua lotta con la siepe che lo teneva
-prigione, quand’ecco dischiudersi l’usciuolo del capanno e uscirne
-Martin della Fratta.
-
-Calandra rimase impietrito; guardava come se vedesse l’inverosimile.
-L’uomo si volgeva intorno, chinandosi poi a mormorar qualcosa a chi
-era tuttavia fra la paglia. Dopo un istante ecco balzar fuori dal covo
-l’Amalia, scomposta, scarmigliata, accesa come il ferro su l’ancudine.
-Ridevano, si baciavano. Poi Martino diceva:
-
-— Hai sete, bellona?
-
-E l’Amalia a ridere fin che Martino non si chinava a vendemmiare i suoi
-bei grappoli, i suoi bei grappoli conti e adorati come l’immagine della
-Vergine e come quella del re, su le monete d’oro.
-
-Allora Calandra si smagò. Più valeva un chiccolo della sua vigna
-anzichè tutte le donne della terra; ed era come se gli strappassero il
-cuore il veder lo scempio che ne facevano quei cani. La violenza che
-non lo aveva tuttavia scombuiato, si levò su, di scatto, dall’anima
-di lui, squassando le sue fiamme rossigne; egli ne sentì l’impeto,
-la furia, l’imperiosa volontà e incominciò a urlare e a dibattersi
-a rovina entro la sua morsa lacerante. Gli adulteri sbiancarono, si
-guardarono smarriti, riconobbero la voce di Calandra. E, nell’attimo
-della sorpresa, temendo ch’egli fosse su di loro a stroncarli, non
-pensarono a fuggire. Lo sbalordimento dell’inatteso li inebetiva, ma
-poco durò tale sbalordimento, chè Martin della Fratta, vedendo Calandra
-alle prese con la siepe impervia, gridò all’Amalia:
-
-— Guardalo dov’è!...
-
-E mai non furon presti due cerbiatti a fuggir per le selve come essi
-si salvarono, balenando via a guisa di razzi. E si udì nel contempo un
-alto crescere di grida e di risa come di gente che facesse l’abbaiata.
-
-Calandra balzò in piedi alla fine e fra il sangue e il terrame e
-l’obliquo color del suo volto era orrendo a vedersi. I suoi piccoli
-occhi di cane sfavillavano sinistri fra i capelli che gli coprivan la
-fronte e l’ispida barba nascente. Si levò nella sua massa bestiale,
-tutto lacero nei panni, e raccolse il randello e si lanciò per la
-vigna. Non vide, nella sua furia, un filo teso a reggere le viti e sì
-malamente vi incappò da andar ruzzoloni.
-
-Allora l’abbaiata crebbe, le voci si avvicinarono, la gente aveva
-invaso la vigna. Non si udiva più che un gridìo intermesso da risate
-omeriche. Da dove sbucava la masnada? Chi l’aveva spinta fin laggiù,
-nella sua terra benedetta?...
-
-Calandra si rizzò e più non aveva l’aspetto d’uomo; era anzi una bestia
-orrenda da esserne guardinghi. Ma l’abbaiata non cedeva; ma gli uomini
-e i fanciulli e le donne non volevano rinunciare alla loro barbara
-gioia e venivano innanzi per la vigna gridando, ridendo.
-
-Calandra li squadrò senza smuoversi.
-
-Era primo lo Scancio e batteva un sasso sopra una sua pentolaccia di
-rame traendone un suono stridulo ed assordante; lo seguivano altri
-uomini e fanciulli, con arnesi simili. Calandra pareva impietrito e
-lo Scancio non vide la sua faccia perchè proseguì fino a fermarsi a un
-passo da lui e quando fu fermo fe’ cenno a tutti che tacessero e levò
-la voce e disse:
-
-— Calandrone, li hai trovati gli storni?...
-
-Si levò una risata grande, ma i fanciulli videro torcersi la faccia di
-Calandra, videro serrarsi le due mascelle quadrate e gli occhi brillare
-di fuoco e le grandi mani terrose stringersi e il randello levarsi e
-piombare giù diritto, con la forza del toro, su la testa dello Scancio.
-
-Fu per l’aria un solo urlo acutissimo. Un getto di sangue si levò nel
-sole.
-
-Lo Scancio stralunò, la testa squarciata, girò su sè stesso,
-strapiombò, finito.
-
-E le facce degli uomini divennero di morte e non si udì più un fiato,
-di fronte al colosso stravolto, ma solo un busso di passi precipiti,
-una travolgente fuga.
-
-Un’ora dopo, quando don Beniamino andò alla vigna e primo accostò
-Calandra e gli domandò smarrito:
-
-— Calandra.... Calandra, che cosa hai fatto?
-
-Questi si volse a guardarlo, torse la bocca e disse:
-
-— Prete, ne avevo il diritto!...
-
-Ed altro più non disse nè allora nè poi.
-
-
-
-
-PADRE SERENITÀ.
-
-
-Una casetta fra le “larghe„ e Padre Serenità su la soglia.
-
-Lo vedevo ogni sera allorchè m’imbattevo a passare per quelle redole
-verso un’aia festosa di gramolatrici. Avevo sedici anni in quel tempo e
-Padre Serenità ne aveva novanta.
-
-Era l’autunno. Un autunno della mia vita, sereno più che un cielo
-appena commosso da qualche cirro imbevuto di sole, piccolo come la
-perla. L’amore, il gaio amore, era disceso al mattino nell’anima mia
-pensosa con le allodole e l’aria, rimovendo la mia sostanza fino alle
-più riposte fibre in una immaginosa dolcezza. E tutto era vergine
-innanzi a me come l’anima mia al mondo; ed ogni limite insuperato era
-una promessa di gioia.
-
-Avevo sedici anni e l’amore.
-
-Quali e quante cose mi erano innanzi allora chè io non godessi? E così
-andavo con la mia benedetta allegrezza come per una eternità.
-
-La terra non aveva orme, il mondo non era stato mai veduto. Io ero il
-primo. Con me erano nate le fonti, gli alberi, le stagioni, i costumi
-degli uomini, la vita. Non sapevo nulla, sentivo; ma con impeto divino.
-Solo ch’io mi rivolga e sogguardi, ora che ho passato i limiti e
-hanno nevicato i capelli, rinasce dalla visione precisa, un identico
-commovimento che gli anni non hanno seppellito ed il tempo non ha
-tramutato; nulla è pianto o rimpianto, o desolazione che, se la porta
-lontana si dischiude, ne ritorna la mia giovinezza col suo gran fascio
-di fiori e mi s’abbranca.
-
-Rivedo la viottola insolcata dai plaustri, coi due margini erbosi sotto
-le selvagge siepi di marruche e di prugnoli; la terra olivigna, le
-pediche fonde dei bovi. Un ombreggio di roveri solenni, qualche varco
-sui campi, ma rado, e scarsi tuguri col nero forno e la disselciata
-“capanna„.
-
-Quando pioveva era tutto un pantano. Si giungeva alla viottola passando
-dalla chiesuola di San Bartolo e dalla casa dei Giuliani, per la
-bianca strada che conduce a Durazzano. Passata la casa dei Giuliani si
-volgeva a destra per un piccolo ponte e si era nel regno antico che
-ricordava le campagne medioevali, senza strade, percorse unicamente
-da fonde viottole, impraticabili al tempo delle piogge. In breve ogni
-altra vita era lontana. E gli uomini che si incontravano per quei
-silenzi pareva giungessero da un tempo remoto. Era raro udirvi il lento
-disperdersi di un cantare malinconico; più spesso si udivan le allodole
-e le rondini. Voci del cielo. Ed uno camminava fra i prugnoli, coi
-loro piccoli frutti violastri, come se andasse per la strada del sogno
-verso un paese insospettato. Talvolta trascorreva, rasentando le siepi,
-un cane giallo, sudicio e irsuto; tal’altra un fanciullo selvatico
-che atterrava la faccia aggrottata per non parlare e si fermava a
-guardarvi da lontano; ma più spesso nessuno. E dalla viottola serrata
-si sbucava nella chiara vastità delle “larghe„ di Castellaccio. Un mare
-di lupinelle con isole di pioppi e dense rive di alberi intorno; il
-paradiso delle allodole e delle lepri.
-
-E nel cuore di tale vastità viveva Nicolao di Zaccaria, il vecchio
-novantenne ch’io chiamavo per amore Padre Serenità.
-
-La sua casipola si acquattava fra tanto spazio, come a radicarsi alla
-terra più tenacemente e aveva al centro un “portico„ disselciato sul
-quale si aprivano due basse stanze. Anche aveva una vite, a solatio, e
-un pozzo ombreggiato da un fico.
-
-Quando dietro i colli della sera scendeva l’ultima luce a languire
-lontana, col sorriso della stella che accora, e le vergini e le
-innamorate uscivano per le aie e si fermavano alle siepi ad ascoltare
-una parola sommessa; quando le bocche si facevan baciare per nostalgia
-dell’amore, al suono di un’“Ave„ mi avviavo pei campi, solo con la
-mia felicità. E, via per i primi silenzi, trascorreva l’impeto di una
-“battolata„[1] da un’aia nel vespero. Era lo scroscio di venti gramole
-in ben misurata cadenza, il richiamo ardito agli sperduti; poi che
-vespero campeggiava fra i pioppi e dietro le rosse vigne.
-
-_Ecco ch’io t’amo e ti offro l’ombra e la bocca e il mio palpito di
-moritura, poi che è più bello morire che non esser amata_....
-
-Una pausa.
-
-_E il giorno di San Giovanni, amore, il giorno di San Giovanni quanto
-spicanardo raccolsi_....
-
-Il volto del cielo smoriva come la faccia dell’innamorata.
-
-_Sorelle, sorelle!... La bella estate ci vuole e il vomere fende la
-terra_....
-
-_Cogliamo lo spigo; non pel granaio, ma per l’arche; per l’arche e le
-lenzuola e che l’amore si sogni di dormirci a lato_....
-
-_Canto a morire, che m’oda.... passan tre nuvole, in alto, fra le
-montagne e la luna_....
-
-La veste del silenzio si era fatta più verde. Nascevan di me
-le canzoni, i frammenti, il commovimento che cingeva la vita in
-un’impetuosa serenità.
-
-_Ecco ch’io t’amo e t’offro l’ombra e la bocca_....
-
-E la “battolata„, sorta da qualcuna fra le isole di pioppi, sparse per
-la “larga„, moriva nel silenzio della sera.
-
-Compivo la strada senza addarmene, come la nube e il vento e l’acqua
-soffusa di cielo, senza nozione del tempo e del suo rapido trascorrere,
-chè la mia vita era tutta avvenire e non lasciavo ombra dietro le
-spalle.
-
-La voce di Nicolao mi coglieva sempre alla sprovvista.
-
-— Si va a “gramadora„?
-
-Volgevo gli occhi. Il vecchio era sulla soglia, incontro alle montagne
-della sera.
-
-— Oh, Nicolao!
-
-— Padrone, buonasera.
-
-— Buonasera.
-
-Accendeva la pipa chioggiotta. E pronosticava il sereno, la pioggia o
-la nebbia, leggendo nello spazio ciò che sfuggiva ad ogni altro.
-
-La sua parola era franca, i suoi occhi limpidi, la grande vecchiezza
-non gli annebbiava la mente.
-
-Ho del mio amore e di questo vecchio la più chiara memoria.
-
- ❦
-
-Socchiudeva la porta.
-
-— Venite, nonno?
-
-— Vengo.
-
-— Non serrate l’uscio?
-
-Alzava le spalle.
-
-— Chi volete che rubi ad un povero vecchio? I miei quattro stracci non
-fanno gola a nessuno.
-
-— E se passa una “brutta faccia„?
-
-— Per queste maggiatiche?... In tutta la mia vita non c’è capitato che
-un bandito, una volta, al tempo del Papa.
-
-S’andava insieme di pari passo e su la soglia della piccola casa
-acquattata fra le larghe non restava che il cane accucciato: il muso
-fra le zampe e gli occhi aperti. Padre Serenità amava la compagnia dei
-giovani. All’opposto dei suoi coetanei, inciprigniti in una malinconica
-stanchezza, egli cercava i ritrovi, sedeva alle feste dei giovani
-e vegliava fino all’ora sua proverbiale, l’ora di Nicolao, come la
-chiamavano le genti: le dieci. Quando eran le dieci di notte riprendeva
-la sua mazza ferrata, la “capparella„ se era d’inverno o la cacciatora
-di bordatino se d’estate e, girati intorno i suoi piccoli occhi
-celesti, dolcemente gai fra i solchi della sua faccia antica, lanciava
-il consueto augurio:
-
-— Vi saluto, gente!
-
-E allora, o fosser guidate le danze sul ritmo di un valzer di Zaclên
-o fosse sviata la comitiva dietro un rifacimento delle istorie
-cavalleresche, tutti ristavano e si rivolgevano al vecchietto ad
-augurargli la buona andata.
-
-Ancora amava motteggiare e stare alla baia, sollecito alla risposta
-come al frizzo salace, pronto all’aneddoto, spedito di lingua,
-tranquillo, senza fiele per nessuno.
-
-Le ragazze gli si sedevano intorno; egli le chiamava figliuole, le mie
-figliuole: e veramente se fosse occorso ch’egli avesse avuta necessità
-dell’opera loro, non una, ma tutte, tutte quante gli sarebbero state
-intorno perchè la bontà non è vana fra i semplici di cuore. Nonno
-Nicola si faceva amare. Tutta la sua vita gli era a specchio di
-chiarezza. Povero, combattuto dalla disgrazia, i figliuoli lontani ed
-immemori, egli non si era invelenito. Il suo dolce cuore era il centro
-del mondo e non vi dimorava nè amarezza nè sdegno. Egli doveva amare:
-era la sua necessità e la sua gioia; amare, sorridere, veder negli
-uomini il sereno che aveva in sè, e in realtà dove appariva era come se
-una mite lampada ardesse a raccogliere gli sperduti.
-
-E non lo chiamavano Santo perchè era vicino a tutti, era un po’ il
-cuore di tutti, la simpatia umana che non traligna ma sempre si rinnova
-concedendo, perdonando, solo per amare. E gli uomini angustiati fra
-spine e triboli, col cuore gravato dalla semitica maledizione, gli
-si stringevano intorno ebbri della sua dolcezza perchè non si semina
-invano tra chi soffre e lavora.
-
-Io so che se egli avesse voluto essere qualcosa più e non un umile fra
-gli umili; se il Dio che aveva nel cuore lo avesse guidato a parlare
-con la stessa ingenua freschezza con la quale narrava dei fatti della
-sua vita e dell’altrui, avrebbe avuto con sè le turbe. Prima le donne
-ed i fanciulli, gli uomini poi; gli uomini chè se bestemmiano il
-giorno, la notte si impaurano e, su cento, uno forse e non più d’uno
-non sente ribrezzo del transito senza speranza.
-
-Ma nonno Nicola, se pur lasciava intravedere la sua fede, ferma come
-la stella incatenata in capo all’Orsa, non parlava di Dio come non si
-parla del fiore che vi cresce nell’orto e del pensiero che vi illumina
-la vita, perchè il dirne sarebbe un corromperne il segreto incantesimo
-e la parola è spessa innanzi alle chiarità dello spirito.
-
-Bene; io so che i suoi novant’anni valevano la più ricca primavera.
-
-Si andava dunque ogni sera, in quell’autunno della mia giovinezza,
-a cercar le aie dove le festose ragazze cantavano le romanelle e,
-curve sulle gramole, dipinte a rose rosse e turchine, ripulivano i
-lisci mannelli dagli ultimi canapuli. Era prescelta l’aia dei Giuli.
-Ivi sotto un olmo gigantesco, fra una siepe e i pagliai erano adunate
-le gramole in semicerchio e, a notte, una lampada appesa ad un ramo
-per una funicella, blandiva col suo discreto chiarore la tenebra.
-Se pure la rotonda luna non si affacciasse da sopra la casa a spiare
-l’adunata. Di prima sera, compìta la cena sul pugno, essendo le ragazze
-alle gramole, sbucavano gli innamorati o dai varchi delle siepi, o
-dall’entrata dell’aia e qualcuno, più protervo, portava la doppietta
-a bandoliera mentre tutti quanti avevano cura di nascondere la faccia
-sotto le ampie tese del cappello.
-
-C’era chi lanciava l’augurio serale all’adunata e chi, approfittando
-del frastuono, scivolava nell’ombra inavvertito e sedeva silenzioso,
-come gli altri, sulla capra della gramola prescelta.
-
-Ora eravamo una sera più numerosi che mai e più numerose erano le
-“doppiette„ e c’era Giovanni dei Bissi che raccontava la storia di un
-suo singolare paladino, quando la Moffa (la Pallida), una ragazzona
-sgraziata dalla testa troppo piccola su due spalle da gigante, si fece
-in mezzo all’adunata e susurrò intimorita:
-
-— Ragazzi, c’è il Mancino!...
-
-E l’adunata ammutolì. Tutti ci guardammo intorno e per qualche istante
-non si udì che il biolco il quale canticchiava nella stalla. Poi
-qualcuno domandò:
-
-— Dove l’hai visto?
-
-E la Moffa:
-
-— Dietro la siepe. Eccolo!...
-
-Come fosse riuscita a distinguere nella notte la figura del Mancino e
-come l’avesse riconosciuta, nessuno seppe perchè le siepi erano lontane
-dal punto nel quale ci trovavamo e la notte era oscura. Sta di fatto
-che poi ch’ella ebbe detto: — Eccolo!... — un uomo entrò nell’aia e si
-avvicinò.
-
-Solo lo riconoscemmo quando, giunto a tre passi da noi, si fermò e ci
-chiese: — Perchè state zitti? — poi, senza che nessuno gli badasse,
-tirò di lungo e andò a sedersi sulla gramola della Pallida. Seduto che
-fu, depose la doppietta fra i ginocchi, accese la pipa e si volse a
-parlare tranquillamente alla ragazza, la quale, tanto era stordita,
-che gramolava a vuoto senza il mannello di tiglia. L’allegria se ne
-andò. Giovanni dei Bissi lasciò la sua storia a mezzo, furono scambiate
-parole rade e sommesse.
-
-Un inespresso disagio si era impadronito di ciascuno di noi e l’unico
-che pareva non accorgersi di questo era il Mancino. Si udiva il
-susurrìo della sua parlata tranquilla. La Moffa lo ascoltava senza
-rispondergli mai. E così trascorse un’ora senza che la comitiva si
-orientasse ad una gaiezza nuova.
-
-Da sopra alla casa salì nello spazio la luna.
-
-Si udì lo schianto di due schioppettate lontane; dopo un silenzio se
-ne udì una terza, poi altre due più rapide. Anche il sommesso parlare
-si quetò e dapprima fu un cane che latrò sordamente da un’aia remota,
-poi furono dieci e venti tutt’intorno dall’immensa campagna assorta fra
-il silenzio e la luna. Qualcuno disse: — È stato all’aia dei Forlani.
-Hanno le gramolatrici. Lo zoppo si è vendicato della Gilda di Bartolo.
-
-— Ma se avevano rifatto pace!
-
-— No!
-
-Altri due colpi rintronarono nella notte.
-
-— Sentite?... — disse la Bionda del Mago. — Le “fa le corna!„.[2]
-
-Dopo una pausa si udì una terza schioppettata.
-
-— Gliele han “guastate„! — disse la Vignaiuola.
-
-Ma a questo punto il Mancino si levò di scatto dalla gramola e si
-udì lo schiocco di due solidi schiaffi e una sola parola li consacrò,
-schietta e violenta.
-
-La Moffa rimase impietrita. Guardò il Mancino, lasciò cadere il manico
-della gramola; ma in quel che l’uomo si rivolgeva, come se la voce di
-lei insieme alla sua conoscenza si ridestasse solo allora, urlò a voce
-strangolata:
-
-— Sei un vigliacco!
-
-Il Mancino levò un braccio, ma questa volta la ragazza gliel’afferrò
-attanagliandolo con le piatte mani robuste.
-
-Rimasero di fronte a guatarsi. Nessuno intervenne, ma tutti ci levammo,
-l’un dopo l’altro. Di repente il Mancino tentò liberarsi con uno
-strattone violento. La gramola si rovesciò.
-
-— Lasciami andare!
-
-E la ragazza, alta, noccoluta, dal corpo di maschio saldamente piantato
-sulle ignude piote, non aprì bocca.
-
-— Lasciami andare!... — La voce del bandito cresceva inasprendosi,
-come l’ira sua; ma la gramolatrice non battè ciglio; aveva il viso fra
-l’ebete e il feroce, fermissimo, senza commovimento.
-
-L’attanagliato tentò un secondo, un terzo scrollone; non si liberò;
-allora con la mancina, che aveva libera, brandì la doppietta per le
-canne come una clava, l’alzò, mirò al capo della taciturna e scagliò il
-colpo.
-
-Ancóra mi si gela il sangue se ripenso allo strido delle donne. La
-cassa dello schioppo sfiorò la Moffa, ma non la colpì. Ci stringemmo
-attorno al Mancino. Robbone gli strappò la doppietta. Il biolco giunse
-con la corda de’ buoi; ma il Mancino era libero.
-
-Come si vide circondato non rifiatò. Parve rassegnato a lasciarsi
-prendere, ma quando gli uomini più fecero a fidanza nella sua
-debolezza, egli ne approfittò che, di un subito, con un lancio
-prodigioso, saltò la gramola, rovesciò il Rossello e lo Svina che gli
-stavano innanzi e fu al fianco dei pagliai. Ciò avvenne nel tempo di
-dir Ave.
-
-Come fu ai pagliai si rivolse e ci guatò ghignando. Disse:
-
-— Ragazzi, datemi il mio schioppo!
-
-— Daglielo — mormorarono i più prudenti.
-
-Robbone si fece innanzi e glie lo tese. Disse:
-
-— Va per la tua strada!
-
-Ma il Mancino gli gridò:
-
-— Scànsati! — E portatasi la doppietta alla spalla puntò la Moffa.
-
-Fu un baleno ed un grido. Vedemmo la Moffa inarcarsi su la sua gramola
-e stramazzare.
-
- ❦
-
-Una sera eravamo su l’aia, incontro alle “larghe„. Già volgeva al suo
-fine il novembre, ma non era giunto tuttavia il freddo. Da poco era
-trascorso Giovanni dei Bissi con le panie e le gabbie dei richiami.
-S’era fermo a dir qualche parola dileguando poi fra le pozzanghere
-della viottola motosa.
-
-Passavano dei buoi lontanamente verso una stalla remota e una sola
-allodola discendeva cantando dal cielo al suo rifugio fra le lupinelle.
-Padre Serenità sedeva sopra un vecchio aratro arrovesciato. E si
-taceva. Quand’ecco che, alzando gli occhi, vidi qualcuno che si era
-fermo dietro la siepe e ci guardava; ma in quel che feci per levarmi,
-l’uomo si diresse all’entrata dell’aia e fu di fronte a noi.
-
-Aveva il cappello tirato su gli occhi. Non lo riconoscemmo.
-
-Era scalzo; aveva un sacco gettato sulle spalle, lo schioppo e un
-coltello alla cintura.
-
-Padre Serenità si levò a sua volta.
-
-— Che volete? — domandò.
-
-— Da dormire — rispose l’uomo.
-
-— Non ho posto.
-
-— Mettetemi nella stalla; mi basta un po’ di paglia.
-
-Padre Serenità gli si fece sotto, lo guardò fisso e domandò:
-
-— Sei tu, Mancino?
-
-— Sono io.
-
-— Be’, vieni avanti.
-
-Lo condusse nella stalla. Dalla morte della Moffa, il Mancino si era
-dato bandito e nessuno più l’aveva veduto nei dintorni. Si credeva
-fosse fuggito in America. Ogni ricerca era stata vana.
-
-Li seguii in casa. Nicolao richiuse la porta e tirò il catenaccio. Mi
-disse:
-
-— Accendi il lume.
-
-Il Mancino gettò il sacco in un angolo, ma non si separò dallo
-schioppo. Sedette sulla panca innanzi alla tavola. Era torvo e taceva.
-
-— Avrai fame! — fece Padre Serenità.
-
-— Sì — rispose il Mancino.
-
-Poco dopo mangiava avidamente senza levar gli occhi.
-
-Padre Serenità non gli chiese nulla di nulla, nè io interloquii. Dopo
-ch’ebbe mangiato, lo conducemmo nella stalla, dove si gettò su una
-lettiera di paglia e si addormentò quasi subito col suo schioppo al
-fianco.
-
-Quando richiudemmo la porta, Padre Serenità disse:
-
-— Se è tornato è segno che soffre!
-
-E per quella sera ci lasciammo senza aggiunger parola.
-
-Nicolao sapeva ch’io conoscevo come lui la sacra legge dell’ospitalità
-e che il Mancino doveva esserci sacro per quella notte perchè era
-venuto a domandarci la pace nel nostro rifugio.
-
-Salii alla mia stanza, che era presso alla colombaia. Nei mesi di
-caccia, per esser più pronto a trovarmi sui luoghi, dormivo nella casa
-di Nicolao, che era sola fra le “larghe„. Lasciai la finestra aperta
-per destarmi non appena la luna avesse raggiunto il colmo del cielo e
-mi coricai tranquillo come sempre, senza bisogno di cercare il sonno.
-
-Ora, era forse a mezzo la notte, quando mi destai per un brusco rumore.
-Qualcuno aveva aperta la porta della mia stanza. Stetti in ascolto e mi
-sentii chiamare. Era Nicolao.
-
-— Che volete, nonno?
-
-— Discendi.
-
-Fui pronto, chè dormivo vestito. Quando fummo sulle scale, mi disse:
-
-— Il Mancino se ne è andato!
-
-— Lo immaginavo! — risposi.
-
-— Sì.... ma si è portato via il vitello!
-
-— L’avete veduto?
-
-— Sì.
-
-— Quando?
-
-— Poco fa.
-
-— Ed ora?... volete che lo rincorriamo con lo schioppo?
-
-— No.
-
-— E allora?
-
-— Tornerà indietro. Lo aspetteremo sulla strada. Vieni.
-
-Guardai il mio vecchio amico senza capir nulla. Conoscevo la sua
-imperturbabile serenità e la sua buona fede, ma non immaginavo ch’egli
-pensasse di vincere il ladro con tali virtù.
-
-Uscimmo che c’era la luna. Era un fantastico mondo assopito in una
-fredda immobilità fosforea; e le rame già erano dispoglie. Si vedevano,
-sulla terra umida, le pediche recenti del Mancino e del vitello.
-Nicolao osservò e disse:
-
-— Sono andati verso il fosso; sono discesi nel fosso.
-
-Poi uscimmo dall’aia vegliando in silenzio. E si udivano a quando
-a quando trasvolare gli stormi dei germani e delle grù e, nel cielo
-perlaceo, non era che il grido degli esuli stormi.
-
-Passarono due, tre ore e il ladro non riapparve. Nicolao non parlava.
-
-Quando fu l’alba ed egli cominciò a ricredersi e gli doleva di
-avermi tenuto per tanto tempo fermo al freddo della notte per una sua
-ingenuità, mi disse:
-
-— Figliuolo, mi sono sbagliato; ma non lo credevo capace di tanto!...
-
-Non gli risposi e non sorrisi. Partii tranquillamente per la mia caccia.
-
-— Vi aspetto a mezzogiorno! — disse Nicolao.
-
-— A mezzogiorno! — dissi.
-
-E me ne andai.
-
-Alla sera eravamo ancóra seduti sull’aratro, innanzi al cielo che
-sbiancava e non parlavamo.
-
-Ad un tratto vedo Nicolao levarsi di scatto e dirigersi all’uscita
-dell’aia. Lo seguii. Il Mancino ci stava di fronte, diritto in mezzo
-alla viottola. Stemmo muti qualche secondo, poi Nicolao domandò, e la
-voce sua era inalterata:
-
-— Che cosa hai fatto, Mancino?...
-
-L’uomo sinistro non rispose.
-
-— Perchè sei ritornato?
-
-Un silenzio uguale.
-
-— Ti hanno scoperto?
-
-— No! — rispose il Mancino.
-
-— Allora che cosa vuoi?
-
-Ricordo la rude frase dialettale che proruppe violentissima come un
-singulto:
-
-— _A so’ un vigliàcc!... Amázam!_... (Sono un vile!... Ammazzami!...)
-
-Padre Serenità levò la mano scarna e rispose:
-
-— _Va par la tu stre e che e’ Signor u t’aiuda!_... (Va per la tua
-strada e il Signore t’aiuti!...)
-
-Il Mancino guardò il vecchio, poi si volse senza far parola, saltò un
-fosso e scomparve.
-
-Padre Serenità aveva gettato la sua sementa, ma la biancana non
-dà frutto e non passaron due lune che il Mancino fu disteso da una
-schioppettata, sulla soglia di una stalla, da chi non vedeva gli uomini
-e il mondo con i chiari occhi di Nicolao. Ma Nicolao era un mondo a
-sè con la sua dolcezza; era un piccolo astro nell’immensità, col suo
-chiarore.
-
-Ne ho novellato per amore e non per dilettare, secondo una legge
-stabilita. Vi è sempre qualcuno che ha cuore bastante per intendere.
-
-
-
-
-L’EREMITA.
-
-
-C'era una volta una baracca sbilenca innalzata vicino ad una spiaggia
-da un uomo errabondo in cerca di fortuna. Oltre tale baracca, per
-chilometri e chilometri intorno, non sorgeva altro rifugio.
-
-L’uomo errabondo aveva ben fondate le sue speranze. Si era detto:
-
-— C’è una strada che conduce al mare, e questa strada finisce fra le
-sabbie e non c’è altro. La gente vi passa coi carri e coi barrocci
-quando fa l’estate. Se io faccio il mio nido dove finisce la strada e
-incomincia il mare, la gente verrà da me ed io ne guadagnerò!
-
-E le cose si svolsero come l’uomo errabondo aveva preveduto.
-
-Codest’uomo si chiamava Palma, era solo, ed aveva sulla coscienza
-una interminabile serie di furti e qualche delitto. Per venti anni
-aveva meditato nelle patrie galere; a cinquanta anni ritornava fra gli
-uomini.
-
-Bisogna dire che Palma non aveva un soldo quando arrivò sul luogo
-destinatogli dal caso; aveva bensì qualche idea. Fra queste, una
-brillava che gli parve buona e se ne assicurò meditandola. Ma come
-porla ad effetto? Per far nascere un’ombra sotto il sole occorreva
-dire agli uomini ben baffuti: — Dammi questo che ti darò questo! —
-Ed egli che poteva dare? Il suo lavoro; ma a quale pro, data l’idea
-che meditava? Allora s’incamminò lungo la spiaggia deserta e cammina
-e cammina.... ecco che vede, abbandonata fra sabbia e mare, mezzo
-sepolta, quasi sfasciata, la carena di un vascello. Un cadavere.
-Ma anche i cadaveri valgono qualcosa pei corvi e Palma non era che
-un corvo. Si avvicinò, considerò il carcame e disse: — Sì! — Poi
-soggiunse: — Farò da solo!... — Ma per cominciare gli occorreva almeno
-una vanga e non l’aveva. La rubò e fu l’ultimo furto ch’egli commise
-al di fuori della legge. Poi per tre giorni e per tre notti scavò, si
-affannò e riuscì a trarre la carena sotto la luce del sole. Era meno
-peggio di quel che non avesse pensato. Ma da quel punto incominciava
-la vera gravità del suo disegno. Come fare a trar quel carcame al
-punto che egli aveva prescelto? Occorrevano per lo meno due paia di
-buoi. Dove trovarle? Allora assottigliò l’ingegno e pensò: ormai egli
-possedeva qualcosa e poteva essere creduto. Egli aveva creato un’ombra
-sulla terra; da quella qualsiasi ombra doveva nascere il credito. E il
-credito nacque. Un contadino si prestò. Palma gli disse:
-
-— Vi pagherò fra due mesi.
-
-Il contadino rispose:
-
-— Mi pagherete quando vi farà comodo.
-
-Perfettamente. Allora Palma fece trasportare la nave al termine della
-strada che si apriva sul mare.
-
-— Che ne volete fare? — gli chiese il contadino.
-
-Palma rispose:
-
-— Un’osteria!
-
-Il contadino lo guardò in tralice. Palma soggiunse:
-
-— Un’osteria ed è una bella pensata!
-
-— Ma come farete?
-
-— Datemi aiuto e vedrete.
-
-— Oh!... Ed io vi aiuto!
-
-Infatti l’aiutò. Ormai la Provvidenza si era incaricata della faccenda
-e Palma se ne accorse, ma non rifiatò. Perchè con la Provvidenza non si
-uccella. Essa non incappa nelle reti e nelle panie degli uomini, anzi
-appare a coloro che non la invocano. Dunque Palma si ebbe un aiuto. Il
-contadino chiamò i suoi figli. Furono cinque uomini di buona volontà,
-data la qual cosa, la baracca alzò la sua gobba al cielo. Tolte le
-monche alberature e sgombrato l’interno del vascello dai rottami e
-dagli intoppi non rimase che la carena ignuda, malconcia qua e là e con
-una rispettabile falla sotto la prora. Palma non si occupò della cosa;
-capovolse la nave in un punto stabilito della spiaggia e domandò al
-contadino dieci lire in prestito. Il contadino glie le dette e disse:
-
-— Mi dovete in tutto venticinque lire.
-
-— Ed io ve ne darò trenta! — rispose Palma.
-
-Ormai Palma aveva una casa e un capitale. Incominciò col comperare
-chiodi e martello. Assai ne aveva con tutti i rottami del vascello.
-Prima mangiò, chè non aveva mangiato da qualche tempo, poi si mise
-all’opera. E tappa, e inchioda, e rappezza, in due giorni la casa era
-fatta. Non più uno spiraglio. Nell’interno, buio perfetto.
-
-Ora si trattava di praticare una porta e una finestra e di innestare un
-camino sul dorso della novissima abitazione.
-
-Cosa semplice. Una sega servì per la prima bisogna; una vecchia
-grondaia funse da camino. Dopodichè l’esterno era compiuto e Palma
-passò all’interno che divise in due parti. Da un lato la cantina
-che doveva servire anche da stanza da letto per l’oste; dall’altro
-la cucina. E basta. Il contadino gli venne in soccorso ancora per
-l’arredamento, finito il quale, Palma si dette all’opera artistica
-e presa una piccola tavola rettangolare e alcune vernici, dipinse su
-detta tavola la sua personale sensazione di una Sirena e con non meno
-personale ortografia vi scrisse sotto: — _Osteria della Sirena_ —
-compìta la quale opera inchiodò la tavola a sommo della sua abitazione
-e attese.
-
-Attese un uomo, il primo. In verità non avrebbe potuto offrire al suo
-primo avventore se non dell’acqua limpida; ma anche l’acqua limpida
-aveva il suo valore in quelle latitudini perchè per molte miglia
-all’intorno non esisteva un pozzo. Palma non possedeva tuttavia una
-botte, ma sì bene due latte da petrolio. Dette latte erano piene
-d’acqua e costituivano un valore. Non mancava che li assetati. Anche
-di questo doveva incaricarsi la Provvidenza e siccome Palma non
-aveva fretta e si accontentava di ben poco per arrivare da un giorno
-all’altro, attese in tranquillità.
-
-Ed ecco che una notte, dormiva sulla sua paglia fra le due latte di
-petrolio, quando sentì qualcuno alla porticciuola serrata. Si levò sui
-gomiti. Chiese:
-
-— Chi è?
-
-— Si può entrare? — fece una voce dal di fuori.
-
-— Cosa volete? — domandò Palma.
-
-— Bere! — rispose l’estraneo.
-
-— Non ho che dell’acqua.
-
-— È lo stesso.
-
-Bene.
-
-Palma non aveva bisogno di vestirsi perchè non si svestiva mai; si
-rizzò ed andò ad aprire la porta. Entrò un uomo; un vecchio barbuto con
-gli occhiali sul naso. Un par di occhiali a stanghetta, arrugginiti, e
-un cappellaccio di traverso.
-
-Sedette sulla panca innanzi a una tavolaccia nera e quando fu seduto
-disse ancóra:
-
-— Bene!
-
-Palma lo guardò; il barbone incrociò le braccia sulla tavola.
-
-— Di dove venite? — gli domandò Palma.
-
-— Datemi da bere — rispose l’uomo.
-
-Palma prese il suo unico boccale che era un coccio senza manico e senza
-beccuccio, pose innanzi all’ospite una ciotola sboccata e scomparve in
-cantina. Poco dopo rientrò col suo vin di nuvoli e l’ospite non si era
-rimosso. Aveva una faccia da ceffautte da guardarsi a stupore: o da
-dove discendeva nel pieno della notte quell’individuo? E dove andava
-e che cercava mai? Palma sentiva queste domande dentro di sè, ma le
-trattenne chè si investiva del suo nuovo còmpito di oste.
-
-L’uomo bevve tutto il boccale e quando ebbe bevuto disse:
-
-— Buona!
-
-— È acqua di fonte — fece Palma.
-
-E l’estraneo ridisse:
-
-— Buona!
-
-Evidentemente il barbone non era un parlatore, ma ciò non preoccupava
-Palma il quale diceva fra sè: — Anche se mi dà quattro soldi, son tutti
-guadagnati! — Ed in questo pensiero si accosciò in disparte presso
-la parete della sua bicocca. L’olio non mancava alla lampada ma se ne
-consumava troppo. Trascorso qualche tempo Palma disse all’ospite:
-
-— Volete dormire?
-
-— Perchè? — fece l’ignoto.
-
-— Perchè l’olio si consuma.
-
-— Ed io ve lo pagherò.
-
-— Ah, se volete pagare fate ciò che vi accomoda!...
-
-E Palma chiuse gli occhi e stava per addormentarsi tranquillamente
-quando l’ospite suo gli chiese levando gli occhi:
-
-— Da quanto tempo state qui?
-
-— Da venti giorni.
-
-— E che cosa volete guadagnare fra queste lande?
-
-— Aspetto che venga l’estate! — fece Palma ammiccando.
-
-— E con l’estate?
-
-— Con l’estate? Ma vengono a migliaia quaggiù i contadini!
-
-— E se vengono?
-
-— Se vengono, lavoro!
-
-— E il vino?...
-
-— Il vino.... il vino!... Si troverà!
-
-Il vecchio tacque e Palma lo guardava sempre più incuriosito. Chiese,
-dopo una sosta:
-
-— E voi cosa siete, un pastore?
-
-— No — fece l’uomo. Poi guardò Palma negli occhi e soggiunse: — Io sono
-un frate!
-
-— Un frate?
-
-— Sì. Ma se mi va bene una cosa non torno più al convento.
-
-— E la veste dove l’avete messa?
-
-— In casa del contadino che mi ha dato questi panni.
-
-— Ed ora dove andate?
-
-Il vecchio si levò e disse:
-
-— Hai una vanga?
-
-— Sì.
-
-— Sai dove sia la Torraccia?
-
-— Sì.
-
-— Vuoi condurmi alla Torraccia?
-
-— A quest’ora?
-
-— Sì.
-
-— E che cosa volete fare laggiù? — Palma non voleva compromettersi. Gli
-erano bastati i suoi vent’anni di prigione e più non voleva farne.
-
-— Se vieni faremo a metà — rispose il vecchio.
-
-Palma si convinse; prese la vanga e il suo coltello e seguì l’ospite.
-
-Dopo due ore di strada erano ai piedi del rudere solitario. Il vecchio
-entrò nella torre e Palma dietro.
-
-Dopo aver misurato a passi lo spazio rinchiuso fra le mura pericolanti
-l’uomo si fermò e disse a Palma:
-
-— Scava qui!
-
-Palma si mise all’opera. Dopo più che un’ora di lavoro aveva scoperto
-una scaletta che scendeva in un sotterraneo.
-
-L’uomo disse:
-
-— Non mi sono sbagliato! — Poi accese una candela che aveva con sè ed
-entrò per primo nell’antro oscuro.
-
- ❦
-
-Era vicina l’alba quando uscirono dagli antri sotterranei. Primo fu il
-vecchio; Palma venne dopo. Erano ambedue irriconoscibili per il terrame
-che li ricopriva.
-
-Quando ebbero fatto qualche passo, Palma si fermò innanzi all’uomo
-sconosciuto e gli disse:
-
-— E adesso che cosa mi darete per la mia fatica?
-
-— Aspetta — disse il frate.
-
-— Che cosa devo aspettare?
-
-— Quello che ti dirò.
-
-— Le parole non si spendono!
-
-— Sei uno stupido!... Le parole si spendono benissimo!
-
-— Ma insomma che cosa siamo andati a fare laggiù?
-
-— A cercare un tesoro!
-
-— Infatti abbiamo trovato da stare allegri!
-
-— Questo non importa!
-
-— Sì, che importa!
-
-— Tu avrai sempre guadagnato qualcosa.
-
-— Che cosa?
-
-— Vedrai!
-
-E ripresero la strada. Quando furono all’osteria della Sirena si
-vedevano già le vele raminghe per il mare.
-
-Entrarono. Il frate sedette innanzi alla tavolaccia ed abbandonò la
-fronte fra le mani. Dopo una pausa domandò:
-
-— Hai un calamaio, una penna, della carta?
-
-Palma guardò il vecchio in tralice e chiese a sua volta:
-
-— Siete matto?
-
-— Sai leggere?
-
-— No.
-
-— Bene. Allora stammi a sentire.
-
-Palma lo ascoltò.
-
- ❦
-
-Il frate ritornò al convento senza lasciare una palanca a Palma, ma
-Palma fu contento ugualmente. Da quella volta il vecchio barbone non
-comparve più nè di notte nè di giorno al vascello capovolto, ma il suo
-passaggio non fu più dimenticato.
-
-Ora giunse l’estate. Cominciò il giugno con certe giornate ardenti
-che valsero più di qualsiasi consiglio a cacciar le turbe assetate di
-frescura dai piani al mare.
-
-Cominciarono a giungere le carovane urlanti e si accamparono per la
-spiaggia.
-
-Bisogna dire che Palma aveva tolta dalla sua baracca la dipinta insegna
-dell’Osteria della Sirena e che l’aveva sostituita con una rozza croce
-formata da due avanzi di naufragio legati insieme con una corda.
-
-Giunsero le carovane adunque, ma Palma non si mostrò. Vestito di
-un sacco stava rannicchiato in fondo al suo rifugio aspettando che
-qualcuno dischiudesse l’usciuolo. Pareva non volesse uccellare anzi
-attendesse di essere uccellato. Ma la gente si sbandava all’intorno
-volgendo appena una fuggevole occhiata allo strano rifugio. Diceva
-tutt’al più:
-
-— Sarà la casa di qualche poveraccio!... Di qualche pescatore di
-arselle!...
-
-E non sapevano che un pescatore in realtà si accucciava là dentro, ma
-un pescatore di uomini.
-
-Aspetta e spera. Passavano i giorni. Palma cominciava a bestemmiare,
-cosa quant’altra mai indecorosa per un uomo che vestiva il saio
-all’ombra della croce.
-
-Ma nessuno lo udiva. Si udiva la gazzarra, il frastuono delle turbe
-che esulavano al mare. La spiaggia pareva convertita in un cocomeraio
-chè ogni brigata traeva seco sui biroccini e sui carri oltre a qualche
-lenzuolo, larga copia di cocomeri e ne faceva festa tra un bagno e
-l’altro ingoiando fette su fette del saporoso frutto vermiglio.
-
-E il nudo trionfava e l’ebbrezza della frescura e del mare.
-
- ❦
-
-Palma pazientava e non usciva a mostrarsi alla turba, ma già nell’anima
-sua incominciava a infiltrarsi il dubbio, quando avvenne che due
-fanciulli ignudi, ruzzando un giorno fra le arene, venissero a sedersi
-all’ombra della singolare baracca E com’è dell’età loro curiosa,
-dopo alcun tempo incominciarono a considerare la novissima capanna e
-pensarono di visitarla anche all’interno.
-
-Palma udì e lasciò fare. Si avvicinava il momento buono. Infatti, non
-appena i due fanciulli ebbero messo il capo all’uscio ed ebber veduto
-quello strano uomo accoccolato in un canto e tutto ravvolto in un
-sacco, ne ebbero tanta paura che fuggirono come lepri e mai più non si
-rividero presso la baracca. Ma la voce si diffuse fra le turbe.
-
-— Nella baracca c’è un eremita!... C’è un santo eremita!... È coperto
-di un solo sacco!... Non mangia mai!... Ha la barba lunga due metri!...
-Non vede il sole da vent’anni!...
-
-E vai dicendo. La necessità del fantastico si liberava a carriera e
-qualcuno giunse a sostenere che si trattava di un turco convertito.
-
-Ma tutto ciò poteva ancóra interessare le donne non già gli uomini,
-i quali fra cocomeri e bagni avevano in superbo disprezzo ogni
-santocchieria e preti e frati ed eremiti e ogni altro tipo del genere
-che non era, presso le faticate turbe, se non un vagabondo.
-
-E Palma udiva questi discorsi e incominciava a disperare. Il contadino
-che gli aveva fatto credito giungeva tutte le notti a reclamare il suo
-e già minacciava uno scandalo. Un giorno Palma si disse:
-
-— Se oggi non vien nessuno, domani metto fuori l’insegna dell’osteria e
-si vedrà!...
-
-Ma appunto quel giorno era il destinato.
-
- ❦
-
-Era il meriggio, forse, quando una voce si udì dall’esterno; una voce
-di donna:
-
-— Si può entrare?
-
-— Avanti! — fece Palma.
-
-Entrò una donna che recava in braccio un suo marmocchio, giallo come lo
-zafferano. Palma non si rimosse.
-
-— Voi che siete un sant’uomo.... — disse la donna e si fermò.
-
-— Che cosa volete? — domandò Palma.
-
-— Voi che siete un sant’uomo dovreste guarirmi questa povera creatura!
-
-Palma chinò il capo e non rispose.
-
-La donna, a tale mimica, fu sempre più compresa della virtù
-taumaturgica del solitario.
-
-— Se voi voleste.... — continuò.
-
-Palma alzò un braccio e disse:
-
-— È Dio che deve volere!
-
-Poi si stupì di aver detto tanto. Ma la donna aveva molta fede.
-
-— Se voleste pregare il Signore....
-
-Palma si levò e la donna si fece il segno della croce.
-
-— Fatemi vedere questo bambino! — disse Palma.
-
-La donna glielo mostrò mormorando:
-
-— È molto malato!... Deve morire!...
-
-Dopo un lungo silenzio speso a considerar la creatura da tutti i lati
-Palma disse:
-
-— Non morirà!
-
-Fu colpito dal suono della sua voce e dalla promessa formale. Oramai si
-era compromesso. O riusciva o ritornava alla sua prima Sirena.
-
-La donna disse:
-
-— Se me lo salvate siete il più grand’uomo del mondo!...
-
-Palma si sarebbe accontentato di meno; di quattro palanche.
-
-Disse alla donna:
-
-— Aspettate!
-
-E passò nel secondo stambugio della sua capanna.
-
-Ritornò poco dopo con un cartoncino in cui erano tre pillole. Le porse
-alla donna, disse:
-
-— Queste sono tre pillole fatte con erbe che hanno virtù non conosciute
-da nessuno al mondo. Dovete darne al vostro bambino una oggi, una
-domani e una posdomani.
-
-— E guarirà? — fece la donna.
-
-Palma chinò la testa, susurrò:
-
-— Vedrete!... Vi aspetto fra tre giorni!...
-
-La fortuna o la disgrazia erano in via. Palma attese con un certa
-ansietà ciò che gli avrebbe fruttato la ricetta del frate.
-
- ❦
-
-A vero dire Palma non aveva mai pensato a Iddio. Non gli era venuto in
-mente mai, neppure in prigione quando poteva meditare a tutto suo agio.
-
-Ricordava che da piccino sua madre gli aveva parlato qualche volta
-del Signore, ma Palma era un ragazzo distratto e non era stato mai
-tanto curioso da voler sapere che cosa ci fosse in fondo ai cieli.
-Per lui l’uomo era una bestia che deve lavorare e morire. E basta.
-Lavorare e morire come un bove con la semplice differenza che gli
-uomini mangiavano i bovi e questi eran più miti chè si accontentavano
-dell’erba. Dunque se un Dio doveva esserci sarebbe stato giusto avesse
-preferito il bue che era migliore dell’uomo. Ma tale idea poteva
-essergli balenata innanzi forse una volta in tutti i suoi cinquant’anni
-di vita. Per il resto si era accontentato di passare da un governo
-all’altro con l’unica preoccupazione di trovare un modo per trarre
-in inganno i suoi simili e far danaro. Egli era dunque un ignaro di
-cose divine quando fu costretto a formarsi una chiara convinzione in
-proposito.
-
-Fino a quel punto aveva seguito il consiglio del frate senza derogarne
-in nulla; si era costretto ad una prigionia che non gli riusciva
-importuna per la lunga consuetudine a tale stato, aveva atteso come il
-ragno, sperando che tutto si risolvesse in un commercio lucroso e nulla
-più.
-
-Palma attendeva il lucro e il suo fato lo pose di fronte a Iddio. Tale
-cosa lo sbalordì. Non se l’aspettava, ma tacque.
-
-Trascorso adunque il secondo giorno e incominciato il terzo, appena era
-sorto il mattino che un insolito vocìo giunse all’ignaro eremita e lo
-chiamò sulla soglia della sua acquatile casa.
-
-Come volse intorno gli occhi, ecco venire di lontano una turba di donne.
-
-Palma rimase perplesso. Gridavano, dunque il bambino era morto e, se
-era morto, l’unica cosa che gli restasse a fare era quella di darsela a
-gambe chè ormai la sua fortuna gli aveva volte le spalle.
-
-Tale la prima considerazione e la risoluzione prima che gli balenarono
-innanzi.
-
-Su tale proposito rientrò in casa, ma sul punto di uscirne troppo gli
-dispiacque di abbandonare il suo nido fra le sabbie sì che, passato
-nella seconda stanza, e rifugiatosi in un angolo, nel buio, attese
-senza rifiatare l’arrivo della strillante turba.
-
-E poco attese che le donne furono innanzi alla soglia e incominciarono
-a gridare:
-
-— Palma.... Palma.... apriteci.... apriteci!...
-
-— Sì, aspettatemi per l’anno del mai!... — diceva fra sè l’eremita e
-più si rintanava nel buio.
-
-E le donne:
-
-— Palma.... Palma!... Veniteci ad aprire, per carità!...
-
-— Ve lo domandiamo per carità!...
-
-Palma stette in orecchio. Trasentiva o non piuttosto le femmine lo
-imploravano?
-
-— Venite da queste disgraziate, Palma, che Iddio ve ne rimeriti!...
-
-Davvero?... Dunque le pillole erano state efficaci!... Il frate
-aveva detta la verità!... Si levò; si riaggiustò addosso il suo sacco
-grigio....
-
-— Palma?... Non ci mandate via!... Siamo povere donne!...
-
-Allora l’uomo dal saio incominciò a sentire qualcosa dentro di sè che
-vi ingrandiva come se un sole nascesse. Uscì dalla cantina, attraversò
-la prima stanza, aprì l’usciuolo. Non appena fu sulla soglia il
-vociferìo si accrebbe e le braccia si protesero:
-
-— Palma, uomo benedetto dal Signore, guaritemi questa creatura!...
-
-— Palma, Palma, sono tre anni che non trovo riposo!...
-
-— Palma, benedite questa povera figlia che ha il diavolo in corpo!...
-
-E volevano da lui queste e cento altre cose, cento miracoli e Iddio.
-
-Iddio!... L’uomo profano di ogni fede rimase muto, accigliato,
-impassibile, ma dentro al cuor suo incominciò a nascere un dubbio, un
-dubbio curioso che gli dava una sensazione nuova come di una leggerezza
-subitanea fra terra e cielo.
-
-Iddio!... Dunque poteva darsi davvero che qualche notte, nel silenzio
-sterminato di quella solitudine, qualcuno fosse disceso dal cielo per
-entrare dall’usciuolo nella sua nave antica?... Poteva darsi?... Ed
-egli dormiva e questo qualcuno...
-
-Distribuì quante pillole aveva e rimandò le donne per la loro strada.
-Gli ubbidirono a un cenno. Egli aveva in realtà la figura di un asceta
-e il volto di un qualche santo forastico nutrito di miele selvaggio.
-Tanto si sentì smarrito dalla devozione delle femmine che non pensò
-a chiedere compensi. Distribuì il suo farmaco per l’amore di Dio, e
-per l’amore di Dio, verso sera, giunse alla sua baracca una giovinetta
-che si inginocchiò sulla soglia ed ivi depose un pane, delle uova, del
-formaggio; poi si fece il segno della croce e se ne andò.
-
-Palma rimase solo nella notte: contrito, confuso, pentito; ma non
-sapeva bene di che si pentisse. Andò pe’ suoi farmachi, raccolse
-l’erba che il santo frate gli aveva indicata nella notte del tesoro,
-si sentì invaso come da una sacra purità e sempre più confuso, sempre
-più incerto sul calcolo ch’egli doveva fare e di se stesso e di Iddio e
-delle donne strillanti.
-
-La sua baracca divenne come un santuario per le turbe le quali un
-bel giorno pretesero che il povero Palma facesse ritornare in vita un
-moribondo. Palma non volle saperne, ma il moribondo guarì. Guarì e fu
-fatta. Palma era un santo; Palma aveva fatto il miracolo.
-
-E da quel giorno egli si trovò in diretta comunicazione col Signore.
-La macerata povertà, il digiuno, il lungo patire dovevano essere suo
-ornamento e questo fino alla morte. E perchè mai?... Che aveva egli
-fatto?... Le sue virtù gli erano sconosciute, come il suo Dio. Qualche
-notte stette inorecchito sperando di udire una voce portentosa, ma non
-la udì. E allora? La virtù della gran mutazione della sua vita non era
-adunque che nel farmaco lasciatogli dal frate?...
-
-Tutto scendeva direttamente da una piccola innocua pillola? E quale era
-il suo guadagno?... Ah, uomo bruto!... Così avviene che la divina luce
-dell’alba discenda per gli sterquilini!... Ma Palma non era di stoppa
-ultraterrena e una notte, gettato il suo saio alle ortiche, si dette
-per fallito e partì.
-
-E mentre le turbe lo assumevano al cielo, il povero vecchio Palma,
-esule di Dio e della legge, sentendosi perduto per sempre per non aver
-ascoltata la Provvidenza non ebbe più posa.
-
-
-
-
-I VIOLENTI.
-
-
-Avevano i Venchi la loro officina sotto un albero fulminato, lungo
-la riva di un fiume. Una angusta capanna contesta di rozzi pali e di
-fascine e pienata di argilla le pareti; il tetto di stipa, i battenti
-neri. V’eran per entro in grande copia gli arnesi fabbrili e più ne
-stavano all’aperto dove il maestro carradore lavorava e l’estate e
-l’invemo.
-
-Quivi disposte su ampie capre e su banchi e sul terreno erano ruote e
-timoni e sale e cassini e carra, le membra disperse degli arnesi che
-uscivan dal centenario cantiere.
-
-Nell’antro funzionava e ansava e ardeva la fucina. E dall’alba
-primissima al declinare delle ombre serali, era un grande travaglio
-sotto l’albero fulminato.
-
-Da centinaia di anni la famiglia dei Venchi conduceva il cantiere e
-l’opera era trasmessa di padre in figlio co’ suoi gelosi segreti, come
-la vita e il nome e le virtù della razza.
-
-Ora era maestro dell’arte, Alessandro, il vecchio di più che settanta
-inverni e non aveva questi se non un figliuolo: Samuele, ed erano soli
-nella loro casa senza donne. Vivevano essi senza parlarsi mai, tanto
-l’uno aveva preso dell’altro e l’anima e il costume ed erano come
-estranei nella casa degli avi tutta deserta e muta sulla loro bocca
-muta.
-
-Tornavano a notte, l’uno dopo l’altro e salivano alle loro stanze
-opposte. All’alba la casa si richiudeva nel suo silenzio.
-
-Mangiavano sul pugno, al lavoro, seduti sopra un toppo di ancudine o
-sul tronco di un’acacia o di un olmo e il loro pasto era breve come il
-respiro. Non bevevano che al pozzo, ricurvi su la secchia traboccante.
-I loro garzoni non ricordavano ch’essi avessero parlato mai a
-confidenza neppure per l’attimo. S’intendevano per monosillabi, senza
-guardarsi.
-
-Sapendosi uguali in tutto: e nella forza e nel volere, cercavano
-evitarsi perchè la devozione sacra del figlio non venisse meno e non
-venisse meno l’affetto che li legava. Andavan paralleli, pronti a
-morire l’uno per l’altro finchè il caso non li ponesse di fronte per
-opposte volontà.
-
-La sommissione di Samuele era stata cieca sempre; aveva seguito il
-consiglio e il comando, si era concessa e prona e pronta al sacrificio.
-Non mai un giorno senza lavoro; non mai un’ora di gioioso abbandono.
-Egli si era piegato come il ferro sul fuoco; era stato stretto e
-costretto come la ruota nel cerchio, come il timone fra le chiavarde:
-si era dato passivamente con tutta la sua forza.
-
-D’altra parte, tale era stata la vita del padre sotto il dominio di
-nonno Samuele. La consuetudine degli avi si manteneva uguale negli anni
-nè poteva esser discussa, nè diminuita: era sacra e fatale.
-
-Il figlio era del padre come cosa e non come creatura e questi poteva
-disporne a suo piacimento. La salda compagine della famiglia richiedeva
-tale disciplina. E Samuele si era aggiogato come tutti coloro che erano
-stati innanzi a lui nel tempo e avevano creato il prestigio di un’arte
-e di una tradizione; aveva accettato il loro còmpito come il cieco
-legno che si costringe tra le ferramenta e va ad obbedienza finchè
-non sia ultimamente consunto. Ma la morte era lontana tuttavia per il
-giovane gagliardo e la vita non poteva continuare sì cupamente monotona
-fino al punto in cui uno si appacia col suo destino e si dispone
-all’ultima ventura.
-
-Aveva egli un cuore tumultuoso, una forza non per anco provata, un
-desiderio solare che a quando a quando si ridestava per accenderlo di
-una radiosità senza confine. Se una sola era la via battuta, s’egli
-non andava che dalla casa deserta all’antro fumoso e da questo alla
-casa quando il sonno incombeva; se era chiuso fatalmente, come l’astro,
-nel suo circolo eterno e doveva seguire l’ombra del padre e coprire le
-stesse orme a capo inchino e non fiatare e non domandare e non essere
-mai; se, come gli arnesi della fucina, non doveva servire che ad un
-ufficio, l’anima sua, nel suo alto silenzio, vedeva, s’irraggiava per
-mille aspetti giovanilmente in una sua trepida adorazione portentosa.
-
-Era il mondo, a quell’anima chiusa, come un canto sconfinato e
-magnifico, come un ignoto adorabile, come una gioia senza fine e senza
-principio, e una purità senza travaglio. Dalla sua costrizione, dal suo
-isolamento sorgeva l’ignaro con raddoppiata energia a illuminare della
-sua sconfinata passione le cose indifferenti.
-
-Maestro Alessandro nulla pensava di questo. La giovinezza sua era stata
-impassibile. Egli non aveva conosciuto se non una ragione fisiologica
-alla quale era bastata una donna qualsiasi, quella che gli avevano
-data in moglie e ch’egli aveva accettata come si accetta un pastrano
-quando fa freddo; nè poteva supporre che altro fosse il desiderio del
-figliuolo.
-
-Avere una donna in casa era necessario; non potevano continuare la loro
-vita sbandata e Samuele doveva sposare. Ora maestro Alessandro sapeva
-già di una donna ricca e perfetta massaia, che avrebbe fatto della
-casa un paradiso; anche avrebbe dato figli sani e robusti perchè non
-era giovine ed era ben squadrata chè fra anche e spalle raggiungeva
-l’ampiezza di un bue, e gli piaceva benchè non l’avesse mai guardata in
-viso; ma che importava il viso? Una donna si sposa per quello che vale
-e non per la sua bellezza e la bellezza è vana e crea fastidi e può
-portare a mal fine un marito.
-
-Se era brutta, come aveva sentito dire, tanto meglio; la sua povera
-moglie era quasi gobba, eppure gli aveva partorito un fior di figlio,
-chè Samuele era saldo come l’incudine. E più di questo non si poteva
-desiderare.
-
-Ora una sera, chiusa che fu l’officina e partiti i garzoni, maestro
-Alessandro, contro il costume suo, chiamò Samuele e gli si pose a
-fianco. Il loro parlare fu breve:
-
-— Samuele, tu devi prender moglie!
-
-Il giovine levò gli occhi sul volto del padre e non rispose.
-
-— A venticinque anni è il tempo giusto. Le cose si fanno alla spiccia.
-La Venusta degli Antoni è già pronta. Io le ho parlato.
-
-Samuele ebbe un fremito ma si rattenne. Chiese a voce soffocata:
-
-— E che vuole da me?
-
-Maestro Alessandro si fermò a squadrare il figlio e la sua faccia si
-aggrottò come il monte a sera:
-
-— Come che vuole? Di che mondo sei? Dovete sposarvi!
-
-Samuele guardò il padre negli occhi con insolita fermezza e sbiancò
-tremando.
-
-Rispose:
-
-— No.
-
-E il vecchio:
-
-— No che cosa? Che ti frulla per il capo questa sera.
-
-— Io non la voglio!
-
-— Non la vuoi?
-
-— Ho detto no!
-
-Fu fra i due un torbido silenzio, poi maestro Alessandro alzò a
-violenza il pugno vigoroso ma non colpì; si rivolse e riprese la
-strada. Samuele gli tenne dietro. Camminarono sempre a fianco, a capo
-chino. Erano di pari statura; ambedue forti ad un modo: l’uno più
-agile, l’altro più nodoso; il frassino e la rovere. Sulla soglia della
-casa deserta maestro Alessandro si fermò e nelle parole che disse era
-un monito sinistro, la voce rauca tremava nel singhiozzo dell’ira:
-
-— Tieni bene a mente quello che ti dico, ragazzo! In questa casa c’è
-una volontà sola ed è la mia. Non pensare a disubbidirmi e bada a te!
-
-Ed entrarono e la casa tacque sul loro angosciato riposo.
-
-Dopo non molti giorni ogni formalità era compiuta. Maestro Alessandro
-aveva lasciata l’officina per recarsi in città e nessuno seppe la
-ragione del suo viaggio. La seppe Samuele, una sera di domenica, quando
-il padre gli disse:
-
-— Ora verrai con me.
-
-— Dove?
-
-Maestro Alessandro continuò:
-
-— Il permesso è preso; non c’è nulla che si opponga. Posdomani tutto
-sarà fatto e la Venusta sarà con noi, nella nostra casa. Tu puoi
-scegliere l’ora che ti piaccia meglio per sposare.
-
-Samuele guardava il padre co’ grandi occhi larghi e bianchi e immobili.
-Il suo volto era quello di chi impietra.
-
-Disse maestro Alessandro:
-
-— Hai inteso?
-
-— Sì!
-
-— Perchè mi guardi così?
-
-— Per nulla.
-
-— Allora va, mettiti la veste migliore. La Venusta ci aspetta!
-
-Samuele non si muoveva.
-
-E il vecchio gridò:
-
-— A chi parlo?
-
-— Che vuoi? — fece Samuele.
-
-— T’ho detto di ripulirti che ci aspettano a casa dei Grandi. E fa
-presto!... E cammina senza storie prima ch’io ti rompa la faccia!
-
-E ancora l’abitudine antica lo tenne e l’anima sua fu muta in fondo al
-suo buio. Samuele andò, si vestì come in sogno e seguì il padre senza
-parlare.
-
-A casa dei Grandi li aspettavano. C’era una tavola imbandita e nel
-basso focolare, in fondo alla stanza, ardeva una fiamma altissima.
-Samuele non vide se non quel dolce bagliore e non udì le voci e gli
-auguri, nè vide la donna attempata che gli parlava sorridendo. Una
-volta ch’egli fissò quel volto piatto dal gran naso broccuto, rise come
-un ebete e a tutto ciò che gli fu chiesto non rispose. Poi cominciò il
-festino e la volgarità.
-
-Erano pigiati intorno ad una grande tavola, seduti su due lunghe panche
-e le donne mangiavano in disparte, presso il focolare come bestie
-accosciate, il viso sui piatti fumanti. Solo una gli era al fianco e
-lo stuzzicava e rideva a rovescio come una caldaia che bolla, ed egli
-vedeva la larga bocca dai denti gialli aprirsi e vociare e ingoiare, e
-vedeva i piccoli occhi porcini e le guance sudanti, floscie come l’otre
-vuoto.
-
-Maestro Alessandro più non si curava di lui; nessuno gli poneva mente
-chè l’accolta era intenta ai bisogni suoi voraci. I grandi vassoi di
-carni e di legumi eran finiti d’assalto e gli ampi boccali si vuotavano
-a gran furia. Solo, più aumentava l’ebbra bestialità dell’accolta, più,
-quella che gli sedeva a fianco, lo pigiava e lo infastidiva con la sua
-voce rauca e Samuele cominciò a guardarla in volto senza fiatare.
-
-E la donna chiese:
-
-— Perchè non mangi?... Ti vergogni della tua sposa?...
-
-E rideva, rideva interrompendosi a quando a quando per saziare la sua
-voracità flatulenta.
-
-— Hai sonno, di’?... Dormi ancora per questa notte chè domani non
-potrai dormire!
-
-E, sotto la tavola, gli si stringeva da presso, sempre più tenacemente,
-come la mignatta e il nodo scorsoio e le cose che soffocano e che
-dissanguano.
-
-— Non mi vuoi bene?
-
-Silenzio.
-
-— Non ti piaccio?
-
-Egli la guardava con una sua tragica smorfia e pensò come mai potevano
-uscire tali parole da quella bocca sconcia, irte di peli le labbra e il
-mento piatto. Ed ella rideva e si accalorava da sola, scambiando per
-timida inesperienza il silenzio dell’uomo e più le piaceva il giuoco,
-e più le cresceva la foja quanto più le sembrava e fresco e timido il
-frutto nuovo sul quale avrebbe morso con la furia della sua maturità
-brutta ed ingorda.
-
-E ancora gli diceva accostando a quella di lui la faccia bestialmente
-accesa:
-
-— Quando mi conoscerai mi amerai. Io so l’arte di farti morire d’amore!
-Non mi guardare se non sono bella chè ti piacerò più del sole!
-
-E la gente ubriaca cominciava a bofonchiare. Poi qualcuno più acceso,
-gridò:
-
-— O Samuele, stringitela dunque quella tua vecchia gallina!... Non vedi
-come ti guarda?...
-
-E l’idea piacque sì che l’accolta l’impose urlando.
-
-La Venusta protese le labbra e baciò sul collo Samuele. Questi la
-respinse col gomito a violenza.
-
-E disse la donna:
-
-— Abbracciami, non siamo sposi?
-
-Maestro Alessandro, in capo alla tavola, teneva la testa china sul suo
-piatto; allora un giovinastro gli gridò:
-
-— Diteglielo voi, maestro, che s’abbraccino!...
-
-E la gente:
-
-— Su dunque, diteglielo, maestro!
-
-Il vecchio levò gli occhi che si scontrarono in quelli del figlio
-suo, nè mai più torbida luce si incrociò per gli spazi nelle orrende
-tempeste. Maestro Alessandro chinò la testa. Allora l’anatroccola
-infojata abbrancò al collo Samuele e lo attanagliò come la morsa
-stringendo la viscida faccia contro quella di lui.
-
-Scoppiò una risata omerica e la voce incomposta degli ebbri di vino
-incitò la Venusta a tutto osare.
-
-Anche le donne si accostarono alla tavola, scapigliate, e battevan le
-mani. In breve si formò intorno un cerchio di brutale concupiscenza e
-Samuele vide l’assieparsi e il chinarsi delle facce oblique e vide gli
-occhi accesi di fosco ardore e le vene turgide e gli aspetti bestiali,
-nè più resse a tale supplizio.
-
-Allora ciò che l’anima sua pura aveva contenuto irruppe, schiantò ogni
-costrizione.
-
-— Va via che mi fai schifo, puttana!
-
-E afferrata la donna alla cintola l’arrovesciò sconciamente su la panca
-e si tolse dall’incubo.
-
-Il clamore si spense d’un subito. Non fu intorno che un’incertezza
-paurosa e gli occhi corsero dal volto del padre a quello del figlio.
-
-Samuele non guardò la gente, di nulla si curò se non del suo immenso
-desiderio di libertà; non fu al mondo, per lui, se non la sua fiera
-volontà che non avrebbe umiliata mai più, e sentiva una gioia altissima
-in quella subita conquista.
-
-Già era per uscire quando si levò, aspra ed imperiosa dal silenzio, la
-voce di maestro Alessandro:
-
-— Samuele?...
-
-Il giovane si rivolse torvo.
-
-— Che vuoi da me?
-
-Il vecchio fece per slanciarsi ma un urlo lo trattenne. Allora si passò
-le grosse mani su la pallida faccia sconvolta e gridò:
-
-— Va, va, che saprò dove trovarti!
-
-E nessuno più disse parola. Sentivano l’approssimarsi dell’orrore.
-Erano i Venchi di una feroce razza lupigna che nulla raffrenava. Gli
-uomini chinarono la faccia; le donne udivano già per l’aria fosca di
-tenebra le urla della folle paura.
-
-E quando il vecchio fece per uscire nessuno gli si oppose: era sul suo
-volto cadaverico la risolutezza che umilia chiunque la guati. Uscì, lo
-guardarono finchè la porta non fu rinchiusa, ascoltarono il suo passo
-finchè non si perse e allora si udì l’implorazione della donna offesa;
-schiantò il silenzio come un singhiozzo:
-
-— Correte gente, correte che non si debba udire un simile spavento!
-
-Quelle parole agghiacciarono i cuori e gli anziani si mossero incurvi,
-senza fiatare.
-
-Ora Samuele attendeva il padre nella casa sconsolata. Una lampada
-fumigava sulla tavola. Più non aveva misura il tempo, più non era nè
-tempo nè spazio, ma una cupa eternità senza voce.
-
-Camminava il giovine ascoltando il tonfo del suo cuore scatenato e ad
-ogni scricchiolio sussultava rivolgendosi alla porta.
-
-Poi si udì cigolare la porta e si udì il passo del sopravveniente.
-Furon l’un contro l’altro come due spettri. Nè l’uno dei due piegò; nè
-parevano tanto forti da superare quell’orrendo silenzio.
-
-E il vecchio si accostò al muro e ne distaccò la doppietta. Si udirono
-gli scatti delle molle congegnate.
-
-Samuele non fiatò, non si mosse, non distolse gli occhi torvi dal volto
-del padre. Erano ai due lati opposti della stanza.
-
-Maestro Alessandro puntò lentamente l’arme nera. Era nel suo volto
-sparuto la contrazione di un’ira senza limite, la terribilità del
-delitto.
-
-E allora parlò e disse:
-
-— Inginocchiati!
-
-Il figlio ubbidì e s’aperse le vesti, nè le sue mani tremarono.
-
-E il vecchio:
-
-— Farai ciò che voglio?
-
-Samuele non rispose.
-
-Il fucile s’abbassò verso il petto scoperto.
-
-— Rispondi!...
-
-Si udì un gemito, una voce strozzata, uno spasimo angosciato di
-supremo dolore e la pallidissima faccia sbiancò ancor più nell’orrendo
-singhiozzo.
-
-— Rispondi! — gridò più forte l’ossesso.
-
-Allora parve che tutto l’essere veemente e tutta la ribelle gagliardia
-del giovine si liberassero nel grido; ed egli parlò stravolto, senza
-più lume negli occhi:
-
-— Puoi ammazzarmi, ma non puoi costringermi!
-
-— Tornerai dai Grandi?
-
-— No!...
-
-— Chiederai scusa?
-
-— No!...
-
-— Mi ubbidirai?
-
-— No, no, no!...
-
-E in così dire fece per lanciarsi innanzi, cieco nel suo furore; ma
-appena aveva levato il ginocchio che un colpo rintronò e il giovine dal
-fiero viso stramazzò riverso come cosa inanimata: gli occhi al cielo e
-la bocca torta.
-
-Poi un urlo fu nella casa desolata e un urlo più alto nella notte
-grande, chè gli anziani sopraggiungevano correndo.
-
-Ma tutto era vano ormai. Il tragico fato dei Venchi era compiuto per
-l’eternità.
-
-
-
-
-LA GAZZA.
-
-
-Il semplicista non fece troppe parole; guardò Mezzalana, gli tastò il
-polso, gli rovesciò le palpebre e scrollò il capo.
-
-— Be’, cosa dite? — mormorò Mezzalana.
-
-— Cosa debbo dire? — rispose il semplicista.
-
-— C’è pericolo?
-
-— Non la vedo chiara.
-
-— Che cosa c’è.... Un tumore?
-
-— No, è il male della lucciola.
-
-— Della lucciola?... Non l’ho mai sentito ricordare.
-
-— Be’, ve lo dico io.
-
-— Siete sicuro di non sbagliarvi?
-
-— Se non mi credete, perchè non chiamate il dottore?
-
-— Il dottore?... Vuol esser pagato!
-
-— Allora state zitto se non volete spendere!
-
-Mezzalana alzò le spalle e mormorò:
-
-— Starò zitto!
-
-L’empirico riprese la mazza che aveva appoggiata al muro, si chinò alla
-secchia ricolma che era appoggiata sul pozzale, bevve e, asciugata la
-bocca sulla manica della giacca, si avviò all’uscita dell’aia.
-
-Mezzalana non era contento e già si pentiva del palancone che aveva
-dato al semplicista per la sua visita; due soldi valevan bene un lungo
-discorso, s’egli li valutava alla stregua della sua rabbiosa avarizia;
-così, come vide l’uomo andarsene tranquillamente senza aggiungere
-parola, gli gridò dietro:
-
-— Be’, non mi dite altro?
-
-L’empirico si fermò e, volgendosi a mezzo, rispose:
-
-— Non ve l’ho detto il male che avete?
-
-— Sì, ma che cosa debbo prendere per guarire?
-
-— La cassa!
-
-— Che cosa?...
-
-Allora Zibaldino, che stringeva tuttavia a dispetto, nel palmo
-della mano, la scarsa mercede e voleva far notare all’avaro la sua
-spilorceria, grugnì:
-
-— Dite un po’, pretendereste forse ch’io perdessi tutta la mia giornata
-per due soldi?
-
-— Due soldi son due soldi — rispose Mezzalana; — costano fatica e voi
-li guadagnate con delle chiacchiere!
-
-— Ah! sono chiacchiere le mie?
-
-— Non avete mica imparato la vostr’arte vangando la terra!
-
-— Allora perchè mi chiamate se sono chiacchere?...
-
-— Perchè vi contentate di poco.
-
-— Siete uno sciocco!
-
-— Io sarò uno sciocco, ma due soldi son due soldi!... E per due soldi
-dovreste parlare un po’ di più!...
-
-Zibaldino scuoteva il capo da destra a sinistra squadrando il cocciuto
-bifolco; poi si decise e parlò chiaro:
-
-— Be’, già che volete farmi parlare: volete proprio saperla tutta?
-
-— Sì.
-
-— Allora vi dico che avrete ancora tre giorni da campare!
-
-— Tre giorni.
-
-— Sì, tre giorni. E ve la dò lunga!...
-
-Mezzalana si guardò attorno, si calcò la _galosa_ fino alle orecchie e
-mormorò:
-
-— Basta!... Ho capito!...
-
-— Vi saluto — fece Zibaldino.
-
-— Addio — rispose Mezzalana; ma l’empirico non era giunto ancora sulla
-strada che il vecchio gli gridò dietro:
-
-— Avete detto che è il male della lucciola?
-
-— Sì, della lucciola!
-
-— E non ci sarebbe qualche erba?
-
-— Sì, l’_erba cagnina_ che fa bono ai cani!
-
-— Dite davvero?
-
-Zibaldino non rispose più. Si avviò per la riva del fosso, e camminava
-forte.
-
-Mezzaluna corse sulla strada, stette in forse un secondo, poi chiamò:
-
-— O Zibaldinoooo?
-
-L’altro affrettava il passo dinoccolato, il cappello sugli occhi e le
-mani in tasca.
-
-— O Zibaldinoooo?... Non mi sentite?...
-
-Sì! Chi lo sentiva?... Era indispettito. Svoltò per la prima
-viottola e non si vide più. Allora Mezzalana si grattò un orecchio
-e incominciò a pensare. Era troppo chiaro che il semplicista si era
-preso giuoco di lui. Forse con tre palanche avrebbe parlato un po’
-più e si rimproverava di non aver arrotondata la grassa mercede. Ma
-tale rimprovero non resse alla sua critica feroce. Tre palanche per
-un chiacchierone che veniva a guardarvi negli occhi o a tastarvi il
-polso? Bisognava essere milionari per darsi a spese simili. E negli
-occhi che cosa ci vedeva, la fede di nascita?... E a che serviva
-tastare il polso se egli sentiva male dentro, nel _cassone_, fra il
-cuore, lo stomaco e la milza? Spendere due soldi per sentirsi ripetere
-la bella verità che bisognava morire!... Tante grazie! Credeva forse
-che Mezzalana non sapesse.... Però aveva solo settant’anni. Che
-cos’erano settant’anni?... Suo padre era morto a ottantasette e suo
-nonno a novantaquattro. E aveva sentito dire dalla buon’anima di sua
-madre che un loro vecchio antico era giunto alla bella età di cento
-e quindici anni. Oh, sì!... Così bastava!... Dice: — Era ridotto come
-un uccellino!... Be’, e se era magro, e se mangiava poco non era fra
-i vivi ugualmente?... Perchè il tutto sta a non dover andarsene troppo
-presto; per il resto che cosa importa?... Anche se uno non si muove più
-da una sedia, basta veda....
-
-E qui lo colse un pensiero amaro: e se per davvero egli non avesse
-potuto veder più?... A settant’anni! E gli pareva di trovarsi di fronte
-a una smisurata ingiustizia se pensava alla morte alla sua età. Si
-spinse la _galosa_ sulla nuca; si avviò per l’aia ciondolon ciondoloni;
-prese una forca appoggiata a un pagliaio e la portò nella capanna. Il
-cane corse ad annusargli le gambe; lo scacciò.
-
-Una subita incredulità lo invase. Ogni dubbio ne fu travolto. Ma
-che morire!... A dar retta a certa gente sì, che si sarebbe morti
-venti volte il giorno. L’ora segnata era nel libro di Dio, non poteva
-conoscerla faccia d’uomo sulla madre terra. Il nostro destino era ben
-al disopra dei tetti delle case, in fondo al cielo, e se qualcuno fosse
-potuto andare e ritornare di lassù dove corrono le stelle, oh! allora
-gli si sarebbe potuto credere ad occhi chiusi. Ma un chiacchierone che
-sapeva l’arte di comporre qualche pillola, dove doveva togliersela
-la misteriosa scienza della vita e della morte? Perchè andava pei
-boschi, la notte?... Perchè dicevano che l’avevan veduto parlare
-coi fantasmi?... Chiacchiere che non valevano le sue belle palanche!
-Richiuse la capanna e si avviò al pozzo.
-
-Era ben vero che non si sentiva bene! Era vero, perchè negarlo?... A
-volte gli sopravvenivano certi mancamenti che, se non trovava appoggio,
-andava ruzzoloni per le terre, come gli era accaduto varie volte. E la
-vista gli si annebbiava sempre più e non aveva appetito. Almeno avesse
-mangiato!... Fin che si mangia si campa. Ma no, niente!... Appena
-qualche boccone e stentato che doveva far fatica ad inghiottirlo!
-Questo era il brutto! Già, perchè con lo stomaco non si ragiona e se
-lo stomaco sciopera.... Il male della lucciola?... Uhm?! Non l’aveva
-sentito ricordare mai. Ma che c’entrava la lucciola? Non era mica il
-tempo dei grani ed egli non soffriva di nessun fenomeno luminoso!
-
-Forse era un tumore. Già se lo sentiva addosso, a porgli mente; si
-sentiva come una cosa rotonda gravitare fra il cuore, lo stomaco e la
-milza, e nè Zibaldino, nè tutti i professori della terra potevano saper
-questo perchè, a voler ragionare, il male è di chi lo ha e chi non ne
-soffre non ne può sapere proprio nulla.
-
-E tale convinzione gli si accrebbe e gli si perfezionò per quanto più
-tempo prese a considerarla. Definito il male, pensò al rimedio. Un
-rimedio doveva esservi. La sua ostinata volontà di vivere non poteva
-rassegnarsi all’idea dell’inguaribile; così, siccome un poco se ne
-intendeva di semplici, si dette a rimuginare tutte le virtù delle erbe
-e da un angolo occulto della sua memoria gli tornò alla mente questo:
-che cioè l’erba _piastrella_ aveva la virtù di sciogliere i nodi che si
-formavano nel corpo degli uomini in seguito a cadute o a stregonerie.
-Ci voleva adunque l’erba _piastrella_ la quale non si trovava nei campi
-o lungo i fossi, ma nella pineta lontana. Doveva essere raccolta di
-notte, durante l’interlunio perchè non perdesse le sue proprietà. In
-quanto all’interlunio il periodo era propizio; in quanto alla notte....
-Si grattò un orecchio. A questo punto qualcuno scarpicciò dietro le sue
-spalle.
-
-— Come state, Mezzalana?
-
-Gettò un’occhiata in tralice. Era Pignòla, la sua vecchia moglie. Non
-le rispose.
-
-Pignòla veniva per l’aia con un paniere.
-
-— O Mezzalana, non mi date mente?
-
-Mezzalana volse il viso burbero.
-
-Quando fu vicina al marito si fermò a guardarlo da sotto in su, seria
-seria, col paniere infilato in un braccio, e nel paniere pigolavano una
-ventina di anatroccoli appena sgusciati dall’ovo.
-
-— Che cosa volete?
-
-— Vi ho domandato come va!
-
-— Io non lo so! — fece Mezzalana.
-
-— È venuto Zibaldino?
-
-— Sì. Non lo avete visto?
-
-— Non l’ho visto. Be’, che cosa vi ha detto?
-
-— Che debbo morire!
-
-— Sarà matto?!
-
-— È quello che dico io!
-
-— Non gli darete mica retta?...
-
-— No, per Dio....
-
-— Volevo ben dire!...
-
-E tacquero. Mezzalana si guardò i piedi; Pignòla raccolse i pulcini che
-tentavano di guizzar via dal paniere. Poi Pignòla soggiunse:
-
-— Non sapete neppure la razza del male?
-
-E Mezzalana:
-
-— È una razza cane!
-
-Pignòla scosse la testa:
-
-— Questo sì!
-
-Passò una pausa.
-
-— E sapete che cosa ha avuto core di rispondermi quando gli ho
-domandato un rimedio?
-
-— Che cosa ancora?
-
-— Mi ha risposto che la medicina era la cassa!
-
-— Dite sul serio?
-
-— Non vedessi più la faccia de’ miei figli!
-
-Pignòla aggrottò le ciglia e scagliò la sua maledizione:
-
-— Facesse Iddio che toccasse a lui!...
-
-E, lanciato che ebbe l’anatema, si dette a rincorrere gli anatroccoli
-che erano guizzati fuor dal paniere e scorrazzavano per l’aia.
-
-Mezzalana l’aiutò. Quand’ebbero compita l’opera, Mezzalana disse:
-
-— Sapete che male è?
-
-— No.
-
-— È un tumore!
-
-— Ne siete sicuro?
-
-— Sì. E ci vuole l’erba _piastrella!_
-
-— L’erba _piastrella?_... Che cos’è?
-
-— Come, non la conoscete?... Non sapete se faccia bene?...
-
-— Io no....
-
-Allora Mezzalana guardò la moglie di sbieco e brontolò:
-
-— Già l’ho sempre detto che siete un’ignorante!...
-
-La Pignòla non ribattè, era abituata agli sgarbi del suo signore e
-padrone, nè si riteneva degna di un trattamento diverso. Quand’era
-ancora giovine erano state famose bastonature ch’ella aveva inscritto
-nel capitolo dell’amore e della gelosia e che l’avevan fatta orgogliosa
-del suo uomo di fronte alle compagne; da vecchia il bastone aveva
-ceduto l’impero alle violenze ed ella prendeva queste come quelle, con
-l’intima fierezza di una donna che si sente amata.
-
-Senza scomporsi adunque, e per nulla offesa tirò di lungo, entrò nella
-capanna e scomparve.
-
-Come Mezzalana fu solo, raccattò uno stecco che vide in mezzo all’aia,
-lo portò nella catasta delle legna perchè nulla doveva andare disperso,
-poi si fermò, la testa bassa, tutto assorto in un pensiero.
-
-Così ristette alquanto e, quando si riscosse, la sua decisione era
-presa.
-
-Egli stesso sarebbe andato in pineta, durante la notte; avrebbe
-raccolta l’erba che conosceva e sarebbe ritornato innanzi l’alba.
-
-A compire il viaggio gli bastava il suo ciuco. Nessuno doveva saper
-nulla della decisione presa, neppure la Pignòla.
-
-Però, siccome un certo dubbio gli rimaneva in fondo all’anima e capiva
-di mettersi in un grave rischio, chè il viaggio non era corto, e poteva
-coglierlo un malore lungo la strada, decise che, prima di partire,
-avrebbe preso le sue precauzioni. E tali precauzioni erano d’indole
-affatto particolare. Entrato nel nuovo ordine di idee si affrettò verso
-la casipola, entrò nella stanza terrena e gridò a Pignòla che era curva
-su gli alari:
-
-— Questa sera si deve cenar presto!... Spicciatevi!
-
-— Devo cuocere la minestra? — domandò Pignòla rivolgendo la faccia.
-
-— Sì, cuocete!
-
-— E i ragazzi?
-
-— Fatevi alla siepe e chiamateli. Sono nel campo?
-
-— Sì.
-
-La Pignòla andò e tornò, presta come la lepre. Aggiunse legna al fuoco
-e una grembiulata di canàpuli, accese la lampada, andò ad attingere il
-vino nel boccale, cosse la minestra.
-
-I figli e le figlie di Mezzalana entrarono senza pronunciar parola e
-sedettero sulle panche disposte ai due lati della tavola.
-
-La Pignòla si spicciò, la minestra fu servita. Mezzalana non toccò
-cibo, ma nessuno gli pose mente se non fu la vecchia Pignòla.
-Questa che, dopo essersi pienata la sua verde scodella, preso il
-nero cucchiaio di legno, si era seduta sopra un sacco di farina, in
-disparte, a consumare il suo pasto, guardava a quando a quando il
-marito e mangiava di mala voglia. Poi non potè resistere e disse:
-
-— Mezzalana, non avete fame?
-
-Il vecchio non rispose. E la donna:
-
-— Non fate bene a star sempre digiuno! Vi guasterete la salute!
-
-Mezzalana grugnì in sì malo modo che la vecchia Pignòla abbassò
-l’insolcata faccia su la scodella e non parlò più.
-
-Compìto che fu il pasto, tutti salirono al piano superiore e Mezzalana
-rimase solo; allora, come udì spengersi a mano a mano ogni fruscìo,
-si tolse le scarpe, staccò la lampada appesa sotto una trave e andò
-ad assicurarsi che tutte le porte fossero ben chiuse. Si fece poi
-alle scale e stette in ascolto. La sua gente dormiva affranta dalla
-stanchezza. Ciò piacque al vecchio, il quale si guardò attorno ancóra,
-chè lo teneva l’eterno sospetto di essere spiato. Stava per compire
-qualcosa di sacro, qualcosa che gli era come un misterioso rito verso
-il suo Dio sonante. E per tale rito al quale, dai lontani tempi della
-sua immemorabile giovinezza, egli si era tenacemente votato, dormiva
-solo, in uno stambugio attiguo alla cucina e nessuno vi entrava se non
-Pignòla, rarissimamente, quando il consorte suo non poteva levarsi dal
-letto.
-
-Entrato che fu nel _Sancta sanctorum_, tirò il catenaccio, posò la
-lampada sopra una sedia e, presa una piccola scala a piuoli, l’appoggiò
-ad una trave e vi salì. Nel corpo di detta trave, per mezzo di certi
-suoi nuovi congegni, egli aveva aperto un rifugio capace di contenere
-comodamente le cose che voleva riporvi; e tale rifugio era sì ben
-chiuso che, dal basso, nessuno avrebbe potuto sospettarne l’esistenza.
-Vi salì adunque, ne tolse la chiusura, l’ispezionò e come fu sicuro
-dell’affar suo, vi depose la sacra mercanzia ch’egli aveva presa
-antecedentemente da un ripostiglio praticato nel muro, dietro l’arca.
-Compìta ch’ebbe la faccenda, ridiscese, portò la scala altrove, uscì
-su l’aia a specular la notte. Era sereno. Tempo calmo. Il Carro saliva
-nello spazio verso i sommi cieli, con le sue sette stelle. Allora,
-trasse dalla stalla _Simone_, l’attaccò alla carretta e se ne andarono
-per le strade silenziose verso la pineta marina.
-
-E l’alba non ancóra era per nascere quando Mezzalana e _Simone_
-ritornavano con l’erba _piastrella_. Ma se _Simone_ era tranquillo
-circa la sua sorte, altrettanto non lo era Mezzalana, chè sentiva il
-suo male crescergli dentro a dismisura e arroncigliarlo e morderlo e
-tormentarlo con lena sempre maggiore dilagando dal confine suo consueto
-a tutto il corpo. Il nodo maligno, confinato fra lo stomaco, il cuore
-e la milza si moltiplicava, tanto che Mezzalana aveva ferma fede di
-sentirlo crescere dentro di sè e radicarsi per ogni dove fino alla cima
-delle dita. Epperò un certo sudor freddo gli bagnava la fronte e il
-petto; e il dolore lo toglieva di senno.
-
-Fermarsi no, e correre non poteva. Inoltre l’austera indifferenza di
-_Simone_ tanto lo inaspriva che, nelle rare tregue alla sua sofferenza
-si vendicava con certe gigantesche legnate le quali avrebbero atterrato
-un toro, non che un ciuco. _Simone_ si limitava a ritrarre un poco la
-parte offesa, che era quella dove la coda s’impianta, e tirava di lungo
-senza commozione nessuna, come se l’ossa sue e le carni fossero del
-più saldo metallo. Tutt’al più levava il muso e raggrinziva le froge in
-quella diabolica risata muta che solo gli asini sanno. Comunque fosse,
-la distanza fu superata e Mezzalana giunse alla sua casa.
-
-Già cantavano le capinere e il cielo si tingeva di rosa. Le finestre
-erano chiuse tuttavia. La sua gente dormiva. Bene: tutto era riuscito
-secondo il suo piano; ma il più gran male sorse quando egli tentò
-di scendere dalla carretta nella quale si era disteso fra l’erba
-_piastrella_. Non vi riuscì. Solo che avesse tentato di sollevarsi gli
-sopravveniva tale spasimo da togliergli la luce. Frattanto _Simone_,
-che non si sentiva più dominato dal morso, se ne andava per l’aia a
-suo piacimento e avrebbe senz’altro rovesciata la carretta e Mezzalana
-nella buca del letame, se il vecchio egoista non si fosse dato a
-gridare:
-
-— Pignòla?... O Pignòla?...
-
-E appena aveva levata la voce angosciata dal male che una finestra
-si aprì e fra un vaso di basilico e un geranio fiorito apparve la
-scarmigliata testa della donna.
-
-Si guardò intorno, domandò:
-
-— Che cos’è?
-
-— Vieni!... — urlò il sofferente.
-
-— Siete voi, Mezzalana?...
-
-Il vecchio le rispose con un’imprecazione classica tanto che Pignòla,
-di un sùbito ridesta, si tolse dalla finestra, chiamò i figliuoli e
-corse nell’aia.
-
-Dopo Pignòla giunse Stecco, il figlio maggiore, e Mezzalana fu preso e
-portato nel suo stambugio ad attendervi l’ora dell’ultima passeggiata.
-
-Tornò Zibaldino; giunsero le attinenti vestite di nero; i figliuoli e
-le figliuole non andarono ai campi.
-
-Zibaldino disse:
-
-— Chiamate il prete. Tira lo sgambetto!...
-
-E, fra quanti erano nella camera, solamente una donna incominciò a
-piangere e fu Pignòla. Si tirò la pezzola su gli occhi e si perse, non
-seppe più far nulla. Ella soffriva davvero perchè si era affezionata al
-suo aguzzino e le doleva di vederlo partire per la dimora vegliata da
-una croce.
-
-Mezzalana non parlava più. Aveva una gran sete, beveva sempre, tanto
-che Stecco disse:
-
-— Diventerà una botte!... — E lo guardò morire perchè la morte era una
-cosa nuova per lui e gli procurava una certa sensazione strana.
-
-Giunsero altre attinenti abbrunate; ne fu piena la camera e la cucina,
-tantochè quando il prete fu sulla porta dovette farsi largo per
-entrare.
-
-Mezzalana fu unto, ma non se ne addiede e il prete ripartì senza
-avergli tratto una sola parola di bocca. Non che il morituro fosse
-fuori di senno, ma non parlava, non badava a nessuno, gli occhi fissi
-al soffitto e le mani conserte sul petto.
-
-Solo ad un punto, quando già la sera stava per ritornare, le donne che
-gli eran vicine, l’udiron mormorare:
-
-— Li vedo.... li vedo!...
-
-E volsero gli occhi intorno e si guardarono stupite. La Pignòla si fece
-innanzi, stranita:
-
-— Ha parlato?
-
-— Sì.
-
-— Che cosa ha detto?
-
-— Ha detto che li vede!
-
-— Li vede?...
-
-E un terrore superstizioso invase le donne che guardaron per l’aria e
-temettero di vedere a loro volta una paurosa apparizione.
-
-Da quel punto Mezzalana incominciò ad agonizzare; ma ebbe un’agonia
-gaia, senza scosse, senza grida o stravolgimenti, senza orrori. Se ne
-andava per il suo destino, come una stella in fondo ai cieli e pareva
-fosse contento. Il suo viso si illuminava sempre più, si componeva
-in una pace gaudiosa come se la morte gli parlasse dentro con parole
-amorose, narrandogli di un riposo eterno in un paese sonante di un
-infinito tintinnìo metallico.
-
-Non erano, le stelle, sì grandi quanto uno scudo d’argento?... E
-bene erano di argento e d’oro le belle monete di Dio!... D’argento e
-d’oro.... cosparse per l’immensa contrada dove non è neve, o pioggia,
-o solleone: ma solo l’Eterno Patriarca, e gli uomini che non hanno
-peccato, e le inutili vergini, e i poppanti, e i santi impolverati,
-e gli uccelli!... Forse la morte gli additava la contrada celeste e
-la fiumana sonante perchè Mezzalana più si accostava al valico e più
-sorrideva. E come fino a quel punto non aveva parlato, incominciò a
-parlare e le donne lo ascoltarono abbrividendo perchè esse vedevano la
-morte ben diversamente.
-
-Mezzalana adunque non tolse più gli occhi dal soffitto o, con maggior
-precisione, dalla trave nella quale era richiamato il suo cuore e, come
-l’aria veniva a mancargli sempre più, incominciò da prima a borbottare,
-sì che nessuno intese ciò che diceva, poi scandì le parole.
-
-— Io li vedo.... nessuno li vede!... Sono là.... là.... bianchi....
-gialli.... neri!... Duemila, quattromila!... — E una grande luce gli
-si distendeva sul volto. — Quattromila.... diecimila.... die.... ci....
-mi.... la!...
-
-Le donne si portavano le mani alla faccia; gli uomini si stringevano
-alle pareti e il panico superstizioso cresceva.
-
-— Nessuno li vedrà.... nessuno li toccherà!...
-
-Allora una donna piccina, ossuta, che più tremava di sacro orrore, levò
-la faccia rigata di lacrime e gridò:
-
-— Vede gli angeli!...
-
-Quel grido si ripercosse in tutti i cuori e ne trasse un’emozione
-violenta. Di un sùbito tutti furono convinti della stessa verità e si
-inginocchiarono e nascosero la faccia. E la piccola donna gridò:
-
-— Muore come un santo!... Ha la grazia del Signore!... È un santo!...
-
-Le lugubri prefiche ripeterono:
-
-— È un santo!...
-
-E tutti piansero, toltone i figli di Mezzalana, che non credettero
-a niente perchè ricordavano troppo bene la vita, le prepotenze, le
-angherie e la sordida avarizia del padre. Ma Pignòla era fra le più
-convinte; Pignòla piangeva e perdonava tutto perchè aveva amato.
-
-E Mezzalana morì mormorando:
-
-— Li vedo!... Li vedo!...
-
-Era notte quando se ne andò dal mondo, tantochè le ammantate, che
-rimasero a pregare presso la salma di lui, videro in realtà un grande
-chiarore nella notte e gli angeli che portavano in cielo l’anima di San
-Mezzalana.
-
- ❦
-
-Ora, quando il vecchio non fu più nel suo stambugio, i figli suoi
-gettarono all’aria tutto e cercarono e frugarono senza trovar neppure
-un centesimo. E la voce corse per il contado:
-
-— È morto e non ha lasciato niente!... È una famiglia alla miseria!...
-
-Qualcuno susurrò ch’egli avesse dotato del suo un convento delle
-montagne.
-
-Comunque fosse, anche Pignòla morì e i figliuoli vendettero la casa
-e si dispersero per il mondo. Dieci anni dopo, quando al fatto non
-si pensava più, volendo il nuovo proprietario della casa ampliarla,
-cominciò con l’abbatterne una parte e un giorno, in cui i muratori
-erano intenti a far discendere una trave dalle mura disfatte, avvenne
-un prodigio: questa trave si aperse e lasciò cadere un rivolo; una
-pioggia di monete d’oro e d’argento.
-
-Furono conte: erano diecimila lire, quelle stesse che il vecchio
-avaro aveva nascoste lassù prima di andarsene a raccogliere l’erba
-_piastrella_ e che avevano illuminata la morte di lui.
-
-Ma il fatto non fu risaputo che da pochi; e ancóra si parlò per le
-veglie della santa morte di San Mezzalana, mentre i figli di lui
-andavano poveri e raminghi per le vie della terra.
-
-
-
-
-L’EREDITÀ.
-
-
-Il grande niveo armento riprendeva le vie della campagna, chè già era
-prossimo il mezzodì e fin dall’alba soave si era accolto nel campo
-alberato giungendo e dalle foci remote e dai colli inghirlandati di
-mandorli.
-
-Ora l’inegual tocco dei campani, il grido dei biolchi, il fondo
-muggito dei bovi si disperdeva lungo le vie maestre e le viottole; si
-allontanava verso i chiusi e le stalle prossime e remote, dal mare alla
-montagna. E non restavano, nel campo alberato, se non i ritardatari,
-i mercanti, coloro che attendevano a riscuotere o a pagare, e qualche
-disperso che era giunto senza saper che volere e così se ne tornava
-maledicendo, curvo su le pediche innumerevoli dei trascorsi.
-
-Non per anco dalle rogge torri e dai campanili sereni era disceso lo
-stormo delle campane del meriggio; nè dalle piazze della bianca città
-si era levato il volo delle colombe al consueto richiamo; ma presso
-era il punto dell’ora che divide il giorno fra i due crepuscoli e i
-bifolchi cercavano, nel cammino dell’ombra e nell’arco solare, il tempo
-alla sosta ed al sonno.
-
-Già le osterie intorno al mercato rigurgitavano di genti, di grida
-e dell’acciottolìo che riempie quei luoghi quando la fame degli
-uomini impera; già chi non aveva se non il suo pane nei tasconi della
-cacciatora, lo traeva e lo addentava in pace, seduto ad un’ombra, in
-disparte, e molti si affrettavano, accesi dal caldo e dal vino, verso
-gli stallatici rigurgitanti a riprender la brenna o il ciuco e a partir
-sotto il sole per le remote case.
-
-Non uno era solo sul proprio barroccino o sul calesse dal mantice
-stinto, chè lo attendeva per la via una comare, un capoccio, un amico,
-un conoscente a domandargli ospitalità al suo fianco e le brenne
-arrancavano malinconiche.
-
-Scarse eran le ombre, violentissimo il sole, accecante il bagliore
-delle strade, i nembi della polvere, densi come la nube turbinosa.
-
-E sempre suonavan campani, muggivano buoi, gridavano e sibilavano
-biolchi astati, dietro le disciolte mandre dei vitelli, i quali,
-impauriti da un nulla, si sbandavano e invadevano i campi e le vigne e
-le maggesi in una scalpitante scorribanda tempestosa.
-
-Uomini e fanciulli e cani si lanciavano all’inseguimento mentre,
-ubbidienti alla mano di un bimbo, reggente la corda della nasaiola, i
-giganteschi buoi seguivano le prode dei fossi ponendo nel sole l’acceso
-bagliore dei loro fiocchi vermigli.
-
-La fiumana si disperdeva; morivano i suoni lontanando nell’afa
-meridiana; il niveo armento disceso con l’alba alle soglie della bianca
-città ricinta da floridi orti, ritornava verso le foci silenziose e
-verso le vigne degli armoniosi colli. Il campo del mercato era quasi
-deserto, ma ancora vi si trattenevano i mercanti, e i capocci, e i
-sensali.
-
-Eran conclusi gli ultimi patti, risolti i più tardi dubbi fra un
-intermesso scrosciar di bestemmie e un vociare e un tendersi di mani
-avvinte e squassate dalla furia dei sensali e tanto più s’incaniva
-la baraonda quanto più era presso il termine del mercato: ma padron
-Cecco rideva. La sua rotonda faccia gioviale non era punto commossa
-dall’impeto di coloro che gli si stringevano intorno nel passionato
-desiderio di concludere l’affare col re del mercato; le parole, le
-promesse, le esaltazioni, le grida, non turbavano la sua sorridente
-impassibilità. Ascoltava tranquillo, lasciava che i venditori e i
-sensali si sopraffacessero nella iperbolica esaltazione della merce,
-non troncava mai a mezzo un discorso, non discuteva; solo, quando si
-era al concludere, ripeteva l’offerta fatta fin dal principio:
-
-— Quaranta marenghi!
-
-— Ma, Dio mi faccia morire, se Paolino della Tuda non me ne ha offerti
-quarantacinque!...
-
-E padron Cecco:
-
-— Dovevate darglieli!
-
-— Un paio di buoi che porterebbero via una casa!
-
-E un sensale:
-
-— Padron Cecco, quarantadue marenghi e non se ne parli più!... Qua la
-mano!
-
-Cecco dall’Orto rideva.
-
-— Allora dite che non volete farne nulla!...
-
-E il venditore ai sensali:
-
-— Dio mi faccia perder la vista e ch’io non veda più i miei figliuoli
-se non mi offrivan di più questa mattina!... Due buoi senza difetto!...
-Grassi che sembran da macello!
-
-— Qua la mano, padron Cecco; quarantadue marenghi e pace è fatta!
-
-— Quaranta marenghi!
-
-La disputa si accendeva, traviava in qualche velata insolenza, ma
-Cecco dall’Orto non perdeva contegno e misura essendo convinto che,
-per l’offerta avanzata, gli avrebber condotte le bestie fino alla sua
-stalla lontana.
-
-Così avvenne. Il patto fu conchiuso e fu versata una parte del prezzo.
-
-La gente sapeva, d’altra parte, che se Ceccone dall’Orto, il mercante
-milionario, aveva stimato che un par di buoi non valesse più che tanto,
-non sarebbe stato possibile elevarne il valore perchè il parere di
-Ceccone imperava per tutti i mercati della grassa terra fruttifera.
-
-Ed anche gli ultimi preser la via del ritorno. Non rimaneva, fra la
-scarsa ombra degli alberi, allineati attorno attorno al campo, se
-non qualche miserrimo ciuco che fiutava la polvere. I bifolchi e i
-sensali si sbandarono. Padron Cecco s’avviò solo verso lo stallatico
-a riprender la cavalla e già stava per uscire su la via quando si
-vide alle terga una donna in gramaglie che lo seguiva. Si rivolse
-mediocremente incuriosito. La donna si fermò e fece per calarsi la
-pezzuola su gli occhi, ma Ceccone disse ridendo:
-
-— Oh! La Gilda!...
-
-La donna levò gli occhi torvi su la rotonda faccia gioviale del
-mercante e non parlò.
-
-E padron Cecco:
-
-— Mi cercavi?... Sei a piedi?... Vuoi salire con me sul barroccino?...
-
-— No, non voglio!
-
-— Be’!... E allora?...
-
-— Allora, sempre così!... — gridò la donna.
-
-— Sempre così.... sempre così!...
-
-E gli occhi di lei, accesi di sdegno, dopo aver squadrato una seconda
-volta il giocondo colosso, si rivolsero altrove; ed ella prese una
-strada diversa e si allontanò rapidamente.
-
-Padron Cecco sorrise e, abbassata un poco la testa, appoggiandosi
-a quando a quando sul suo rozzo bastone da fattore, si avviò allo
-stallatico. Quivi trovò gli amici mercanti e, come era consuetudine
-sua, chè avrebbe preferito digiunare anzichè mangiar solo, li convitò
-alla sua mensa.
-
-Partirono al trotto serrato dei cavalli iniziando ben presto la gara
-fra i singoli corsieri; tutti affannati, impolverati, sudanti; ebbri
-dei buoni guadagni e del caldo e dell’amore delle facili femmine
-lascive, sempre soggette e dimesse, come i nivei bovi al curvo giogo di
-salice.
-
- ❦
-
-Così la vita a Ceccone dall’Orto, l’astuto bifolco alunno della
-fortuna. Egli era cresciuto in ricchezza e in gagliardia da quando,
-abbandonato l’aratro fra le maggiatiche, lasciate le costumanze degli
-avoli, e l’antico podere, troppo violentato dall’adunco vomere perchè
-potesse dare buon frutto, si era dato a bazzicare pei mercati e a
-intessere i suoi primi imbrogli ben riusciti.
-
-Allora non aveva che la sua giocondità, un discreto acume per gli
-affari ed una furberia malandrina. Aveva anche l’arte di piacere agli
-uomini benchè gli fossero tutti ugualmente indifferenti. La fortuna
-lo adocchiò. In quel tempo egli poteva giuocare tutto per tutto; la
-prigione non lo spaventava nè l’opinione che i suoi simili potevano
-farsi sul conto di lui. Sapeva che il danaro rinnova le coscienze
-stinte e che la gente indignata non rivolge il proprio furore là dove
-l’oro ristagna e la sua giocondità non si oscurò per un attimo solo.
-Tentò un colpo canaglia. Gli riuscì. Mandò all’aria una famiglia di
-onesti sciagurati e da un giorno all’altro si trovò possessore di
-trentacinquemila lire. Aveva ciò che gli abbisognava per dare alla
-propria attività il largo campo necessario.
-
-Da quel tempo gli scrupoli suoi furono anche minori, se ciò era
-possibile, e siccome natura lo aveva fatto di solida tempra ed egli
-poteva tranquillamente non dormir le notti, mangiare poco e a furia,
-resistere per giorni e settimane, alla baraonda dei mercati senza
-risentirne stanchezza, non si risparmiò. Volle da se stesso il massimo
-sforzo per il maggior risultato e l’ottenne. In pochi anni la sua
-fortuna decuplicò e siccome il denaro, fra le sue mani, ad altro non
-serviva se non ad accrescersi di continuo, Ceccone dall’Orto si trovò
-a possedere, su la sua cinquantina, quattro milioni e mezzo. Ma il
-patrimonio accumulato non gli fece mutar gusti nè abitudini; egli
-rimase il rozzo bifolco che era il giorno in cui aveva gettato la marra
-e abbandonata la famiglia per seguire il suo destino dissimile. Come
-non mutò la foggia del vestire e la casa e sempre fu contento della sua
-cacciatora di _mezzalana_ e del suo stambugio disadorno fra i campi,
-così i desideri suoi non si accrebbero per altre vie. Gli era gioia
-spadroneggiare pei mercati, far ribotta quanto più sovente poteva,
-cambiare le sue grosse amiche gioconde che non conoscevan sospiri. Non
-aveva famiglia. Gli eran compagni, nella casa solitaria, due garzoni e
-una cuoca. La stalla e la cucina erano le sue sale.
-
-Ottuso ad ogni sentimento, di qualsiasi natura esso fosse, non aveva
-provato mai commozione nessuna nè per sè nè verso i suoi simili.
-Amava la sincerità brutale; le cose che hanno un volto e una parola
-cruda. Pel resto la sua nativa diffidenza di bifolco e di mercante si
-esplicava nel suo immutabile riso.
-
-Assediato dai suoi parenti, che il suo patrimonio cospicuo faceva
-delirare, Cecco dall’Orto rideva; perseguitato da ogni sorta di gente,
-losca nella sua umile devozione, non ne era vinto. Nessuno mai aveva
-avuto da lui un solo scudo. Ceccon dall’Orto rideva.
-
-Tale era il re delle sonanti adunate, l’astuto bifolco squadrato a
-gagliardia; gran mangiatore e grande amatore al cospetto dei compagni
-suoi bercianti che sempre gli erano da presso.
-
-Ora egli non pensava alla morte più che non pensasse a impoverire
-e benchè i parenti suoi innumerevoli sempre gli stesser d’intorno,
-quasi a ricordargli la fragilità della sua materia, non eran riusciti
-tuttavia a far sì che padron Cecco testasse. Egli sapeva che le
-sue amiche e le genti alle quali dimostrava qualche simpatia erano
-osservate, circuite, minacciate chè, nel novero dei suoi parenti, v’era
-qualcuno del suo conio, pronto a qualsiasi prova pur di riuscire dove
-mirava; sapeva che ogni sua parola detta era vagliata e soppesata, che
-ogni ora della sua vita era a conoscenza de’ suoi devotissimi aguzzini,
-che non poteva far cosa che non fosse risaputa e tutto questo in attesa
-della sua bene augurata morte; ma non mutava volto nè anima, nè la
-giocondità di lui era per annebbiarsi menomamente. Anzi il giuoco lo
-divertiva. E se qualcuno fra i più arditi gli faceva osservare talvolta
-che un uomo dell’età sua avrebbe dovuto pensare a disporre de’ suoi
-beni, rispondeva ridendo:
-
-— Fra tutti voi, davanti alla morte, io mi chiamo Ultimo!
-
-Ora quel giorno, dopo aver fatto ribotta con i mercanti amici suoi,
-se ne stava seduto, verso sera, innanzi alla tavola apparecchiata
-attendendo che Carlotta ritornasse dall’orto e gli apprestasse la cena,
-quando udì qualcuno che si rimuoveva sotto il portico. Non vi pose
-mente. La porta era spalancata, ma padron Cecco non levò gli occhi a
-guardare. Pensava ad un suo nuovo raggiro. Così non badò a chi entrava
-nella cucina e solo alzò il capo quando udì la voce di Carlotta dire:
-
-— Oh!... Come mai vi si vede, Gilda!...
-
-Allora guardò dall’altro lato della tavola e si trovò innanzi la donna
-che l’aveva seguito furtivamente quando ritornava dal mercato. Vestiva
-sempre il lutto, aveva la pezzuola nera sul capo e gli occhi suoi
-grandi fiammeggiavano di sdegno.
-
-La Gilda non rispose a Carlotta. Guardava Ceccone dall’Orto, fissamente.
-
-Questi non si scompose, la sua faccia gioviale non ebbe un sol guizzo.
-Disse in tono placido:
-
-— Sei venuta a farmi compagnia, Gilda?
-
-La Gilda, senza mutar volto, come fosse irrigidita, mormorò:
-
-— Imbroglione!...
-
-Allora Ceccon dall’Orto si rivolse a Carlotta che si scandalizzava e
-riprese:
-
-— La Gilda non si sente bene, forse! Hai fatto il brodo questa sera?
-
-— Sì, padrone!
-
-— Be’, apparecchia per due.
-
-E siccome padron Cecco non disse altro, ogni conversare finì.
-Rimasero di fronte e l’una pareva volesse distruggere l’altro solo
-col fiammeggiare degli occhi suoi fissi. Aveva puntato i cubiti su la
-tavola e si stringeva la faccia fra le palme.
-
-Padron Cecco riprese l’ordine de’ suoi pensieri e nulla perse della
-sua tranquillità giuliva; ma quando Carlotta si fece alla tavola con
-una scodella e la pose innanzi alla Gilda, questa si levò di scatto,
-scaraventò l’arnese in mezzo alla stanza e riprese la via dell’uscio.
-
-Ceccon dall’Orto die’ nel ridere e a Carlotta che gli chiese:
-
-— Ma che ha quell’indemoniata?
-
-rispose:
-
-— È un po’ matta, ma fa ridere! È la seconda volta che la vedo, oggi!
-
-— Badate, padrone, che è della razza dei Giuli!... Badate non faccia
-uno sproposito!
-
-— E che dovrebbe fare?
-
-— Non si sa mai!... Una donna come quella!...
-
-— Hai paura che mi ammazzi?
-
-— Io non porrei la mano sul fuoco, sapete!... È una donna capace di
-tutto!
-
-— Ma no!
-
-— Per me, fate quel che volete; ma, se fossi in voi, terrei gli occhi
-aperti.
-
-— E li tengo chiusi, io?
-
-— Non dico questo. Ma non è prudente lasciarsi accostare così da
-un’indemoniata come quella.
-
-— Ma credi sia la prima volta? Sarà un anno che mi perseguita così; da
-quando l’ho lasciata! Le ho offerto del denaro, non ne vuole! Le ho
-domandato che cosa le abbisognava e neppure mi ha risposto. Che cosa
-devo fare, allora?... Vuoi che me la sposi?... Una volta mi aspettava
-o all’osteria o sulla strada; mi capitava fra i piedi ogni due ore e si
-accontentava di guardarmi malamente. Ora pare voglia stare più comoda,
-viene in casa; e tu lasciala venire. Che vuoi farci?
-
-— Io la metterei alla porta!
-
-— Ma no, poveraccia!
-
-— Non vedete che vuol farvi dispetto?
-
-— Be’, ti pare che le riesca?
-
-Carlotta si strinse fra le spalle e ritornò ai suoi fornelli
-brontolando:
-
-— Se se ne accorgono i vostri parenti!
-
-— Credi non lo sappiano?... No, di quella non hanno paura!
-
-E Ceccon dall’Orto rise, divertito dalla lotta che gli si muoveva
-intorno sorda e continua per il possesso dei suoi beni.
-
-E la Gilda continuò ad apparire, imperturbabile, ogni sera, quando
-padron Cecco era per mettersi a cena. Entrava per la porta aperta,
-senza dir parola, senza badare a quelli che potevano essere nella
-cucina, sedeva in faccia al suo vecchio amante, puntava i gomiti
-sulla tavola, la faccia fra le palme e così restava mezz’ora e più
-in perfetto silenzio, guardando a sdegno padron Cecco. Che fosse
-tuttavia innamorata di Ceccon dall’Orto nessuno credeva, come non si
-credeva che un qualsiasi interesse potesse spingerla ad agire in sì
-strano modo; ella ubbidiva unicamente alla sua natura dispettosa, al
-bisogno di riuscire intollerabile a chi non si era occupato di lei
-per tutta la vita e le aveva detto addio con la tranquillità con la
-quale si abbandona un indifferente. Nel sottile groviglio della sua
-docile perfidia ella aveva cercato e cercava tuttavia la persecuzione
-più sorda, più continua, più implacabile; quella che esaurisce ogni
-pazienza e si termina in aspri litigi quando non ceda al peggio.
-
-La Gilda avrebbe dato metà del suo sangue per vedere la faccia di
-Ceccone travolgersi nell’ira brutale; l’anima sua maligna ne avrebbe
-goduto come del più bel trionfo; ma come non le riusciva neppure
-a scomporre per il battito di un secondo la tetragona placidità
-dell’antico amante, sempre più si incaniva in se stessa, struggendosi
-dalla bile e pronta ad ogni più sorda lotta pur di riuscire al suo
-còmpito.
-
-Altro non voleva se non tormentare e l’immutata giocondia di padron
-Cecco la faceva tormentata.
-
-Ora avvenne che, cadendo l’autunno ed essendo tempo di grande caccia,
-Ceccon dall’Orto, per imbandire certi suoi germani che aveva uccisi
-nella palude, convitasse ad un festino gargantuesco tutti gli amici
-suoi ed i parenti e le donne dei parenti e degli amici. Due cuochi
-giunsero dalla città in aiuto di Carlotta. L’ampia cucina brillò per le
-grandi fiammate e sì empì di grassi odori e di un festevole vocìo fin
-dalle prime ore del giorno.
-
-Si apprestava il banchetto classico romagnolo, ponderoso ed
-interminato, in cui le portate si succedono e si moltiplicano, si
-sovrappongono e si ripetono in tale abbondanza da farne sazio un paese.
-
-La brigata incominciò a giungere fin dalla mattina. Ora era un
-barroccino, ora un calesse, ora un bagherino.
-
-Ogni nuovo arrivato incominciava a gridare fin dalla strada per
-manifestar la sua gioia e la sua fame.
-
-L’aver fame, molta e bramosa fame, è il complimento più grato
-all’ospite che convita. E Ceccone accoglieva gli invitati di su
-la soglia, ridendo e vociando a sua volta, tutto rosso e grasso
-e colossale che pareva lo specchio dell’uomo che non sa se non la
-robustezza del proprio stomaco insaziabile come il sepolcro.
-
-La stalla rigurgitò di cavalli e di ciuchi; l’aia fu piena di calessi e
-di _bagher_; la casa di genti, strillanti come la scimmia e la gazza.
-Le donne si ritraevano in cucina; gli uomini si adunavano su l’aia.
-Erano una coorte. E la frase che correva intorno più frequente, a
-manifestar la bramosia del gregge, era:
-
-— Quando si mangia?
-
-E ognuno faceva sollecitudine ai cuochi e alle donne chè si
-affrettassero e dessero il cenno che allieta colui che si appresta ad
-ingozzarsi. Il cenno fu dato che ancora non era il meriggio e l’immensa
-tavola imbandita fu presa d’assalto. L’orgia bacchica incominciò. Il
-sangiovese, l’albana, il pagadebiti, la canina, corsero a fiumi giù
-per le sitibonde gole. L’acqua fu bandita come una cosa immonda; come
-la compagna dell’anatra e del luccio e dei ridevoli ranocchi. E fra
-bere e impinzarsi la buona gente romagnola si sentì a suo agio. Il
-cuore crebbe a mano a mano che lo stomaco si saziò. Tutti si vollero
-bene e vollero bene alle donne e ai cuochi e ai cani e alle galline
-che razzolavano sotto la tavola. La nativa scurrilità si elevò di
-tono. Ogni sporca cosa divertì la brigata, ma sopratutto le donne. Chi
-le diceva più grasse più era apprezzato dalla compagnia e le risate
-succedevano alle risate in un assordante baccano. E fra tutte risuonava
-più alta la voce di Ceccon dall’Orto. Egli non poteva dir cosa, anche
-fra le più stupide, senza sollevare un clamore di approvazioni e di
-risate, e, se apriva bocca, tutti tacevano e si protendevano, rapiti.
-
-Ma avvenne che, sul più bello di un enorme boccone, e il simposio
-volgeva alla fine, padron Cecco stralunasse.
-
-Dapprima gli ospiti risero, credendo che il milionario celiasse; ma
-quando videro la rotonda faccia del mercante, di vermiglia divenir
-paonazza e inturgidirsi nelle vene; e videro gli occhi farsi di un
-subito sanguigni e metà viso stravolgersi in una smorfia orrenda,
-balzarono in piedi, ammutoliti.
-
-Fu prima una donna che disse piano:
-
-— Gli è venuto un colpo!...
-
-Poi l’attimo dello sbalordimento fu superato e furono in venti a
-soccorrerlo. Padron Cecco non dava più segno di conoscenza. Gli
-slacciarono i panni, lo portarono al piano superiore, nel suo letto, e
-mentre gli uomini correvano per il medico altri andarono per il prete.
-Tutti lo videro morto. Al baccano smodato subentrò un pavido silenzio.
-
-Ormai si poteva esporre apertamente il proprio pensiero, Ceccone
-dall’Orto non capiva più.
-
-Ancora fu prima una donna che disse:
-
-— Bisogna cercare il testamento!
-
-E un’altra:
-
-— Non ne ha fatto!
-
-Un brivido corse fra i muti parenti, torvi dinanzi alla morte che
-poteva carpir loro l’agognata fortuna.
-
-Poi fu come una vandalica intesa e mentre il moribondo rantolava nello
-spasimo della soffocazione, l’avida muda si gettò sui canterali, sugli
-armadi, sulle arche, rompendo e devastando nell’ansia della suprema
-ricerca.
-
-Solo Carlotta singhiozzava muta in un angolo.
-
-Non fu trovata nè una carta nè un soldo e la turbolenta masnada si
-rivolse a guardare il moribondo, obliqua e sinistra. Su tutti quei
-volti non era che il lampo dell’odio.
-
-Giunse il medico, intraprese la sua inutile cura.
-
-Gli fu chiesto:
-
-— Morirà?
-
-— Sì.
-
-— Potrà parlare?
-
-— Forse sì.
-
-— Ah!... — Una speranza si fece largo fra la tenebra improvvisa.
-
-Ed anche il prete venne e dietro di lui la Gilda vestita di nero. Aveva
-la pezzuola calata su la fronte. Passò muta fra l’indifferenza degli
-astanti, non salutò e non fu salutata. Ristette in piedi, vicino al
-capezzale, le braccia pendule e le mani incrociate. Sul volto di lei
-non era se non la sua continua smorfia sdegnosa.
-
-Ora tutti erano intenti a seguire l’opera del medico. Non rifiatavano.
-Vi fu un punto in cui il rantolo di padron Cecco si affievolì e si
-spense. Allora le donne mormorarono:
-
-— È morto!...
-
-E già il prete si chinava sul capezzale e dietro di lui la Gilda,
-quando il morituro ebbe una subitanea scossa, levò un poco il capo,
-aperse gli occhi:
-
-— Parla, parla!... — susurrarono le donne protese. — Parla!... Potrà
-far testamento!
-
-E tutti si fecero innanzi togliendosi il cappello e richinando
-umilissimamente la faccia. Vi fu chi disse:
-
-— Coraggio, Checco!
-
-Ed altri:
-
-— È nulla!... Guarirete, coraggio!...
-
-E i mormorii passavan via col brivido del cuore in tumulto.
-
-Ceccon dall’Orto volse gli occhi intorno, disse:
-
-— Ho sete!
-
-Venti mani si protesero all’arida bocca rossigna.
-
-E Ceccone bevve e tutti lo guardarono assiepandosi intorno a lui e
-attendendo le sue parole. Fu un silenzio eterno.
-
-Padron Cecco richiuse gli occhi, li riaprì, fissò ad una ad una
-le facce degli astanti volgendo lentamente il capo. E su tutte le
-tragiche maschere vide la stessa ansia rapinatrice, velata di umiltà;
-su tutte, tranne una. Una donna era là con l’anima sua di sempre, col
-suo dispetto nemico, dipinto sul viso pallido. Padron Cecco la guardò,
-disse:
-
-— La Gilda!...
-
-E questa, senza scomporsi, senza mutar voce nè tono, come tante volte
-rispose:
-
-— Crepa, cane!...
-
-Ceccon dall’Orto tentò un sorriso, ricadde spossato sui guanciali; ma
-poi lo videro muovere un braccio come a chiamar qualcuno e riaprì gli
-occhi e fe’ segno che il medico ed il prete gli andasser vicini.
-
-— Parla, parla!...
-
-— Fa testamento!... Ha chiamato i testimoni!... Fa testamento!...
-
-Non fu mai ansia più tremenda, forse, neppure in chi attendeva dal
-giudice la morte o la vita.
-
-Il medico e il prete si chinarono sul morituro.
-
-— Volete parlare?
-
-— Sì... ecco... la mia ultima... volontà!...
-
-I volti erano terrei.
-
-— Vi ascoltiamo — disse il prete.
-
-E il medico:
-
-— Vi ascoltiamo.
-
-— Io... ho piena coscienza... è vero?
-
-I testimoni dissero:
-
-— Sì. Avete perfetta coscienza.
-
-— Allora... (fra parola e parola pareva passasse l’eterno silenzio).
-Allora... io... in perfetta coscienza... voglio e dispongo che... erede
-universale... delle mie sostanze... sia...
-
-Boccheggiò. Si udirono quattro bestemmie favolose.
-
-Riprese:
-
-— ... sia... l’unica che non mente... la Gilda... Gilda dei Patrizi...
-
-Ed altro non disse; ma non morì a tempo per non udire la sincerità
-dei delusi scatenarglisi contro come a nessun uomo mai, nell’odio che
-impaura ed ammazza.
-
-
-
-
-LA FESTA DEI MIGLIACCI.
-
-
-I tre norcini si rivolsero a padron Serafino, chè eran per separarsi, e
-domandarono:
-
-— Dunque è per domani?
-
-— Sì, per domani!
-
-— A bruzzico?...
-
-— Ma sicuro!... Ce ne son tre da governare! Arrotate gli arnesi.
-
-— Non temete che son a filo. Allora saremo da voi prima di giorno. Fate
-che tutto sia pronto.
-
-— Tutto è in ordine. Arrivederci.
-
-— Non ci pagate da bere?
-
-— No; chè se vi ubriacate non si lavora.
-
-— Anzi!... Si lavorerà più sodo!...
-
-— Berrete domani, chè faremo allegra festa.
-
-— Bene. Vi salutiamo.
-
-— Addio.
-
-Padron Serafino frustò la ronzina e i norcini svoltarono per la
-viottola dei maceri.
-
-Il livido decembre si assonnava infreddolito, accorciando sempre più
-le giornate. Si era alla vigilia di San Tomè che prende il porco per
-lo pè. L’adagio rispecchiava l’usanza dei bisavoli, dei trisavoli;
-l’antichissima consuetudine di sacrificare, nel giorno di San Tommaso,
-gli enormi porci satolli di farina gialla e di ghiande. Epperò, nelle
-case che fiancheggiavano la strada, si vedevan, dalle basse finestre
-senza imposte, divampanti fiammate e grandi paiuoli sul fuoco e genti
-in moto a varie opere. Inoltre, nel crepuscolo bigio, passava a quando
-a quando l’infernale urlìo delle immonde bestie mangerecce le quali,
-tolte dai catri o dagli stabbioli, e trascinate per le orecchie e per
-la coda verso il luogo del sacrifizio, impaurite dal fatto inusitato,
-non potendo altro opporre, tanto strillavano da tòrre di senno l’armato
-norcino che le attendeva al varco.
-
-Su la bassa pianura corsa dalle fiumane, intenebrata dalla nebbia,
-dispoglia da ogni vita vegetale, erano quelli gli unici suoni che
-trascorressero, chè già le pievi disperse avevano suonato l’ave e le
-strade, aspre di ghiaie, erano deserte. Era la stagione in cui gli
-uomini più vantano i pregi della mensa e ingioiscono e s’ingollano e
-si satollano gridando, fra la tavola e il fuoco, negli interminabili
-conviti; la stagione sacra agli stomachi temprati alle eroiche fami e
-ai pasti monumentali. Epperò l’ecatombe dei grufolanti quadrupedi si
-annunziava per un acutissimo stridere ripetuto di casa in casa, fin
-sotto l’estremo arco della sera, fin dove la zona delle nebbie più si
-ispessiva fra l’ignuda terra e il cinereo cielo.
-
-Padron Serafino guardava e si encomiava per aver resistito agli aspri
-rabuffi e alle geremiadi della moglie sua pallida e scarna come il
-peccato mortale; si encomiava, chè non avrebbe capito mai in quale
-utile fosse per tornargli una male intesa economia quando non aveva
-figliuoli a cui pensare, e, se avesse voluto godersi tutto il suo,
-innanzi di morire, questo era ben fatto! Ma la Bita, che era il
-ritratto stesso del digiuno e di ogni macerazione, più scendeva negli
-anni e più si incaniva nella febbre del suo risparmio, quasi che la
-vita le fosse diventata un malanno e tutto stesse per rovinare nella
-vecchia fattoria dei Conti. A darle retta si sarebbe mangiato sul
-pugno, una volta al giorno, pane e formaggio e nulla più; nè i vecchi
-vini, che hanno nel cuor loro vermiglio la giocondìa del sole, più
-sarebbero apparsi su la tavola; nè i tradizionali fasti della mensa
-avrebber dovuto continuarsi. E perchè questo? Perchè tale quaresima se
-ormai poco più tempo restava al loro godere, chè gli anni eran molti?
-Portare i suoi _allievi_ al mercato per trarne buon guadagno?... Bene!
-E poi? Chi l’avrebbe compensato del sacrificio? Forse la Bita co’ suoi
-vezzi?
-
-E padron Serafino rideva fra sè e frustava la sbilenca ronzina. Ancora
-vide, nel bigio crepuscolo, le case degli Anselmi, dei Montanari, dei
-Migi illuminate di fiamma; e udì frastuono di opere e di risa, mentre
-l’urlìo delle allombate vittime saliva, si spegneva, riscoppiava
-acutissimo fin oltre i visibili confini della sera decembrina.
-
-Come arrivò alla fattoria, la Bita era su la soglia, attratta dal
-bubbolìo delle sonagliere, e, ancor prima che padron Serafino fosse
-disceso dal calesse, domandò:
-
-— Be’, li avete venduti?
-
-— Che cosa?
-
-— Gli _allievi_.
-
-— Sì, li ho venduti.
-
-— Quanto avete preso?
-
-— Centocinquanta marenghi; tre forme di cacio e un piatto di migliacci.
-
-— Volete canzonarmi?
-
-— No, signora Bita!... Non vi par buono il mercato?
-
-— Mi pare che mi manchiate di rispetto!
-
-— Oh!... Guarda!...
-
-Padron Serafino rise, scese dal calesse, chiamò:
-
-— Michele?... O, Michele?...
-
-Il garzone uscì dalle stalle e prese in consegna la ronzina.
-
-— Aspetta, — disse Serafino. — Ho qui qualche cosa.
-
-E si chinò a togliere dal cassetto del calesse alcuni suoi involti.
-
-— E quella che roba è? — domandò la Bita. E padron Serafino, infilando
-l’uscio di casa:
-
-— Toh!... Sono i marenghi!
-
-La Bita scrollò le spalle. Gridò:
-
-— Più invecchiate e più rimbecillite!
-
-— Già!... Io rimbecillisco, ma tu non canzoni!...
-
-Poi, dopo aver posato gl’involti su la tavola:
-
-— Be’, che cosa si mangia questa sera?
-
-— Niente.
-
-— Come niente?
-
-— Niente, vi ho detto!... È poco, niente?... Niente!...
-
-— Sarai matta?... Ma ti sogni forse ch’io voglia digiunare come te?
-
-— Se avete fame andate all’osteria.
-
-Padron Serafino incominciava a spazientirsi. Si rivolse, guardò in
-faccia la sua donna irosa e rispose:
-
-— Io non vado nè all’osteria, nè all’albergo, nè.... Basta!... Io sono
-in casa mia qui; e voglio mangiar qui!... O che storie sono queste?
-
-E la Bita ironicamente:
-
-— Perchè non mangiate i vostri allievi?
-
-— Non t’impensierire, chè domani sarà fatto!... E non sarò solo alla
-festa!...
-
-— Come?... Domani.... ammazzate?...
-
-— Proprio così!... Domani ammazziamo!...
-
-— Dunque volete farmi tutti i dispetti possibili?
-
-— Prendila come vuoi!
-
-— Vi siete giurato di romperla?
-
-— Romperla o no, io voglio così e così deve essere!
-
-— Peggio di una serva mi trattate!... Ma la vedremo!... Oh, la vedremo
-come finirà!...
-
-Allora padron Serafino si rivolse, levò la mano chiusa con l’indice
-teso e incominciò:
-
-— Stammi a sentire, moglie....
-
-Ma in quel che era per catechizzare la recalcitrante compagna, ecco
-aprirsi la porta ed entrare i tre norcini. Il capomaestro, magro e
-brucato come l’erbaio delle capre, si fece innanzi e disse:
-
-— Siamo venuti.
-
-Padron Serafino lo sbirciò in tralicio.
-
-— Siete venuti?... O che l’alba spunta alle nove di sera quest’oggi?
-
-E il capomaestro:
-
-— Abbiamo pensato che ne avevate tre, padrone; e siccome si voleva fare
-il nostro lavoro a modo, e posdomani siamo impegnati, si lavorerà tutta
-la notte.
-
-Padron Serafino guardò involontariamente la donna sua, ma questa gli
-volse le spalle grugnendo ed uscì.
-
-— Sta bene, — disse il grosso fattore, e si fregò le mani. — Sta bene.
-Allora all’opera!
-
-I norcini deposero gli arnesi su la tavola, si tolsero la cacciatora,
-vestirono i grandi grembiuli insanguinati.
-
-— Siamo pronti, — disse il capomaestro. — Ora chiamate i garzoni che
-accendano il fuoco.
-
-Animati dalla speranza di un pasto succolento, i garzoni accatastarono
-in breve, vicino al focolare, una montagna di sarmenti. Fu sgombrata
-la camera dagli oggetti inutili. Si fece posto al troppolo, a una gran
-tavola, al sacco del sale e furono fissate alle travi lunghe corde
-terminate da ganci.
-
-Il capomaestro dirigeva l’opera. Quando tutto fu compiuto, afferrò
-l’acuminato punteruolo e disse:
-
-— Andiamo.
-
-Padron Serafino e i compagni gli tennero dietro. La cucina chiareggiava
-per la fiammata altissima. Poco dopo i tre _allievi_ di padron Serafino
-empirono la notte delle loro urla laceranti e l’olocausto al Dio della
-fame fu compiuto.
-
-La Bita era scomparsa, ma nessuno si occupò di lei. I norcini e gli
-uomini della casa erano troppo intenti a sparare e a governare i tre
-monumentali _allievi_ di padron Serafino perchè avesser la mente ad
-altro; nè si addiedero del cupo abbaio dei mastini, chiusi in fondo
-all’aia, nella capanna dell’aratro. Sopraggiunsero le genti del
-vicinato. Si fermarono sulla soglia battendo i piedi e disviluppandosi
-dalle mantelle.
-
-— Che si fa lo sdrucio? — chiedevano.
-
-E padron Serafino:
-
-— Chi vuol mangiare, lavori!...
-
-Finirono per essere una ventina all’opera. Chi tagliava, chi tritava,
-chi insaccava, chi struggeva la stillante grascia, chi si arrovellava
-agli strettoi a fare i pani di ciccioli, chi, lasciata la mannaia sul
-troppolo, affondava le braccia nel sacco del sale o drogava il rosso
-tritume cosparso di grasselli, chi cuoceva i mallegati negli enormi
-paiuoli, chi apprestava la rosticciana e i migliacci chi adunava
-le setole, chi i zampetti, le cotenne, il grugno e le gote a far la
-soppressata. Era un rumoroso tramestio interrotto a quando a quando dal
-grido di gioia che si leva allorchè si dilemba e si assolca la terra;
-o quando si accorolla la paglia in tumulto e la bica è disfatta. Per
-l’indomani padron Serafino aveva convitato i parenti, i vicini, gli
-amici a far la festa dei migliacci, e il pantagruelico pasto, inaffiato
-dai vini migliori della fattoria, accendeva il desiderio degli uomini
-accorsi a prestar mano all’opera gioconda.
-
-I mastini continuavano a latrare sordamente. La Bita non si vide più.
-
-Or come la notte fu verso il suo termine, la stanchezza vinse l’operosa
-brigata e fu deciso che tutti avrebber riposato un par di ore. Ognuno
-riprese la propria mantella ed uscì dopo aver fissato l’ora della
-ripresa.
-
-Ultimi ad andarsene furono i norcini e padron Serafino: quelli
-entrarono nella stalla, questi salì alla sua stanza. Quando fu al
-termine delle scale, accese un fiammifero ed aprì cautamente la porta
-per non ridestare la Bita, ma la precauzione fu inutile perchè la
-Bita non c’era e il letto era intatto. Non vi pensò più che tanto.
-Era stanco, aveva sonno. Si tolse le scarpe e la cacciatora, s’infilò
-sotto le coltri e, dopo un minuto, dormiva. Ma non tanto dormì chè,
-di repente, balzò sul letto, sbalordito dall’affannosa chiamata del
-capomaestro;
-
-— Padrone.... padrone.... scendete che hanno aperto la porta, e i
-mastini....
-
-— Eh? — gridò Serafino. — I mastini?....
-
-— Sono entrati in cucina....
-
-— In cucina?...
-
-— È un guaio!... Un guaio!...
-
-Padron Serafino scese il letto e così in pedùli traversò la stanza e si
-gettò giù per le scale.
-
-Quando vide il disastro, si portò le mani ai capelli, senza far
-parola. Anche i tre norcini guardavano, allibiti. Durante il loro
-sonno qualcuno aveva disciolto i mastini e aveva aperto l’uscio della
-cucina. Le bestie affamate non avevano chiesto di meglio per darsi alla
-devastazione. Ora non rimaneva di tutta la faticata opera notturna se
-non uno sconcio tritume sparso qua e là per terra, sulle tavole, presso
-la cenere del camino.
-
-Il giorno non era nato ancora. Appena si vedeva un po’ di chiarinella
-all’estremo levante. E nevicava; nevicava a dolco, a fiocchi serrati,
-fra un grande silenzio. Ed ecco che, dal silenzio, all’improvviso si
-levò, leggero e delicato, un canto di voci argentine di bimbi e di
-fanciulli. Giungeva dall’altro lato della corte, dove erano i magazzini
-e le stanze disabitate nelle quali dormivano i braccianti alla buona
-stagione.
-
-Padron Serafino si inorecchì, volse il capo, domandò:
-
-— Che cos’è questo?
-
-I tre norcini si strinsero nelle spalle senza rispondere.
-
-Il canto si levava, con nostalgica dolcezza, dal gran silenzio, e
-pareva lontano, pareva attraversasse tutto il cielo per giungere fin
-là, o superasse le volte di un chiuso tempio deserto. Era un’aria
-antichissima, un motivo liturgico, sacro a Natale ed ai fanciulli dai
-tempi dei tempi.
-
-Padron Serafino mormorò:
-
-— Cantano la pastorella!
-
-E i tre norcini:
-
-— Sì.
-
-Nella nuova pausa si udiron le parole del canto:
-
- Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo,
- E vieni in questa grotta al freddo e al gelo....
-
-Padron Serafino non rifiatava, le braccia penzoloni. Entrò Michele, il
-garzone. Serafino gli disse:
-
-— Dov’è la Bita?
-
-Michele rise e disse:
-
-— È nei magazzini. È tornata un’ora fa. Aveva con sè una ventina di
-marmocchi. Non li sentite cantare?
-
-— Sì. Anche questa è una novità!
-
-E Michele:
-
-— Si preparano per la notte di Natale.
-
-— E c’è bisogno di prepararsi proprio all’alba?... Sul più bello del
-sonno?... E i mastini chi li ha preparati?...
-
-Michele si volse da un altro lato.
-
-— Quando sono andato a letto avevo ben chiusa la porta, io!... Chi l’ha
-aperta?
-
-Eguale silenzio.
-
-— E chi ha sciolto i cani dalle catene?
-
-Michele scoppiò in una risata improvvisa.
-
-— Perchè ridi, stupido?
-
-— Rido.... perchè.... la Bita....
-
-— L’hai veduta?
-
-— Sì....
-
-— E perchè non sei venuto a destarmi?
-
-— Perchè?... Perchè c’è stata lei a far la guardia!...
-
-— Va bene.
-
-Padron Serafino non perse la calma. Ordinò a Michele e ai due norcini
-di salvare dal disastro ciò che ancóra era salvabile e di riordinare
-tutto e di non far parola come se nulla fosse stato; poi, afferrato un
-punteruolo robusto, si volse al capomaestro e gli disse:
-
-— Vieni con me.
-
-E uscirono. Michele ed i norcini si guardarono in faccia:
-
-— E adesso che succede?
-
-Sempre si udiva il dolce canto giungere per l’aria come se discendesse
-con la neve dall’infinita pallida foschia.
-
-— Ho paura che succeda qualcosa di grosso! — fece Michele; ma in quel
-che si avvicinava alla finestra per guardar nella corte, ecco rientrare
-padron Serafino, seguito dal capomaestro e da Luigi, il biolco.
-
-— Presto, presto!... — gridò Serafino. — Tu, Michele, va, attacca la
-cavalla e verrai con noi. E tu, Luigi, prendi il morello e gira per
-tutte le case, per tutti i ritrovi e invita uomini, donne, preti....
-chi conosci e chi non conosci.... invita chi incontri: poveri e ricchi,
-contadini, braccianti, cacciatori, pescatori.... tutti, insomma!...
-Hai capito?... Tutti!... Devi dire che padron Serafino ha vinto al
-lotto e vuol dare una gran festa.... un festone stragrande!... E che
-riempirà di tavole imbandite tutta la casa, fino alle cantine.... e
-che non guarderà in faccia nè ad amici nè a nemici perchè vuol stare
-allegro.... perchè vuol ridere e vuole che tutto il vicinato goda con
-lui! Hai capito?... E non dimenticarti dei suonatori! Vogliamo ballare,
-vogliamo!... Hai capito?...
-
-Poi, senza attendere risposta, si volse ai norcini, e parlava affollato
-come se l’affanno fosse per soffocarlo:
-
-— E voi accendete i fuochi, qui e nella stanza delle pile. Fate tutto
-alla grande! Eccovi cento lire!... Se non c’è sale, compratene; se
-non ci sono droghe, compratene. Quando ritorno voglio trovar tutto
-all’ordine. Se vien gente dite che aspetti. — Luigi?... Senti. Prima
-di andar via, aggioga i buoi al carro.... chiama Pietro e digli che li
-conduca dai Fiori, che ne avrò bisogno. Presto dunque!... Presto!...
-Non state lì a guardarmi come tanti mammalucchi!... Oggi si vuol far
-ribotta, oggi!... Dev’essere uno sdrucio, da ricordarsi negli anni!...
-Andiamo.... Andiamo!...
-
-E uscì seguito dal capomaestro. La ronzina li attendeva nella corte:
-salirono sul calesse e partirono fra la neve senza che nessun rumore si
-avvertisse; solo si udiva il canto dei fanciulli dai magazzini:
-
- Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo....
-
-Anche Luigi partì e Pietro col pesante carro vermiglio. I norcini
-accesero i fuochi. Incominciarono a giungere gli invitati, ma la neve
-attutiva ogni rumore e nessuno levava la voce tuttavia.
-
-Quando padron Serafino ritornò, dietro il carro nel quale giacevano due
-nuovi _allievi_ già macellati, si fermò ad ascoltare se la Bita fosse
-sempre nei magazzini. C’era sempre. Disse:
-
-— Bene!...
-
-Gli _allievi_ furono portati in cucina: il carro fu riposto. La gente
-che giungeva entrò nelle stanze a terreno senza rifiatare per non
-insospettire la Bita.
-
-Michele fu posto a guardia della casa. Si era rimpiattato in una ceppa
-e, avvoltolato entro il suo rifugio, spiava l’uscita dei magazzini.
-Nevicava sempre. Padron Serafino non era tuttavia sereno. Solo si
-irraggiò quando Michele aprì la porta e disse:
-
-— Se n’è andata?
-
-— L’hai veduta?
-
-— Sì.
-
-— Ha preso la via della chiesa?
-
-— Sì.
-
-— Allora è fatta!... Presto, ragazzi, diàmoci d’attorno. La Bita non
-ritornerà prima di mezzogiorno e a mezzogiorno le tavole vogliono
-essere imbandite!
-
-Rotti i freni, il baccano e il furor dell’opera ricominciarono come
-la notte innanzi. La gente corse da tutte le parti all’invito, chè la
-nuova si era diffusa. Più di settanta persone si trovarono in breve,
-raccolte su la faccia del luogo. La nativa gaiezza romagnola travolse
-la brigata. I volti s’invermigliarono, i cuori si aprirono: non vi fu
-più padrone e contadino, ma gente che voleva godere e ridere e star di
-buon core sotto la faccia del cielo. E le botti pensarono al resto.
-A mezzogiorno tutto era compiuto. Imbandite le tavole, apprestate
-le vivande, spillati i vini negli enormi boccali a fiorami. Tutte
-le stanze a terreno rigurgitavano di convitati. Michele stava sempre
-sull’avviso a spiare il ritorno della Bita. Padron Serafino attendeva
-presso l’uscio e quando il garzone giunse correndo e mormorò:
-
-— Eccola, eccola!... Viene!...
-
-Padron Serafino fece il cenno convenuto e tutti tacquero sedendo
-intorno alle tavole imbandite. Non si udì più se non il crepitar del
-fuoco e qualche susurrare subito interrotto. Il grosso fattore sedeva
-alla tavola più grande avendo a lato i norcini, i suoi compagni di
-mercato e le ben pasciute donne del contado.
-
-La Bita entrò nella corte. Tutti allungarono il collo, a guardare dalle
-anguste finestre. Passò un fremito e un susurro:
-
-— Eccola, eccola, eccola!...
-
-E una trepidazione gioiosa tenne il core di tutti i festanti. La Bita
-non aveva fretta.
-
-Si fermò, stupita, a osservar le innumerevoli pediche su la neve; si
-accostò al canile a vedere se i mastini c’erano sempre; si sorprese
-dello strano silenzio che regnava. Si volse intorno. Piano piano si
-diresse all’uscio, come a malavoglia. La trepidazione dei convitati si
-accresceva sempre più. Si udì smuoversi la maniglia dell’uscio, si vide
-il paletto che si levava un poco. Trascorsero fulminei susurri:
-
-— Viene!... Non viene!... Se ne è accorta.... No!...
-
-Padron Serafino aveva puntato le mani alla tavola, nell’atto del
-levarsi, e stava così, rivolto verso l’uscio, come fosse magato.
-
-Poi l’uscio si dischiuse un poco, sempre un po’ più, lentissimamente,
-e la scarna figura della peccatrice abbrunata apparve nel vano. Ma
-appena aveva levata la faccia di sotto lo scialle nero, e lo stupore si
-dipingeva in quella, che, da settanta petti, contemporaneamente, sorse
-un grido formidabile;
-
-— Evviva, evviva la Bitaaaa!...
-
-La donna illividì, parve impietrirsi, non dette più cenno di vita.
-Caduto il grido, non si rimosse, non comprese. Ferma e rattratta sotto
-lo sguardo delle genti, non rifiatava. Allora padron Serafino parlò.
-Disse:
-
-— Moglie, questa gente pregherà il Signore per te!... — La Bita levò
-gli occhi cupi. — Tu hai avuto pietà dei cani e io ho avuto pietà degli
-uomini. Moglie, ciò che è mio è tuo e ciò che è tuo è mio; ma è giusto
-ringraziare te di questa ribotta, perchè ho preso i soldi dal tuo
-canterale. Erano cinquanta bei marenghi nuovi di zecca. Ce li mangiamo
-per la tua salute! È giusto!...
-
-Poi, fra l’improvviso travolgente baccano dei banchettanti, che avevano
-disciolto ormai ogni freno, si udì levarsi acutissima l’aspra voce
-della peccatrice abbrunata:
-
-— Ladro, ladro!... Assassino!... Erano i denari per il mio mortorio!...
-Ladro.... ladro.... ladro!...
-
-Ma poco valse la sua pena, di fronte al giocondo irrompere delle genti
-che le sovrastavano berciando, ed ella si raccolse in un angolo,
-il volto celato nelle volute del suo nero zendado, e così stette
-singhiozzando senza rimuoversi per quanto tempo durò l’allegra festa
-dei migliacci.
-
-
-
-
-LA MADRE.
-
-
-Girò due volte la chiave nella toppa, aprì la finestra sul giardino,
-respirò l’aria nuova, si irraggiò di sole, ristette pensosa per
-l’attimo di un suo turbamento inespresso. Era sola, si sentiva libera
-di pensare, di piangere, di ridere senza essere osservata, senza essere
-curata, senza l’ossessionante miseria di un egoismo amoroso che non le
-dava tregua e respiro.
-
-Sapeva che poco sarebbe durata anche quella sua momentanea pace perchè
-nel termine di una fuggevole ora qualcuno avrebbe bussato alla porta e
-una voce sommessa si sarebbe levata a domandar di entrare; ma frattanto
-poteva abbandonarsi a sè stessa, essere un attimo senza guardia e senza
-il sorriso di un affetto che a mano a mano, inattesamente e fatalmente,
-le si convertiva in odio.
-
-Sedette alla scrivania, guardò a lungo il sereno, le rose in fiore,
-i comignoli dei vecchi tetti, le finestre delle soffitte che non
-si aprivano mai e dalle quali pendevano, ondeggiando al vento, le
-ragnatele; guardò là cima di un cipresso che svettava oltre la cinta
-di un giardino e lo spirito di lei, appartandosi fra le dolci cose
-consuete, distendendosi come al respiro del morire di quel maggio,
-ritornò alla sua gaiezza nativa, dimenticò tutto, seguì la sua via
-naturale nel sogno, poichè la vita le era una maledetta costrizione ed
-un continuo affanno.
-
-E dall’insolito silenzio le proveniva la sua gioia; sempre più si
-schiariva nell’abbandonarsi alla necessità del suo vivere. Tutto era
-dimenticato, tutto era morto e lontano e scomparso, proseguiva, come la
-nube innamorata del sole e del vento va per i liberi spazi secondo la
-legge delle creature lanciate dalla nascita alla morte. Come ogni astro
-ed ogni goccia di pioggia, ed ogni fiore cercava il suo compimento,
-costruiva la propria vita oltre il dolore e la morte di chi l’aveva
-preceduta.
-
-E l’umile aspetto di cui si rivestiva l’egoismo materno non le fu più
-dinanzi, nè più ricordò le melate parole che le predicavan la rinunzia
-per amore, nè le lacrime mute più penose di un’aperta volontà contraria
-alla quale si può trovar forza per resistere come incitatrice di
-energia, nè la sorda lotta combattuta ora per ora, giorno per giorno in
-una snervante malinconia di opaco contrasto, di egoistica miseria che
-si infingeva rivestendosi di dolcezza e di bontà. Più nulla, più nulla!
-Il suo cuore era gaio come il cielo turchino, chiaro come un cristallo,
-aperto come l’ebbra rosa solare.
-
-La faccia appoggiata alle piccole palme dischiuse, gli occhi larghi
-sulla bionda luce del giardino, seguiva una dolcezza di memorie
-inquadrate in volti di paesi lontani, vissuti per tenerezza di amore,
-discoperti come all’origine della vita e sorrideva come se tutto
-le ritornasse dinanzi a volta a volta in una realtà più intensa e
-profonda di quella vera e s’ella si trovasse tuttavia, nei calessi che
-la trascinavano su pei colli verso una selva, verso un paese turrito,
-verso una città solitaria; e l’uomo amato le era vicino e la conduceva
-al limitare del sogno.
-
-Rinascevano così le parole scambiate, quelle più turgide d’ansia, che
-più si accostavano, come un brivido, dalla bocca al cuore e dal cuore a
-tutto il senso; e le estasi mute, e l’affannoso volto del piacere che
-occhieggiava di fra le siepi del biancospino come una giovine nudità
-intravveduta per cui si trema e si sogna.
-
-E come più le memorie si affollavano, simili a volti di fanciulli al
-cancello di un giardino, più ella sentiva la profonda gioia della sua
-solitudine.
-
-Rilesse le ultime lettere che le aveva mandato da lontano e il tempo le
-scorreva sì rapido che appena le pareva di essere entrata nella stanza
-quando udì qualcuno che bussava alla porta.
-
-Ebbe un atto di impazienza; le gote le si arrossarono all’improvviso,
-volse il capo a domandare:
-
-— Chi è?
-
-Una voce umile rispose:
-
-— Sono io!
-
-— Che vuoi?
-
-— Ti disturbo?...
-
-— Vorrei rimaner sola!
-
-Trascorse una pausa. La stessa voce riprese ancóra più sommessa:
-
-— C’è una lettera per te.
-
-— Una lettera?
-
-— Sì. L’ha portata poco fa il postino.
-
-Anna si levò e si fece alla porta. Apparve il piccolo viso dolciastro
-della madre.
-
-— Dov’è la lettera?
-
-— Eccola — fece la madre e gliela porse.
-
-Un’occhiata bastò ad Anna per capire dalla soprascritta di che si
-trattava. Piegò la lettera in due e la ripose in seno.
-
-La madre la guardò fare senza mutar volto, sempre umile nella sua
-mansuetudine apparente. Fu un silenzio penoso.
-
-— Non la leggi? — domandò la madre.
-
-— Oh, non è nulla di importante!
-
-Anna non abbandonava la maniglia dell’uscio; l’altra, che si era ferma
-sulla soglia, mosse un passo per entrare.
-
-— Chi ti scrive?
-
-— Non so. Forse sarà l’Angiola.
-
-— L’Angiola?... Non mi pare la sua calligrafia!
-
-— Mah!...
-
-Non si guardavano in faccia. La madre deviò il discorso, abilmente.
-
-— Non ti fa male agli occhi tanta luce?
-
-— No. Mi piace.
-
-— Non vuoi che ti socchiuda le persiane?
-
-— No, grazie!
-
-Le risposte di Anna erano concise e la voce dura. Ciò moltiplicava le
-pause.
-
-— Poco fa è venuta la signora Erminia; voleva vederti. Ho detto che non
-eri in casa.
-
-— Hai fatto bene!
-
-— Sai chi sposa?
-
-— No.
-
-— L’Amelia.
-
-— Ah!
-
-— Si è fidanzata col dottor Pini.
-
-La madre guardava per la stanza. Disse dopo una sosta più lunga:
-
-— Già vorrai rimaner sola!
-
-— Mi faresti piacere.
-
-Ma la signora Viani non si rimosse. Aveva sempre il suo sorriso di
-vittima sulle piccole labbra stirate e gli occhi malinconicamente
-umidi.
-
-Disse ancora:
-
-— Aspetta, Anna. Questa mattina non ti hanno cambiato gli asciugamani.
-Ora li prendo io.
-
-— Non importa, mamma.
-
-— Non vuoi?
-
-— È inutile. Ora non mi abbisognano.
-
-— Ma.... se più tardi....
-
-— Fra poco scenderò.
-
-— Come vuoi!
-
-Come si addiede di non poter scegliere via che la conducesse al suo
-porto, la signora Viani si ritrasse di su la soglia.
-
-— Allora ti aspetterò giù.
-
-— Sì, mamma.
-
-— Tarderai molto?
-
-— No.... Qualche minuto.
-
-— Non vuoi uscire questa mattina?... C’è tanto un bel sole!...
-
-— Non ne ho voglia.
-
-— Bene.
-
-E si volse per andarsene. Anna richiuse la porta, attese che il passo
-della madre fosse dileguato giù per le scale e allora girò per due
-volte il chiavistello e respirò sollevata.
-
-Tornò allo scrittoio. Il volto di lei si distese, animato da una
-segreta gioia improvvisa, tolse la lettera dal seno, l’aprì. E non
-erano parole scritte ch’ella aveva dinanzi, ma il volto del suo amore
-e l’udiva parlare appassionato come se le fosse dietro le spalle,
-inchino, e la bocca di lui le sfiorasse le orecchie e il respiro le
-scendesse per le tempie e per le gote per farla abbrividire. Si udivano
-i passeri e le rondini.
-
-Cigolò la carrucola di un pozzo; una donna cantò il fior dell’arche
-odorose che si dischiudono per i letti dei giovani quando l’amore
-consiglia.
-
-Oh amore e gioia! E c’era una nuvola bianca ed esigua su l’orlo del
-giardino, là dove il cielo si chinava presso una nera torre quadrata,
-fiorita da ciuffi di ranuncoli. Le glicinie erano in fiore. Avevano
-coperte le mura dei loro corimbi azzurri e violacei; molli come il
-molle cielo. Ne erano quasi chiuse le finestre delle camere disabitate
-e i colombai. Anche le vecchie mura di rossi mattoni godevano del sole
-e della primavera e le bifore chiuse da tanti mai anni; chiuse con lo
-spirito di una bellezza morta.
-
-Ed ella benchè non vedesse, assorta com’era nel suo léggere amoroso,
-sentiva l’anima delle cose circostanti irraggiarsi come l’anima sua,
-nel mattino, chè tutto compiace a giovinezza.
-
-E ancora udì bussare alla porta. Nascose la lettera nel seno; si levò.
-Era la madre con un fascio di fiori. Disse:
-
-— Ti ho portato i fiori per i tuoi vasi. Questa mattina non li avevi
-raccolti.
-
-— Grazie!
-
-Li prese e li posò sopra una sedia.
-
-— Ti occorre nulla?
-
-— No.
-
-— Non vuoi bere una tazza di brodo?
-
-— No, grazie.
-
-— Te l’avevo preparata!... Anna, ti indebolirai.
-
-— Ma se mi sento bene!
-
-— Non vuol dire!... Dunque non la vuoi?... Te l’ho portata!... È qui!...
-
-— No, mamma, non la voglio!...
-
-— Via.... ubbidisci! Ti farà bene!...
-
-Prese la tazza e la posò sulla sedia, vicino ai fiori. Le passarono per
-la mente i liberi amanti campagnoli che vanno per le strade morte, in
-solitudine, e nessuno li turba, e nessuno li insidia e nessuno guasta
-loro la segreta gioia dell’amore.
-
-— Dunque non vuoi uscire?...
-
-— No.
-
-— Ti farebbe bene prendere un po’ d’aria!
-
-— Non ne ho bisogno.
-
-— Come sei rossa!... Che cos’hai?...
-
-— Io?... Niente!...
-
-— Hai avuto qualche brutta notizia?
-
-— No.... perchè?...
-
-— Mi sembri agitata!
-
-— Ti inganni.
-
-— Chi ti ha scritto?...
-
-Fu per mentire, ma l’anima sua diritta si ribellò a una simile
-meschinità. Non rispose.
-
-— Non si può sapere?... — riprese la madre sorridendo, e gli occhi suoi
-malinconici erano ancora più umidi.
-
-— Se proprio lo desideri!
-
-— Sì.
-
-— È Armando!
-
-— Come?... Ancóra?...
-
-— Ancóra?...
-
-— E ha avuto il coraggio....
-
-— Ha risposto semplicemente a una mia lettera!...
-
-— Tu gli hai scritto per prima?...
-
-— Sì!...
-
-— Anna!... Se lo sapesse tuo padre!
-
-— Lo saprà perchè glie lo dirò!
-
-— Non farlo, per carità!
-
-— Babbo saprà capirmi ed io non voglio mentire!...
-
-— Ma le tue promesse?...
-
-— Io non ho promesso nulla!
-
-— I tuoi pianti?...
-
-— Dovevi capire perchè piangevo!
-
-— Oh, Anna!...
-
-E delle mani grinzose si fece velo alla piccola faccia. Parve incerta
-se scoppiare in singhiozzi. Si trattenne.
-
-— Mi fai leggere quella lettera?...
-
-— Questo no!
-
-— Almeno dimmi quello che ti dice!
-
-— Neppure!...
-
-— Rispondi così alla tua mamma?...
-
-Anna si volse a guardare da un’altra parte, tutta bianca per l’emozione.
-
-La signora Viani raumiliò la debole voce e disse sospirosa:
-
-— Questa è la ricompensa per il bene che ti voglio!...
-
-Allora la giovinetta si volse di scatto, guardò la madre in faccia,
-fieramente, e d’un tratto si abbattè sulla scrivania, la faccia
-nascosta fra le braccia ripiegate.
-
-— Oh, mamma, mamma, mamma!...
-
-Fu un pianto represso ed aspro elle la scosse e la sconvolse.
-
-E la madre chinò la piccola testa e uscì silenziosamente senza chiuder
-la porta.
-
- ❦
-
-Ed eran due anni che la sorda lotta continuava così, senza nessuna
-pietà, ordita sulla trama di una tenerezza opprimente. Da un lato la
-madre a moltiplicare le attenzioni, i consigli, le scialbe dolcezze in
-un vigile affetto sospettoso, dall’altro Anna a difendere il suo fiero
-amore dall’insidia quotidiana. Perchè non v’era causa valevole che si
-opponesse al compimento di due destini se non il materno egoismo.
-
-Armando Vada era inviso alla buona madre solo per ciò che lo
-distingueva dai suoi coetanei. Non era una bestia da soma, non un uomo
-di famiglia, chè non voleva imbrancarsi e marcire nei piccoli cerchi
-delle piccole famiglie; non amava gli impieghi nè la beata tranquillità
-di un tanto al mese, nè la parca mensa che abbrutisce lo spirito fra
-lo scemo pettegolezzo quotidiano e il dominio delle stupide femmine
-che hanno il còmpito di ricondurre l’uomo alla sua greppia, alla sua
-condanna, alla morte di ogni luce ribelle. I discorsi di lui avevano
-stordito l’umile signora Viani la quale se ne era fatta come un
-anticristo, ma, ancor più di tutto questo, l’aveva spaventata l’idea
-di perdere la sua Anna per sempre chè Armando Vada non nascondeva il
-suo intendimento di andarsene in paesi lontani ad esplicarvi la propria
-energia in una lotta dalla quale, se si esce trionfatori, si coglie una
-ben larga messe. E non tanto il rischio la spaventava quanto l’idea
-di non vedersi più d’attorno la sua bella figlia. Anna era bella, lo
-dicevan le genti, lo dichiaravano gli innumerevoli innamorati e di tale
-bellezza la piccola madre andava orgogliosa come di un vezzo di grazia
-per la sua vecchiaia, come di qualcosa che le spettava per giusto
-diritto e da cui non doveva mai separarsi. La sua vanità egoistica si
-era terribilmente serrata intorno alla figlia e ribadita in apparenza
-di affetto.
-
-Da quando Anna aveva incominciato ad essere qualcosa più di una bimba,
-la dolce madre, per farne un campione di bellezza, l’aveva ornata e
-addobbata come un altare, sol per sentirsi dire: — Com’è bella!... —
-e veder la gente soffermarsi lungo la strada e l’invidia negli occhi
-delle giovinette. E da quel tempo l’assiduità sua intorno alla figlia
-si era moltiplicata. Anna non aveva avuto nè un giorno nè un’ora di
-libertà, non aveva conosciuto amiche. A venti anni non ancóra le era
-stata concessa una stanza nella quale raccogliere il suo lettuccio, le
-sue cose, i suoi sogni; dormiva tuttavia col babbo e la mamma come una
-piccola mocciosa senza intendimento, piena di terrori notturni. E il
-giorno in cui si impose e parlò alla madre della sua vergogna di esser
-tuttavia relegata nella stanza comune, di fronte al babbo, senza alcuna
-libertà possibile; e della sua recisa volontà di avere una stanza per
-sè sola, vide la madre singhiozzare come se avesser dovuto dividersi
-per la vita, e la vide implorare e impallidire; ma non piegò ed ebbe un
-nido. Le parve allora di aver raggiunta la felicità e la possibilità
-di ricercarsi, di esser sola, di vivere nell’intimo dell’anima sua,
-secondo un irrompente desiderio; ma ancóra si ingannò chè, secondo una
-ossessionante tenerezza, la madre le fu dintorno ogni dieci minuti e
-giungeva la notte, scalza, sulla punta dei piedi per darle un altro
-bacio, per raccomandarle il sonno. Anna incominciava a vedere in tutto
-questo qualcosa di diverso dall’affetto e non poteva difendersi, a
-volte, da un senso di invincibile ripugnanza. Non si risolveva in
-realtà in un trepido spionaggio quell’assiduo apparire in silenzio
-durante la notte? E quando fingeva di esser presa dal sonno, perchè
-dunque si accostava alla scrittoio e frugava fra le sue carte? Ma come
-ribellarsi senza apparire cattiva, snaturata agli occhi di tutti? Ed
-ella non sapeva scindere tuttavia la propria condotta dal giudizio
-della gente, era troppo schiava delle consuetudini, l’avevano tenuta
-troppo avvinta per aver ali a un grande volo. La gente esaltava l’umile
-amore di quella madre e lo portava ad esempio. L’apparenza assumeva
-proporzioni eroiche e, come sempre, l’apparenza bastava chè, a voler
-indagare, si sarebbe giunti chi sa dove, perchè è molto raro che il
-sedicente amore non nasconda una qualche bruttura.
-
-Inoltre che avrebbe detto il babbo?... Anch’egli era stato fiero e
-ribelle nella sua giovinezza, ma poi era venuto piegandosi, si era
-ammollito sotto l’influsso della donna che si era scelto a compagna.
-Ella lo aveva vinto ed insciocchito con la mitezza, con la mansuetudine
-bestiale, con una specie di bontà inerte, remissiva, malinconica; gli
-aveva tolto ogni virilità assecondandolo, facendosi sempre più piccina,
-prestandogli i più umili servizi con pecorile accondiscendenza. Ed
-appariva buona buona buona!... di quell’idiota bontà che vince per
-forza d’inerzia e passa le mura e stempera il più saldo acciaio.
-
-Anna vedeva questo benchè non ne detraesse giudizi, anzi tutto ciò le
-si convertiva in segreto dolore.
-
-Così si era svolta la vita di lei, senza nessuna ebbrezza fino al
-giorno in cui una grave malattia l’aveva quasi condotta alla morte.
-Quattro mesi combattuti fra l’insonnia e la febbre l’avevan disfatta.
-All’uscir di un inverno ella si destava come per la prima volta alla
-vita, senza memoria, pervasa dalla stessa dolcezza che trascorre pei
-limpidi cieli marzolini. Ma la convalescenza doveva essere lunga e
-per ristabilirsi ella doveva esulare, lasciar per qualche mese la
-sua piccola città oscura, cercare altri soli, altri paesi. Quando le
-dissero questo, il primo rossore le affiorò le scarnite guance e non
-vide le lacrime della madre o non le volle vedere. Chiuse i grandi
-occhi, incrociò le mani sul petto, stette così lung’ora, la testa
-affondata nei guanciali. Le si apriva un mondo diverso, una possibilità
-diversa, un infinito bene di sogno. Rinasceva in realtà e Iddio le era
-dinanzi. Ancóra non poteva parlare. Non guardava se non fuggevolmente
-la madre che era sempre a fianco al letto. Chiudeva gli occhi per
-lasciar vagare l’anima in un suo paradiso di freschezza. Quel ritorno
-alla vita le era come un illuminato stupore. Era morta e rinata. Aveva
-lasciato in un passato remotissimo tutto il peso di mille cose gravi
-ed oscure; si ridestava con una prospettiva radiosa, sul principiare
-del marzo. Quando sarebbe partita e per dove? Chi l’attendeva? Chi
-le avrebbe parlato dolce?... Dove?... dove?... E dalla fantasia
-le nascevano terre sconosciute per le quali si figurava di andare
-divinamente sola, fra l’amor delle cose ebbre di luce, sotto il canto
-delle allodole.
-
-Paesi lontani, case tinte dall’aurora fra giardini di melograni, strade
-azzurrastre e sentieri, viottole, colline, selve, fiumi, fontane. Il
-mondo della rondine. E per l’arco breve dei giorni ella pregustava la
-nuova gioia.
-
-Sapeva che la madre non l’avrebbe accompagnata. Non si poteva per via
-del danaro. Sapeva la famiglia prescelta ad accoglierla e il luogo, ma
-tutto ciò le sembrava tanto lontano e tanto vago da confondersi quasi
-con l’irrealtà.
-
-Frattanto la sua giovine forza trionfava rapidamente sul male e il
-giorno giunse. Il giorno di una prima partenza è sempre di una bellezza
-gaudiosa. Quando uscì dalla casa, nel sole, quando fu alla stazione,
-quando vide giungere il treno tacque e sorrise; sorrise sempre senza
-che il malinconico aspetto della madre in lacrime la turbasse o la
-preoccupasse.
-
-Troppe ed inconsulte erano state le lacrime della madre perchè ella
-ne fosse presa. Poi era la sua volta. Dopo tanti sogni partiva verso
-l’ignoto e il commovimento da cui era invasa dominava e allontanava
-ogni altro amore.
-
-La chiusero in un compartimento per signore sole, la raccomandarono al
-capo treno e i consigli e le prediche non avevan più fine.
-
-Anna ascoltava senza capir nulla, dicendo sempre “sì„. Poi il treno
-si mise in moto ed ella vide la sua piccola madre abbrunata agitare
-il fazzoletto e portarselo agli occhi; la vide incamminarsi dietro al
-treno, protendere la faccia sparuta, piangere disperatamente. Perchè
-mai tanto dolore? Ed era solo dolore? Si separavano forse per la morte?
-Quando si ritirò dal finestrino non pensò più ad altro se non alla
-sua felicità e il ricordo di quel viaggio le fu poi sempre come un
-sogno vissuto portentosamente. Giunse alla città destinata verso il
-crepuscolo. Il treno si fermò ad una piccola stazione fiorita sul Lago
-Maggiore. Era l’aprile.
-
-Un brusìo festoso di gente che si avviava alle armoniose ville del
-Lago; una dolce luce per tutte le montagne e su l’acqua azzurra; una
-stazione gaia come un ritrovo d’amore. Trovò coloro che l’attendevano,
-li seguì stordita, senza parlare, e per quella sera non vide e non
-seppe se non le montagne serene, una strada fra i giardini e la sua
-cameretta sul lago.
-
-Poi si ridestò. Fu anche per lei l’attimo in cui si vive la vita come
-un prodigio e non moriron dieci giorni ch’ella era innamorata.
-
-Non fu una cosa improvvisa. Si rividero laggiù, per caso, ma già si
-eran conosciuti fanciulli nella città nella quale erano nati. Nè l’uno
-fu più sorpreso di incontrare l’altra, nè la loro gioia si misurò su
-ritmi dissimili. Si piacquero, si amarono e decisero il loro destino.
-Egli doveva andarsene in America, avrebbero sposato innanzi di partire.
-
-Quaranta giorni trascorsero e l’incantesimo finì. Anna doveva
-ritornare. Riprese la strada come se discendesse verso il buio, verso
-una prigione che un mese di libertà le rendeva più intollerabile.
-Sentì allora di non poter amare sua madre. A volte la ribellione di
-lei giungeva fino al pensiero di andarsene lontana per sempre. Ma
-la speranza si abbranca ai minimi segni e pensava ancóra che i suoi
-avessero potuto assecondarla.
-
-Armando era partito due giorni prima per far la domanda ai legittimi
-proprietari di Anna; ella, giungendo, avrebbe trovata la decisione
-stabilita. Credendo ancóra di valer qualcosa nell’atto in cui doveva
-compirsi il proprio destino, scrisse alla madre e al padre una lettera
-appassionata per prevenirli, per dir loro quale era l’anima sua e il
-suo desiderio, ma a volta a volta il dubbio vinceva la speranza.
-
-Attese invano un telegramma di Armando; partì scorata.
-
-Dopo un interminabile viaggio trovò alla stazione la madre, delirante
-in una convulsiva gioia lacrimosa e il buon padre più rinsciocchito
-che mai. Innumerevoli i baci e gli abbracci. C’era tutto il parentado
-strillante, ululante per la gran gioia. Una barocca fiera di esultanza.
-E fra la tempesta delle domande, dei baci, degli abbracci, delle
-lacrime, delle carezze fu trascinata via senza capir più nulla. Come le
-apparve orrendo il volto di quella gioia canina!... L’avevan _ripresa_
-finalmente!... Era ritornata all’adiaccio fra le altre pecore, fra
-tutte le pecore matte del suo parentado!... Era tornata sotto le
-amorose grinfie de’ suoi tutori e forse non se ne sarebbe dipartita mai
-più!... E d’improvviso tanto fu forte la sensazione di tale realtà che
-ruppe in un pianto improvviso.
-
-La signora Viani le si strinse al braccio:
-
-— Perchè piangi, Anna?...
-
-Non rispose. Risposero per lei le impennacchiate parenti:
-
-— È l’emozione, poverina!...
-
-— Era tanto che non ci vedeva!...
-
-— Piange per la gioia!... Lasciatela stare!...
-
-— Lasciatela stare!...
-
-La gioia, sì! La gioia sorella della morte! E il parentame se ne andò.
-Rimase sola nella stanza da pranzo col padre e la madre, li guardò
-negli occhi, cercò di parlare. Ma la sua piccola madre non le lasciò
-aprir bocca una volta sola: parlava e parlava e si faceva in quattro a
-toglierle di dosso l’ombrello, i guanti, il velo, il cappello. Pareva
-temesse di udire la voce di lei. Quando aveva esaurito un argomento
-ne cercava un altro, poi un altro, squadernandole innanzi lo stato
-civile di tutti i conoscenti: matrimoni, morti, adultèri, fallimenti,
-crudeltà filiali, eroismi materni, tutto quanto era venuta accumulando
-in quaranta giorni; e ogni dieci secondi interrompeva la narrazione
-favolosa per domandarle notizie della sua salute, per offrirle un
-brodo, una tazza di latte, un uovo da bere; ma di Armando non una
-parola. Si capiva che il solo nome di quell’uomo era l’orrenda ansia
-della piccola madre e che si profondeva ridicolmente in tal guisa solo
-nella speranza che Anna capisse e dimenticasse. Un attimo rimase sola
-col babbo e ne approfittò. Lo guardò fisso negli occhi, gli domandò:
-
-— Babbo.... hai saputo?
-
-— Sì.... ho saputo.
-
-— Ebbene?...
-
-— Parlerai con la mamma!
-
-— Non volete?
-
-Fu un grido. In quell’istante rientrava la signora Viani. Si fermò
-stupita, domandò:
-
-— Che cosa è stato?...
-
-Capì a un’occhiata del marito e ricominciò la petulante solfa.
-Anna ne era stordita. Salì alla sua stanza, affranta. Incominciava
-a intravvedere la verità. Di un subito fu colta da uno scoramento
-tale che si lasciò andare su di una sedia senza dir parola, tutta
-abbandonata all’angosciosa tristezza. Le lacrime le scendevano a coppie
-per la faccia impallidita. La signora Viani finse di non accorgersi
-nè del pianto nè dell’improvvisa tristezza della figliuola: continuò
-a parlare, sempre più animata, e a moltiplicare le sue tenerezze
-intempestive.
-
-Anna tacque ancóra; poi si rizzò di scatto e domandò, ferma:
-
-— Mamma, dimmi la verità!
-
-La signora Viani si fermò a mezzo la stanza, si rivolse e domandò
-stupita:
-
-— Quale verità?
-
-— Non farmi parlare, mamma!... Tu sai che cosa voglio dire!
-
-— Ma.... non ti capisco, bambina mia!
-
-— Ier l’altro è venuto qui Armando Vada....
-
-La signora Viani non rispose.
-
-— .... vi ha parlato....
-
-Uguale silenzio.
-
-— Ebbene.... che cosa gli avete risposto?...
-
-— Ma.... — fece l’umile creatura di bontà — io non c’entro!...
-
-— Come non c’entri?
-
-— No.... parlerai con tuo padre!
-
-Allora Anna fu presa da un aspro riso.
-
-— Perchè ridi?...
-
-Per qualche tempo la convulsiva amarezza non le concesse di parlare.
-Quando l’affanno le si calmò un poco, disse:
-
-— Rido perchè il babbo mi ha risposto come te!...
-
-— Io non ne ho colpa!... — mormorò l’umile madre. Nella pausa che seguì
-ella evitò di guardare la figlia.
-
-— Che cosa gli avete risposto?
-
-— Perchè parlarne? — fece la signora Viani, implorante.
-
-— Dunque non dovrei saper nulla?
-
-— Stai tanto male con noi?
-
-— Che c’entra questo?
-
-— Pare tu non veda l’ora di abbandonarci!
-
-— Mamma!... Non essere ingiusta!...
-
-— Credevo tu ci volessi più bene!... — soggiunse la piccola donna, le
-lacrime agli occhi.
-
-Anna si sentiva il cuore stretto da un’amara tristezza. Disse a
-voce spenta, gli occhi fissi innanzi a sè, assorti in un malinconico
-deserto:
-
-— Ti credevo più buona!...
-
-Un lampo di sdegno accese gli occhi della signora Viani, ma fu subito
-spento.
-
-— Dopo tutto — riprese — farai ciò che vorrai!...
-
-E per quel giorno Anna non ricondusse il discorso sul colloquio e la
-madre si intenerì sempre più nella speranza che la sua buona figlia
-avesse dimenticato.
-
-Nel giorno che seguì, recandosi la mattina nella stanza di Anna
-per prestarle gli umili, inutili servizi nei quali si esplicava
-tutto il suo amore, trovò la figlia seduta alla scrivania, pallida,
-scarmigliata, gli occhi enfiati.
-
-Così l’aveva lasciata la sera innanzi, così la ritrovava. Le si accostò
-piano piano, le chiese:
-
-— Come stai?
-
-— Male! — rispose Anna.
-
-— Che cos’hai?
-
-— Non so!
-
-— Hai dormito?
-
-— No.
-
-Guardò il letto; era intatto.
-
-— Non sei andata a letto?
-
-— No!
-
-— Perchè?
-
-— Perchè non ne avevo voglia!
-
-— Ma ti rovinerai la salute!
-
-— Poco male!
-
-— Anna!...
-
-Una pausa.
-
-— Se lo sapesse tuo padre!...
-
-Anna nascose la faccia fra le palme e ricominciò a piangere sommessa.
-
-— Ma che cos’hai?...
-
-— Dovresti saperlo!... — rispose la giovinetta.
-
-— Bambina mia.... diventi irragionevole!...
-
-Anna si levò, si rivolse verso la madre:
-
-— Mamma, gli avete detto che non volete?...
-
-— Ma perchè non lo domandi a tuo padre?
-
-— Perchè tu sola hai deciso tutto!
-
-— Io?
-
-— Sì. Il babbo fa quello che tu vuoi.... Tu lo sai convincere.
-
-— Ti giuro che non gli ho parlato!
-
-— Non vuol dire! Avrà capito dalle tue reticenze.
-
-— Quali reticenze?
-
-— Le puoi sapere tu sola.
-
-— Dunque non mi credi?
-
-— Ma io credo tutto!... Voglio sapere solamente quello che gli avete
-detto!
-
-— Sei ben cocciuta!
-
-— Non si tratta di cocciutaggine, si tratta della mia vita! Credo di
-avere il diritto di sapere come volete disporne.
-
-— Noi vorremmo che tu non ci abbandonassi mai!
-
-— Vorreste ch’io rimanessi sempre la vostra piccola figliola da
-condurre a spasso!
-
-— Anna!
-
-— È la verità!
-
-— Sei crudele!
-
-— Non più di quello che tu non lo sia con me! Ma è dunque un giuoco
-il mio? Ma sono dunque tanto trascurabile che il mio cuore e la mia
-volontà non valgano nulla in tutto questo?
-
-— Bada.... potresti pentirtene!
-
-— Di che cosa?
-
-— Di aver fatta la tua volontà.
-
-— E perchè?
-
-— Perchè non hai esperienza.... perchè alla tua età si vedono le cose
-da un falso punto di vista!
-
-— Vorresti forse ch’io fossi vecchia prima del tempo?
-
-— Come rispondi!...
-
-— E lasciatemi la mia gioia!... Ne ho avuta così poca nella mia vita!...
-
-— Anche questo mi rimproveri?
-
-— Non è un rimprovero. Io vedo che il giorno in cui mi si apriva
-innanzi una strada infinita, in cui potevo farmi una vita mia, tu e
-il babbo vi opponete, mi respingete verso il mio passato, mi dite: —
-No, non vogliamo!... — Non posso ribellarmi, ma nello stesso tempo non
-posso ubbidirvi!
-
-La signora Viani stupiva sempre più. Chiese tremando:
-
-— Gli vuoi tanto bene, dunque?
-
-Il volto di Anna ebbe un subito rossore.
-
-— Se gli voglio bene?... Da morirne!... Devi saperlo perchè è così,
-perchè sarà sempre così! Se domani vorrà ch’io lo segua, te lo dico
-prima, mamma, andrò con lui anche senza averlo sposato, lo seguirò
-senza nessuna vergogna. E farà di me ciò che vorrà. Nulla mi fa paura!
-
-— Tu faresti questo, Anna?...
-
-— Sì, lo farei!
-
-— E a noi non pensi?... Siamo dunque un niente per te?...
-
-— Ed io che cosa sono per voi?
-
-— Tutto!
-
-— Sì, fin che non vi abbandono! Se domani partissi senza il vostro
-consenso diventerei indegna del vostro amore!
-
-— Tu vuoi vedermi morta!
-
-— Non dire cose insensate, mamma!
-
-Ma la piccola madre aveva trovato il tasto opportuno ed insistè su
-quello come l’unico che potesse torla d’imbarazzo con onore e farle
-riacquistare il terreno perduto.
-
-— Sì.... vuoi vedermi morta!... È meglio ch’io muoia!... Tanto sono
-inutile.... non servo a niente.... non faccio che far del male!...
-
-E si abbattè su di una sedia singhiozzando follemente; convulsa,
-stravolta, convinta di destare pietà.
-
-E la pietà giunse con la sua faccia spaurita, e attanagliò il core
-della giovinetta.
-
-L’anima generosa ed ingenua della nuova creatura, non resse al dolore
-della madre e si piegò affranta verso di lei. Mormorò parole di scusa,
-si umiliò. La piccola madre intese così quanto fosse opportuno il suo
-còmpito di vittima e da quel giorno tanto parve malata ed esausta da
-destare in tutti il convincimento ch’ella fosse presso a morire.
-
-Tutto il parentame si allarmò; la voce corse di casa in casa per la
-piccola città accigliata. Fu detto che la santa donna se ne andava
-perchè Iddio chiama più presto i buoni presso di sè; le regalarono una
-malattia nuova ogni giorno e la pallida vittima vestì da quel tempo le
-gramaglie e più non le tolse. Anche si parlò sommessamente di Anna.
-
-Qualcuno disse:
-
-— È una testa romantica!
-
-E qualcun’altro:
-
-— È un’ingrata!
-
-Il parentame materno, uno sciame di donnacole, vergini per l’ira di
-Dio, mise in circolazione l’ingratitudine di Anna.
-
-E benchè i medici non riscontrassero alcuna malattia nella signora
-Viani, questa non si ritenne guarita mai più, e ogni tanto, a conferma
-del suo male interiore, digiunava fra la strillante preoccupazione
-della fantesca e del marito.
-
-Ma frattanto chi intristiva veramente era Anna.
-
-Armando aveva rimesso la partenza di mese in mese e quasi un anno era
-trascorso. Nulla era mutato nel frattempo. La signora Viani, superando
-le sue possibilità finanziarie e riempiendo di debiti il miser’uomo
-del quale si era impadronita, copriva di regali la figlia e piangeva
-e sorrideva e si moltiplicava per sostituirsi, nel pensiero di lei,
-all’uomo odiato che voleva togliergliela. Esaurì in tale còmpito
-tutte le sue scarse arti troppo ingenue. Ma la piccola madre aveva
-incrollabile la coscienza dei suoi diritti materni e le pareva di
-essere buona buona buona, e se lo sentiva dire tante mai volte dalle
-sorelle, dalle zie, dalle cugine, dalle attinenti che, nella sua
-piccola testa, per poco non si santificava al cospetto del suo Iddio
-microcefalo.
-
- ❦
-
-Aveva stabilito tutto tranquillamente, fin dal giorno prima, senza
-affrettarsi, con la precisa sicurezza che dànno le decisioni meditate a
-lungo.
-
-Aveva nascosto la valigia nel cassetto dell’armadio; sapeva già, ad una
-ad una, le cose che avrebbe prese con sè.
-
-Nulla l’aveva tradita. Era stata anche il giorno innanzi, come sempre,
-ferma nel suo raccoglimento interiore, un poco triste, impartecipe
-alla scimmiesca allegria del parentame che da qualche mese frequentava
-quotidianamente la casa, col compito di renderla gaia.
-
-Nessuno aveva intravveduto in lei alcunchè di mutato. Era l’Annetta
-di sempre: imbroncita, coi grilli per la testa. E su questi chimerici
-grilli le zie ridanciane si divertivano un mondo, bofonchiando
-come coloro che vorrebbero entrare per una porta vietata e tentano
-timidamente la maniglia dell’uscio, pronte a ritirarsi al minimo suono.
-
-A sera se ne erano andate profondendosi in baci ed abbracci come per
-una separazione eterna. Anna non aveva detto che poche parole; il puro
-necessario.
-
-Salita alla sua stanza, aveva atteso tranquilla e indifferente le tre o
-quattro sorprese materne, serrando poi l’uscio a doppia mandata.
-
-Ora disponeva le cose necessarie nella valigia. Non era in lei alcuna
-emozione all’infuori di un’aspra volontà di agire. Era giunta a quel
-passo attraverso ad una landa squallida, per un crepuscolo bigio. Aveva
-pianto tutte le sue lacrime. Era stanca, stanca di oppressione e di
-tristezza. La sua sostanza vitale cercava la libera vivacità dei cieli
-violentemente. Ella non avrebbe più potuto opporsi a sè stessa. Doveva
-andare. Nel buio dell’anima sua non era ormai se non quell’unica luce
-verso la quale si protendeva per una necessità imperiosa.
-
-Era giunta per vie sì lunghe al suo divisamento che ormai non ne
-provava più ansia nessuna. Era una cosa fatale e necessaria che
-ella compiva: o allora o mai più. Armando le aveva scritto: “Entro
-la settimana entrante mi imbarco. Sabato sarò a Bologna. Ti aspetto
-ancóra, dove sai. Sciegli e decidi. O col tuo amore o contro l’amor
-tuo!„. Ella aveva risposto: “Sabato alle dieci sarò da te„. La voce
-d’invito, precisa nella sua concisione, aveva trovato un subito
-acconsentimento risoluto. Tre volte l’aveva trattenuta la pietà
-filiale. Aveva sperato in una diversa via di uscita, ma la piccola
-madre, sempre che Anna avesse tentato ricondurla a parlar del suo
-amore, aveva dato in ismanie ripetendo la minaccia consueta che non
-aveva ormai più valore d’incubo:
-
-— È meglio ch’io muoia!... Ne avrete per poco ancóra!... Sono una
-disgraziata!...
-
-Anna si era ridotta al silenzio. E la signora Viani non vedeva il
-consumamento della figliola, intenta solo a impedirle il suo radioso
-destino.
-
-Il padre non aveva avuto nè volontà, nè voce. Fiacco come ogni uomo
-caduto nel piccolo mondo di una femmina sciocca, imbastardito nella
-mollezza che aveva dispento in lui ogni impeto virile, si era appaciato
-in una indifferenza beota senza chiedere, senza indagare, senza
-desiderio di un qualsiasi convincimento profondo. E la mamercula aveva
-avuto facile campo alla sua conquista.
-
-Ma non nel forte cuore della vergine. La bell’anima combattuta decideva
-di sè stessa. Si avviava per la via del suo destino senza rivolgersi;
-gli occhi asciutti e il cuore suggellato.
-
-Il treno partiva alle due.
-
-Aveva calcolato sul sonno dei suoi.
-
-Per non far rumore nell’andarsene aveva trascelto certi suoi
-scarponcelli estivi che ammorzavano il passo.
-
-In breve tutto fu compiuto. Lasciò sulla scrivania una lettera breve
-indirizzata alla madre. L’aveva scritta da vari giorni. Aprì l’uscio
-lentissimamente. Si protese ad ascoltare. Il sonno faceva la casa
-vuota, corsa solamente da qualche ignoto cricchiare, da un brivido
-di respiro nell’ombra. Le sue pupille si dilatarono nella tenebra.
-Fece qualche passo nel corridoio, salì una scaletta che conduceva sul
-ripiano delle scale, si accostò all’uscio della stanza nella quale
-dormivano i suoi. Nulla. Il sonno misterioso col suo respiro eguale
-nella tenebra densa. Ritornò sui suoi passi. Iddio la vegliava. Quando
-fu sul punto dell’estrema decisione ebbe un tremito al cuore. Non vi
-badò. Pallida ma ferma, socchiuse l’uscio, si accostò al letto, infilò
-il mantello, si ravvolse in un velo fitto. Era pronta. Ancóra ascoltò.
-Ebbe un tremito di morte ad un tratto, chè le parve di udire il passo
-della madre. Indietreggiò fino alla finestra. No... non era lei!... Era
-la sua paura, la sua folle paura di non potere!...
-
-Prese la valigia, spense il lume. Era il punto. Si accostò all’uscio
-a tentoni, lo aperse, lo richiuse. Ristette sulla soglia ancóra,
-respirando come chi abbia dinanzi la visione di un incubo. Appoggiata
-la mano al muro del corridoio, per seguire la via diritta, proseguì
-nell’ombra. Ora la tempestava dentro l’ansia di superare quel poco
-spazio, quel nulla ch’era più di una dolorosa eternità. Fu alla
-scaletta di legno, ne salì i gradi ad uno ad uno, sbucò nella stanza
-che immetteva nelle scale. Superata la stanza poteva dirsi salva.
-Ristette un attimo ancóra, abbrividì, le pareva di udire un respiro
-vicino. Qualcuno respirava di fronte a lei nella tenebra. Mosse un
-passo, poi due, poi prese la via, risoluta. S’intravvedeva in fondo
-alle scale un bagliore. Erano i lumi della strada che rischiaravano
-un poco l’andito a terreno, per i vetri della rostra. Era la luce che
-l’attendeva, il suo ultimo porto. Avanzò ancóra, fu per uscire; ma, sul
-punto in cui stava per sbucare sulle scale, una voce transumanata, non
-sapeva se orrida di spavento o di ira, gridò a due passi da lei:
-
-— Chi è?... Chi è?...
-
-Indietreggiò impietrita. Sentì il cuore arrestarsi e tutte le vene
-corse da un subito gelo. Non rispose. Le mascelle le si inchiodarono,
-l’una contro l’altra duramente. Sentiva la faccia come fosse di marmo.
-La valigia le cadde di mano.
-
-E ancóra un soffio vicino e la stessa voce e la stessa domanda:
-
-— Chi è?... Chi c’è qui?
-
-Non rispose, non seppe il senso delle parole, non seppe più nulla.
-
-— Sei tu, Anna?... Anna, Anna?...
-
-Era un urlo. Poi una porta si dischiuse. La stanza si rischiarò.
-
-Stettero di fronte terrorizzati. Si guardarono negli occhi il padre, la
-madre, la vergine impietrita.
-
-E nessuno pianse. C’era, al di sopra di loro, qualcosa di più grande,
-di più oscuro, di più tragico che non fosse il loro cuore con le sue
-torve passioni.
-
- ❦
-
-E gli anni passarono come un’acqua di palude, torbida di una putrida
-vita. Anna dormì ancora fra il padre e la madre.
-
-Le avevan vietata la morte per tre volte. Si scoraggì, si piegò,
-s’insciocchì poveramente come una cosa disfatta negli anni torbidi e
-fermi come un’acqua di palude.
-
-E la piccola madre sempre la pettinò alla mattina, innanzi allo
-specchio, e sempre le disse, come dall’alba dimenticata:
-
-— Come sono belli i tuoi capelli!...
-
-E la vestì per trarsela dietro per le vie, la vestì sempre più
-vistosamente; ma la gente non si volgeva ormai più, non guardava più la
-vergine insciocchita dai larghi occhi senza lume.
-
-E Anna rise, immiserita, dimentica, e si curvò all’Iddio microcefalo
-della madre, per trovare almeno nella cassa, almeno nella morte
-un fiore: un piccolo pallido inutile fiore che sorridesse al suo
-crepuscolo.
-
-E dopo tanti e tanti mai anni erano quasi vecchie ad un modo la madre e
-la figlia; e la buona gente ne rise e le chiamò, “le scimmie„.
-
-
-
-
-L’ORA GRIGIA.
-
-
-Ormai don Pietro viveva d’accatto e poco usciva e quando gli toccava di
-andare da un luogo all’altro allora il povero prete si faceva piccino,
-si accappucciava e seguiva le prode dei fossi senza fermarsi mai, senza
-rivolgersi mai, senza ascoltare e senza rispondere e senza vedere le
-facce grifagne de’ suoi persecutori.
-
-Un prete era una macchia nera in quei paesi di rivoluzione, e don
-Pietro sapeva questo. Egli era in peccato continuo e nessuna acqua
-lustrale poteva mondarlo della sua colpa originaria. E sì che se per
-miseria si poteva essere apostoli del Signore, egli era uno di questi;
-chè non aveva mai toccato prebende e doveva viver di un nulla come la
-lucertola, tantochè la sua vecchia serva lo chiamava:
-
-— _La furmighina del Signor!_ (la formichina del Signore!).
-
-E don Pietro:
-
-— State zitta, Costanzina, chè siamo tutti di un _alzòne_!
-
-E voleva dire: — Siam tutti pari, tutti ad un’altezza, tutti poveri ad
-un modo.
-
-Coltura no, non ne aveva, povero don Pietro, ma era vecchio di quasi
-ottant’anni e se qualcosa aveva imparato, al tempo de’ suoi dubbi
-studi, questo qualcosa si era smarrito per la lunga via.
-
-Be’, nessuno gli rimproverava la sua semplicità, chè le sue rarissime
-conoscenze erano del suo stesso candore.
-
-Costanzina, che viveva con lui da più di trent’anni, e qualche altra
-vecchia; in tutto quattro o cinque creature, a sommar gli anni delle
-quali si andava verso il millennio.
-
-L’ultimo uomo timorato di Dio che più aveva resistito alla bufera
-e gli si era mantenuto fedele fino all’estremo possibile, era stato
-Barroccio, il campanaro. Barroccio abitava una capanna su l’argine
-della palude, esercitava la pesca e la caccia di frodo, era celibe,
-aveva un sacro orror delle femmine, digiunava sei giorni della
-settimana, era balbuziente e un poco scemo e nessuno avrebbe potuto
-pensare mai che un tale arnese dovesse far gola agli uomini di partito,
-a coloro che dominavano le campagne; eppure anche Barroccio era stato
-del numero.
-
-Per venti anni Barroccio aveva esercitato l’arte supplementaria del
-campanaro senza che nessuno lo avesse tormentato mai, perchè era uno
-di quegli uomini che non s’immischiano nei fatti degli altri, che non
-cercano compagnia, ma, paghi del loro silenzio, attendono all’opera
-quotidiana con metodica regolarità, fino alla morte. Per venti anni,
-percependo il lauto stipendio di tre lire l’anno, Barroccio era salito
-al suo campanile due volte il giorno, senza contare le feste, e,
-lanciati all’aria i tocchi rituali, era partito lungo le siepi senza
-scambiar parola con anima viva se non rarissimamente. Ed era ormai, per
-le genti della canonica e per i contadini circostanti, come l’ombra
-della meridiana che viene e va senza far rumore, sempre su lo stesso
-muro, fra i numeri convenuti, nel gorgo del tempo.
-
-Verso sera, qualche volta, don Pietro lo vedeva discendere dal
-campanile e allora gli si faceva incontro.
-
-— Come va, Barroccio?...
-
-— _Ssss.... sssi cccc.... cccampa!_...
-
-— Hai fatto buona pesca?
-
-— _Cccc.... cccosì!_...
-
-— Vuoi bere?
-
-— _Cccc.... cca no sssed!_... (Non ho sete!)
-
-— Buona sera, Barroccio.
-
-— _Ffff.... ffalicia sera!_...
-
-E toccatasi la gialla _galosa_ se ne andava per gli affari suoi
-atterrando gli occhi, curvo e silenzioso come profondasse nel nulla.
-
-Ebbene un bel giorno Barroccio non si vide più. Aspettalo all’alba,
-aspettalo al vespro, non veniva. Don Pietro mandò Costanzina a cercarlo
-e Costanzina lo trovò nella sua capanna sull’argine della palude.
-
-— Be’, perchè non venite più?
-
-— _Nnnn.... nnon vogliono!_ — rispose Barroccio.
-
-— Chi non vuole?
-
-— _I ssss.... i sssucialèsta!_... (I socialisti!)
-
-— E perchè non vogliono?...
-
-— _Nnnn.... nnnon lo so!_...
-
-— Che cosa ti hanno detto?
-
-— _Nnnn.... nniente!_...
-
-— E allora?
-
-— _I mmm.... i m’ha piciè!_... (Mi han bastonato!).
-
-E tale fu lo spavento del poveruomo che, dismessa l’arte sua canora,
-non solo non salì più sul campanile, ma nemmeno si accostò alla chiesa.
-E l’ultimo fedele era esulato.
-
-Don Pietro fece suonar le campane da Costanzina, ma sempre più
-timidamente, qualche tocco alla sfuggita, nelle ore del giorno più
-quiete, più deserte, più innamorate del sonno. Allora la vecchia
-Costanzina si inerpicava fra le tele di ragno per le vecchie scale a
-piuoli, cricchianti, pencolanti, polverose e, giunta al piano delle
-campane, avvertiva (chi avvertiva mai?) che l’alba era nata, che il
-giorno se ne andava, che in una piccola chiesa in rovina un vecchio
-fanciullo cantava l’_Angelus_ alle immagini del suo Dio e all’ombra de’
-suoi sogni, o officiava solo per i morti che erano sotto il pavimento,
-ricordati dalle lapidi, vivi soltanto per le consuete parole incise su
-la pietra.
-
-Ma no. Per qualcuno ancora si schiudeva la porta del piccolo tempio,
-una volta la settimana, innanzi che fosse giorno.
-
-L’alba della domenica aveva le sue fedeli. Tre vecchie che giungevano
-da tre casolari lontani, che si incontravano per via, che indossavano,
-solo per la messa, le loro vesti migliori, e parlavan piano quasi
-fossero spiate da cent’occhi nemici.
-
-Giungevano alla porta socchiusa. Costanzina le aspettava. Entravano
-insieme scambiando qualche parola. Su l’altare si accendevano due soli
-ceri, proprio all’ultima ora perchè non si consumassero troppo, e di
-fronte a un crocifisso, su la sacra pietra disadorna, senza fiori,
-senza candelabri, senza dorature, senza cornici o tovaglie, o qualcuno
-dei tanti arredi che adornano gli altari, nella più povera semplicità
-don Pietro iniziava il sacro mistero. Costanzina serviva la messa.
-Iddio le avrebbe perdonato! Balbettava le frasi latine malamente.
-D’altra parte fra don Pietro e lei poco sapevano che si dicessero,
-ma la fede era grande. Grande la fede e serena; Iddio scendeva fra di
-loro, nella chiesuola dalle pareti scalcinate, dalle imposte cadenti
-dalle quali entrava il rovaio e entravano le rondini in primavera.
-Da principio erano giunte con uno strido riacquistando ben presto la
-serena libertà dei cieli; ma poi si erano fatte più ardite e prima una,
-poi dieci e venti avevano plasmato il loro nido fra le travi scoperte.
-
-Costanzina se ne era accorta una mattina mentre era intenta a
-rassettare alla meglio la chiesuola. Avvertiva sì, da un po’ di
-tempo, lo stridere troppo frequente delle sorelle nere, ma non aveva
-pensato mai a levar gli occhi. Si sa, senza vetri alle imposte, in
-quella povertà estrema nella quale vivevano, non potevano pretendere
-di non aver le rondini in chiesa; ma quella mattina volle il caso che
-una rondine le lasciasse cadere proprio su la fronte come una tepida
-goccia.
-
-Costanzina capì di che si trattava e si rasciugò; poi, levata la
-faccia, scoprì una novità fra le alte travi. Stette in vedetta, studiò
-meglio l’affar suo e potè constatare che le rondini avevano fatto il
-nido in chiesa. Per questo trovava tanto sudicio il pavimento e non le
-bastava mai la fatica a pulirlo!... Còlta da un sacro sdegno, uscì e
-cercò di don Pietro. Lo trovò nel brolo.
-
-— Signor parroco, venga a vedere!
-
-— Che cosa?
-
-— Venga, le dico!
-
-— Che c’è?
-
-— Ma venga, santo Dio!...
-
-E lo prese per la veste e se lo rimorchiò dietro. Furono in chiesa.
-Costanzina tese un braccio verso le travi:
-
-— Vede?
-
-— No.
-
-— Come, non vede le rondini dove hanno fatto il nido?
-
-— Oooooh!... — fece don Pietro.
-
-— Bisognerà prender una scala e portar via quei nidi!...
-
-— Perchè?
-
-— Ma le pare, signor parroco?... In chiesa!...
-
-— Be’?...
-
-— Il sudicio che fanno!
-
-— Si pulirà.
-
-— Il rispetto....
-
-— Costanzina, bisogna essere _onorificati_ della misericordia di Dio!...
-
-— Ma!...
-
-— Se ci sono _lasèli ste_.... lasciatele stare, povere bestie!... Il
-Signore ce le manda!... _Coiòmberi!_... Sono tutte _pudicizia_!... Dove
-volete trovare una bestiola più _inonorata_, più _specifica.... cm’as
-disal_.... come si dice?... più _procace_ della rondine?... Saranno un
-_addobbo_, non le toccate.
-
-— _Jèso!_... (Gesù!...) — fece Costanzina; ma i nidi delle rondini non
-furono tócchi.
-
-Così voleva don Pietro, la piccola formica di Dio, e così fu, chè
-Costanzina aveva una grande venerazione per il vecchio sacerdote e non
-avrebbe compita mai cosa contraria alla volontà di lui.
-
-E sta il fatto che, sotto le travi adorne di nidi, inginocchiate su la
-nuda terra, nell’ombra antelucana, appena vinta dal bagliore di due
-ceri, la santa domenica tre sole vecchie, le ultime, ascoltavano il
-divino mistero.
-
-Francesca, Palmina e Mariòla: si chiamavano così.
-
- ❦
-
-E queste tre vecchie avevano l’aria di cospiratrici. Si levavano piano
-piano innanzi che il gallo cantasse, aprivano l’arca, si vestivano al
-buio e, imbacuccate entro le pezzuole nere a righe bianche, le scarpe
-in una mano, scendevano in peduli per non far rumore.
-
-Gli uomini dormivano; il cane, su l’aia, le annusava e le lasciava
-partire al loro cammino, ritornando alla sua cuccia dentro il pagliaio
-dello strame.
-
-Eccole all’Incrociata dell’Olmo. Erano puntuali. Sbucava Marióla dalla
-viottola dei Calza che Palmina era già presso la cappelletta votiva del
-quadrivio e Francesca giungeva per il campo dei Balestra.
-
-La chiesuola non era su la via maestra, era in mezzo ai campi,
-al termine di una straducola incassata fra siepi altissime. Vi si
-internavano tutte tre camminando a paro e parlucchiando della stagione,
-degli uomini, dei tempi e della loro malinconia.
-
-La casipola di Marióla aveva inchiodato a sommo dell’uscio un
-crocifisso nero, messo là da tempi immemorabili, tanto che Mariòla
-ricordava di aver sentito dire dal suo uomo che la famiglia dei
-Travelli l’aveva trovato tale e quale quando era discesa dai monti
-al nuovo podere. Be’, che fastidio dava?... Non lo potevano lasciare
-al suo posto?... Nossignori!... Il suo figlio grande le aveva voluto
-dare anche quel dispiacere e, preso il pennato, aveva compiuto il
-sacrilegio. E Mariòla a raccomandarsi e il figlio a risponderle:
-
-— State zitta, vecchia!... Una casa che si rispetta non deve avere
-questi segni di superstizione!
-
-Un segno di superstizione il Signore?... _Jèso!_... Ma dove si andava a
-finire?... D’altra parte i castighi di Dio non mancavano: grandinate,
-colèra, guerre, ammazzamenti, rovina!... Una volta si stava meglio,
-c’era anche più rispetto pei vecchi!... Ma adesso chi badava ai vecchi?
-Non eran buoni neppur da bruciare!...
-
-E Francesca:
-
-— _Di ’e farà ’na grân vandetta!_... (Iddio farà una grande
-vendetta!...).
-
-E Palmina:
-
-— Questi ragazzi crescono e, ancora non sanno dire mamma che imparano
-a bestemmiare!... _Jèso!_... Non rispettano più niente, vengono su
-come l’erbaccia, non vogliono osservazioni nè consigli; che cosa
-diventeranno?
-
-E così ragionando giungevano alla chiesa, trovavano Costanzina su la
-porta del tempio, disparivano.
-
-La cosa continuava da anni ed anni.
-
-Ora una mattina, e il buio era anche più fitto perchè era nuvolo,
-una mattina queste tre vecchie avevano svoltato per la straducola che
-conduceva alla chiesa, e andavano di passo uguale parlucchiando, quando
-all’improvviso videro un’ombra ferma innanzi a loro, in mezzo alla
-strada. Sostarono. Lo sconosciuto disse:
-
-— Tornate indietro!
-
-Le vecchie sbalordite non risposero.
-
-— Tornate a casa, vecchie!...
-
-— Perchè? — fece Mariòla.
-
-— Perchè in chiesa non si va!
-
-— Non si va?
-
-— No.
-
-— Che cosa c’entrate voi?
-
-— Fatemi il piacere di tornare indietro.
-
-— È una prepotenza!
-
-— È quello che è!
-
-— Ed io voglio andare dove mi accomoda!
-
-— E allora vi prenderò come una bambina e vi porterò a casa.
-
-— Chi siete voi?
-
-— Questo non vi interessa.
-
-— Lo dirò con i miei uomini.
-
-— Ditelo a chi vi accomoda.
-
-Passò un silenzio. Francesca e Palmina davano di gomito a Mariòla
-perchè tacesse, perchè ubbidisse, chè tanto non c’era nulla da opporre
-contro la prepotenza di un male intenzionato. E le tre vecchie
-ritornarono umili per la strada percorsa e non scambiaron parola.
-Quando furono all’Incrociata dell’Olmo si fermarono. Lo sconosciuto non
-c’era più.
-
-— Chi sarà stato?...
-
-— Chi sa?...
-
-— Un socialista!...
-
-— Sì!...
-
-Era l’alba. Che dovevan fare? Ed ecco che la chiesuola lanciò un
-secondo timido richiamo. Costanzina le aspettava.
-
-— Che cosa dirà il parroco?
-
-— Gli avevo portato due uova, povero vecchio! È malato e non ha nulla
-da curarsi!
-
-— Sentite?... Suonano ancora la prima!...
-
-— Ci aspettano.
-
-E si udiva la chiamata sommessa. Pareva che la campana non fosse
-tocca da una mano, bensì dal vento leggero che ne movesse il battaglio
-appena, tanto che il suono, inuguale fra pause inuguali, fosse come il
-tremolio della foglia e l’incresparsi dell’acqua e il chinarsi degli
-steli e il moto e la voce di tutte le cose che parlano e si ridestano
-quando l’aria si muove.
-
-Le tre vecchie presero una via traversa. L’ombra non c’era più. Ed
-anche quella domenica si inginocchiarono su la nuda terra, sotto le
-travi dove erano i nidi abbandonati delle rondini lontane.
-
-Ma alla prima minaccia ne seguirono altre. Le ultime tre fedeli del
-piccolo tempio in rovina dovevano rinunziare alla pubblica pratica
-della loro fede; se volevano pregare, pregassero in casa. In chiesa,
-no!...
-
-Mariòla, Palmina e Francesca lasciaron dire gli uomini incaniti e
-tacquero, ma il loro silenzio non fu di acquiescenza. Anch’esse erano
-della stessa razza tenace e non cedevano sì facilmente.
-
-Ora giunse la domenica e fra loro si era passato un accordo. Quella
-volta non indossavano la veste consacrata, anzi trascelsero la peggiore
-e presero un sacchetto ed un falcetto come quando solevano andar lungo
-i fossi a raccogliere la gramigna. La campana della chiesuola non suonò
-i suoi doppi. Costanzina era avvisata. Tanto Mariòla quanto le compagne
-non percorsero la via consueta, anzi andaron per strade diverse
-raddoppiando il cammino. Si erano levate più di buon’ora. L’alba pareva
-lontana. Quando cantarono i galli si trovarono tutte e tre lungo
-il fondo di un rio come era convenuto. Questo rio passava sotto il
-cimitero e accanto alla chiesuola.
-
-Si videro appena. Era un gran buio.
-
-— Siete voi Mariòla?
-
-— Sì, Francesca!
-
-— E Palmina?
-
-— Eccola.
-
-Incurve, guardinghe, col loro sacchetto sopra una spalla e il falcetto
-in una mano proseguirono, l’una dietro l’altra.
-
-— E se ci sono? — domandò Francesca.
-
-— Se ci sono raccoglieremo la gramigna — rispose Mariòla.
-
-Un cane abbaiò lontanissimamente. Si udì il remoto rombo di un treno.
-Non c’erano stelle.
-
-— Siamo arrivate? — fece Palmina.
-
-Mariòla levò la faccia e disse:
-
-— Sì.
-
-— C’è Costanzina?
-
-Le tre vecchie scrutarono l’ombra.
-
-— Non si vede.
-
-— Allora son venuti e ci aspettano!
-
-— Non importa! — disse Mariòla.
-
-Si intravvedeva la siepe del cimitero. Mariòla incominciò a inerpicarsi
-lungo la sponda del rio. Andava carponi. Palmina e Francesca la
-seguirono.
-
-Quando potè inginocchiarsi su lo scrimolo, Mariòla passò il capo per un
-varco della siepe e chiamò sommessamente:
-
-— Costanzina?
-
-Nessuno rispose.
-
-— Non c’è! — disse Francesca.
-
-Mariòla si rizzò. Le altre le furono al fianco. Ristettero immobili, un
-attimo. Udirono qualche voce nella straducola della chiesa.
-
-— Li sentite? — fece Palmina.
-
-— Sì.
-
-— Sono venuti in molti.
-
-— Non importa.
-
-— Ci vogliono fischiare!...
-
-— E tu _digli_ che fischino!
-
-— Che cosa fate?...
-
-— Venitemi dietro.
-
-Mariòla aprì un varco ed entrò nel piccolo camposanto. Andarono in
-fila, lungo la siepe, senza far rumore, tutte tre incurve, tutte
-tre con lo stesso sacchetto sulle spalle e il falcetto in una mano.
-Avevano una pezzuola bianca e nera. Camminavano adagio, trasfigurate
-dall’ombra.
-
-Dalla via qualcuno gridò:
-
-— Chi è?
-
-Le vecchie non risposero. Trascorse un silenzio profondo.
-
-— Avete veduto? — domandò una voce sommessa.
-
-— Che cosa?
-
-— Là.... dietro la siepe del camposanto!
-
-— Chi è?... Chi è?...
-
-— Sarà l’ombra di un albero.
-
-— No....
-
-— Andiamo a vedere.
-
-Le tre vecchie si fermarono e anche gli uomini si fermarono. Nessuno si
-mosse. Ma quando Mariòla aprì il cancelletto del camposanto e si udì lo
-stridore dei cardini, ed ella non fu più confusa alla siepe, ma chiara
-e paurosa nel vano, contro le croci e i marmi, allora si udì un urlo
-soffocato, poi il busso di una corsa sfrenata.
-
-Poco dopo la schiletta del campanile suonò i suoi doppi e i due ceri
-si accesero sull’altare dispoglio innanzi al nero crocifisso e le tre
-vecchie si inginocchiarono l’una vicino all’altra su la nuda terra.
-
-E queste tre vecchie più non furono disturbate finchè la morte non le
-chiamò ad una ad una, dopo don Pietro, la piccola formica di Dio, che
-già aveva seguito l’ignoto volo delle sue rondini verso l’eternità.
-
-
-
-
-INDICE
-
-
- Pag.
-
- La pace 1
- Lo spaventa passeri 19
- La vigna vendemmiata 33
- Padre Serenità 51
- L’eremita 71
- I violenti 93
- La gazza 107
- L’eredità 137
- La festa dei migliacci 147
- La madre 165
- L’ora grigia 199
-
-
-
-
-NOTE:
-
-
-[1] _Battolata_, così si chiama in Romagna il batter delle gramole in
-ritmo, fra lunghe pause. Le gramolatrici usano fare la battolata per
-chiamar sulla sera i loro innamorati a convegno.
-
-[2] Usava in Romagna, fino a qualche anno fa, che un amante
-abbandonato, per vendicarsi pubblicamente dell’incostanza della
-propria innamorata, al tempo della gramolatura della canapa, si recasse
-all’aia nella quale si trovava la sua bella ed ivi giunto gridasse il
-nome di questa facendolo seguire da due colpi di fucile. Tali colpi
-costituivano le così dette _corna_ ed erano per la ragazza un tale
-sfregio che il capoccio della casa si affrettava a _guastare_ sparando
-un terzo colpo.
-
-
-
-
-DELLO STESSO AUTORE:
-
-
- _Anna Perenna_, novelle L. 3 50
- _I primogeniti_, novelle 3 50
- _Il cantico_, romanzo 3 50
- _Gli uomini rossi_, romanzo 2 —
- _L’alterna vicenda_, novelle 3 50
- _Il diario di un viandante. Dal deserto al
- Mar Glaciale_. In-8 ill., con tav. a colori 8 —
- _Solicchio_, canto d’amore. In-8 4 —
- _Le Novelle della Guerra_ 3 50
-
-
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-
-Nota del Trascrittore
-
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-*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VIGNA VENDEMMIATA ***
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-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation
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-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<p style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of <span lang='it' xml:lang='it'>La vigna vendemmiata</span>, by Antonio Beltramelli</p>
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online
-at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. If you
-are not located in the United States, you will have to check the laws of the
-country where you are located before using this eBook.
-</div>
-</div>
-
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>La vigna vendemmiata</span></p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Antonio Beltramelli</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: August 19, 2022 [eBook #68788]</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p>
- <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)</p>
-<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>LA VIGNA VENDEMMIATA</span> ***</div>
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-LA VIGNA VENDEMMIATA.
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver" />
-
-<div class="titlepage">
-<p class="x-large">
-ANTONIO BELTRAMELLI
-</p>
-
-<p class="pad2 main-t">
-LA VIGNA<br />
-VENDEMMIATA
-</p>
-
-<p class="pad2">
-NOVELLE
-</p>
-
-<p class="pad4">
-<span class="large">MILANO</span><br />
-<span class="smcap">Fratelli Treves, Editori</span><br />
-1919<br />
-—<br />
-Secondo migliaio.
-</p>
-</div>
-
-<div class="verso">
-<hr class="mid" />
-<p>
-PROPRIETÀ LETTERARIA.
-</p>
-
-<p>
-<i>I diritti di riproduzione e di traduzione sono
-riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia,
-la Norvegia e l’Olanda.</i>
-</p>
-
-<p>
-Milano, Tip. Treves.
-</p>
-<hr class="mid" />
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr />
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr />
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span></p>
-
-<h2 id="pace">LA PACE.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Erano due brigate, due parti in eterna contesa
-come chi dicesse il fuoco e l’acqua. La
-vita in comune non poteva essere accettata
-con sopportazione. Dove appariva un piccolo
-Borghigiano c’era sempre un piccolo Sobborghino
-che s’incaricava di fargli i versacci o viceversa.
-E la cosa era vecchia quanto l’anima
-dell’uomo, nè accennava a tramutare. I cronisti
-più antichi parlavano dei Borghigiani e dei Sobborghini
-e narravano come le loro fraterne lotte
-finissero tanto sovente con morti e lutti, che
-i capitani, i podestà, i signori del popolo avevano
-emanato a più riprese leggi e bandi e
-divieti per far cessare l’ebdomanaria impresa,
-ma invano.
-</p>
-
-<p>
-Tanto i Borghigiani come i Sobborghini erano
-innamorati dei loro ludi, delle bellicose tradizioni,
-degli odî inveterati e non potevano nè
-<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span>
-sapevano farne a meno. Così, oltre il volere
-dei reggenti, di secolo in secolo, giù per i millenni
-l’usanza si era perpetuata e ancora, per
-quanto i nuovi tempi e le freschissime dottrine
-avessero attenuata l’antica asprezza dei rapporti,
-non v’era Borghigiano che non nutrisse
-un velato disprezzo per un Sobborghino e viceversa.
-La medaglia era identica su le due
-facce.
-</p>
-
-<p>
-Ho detto imprese ebdomanarie e usava infatti,
-al tempo degli arieti e delle catapulte, al
-tempo dei castelli e dei fossati, usava che alla
-sera di ogni sabato, piacendo al buon Dio, una
-brigata di Borghigiani si imbattesse in una brigata
-di Sobborghini, dato il quale incontro e
-la lièta disposizione degli animi ne nasceva
-tale intesa fraterna che l’una brigata si lanciava
-sull’altra e, perchè non vi fosse dubbio
-su l’intenzione, si affrettava a suonar certi
-colpi, a sferrar certe mazzate, a picchiare con
-tanta foga e sì dolce ardimento che il campo
-risuonava in breve di strida e di urla e di incitamenti
-e di imprecazioni. Scorreva il sangue.
-Qualcuno cadeva. Il rumore era grande. E quando
-le parti parevano soddisfatte si separavano e
-ciascuno si portava via i propri feriti. Seguiva
-una tregua fino al sabato venturo, nel qual sabato,
-piacendo a Dio, si ricominciava la sinfonia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
-</p>
-
-<p>
-Da che derivasse la gioconda consuetudine
-nessuno sapeva e men può saperlo la critica
-moderna. I cronisti sono oscuri; narrano e non
-ricercano. Gli archivi non hanno rivelato mai
-documenti che lumeggino il problema. La tradizione
-popolare canta le sue gesta ma non si
-occupa della causale delle medesime. Buio perfetto
-adunque e nel buio le due brigate che
-menavano le mani nei secoli dei secoli, in tutti
-i costumi, sotto tutti i Governi, nonostante
-tutte le proibizioni.
-</p>
-
-<p>
-La città che non nomino ma che ha d’altra
-parte molte consimili fra l’Alpe e i due mari,
-godeva adunque, da immemorabile tempo, del
-giostrare de’ suoi due sobborghi e per tali giostre
-andava nominata nei dintorni e nelle lontananze.
-Si sapeva, ad esempio, che il dialetto
-dei Borghigiani non assomigliava affatto
-al dialetto dei Sobborghini, pur vivendo entrambe
-le brigate entro i confini di una stessa
-fossa; correvano per il mondo circostante, come
-corrono tuttavia, benchè l’antico spirito sia ormai
-cosa morta, i lazzi e le burlesche calunnie
-di cui l’una parte si compiaceva di adornar
-l’altra e viceversa. I Borghigiani avevano, ad
-esempio, nel loro rione un magnifico campanile
-a cono, alto settantacinque metri e più,
-tanto che imperava su tutti i compagni della
-<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span>
-città. Tale campanile ridestava il loro giusto
-orgoglio. Ora siccome i Sobborghini non ne
-avevano uno compagno da poter opporre e si
-vedevano impossibilitati a rapire quello dei Borghigiani,
-andavano narrando a beffa che costoro
-per far crescere il loro campanile ogni anno
-più, venivano concimandolo ad ogni autunno
-coi frutti di tutte le stalle del rione tanto da
-accumulargli intorno una montagna di letame
-poi come con le abbondanti piogge autunnali il
-letame scemava, lasciando sui muri la traccia del
-suo antico livello, i Borghigiani si adunavano a
-festa e facevano suonare tutte le campane, e
-danzando e cantando e trepestando gridavano:
-</p>
-
-<p>
-— È cresciuto!... È cresciuto!...
-</p>
-
-<p>
-I Sobborghini, in luogo del campanile, avevano
-un fiume che attraversava il loro rione
-e ne erano naturalmente orgogliosi. Durante
-l’estate le brigate vi si rinfrescavano, ma con
-l’autunno e con le piogge v’era sempre la minaccia
-dell’inondazione. Ora i Borghigiani per
-beffare il coraggio leonino dei Sobborghini narravano
-come in tempo d’autunno questi ultimi
-andassero sempre armati dei loro schioppi e che,
-al minimo accenno di fiumana, corressero ad
-assieparsi sul ponte, e dal ponte, gridando e
-bestemmiando e facendo i più orribili ceffi che
-si fossero veduti mai, tempestassero l’acqua
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-di schioppettate tantochè il povero fiume, vistosi
-assalito in sì mala guisa, tutto spaurito
-e sbigottito, cessava di scorrere al mare, e
-volto il corso turbinoso se ne ritornava alla
-nativa montagna.
-</p>
-
-<p>
-E i Sobborghini narravano come in un inverno
-frigidissimo, in cui la neve era caduta in tanta
-abbondanza da seppellirne le case, i Borghigiani,
-per impetrare pietà dal Signore e liberarsi
-dal malanno, erano usciti su la loro piazza
-e avevano pregato un maestro di pietra, che
-si trovava a passare dal luogo, di far loro un
-Cristo di neve.
-</p>
-
-<p>
-Il Cristo era stato fatto e tanto era parso
-bello ed amabile ed adorabile nel suo lucente
-candore che avevano pensato di serbarlo. Ma
-come serbarlo?... Gli anziani si erano adunati;
-fu tenuto consiglio e, per giudizio delle persone
-più assennate, fu deciso che il Cristo di
-neve sarebbe stato cotto al forno.
-</p>
-
-<p>
-— Una volta cotto è salvato! — dissero gli
-anziani.
-</p>
-
-<p>
-E il popolo disse:
-</p>
-
-<p>
-— È giusto!
-</p>
-
-<p>
-Fu riscaldato un gran forno fino ad arroventarlo
-e quando apparve bianchiccio dal calore
-il Cristo fu infornato di botto e tappato
-chè non dovesse uscire.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-</p>
-
-<p>
-E le donne pregavano e gli uomini sognavano
-la bellezza del loro Cristo bianco come
-la nube. Trascorsa l’ora necessaria alla cottura
-i Borghigiani si accostarono a capo scoperto
-addensandosi e, trepidando, attesero. Il più
-vecchio fra tutti si fece il segno della croce,
-afferrò il manico della serranda, lo trasse a sè
-religiosamente, guardò. Mille occhi si affissarono
-co’ suoi ricercando per entro il tenebrore
-la ben nota forma, ma non fu visto se non
-un po’ di bagnato. Allora un:
-</p>
-
-<p>
-— Oooooh! — lungo, incredulo, stupefatto
-si levò dai Borghigiani assiepati, e l’anziano
-che aveva tolta la serranda si rivolse e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Ha fatto pipì e se n’è andato!...
-</p>
-
-<p>
-E il popolo giurò sul verbo del maestro e
-fu creduto che il Cristo di neve avesse fatto
-pipì e se ne fosse andato.
-</p>
-
-<p>
-I Borghigiani a loro volta narravano come i
-Sobborghini avendo un giorno deciso di atterrare
-una vecchia torre, l’avessero legata con
-un fil di lana e, afferrato il filo, come questo
-cedeva, si fossero dati a gridare:
-</p>
-
-<p>
-— Viene!... Viene!...
-</p>
-
-<p>
-Finchè non andarono tutti ruzzoloni. E così le
-reciproche gagliofferie erano squisitamente esaltate
-da parte a parte e correvano il mondo, animando
-le brigate, che ne facevano allegra festa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-</p>
-
-<p>
-Poi, col passar dei secoli, le cose vennero
-modificandosi, ma l’antica aspra scissura non
-si appianò e non è appianata tuttavia; non che
-le antiche baruffe si rinnovino, ma un Borghigiano
-preferirà sempre un Borghigiano a un
-Sobborghino e viceversa.
-</p>
-
-<p>
-Una volta non si facevano mai matrimoni
-fra le due parti, ora se ne fanno; una volta,
-a una certa ora di notte, un abitante di uno
-fra i due rioni in contesa non si attentava di
-avventurarsi nel rione nemico; ora i Borghigiani
-bazzicano per le osterie dei Sobborghini e viceversa.
-Le cose han mutato segno ma l’antica
-tradizione non è morta tuttavia: abbandonata
-dagli uomini è scesa in retaggio ai fanciulli.
-</p>
-
-<p>
-Così le due masnade di marmocchi facevano
-onore ai loro bisnonni, tempestandosi di santa
-ragione ogni qual volta si scontrassero. Certi
-poveri piccoli cristi ostentavano con rassegnata
-fierezza le loro innumerevoli lividure, ma ciò
-non formava impedimento. Bastava che Vituperio
-o Scampoli, i condottieri delle due masnade,
-lanciassero il loro grido di guerra perchè
-dalle botteghe, dai negozi, dalle case, di
-fra le immondizie delle strade, sbucassero i
-componenti le due masnade. Le mura, il greto
-del fiume, la piazza d’Armi erano i luoghi dei
-loro scontri. Le baruffe non avevano termine
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-se non quando l’una delle due parti fosse volta
-in fuga ed inseguita fin dove gli uomini non
-si potessero intromettere coi loro irriducibili
-scapaccioni.
-</p>
-
-<p>
-Naturalmente, ad ogni nuova baruffa, seguiva
-il parapiglia delle comari, che si vedevano ritornare
-i loro eredi malconci. Fierissime strida
-si levavano di catapecchia in catapecchia e la
-maggior parte delle volte i belligeranti venivano
-sottoposti a una nuova dose di legnate.
-</p>
-
-<p>
-Ma l’onor della parte faceva lieve ogni supplizio.
-E sempre, dove appariva un Sobborghino sbucava
-un piccolo Borghigiano a fargli i versacci.
-</p>
-
-<p>
-Così stavano le cose quando nacque bellamente
-al mondo la guerra libica. L’entusiasmo
-delle due masnade fu grande. Per qualche tempo
-Vituperio e Scampoli pensarono di riunire i loro
-gianizzeri e di andarsene per davvero in Libia,
-ma quando la cosa apparve impossibile, perchè
-dove ne parlarono non si ebbero che risa e rabuffi,
-dimettendo il pensiero della lega, ricominciarono
-a guardarsi in cagnesco. E furono nemici
-più di prima. Questo era naturale perchè
-tutti e due, sognando giorno e notte i turchi e
-non potendoli aver sottomano, furono predisposti
-a vedere, nella parte avversa, un’orda turchesca.
-Non vi fu intesa fra di loro; la cosa
-maturò di per se stessa; bisognava combattere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-</p>
-
-<p>
-Furon quelli i giorni in cui le botteghe furon
-maggiormente disertate, in cui i garzoni dei
-ciabattini, dei falegnami e dei fabbri furon licenziati
-con maggior frequenza, in cui le catapecchie
-risuonarono di violenti rabuffi; ma
-che importava? Bisognava combattere. E i marmocchi
-combattevano. Come fare altrimenti se
-tutti i giorni avevano sotto gli occhi lo spettacolo
-dei grandi che partivano per andare alla
-guerra? Se i turchi erano in Libia potevano
-essere anche dietro le mura della loro città
-ed ogni Sobborghino fu turco per i Borghigiani
-e viceversa. Fu bandita la crociata. Nessuno
-più mantenne la foga della marmocchieria
-battagliera, nè i padri nè le madri, nè la
-coalizione degli adulti. Furono schiaffi e pugni,
-una robusta meraviglia. Vituperio e Scampoli
-affinarono la loro arte guerresca, ne toccarono
-e ne dettero finchè un bel giorno, dopo mesi
-e mesi di lotta, risuonò la novella della pace.
-</p>
-
-<p>
-La pace? Vituperio e Scampoli adunarono i
-loro marmocchi e tennero consiglio. Era la
-prima volta, nei secoli dei secoli, che fra Borghigiani
-e Sobborghini si parlava di una simile
-cosa. Eppure se la pace l’avevano fatta
-gli altri, i grandi, doveva ben essere una cosa
-seria. Furono sospese le ostilità, e una bella
-domenica Vituperio e Scampoli, ciascuno a capo
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-della propria turba, si diressero per strade diverse
-ad uno stesso luogo.
-</p>
-
-<p>
-Il luogo prescelto era la piazza d’Armi.
-</p>
-
-<p>
-Scalzi, con gli enormi berretti appartenuti
-già a tutta una generazione di adulti innanzi
-di scendere sulle loro orecchie, con certi giubboni
-sbrindellati che si affloscivano giù giù
-per le stremenzite persone, fino alla caviglia;
-senza camicia, senz’altro se non il loro buon
-umore, si adunarono e partirono. Baiocco, Fringuello,
-Martufo, Piedipiatti, Boccatorta, Frosone,
-Virgola, Cartoccio, ciascuno col proprio nomignolo,
-come con un singolare adornamento, se
-ne andò a testa alta. C’era il signor Sole. Essi
-adoravano il signor Sole, come la signora Luna
-e come ogni cosa che fosse lucente. Erano
-come la gazza e la cornacchia. Qualche donna
-si fece su la porta.
-</p>
-
-<p>
-— Dove andate, canaglie, rompicolli, avanzi
-di galera?
-</p>
-
-<p>
-I marmocchi non risposero e non fecero sberleffi.
-Un altro giorno forse avrebbero scaricato
-sulla linguacciuta comare tutto il vocabolario
-dei loro improperi, ma quel giorno no. Andavano
-a far la pace e c’era il signor Sole. Essi
-lo chiamavano così perchè la parola <i>signore</i>
-significava per loro una cosa grande e lontana.
-Ciò che avrebbero fatto e detto non lo sapevano,
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-ma Virgola cantava e Piedipiatti gonfiava
-le gote ad imitar la banda.
-</p>
-
-<p>
-Scampoli aveva le mani in tasca, ciò voleva
-dire che pensava. Quando Scampoli pensava
-doveva essere in vista qualcosa di grosso.
-</p>
-
-<p>
-Boccatorta chiese a Frosone:
-</p>
-
-<p>
-— E dopo?
-</p>
-
-<p>
-— Dopo che?
-</p>
-
-<p>
-— Dopo, quando la pace sarà fatta?
-</p>
-
-<p>
-— Ebbene?
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa si farà?
-</p>
-
-<p>
-— Io credo che ci bastoneremo in un altro
-modo!
-</p>
-
-<p>
-Boccatorta sputò e Frosone dette una spinta
-a Fringuello perchè non camminava. Ne nacque
-un battibecco e volò qualche pugno. Scampoli
-non si rivolse, fu Martufo che s’interpose e separò
-i contendenti:
-</p>
-
-<p>
-— Non vi fate male!... Pensate che avete
-una famiglia!...
-</p>
-
-<p>
-Frosone non aveva nessuno e Fringuello viveva
-con una vecchia zia che non sapeva di
-averlo. Ma si rappacificarono perchè ciascuno
-credeva di avere una famiglia là dove andava
-a dormire, fosse pure sotto l’arco di una porta
-o in un loggiato.
-</p>
-
-<p>
-Guardarono il fiume. Qualcuno si soffermò
-a raccogliere qualche sasso lucente. Salirono
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-la sponda opposta e Virgola cantava sempre
-e Piedipiatti gonfiava le gote a imitar la banda.
-</p>
-
-<p>
-Baiocco disse a quest’ultimo:
-</p>
-
-<p>
-— Vuoi finirla di sbuffare come un bue?
-</p>
-
-<p>
-Piedipiatti rispose:
-</p>
-
-<p>
-— No!... — E intonò l’inno di Garibaldi.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Taracin, taracin, taracin.</i>
-</p>
-
-<p>
-Allora, per lo spirito suo repubblicano, anche
-Baiocco cominciò a cantare. Le foglie erano
-color d’oro. Un pettirosso e un forasiepe volaron
-pei rami bassi a guardare. C’erano tre piccole
-nubi che correvano verso il sole, tutte scapigliate.
-Le montagne turchine pareva si fossero
-levate a fare una bella corona al cielo limpido.
-</p>
-
-<p>
-Cispola, che era il più piccolo, guardò un
-contadino che passava con una vacca e per
-associazione di idee disse:
-</p>
-
-<p>
-— Ho fame!
-</p>
-
-<p>
-Ma nessuno gli badò. Pancaccia ebbe un
-grande sbadiglio.
-</p>
-
-<p>
-E arrivarono in vista della piazza d’Armi.
-Quando videro le mura del Tiro a segno, qualcuno
-chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Ci sono?
-</p>
-
-<p>
-Fu risposto:
-</p>
-
-<p>
-— Sì, ci sono.
-</p>
-
-<p>
-Infatti i Borghigiani erano in fondo al prato,
-immobili.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa fanno? — chiese Virgola.
-</p>
-
-<p>
-— Non vedi?... — mormorò Pancaccia. — Aspettano
-la pace!...
-</p>
-
-<p>
-Scampoli camminava sempre con le mani in
-tasca e così continuò a camminare fino a metà
-del prato e la sua turba dietro.
-</p>
-
-<p>
-Quando fu giunto a metà del prato si fermò.
-I Borghigiani non si movevano. Si vedeva benissimo
-Vituperio fermo innanzi ai suoi. Stettero
-così qualche tempo.
-</p>
-
-<p>
-— Be’?... — fece Baiocco accostandosi a
-Scampoli.
-</p>
-
-<p>
-— Be’, che cosa?... — domandò Scampoli
-rivolgendosi.
-</p>
-
-<p>
-— Che facciamo?
-</p>
-
-<p>
-— Si aspetta.
-</p>
-
-<p>
-— Ma anche gli altri aspettano!
-</p>
-
-<p>
-— Hai visto? — disse Fringuello. — Hanno
-inalberata la bandiera bianca!
-</p>
-
-<p>
-Si vedeva infatti un cencio pendere dalla
-cima di una canna.
-</p>
-
-<p>
-— Chi ha un fazzoletto? — fece Scampoli
-rivolgendosi.
-</p>
-
-<p>
-Nessuno rispose.
-</p>
-
-<p>
-— Chi ha la camicia? — riprese Scampoli.
-</p>
-
-<p>
-— Io! — disse Cispola.
-</p>
-
-<p>
-— Dalla qua.
-</p>
-
-<p>
-E Cispola fu costretto a togliersi la camicia
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-che era turchina. Non vi si badò. Qualcuno
-trovò una canna e la bandiera fu fatta.
-</p>
-
-<p>
-Allora i Borghigiani si mossero con Vituperio
-alla testa. Anche Scampoli si mosse con
-i suoi.
-</p>
-
-<p>
-Quando le due masnade furono a dieci passi
-si soffermarono.
-</p>
-
-<p>
-Tanto i Borghigiani come i Sobborghini ridevano.
-</p>
-
-<p>
-— Che c’è da ridere? — domandò Scampoli.
-</p>
-
-<p>
-— E voi altri perchè ridete? — rispose Vituperio.
-</p>
-
-<p>
-Passò un silenzio. Scampoli e Vituperio si
-fecero innanzi. Le due masnade si guardavano
-con occhi da locomotiva.
-</p>
-
-<p>
-E Scampoli disse:
-</p>
-
-<p>
-— Facciamo pace?
-</p>
-
-<p>
-— Facciamo pace! — rispose Vituperio.
-</p>
-
-<p>
-E i condottieri si teser la mano, veduta la
-qual cosa i marmocchi d’ambo le parti si spinsero
-gli uni contro gli altri e cominciarono a
-baciarsi, ad abbracciarsi che era una meraviglia
-vederli.
-</p>
-
-<p>
-Se ne andarono insieme e parevano in verità
-tutti fratelli. Giammai un Borghigiano aveva
-avuta tanta esuberanza d’amore per un Sobborghino.
-La secolare antinomia, la lotta senza
-quartiere, ecco, aveva trovata la sua fine, la
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-pace trionfava su la guerra; un sentimento
-umano su la barbara usanza sanguinaria.
-</p>
-
-<p>
-I marmocchi non sapevano e non pensavano
-questo, erano allegri per la cosa nuova, per il
-loro numero accresciuto, per il signor Sole
-che rideva sempre compiendo la sua strada
-nel turchino. E tutto pensarono fuorchè a riprender
-la strada delle loro case.
-</p>
-
-<p>
-Attraversarono campi e fossati, presero a
-sassate i cani, insolentirono i bifolchi per la
-superiorità che ogni marmocchio cittadino sentiva
-di avere su la gente del contado, devastarono
-qualche vigneto, fecero quanto più danno
-poterono per il loro amore che non era l’amore
-degli altri. E così camminando, piroettando,
-cantando, devastando, giunsero, ebbri di pace
-e di fratellanza, ad una città vicina.
-</p>
-
-<p>
-Come ne vider le mura sostarono. Vituperio
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— Entriamo a portar la pace anche fra i
-Tonti?
-</p>
-
-<p>
-— Sì!... — gridaron le masnade. — Evviva
-la pace!...
-</p>
-
-<p>
-E in verità parevano tanti piccoli Arcangeli
-in Cristo, illuminati di grazia e di soavità.
-</p>
-
-<p>
-Scampoli raccolse un ramo di ulivo. L’esempio
-suo fu imitato. In breve la povera pianta,
-per la pace degli uomini, fu dispogliata da’
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-suoi rami. Poi si posero in ordine, a quattro
-a quattro, e ciascuno recava il suo ramo di
-ulivo. In mancanza di meglio intonarono un
-coro scolastico:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Noi siamo piccoli ma cresceremo....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E a gola aperta, fra lo strepito del canto stonato,
-agitando alte le loro rame si diressero
-verso la porta medioevale della città dei Tonti.
-</p>
-
-<p>
-Due piccoli Tonti li accolsero con uno sberleffo;
-un altro disse loro:
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa venite a fare in casa nostra?
-</p>
-
-<p>
-Ma gli apostoli non intesero o finsero di non
-intendere. Varcarono le mura cantando sempre
-e credevano di andare incontro ad un’accoglienza
-trionfale, senonchè i Tonti, avvertiti
-dal frastuono, si erano raccolti in buon numero
-e non appena le apostoliche masnade avevan
-posto piede nella loro città che incominciò la
-più tempestosa sassaiuola che queste avesser
-dovuta subir mai.
-</p>
-
-<p>
-— Siamo amici! — gridò Vituperio. — Vi
-portiamo la pace!
-</p>
-
-<p>
-— La pace!... La pace!... — gridarono le
-masnade.
-</p>
-
-<p>
-E allora un brutto piccolo rospo della famiglia
-dei Tonti, un segnato da Dio, con un occhio
-cieco, la bocca torta e sciancato, come
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-udì il grido si fece innanzi e in un momento
-di tregua gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa volete?...
-</p>
-
-<p>
-— La pace!
-</p>
-
-<p>
-Lo sgorbio umano ebbe un riso sinistro, si
-pose la mano alla bocca e rispose con un suono
-inarticolato.
-</p>
-
-<p>
-I Tonti risero.
-</p>
-
-<p>
-Vituperio e Scampoli allibirono. Piedipiatti
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— Torniamo indietro.
-</p>
-
-<p>
-Vi fu un momento di scompiglio e ancora le
-masnade dell’amore non si erano rifatte dalla
-loro sorpresa che una seconda frotta di Tonti,
-armati di randelli, sbucò da un vicolo, assalì
-i pacifici Borghigiani e Sobborghini e, senza
-che essi potessero reagire, li conciò nel più
-malo modo possibile.
-</p>
-
-<p>
-La rotta fu vergognosa e disperata. E da
-quel giorno, per il dolce volto di madonna Pace,
-la Guerra non fece che un inchino ai suoi vecchi
-messeri e cambiò luogo se non cambiò
-costume.
-</p>
-
-<p>
-Borghigiani e Sobborghini furono alleati contro
-i Tonti, tanto è vero che tutto è parziale
-al mondo e l’universalità è una utopia.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span></p>
-
-<h2 id="passeri">LO SPAVENTA PASSERI.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Seduto in mezzo al campo, presso la croce
-di canna elevata a porre il seminato sotto la
-protezione del Signore, lo squallido vecchio
-aveva a quando a quando un rauco grido e
-levava a stento un suo vinciglio, fra le mani
-anchilosate. Incurvo il mento sul petto, tutto
-pervaso dal tremito della paralisi, attendeva al
-suo còmpito dall’alba al tramonto, da quando
-i passeri scendevano dai loro rifugi fino all’ora
-in cui vi ritornavano con un frullo, mentre
-suonava un’Ave.
-</p>
-
-<p>
-Era il tempo dell’estremo autunno, chè novembre
-traeva l’invernata dai cieli preclusi, con
-le nebbie, le brine e le burrascose furie di
-Borea. Anche i pettirossi se ne andavano con
-le ultime foglie e le nostalgiche voci delle giovinette
-cantavan la leggenda di Solicello che
-muore impigliato fra i roveti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-</p>
-
-<p>
-La terra si mostrava ignuda fra zone di basse
-nebbie o nei magici bagliori della galaverna.
-E fra le nebbie e la galaverna, sotto l’esigua
-croce di canna, rattrappito, bistorto, ravvolto
-come un ramo secco, padron Veli attendeva la
-sua morte in mezzo al campo seminato. Nè
-pregava Iddio che l’affrettasse, nè vedeva cosa
-che gli paresse ingiusta anche in quella sua
-postrema sofferenza.
-</p>
-
-<p>
-Vegeto e sano aveva sempre pensato, come
-i suoi tre figli, che tanto ci si può prender
-cura di un uomo quanto utile può rendere; ed
-ora che si vedeva immobilizzato dal male su
-di una sedia, più gli sarebbe parso atroce essere
-come l’aratro arrugginito o come lo stollo
-fracido che non regge il suo mucchio anzichè
-giovare, in quel modo che poteva, a coloro che
-avevano preso il posto di lui. Così s’illividiva
-sotto i plumbei cieli tranquillamente, levando
-a quando a quando un rauco grido o il rossigno
-vimine a spaventare i passeri che non
-vedeva ormai più perchè gli occhi suoi non gli
-mostravan del mondo se non un’immagine smorticcia,
-una teoria di fantasmi evanescenti dall’ombra
-densa.
-</p>
-
-<p>
-E Maiore e Pietro e Benedetto utilizzavano
-il vecchio in tal modo, contenti dell’opera loro
-e di quel qualsiasi utile che ne ritraevano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-</p>
-
-<p>
-Erano costoro tre uomini scalati come tre
-canne di una zampogna, ma di uguale tipo e
-di anima uguale, se ben poteva dirsi anima il
-vago baglior di vita che appena schiariva la
-loro grossezza. Ridevan di nulla così come il
-minimo suono s’ingigantisce nelle stanze vuote,
-l’un dopo l’altro con la bocca aperta e gli occhi
-tondi: avevan quella semplicità la quale confina
-con l’ebetudine, ma solo fino al punto in cui
-non entrasse in gioco il loro tornaconto.
-</p>
-
-<p>
-Infaticati come la bestia a coltivare il campo
-e la vigna, consideravan sè stessi a simiglianza
-degli altri, a seconda dell’utile che potevan
-dare, nè avevan tolto moglie perchè più pane
-avrebbe consumato una donna che non ne
-avrebbe reso. Così conducevano la casa da
-soli, compiendo ogni opera femminile, perfettamente.
-</p>
-
-<p>
-Nel contado li chiamavan gli Scalzi e infatti
-fino ai giorni del più rigido inverno andavan
-scalzi e solo allora infilavano gli zoccoli
-quando la neve era per le vie. Nè possedevan
-mantelle a ripararsi dai rigori del gennaio, nè
-ferrajoli, nè altra veste che non fosse una pelle
-di pecora la quale avevan cucita alla meglio e
-che infilavan sulla giacchetta a volta a volta,
-chè ne possedevano una sola.
-</p>
-
-<p>
-Il loro mondo era in tale avarizia, all’infuori
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-della quale nessuna cosa più li toccava o li
-commuoveva e non sapevan che ridere.
-</p>
-
-<p>
-Così quando padron Veli, il padre loro venerando,
-fu ridotto fra il letto e la sedia, incapace
-a qualsiasi opera, i tre Scalzi sentirono
-appesantirsi sull’anima loro la nube di quella
-vecchiaia dannosa e, tardando la morte a render
-giustizia, strologarono nel pensier loro il
-modo di far servire a qualcosa il malato.
-</p>
-
-<p>
-Fu Maiore che una mattina, all’alba, levato
-col canto del gallo, disse a Pietro:
-</p>
-
-<p>
-— Prendi il vecchio e portalo con te.
-</p>
-
-<p>
-— Dove?
-</p>
-
-<p>
-— Nel campo.
-</p>
-
-<p>
-Pietro trasse padron Veli dal letto e se lo
-caricò sulle spalle. Questi non fiatò, tremava
-soltanto, ma per la sua paralisi.
-</p>
-
-<p>
-Poi Maiore chiamò Benedetto e gli disse:
-</p>
-
-<p>
-— Prendi una sedia e vieni con me.
-</p>
-
-<p>
-— Dove?
-</p>
-
-<p>
-— Nel campo.
-</p>
-
-<p>
-Maiore si caricò di tre marre e andarono.
-Traversata l’aia, seguendo le redole, giunsero
-al campo della croce che era il più grande.
-</p>
-
-<p>
-Avevano seminato il giorno prima. Maiore
-andava innanzi. Quando fu presso la croce disse
-a Benedetto:
-</p>
-
-<p>
-— Metti la sedia qui.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-</p>
-
-<p>
-Fu fatto. Maiore la piantò bene sulla terra
-smossa chè non avesse a rovesciarsi, compiuta
-la qual opera, disse a Pietro:
-</p>
-
-<p>
-— Vien qua. Fa sedere il vecchio. Spaventerà
-i passeri.
-</p>
-
-<p>
-Padron Veli capì solo allora che cosa gli preparavano
-e non si dolse della cosa, come non si
-sarebbe dispiaciuto anco se l’avesser sepolto.
-</p>
-
-<p>
-Come fu seduto, Maiore gli disse:
-</p>
-
-<p>
-— Voi siete quasi cieco ma non importa. I
-passeri avranno paura di voi. Badate al grano.
-Se avrete fame vi ho messo il pane in tasca. Qui
-c’è la fiasca dell’acqua. Verremo a prendervi
-questa sera.
-</p>
-
-<p>
-Padron Veli non parlava più e non potè rispondere;
-continuò a tremare, la testa inchiodata
-al petto, le braccia penzoloni. Ma per quel
-che capì fu soddisfatto. Maiore si fermò à guardarlo.
-Disse a Benedetto:
-</p>
-
-<p>
-— Va a tagliare una rama.
-</p>
-
-<p>
-Benedetto andò in un filare e tornò con un
-vimine rossigno. Maiore lo pose nelle mani del
-vecchio e disse ancora:
-</p>
-
-<p>
-— Tenete questa rama. Vi farà buono per i
-passeri!
-</p>
-
-<p>
-Poi raccolse la marra, Pietro e Benedetto fecero
-similmente e senza rivolgersi se ne andarono all’opera
-loro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-</p>
-
-<p>
-Padron Veli rimase in mezzo al seminato col
-suo vimine sanguigno. Su le prime non si rimosse,
-stette con le braccia abbandonate, istupidito,
-senza saper come eseguire degnamente
-il compito nuovo, chè nulla vedeva se non
-l’ombra degli alberi, sul cielo, e un mare grigiastro
-ed uniforme; poi a qualcosa che trasentì
-e che non seppe comprendere nell’ombra
-sua moritura, mandò un grido rauco e levò il
-vinciglio e così fece e continuò fra lunghe
-pause finchè giunse la sera e lo riportarono via.
-</p>
-
-<p>
-Il nuovo costume non fu più dimesso. Ad
-ogni alba gli Scalzi partivano col vecchio paralitico
-e ritornavano col tramonto. E fra le
-ultime foglie che le raffiche si portavano via
-frullando, fra lo strido dei forasiepe, l’argento
-delle brine, il grave aduggiarsi delle nebbie
-Padron Veli attese la sua morte che non poteva
-mancare.
-</p>
-
-<p>
-Ma egli era di salda radice e il freddo e
-l’umido e la nebbia e la pioggia non l’abbatterono.
-Anche quando scendeva sulla terra la
-caligine livida, sì che non vedeva la cinta degli
-alberi, i tre Scalzi che lavoravano nel campo
-vicino, udivano uscire dal fitto velo della foschia
-il grido del vecchio; e pareva giungesse
-di tanto lontano che già la morte l’avesse serrato
-e condotto giù per le sue fosche contrade.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-</p>
-
-<p>
-E Maiore diceva alludendo al vecchio:
-</p>
-
-<p>
-— Lavora bene!
-</p>
-
-<p>
-E Pietro e Benedetto assentivano.
-</p>
-
-<p>
-Poi giunsero le piogge e il còmpito di padron
-Veli parve esaurito. Dal primo giorno in cui
-il cielo si oscurò per non aver più sole il vecchio
-fu posto in una panca, vicino al focolare
-spento. Faceva freddo, ma in casa degli Scalzi
-il fuoco non si accendeva mai se non per cuocere
-le vivande. Quel giorno non v’erano vivande
-da cuocere e padron Veli tremava presso
-la cenere del focolare e aveva il volto illividito
-come quando sedeva in mezzo al seminato, fra
-il turbinìo del vento. Gli occhi gli si erano ormai
-chiusi e non udiva intorno che il ronzìo
-cupo delle sue stanche vene. E quel ronzìo gli
-figurò lo svolare e il pigolar dei passeri fra la
-sementa. Alzò un braccio, ad un tratto e mandò
-il suo rauco grido.
-</p>
-
-<p>
-Maiore levò il capo di su lo spianatoio e si
-volse a guardare. Così fecero Pietro e Benedetto,
-ma non corse parola. Dall’angusta finestra
-chiusa da un’impannata, entrava appena
-uno scialbo livore di luce. E, fra i colpi del
-telaio, si udiva il gran pianto del giorno
-senza sole.
-</p>
-
-<p>
-Fu una pausa durante la quale Padron Veli
-continuò a tremare nella sua solitudine moritura,
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-poi con lo stanco gesto del braccio il suo
-rauco grido empì di nuovo la stanza.
-</p>
-
-<p>
-Benedetto ristette, la spola in una mano, e
-domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Che ha il vecchio?
-</p>
-
-<p>
-Disse Maiore:
-</p>
-
-<p>
-— Si sogna!
-</p>
-
-<p>
-E lo guardarono un poco in silenzio. Padron
-Veli non vedeva e non udiva; udiva solamente
-gli immensi stormi dei passeri voraci cinguettare,
-cantare, svolare in una persecuzione senza
-tregua, penosa, e i campi erano devastati, sotto
-la croce di canna coronata dal candor della
-brina.
-</p>
-
-<p>
-Solo al quinto, al sesto grido, Maiore disse:
-</p>
-
-<p>
-— Si pensa di essere nel seminato e lavora!...
-</p>
-
-<p>
-Pietro e Benedetto risero e nessuno pensò
-più alla cosa. Padron Veli continuò nel gesto e
-nel grido automatico, seduto innanzi la cenere
-del focolare, illividito dal freddo, sperduto nell’ultima
-sua visione di tormento.
-</p>
-
-<p>
-Ma al secondo e al terzo giorno, come il
-maltempo non accennava a tramutare e il vecchio
-a ravvedersi, Maiore disse:
-</p>
-
-<p>
-— Bisogna avvertirlo che non è più nel
-campo!...
-</p>
-
-<p>
-E Pietro e Benedetto risposero:
-</p>
-
-<p>
-— Sì!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-</p>
-
-<p>
-Bisognava avvertirlo e Maiore si accostò a
-padron Veli, gli battè una mano sulla spalla,
-gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Vecchio, siete in casa, qui non ci sono i
-passeri!... — Pietro e Benedetto ridevano. Padron
-Veli non intese, non poteva intendere,
-tremò un po’ più forte senza rispondere.
-</p>
-
-<p>
-E Maiore:
-</p>
-
-<p>
-— Avete capito?... Non gridate più che non
-c’è bisogno!...
-</p>
-
-<p>
-E l’opera diuturna fu ripresa, ma il vecchio
-Veli non aveva inteso. Egli non viveva ormai
-più se non nella sua estrema visione.
-</p>
-
-<p>
-Allora i tre figli si dissero:
-</p>
-
-<p>
-— Chiamiamo Puntèrla chè lo faccia tacere
-con le sue erbe!
-</p>
-
-<p>
-E Puntèrla giunse. Era questi un semplicista
-e aveva grande rinomanza per le campagne,
-chè le sue guarigioni erano prodigiose. Giunse
-e guardò padron Veli. Maiore, Pietro e Benedetto
-gli stavano intorno con la bocca tonda.
-</p>
-
-<p>
-Maiore domandò!
-</p>
-
-<p>
-— Potrete guarirlo senza farci spendere?
-</p>
-
-<p>
-Disse Puntèrla:
-</p>
-
-<p>
-— È vecchio!
-</p>
-
-<p>
-I tre figli assentirono.
-</p>
-
-<p>
-E Maiore chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa potremmo dargli?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-</p>
-
-<p>
-Puntèrla disse:
-</p>
-
-<p>
-— Morirà!...
-</p>
-
-<p>
-I tre figli assentirono. Già, era giusto che
-dovesse morire perchè era troppo vecchio.
-</p>
-
-<p>
-Ora padron Veli urlava sempre più forte e
-la sua paralisi lo faceva traballare sulla sedia.
-</p>
-
-<p>
-— Vedete come trema? — disse Puntèrla. — Ha
-il male della spingarda?
-</p>
-
-<p>
-— Della spingarda?
-</p>
-
-<p>
-— Sì — fece il sapiente di semplici. — Bisognerebbe
-farlo sudare!...
-</p>
-
-<p>
-— Non basterebbe qualche pillola?
-</p>
-
-<p>
-— No. Fatelo sudare!...
-</p>
-
-<p>
-E Puntèrla si ravvolge nel suo ferraiolo.
-Quando fu sulla porta Maiore gli pose fra le
-mani due uova e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Prendete per il vostro incomodo!
-</p>
-
-<p>
-Puntèrla intascò le uova senza dir parola e
-scomparve.
-</p>
-
-<p>
-Come rimasero soli, Maiore pensò per qualche
-secondo, poi disse ai fratelli:
-</p>
-
-<p>
-— Aspettatemi qui! — E uscì sotto il portico.
-</p>
-
-<p>
-Per circa mezz’ora Pietro e Benedetto lo udirono
-andare e venire senza sapere che si facesse.
-Padron Veli era sempre più agitato e
-le sue urla aumentavano d’intensità.
-</p>
-
-<p>
-Di repente la porta che immetteva nel portico
-si aperse, e Maiore apparve, vermiglio in volto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-</p>
-
-<p>
-Disse ai fratelli:
-</p>
-
-<p>
-— Prendete il vecchio!
-</p>
-
-<p>
-Pietro e Benedetto ubbidirono senza domandare,
-com’erano soliti, chè Maiore poteva avere
-il comando, essendo il primo nato.
-</p>
-
-<p>
-Sollevarono padron Veli fra le braccia e uscirono.
-Maiore andava innanzi. In un angolo del
-portico era aperta la nera bocca del forno.
-</p>
-
-<p>
-— Che facciamo? — domandarono i fratelli.
-</p>
-
-<p>
-— Portatelo qua! — disse Maiore.
-</p>
-
-<p>
-Padron Veli aveva gli occhi serrati. Quando
-</p>
-
-<p>
-furono innanzi alla bocca del forno Maiore
-guardò dentro e chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Potrà starvi seduto?...
-</p>
-
-<p>
-Pietro e Benedetto risposero:
-</p>
-
-<p>
-— Sì!...
-</p>
-
-<p>
-E l’opera fu compiuta. Quando ebbero chiusa
-la serranda e l’ebber tappata intorno con molta
-mota, ristettero ad ascoltare, tutti e tre reclini.
-</p>
-
-<p>
-— Ora suda!... Non urla più!... — disse Maiore.
-</p>
-
-<p>
-E se ne andarono tranquilli.
-</p>
-
-<p>
-Padron Veli sudava infatti dentro il forno
-serrato e più non udiva il cupo ronzio delle
-sue vene tramutarsi nell’acuto pigolìo dei passeri
-voraci. Il giorno declinò ed i tre fratelli
-compirono le opere loro in pace. Quando fu la
-sera, Maiore si accostò alla bocca del forno
-e chiamò forte:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Vecchio?... o vecchio?... Sudate?...
-</p>
-
-<p>
-Padron Veli non rispose. Pietro e Benedetto
-dissero:
-</p>
-
-<p>
-— Dormirà!...
-</p>
-
-<p>
-— Lasciamolo tranquillo!...
-</p>
-
-<p>
-— Sì, lasciamolo tranquillo!
-</p>
-
-<p>
-E com’ebber mangiato il loro pan secco sul
-palmo della mano, se ne andarono a dormire,
-contenti nella loro anima ottusa.
-</p>
-
-<p>
-All’alba il gallo rosso cantò presso il fico dispoglio
-dal quale stillava la pioggia. I tre fratelli
-si levarono e scesero nella stalla.
-</p>
-
-<p>
-Com’ebbero governate le bestie era il mattino,
-e la giornata era piovosa.
-</p>
-
-<p>
-Dall’aia qualcuno chiamò:
-</p>
-
-<p>
-— Oh!... Gli Scalzi!...
-</p>
-
-<p>
-— Avanti!... — gridò Maiore.
-</p>
-
-<p>
-Entrò Puntèrla.
-</p>
-
-<p>
-— Benvenuto! — fece Maiore. — Che volete?...
-</p>
-
-<p>
-— Come sta padron Veli?
-</p>
-
-<p>
-— Deve star bene perchè ha sudato! Non
-l’abbiamo sentito più!
-</p>
-
-<p>
-— Si può vedere?
-</p>
-
-<p>
-— Venite!...
-</p>
-
-<p>
-E Maiore e Pietro e Benedetto s’accostarono
-alla bocca del forno. Puntèrla li guardava fare.
-</p>
-
-<p>
-Com’ebbero aperta la serranda Maiore disse
-a Pietro:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Va a prendere il lume!
-</p>
-
-<p>
-Venne il lume e Maiore lo legò in cima a
-una pertica.
-</p>
-
-<p>
-— Ma che avete fatto?... — domandò Punterla,
-e stralunava.
-</p>
-
-<p>
-I tre fratelli si volsero a guardarlo, stupiti.
-Non risposero.
-</p>
-
-<p>
-Maiore spinse la lampada nel forno. Apparve
-l’ombra del vecchio, appoggiata all’incurva parete,
-ma il volto non si vedeva, non si vedeva
-che il corpo rattrapito, risecchito.
-</p>
-
-<p>
-— O vecchio?... — chiamò Maiore. Passò un
-silenzio e padron Veli non rispose a quella e
-alle nuove chiamate. Allora Maiore levò la lampada
-fin presso il volto del taciturno e, nella
-luce rossastra, l’orrendo volto apparve di un
-subito, come dal fondo di un sepolcro millenne.
-Non era più inchiodato al petto, ma levato fino
-alla vôlta del forno e gli occhi erano sbarrati
-e i capelli irti e le mascelle contratte e la bocca
-socchiusa e stirata sulle vuote gengive. Impietrito
-nello spasimo era segnato nei solchi e
-nell’ossa e nella cavità profonda, da una forza
-spaventevole.
-</p>
-
-<p>
-Maiore lo guardò tranquillo e chiamò ancora:
-</p>
-
-<p>
-— O vecchio?... Non ci sentite?
-</p>
-
-<p>
-— Sì che ci sente — sussurrò Pietro. — Guardalo!...
-Ride!...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-</p>
-
-<p>
-E Benedetto:
-</p>
-
-<p>
-— Ride!...
-</p>
-
-<p>
-E tutti e tre sporsero la testa entro la nera
-bocca del forno e ripeterono adagio, soddisfatti:
-</p>
-
-<p>
-— Ride!
-</p>
-
-<p>
-Poi, levatisi in un silenzio, si guardarono
-negli occhi e scoppiarono a ridere a loro volta
-tutti e tre, l’uno di fronte all’altro, inconsci e
-tremendi innanzi alla muta morte che li guatava
-dalla tenebra.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span></p>
-
-<h2 id="vignav">LA VIGNA VENDEMMIATA.</h2>
-</div>
-
-<p>
-C’era, lungo la casa, una riga di ombra e il
-sole batteva tuttavia sui muri opposti con tanta
-violenza che l’aria ne era affocata. Le finestre
-e le porte erano chiuse e per la strada non
-c’era che Calandra accoccolato lungo la riga
-di ombra, presso il muro della sua casipola, le
-ginocchia divaricate, le braccia su le ginocchia
-e le mani penzoloni.
-</p>
-
-<p>
-Sonnecchiava. Ogni suo còmpito era esaurito.
-</p>
-
-<p>
-Interrotto il sonno, sul far dell’alba, era sorto
-dallo stramazzo bell’e vestito come si coricava
-e, sbirciata l’Amalia, la quale continuava a dormire
-mezza nuda, appoggiata la larga gota rossa
-sul braccio ripiegato, era disceso alla vigna.
-</p>
-
-<p>
-Uomo di tenace fatica, paziente, placido e
-resistente come il bue, non aveva badato alla
-violenza solare, protraendo il lavoro suo finchè
-la fame imperiosa non lo avesse discacciato di
-tra i filari.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ritornato alla casipola sua nel paese, poco
-dopo mezzogiorno, si era fatto alla madia
-senza cercar di Amalia, e preso un pane, un
-boccale di vinello e un bicchiere, seduto su la
-panca innanzi alla tavola, aveva mangiato il
-suo pane, pensando ai bei grappoli che avevano
-alleghito e ai pampini superbi.
-</p>
-
-<p>
-Ora sonnecchiava presso la soglia, addossato
-al muro, lungo l’esigua ombra delle gronde.
-</p>
-
-<p>
-Sul principio, come i suoi piedi scalzi erano
-ancora nel sole e gli ardevano, nè pensava a
-ritrarli, sul principio aveva udito il ronzìo delle
-mosche e un malo odore entrargli per le nari
-insistente, ma nè l’una cosa nè l’altra erano
-tali da fargli rivolgere gli occhi o da farlo
-scansare; vi si era adattato calando le ciglia
-su la sua torpida volontà di sonno e di tregua.
-</p>
-
-<p>
-Il rotolìo di uno di quei pesanti plaustri vermigli,
-antichi come l’arca e la nave, pieni di
-ferramenta e solidi a simiglianza dei quadrati
-buoi che li trascinano, non gli fece levar le
-palpebre di sopra gli occhi suoi grigi e piccoli
-come quelli del cane; un fanciullo che trascorse
-gridando come un invaso dal farnetico, ma
-solo per la barbara gioia di sentirsi vivo, non
-lo riscosse. Quando Calandra aveva chiuso gli
-occhi sul suo silenzio, era disceso nel torpor
-del suo riposo come nell’immensità del non
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-essere, occorreva una ben diversa ragione a
-farlo levar di repente, diritto nel sole, con la
-sua piccola coscienza.
-</p>
-
-<p>
-E così ristava nell’ebetudine della siesta, simile
-ad un cencio gettato sopra una corda
-tesa, quando, nella casa che gli era dirimpetto,
-si aprì ad un tratto un usciuolo, un braccio si
-sporse e gettò in mezzo alla via il contenuto
-di un grande orcio rossigno.
-</p>
-
-<p>
-Il liquido si espanse per l’aria e giunse fino
-al muro opposto e piovve sul collo, sul petto
-e su le braccia di Calandra. Questi, al brivido
-inatteso, levò il capo e grugnì e al grugnito
-sordo fece seguito una fra quelle sonanti imprecazioni,
-sì comuni in Romagna, che possono
-dirsi una più scabra natura di quella gente
-scabrosa.
-</p>
-
-<p>
-Ma Calandra imprecò per l’abito suo di imprecare,
-così come avrebbe presa la marra o
-guardato l’aspetto del cielo; il brivido che lo
-aveva riscosso violentemente dalla sua torpida
-vacuità aveva ridesta la parte di lui più viva
-e più inconscia: quella che bestemmiava; era
-stato come un atto riflesso, la conseguenza
-necessaria di un’azione indipendente dalla volontà
-e nulla più. E con l’innocente imprecare
-tutto sarebbe finito, se la Checca, donna irosa
-e maligna, non avesse prese per sè le sùbite
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-parole di Calandra e, riaperto l’usciuolo che
-già aveva richiuso, non si fosse fatta su la soglia
-per dimandare a provocazione:
-</p>
-
-<p>
-— Che c’è da brontolare?... Con chi l’avete?...
-</p>
-
-<p>
-Calandra, che già aveva ripresa la flaccida
-posa dell’uomo insonnolito, levò lentamente le
-palpebre e guardò la Checca co’ suoi piccoli
-occhi di cane, senza capir che si volesse.
-</p>
-
-<p>
-E la donnacola ribattè:
-</p>
-
-<p>
-— Dico con voi, sapete!... Che c’è da brontolare?...
-</p>
-
-<p>
-Calandra non si scompose, richiuse gli occhi
-e borbottò:
-</p>
-
-<p>
-— Chi brontola?
-</p>
-
-<p>
-— Voi!... E mandate degli accidenti a chi
-non v’ha fatto nulla di male. Sarebbe meglio
-apriste gli occhi sui fatti vostri, povero merlo!...
-</p>
-
-<p>
-Calandra non rispose.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, fate le orecchie da mercante. A voi
-vi interviene come a quello che dava consigli
-al vicino perchè si guardasse dal fuoco e aveva
-il fuoco in casa!
-</p>
-
-<p>
-E Calandra muto.
-</p>
-
-<p>
-— E la gente dicono che non sapete niente,
-che nessuno vi ha fatto mai aprir gli occhi!... A
-crederci!... Ma se ve la fanno sotto il naso!...
-</p>
-
-<p>
-Calandra ritrasse le mani sul grembo, levò
-un poco la testa, chiese lentamente, come se
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-gli fosse giunta appena appena la eco di un
-discorso strano, nel sonno:
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa mi fanno sotto il naso?
-</p>
-
-<p>
-— Quello che non volete sapere! — fece la
-Checca.
-</p>
-
-<p>
-E Calandra con la stessa lentezza beota:
-</p>
-
-<p>
-— Che cos’è che non voglio sapere?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, fate lo smarrito?
-</p>
-
-<p>
-— Che smarrito?
-</p>
-
-<p>
-La Checca squadrò in tralice il tardigrado,
-crollò le spalle, disse:
-</p>
-
-<p>
-— E chi non lo sa che siete becco e contento? — E
-su tali parole richiuse violentemente
-l’usciuolo.
-</p>
-
-<p>
-Allora Calandra alzò la grande mano noccoluta,
-si calcò su la nuca il cappello, che il solfato
-di rame delle sue viti aveva stinto e ritinto,
-sputò di traverso e disse, ma placidamente:
-</p>
-
-<p>
-— Vacca!
-</p>
-
-<p>
-E l’ira sua fu compiuta.
-</p>
-
-<p>
-La Checca non c’era più; la strada divenne
-silenziosa dall’un capo all’altro; Calandra ricadde
-nella sua immobilità di vegetale che
-dalle soglie del non essere si affaccia alla vita.
-Avvertì tuttavia il malo odore e il fitto ronzìo
-delle mosche, udì il grido di un bifolco a’ suoi
-bovi, da un prossimo campo, e i tocchi delle
-ore dalla torre del Palagio. Non voleva darsi
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-la fatica di contar le ore, ma le contò senza
-addarsene. L’orologio della torre aveva suonato
-il tocco e un quarto; poteva dormire ancora;
-ma in quel che ridiscendeva verso la profonda
-beatitudine del riposo, eccoti lo Scancio che
-giungeva cantarellando lungo la riga d’ombra.
-</p>
-
-<p>
-Calandra chiuse gli occhi e non si rimosse.
-</p>
-
-<p>
-Lo Scancio era il garzone dei Falistri, un
-giovinastro cane che non avrebbe portato rispetto
-neppure all’anima santa di una madre.
-</p>
-
-<p>
-Il Calandra non lo temeva, per vero dire,
-perchè egli non aveva che un timore al mondo
-ed era quello di Dio; ma la presenza dello
-Scancio gli dava sempre un malessere inesplicabile,
-un fastidio inespresso che lo lasciava
-scontento. Attese senza levar la testa. Lo Scancio
-si fermò all’osteria del Moro, parlò sommesso,
-dalla strada, con qualcuno che era oltre
-la porta, rise forte e proseguì.
-</p>
-
-<p>
-Ora Calandra fingeva di essere preso dal
-più pesante sonno. Lo Scancio gli gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Buon riposo, Calandra!
-</p>
-
-<p>
-Il bifolco non rispose.
-</p>
-
-<p>
-E lo Scancio:
-</p>
-
-<p>
-— Ti fa buon pro il sonno?... Dormi, dormi,
-passero, che c’è chi veglia per te!...
-</p>
-
-<p>
-Calandra aprì un occhio e poi l’altro e la sua
-faccia era torva.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sei stato alla vigna?
-</p>
-
-<p>
-Calandra non rispose.
-</p>
-
-<p>
-— Tu vegli la notte perchè non ti rubin
-l’uva, e il giorno che cosa fai?
-</p>
-
-<p>
-Calandra inarcò un sopracciglio in un suo
-particolar gesto di noia e di stupore.
-</p>
-
-<p>
-Fece:
-</p>
-
-<p>
-— Perchè?...
-</p>
-
-<p>
-— Perchè se tu andassi di giorno troveresti
-i ladri che non ci sono la notte!
-</p>
-
-<p>
-— Quali ladri?...
-</p>
-
-<p>
-— E tu va se vuoi sapere! Tu la sentirai la
-novella!
-</p>
-
-<p>
-E lo Scancio rise forte e proseguì lungo la riga
-d’ombra cantando una canzonettaccia di scherno.
-</p>
-
-<p>
-Poi giunse Serafina, la moglie dell’oste, e
-dalla strada incominciò a chiamare:
-</p>
-
-<p>
-— Amalia?... O Amalia?...
-</p>
-
-<p>
-Calandra aveva abbassata la faccia fra le
-grosse mani terrose e udiva il borbottare di
-Serafina fra il reiterato grido:
-</p>
-
-<p>
-— Amalia?... O Amalia?...
-</p>
-
-<p>
-La Checca, pronta al rumore, riaprì l’usciuolo e
-si fece su la soglia. Guardò Serafina e domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Chi cercate?
-</p>
-
-<p>
-— Cerco l’Amalia chè ne ho bisogno.
-</p>
-
-<p>
-— O non sapete che non c’è?
-</p>
-
-<p>
-— Quando è uscita?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Saranno tre ore.
-</p>
-
-<p>
-— Dov’è? — domandò Serafina e ammiccò
-a Calandra che non levava la faccia di tra le
-grosse mani.
-</p>
-
-<p>
-— Che volete che sappia io? — fece la
-Checca. — Domandatelo a Calandra.
-</p>
-
-<p>
-Calandra alzò una spalla e non levò la faccia.
-</p>
-
-<p>
-— Allora non potrò trovarla? — domandò
-Serafina.
-</p>
-
-<p>
-— Ma sì!... Andate alla vigna che la troverete
-e non sarà sola!
-</p>
-
-<p>
-Le donnacole risero, poi l’una richiuse l’usciuolo
-della sua tana e l’altra ritornò ciabattando
-all’osteria.
-</p>
-
-<p>
-Calandra incominciò a pensare e l’opera del
-pensamento gli fu come una mortale fatica.
-</p>
-
-<p>
-Sudò sette camicie, ma ormai non poteva
-più separarsi dal tardo sospetto che si muoveva
-dentro di lui a simiglianza di un orso
-inebetito in prigionia. Non era adirato nè prossimo
-all’ira, e neppure un qualsiasi sdegno
-per la possibile offesa era per nascergli dentro.
-In primo luogo non era tuttavia convinto della
-cosa; in secondo luogo, se pure qualche forte
-dubbio lo teneva perplesso, egli non vedeva e
-non sentiva ancora il proprio atteggiamento di
-fronte all’avvenimento impensato. Eran parole
-che gli giravan per la mente e non altro. La
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-figurazione materiale del tradimento, l’unica
-che avesse potuto smuoverlo, non gli si presentava.
-Vedeva tutt’al più la vigna, l’Amalia,
-la strada affocata dall’ardore, il suo capanno
-di guardia, i bei tralci delle solide viti, e non
-quell’alcunchè di preciso che muove la violenta
-gelosia nell’anima degli uomini. Si traviava
-dietro le chiacchiere udite, ma non aveva sentimento
-che lo spingesse ad agire, come avrebbe
-agito un uomo par suo, a simiglianza di una
-catapulta. Nello stesso tempo la dolce ebetudine
-del riposo era scomparsa, epperò si tolse
-dal muro, aprì l’uscio della casipola, entrò.
-</p>
-
-<p>
-Ancora gli sorrise la speranza di trovare
-l’Amalia addormentata in qualcuna delle quattro
-stanze e di potersene ritornare così alla sua
-vigna senza altro pensiero; ma l’Amalia non
-c’era. Ebbe lo scrupolo di guardare anche negli
-angoli, di smuovere lo stramazzo dell’enorme
-letto, di aprire l’armadio, ma non vide la sposa
-sua dalle rotonde guance vermiglie e dal grande
-seno bestiale. L’Amalia non c’era, se n’era ita
-a nozze con Martin della Fratta.
-</p>
-
-<p>
-Calandra uscì e chiuse a chiave la porta di
-casa. Non seppe bene se facesse questo per
-guardarsi dai ladri o perchè l’Amalia non rientrasse
-durante l’assenza di lui; gli venne fatto
-di girar la chiave nella toppa e tirò di lungo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-</p>
-
-<p>
-La stradicciuola del paese sboccava ben presto
-nella campagna. Calandra si trovò fra le
-faticate terre degli uomini, senza volerlo. L’abitudine
-e non la volontà lo aveva avviato lungo
-il cammino che egli percorreva da quarant’anni:
-dalla casa alla vigna. Si soffermò. Riconobbe
-i campi dei Falistri, i campi dei Vicelli; si interessò
-alle culture; vide che i grani dei Falistri
-erano i più belli, fece in sè le lodi del
-capoccio. E udì suonare una campana. Si tolse
-il cappello a quella che egli riteneva la voce
-di Dio, inchinò gli occhi e ancora non li aveva
-tolti di su la terra riarsa che si sentì domandare:
-</p>
-
-<p>
-— Dove vai, Calandra?
-</p>
-
-<p>
-Levò la faccia e vide don Beniamino, a cavallo
-della sua rozza.
-</p>
-
-<p>
-Calandra si passò il cappello da una mano
-all’altra. Disse:
-</p>
-
-<p>
-— Vado.... andavo.... così....
-</p>
-
-<p>
-— Metti il cappello.
-</p>
-
-<p>
-— Grazie, don Beniamino.
-</p>
-
-<p>
-— Be’ — fece il parroco — come vanno gli
-affari?
-</p>
-
-<p>
-— Ah!... se è per gli affari, non c’è male, si
-tira innanzi! — rispose Calandra.
-</p>
-
-<p>
-— Che altro c’è allora?
-</p>
-
-<p>
-Calandra si rimise il cappello e rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Niente.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-</p>
-
-<p>
-Don Beniamino fece girare il parasole color
-cenere che aveva appoggiato ad una spalla e
-stava per congedarsi quando Calandra gli si
-accostò e prese la brenna per la capezza.
-</p>
-
-<p>
-— Sentite, don Beniamino, vorrei domandarvi
-una cosa.
-</p>
-
-<p>
-— Di’!
-</p>
-
-<p>
-— Se un uomo avesse moglie e gli fosse
-detto che questa moglie gli fa le corna, che
-cosa avrebbe diritto di fare quest’uomo?...
-</p>
-
-<p>
-— Prima di tutto avrebbe il dovere di accertarsi
-se l’accusa fosse giusta.
-</p>
-
-<p>
-— Sì. E poi?
-</p>
-
-<p>
-— E poi, una volta che fosse riuscito a procurarsi
-delle prove inattaccabili, potrebbe separarsi
-dalla moglie.
-</p>
-
-<p>
-— Questo sarebbe il suo diritto?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— E se quest’uomo trovasse la moglie con
-un altro dentro un capanno in una vigna, che
-cosa avrebbe diritto di fare?
-</p>
-
-<p>
-— La cosa sarebbe grave!
-</p>
-
-<p>
-— Potrebbe prendere un randello e rompere
-le costole a tutti due?
-</p>
-
-<p>
-— Eh!...
-</p>
-
-<p>
-— Questo sarebbe il suo diritto?
-</p>
-
-<p>
-— Forse sì e forse no....
-</p>
-
-<p>
-— Bene. Arrivederci, signor parroco.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Dove vai?
-</p>
-
-<p>
-— Alla vigna.
-</p>
-
-<p>
-— A quest’ora bruciata?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-Si separarono.
-</p>
-
-<p>
-Ora Calandra ci vedeva chiaro. Nel mondo
-della sua angusta coscienza si erano venute
-formando una convinzione e una risoluzione;
-le parole del parroco avevano diradate le gravi
-nebbie. Calandra sapeva la propria strada. Era
-disposto ad agire perchè riteneva che tale
-fosse il suo còmpito e nessun altro; ma, nel
-cuor suo piccolo di bove dai placidi sensi,
-non era turbamento di sorta. La passione, la
-gelosia, l’offesa dignità di marito trascurato
-fino all’ultimo limite non avevan parola che lo
-commuovesse. Egli avrebbe, con tranquillità in
-nulla diversa, fermato un bue tragiogante o un
-gagliardo ladro nella sua florida vigna. Non che
-l’Amalia fosse una vigna per lui, anzi non era
-ormai che una maggiatica, una terra in riposo,
-chè la sterilità di lei glie la faceva maledetta da
-Dio; ma capiva che l’Amalia era sua come la terra
-e l’aratro e la sua solida marra e il letame.
-</p>
-
-<p>
-Tagliò frattanto, da un querciolo, un suo
-solido randello e, quando fu presso la vigna,
-prese una via traversa e preferì aprire un varco
-nella siepe anzichè entrare dal cancelletto di
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-spine. Ogni cosa era immota nell’accasciante
-calura. Disseccate le fonti, inariditi i torrenti,
-la terra si distendeva intorpidita e riarsa fra
-lo stridere di un mare di cicale.
-</p>
-
-<p>
-Calandra proseguì carponi. Era sotto la siepe.
-Ora aguzzava i piccoli occhi di cane e stava su
-l’intesa se gli giungesse la voce degli adulteri. E
-se non c’erano? E s’egli avesse dovuto forzare la
-sua faticata siepe per nulla? Non si udivano che
-le cicale, quelle maledette cicale che pareva stridesser
-più forte tanto da coprire ogni altro suono.
-Scoprì finalmente, più presso la proda del fosso,
-un piccolo varco nella siepe, un varco aperto
-dai polli e dai cani, ma tanto piccolo che appena
-vi sarebbe passato un fanciullo. Calandra non
-vi badò; troppo gli sarebbe stato penoso dover
-aprire la siepe in un altro punto; si distese,
-infilò la testa nel vano, fece forza di braccia,
-puntò, cercò di inarcarsi, ma le spine gli entravan
-per le carni e lo facevan dolorare. Poi,
-appena era passato con una spalla, e il braccio
-gli sanguinava, che una gallina si levò dal suo
-caldo nido fra la terra e urlando e schiamazzando
-e traendo dal suo beccaccio giallo i più
-acuti strilli che mai fossero usati, fuggì come
-una freccia tra i filari delle viti. E lo spavento
-di quella mosse lo spavento di tutte le galline
-che dirazzolavano per la vigna, tanto che, nel
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-batter di un ciglio, fu tale e tanto il frastuono
-che non solo gli adulteri ne sarebbero venuti
-in sospetto, ma qualsiasi altra creatura che non
-avesse ragioni a timore.
-</p>
-
-<p>
-Calandra rimase inchiodato alla terra, imprecando,
-in cuor suo, a tutti i volatili immaginabili,
-e vedeva, di tra i fusti delle viti, il suo
-capanno di paglia rilucer nel sole. Vedeva e
-attendeva un attimo di calma per riprendere
-l’aspra sua lotta con la siepe che lo teneva
-prigione, quand’ecco dischiudersi l’usciuolo del
-capanno e uscirne Martin della Fratta.
-</p>
-
-<p>
-Calandra rimase impietrito; guardava come
-se vedesse l’inverosimile. L’uomo si volgeva
-intorno, chinandosi poi a mormorar qualcosa
-a chi era tuttavia fra la paglia. Dopo un istante
-ecco balzar fuori dal covo l’Amalia, scomposta,
-scarmigliata, accesa come il ferro su l’ancudine.
-Ridevano, si baciavano. Poi Martino diceva:
-</p>
-
-<p>
-— Hai sete, bellona?
-</p>
-
-<p>
-E l’Amalia a ridere fin che Martino non si
-chinava a vendemmiare i suoi bei grappoli, i
-suoi bei grappoli conti e adorati come l’immagine
-della Vergine e come quella del re, su le
-monete d’oro.
-</p>
-
-<p>
-Allora Calandra si smagò. Più valeva un
-chiccolo della sua vigna anzichè tutte le donne
-della terra; ed era come se gli strappassero
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-il cuore il veder lo scempio che ne facevano
-quei cani. La violenza che non lo aveva tuttavia
-scombuiato, si levò su, di scatto, dall’anima di
-lui, squassando le sue fiamme rossigne; egli
-ne sentì l’impeto, la furia, l’imperiosa volontà
-e incominciò a urlare e a dibattersi a rovina
-entro la sua morsa lacerante. Gli adulteri sbiancarono,
-si guardarono smarriti, riconobbero la
-voce di Calandra. E, nell’attimo della sorpresa,
-temendo ch’egli fosse su di loro a stroncarli,
-non pensarono a fuggire. Lo sbalordimento
-dell’inatteso li inebetiva, ma poco durò tale
-sbalordimento, chè Martin della Fratta, vedendo
-Calandra alle prese con la siepe impervia,
-gridò all’Amalia:
-</p>
-
-<p>
-— Guardalo dov’è!...
-</p>
-
-<p>
-E mai non furon presti due cerbiatti a fuggir
-per le selve come essi si salvarono, balenando
-via a guisa di razzi. E si udì nel contempo un
-alto crescere di grida e di risa come di gente
-che facesse l’abbaiata.
-</p>
-
-<p>
-Calandra balzò in piedi alla fine e fra il
-sangue e il terrame e l’obliquo color del suo
-volto era orrendo a vedersi. I suoi piccoli occhi
-di cane sfavillavano sinistri fra i capelli che
-gli coprivan la fronte e l’ispida barba nascente.
-Si levò nella sua massa bestiale, tutto lacero
-nei panni, e raccolse il randello e si lanciò per
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-la vigna. Non vide, nella sua furia, un filo teso
-a reggere le viti e sì malamente vi incappò
-da andar ruzzoloni.
-</p>
-
-<p>
-Allora l’abbaiata crebbe, le voci si avvicinarono,
-la gente aveva invaso la vigna. Non si
-udiva più che un gridìo intermesso da risate
-omeriche. Da dove sbucava la masnada? Chi l’aveva
-spinta fin laggiù, nella sua terra benedetta?...
-</p>
-
-<p>
-Calandra si rizzò e più non aveva l’aspetto
-d’uomo; era anzi una bestia orrenda da esserne
-guardinghi. Ma l’abbaiata non cedeva; ma gli
-uomini e i fanciulli e le donne non volevano
-rinunciare alla loro barbara gioia e venivano innanzi
-per la vigna gridando, ridendo.
-</p>
-
-<p>
-Calandra li squadrò senza smuoversi.
-</p>
-
-<p>
-Era primo lo Scancio e batteva un sasso
-sopra una sua pentolaccia di rame traendone
-un suono stridulo ed assordante; lo seguivano
-altri uomini e fanciulli, con arnesi simili. Calandra
-pareva impietrito e lo Scancio non vide
-la sua faccia perchè proseguì fino a fermarsi
-a un passo da lui e quando fu fermo fe’ cenno
-a tutti che tacessero e levò la voce e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Calandrone, li hai trovati gli storni?...
-</p>
-
-<p>
-Si levò una risata grande, ma i fanciulli videro
-torcersi la faccia di Calandra, videro serrarsi
-le due mascelle quadrate e gli occhi brillare
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-di fuoco e le grandi mani terrose stringersi
-e il randello levarsi e piombare giù diritto,
-con la forza del toro, su la testa dello Scancio.
-</p>
-
-<p>
-Fu per l’aria un solo urlo acutissimo. Un
-getto di sangue si levò nel sole.
-</p>
-
-<p>
-Lo Scancio stralunò, la testa squarciata, girò
-su sè stesso, strapiombò, finito.
-</p>
-
-<p>
-E le facce degli uomini divennero di morte
-e non si udì più un fiato, di fronte al colosso
-stravolto, ma solo un busso di passi precipiti,
-una travolgente fuga.
-</p>
-
-<p>
-Un’ora dopo, quando don Beniamino andò
-alla vigna e primo accostò Calandra e gli domandò
-smarrito:
-</p>
-
-<p>
-— Calandra.... Calandra, che cosa hai fatto?
-</p>
-
-<p>
-Questi si volse a guardarlo, torse la bocca
-e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Prete, ne avevo il diritto!...
-</p>
-
-<p>
-Ed altro più non disse nè allora nè poi.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span></p>
-
-<h2 id="padre">PADRE SERENITÀ.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Una casetta fra le “larghe„ e Padre Serenità
-su la soglia.
-</p>
-
-<p>
-Lo vedevo ogni sera allorchè m’imbattevo a
-passare per quelle redole verso un’aia festosa
-di gramolatrici. Avevo sedici anni in quel tempo
-e Padre Serenità ne aveva novanta.
-</p>
-
-<p>
-Era l’autunno. Un autunno della mia vita, sereno
-più che un cielo appena commosso da
-qualche cirro imbevuto di sole, piccolo come
-la perla. L’amore, il gaio amore, era disceso
-al mattino nell’anima mia pensosa con le allodole
-e l’aria, rimovendo la mia sostanza fino
-alle più riposte fibre in una immaginosa dolcezza.
-E tutto era vergine innanzi a me come
-l’anima mia al mondo; ed ogni limite insuperato
-era una promessa di gioia.
-</p>
-
-<p>
-Avevo sedici anni e l’amore.
-</p>
-
-<p>
-Quali e quante cose mi erano innanzi allora
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-chè io non godessi? E così andavo con la mia
-benedetta allegrezza come per una eternità.
-</p>
-
-<p>
-La terra non aveva orme, il mondo non era
-stato mai veduto. Io ero il primo. Con me erano
-nate le fonti, gli alberi, le stagioni, i costumi
-degli uomini, la vita. Non sapevo nulla, sentivo;
-ma con impeto divino. Solo ch’io mi rivolga
-e sogguardi, ora che ho passato i limiti
-e hanno nevicato i capelli, rinasce dalla visione
-precisa, un identico commovimento che gli anni
-non hanno seppellito ed il tempo non ha tramutato;
-nulla è pianto o rimpianto, o desolazione
-che, se la porta lontana si dischiude, ne
-ritorna la mia giovinezza col suo gran fascio
-di fiori e mi s’abbranca.
-</p>
-
-<p>
-Rivedo la viottola insolcata dai plaustri, coi
-due margini erbosi sotto le selvagge siepi di
-marruche e di prugnoli; la terra olivigna, le
-pediche fonde dei bovi. Un ombreggio di roveri
-solenni, qualche varco sui campi, ma rado,
-e scarsi tuguri col nero forno e la disselciata
-“capanna„.
-</p>
-
-<p>
-Quando pioveva era tutto un pantano. Si
-giungeva alla viottola passando dalla chiesuola
-di San Bartolo e dalla casa dei Giuliani, per la
-bianca strada che conduce a Durazzano. Passata
-la casa dei Giuliani si volgeva a destra
-per un piccolo ponte e si era nel regno antico
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-che ricordava le campagne medioevali, senza
-strade, percorse unicamente da fonde viottole,
-impraticabili al tempo delle piogge. In breve
-ogni altra vita era lontana. E gli uomini che
-si incontravano per quei silenzi pareva giungessero
-da un tempo remoto. Era raro udirvi
-il lento disperdersi di un cantare malinconico;
-più spesso si udivan le allodole e le rondini.
-Voci del cielo. Ed uno camminava fra i prugnoli,
-coi loro piccoli frutti violastri, come se
-andasse per la strada del sogno verso un paese
-insospettato. Talvolta trascorreva, rasentando
-le siepi, un cane giallo, sudicio e irsuto; tal’altra
-un fanciullo selvatico che atterrava la faccia
-aggrottata per non parlare e si fermava a guardarvi
-da lontano; ma più spesso nessuno. E
-dalla viottola serrata si sbucava nella chiara vastità
-delle “larghe„ di Castellaccio. Un mare di
-lupinelle con isole di pioppi e dense rive di alberi
-intorno; il paradiso delle allodole e delle lepri.
-</p>
-
-<p>
-E nel cuore di tale vastità viveva Nicolao di
-Zaccaria, il vecchio novantenne ch’io chiamavo
-per amore Padre Serenità.
-</p>
-
-<p>
-La sua casipola si acquattava fra tanto spazio,
-come a radicarsi alla terra più tenacemente e aveva
-al centro un “portico„ disselciato sul quale
-si aprivano due basse stanze. Anche aveva una
-vite, a solatio, e un pozzo ombreggiato da un fico.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-</p>
-
-<p>
-Quando dietro i colli della sera scendeva
-l’ultima luce a languire lontana, col sorriso della
-stella che accora, e le vergini e le innamorate
-uscivano per le aie e si fermavano alle siepi
-ad ascoltare una parola sommessa; quando le
-bocche si facevan baciare per nostalgia dell’amore,
-al suono di un’“Ave„ mi avviavo pei
-campi, solo con la mia felicità. E, via per i
-primi silenzi, trascorreva l’impeto di una “battolata„<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>
-da un’aia nel vespero. Era lo scroscio
-di venti gramole in ben misurata cadenza, il
-richiamo ardito agli sperduti; poi che vespero
-campeggiava fra i pioppi e dietro le rosse vigne.
-</p>
-
-<p>
-<i>Ecco ch’io t’amo e ti offro l’ombra e la bocca
-e il mio palpito di moritura, poi che è più bello
-morire che non esser amata</i>....
-</p>
-
-<p>
-Una pausa.
-</p>
-
-<p>
-<i>E il giorno di San Giovanni, amore, il giorno
-di San Giovanni quanto spicanardo raccolsi</i>....
-</p>
-
-<p>
-Il volto del cielo smoriva come la faccia dell’innamorata.
-</p>
-
-<p>
-<i>Sorelle, sorelle!... La bella estate ci vuole e il
-vomere fende la terra</i>....
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-</p>
-
-<p>
-<i>Cogliamo lo spigo; non pel granaio, ma per
-l’arche; per l’arche e le lenzuola e che l’amore
-si sogni di dormirci a lato</i>....
-</p>
-
-<p>
-<i>Canto a morire, che m’oda.... passan tre nuvole,
-in alto, fra le montagne e la luna</i>....
-</p>
-
-<p>
-La veste del silenzio si era fatta più verde.
-Nascevan di me le canzoni, i frammenti, il commovimento
-che cingeva la vita in un’impetuosa
-serenità.
-</p>
-
-<p>
-<i>Ecco ch’io t’amo e t’offro l’ombra e la bocca</i>....
-</p>
-
-<p>
-E la “battolata„, sorta da qualcuna fra le
-isole di pioppi, sparse per la “larga„, moriva
-nel silenzio della sera.
-</p>
-
-<p>
-Compivo la strada senza addarmene, come
-la nube e il vento e l’acqua soffusa di cielo,
-senza nozione del tempo e del suo rapido trascorrere,
-chè la mia vita era tutta avvenire e
-non lasciavo ombra dietro le spalle.
-</p>
-
-<p>
-La voce di Nicolao mi coglieva sempre alla
-sprovvista.
-</p>
-
-<p>
-— Si va a “gramadora„?
-</p>
-
-<p>
-Volgevo gli occhi. Il vecchio era sulla soglia,
-incontro alle montagne della sera.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, Nicolao!
-</p>
-
-<p>
-— Padrone, buonasera.
-</p>
-
-<p>
-— Buonasera.
-</p>
-
-<p>
-Accendeva la pipa chioggiotta. E pronosticava
-il sereno, la pioggia o la nebbia, leggendo
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-nello spazio ciò che sfuggiva ad ogni
-altro.
-</p>
-
-<p>
-La sua parola era franca, i suoi occhi limpidi,
-la grande vecchiezza non gli annebbiava
-la mente.
-</p>
-
-<p>
-Ho del mio amore e di questo vecchio la
-più chiara memoria.
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-Socchiudeva la porta.
-</p>
-
-<p>
-— Venite, nonno?
-</p>
-
-<p>
-— Vengo.
-</p>
-
-<p>
-— Non serrate l’uscio?
-</p>
-
-<p>
-Alzava le spalle.
-</p>
-
-<p>
-— Chi volete che rubi ad un povero vecchio?
-I miei quattro stracci non fanno gola a nessuno.
-</p>
-
-<p>
-— E se passa una “brutta faccia„?
-</p>
-
-<p>
-— Per queste maggiatiche?... In tutta la mia
-vita non c’è capitato che un bandito, una volta,
-al tempo del Papa.
-</p>
-
-<p>
-S’andava insieme di pari passo e su la soglia
-della piccola casa acquattata fra le larghe non
-restava che il cane accucciato: il muso fra le
-zampe e gli occhi aperti. Padre Serenità amava
-la compagnia dei giovani. All’opposto dei suoi
-coetanei, inciprigniti in una malinconica stanchezza,
-egli cercava i ritrovi, sedeva alle feste
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-dei giovani e vegliava fino all’ora sua proverbiale,
-l’ora di Nicolao, come la chiamavano le
-genti: le dieci. Quando eran le dieci di notte
-riprendeva la sua mazza ferrata, la “capparella„
-se era d’inverno o la cacciatora di bordatino
-se d’estate e, girati intorno i suoi piccoli
-occhi celesti, dolcemente gai fra i solchi della
-sua faccia antica, lanciava il consueto augurio:
-</p>
-
-<p>
-— Vi saluto, gente!
-</p>
-
-<p>
-E allora, o fosser guidate le danze sul ritmo
-di un valzer di Zaclên o fosse sviata la comitiva
-dietro un rifacimento delle istorie cavalleresche,
-tutti ristavano e si rivolgevano al
-vecchietto ad augurargli la buona andata.
-</p>
-
-<p>
-Ancora amava motteggiare e stare alla baia,
-sollecito alla risposta come al frizzo salace,
-pronto all’aneddoto, spedito di lingua, tranquillo,
-senza fiele per nessuno.
-</p>
-
-<p>
-Le ragazze gli si sedevano intorno; egli le
-chiamava figliuole, le mie figliuole: e veramente
-se fosse occorso ch’egli avesse avuta necessità
-dell’opera loro, non una, ma tutte, tutte
-quante gli sarebbero state intorno perchè la
-bontà non è vana fra i semplici di cuore. Nonno
-Nicola si faceva amare. Tutta la sua vita gli
-era a specchio di chiarezza. Povero, combattuto
-dalla disgrazia, i figliuoli lontani ed immemori,
-egli non si era invelenito. Il suo dolce
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-cuore era il centro del mondo e non vi dimorava
-nè amarezza nè sdegno. Egli doveva amare:
-era la sua necessità e la sua gioia; amare, sorridere,
-veder negli uomini il sereno che aveva
-in sè, e in realtà dove appariva era come se una
-mite lampada ardesse a raccogliere gli sperduti.
-</p>
-
-<p>
-E non lo chiamavano Santo perchè era vicino
-a tutti, era un po’ il cuore di tutti, la simpatia
-umana che non traligna ma sempre si
-rinnova concedendo, perdonando, solo per
-amare. E gli uomini angustiati fra spine e triboli,
-col cuore gravato dalla semitica maledizione,
-gli si stringevano intorno ebbri della
-sua dolcezza perchè non si semina invano tra
-chi soffre e lavora.
-</p>
-
-<p>
-Io so che se egli avesse voluto essere qualcosa
-più e non un umile fra gli umili; se il
-Dio che aveva nel cuore lo avesse guidato a
-parlare con la stessa ingenua freschezza con
-la quale narrava dei fatti della sua vita e dell’altrui,
-avrebbe avuto con sè le turbe. Prima
-le donne ed i fanciulli, gli uomini poi; gli uomini
-chè se bestemmiano il giorno, la notte si impaurano
-e, su cento, uno forse e non più d’uno
-non sente ribrezzo del transito senza speranza.
-</p>
-
-<p>
-Ma nonno Nicola, se pur lasciava intravedere
-la sua fede, ferma come la stella incatenata in
-capo all’Orsa, non parlava di Dio come non si
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-parla del fiore che vi cresce nell’orto e del pensiero
-che vi illumina la vita, perchè il dirne sarebbe
-un corromperne il segreto incantesimo e la
-parola è spessa innanzi alle chiarità dello spirito.
-</p>
-
-<p>
-Bene; io so che i suoi novant’anni valevano
-la più ricca primavera.
-</p>
-
-<p>
-Si andava dunque ogni sera, in quell’autunno
-della mia giovinezza, a cercar le aie dove le
-festose ragazze cantavano le romanelle e, curve
-sulle gramole, dipinte a rose rosse e turchine,
-ripulivano i lisci mannelli dagli ultimi canapuli.
-Era prescelta l’aia dei Giuli. Ivi sotto un olmo
-gigantesco, fra una siepe e i pagliai erano adunate
-le gramole in semicerchio e, a notte, una
-lampada appesa ad un ramo per una funicella,
-blandiva col suo discreto chiarore la tenebra.
-Se pure la rotonda luna non si affacciasse da
-sopra la casa a spiare l’adunata. Di prima sera,
-compìta la cena sul pugno, essendo le ragazze
-alle gramole, sbucavano gli innamorati o dai
-varchi delle siepi, o dall’entrata dell’aia e qualcuno,
-più protervo, portava la doppietta a bandoliera
-mentre tutti quanti avevano cura di nascondere
-la faccia sotto le ampie tese del cappello.
-</p>
-
-<p>
-C’era chi lanciava l’augurio serale all’adunata
-e chi, approfittando del frastuono, scivolava
-nell’ombra inavvertito e sedeva silenzioso, come
-gli altri, sulla capra della gramola prescelta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ora eravamo una sera più numerosi che mai
-e più numerose erano le “doppiette„ e c’era
-Giovanni dei Bissi che raccontava la storia di
-un suo singolare paladino, quando la Moffa (la
-Pallida), una ragazzona sgraziata dalla testa
-troppo piccola su due spalle da gigante, si fece
-in mezzo all’adunata e susurrò intimorita:
-</p>
-
-<p>
-— Ragazzi, c’è il Mancino!...
-</p>
-
-<p>
-E l’adunata ammutolì. Tutti ci guardammo
-intorno e per qualche istante non si udì che
-il biolco il quale canticchiava nella stalla. Poi
-qualcuno domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Dove l’hai visto?
-</p>
-
-<p>
-E la Moffa:
-</p>
-
-<p>
-— Dietro la siepe. Eccolo!...
-</p>
-
-<p>
-Come fosse riuscita a distinguere nella notte
-la figura del Mancino e come l’avesse riconosciuta,
-nessuno seppe perchè le siepi erano
-lontane dal punto nel quale ci trovavamo e la
-notte era oscura. Sta di fatto che poi ch’ella
-ebbe detto: — Eccolo!... — un uomo entrò
-nell’aia e si avvicinò.
-</p>
-
-<p>
-Solo lo riconoscemmo quando, giunto a tre
-passi da noi, si fermò e ci chiese: — Perchè
-state zitti? — poi, senza che nessuno gli badasse,
-tirò di lungo e andò a sedersi sulla gramola
-della Pallida. Seduto che fu, depose la
-doppietta fra i ginocchi, accese la pipa e si
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-volse a parlare tranquillamente alla ragazza,
-la quale, tanto era stordita, che gramolava a
-vuoto senza il mannello di tiglia. L’allegria se
-ne andò. Giovanni dei Bissi lasciò la sua storia
-a mezzo, furono scambiate parole rade e sommesse.
-</p>
-
-<p>
-Un inespresso disagio si era impadronito di
-ciascuno di noi e l’unico che pareva non accorgersi
-di questo era il Mancino. Si udiva il
-susurrìo della sua parlata tranquilla. La Moffa
-lo ascoltava senza rispondergli mai. E così trascorse
-un’ora senza che la comitiva si orientasse
-ad una gaiezza nuova.
-</p>
-
-<p>
-Da sopra alla casa salì nello spazio la
-luna.
-</p>
-
-<p>
-Si udì lo schianto di due schioppettate lontane;
-dopo un silenzio se ne udì una terza,
-poi altre due più rapide. Anche il sommesso
-parlare si quetò e dapprima fu un cane che
-latrò sordamente da un’aia remota, poi furono
-dieci e venti tutt’intorno dall’immensa campagna
-assorta fra il silenzio e la luna. Qualcuno disse: — È
-stato all’aia dei Forlani. Hanno le gramolatrici.
-Lo zoppo si è vendicato della Gilda di
-Bartolo.
-</p>
-
-<p>
-— Ma se avevano rifatto pace!
-</p>
-
-<p>
-— No!
-</p>
-
-<p>
-Altri due colpi rintronarono nella notte.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sentite?... — disse la Bionda del Mago. — Le
-“fa le corna!„.<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a>
-</p>
-
-<p>
-Dopo una pausa si udì una terza schioppettata.
-</p>
-
-<p>
-— Gliele han “guastate„! — disse la Vignaiuola.
-</p>
-
-<p>
-Ma a questo punto il Mancino si levò di scatto
-dalla gramola e si udì lo schiocco di due solidi
-schiaffi e una sola parola li consacrò, schietta
-e violenta.
-</p>
-
-<p>
-La Moffa rimase impietrita. Guardò il Mancino,
-lasciò cadere il manico della gramola;
-ma in quel che l’uomo si rivolgeva, come se
-la voce di lei insieme alla sua conoscenza si
-ridestasse solo allora, urlò a voce strangolata:
-</p>
-
-<p>
-— Sei un vigliacco!
-</p>
-
-<p>
-Il Mancino levò un braccio, ma questa volta
-la ragazza gliel’afferrò attanagliandolo con le
-piatte mani robuste.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-</p>
-
-<p>
-Rimasero di fronte a guatarsi. Nessuno intervenne,
-ma tutti ci levammo, l’un dopo l’altro.
-Di repente il Mancino tentò liberarsi con uno
-strattone violento. La gramola si rovesciò.
-</p>
-
-<p>
-— Lasciami andare!
-</p>
-
-<p>
-E la ragazza, alta, noccoluta, dal corpo di
-maschio saldamente piantato sulle ignude piote,
-non aprì bocca.
-</p>
-
-<p>
-— Lasciami andare!... — La voce del bandito
-cresceva inasprendosi, come l’ira sua; ma
-la gramolatrice non battè ciglio; aveva il viso
-fra l’ebete e il feroce, fermissimo, senza commovimento.
-</p>
-
-<p>
-L’attanagliato tentò un secondo, un terzo
-scrollone; non si liberò; allora con la mancina,
-che aveva libera, brandì la doppietta per le
-canne come una clava, l’alzò, mirò al capo della
-taciturna e scagliò il colpo.
-</p>
-
-<p>
-Ancóra mi si gela il sangue se ripenso allo
-strido delle donne. La cassa dello schioppo
-sfiorò la Moffa, ma non la colpì. Ci stringemmo
-attorno al Mancino. Robbone gli strappò la doppietta.
-Il biolco giunse con la corda de’ buoi;
-ma il Mancino era libero.
-</p>
-
-<p>
-Come si vide circondato non rifiatò. Parve
-rassegnato a lasciarsi prendere, ma quando gli
-uomini più fecero a fidanza nella sua debolezza,
-egli ne approfittò che, di un subito, con un
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-lancio prodigioso, saltò la gramola, rovesciò il
-Rossello e lo Svina che gli stavano innanzi e
-fu al fianco dei pagliai. Ciò avvenne nel tempo
-di dir Ave.
-</p>
-
-<p>
-Come fu ai pagliai si rivolse e ci guatò ghignando.
-Disse:
-</p>
-
-<p>
-— Ragazzi, datemi il mio schioppo!
-</p>
-
-<p>
-— Daglielo — mormorarono i più prudenti.
-</p>
-
-<p>
-Robbone si fece innanzi e glie lo tese. Disse:
-</p>
-
-<p>
-— Va per la tua strada!
-</p>
-
-<p>
-Ma il Mancino gli gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Scànsati! — E portatasi la doppietta alla
-spalla puntò la Moffa.
-</p>
-
-<p>
-Fu un baleno ed un grido. Vedemmo la Moffa
-inarcarsi su la sua gramola e stramazzare.
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-Una sera eravamo su l’aia, incontro alle
-“larghe„. Già volgeva al suo fine il novembre,
-ma non era giunto tuttavia il freddo. Da poco
-era trascorso Giovanni dei Bissi con le panie
-e le gabbie dei richiami. S’era fermo a dir
-qualche parola dileguando poi fra le pozzanghere
-della viottola motosa.
-</p>
-
-<p>
-Passavano dei buoi lontanamente verso una
-stalla remota e una sola allodola discendeva
-cantando dal cielo al suo rifugio fra le lupinelle.
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-Padre Serenità sedeva sopra un vecchio
-aratro arrovesciato. E si taceva. Quand’ecco
-che, alzando gli occhi, vidi qualcuno che si era
-fermo dietro la siepe e ci guardava; ma in
-quel che feci per levarmi, l’uomo si diresse
-all’entrata dell’aia e fu di fronte a noi.
-</p>
-
-<p>
-Aveva il cappello tirato su gli occhi. Non lo
-riconoscemmo.
-</p>
-
-<p>
-Era scalzo; aveva un sacco gettato sulle spalle,
-lo schioppo e un coltello alla cintura.
-</p>
-
-<p>
-Padre Serenità si levò a sua volta.
-</p>
-
-<p>
-— Che volete? — domandò.
-</p>
-
-<p>
-— Da dormire — rispose l’uomo.
-</p>
-
-<p>
-— Non ho posto.
-</p>
-
-<p>
-— Mettetemi nella stalla; mi basta un po’
-di paglia.
-</p>
-
-<p>
-Padre Serenità gli si fece sotto, lo guardò
-fisso e domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Sei tu, Mancino?
-</p>
-
-<p>
-— Sono io.
-</p>
-
-<p>
-— Be’, vieni avanti.
-</p>
-
-<p>
-Lo condusse nella stalla. Dalla morte della
-Moffa, il Mancino si era dato bandito e nessuno
-più l’aveva veduto nei dintorni. Si credeva
-fosse fuggito in America. Ogni ricerca
-era stata vana.
-</p>
-
-<p>
-Li seguii in casa. Nicolao richiuse la porta
-e tirò il catenaccio. Mi disse:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Accendi il lume.
-</p>
-
-<p>
-Il Mancino gettò il sacco in un angolo, ma
-non si separò dallo schioppo. Sedette sulla
-panca innanzi alla tavola. Era torvo e taceva.
-</p>
-
-<p>
-— Avrai fame! — fece Padre Serenità.
-</p>
-
-<p>
-— Sì — rispose il Mancino.
-</p>
-
-<p>
-Poco dopo mangiava avidamente senza levar
-gli occhi.
-</p>
-
-<p>
-Padre Serenità non gli chiese nulla di nulla,
-nè io interloquii. Dopo ch’ebbe mangiato, lo
-conducemmo nella stalla, dove si gettò su una
-lettiera di paglia e si addormentò quasi subito
-col suo schioppo al fianco.
-</p>
-
-<p>
-Quando richiudemmo la porta, Padre Serenità
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— Se è tornato è segno che soffre!
-</p>
-
-<p>
-E per quella sera ci lasciammo senza aggiunger
-parola.
-</p>
-
-<p>
-Nicolao sapeva ch’io conoscevo come lui la
-sacra legge dell’ospitalità e che il Mancino doveva
-esserci sacro per quella notte perchè era
-venuto a domandarci la pace nel nostro rifugio.
-</p>
-
-<p>
-Salii alla mia stanza, che era presso alla colombaia.
-Nei mesi di caccia, per esser più pronto
-a trovarmi sui luoghi, dormivo nella casa di
-Nicolao, che era sola fra le “larghe„. Lasciai
-la finestra aperta per destarmi non appena la
-luna avesse raggiunto il colmo del cielo e mi
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-coricai tranquillo come sempre, senza bisogno
-di cercare il sonno.
-</p>
-
-<p>
-Ora, era forse a mezzo la notte, quando mi
-destai per un brusco rumore. Qualcuno aveva
-aperta la porta della mia stanza. Stetti in ascolto
-e mi sentii chiamare. Era Nicolao.
-</p>
-
-<p>
-— Che volete, nonno?
-</p>
-
-<p>
-— Discendi.
-</p>
-
-<p>
-Fui pronto, chè dormivo vestito. Quando
-fummo sulle scale, mi disse:
-</p>
-
-<p>
-— Il Mancino se ne è andato!
-</p>
-
-<p>
-— Lo immaginavo! — risposi.
-</p>
-
-<p>
-— Sì.... ma si è portato via il vitello!
-</p>
-
-<p>
-— L’avete veduto?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— Quando?
-</p>
-
-<p>
-— Poco fa.
-</p>
-
-<p>
-— Ed ora?... volete che lo rincorriamo con
-lo schioppo?
-</p>
-
-<p>
-— No.
-</p>
-
-<p>
-— E allora?
-</p>
-
-<p>
-— Tornerà indietro. Lo aspetteremo sulla
-strada. Vieni.
-</p>
-
-<p>
-Guardai il mio vecchio amico senza capir
-nulla. Conoscevo la sua imperturbabile serenità
-e la sua buona fede, ma non immaginavo ch’egli
-pensasse di vincere il ladro con tali virtù.
-</p>
-
-<p>
-Uscimmo che c’era la luna. Era un fantastico
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-mondo assopito in una fredda immobilità fosforea;
-e le rame già erano dispoglie. Si vedevano,
-sulla terra umida, le pediche recenti
-del Mancino e del vitello. Nicolao osservò e
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— Sono andati verso il fosso; sono discesi
-nel fosso.
-</p>
-
-<p>
-Poi uscimmo dall’aia vegliando in silenzio. E
-si udivano a quando a quando trasvolare gli
-stormi dei germani e delle grù e, nel cielo perlaceo,
-non era che il grido degli esuli stormi.
-</p>
-
-<p>
-Passarono due, tre ore e il ladro non riapparve.
-Nicolao non parlava.
-</p>
-
-<p>
-Quando fu l’alba ed egli cominciò a ricredersi
-e gli doleva di avermi tenuto per tanto
-tempo fermo al freddo della notte per una sua
-ingenuità, mi disse:
-</p>
-
-<p>
-— Figliuolo, mi sono sbagliato; ma non lo
-credevo capace di tanto!...
-</p>
-
-<p>
-Non gli risposi e non sorrisi. Partii tranquillamente
-per la mia caccia.
-</p>
-
-<p>
-— Vi aspetto a mezzogiorno! — disse Nicolao.
-</p>
-
-<p>
-— A mezzogiorno! — dissi.
-</p>
-
-<p>
-E me ne andai.
-</p>
-
-<p>
-Alla sera eravamo ancóra seduti sull’aratro,
-innanzi al cielo che sbiancava e non parlavamo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ad un tratto vedo Nicolao levarsi di scatto
-e dirigersi all’uscita dell’aia. Lo seguii. Il Mancino
-ci stava di fronte, diritto in mezzo alla
-viottola. Stemmo muti qualche secondo, poi
-Nicolao domandò, e la voce sua era inalterata:
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa hai fatto, Mancino?...
-</p>
-
-<p>
-L’uomo sinistro non rispose.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè sei ritornato?
-</p>
-
-<p>
-Un silenzio uguale.
-</p>
-
-<p>
-— Ti hanno scoperto?
-</p>
-
-<p>
-— No! — rispose il Mancino.
-</p>
-
-<p>
-— Allora che cosa vuoi?
-</p>
-
-<p>
-Ricordo la rude frase dialettale che proruppe
-violentissima come un singulto:
-</p>
-
-<p>
-— <i>A so’ un vigliàcc!... Amázam!</i>... (Sono un
-vile!... Ammazzami!...)
-</p>
-
-<p>
-Padre Serenità levò la mano scarna e rispose:
-</p>
-
-<p>
-— <i>Va par la tu stre e che e’ Signor u t’aiuda!</i>...
-(Va per la tua strada e il Signore
-t’aiuti!...)
-</p>
-
-<p>
-Il Mancino guardò il vecchio, poi si volse
-senza far parola, saltò un fosso e scomparve.
-</p>
-
-<p>
-Padre Serenità aveva gettato la sua sementa,
-ma la biancana non dà frutto e non passaron
-due lune che il Mancino fu disteso da una
-schioppettata, sulla soglia di una stalla, da chi
-non vedeva gli uomini e il mondo con i chiari
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-occhi di Nicolao. Ma Nicolao era un mondo a
-sè con la sua dolcezza; era un piccolo astro
-nell’immensità, col suo chiarore.
-</p>
-
-<p>
-Ne ho novellato per amore e non per dilettare,
-secondo una legge stabilita. Vi è sempre
-qualcuno che ha cuore bastante per intendere.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span></p>
-
-<h2 id="eremita">L’EREMITA.</h2>
-</div>
-
-<p>
-C'era una volta una baracca sbilenca innalzata
-vicino ad una spiaggia da un uomo errabondo
-in cerca di fortuna. Oltre tale baracca,
-per chilometri e chilometri intorno, non sorgeva
-altro rifugio.
-</p>
-
-<p>
-L’uomo errabondo aveva ben fondate le
-sue speranze. Si era detto:
-</p>
-
-<p>
-— C’è una strada che conduce al mare, e
-questa strada finisce fra le sabbie e non c’è
-altro. La gente vi passa coi carri e coi barrocci
-quando fa l’estate. Se io faccio il mio nido
-dove finisce la strada e incomincia il mare, la
-gente verrà da me ed io ne guadagnerò!
-</p>
-
-<p>
-E le cose si svolsero come l’uomo errabondo
-aveva preveduto.
-</p>
-
-<p>
-Codest’uomo si chiamava Palma, era solo,
-ed aveva sulla coscienza una interminabile serie
-di furti e qualche delitto. Per venti anni
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-aveva meditato nelle patrie galere; a cinquanta
-anni ritornava fra gli uomini.
-</p>
-
-<p>
-Bisogna dire che Palma non aveva un soldo
-quando arrivò sul luogo destinatogli dal caso;
-aveva bensì qualche idea. Fra queste, una brillava
-che gli parve buona e se ne assicurò meditandola.
-Ma come porla ad effetto? Per far
-nascere un’ombra sotto il sole occorreva dire
-agli uomini ben baffuti: — Dammi questo che
-ti darò questo! — Ed egli che poteva dare?
-Il suo lavoro; ma a quale pro, data l’idea che
-meditava? Allora s’incamminò lungo la spiaggia
-deserta e cammina e cammina.... ecco che
-vede, abbandonata fra sabbia e mare, mezzo
-sepolta, quasi sfasciata, la carena di un vascello.
-Un cadavere. Ma anche i cadaveri valgono
-qualcosa pei corvi e Palma non era che
-un corvo. Si avvicinò, considerò il carcame e
-disse: — Sì! — Poi soggiunse: — Farò da
-solo!... — Ma per cominciare gli occorreva almeno
-una vanga e non l’aveva. La rubò e fu
-l’ultimo furto ch’egli commise al di fuori della
-legge. Poi per tre giorni e per tre notti scavò,
-si affannò e riuscì a trarre la carena sotto la
-luce del sole. Era meno peggio di quel che
-non avesse pensato. Ma da quel punto incominciava
-la vera gravità del suo disegno.
-Come fare a trar quel carcame al punto che
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-egli aveva prescelto? Occorrevano per lo meno
-due paia di buoi. Dove trovarle? Allora assottigliò
-l’ingegno e pensò: ormai egli possedeva
-qualcosa e poteva essere creduto. Egli aveva
-creato un’ombra sulla terra; da quella qualsiasi
-ombra doveva nascere il credito. E il
-credito nacque. Un contadino si prestò. Palma
-gli disse:
-</p>
-
-<p>
-— Vi pagherò fra due mesi.
-</p>
-
-<p>
-Il contadino rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Mi pagherete quando vi farà comodo.
-</p>
-
-<p>
-Perfettamente. Allora Palma fece trasportare
-la nave al termine della strada che si apriva
-sul mare.
-</p>
-
-<p>
-— Che ne volete fare? — gli chiese il contadino.
-</p>
-
-<p>
-Palma rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Un’osteria!
-</p>
-
-<p>
-Il contadino lo guardò in tralice. Palma soggiunse:
-</p>
-
-<p>
-— Un’osteria ed è una bella pensata!
-</p>
-
-<p>
-— Ma come farete?
-</p>
-
-<p>
-— Datemi aiuto e vedrete.
-</p>
-
-<p>
-— Oh!... Ed io vi aiuto!
-</p>
-
-<p>
-Infatti l’aiutò. Ormai la Provvidenza si era
-incaricata della faccenda e Palma se ne accorse,
-ma non rifiatò. Perchè con la Provvidenza non
-si uccella. Essa non incappa nelle reti e nelle
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-panie degli uomini, anzi appare a coloro che
-non la invocano. Dunque Palma si ebbe un
-aiuto. Il contadino chiamò i suoi figli. Furono
-cinque uomini di buona volontà, data la qual
-cosa, la baracca alzò la sua gobba al cielo.
-Tolte le monche alberature e sgombrato l’interno
-del vascello dai rottami e dagli intoppi
-non rimase che la carena ignuda, malconcia
-qua e là e con una rispettabile falla sotto la
-prora. Palma non si occupò della cosa; capovolse
-la nave in un punto stabilito della spiaggia
-e domandò al contadino dieci lire in prestito.
-Il contadino glie le dette e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Mi dovete in tutto venticinque lire.
-</p>
-
-<p>
-— Ed io ve ne darò trenta! — rispose Palma.
-</p>
-
-<p>
-Ormai Palma aveva una casa e un capitale.
-Incominciò col comperare chiodi e martello.
-Assai ne aveva con tutti i rottami del vascello.
-Prima mangiò, chè non aveva mangiato da qualche
-tempo, poi si mise all’opera. E tappa, e
-inchioda, e rappezza, in due giorni la casa era
-fatta. Non più uno spiraglio. Nell’interno, buio
-perfetto.
-</p>
-
-<p>
-Ora si trattava di praticare una porta e una
-finestra e di innestare un camino sul dorso
-della novissima abitazione.
-</p>
-
-<p>
-Cosa semplice. Una sega servì per la prima
-bisogna; una vecchia grondaia funse da camino.
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-Dopodichè l’esterno era compiuto e Palma
-passò all’interno che divise in due parti. Da
-un lato la cantina che doveva servire anche
-da stanza da letto per l’oste; dall’altro la cucina.
-E basta. Il contadino gli venne in soccorso
-ancora per l’arredamento, finito il quale,
-Palma si dette all’opera artistica e presa una
-piccola tavola rettangolare e alcune vernici,
-dipinse su detta tavola la sua personale sensazione
-di una Sirena e con non meno personale
-ortografia vi scrisse sotto: — <i>Osteria della
-Sirena</i> — compìta la quale opera inchiodò la
-tavola a sommo della sua abitazione e attese.
-</p>
-
-<p>
-Attese un uomo, il primo. In verità non
-avrebbe potuto offrire al suo primo avventore
-se non dell’acqua limpida; ma anche l’acqua
-limpida aveva il suo valore in quelle latitudini
-perchè per molte miglia all’intorno non esisteva
-un pozzo. Palma non possedeva tuttavia una
-botte, ma sì bene due latte da petrolio. Dette
-latte erano piene d’acqua e costituivano un
-valore. Non mancava che li assetati. Anche
-di questo doveva incaricarsi la Provvidenza e
-siccome Palma non aveva fretta e si accontentava
-di ben poco per arrivare da un giorno
-all’altro, attese in tranquillità.
-</p>
-
-<p>
-Ed ecco che una notte, dormiva sulla sua
-paglia fra le due latte di petrolio, quando sentì
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-qualcuno alla porticciuola serrata. Si levò sui
-gomiti. Chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Chi è?
-</p>
-
-<p>
-— Si può entrare? — fece una voce dal di fuori.
-</p>
-
-<p>
-— Cosa volete? — domandò Palma.
-</p>
-
-<p>
-— Bere! — rispose l’estraneo.
-</p>
-
-<p>
-— Non ho che dell’acqua.
-</p>
-
-<p>
-— È lo stesso.
-</p>
-
-<p>
-Bene.
-</p>
-
-<p>
-Palma non aveva bisogno di vestirsi perchè
-non si svestiva mai; si rizzò ed andò ad aprire
-la porta. Entrò un uomo; un vecchio barbuto
-con gli occhiali sul naso. Un par di occhiali
-a stanghetta, arrugginiti, e un cappellaccio di
-traverso.
-</p>
-
-<p>
-Sedette sulla panca innanzi a una tavolaccia
-nera e quando fu seduto disse ancóra:
-</p>
-
-<p>
-— Bene!
-</p>
-
-<p>
-Palma lo guardò; il barbone incrociò le braccia
-sulla tavola.
-</p>
-
-<p>
-— Di dove venite? — gli domandò Palma.
-</p>
-
-<p>
-— Datemi da bere — rispose l’uomo.
-</p>
-
-<p>
-Palma prese il suo unico boccale che era un
-coccio senza manico e senza beccuccio, pose
-innanzi all’ospite una ciotola sboccata e scomparve
-in cantina. Poco dopo rientrò col suo
-vin di nuvoli e l’ospite non si era rimosso.
-Aveva una faccia da ceffautte da guardarsi a
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-stupore: o da dove discendeva nel pieno della
-notte quell’individuo? E dove andava e che
-cercava mai? Palma sentiva queste domande
-dentro di sè, ma le trattenne chè si investiva
-del suo nuovo còmpito di oste.
-</p>
-
-<p>
-L’uomo bevve tutto il boccale e quando ebbe
-bevuto disse:
-</p>
-
-<p>
-— Buona!
-</p>
-
-<p>
-— È acqua di fonte — fece Palma.
-</p>
-
-<p>
-E l’estraneo ridisse:
-</p>
-
-<p>
-— Buona!
-</p>
-
-<p>
-Evidentemente il barbone non era un parlatore,
-ma ciò non preoccupava Palma il quale
-diceva fra sè: — Anche se mi dà quattro soldi,
-son tutti guadagnati! — Ed in questo pensiero
-si accosciò in disparte presso la parete della
-sua bicocca. L’olio non mancava alla lampada
-ma se ne consumava troppo. Trascorso qualche
-tempo Palma disse all’ospite:
-</p>
-
-<p>
-— Volete dormire?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè? — fece l’ignoto.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè l’olio si consuma.
-</p>
-
-<p>
-— Ed io ve lo pagherò.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, se volete pagare fate ciò che vi accomoda!...
-</p>
-
-<p>
-E Palma chiuse gli occhi e stava per addormentarsi
-tranquillamente quando l’ospite suo
-gli chiese levando gli occhi:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Da quanto tempo state qui?
-</p>
-
-<p>
-— Da venti giorni.
-</p>
-
-<p>
-— E che cosa volete guadagnare fra queste
-lande?
-</p>
-
-<p>
-— Aspetto che venga l’estate! — fece Palma
-ammiccando.
-</p>
-
-<p>
-— E con l’estate?
-</p>
-
-<p>
-— Con l’estate? Ma vengono a migliaia quaggiù
-i contadini!
-</p>
-
-<p>
-— E se vengono?
-</p>
-
-<p>
-— Se vengono, lavoro!
-</p>
-
-<p>
-— E il vino?...
-</p>
-
-<p>
-— Il vino.... il vino!... Si troverà!
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio tacque e Palma lo guardava sempre
-più incuriosito. Chiese, dopo una sosta:
-</p>
-
-<p>
-— E voi cosa siete, un pastore?
-</p>
-
-<p>
-— No — fece l’uomo. Poi guardò Palma negli
-occhi e soggiunse: — Io sono un frate!
-</p>
-
-<p>
-— Un frate?
-</p>
-
-<p>
-— Sì. Ma se mi va bene una cosa non torno
-più al convento.
-</p>
-
-<p>
-— E la veste dove l’avete messa?
-</p>
-
-<p>
-— In casa del contadino che mi ha dato questi
-panni.
-</p>
-
-<p>
-— Ed ora dove andate?
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio si levò e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Hai una vanga?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sai dove sia la Torraccia?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— Vuoi condurmi alla Torraccia?
-</p>
-
-<p>
-— A quest’ora?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— E che cosa volete fare laggiù? — Palma
-non voleva compromettersi. Gli erano bastati
-i suoi vent’anni di prigione e più non voleva
-farne.
-</p>
-
-<p>
-— Se vieni faremo a metà — rispose il
-vecchio.
-</p>
-
-<p>
-Palma si convinse; prese la vanga e il suo
-coltello e seguì l’ospite.
-</p>
-
-<p>
-Dopo due ore di strada erano ai piedi del
-rudere solitario. Il vecchio entrò nella torre e
-Palma dietro.
-</p>
-
-<p>
-Dopo aver misurato a passi lo spazio rinchiuso
-fra le mura pericolanti l’uomo si fermò
-e disse a Palma:
-</p>
-
-<p>
-— Scava qui!
-</p>
-
-<p>
-Palma si mise all’opera. Dopo più che un’ora
-di lavoro aveva scoperto una scaletta che scendeva
-in un sotterraneo.
-</p>
-
-<p>
-L’uomo disse:
-</p>
-
-<p>
-— Non mi sono sbagliato! — Poi accese
-una candela che aveva con sè ed entrò per
-primo nell’antro oscuro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-Era vicina l’alba quando uscirono dagli antri
-sotterranei. Primo fu il vecchio; Palma venne
-dopo. Erano ambedue irriconoscibili per il terrame
-che li ricopriva.
-</p>
-
-<p>
-Quando ebbero fatto qualche passo, Palma
-si fermò innanzi all’uomo sconosciuto e gli
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— E adesso che cosa mi darete per la mia
-fatica?
-</p>
-
-<p>
-— Aspetta — disse il frate.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa devo aspettare?
-</p>
-
-<p>
-— Quello che ti dirò.
-</p>
-
-<p>
-— Le parole non si spendono!
-</p>
-
-<p>
-— Sei uno stupido!... Le parole si spendono
-benissimo!
-</p>
-
-<p>
-— Ma insomma che cosa siamo andati a fare
-laggiù?
-</p>
-
-<p>
-— A cercare un tesoro!
-</p>
-
-<p>
-— Infatti abbiamo trovato da stare allegri!
-</p>
-
-<p>
-— Questo non importa!
-</p>
-
-<p>
-— Sì, che importa!
-</p>
-
-<p>
-— Tu avrai sempre guadagnato qualcosa.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa?
-</p>
-
-<p>
-— Vedrai!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-</p>
-
-<p>
-E ripresero la strada. Quando furono all’osteria
-della Sirena si vedevano già le vele raminghe
-per il mare.
-</p>
-
-<p>
-Entrarono. Il frate sedette innanzi alla tavolaccia
-ed abbandonò la fronte fra le mani. Dopo
-una pausa domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Hai un calamaio, una penna, della carta?
-</p>
-
-<p>
-Palma guardò il vecchio in tralice e chiese
-a sua volta:
-</p>
-
-<p>
-— Siete matto?
-</p>
-
-<p>
-— Sai leggere?
-</p>
-
-<p>
-— No.
-</p>
-
-<p>
-— Bene. Allora stammi a sentire.
-</p>
-
-<p>
-Palma lo ascoltò.
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-Il frate ritornò al convento senza lasciare
-una palanca a Palma, ma Palma fu contento
-ugualmente. Da quella volta il vecchio barbone
-non comparve più nè di notte nè di giorno al
-vascello capovolto, ma il suo passaggio non fu
-più dimenticato.
-</p>
-
-<p>
-Ora giunse l’estate. Cominciò il giugno con
-certe giornate ardenti che valsero più di qualsiasi
-consiglio a cacciar le turbe assetate di
-frescura dai piani al mare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-</p>
-
-<p>
-Cominciarono a giungere le carovane urlanti
-e si accamparono per la spiaggia.
-</p>
-
-<p>
-Bisogna dire che Palma aveva tolta dalla sua
-baracca la dipinta insegna dell’Osteria della
-Sirena e che l’aveva sostituita con una rozza
-croce formata da due avanzi di naufragio legati
-insieme con una corda.
-</p>
-
-<p>
-Giunsero le carovane adunque, ma Palma non
-si mostrò. Vestito di un sacco stava rannicchiato
-in fondo al suo rifugio aspettando che
-qualcuno dischiudesse l’usciuolo. Pareva non
-volesse uccellare anzi attendesse di essere uccellato.
-Ma la gente si sbandava all’intorno
-volgendo appena una fuggevole occhiata allo
-strano rifugio. Diceva tutt’al più:
-</p>
-
-<p>
-— Sarà la casa di qualche poveraccio!... Di
-qualche pescatore di arselle!...
-</p>
-
-<p>
-E non sapevano che un pescatore in realtà
-si accucciava là dentro, ma un pescatore di
-uomini.
-</p>
-
-<p>
-Aspetta e spera. Passavano i giorni. Palma
-cominciava a bestemmiare, cosa quant’altra mai
-indecorosa per un uomo che vestiva il saio
-all’ombra della croce.
-</p>
-
-<p>
-Ma nessuno lo udiva. Si udiva la gazzarra, il
-frastuono delle turbe che esulavano al mare.
-La spiaggia pareva convertita in un cocomeraio
-chè ogni brigata traeva seco sui biroccini
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-e sui carri oltre a qualche lenzuolo, larga copia
-di cocomeri e ne faceva festa tra un bagno
-e l’altro ingoiando fette su fette del saporoso
-frutto vermiglio.
-</p>
-
-<p>
-E il nudo trionfava e l’ebbrezza della frescura
-e del mare.
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-Palma pazientava e non usciva a mostrarsi
-alla turba, ma già nell’anima sua incominciava
-a infiltrarsi il dubbio, quando avvenne che due
-fanciulli ignudi, ruzzando un giorno fra le arene,
-venissero a sedersi all’ombra della singolare baracca
-E com’è dell’età loro curiosa, dopo alcun
-tempo incominciarono a considerare la novissima
-capanna e pensarono di visitarla anche
-all’interno.
-</p>
-
-<p>
-Palma udì e lasciò fare. Si avvicinava il momento
-buono. Infatti, non appena i due fanciulli
-ebbero messo il capo all’uscio ed ebber veduto
-quello strano uomo accoccolato in un canto
-e tutto ravvolto in un sacco, ne ebbero tanta
-paura che fuggirono come lepri e mai più non
-si rividero presso la baracca. Ma la voce si
-diffuse fra le turbe.
-</p>
-
-<p>
-— Nella baracca c’è un eremita!... C’è un
-santo eremita!... È coperto di un solo sacco!...
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-Non mangia mai!... Ha la barba lunga due metri!...
-Non vede il sole da vent’anni!...
-</p>
-
-<p>
-E vai dicendo. La necessità del fantastico
-si liberava a carriera e qualcuno giunse a sostenere
-che si trattava di un turco convertito.
-</p>
-
-<p>
-Ma tutto ciò poteva ancóra interessare le
-donne non già gli uomini, i quali fra cocomeri
-e bagni avevano in superbo disprezzo ogni santocchieria
-e preti e frati ed eremiti e ogni altro
-tipo del genere che non era, presso le faticate
-turbe, se non un vagabondo.
-</p>
-
-<p>
-E Palma udiva questi discorsi e incominciava
-a disperare. Il contadino che gli aveva fatto
-credito giungeva tutte le notti a reclamare il
-suo e già minacciava uno scandalo. Un giorno
-Palma si disse:
-</p>
-
-<p>
-— Se oggi non vien nessuno, domani metto
-fuori l’insegna dell’osteria e si vedrà!...
-</p>
-
-<p>
-Ma appunto quel giorno era il destinato.
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-Era il meriggio, forse, quando una voce si
-udì dall’esterno; una voce di donna:
-</p>
-
-<p>
-— Si può entrare?
-</p>
-
-<p>
-— Avanti! — fece Palma.
-</p>
-
-<p>
-Entrò una donna che recava in braccio un
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-suo marmocchio, giallo come lo zafferano. Palma
-non si rimosse.
-</p>
-
-<p>
-— Voi che siete un sant’uomo.... — disse
-la donna e si fermò.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa volete? — domandò Palma.
-</p>
-
-<p>
-— Voi che siete un sant’uomo dovreste guarirmi
-questa povera creatura!
-</p>
-
-<p>
-Palma chinò il capo e non rispose.
-</p>
-
-<p>
-La donna, a tale mimica, fu sempre più compresa
-della virtù taumaturgica del solitario.
-</p>
-
-<p>
-— Se voi voleste.... — continuò.
-</p>
-
-<p>
-Palma alzò un braccio e disse:
-</p>
-
-<p>
-— È Dio che deve volere!
-</p>
-
-<p>
-Poi si stupì di aver detto tanto. Ma la donna
-aveva molta fede.
-</p>
-
-<p>
-— Se voleste pregare il Signore....
-</p>
-
-<p>
-Palma si levò e la donna si fece il segno
-della croce.
-</p>
-
-<p>
-— Fatemi vedere questo bambino! — disse
-Palma.
-</p>
-
-<p>
-La donna glielo mostrò mormorando:
-</p>
-
-<p>
-— È molto malato!... Deve morire!...
-</p>
-
-<p>
-Dopo un lungo silenzio speso a considerar
-la creatura da tutti i lati Palma disse:
-</p>
-
-<p>
-— Non morirà!
-</p>
-
-<p>
-Fu colpito dal suono della sua voce e dalla
-promessa formale. Oramai si era compromesso.
-O riusciva o ritornava alla sua prima Sirena.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-</p>
-
-<p>
-La donna disse:
-</p>
-
-<p>
-— Se me lo salvate siete il più grand’uomo
-del mondo!...
-</p>
-
-<p>
-Palma si sarebbe accontentato di meno; di
-quattro palanche.
-</p>
-
-<p>
-Disse alla donna:
-</p>
-
-<p>
-— Aspettate!
-</p>
-
-<p>
-E passò nel secondo stambugio della sua
-capanna.
-</p>
-
-<p>
-Ritornò poco dopo con un cartoncino in cui
-erano tre pillole. Le porse alla donna, disse:
-</p>
-
-<p>
-— Queste sono tre pillole fatte con erbe che
-hanno virtù non conosciute da nessuno al mondo.
-Dovete darne al vostro bambino una oggi,
-una domani e una posdomani.
-</p>
-
-<p>
-— E guarirà? — fece la donna.
-</p>
-
-<p>
-Palma chinò la testa, susurrò:
-</p>
-
-<p>
-— Vedrete!... Vi aspetto fra tre giorni!...
-</p>
-
-<p>
-La fortuna o la disgrazia erano in via. Palma
-attese con un certa ansietà ciò che gli avrebbe
-fruttato la ricetta del frate.
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-A vero dire Palma non aveva mai pensato
-a Iddio. Non gli era venuto in mente mai, neppure
-in prigione quando poteva meditare a
-tutto suo agio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ricordava che da piccino sua madre gli
-aveva parlato qualche volta del Signore, ma
-Palma era un ragazzo distratto e non era stato
-mai tanto curioso da voler sapere che cosa
-ci fosse in fondo ai cieli. Per lui l’uomo era
-una bestia che deve lavorare e morire. E basta.
-Lavorare e morire come un bove con la semplice
-differenza che gli uomini mangiavano i
-bovi e questi eran più miti chè si accontentavano
-dell’erba. Dunque se un Dio doveva esserci
-sarebbe stato giusto avesse preferito il bue
-che era migliore dell’uomo. Ma tale idea poteva
-essergli balenata innanzi forse una volta
-in tutti i suoi cinquant’anni di vita. Per il resto
-si era accontentato di passare da un governo
-all’altro con l’unica preoccupazione di
-trovare un modo per trarre in inganno i suoi
-simili e far danaro. Egli era dunque un ignaro
-di cose divine quando fu costretto a formarsi
-una chiara convinzione in proposito.
-</p>
-
-<p>
-Fino a quel punto aveva seguito il consiglio
-del frate senza derogarne in nulla; si era costretto
-ad una prigionia che non gli riusciva
-importuna per la lunga consuetudine a tale
-stato, aveva atteso come il ragno, sperando
-che tutto si risolvesse in un commercio lucroso
-e nulla più.
-</p>
-
-<p>
-Palma attendeva il lucro e il suo fato lo pose
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-di fronte a Iddio. Tale cosa lo sbalordì. Non
-se l’aspettava, ma tacque.
-</p>
-
-<p>
-Trascorso adunque il secondo giorno e incominciato
-il terzo, appena era sorto il mattino
-che un insolito vocìo giunse all’ignaro
-eremita e lo chiamò sulla soglia della sua acquatile
-casa.
-</p>
-
-<p>
-Come volse intorno gli occhi, ecco venire di
-lontano una turba di donne.
-</p>
-
-<p>
-Palma rimase perplesso. Gridavano, dunque
-il bambino era morto e, se era morto, l’unica
-cosa che gli restasse a fare era quella di darsela
-a gambe chè ormai la sua fortuna gli aveva
-volte le spalle.
-</p>
-
-<p>
-Tale la prima considerazione e la risoluzione
-prima che gli balenarono innanzi.
-</p>
-
-<p>
-Su tale proposito rientrò in casa, ma sul
-punto di uscirne troppo gli dispiacque di abbandonare
-il suo nido fra le sabbie sì che, passato
-nella seconda stanza, e rifugiatosi in un
-angolo, nel buio, attese senza rifiatare l’arrivo
-della strillante turba.
-</p>
-
-<p>
-E poco attese che le donne furono innanzi
-alla soglia e incominciarono a gridare:
-</p>
-
-<p>
-— Palma.... Palma.... apriteci.... apriteci!...
-</p>
-
-<p>
-— Sì, aspettatemi per l’anno del mai!... — diceva
-fra sè l’eremita e più si rintanava nel buio.
-</p>
-
-<p>
-E le donne:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Palma.... Palma!... Veniteci ad aprire, per
-carità!...
-</p>
-
-<p>
-— Ve lo domandiamo per carità!...
-</p>
-
-<p>
-Palma stette in orecchio. Trasentiva o non
-piuttosto le femmine lo imploravano?
-</p>
-
-<p>
-— Venite da queste disgraziate, Palma, che
-Iddio ve ne rimeriti!...
-</p>
-
-<p>
-Davvero?... Dunque le pillole erano state efficaci!...
-Il frate aveva detta la verità!... Si levò;
-si riaggiustò addosso il suo sacco grigio....
-</p>
-
-<p>
-— Palma?... Non ci mandate via!... Siamo
-povere donne!...
-</p>
-
-<p>
-Allora l’uomo dal saio incominciò a sentire
-qualcosa dentro di sè che vi ingrandiva come
-se un sole nascesse. Uscì dalla cantina, attraversò
-la prima stanza, aprì l’usciuolo. Non appena
-fu sulla soglia il vociferìo si accrebbe e
-le braccia si protesero:
-</p>
-
-<p>
-— Palma, uomo benedetto dal Signore, guaritemi
-questa creatura!...
-</p>
-
-<p>
-— Palma, Palma, sono tre anni che non trovo
-riposo!...
-</p>
-
-<p>
-— Palma, benedite questa povera figlia che
-ha il diavolo in corpo!...
-</p>
-
-<p>
-E volevano da lui queste e cento altre cose,
-cento miracoli e Iddio.
-</p>
-
-<p>
-Iddio!... L’uomo profano di ogni fede rimase
-muto, accigliato, impassibile, ma dentro al cuor
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-suo incominciò a nascere un dubbio, un dubbio
-curioso che gli dava una sensazione nuova come
-di una leggerezza subitanea fra terra e cielo.
-</p>
-
-<p>
-Iddio!... Dunque poteva darsi davvero che
-qualche notte, nel silenzio sterminato di quella
-solitudine, qualcuno fosse disceso dal cielo per entrare
-dall’usciuolo nella sua nave antica?... Poteva
-darsi?... Ed egli dormiva e questo qualcuno...
-</p>
-
-<p>
-Distribuì quante pillole aveva e rimandò le
-donne per la loro strada. Gli ubbidirono a un
-cenno. Egli aveva in realtà la figura di un
-asceta e il volto di un qualche santo forastico
-nutrito di miele selvaggio. Tanto si sentì smarrito
-dalla devozione delle femmine che non
-pensò a chiedere compensi. Distribuì il suo
-farmaco per l’amore di Dio, e per l’amore di Dio,
-verso sera, giunse alla sua baracca una giovinetta
-che si inginocchiò sulla soglia ed ivi depose
-un pane, delle uova, del formaggio; poi
-si fece il segno della croce e se ne andò.
-</p>
-
-<p>
-Palma rimase solo nella notte: contrito, confuso,
-pentito; ma non sapeva bene di che si
-pentisse. Andò pe’ suoi farmachi, raccolse l’erba
-che il santo frate gli aveva indicata nella notte
-del tesoro, si sentì invaso come da una sacra
-purità e sempre più confuso, sempre più incerto
-sul calcolo ch’egli doveva fare e di se
-stesso e di Iddio e delle donne strillanti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-</p>
-
-<p>
-La sua baracca divenne come un santuario
-per le turbe le quali un bel giorno pretesero
-che il povero Palma facesse ritornare in vita
-un moribondo. Palma non volle saperne, ma
-il moribondo guarì. Guarì e fu fatta. Palma era
-un santo; Palma aveva fatto il miracolo.
-</p>
-
-<p>
-E da quel giorno egli si trovò in diretta comunicazione
-col Signore. La macerata povertà,
-il digiuno, il lungo patire dovevano essere suo
-ornamento e questo fino alla morte. E perchè
-mai?... Che aveva egli fatto?... Le sue virtù
-gli erano sconosciute, come il suo Dio. Qualche
-notte stette inorecchito sperando di udire
-una voce portentosa, ma non la udì. E allora?
-La virtù della gran mutazione della sua vita
-non era adunque che nel farmaco lasciatogli
-dal frate?...
-</p>
-
-<p>
-Tutto scendeva direttamente da una piccola
-innocua pillola? E quale era il suo guadagno?...
-Ah, uomo bruto!... Così avviene che la divina
-luce dell’alba discenda per gli sterquilini!...
-Ma Palma non era di stoppa ultraterrena e una
-notte, gettato il suo saio alle ortiche, si dette
-per fallito e partì.
-</p>
-
-<p>
-E mentre le turbe lo assumevano al cielo, il
-povero vecchio Palma, esule di Dio e della legge,
-sentendosi perduto per sempre per non aver
-ascoltata la Provvidenza non ebbe più posa.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span></p>
-
-<h2 id="violenti">I VIOLENTI.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Avevano i Venchi la loro officina sotto un
-albero fulminato, lungo la riva di un fiume. Una
-angusta capanna contesta di rozzi pali e di fascine
-e pienata di argilla le pareti; il tetto di
-stipa, i battenti neri. V’eran per entro in grande
-copia gli arnesi fabbrili e più ne stavano all’aperto
-dove il maestro carradore lavorava e
-l’estate e l’invemo.
-</p>
-
-<p>
-Quivi disposte su ampie capre e su banchi
-e sul terreno erano ruote e timoni e sale e
-cassini e carra, le membra disperse degli arnesi
-che uscivan dal centenario cantiere.
-</p>
-
-<p>
-Nell’antro funzionava e ansava e ardeva la
-fucina. E dall’alba primissima al declinare delle
-ombre serali, era un grande travaglio sotto
-l’albero fulminato.
-</p>
-
-<p>
-Da centinaia di anni la famiglia dei Venchi
-conduceva il cantiere e l’opera era trasmessa
-di padre in figlio co’ suoi gelosi segreti, come
-la vita e il nome e le virtù della razza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ora era maestro dell’arte, Alessandro, il vecchio
-di più che settanta inverni e non aveva
-questi se non un figliuolo: Samuele, ed erano
-soli nella loro casa senza donne. Vivevano essi
-senza parlarsi mai, tanto l’uno aveva preso dell’altro
-e l’anima e il costume ed erano come
-estranei nella casa degli avi tutta deserta e
-muta sulla loro bocca muta.
-</p>
-
-<p>
-Tornavano a notte, l’uno dopo l’altro e salivano
-alle loro stanze opposte. All’alba la casa
-si richiudeva nel suo silenzio.
-</p>
-
-<p>
-Mangiavano sul pugno, al lavoro, seduti sopra
-un toppo di ancudine o sul tronco di un’acacia
-o di un olmo e il loro pasto era breve
-come il respiro. Non bevevano che al pozzo,
-ricurvi su la secchia traboccante. I loro garzoni
-non ricordavano ch’essi avessero parlato mai
-a confidenza neppure per l’attimo. S’intendevano
-per monosillabi, senza guardarsi.
-</p>
-
-<p>
-Sapendosi uguali in tutto: e nella forza e nel
-volere, cercavano evitarsi perchè la devozione
-sacra del figlio non venisse meno e non venisse
-meno l’affetto che li legava. Andavan paralleli,
-pronti a morire l’uno per l’altro finchè il caso
-non li ponesse di fronte per opposte volontà.
-</p>
-
-<p>
-La sommissione di Samuele era stata cieca
-sempre; aveva seguito il consiglio e il comando,
-si era concessa e prona e pronta al sacrificio.
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-Non mai un giorno senza lavoro; non mai un’ora
-di gioioso abbandono. Egli si era piegato come
-il ferro sul fuoco; era stato stretto e costretto
-come la ruota nel cerchio, come il timone fra
-le chiavarde: si era dato passivamente con
-tutta la sua forza.
-</p>
-
-<p>
-D’altra parte, tale era stata la vita del padre
-sotto il dominio di nonno Samuele. La consuetudine
-degli avi si manteneva uguale negli anni
-nè poteva esser discussa, nè diminuita: era
-sacra e fatale.
-</p>
-
-<p>
-Il figlio era del padre come cosa e non come
-creatura e questi poteva disporne a suo piacimento.
-La salda compagine della famiglia richiedeva
-tale disciplina. E Samuele si era aggiogato
-come tutti coloro che erano stati innanzi
-a lui nel tempo e avevano creato il prestigio
-di un’arte e di una tradizione; aveva accettato
-il loro còmpito come il cieco legno che si costringe
-tra le ferramenta e va ad obbedienza finchè
-non sia ultimamente consunto. Ma la morte
-era lontana tuttavia per il giovane gagliardo e
-la vita non poteva continuare sì cupamente monotona
-fino al punto in cui uno si appacia col
-suo destino e si dispone all’ultima ventura.
-</p>
-
-<p>
-Aveva egli un cuore tumultuoso, una forza
-non per anco provata, un desiderio solare che
-a quando a quando si ridestava per accenderlo
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-di una radiosità senza confine. Se una sola era
-la via battuta, s’egli non andava che dalla casa
-deserta all’antro fumoso e da questo alla casa
-quando il sonno incombeva; se era chiuso fatalmente,
-come l’astro, nel suo circolo eterno
-e doveva seguire l’ombra del padre e coprire
-le stesse orme a capo inchino e non fiatare e
-non domandare e non essere mai; se, come gli
-arnesi della fucina, non doveva servire che
-ad un ufficio, l’anima sua, nel suo alto silenzio,
-vedeva, s’irraggiava per mille aspetti giovanilmente
-in una sua trepida adorazione portentosa.
-</p>
-
-<p>
-Era il mondo, a quell’anima chiusa, come un
-canto sconfinato e magnifico, come un ignoto
-adorabile, come una gioia senza fine e senza
-principio, e una purità senza travaglio. Dalla
-sua costrizione, dal suo isolamento sorgeva
-l’ignaro con raddoppiata energia a illuminare
-della sua sconfinata passione le cose indifferenti.
-</p>
-
-<p>
-Maestro Alessandro nulla pensava di questo.
-La giovinezza sua era stata impassibile. Egli
-non aveva conosciuto se non una ragione fisiologica
-alla quale era bastata una donna qualsiasi,
-quella che gli avevano data in moglie e
-ch’egli aveva accettata come si accetta un pastrano
-quando fa freddo; nè poteva supporre
-che altro fosse il desiderio del figliuolo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-</p>
-
-<p>
-Avere una donna in casa era necessario;
-non potevano continuare la loro vita sbandata
-e Samuele doveva sposare. Ora maestro Alessandro
-sapeva già di una donna ricca e perfetta
-massaia, che avrebbe fatto della casa un paradiso;
-anche avrebbe dato figli sani e robusti
-perchè non era giovine ed era ben squadrata chè
-fra anche e spalle raggiungeva l’ampiezza di un
-bue, e gli piaceva benchè non l’avesse mai guardata
-in viso; ma che importava il viso? Una
-donna si sposa per quello che vale e non per
-la sua bellezza e la bellezza è vana e crea fastidi
-e può portare a mal fine un marito.
-</p>
-
-<p>
-Se era brutta, come aveva sentito dire, tanto
-meglio; la sua povera moglie era quasi gobba,
-eppure gli aveva partorito un fior di figlio,
-chè Samuele era saldo come l’incudine. E più
-di questo non si poteva desiderare.
-</p>
-
-<p>
-Ora una sera, chiusa che fu l’officina e partiti
-i garzoni, maestro Alessandro, contro il
-costume suo, chiamò Samuele e gli si pose a
-fianco. Il loro parlare fu breve:
-</p>
-
-<p>
-— Samuele, tu devi prender moglie!
-</p>
-
-<p>
-Il giovine levò gli occhi sul volto del padre
-e non rispose.
-</p>
-
-<p>
-— A venticinque anni è il tempo giusto. Le
-cose si fanno alla spiccia. La Venusta degli
-Antoni è già pronta. Io le ho parlato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-</p>
-
-<p>
-Samuele ebbe un fremito ma si rattenne.
-Chiese a voce soffocata:
-</p>
-
-<p>
-— E che vuole da me?
-</p>
-
-<p>
-Maestro Alessandro si fermò a squadrare il
-figlio e la sua faccia si aggrottò come il monte
-a sera:
-</p>
-
-<p>
-— Come che vuole? Di che mondo sei? Dovete
-sposarvi!
-</p>
-
-<p>
-Samuele guardò il padre negli occhi con insolita
-fermezza e sbiancò tremando.
-</p>
-
-<p>
-Rispose:
-</p>
-
-<p>
-— No.
-</p>
-
-<p>
-E il vecchio:
-</p>
-
-<p>
-— No che cosa? Che ti frulla per il capo
-questa sera.
-</p>
-
-<p>
-— Io non la voglio!
-</p>
-
-<p>
-— Non la vuoi?
-</p>
-
-<p>
-— Ho detto no!
-</p>
-
-<p>
-Fu fra i due un torbido silenzio, poi maestro
-Alessandro alzò a violenza il pugno vigoroso ma
-non colpì; si rivolse e riprese la strada. Samuele
-gli tenne dietro. Camminarono sempre a fianco,
-a capo chino. Erano di pari statura; ambedue
-forti ad un modo: l’uno più agile, l’altro più
-nodoso; il frassino e la rovere. Sulla soglia della
-casa deserta maestro Alessandro si fermò e
-nelle parole che disse era un monito sinistro,
-la voce rauca tremava nel singhiozzo dell’ira:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Tieni bene a mente quello che ti dico,
-ragazzo! In questa casa c’è una volontà sola
-ed è la mia. Non pensare a disubbidirmi e
-bada a te!
-</p>
-
-<p>
-Ed entrarono e la casa tacque sul loro angosciato
-riposo.
-</p>
-
-<p>
-Dopo non molti giorni ogni formalità era
-compiuta. Maestro Alessandro aveva lasciata
-l’officina per recarsi in città e nessuno seppe
-la ragione del suo viaggio. La seppe Samuele,
-una sera di domenica, quando il padre gli disse:
-</p>
-
-<p>
-— Ora verrai con me.
-</p>
-
-<p>
-— Dove?
-</p>
-
-<p>
-Maestro Alessandro continuò:
-</p>
-
-<p>
-— Il permesso è preso; non c’è nulla che si
-opponga. Posdomani tutto sarà fatto e la Venusta
-sarà con noi, nella nostra casa. Tu puoi scegliere
-l’ora che ti piaccia meglio per sposare.
-</p>
-
-<p>
-Samuele guardava il padre co’ grandi occhi
-larghi e bianchi e immobili. Il suo volto era
-quello di chi impietra.
-</p>
-
-<p>
-Disse maestro Alessandro:
-</p>
-
-<p>
-— Hai inteso?
-</p>
-
-<p>
-— Sì!
-</p>
-
-<p>
-— Perchè mi guardi così?
-</p>
-
-<p>
-— Per nulla.
-</p>
-
-<p>
-— Allora va, mettiti la veste migliore. La
-Venusta ci aspetta!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-</p>
-
-<p>
-Samuele non si muoveva.
-</p>
-
-<p>
-E il vecchio gridò:
-</p>
-
-<p>
-— A chi parlo?
-</p>
-
-<p>
-— Che vuoi? — fece Samuele.
-</p>
-
-<p>
-— T’ho detto di ripulirti che ci aspettano
-a casa dei Grandi. E fa presto!... E cammina
-senza storie prima ch’io ti rompa la faccia!
-</p>
-
-<p>
-E ancora l’abitudine antica lo tenne e l’anima
-sua fu muta in fondo al suo buio. Samuele
-andò, si vestì come in sogno e seguì il padre
-senza parlare.
-</p>
-
-<p>
-A casa dei Grandi li aspettavano. C’era una
-tavola imbandita e nel basso focolare, in fondo
-alla stanza, ardeva una fiamma altissima. Samuele
-non vide se non quel dolce bagliore e
-non udì le voci e gli auguri, nè vide la donna
-attempata che gli parlava sorridendo. Una volta
-ch’egli fissò quel volto piatto dal gran naso
-broccuto, rise come un ebete e a tutto ciò che
-gli fu chiesto non rispose. Poi cominciò il festino
-e la volgarità.
-</p>
-
-<p>
-Erano pigiati intorno ad una grande tavola,
-seduti su due lunghe panche e le donne mangiavano
-in disparte, presso il focolare come
-bestie accosciate, il viso sui piatti fumanti. Solo
-una gli era al fianco e lo stuzzicava e rideva
-a rovescio come una caldaia che bolla, ed egli
-vedeva la larga bocca dai denti gialli aprirsi e
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-vociare e ingoiare, e vedeva i piccoli occhi porcini
-e le guance sudanti, floscie come l’otre vuoto.
-</p>
-
-<p>
-Maestro Alessandro più non si curava di lui;
-nessuno gli poneva mente chè l’accolta era intenta
-ai bisogni suoi voraci. I grandi vassoi di
-carni e di legumi eran finiti d’assalto e gli ampi
-boccali si vuotavano a gran furia. Solo, più
-aumentava l’ebbra bestialità dell’accolta, più,
-quella che gli sedeva a fianco, lo pigiava e lo
-infastidiva con la sua voce rauca e Samuele
-cominciò a guardarla in volto senza fiatare.
-</p>
-
-<p>
-E la donna chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Perchè non mangi?... Ti vergogni della
-tua sposa?...
-</p>
-
-<p>
-E rideva, rideva interrompendosi a quando
-a quando per saziare la sua voracità flatulenta.
-</p>
-
-<p>
-— Hai sonno, di’?... Dormi ancora per questa
-notte chè domani non potrai dormire!
-</p>
-
-<p>
-E, sotto la tavola, gli si stringeva da presso,
-sempre più tenacemente, come la mignatta e il
-nodo scorsoio e le cose che soffocano e che
-dissanguano.
-</p>
-
-<p>
-— Non mi vuoi bene?
-</p>
-
-<p>
-Silenzio.
-</p>
-
-<p>
-— Non ti piaccio?
-</p>
-
-<p>
-Egli la guardava con una sua tragica smorfia
-e pensò come mai potevano uscire tali parole
-da quella bocca sconcia, irte di peli le
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-labbra e il mento piatto. Ed ella rideva e si
-accalorava da sola, scambiando per timida inesperienza
-il silenzio dell’uomo e più le piaceva
-il giuoco, e più le cresceva la foja quanto più
-le sembrava e fresco e timido il frutto nuovo
-sul quale avrebbe morso con la furia della sua
-maturità brutta ed ingorda.
-</p>
-
-<p>
-E ancora gli diceva accostando a quella di
-lui la faccia bestialmente accesa:
-</p>
-
-<p>
-— Quando mi conoscerai mi amerai. Io so
-l’arte di farti morire d’amore! Non mi guardare
-se non sono bella chè ti piacerò più del sole!
-</p>
-
-<p>
-E la gente ubriaca cominciava a bofonchiare.
-Poi qualcuno più acceso, gridò:
-</p>
-
-<p>
-— O Samuele, stringitela dunque quella tua
-vecchia gallina!... Non vedi come ti guarda?...
-</p>
-
-<p>
-E l’idea piacque sì che l’accolta l’impose urlando.
-</p>
-
-<p>
-La Venusta protese le labbra e baciò sul
-collo Samuele. Questi la respinse col gomito
-a violenza.
-</p>
-
-<p>
-E disse la donna:
-</p>
-
-<p>
-— Abbracciami, non siamo sposi?
-</p>
-
-<p>
-Maestro Alessandro, in capo alla tavola, teneva
-la testa china sul suo piatto; allora un
-giovinastro gli gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Diteglielo voi, maestro, che s’abbraccino!...
-</p>
-
-<p>
-E la gente:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Su dunque, diteglielo, maestro!
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio levò gli occhi che si scontrarono
-in quelli del figlio suo, nè mai più torbida
-luce si incrociò per gli spazi nelle orrende tempeste.
-Maestro Alessandro chinò la testa. Allora
-l’anatroccola infojata abbrancò al collo Samuele
-e lo attanagliò come la morsa stringendo la viscida
-faccia contro quella di lui.
-</p>
-
-<p>
-Scoppiò una risata omerica e la voce incomposta
-degli ebbri di vino incitò la Venusta a
-tutto osare.
-</p>
-
-<p>
-Anche le donne si accostarono alla tavola,
-scapigliate, e battevan le mani. In breve si
-formò intorno un cerchio di brutale concupiscenza
-e Samuele vide l’assieparsi e il chinarsi
-delle facce oblique e vide gli occhi accesi di
-fosco ardore e le vene turgide e gli aspetti
-bestiali, nè più resse a tale supplizio.
-</p>
-
-<p>
-Allora ciò che l’anima sua pura aveva contenuto
-irruppe, schiantò ogni costrizione.
-</p>
-
-<p>
-— Va via che mi fai schifo, puttana!
-</p>
-
-<p>
-E afferrata la donna alla cintola l’arrovesciò
-sconciamente su la panca e si tolse dall’incubo.
-</p>
-
-<p>
-Il clamore si spense d’un subito. Non fu intorno
-che un’incertezza paurosa e gli occhi
-corsero dal volto del padre a quello del figlio.
-</p>
-
-<p>
-Samuele non guardò la gente, di nulla si curò
-se non del suo immenso desiderio di libertà;
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-non fu al mondo, per lui, se non la sua fiera
-volontà che non avrebbe umiliata mai più, e
-sentiva una gioia altissima in quella subita
-conquista.
-</p>
-
-<p>
-Già era per uscire quando si levò, aspra ed
-imperiosa dal silenzio, la voce di maestro Alessandro:
-</p>
-
-<p>
-— Samuele?...
-</p>
-
-<p>
-Il giovane si rivolse torvo.
-</p>
-
-<p>
-— Che vuoi da me?
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio fece per slanciarsi ma un urlo lo
-trattenne. Allora si passò le grosse mani su
-la pallida faccia sconvolta e gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Va, va, che saprò dove trovarti!
-</p>
-
-<p>
-E nessuno più disse parola. Sentivano l’approssimarsi
-dell’orrore. Erano i Venchi di una
-feroce razza lupigna che nulla raffrenava. Gli uomini
-chinarono la faccia; le donne udivano già
-per l’aria fosca di tenebra le urla della folle paura.
-</p>
-
-<p>
-E quando il vecchio fece per uscire nessuno
-gli si oppose: era sul suo volto cadaverico la
-risolutezza che umilia chiunque la guati. Uscì,
-lo guardarono finchè la porta non fu rinchiusa,
-ascoltarono il suo passo finchè non si perse e
-allora si udì l’implorazione della donna offesa;
-schiantò il silenzio come un singhiozzo:
-</p>
-
-<p>
-— Correte gente, correte che non si debba
-udire un simile spavento!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-</p>
-
-<p>
-Quelle parole agghiacciarono i cuori e gli anziani
-si mossero incurvi, senza fiatare.
-</p>
-
-<p>
-Ora Samuele attendeva il padre nella casa
-sconsolata. Una lampada fumigava sulla tavola.
-Più non aveva misura il tempo, più non era nè
-tempo nè spazio, ma una cupa eternità senza voce.
-</p>
-
-<p>
-Camminava il giovine ascoltando il tonfo del
-suo cuore scatenato e ad ogni scricchiolio sussultava
-rivolgendosi alla porta.
-</p>
-
-<p>
-Poi si udì cigolare la porta e si udì il passo del
-sopravveniente. Furon l’un contro l’altro come
-due spettri. Nè l’uno dei due piegò; nè parevano
-tanto forti da superare quell’orrendo silenzio.
-</p>
-
-<p>
-E il vecchio si accostò al muro e ne distaccò
-la doppietta. Si udirono gli scatti delle molle
-congegnate.
-</p>
-
-<p>
-Samuele non fiatò, non si mosse, non distolse
-gli occhi torvi dal volto del padre. Erano ai
-due lati opposti della stanza.
-</p>
-
-<p>
-Maestro Alessandro puntò lentamente l’arme
-nera. Era nel suo volto sparuto la contrazione
-di un’ira senza limite, la terribilità del delitto.
-</p>
-
-<p>
-E allora parlò e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Inginocchiati!
-</p>
-
-<p>
-Il figlio ubbidì e s’aperse le vesti, nè le sue
-mani tremarono.
-</p>
-
-<p>
-E il vecchio:
-</p>
-
-<p>
-— Farai ciò che voglio?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-</p>
-
-<p>
-Samuele non rispose.
-</p>
-
-<p>
-Il fucile s’abbassò verso il petto scoperto.
-</p>
-
-<p>
-— Rispondi!...
-</p>
-
-<p>
-Si udì un gemito, una voce strozzata, uno spasimo
-angosciato di supremo dolore e la pallidissima
-faccia sbiancò ancor più nell’orrendo singhiozzo.
-</p>
-
-<p>
-— Rispondi! — gridò più forte l’ossesso.
-</p>
-
-<p>
-Allora parve che tutto l’essere veemente e
-tutta la ribelle gagliardia del giovine si liberassero
-nel grido; ed egli parlò stravolto, senza
-più lume negli occhi:
-</p>
-
-<p>
-— Puoi ammazzarmi, ma non puoi costringermi!
-</p>
-
-<p>
-— Tornerai dai Grandi?
-</p>
-
-<p>
-— No!...
-</p>
-
-<p>
-— Chiederai scusa?
-</p>
-
-<p>
-— No!...
-</p>
-
-<p>
-— Mi ubbidirai?
-</p>
-
-<p>
-— No, no, no!...
-</p>
-
-<p>
-E in così dire fece per lanciarsi innanzi, cieco
-nel suo furore; ma appena aveva levato il ginocchio
-che un colpo rintronò e il giovine dal
-fiero viso stramazzò riverso come cosa inanimata:
-gli occhi al cielo e la bocca torta.
-</p>
-
-<p>
-Poi un urlo fu nella casa desolata e un urlo
-più alto nella notte grande, chè gli anziani sopraggiungevano
-correndo.
-</p>
-
-<p>
-Ma tutto era vano ormai. Il tragico fato dei
-Venchi era compiuto per l’eternità.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span></p>
-
-<h2 id="gazza">LA GAZZA.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Il semplicista non fece troppe parole; guardò
-Mezzalana, gli tastò il polso, gli rovesciò le
-palpebre e scrollò il capo.
-</p>
-
-<p>
-— Be’, cosa dite? — mormorò Mezzalana.
-</p>
-
-<p>
-— Cosa debbo dire? — rispose il semplicista.
-</p>
-
-<p>
-— C’è pericolo?
-</p>
-
-<p>
-— Non la vedo chiara.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa c’è.... Un tumore?
-</p>
-
-<p>
-— No, è il male della lucciola.
-</p>
-
-<p>
-— Della lucciola?... Non l’ho mai sentito ricordare.
-</p>
-
-<p>
-— Be’, ve lo dico io.
-</p>
-
-<p>
-— Siete sicuro di non sbagliarvi?
-</p>
-
-<p>
-— Se non mi credete, perchè non chiamate
-il dottore?
-</p>
-
-<p>
-— Il dottore?... Vuol esser pagato!
-</p>
-
-<p>
-— Allora state zitto se non volete spendere!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-</p>
-
-<p>
-Mezzalana alzò le spalle e mormorò:
-</p>
-
-<p>
-— Starò zitto!
-</p>
-
-<p>
-L’empirico riprese la mazza che aveva appoggiata
-al muro, si chinò alla secchia ricolma
-che era appoggiata sul pozzale, bevve e, asciugata
-la bocca sulla manica della giacca, si avviò
-all’uscita dell’aia.
-</p>
-
-<p>
-Mezzalana non era contento e già si pentiva
-del palancone che aveva dato al semplicista
-per la sua visita; due soldi valevan bene un
-lungo discorso, s’egli li valutava alla stregua
-della sua rabbiosa avarizia; così, come vide
-l’uomo andarsene tranquillamente senza aggiungere
-parola, gli gridò dietro:
-</p>
-
-<p>
-— Be’, non mi dite altro?
-</p>
-
-<p>
-L’empirico si fermò e, volgendosi a mezzo,
-rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Non ve l’ho detto il male che avete?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, ma che cosa debbo prendere per guarire?
-</p>
-
-<p>
-— La cassa!
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa?...
-</p>
-
-<p>
-Allora Zibaldino, che stringeva tuttavia a
-dispetto, nel palmo della mano, la scarsa mercede
-e voleva far notare all’avaro la sua spilorceria,
-grugnì:
-</p>
-
-<p>
-— Dite un po’, pretendereste forse ch’io perdessi
-tutta la mia giornata per due soldi?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Due soldi son due soldi — rispose Mezzalana; — costano
-fatica e voi li guadagnate
-con delle chiacchiere!
-</p>
-
-<p>
-— Ah! sono chiacchiere le mie?
-</p>
-
-<p>
-— Non avete mica imparato la vostr’arte
-vangando la terra!
-</p>
-
-<p>
-— Allora perchè mi chiamate se sono chiacchere?...
-</p>
-
-<p>
-— Perchè vi contentate di poco.
-</p>
-
-<p>
-— Siete uno sciocco!
-</p>
-
-<p>
-— Io sarò uno sciocco, ma due soldi son due
-soldi!... E per due soldi dovreste parlare un po’
-di più!...
-</p>
-
-<p>
-Zibaldino scuoteva il capo da destra a sinistra
-squadrando il cocciuto bifolco; poi si decise
-e parlò chiaro:
-</p>
-
-<p>
-— Be’, già che volete farmi parlare: volete
-proprio saperla tutta?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— Allora vi dico che avrete ancora tre giorni
-da campare!
-</p>
-
-<p>
-— Tre giorni.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, tre giorni. E ve la dò lunga!...
-</p>
-
-<p>
-Mezzalana si guardò attorno, si calcò la <i>galosa</i>
-fino alle orecchie e mormorò:
-</p>
-
-<p>
-— Basta!... Ho capito!...
-</p>
-
-<p>
-— Vi saluto — fece Zibaldino.
-</p>
-
-<p>
-— Addio — rispose Mezzalana; ma l’empirico
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-non era giunto ancora sulla strada che il vecchio
-gli gridò dietro:
-</p>
-
-<p>
-— Avete detto che è il male della lucciola?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, della lucciola!
-</p>
-
-<p>
-— E non ci sarebbe qualche erba?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, l’<i>erba cagnina</i> che fa bono ai cani!
-</p>
-
-<p>
-— Dite davvero?
-</p>
-
-<p>
-Zibaldino non rispose più. Si avviò per la
-riva del fosso, e camminava forte.
-</p>
-
-<p>
-Mezzaluna corse sulla strada, stette in forse
-un secondo, poi chiamò:
-</p>
-
-<p>
-— O Zibaldinoooo?
-</p>
-
-<p>
-L’altro affrettava il passo dinoccolato, il cappello
-sugli occhi e le mani in tasca.
-</p>
-
-<p>
-— O Zibaldinoooo?... Non mi sentite?...
-</p>
-
-<p>
-Sì! Chi lo sentiva?... Era indispettito. Svoltò
-per la prima viottola e non si vide più. Allora
-Mezzalana si grattò un orecchio e incominciò a
-pensare. Era troppo chiaro che il semplicista si
-era preso giuoco di lui. Forse con tre palanche
-avrebbe parlato un po’ più e si rimproverava di
-non aver arrotondata la grassa mercede. Ma tale
-rimprovero non resse alla sua critica feroce. Tre
-palanche per un chiacchierone che veniva a guardarvi
-negli occhi o a tastarvi il polso? Bisognava
-essere milionari per darsi a spese simili. E negli
-occhi che cosa ci vedeva, la fede di nascita?...
-E a che serviva tastare il polso se egli sentiva
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-male dentro, nel <i>cassone</i>, fra il cuore, lo stomaco
-e la milza? Spendere due soldi per sentirsi ripetere
-la bella verità che bisognava morire!...
-Tante grazie! Credeva forse che Mezzalana non
-sapesse.... Però aveva solo settant’anni. Che
-cos’erano settant’anni?... Suo padre era morto a
-ottantasette e suo nonno a novantaquattro. E
-aveva sentito dire dalla buon’anima di sua madre
-che un loro vecchio antico era giunto alla
-bella età di cento e quindici anni. Oh, sì!... Così
-bastava!... Dice: — Era ridotto come un uccellino!...
-Be’, e se era magro, e se mangiava poco
-non era fra i vivi ugualmente?... Perchè il tutto
-sta a non dover andarsene troppo presto; per
-il resto che cosa importa?... Anche se uno non
-si muove più da una sedia, basta veda....
-</p>
-
-<p>
-E qui lo colse un pensiero amaro: e se per
-davvero egli non avesse potuto veder più?... A
-settant’anni! E gli pareva di trovarsi di fronte
-a una smisurata ingiustizia se pensava alla morte
-alla sua età. Si spinse la <i>galosa</i> sulla nuca; si avviò
-per l’aia ciondolon ciondoloni; prese una forca
-appoggiata a un pagliaio e la portò nella capanna.
-Il cane corse ad annusargli le gambe; lo scacciò.
-</p>
-
-<p>
-Una subita incredulità lo invase. Ogni dubbio
-ne fu travolto. Ma che morire!... A dar retta a
-certa gente sì, che si sarebbe morti venti volte
-il giorno. L’ora segnata era nel libro di Dio,
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-non poteva conoscerla faccia d’uomo sulla madre
-terra. Il nostro destino era ben al disopra
-dei tetti delle case, in fondo al cielo, e se qualcuno
-fosse potuto andare e ritornare di lassù
-dove corrono le stelle, oh! allora gli si sarebbe
-potuto credere ad occhi chiusi. Ma un chiacchierone
-che sapeva l’arte di comporre qualche
-pillola, dove doveva togliersela la misteriosa
-scienza della vita e della morte? Perchè andava
-pei boschi, la notte?... Perchè dicevano che l’avevan
-veduto parlare coi fantasmi?... Chiacchiere
-che non valevano le sue belle palanche!
-Richiuse la capanna e si avviò al pozzo.
-</p>
-
-<p>
-Era ben vero che non si sentiva bene! Era
-vero, perchè negarlo?... A volte gli sopravvenivano
-certi mancamenti che, se non trovava
-appoggio, andava ruzzoloni per le terre, come
-gli era accaduto varie volte. E la vista gli si
-annebbiava sempre più e non aveva appetito.
-Almeno avesse mangiato!... Fin che si mangia
-si campa. Ma no, niente!... Appena qualche
-boccone e stentato che doveva far fatica ad
-inghiottirlo! Questo era il brutto! Già, perchè
-con lo stomaco non si ragiona e se lo stomaco
-sciopera.... Il male della lucciola?... Uhm?! Non
-l’aveva sentito ricordare mai. Ma che c’entrava
-la lucciola? Non era mica il tempo dei grani ed
-egli non soffriva di nessun fenomeno luminoso!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-</p>
-
-<p>
-Forse era un tumore. Già se lo sentiva addosso,
-a porgli mente; si sentiva come una
-cosa rotonda gravitare fra il cuore, lo stomaco
-e la milza, e nè Zibaldino, nè tutti i professori
-della terra potevano saper questo perchè, a voler
-ragionare, il male è di chi lo ha e chi non
-ne soffre non ne può sapere proprio nulla.
-</p>
-
-<p>
-E tale convinzione gli si accrebbe e gli si perfezionò
-per quanto più tempo prese a considerarla.
-Definito il male, pensò al rimedio. Un rimedio
-doveva esservi. La sua ostinata volontà
-di vivere non poteva rassegnarsi all’idea dell’inguaribile;
-così, siccome un poco se ne intendeva
-di semplici, si dette a rimuginare tutte
-le virtù delle erbe e da un angolo occulto della
-sua memoria gli tornò alla mente questo: che
-cioè l’erba <i>piastrella</i> aveva la virtù di sciogliere
-i nodi che si formavano nel corpo degli uomini
-in seguito a cadute o a stregonerie. Ci voleva
-adunque l’erba <i>piastrella</i> la quale non si trovava
-nei campi o lungo i fossi, ma nella pineta lontana.
-Doveva essere raccolta di notte, durante
-l’interlunio perchè non perdesse le sue proprietà.
-In quanto all’interlunio il periodo era
-propizio; in quanto alla notte.... Si grattò un
-orecchio. A questo punto qualcuno scarpicciò
-dietro le sue spalle.
-</p>
-
-<p>
-— Come state, Mezzalana?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-</p>
-
-<p>
-Gettò un’occhiata in tralice. Era Pignòla, la
-sua vecchia moglie. Non le rispose.
-</p>
-
-<p>
-Pignòla veniva per l’aia con un paniere.
-</p>
-
-<p>
-— O Mezzalana, non mi date mente?
-</p>
-
-<p>
-Mezzalana volse il viso burbero.
-</p>
-
-<p>
-Quando fu vicina al marito si fermò a guardarlo
-da sotto in su, seria seria, col paniere
-infilato in un braccio, e nel paniere pigolavano
-una ventina di anatroccoli appena sgusciati
-dall’ovo.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa volete?
-</p>
-
-<p>
-— Vi ho domandato come va!
-</p>
-
-<p>
-— Io non lo so! — fece Mezzalana.
-</p>
-
-<p>
-— È venuto Zibaldino?
-</p>
-
-<p>
-— Sì. Non lo avete visto?
-</p>
-
-<p>
-— Non l’ho visto. Be’, che cosa vi ha detto?
-</p>
-
-<p>
-— Che debbo morire!
-</p>
-
-<p>
-— Sarà matto?!
-</p>
-
-<p>
-— È quello che dico io!
-</p>
-
-<p>
-— Non gli darete mica retta?...
-</p>
-
-<p>
-— No, per Dio....
-</p>
-
-<p>
-— Volevo ben dire!...
-</p>
-
-<p>
-E tacquero. Mezzalana si guardò i piedi; Pignòla
-raccolse i pulcini che tentavano di guizzar
-via dal paniere. Poi Pignòla soggiunse:
-</p>
-
-<p>
-— Non sapete neppure la razza del male?
-</p>
-
-<p>
-E Mezzalana:
-</p>
-
-<p>
-— È una razza cane!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-</p>
-
-<p>
-Pignòla scosse la testa:
-</p>
-
-<p>
-— Questo sì!
-</p>
-
-<p>
-Passò una pausa.
-</p>
-
-<p>
-— E sapete che cosa ha avuto core di rispondermi
-quando gli ho domandato un rimedio?
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa ancora?
-</p>
-
-<p>
-— Mi ha risposto che la medicina era la cassa!
-</p>
-
-<p>
-— Dite sul serio?
-</p>
-
-<p>
-— Non vedessi più la faccia de’ miei figli!
-</p>
-
-<p>
-Pignòla aggrottò le ciglia e scagliò la sua
-maledizione:
-</p>
-
-<p>
-— Facesse Iddio che toccasse a lui!...
-</p>
-
-<p>
-E, lanciato che ebbe l’anatema, si dette a rincorrere
-gli anatroccoli che erano guizzati fuor
-dal paniere e scorrazzavano per l’aia.
-</p>
-
-<p>
-Mezzalana l’aiutò. Quand’ebbero compita l’opera,
-Mezzalana disse:
-</p>
-
-<p>
-— Sapete che male è?
-</p>
-
-<p>
-— No.
-</p>
-
-<p>
-— È un tumore!
-</p>
-
-<p>
-— Ne siete sicuro?
-</p>
-
-<p>
-— Sì. E ci vuole l’erba <i>piastrella!</i>
-</p>
-
-<p>
-— L’erba <i>piastrella?</i>... Che cos’è?
-</p>
-
-<p>
-— Come, non la conoscete?... Non sapete
-se faccia bene?...
-</p>
-
-<p>
-— Io no....
-</p>
-
-<p>
-Allora Mezzalana guardò la moglie di sbieco
-e brontolò:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Già l’ho sempre detto che siete un’ignorante!...
-</p>
-
-<p>
-La Pignòla non ribattè, era abituata agli sgarbi
-del suo signore e padrone, nè si riteneva degna
-di un trattamento diverso. Quand’era ancora
-giovine erano state famose bastonature ch’ella
-aveva inscritto nel capitolo dell’amore e della
-gelosia e che l’avevan fatta orgogliosa del suo
-uomo di fronte alle compagne; da vecchia il
-bastone aveva ceduto l’impero alle violenze
-ed ella prendeva queste come quelle, con l’intima
-fierezza di una donna che si sente amata.
-</p>
-
-<p>
-Senza scomporsi adunque, e per nulla offesa
-tirò di lungo, entrò nella capanna e scomparve.
-</p>
-
-<p>
-Come Mezzalana fu solo, raccattò uno stecco
-che vide in mezzo all’aia, lo portò nella catasta
-delle legna perchè nulla doveva andare disperso,
-poi si fermò, la testa bassa, tutto assorto
-in un pensiero.
-</p>
-
-<p>
-Così ristette alquanto e, quando si riscosse,
-la sua decisione era presa.
-</p>
-
-<p>
-Egli stesso sarebbe andato in pineta, durante
-la notte; avrebbe raccolta l’erba che conosceva
-e sarebbe ritornato innanzi l’alba.
-</p>
-
-<p>
-A compire il viaggio gli bastava il suo ciuco.
-Nessuno doveva saper nulla della decisione
-presa, neppure la Pignòla.
-</p>
-
-<p>
-Però, siccome un certo dubbio gli rimaneva
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-in fondo all’anima e capiva di mettersi in un
-grave rischio, chè il viaggio non era corto, e
-poteva coglierlo un malore lungo la strada,
-decise che, prima di partire, avrebbe preso le
-sue precauzioni. E tali precauzioni erano d’indole
-affatto particolare. Entrato nel nuovo ordine
-di idee si affrettò verso la casipola, entrò
-nella stanza terrena e gridò a Pignòla che era
-curva su gli alari:
-</p>
-
-<p>
-— Questa sera si deve cenar presto!... Spicciatevi!
-</p>
-
-<p>
-— Devo cuocere la minestra? — domandò
-Pignòla rivolgendo la faccia.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, cuocete!
-</p>
-
-<p>
-— E i ragazzi?
-</p>
-
-<p>
-— Fatevi alla siepe e chiamateli. Sono nel
-campo?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-La Pignòla andò e tornò, presta come la lepre.
-Aggiunse legna al fuoco e una grembiulata
-di canàpuli, accese la lampada, andò ad
-attingere il vino nel boccale, cosse la minestra.
-</p>
-
-<p>
-I figli e le figlie di Mezzalana entrarono senza
-pronunciar parola e sedettero sulle panche disposte
-ai due lati della tavola.
-</p>
-
-<p>
-La Pignòla si spicciò, la minestra fu servita.
-Mezzalana non toccò cibo, ma nessuno gli pose
-mente se non fu la vecchia Pignòla. Questa
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-che, dopo essersi pienata la sua verde scodella,
-preso il nero cucchiaio di legno, si era seduta
-sopra un sacco di farina, in disparte, a consumare
-il suo pasto, guardava a quando a quando
-il marito e mangiava di mala voglia. Poi non
-potè resistere e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Mezzalana, non avete fame?
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio non rispose. E la donna:
-</p>
-
-<p>
-— Non fate bene a star sempre digiuno!
-Vi guasterete la salute!
-</p>
-
-<p>
-Mezzalana grugnì in sì malo modo che la
-vecchia Pignòla abbassò l’insolcata faccia su
-la scodella e non parlò più.
-</p>
-
-<p>
-Compìto che fu il pasto, tutti salirono al piano
-superiore e Mezzalana rimase solo; allora, come
-udì spengersi a mano a mano ogni fruscìo, si
-tolse le scarpe, staccò la lampada appesa sotto
-una trave e andò ad assicurarsi che tutte le
-porte fossero ben chiuse. Si fece poi alle scale
-e stette in ascolto. La sua gente dormiva affranta
-dalla stanchezza. Ciò piacque al vecchio,
-il quale si guardò attorno ancóra, chè lo teneva
-l’eterno sospetto di essere spiato. Stava
-per compire qualcosa di sacro, qualcosa che
-gli era come un misterioso rito verso il suo
-Dio sonante. E per tale rito al quale, dai lontani
-tempi della sua immemorabile giovinezza,
-egli si era tenacemente votato, dormiva solo, in
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-uno stambugio attiguo alla cucina e nessuno vi
-entrava se non Pignòla, rarissimamente, quando
-il consorte suo non poteva levarsi dal letto.
-</p>
-
-<p>
-Entrato che fu nel <i>Sancta sanctorum</i>, tirò il
-catenaccio, posò la lampada sopra una sedia
-e, presa una piccola scala a piuoli, l’appoggiò
-ad una trave e vi salì. Nel corpo di detta trave,
-per mezzo di certi suoi nuovi congegni, egli
-aveva aperto un rifugio capace di contenere
-comodamente le cose che voleva riporvi; e
-tale rifugio era sì ben chiuso che, dal basso,
-nessuno avrebbe potuto sospettarne l’esistenza.
-Vi salì adunque, ne tolse la chiusura, l’ispezionò
-e come fu sicuro dell’affar suo, vi depose
-la sacra mercanzia ch’egli aveva presa
-antecedentemente da un ripostiglio praticato
-nel muro, dietro l’arca. Compìta ch’ebbe la
-faccenda, ridiscese, portò la scala altrove, uscì
-su l’aia a specular la notte. Era sereno. Tempo
-calmo. Il Carro saliva nello spazio verso i
-sommi cieli, con le sue sette stelle. Allora,
-trasse dalla stalla <i>Simone</i>, l’attaccò alla carretta
-e se ne andarono per le strade silenziose
-verso la pineta marina.
-</p>
-
-<p>
-E l’alba non ancóra era per nascere quando
-Mezzalana e <i>Simone</i> ritornavano con l’erba
-<i>piastrella</i>. Ma se <i>Simone</i> era tranquillo circa
-la sua sorte, altrettanto non lo era Mezzalana,
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-chè sentiva il suo male crescergli dentro a
-dismisura e arroncigliarlo e morderlo e tormentarlo
-con lena sempre maggiore dilagando dal
-confine suo consueto a tutto il corpo. Il nodo
-maligno, confinato fra lo stomaco, il cuore e
-la milza si moltiplicava, tanto che Mezzalana
-aveva ferma fede di sentirlo crescere dentro
-di sè e radicarsi per ogni dove fino alla cima
-delle dita. Epperò un certo sudor freddo gli
-bagnava la fronte e il petto; e il dolore lo toglieva
-di senno.
-</p>
-
-<p>
-Fermarsi no, e correre non poteva. Inoltre
-l’austera indifferenza di <i>Simone</i> tanto lo inaspriva
-che, nelle rare tregue alla sua sofferenza
-si vendicava con certe gigantesche legnate le
-quali avrebbero atterrato un toro, non che un
-ciuco. <i>Simone</i> si limitava a ritrarre un poco
-la parte offesa, che era quella dove la coda
-s’impianta, e tirava di lungo senza commozione
-nessuna, come se l’ossa sue e le carni fossero
-del più saldo metallo. Tutt’al più levava il muso
-e raggrinziva le froge in quella diabolica risata
-muta che solo gli asini sanno. Comunque fosse,
-la distanza fu superata e Mezzalana giunse alla
-sua casa.
-</p>
-
-<p>
-Già cantavano le capinere e il cielo si tingeva
-di rosa. Le finestre erano chiuse tuttavia.
-La sua gente dormiva. Bene: tutto era riuscito
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-secondo il suo piano; ma il più gran male sorse
-quando egli tentò di scendere dalla carretta
-nella quale si era disteso fra l’erba <i>piastrella</i>.
-Non vi riuscì. Solo che avesse tentato di sollevarsi
-gli sopravveniva tale spasimo da togliergli
-la luce. Frattanto <i>Simone</i>, che non si
-sentiva più dominato dal morso, se ne andava
-per l’aia a suo piacimento e avrebbe senz’altro
-rovesciata la carretta e Mezzalana nella buca
-del letame, se il vecchio egoista non si fosse
-dato a gridare:
-</p>
-
-<p>
-— Pignòla?... O Pignòla?...
-</p>
-
-<p>
-E appena aveva levata la voce angosciata
-dal male che una finestra si aprì e fra un vaso
-di basilico e un geranio fiorito apparve la scarmigliata
-testa della donna.
-</p>
-
-<p>
-Si guardò intorno, domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Che cos’è?
-</p>
-
-<p>
-— Vieni!... — urlò il sofferente.
-</p>
-
-<p>
-— Siete voi, Mezzalana?...
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio le rispose con un’imprecazione
-classica tanto che Pignòla, di un sùbito ridesta,
-si tolse dalla finestra, chiamò i figliuoli e corse
-nell’aia.
-</p>
-
-<p>
-Dopo Pignòla giunse Stecco, il figlio maggiore,
-e Mezzalana fu preso e portato nel suo
-stambugio ad attendervi l’ora dell’ultima passeggiata.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-</p>
-
-<p>
-Tornò Zibaldino; giunsero le attinenti vestite
-di nero; i figliuoli e le figliuole non andarono
-ai campi.
-</p>
-
-<p>
-Zibaldino disse:
-</p>
-
-<p>
-— Chiamate il prete. Tira lo sgambetto!...
-</p>
-
-<p>
-E, fra quanti erano nella camera, solamente
-una donna incominciò a piangere e fu Pignòla.
-Si tirò la pezzola su gli occhi e si perse, non
-seppe più far nulla. Ella soffriva davvero perchè
-si era affezionata al suo aguzzino e le doleva
-di vederlo partire per la dimora vegliata
-da una croce.
-</p>
-
-<p>
-Mezzalana non parlava più. Aveva una gran
-sete, beveva sempre, tanto che Stecco disse:
-</p>
-
-<p>
-— Diventerà una botte!... — E lo guardò
-morire perchè la morte era una cosa nuova
-per lui e gli procurava una certa sensazione
-strana.
-</p>
-
-<p>
-Giunsero altre attinenti abbrunate; ne fu
-piena la camera e la cucina, tantochè quando
-il prete fu sulla porta dovette farsi largo per
-entrare.
-</p>
-
-<p>
-Mezzalana fu unto, ma non se ne addiede e
-il prete ripartì senza avergli tratto una sola
-parola di bocca. Non che il morituro fosse
-fuori di senno, ma non parlava, non badava a
-nessuno, gli occhi fissi al soffitto e le mani
-conserte sul petto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-</p>
-
-<p>
-Solo ad un punto, quando già la sera stava
-per ritornare, le donne che gli eran vicine,
-l’udiron mormorare:
-</p>
-
-<p>
-— Li vedo.... li vedo!...
-</p>
-
-<p>
-E volsero gli occhi intorno e si guardarono
-stupite. La Pignòla si fece innanzi, stranita:
-</p>
-
-<p>
-— Ha parlato?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa ha detto?
-</p>
-
-<p>
-— Ha detto che li vede!
-</p>
-
-<p>
-— Li vede?...
-</p>
-
-<p>
-E un terrore superstizioso invase le donne
-che guardaron per l’aria e temettero di vedere
-a loro volta una paurosa apparizione.
-</p>
-
-<p>
-Da quel punto Mezzalana incominciò ad agonizzare;
-ma ebbe un’agonia gaia, senza scosse,
-senza grida o stravolgimenti, senza orrori. Se
-ne andava per il suo destino, come una stella
-in fondo ai cieli e pareva fosse contento. Il
-suo viso si illuminava sempre più, si componeva
-in una pace gaudiosa come se la morte
-gli parlasse dentro con parole amorose, narrandogli
-di un riposo eterno in un paese sonante
-di un infinito tintinnìo metallico.
-</p>
-
-<p>
-Non erano, le stelle, sì grandi quanto uno
-scudo d’argento?... E bene erano di argento e
-d’oro le belle monete di Dio!... D’argento e d’oro....
-cosparse per l’immensa contrada dove
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-non è neve, o pioggia, o solleone: ma solo
-l’Eterno Patriarca, e gli uomini che non hanno
-peccato, e le inutili vergini, e i poppanti, e i
-santi impolverati, e gli uccelli!... Forse la morte
-gli additava la contrada celeste e la fiumana
-sonante perchè Mezzalana più si accostava al
-valico e più sorrideva. E come fino a quel punto
-non aveva parlato, incominciò a parlare e le
-donne lo ascoltarono abbrividendo perchè esse
-vedevano la morte ben diversamente.
-</p>
-
-<p>
-Mezzalana adunque non tolse più gli occhi
-dal soffitto o, con maggior precisione, dalla
-trave nella quale era richiamato il suo cuore
-e, come l’aria veniva a mancargli sempre più,
-incominciò da prima a borbottare, sì che nessuno
-intese ciò che diceva, poi scandì le parole.
-</p>
-
-<p>
-— Io li vedo.... nessuno li vede!... Sono là....
-là.... bianchi.... gialli.... neri!... Duemila, quattromila!... — E
-una grande luce gli si distendeva
-sul volto. — Quattromila.... diecimila.... die....
-ci.... mi.... la!...
-</p>
-
-<p>
-Le donne si portavano le mani alla faccia;
-gli uomini si stringevano alle pareti e il panico
-superstizioso cresceva.
-</p>
-
-<p>
-— Nessuno li vedrà.... nessuno li toccherà!...
-</p>
-
-<p>
-Allora una donna piccina, ossuta, che più
-tremava di sacro orrore, levò la faccia rigata
-di lacrime e gridò:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Vede gli angeli!...
-</p>
-
-<p>
-Quel grido si ripercosse in tutti i cuori e ne
-trasse un’emozione violenta. Di un sùbito tutti
-furono convinti della stessa verità e si inginocchiarono
-e nascosero la faccia. E la piccola
-donna gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Muore come un santo!... Ha la grazia del
-Signore!... È un santo!...
-</p>
-
-<p>
-Le lugubri prefiche ripeterono:
-</p>
-
-<p>
-— È un santo!...
-</p>
-
-<p>
-E tutti piansero, toltone i figli di Mezzalana,
-che non credettero a niente perchè ricordavano
-troppo bene la vita, le prepotenze, le angherie
-e la sordida avarizia del padre. Ma Pignòla
-era fra le più convinte; Pignòla piangeva e
-perdonava tutto perchè aveva amato.
-</p>
-
-<p>
-E Mezzalana morì mormorando:
-</p>
-
-<p>
-— Li vedo!... Li vedo!...
-</p>
-
-<p>
-Era notte quando se ne andò dal mondo,
-tantochè le ammantate, che rimasero a pregare
-presso la salma di lui, videro in realtà un
-grande chiarore nella notte e gli angeli che
-portavano in cielo l’anima di San Mezzalana.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-Ora, quando il vecchio non fu più nel suo
-stambugio, i figli suoi gettarono all’aria tutto
-e cercarono e frugarono senza trovar neppure
-un centesimo. E la voce corse per il contado:
-</p>
-
-<p>
-— È morto e non ha lasciato niente!... È
-una famiglia alla miseria!...
-</p>
-
-<p>
-Qualcuno susurrò ch’egli avesse dotato del
-suo un convento delle montagne.
-</p>
-
-<p>
-Comunque fosse, anche Pignòla morì e i figliuoli
-vendettero la casa e si dispersero per
-il mondo. Dieci anni dopo, quando al fatto non
-si pensava più, volendo il nuovo proprietario
-della casa ampliarla, cominciò con l’abbatterne
-una parte e un giorno, in cui i muratori erano
-intenti a far discendere una trave dalle mura
-disfatte, avvenne un prodigio: questa trave si
-aperse e lasciò cadere un rivolo; una pioggia
-di monete d’oro e d’argento.
-</p>
-
-<p>
-Furono conte: erano diecimila lire, quelle
-stesse che il vecchio avaro aveva nascoste lassù
-prima di andarsene a raccogliere l’erba <i>piastrella</i>
-e che avevano illuminata la morte di lui.
-</p>
-
-<p>
-Ma il fatto non fu risaputo che da pochi; e
-ancóra si parlò per le veglie della santa morte
-di San Mezzalana, mentre i figli di lui andavano
-poveri e raminghi per le vie della terra.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span></p>
-
-<h2 id="eredita">L’EREDITÀ.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Il grande niveo armento riprendeva le vie
-della campagna, chè già era prossimo il mezzodì
-e fin dall’alba soave si era accolto nel
-campo alberato giungendo e dalle foci remote
-e dai colli inghirlandati di mandorli.
-</p>
-
-<p>
-Ora l’inegual tocco dei campani, il grido dei
-biolchi, il fondo muggito dei bovi si disperdeva
-lungo le vie maestre e le viottole; si allontanava
-verso i chiusi e le stalle prossime
-e remote, dal mare alla montagna. E non restavano,
-nel campo alberato, se non i ritardatari,
-i mercanti, coloro che attendevano a riscuotere
-o a pagare, e qualche disperso che
-era giunto senza saper che volere e così se
-ne tornava maledicendo, curvo su le pediche
-innumerevoli dei trascorsi.
-</p>
-
-<p>
-Non per anco dalle rogge torri e dai campanili
-sereni era disceso lo stormo delle campane
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-del meriggio; nè dalle piazze della bianca
-città si era levato il volo delle colombe al consueto
-richiamo; ma presso era il punto dell’ora
-che divide il giorno fra i due crepuscoli
-e i bifolchi cercavano, nel cammino dell’ombra e
-nell’arco solare, il tempo alla sosta ed al sonno.
-</p>
-
-<p>
-Già le osterie intorno al mercato rigurgitavano
-di genti, di grida e dell’acciottolìo che
-riempie quei luoghi quando la fame degli uomini
-impera; già chi non aveva se non il suo
-pane nei tasconi della cacciatora, lo traeva e
-lo addentava in pace, seduto ad un’ombra, in
-disparte, e molti si affrettavano, accesi dal caldo
-e dal vino, verso gli stallatici rigurgitanti a
-riprender la brenna o il ciuco e a partir sotto
-il sole per le remote case.
-</p>
-
-<p>
-Non uno era solo sul proprio barroccino o
-sul calesse dal mantice stinto, chè lo attendeva
-per la via una comare, un capoccio, un amico,
-un conoscente a domandargli ospitalità al suo
-fianco e le brenne arrancavano malinconiche.
-</p>
-
-<p>
-Scarse eran le ombre, violentissimo il sole,
-accecante il bagliore delle strade, i nembi della
-polvere, densi come la nube turbinosa.
-</p>
-
-<p>
-E sempre suonavan campani, muggivano buoi,
-gridavano e sibilavano biolchi astati, dietro le
-disciolte mandre dei vitelli, i quali, impauriti
-da un nulla, si sbandavano e invadevano i campi
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-e le vigne e le maggesi in una scalpitante scorribanda
-tempestosa.
-</p>
-
-<p>
-Uomini e fanciulli e cani si lanciavano all’inseguimento
-mentre, ubbidienti alla mano di
-un bimbo, reggente la corda della nasaiola, i
-giganteschi buoi seguivano le prode dei fossi
-ponendo nel sole l’acceso bagliore dei loro
-fiocchi vermigli.
-</p>
-
-<p>
-La fiumana si disperdeva; morivano i suoni
-lontanando nell’afa meridiana; il niveo armento
-disceso con l’alba alle soglie della bianca città
-ricinta da floridi orti, ritornava verso le foci
-silenziose e verso le vigne degli armoniosi
-colli. Il campo del mercato era quasi deserto,
-ma ancora vi si trattenevano i mercanti, e i
-capocci, e i sensali.
-</p>
-
-<p>
-Eran conclusi gli ultimi patti, risolti i più tardi
-dubbi fra un intermesso scrosciar di bestemmie
-e un vociare e un tendersi di mani avvinte
-e squassate dalla furia dei sensali e tanto più
-s’incaniva la baraonda quanto più era presso
-il termine del mercato: ma padron Cecco rideva.
-La sua rotonda faccia gioviale non era
-punto commossa dall’impeto di coloro che gli
-si stringevano intorno nel passionato desiderio
-di concludere l’affare col re del mercato; le
-parole, le promesse, le esaltazioni, le grida, non
-turbavano la sua sorridente impassibilità. Ascoltava
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-tranquillo, lasciava che i venditori e i
-sensali si sopraffacessero nella iperbolica esaltazione
-della merce, non troncava mai a mezzo
-un discorso, non discuteva; solo, quando si era
-al concludere, ripeteva l’offerta fatta fin dal
-principio:
-</p>
-
-<p>
-— Quaranta marenghi!
-</p>
-
-<p>
-— Ma, Dio mi faccia morire, se Paolino della
-Tuda non me ne ha offerti quarantacinque!...
-</p>
-
-<p>
-E padron Cecco:
-</p>
-
-<p>
-— Dovevate darglieli!
-</p>
-
-<p>
-— Un paio di buoi che porterebbero via una
-casa!
-</p>
-
-<p>
-E un sensale:
-</p>
-
-<p>
-— Padron Cecco, quarantadue marenghi e
-non se ne parli più!... Qua la mano!
-</p>
-
-<p>
-Cecco dall’Orto rideva.
-</p>
-
-<p>
-— Allora dite che non volete farne nulla!...
-</p>
-
-<p>
-E il venditore ai sensali:
-</p>
-
-<p>
-— Dio mi faccia perder la vista e ch’io non
-veda più i miei figliuoli se non mi offrivan di
-più questa mattina!... Due buoi senza difetto!...
-Grassi che sembran da macello!
-</p>
-
-<p>
-— Qua la mano, padron Cecco; quarantadue
-marenghi e pace è fatta!
-</p>
-
-<p>
-— Quaranta marenghi!
-</p>
-
-<p>
-La disputa si accendeva, traviava in qualche
-velata insolenza, ma Cecco dall’Orto non perdeva
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-contegno e misura essendo convinto che,
-per l’offerta avanzata, gli avrebber condotte le
-bestie fino alla sua stalla lontana.
-</p>
-
-<p>
-Così avvenne. Il patto fu conchiuso e fu versata
-una parte del prezzo.
-</p>
-
-<p>
-La gente sapeva, d’altra parte, che se Ceccone
-dall’Orto, il mercante milionario, aveva
-stimato che un par di buoi non valesse più
-che tanto, non sarebbe stato possibile elevarne
-il valore perchè il parere di Ceccone imperava
-per tutti i mercati della grassa terra fruttifera.
-</p>
-
-<p>
-Ed anche gli ultimi preser la via del ritorno.
-Non rimaneva, fra la scarsa ombra degli alberi,
-allineati attorno attorno al campo, se non qualche
-miserrimo ciuco che fiutava la polvere. I
-bifolchi e i sensali si sbandarono. Padron Cecco
-s’avviò solo verso lo stallatico a riprender la
-cavalla e già stava per uscire su la via quando
-si vide alle terga una donna in gramaglie che lo
-seguiva. Si rivolse mediocremente incuriosito.
-La donna si fermò e fece per calarsi la pezzuola
-su gli occhi, ma Ceccone disse ridendo:
-</p>
-
-<p>
-— Oh! La Gilda!...
-</p>
-
-<p>
-La donna levò gli occhi torvi su la rotonda
-faccia gioviale del mercante e non parlò.
-</p>
-
-<p>
-E padron Cecco:
-</p>
-
-<p>
-— Mi cercavi?... Sei a piedi?... Vuoi salire
-con me sul barroccino?...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-</p>
-
-<p>
-— No, non voglio!
-</p>
-
-<p>
-— Be’!... E allora?...
-</p>
-
-<p>
-— Allora, sempre così!... — gridò la donna.
-</p>
-
-<p>
-— Sempre così.... sempre così!...
-</p>
-
-<p>
-E gli occhi di lei, accesi di sdegno, dopo
-aver squadrato una seconda volta il giocondo
-colosso, si rivolsero altrove; ed ella prese una
-strada diversa e si allontanò rapidamente.
-</p>
-
-<p>
-Padron Cecco sorrise e, abbassata un poco
-la testa, appoggiandosi a quando a quando sul
-suo rozzo bastone da fattore, si avviò allo stallatico.
-Quivi trovò gli amici mercanti e, come
-era consuetudine sua, chè avrebbe preferito
-digiunare anzichè mangiar solo, li convitò alla
-sua mensa.
-</p>
-
-<p>
-Partirono al trotto serrato dei cavalli iniziando
-ben presto la gara fra i singoli corsieri;
-tutti affannati, impolverati, sudanti; ebbri dei
-buoni guadagni e del caldo e dell’amore delle
-facili femmine lascive, sempre soggette e dimesse,
-come i nivei bovi al curvo giogo di
-salice.
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-Così la vita a Ceccone dall’Orto, l’astuto bifolco
-alunno della fortuna. Egli era cresciuto
-in ricchezza e in gagliardia da quando, abbandonato
-l’aratro fra le maggiatiche, lasciate le costumanze
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-degli avoli, e l’antico podere, troppo violentato
-dall’adunco vomere perchè potesse dare
-buon frutto, si era dato a bazzicare pei mercati
-e a intessere i suoi primi imbrogli ben riusciti.
-</p>
-
-<p>
-Allora non aveva che la sua giocondità, un
-discreto acume per gli affari ed una furberia
-malandrina. Aveva anche l’arte di piacere agli
-uomini benchè gli fossero tutti ugualmente indifferenti.
-La fortuna lo adocchiò. In quel tempo
-egli poteva giuocare tutto per tutto; la prigione
-non lo spaventava nè l’opinione che i suoi simili
-potevano farsi sul conto di lui. Sapeva che
-il danaro rinnova le coscienze stinte e che la
-gente indignata non rivolge il proprio furore
-là dove l’oro ristagna e la sua giocondità non
-si oscurò per un attimo solo. Tentò un colpo
-canaglia. Gli riuscì. Mandò all’aria una famiglia
-di onesti sciagurati e da un giorno all’altro si
-trovò possessore di trentacinquemila lire. Aveva
-ciò che gli abbisognava per dare alla propria
-attività il largo campo necessario.
-</p>
-
-<p>
-Da quel tempo gli scrupoli suoi furono anche
-minori, se ciò era possibile, e siccome natura
-lo aveva fatto di solida tempra ed egli poteva
-tranquillamente non dormir le notti, mangiare
-poco e a furia, resistere per giorni e settimane,
-alla baraonda dei mercati senza risentirne stanchezza,
-non si risparmiò. Volle da se stesso
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-il massimo sforzo per il maggior risultato e
-l’ottenne. In pochi anni la sua fortuna decuplicò
-e siccome il denaro, fra le sue mani, ad
-altro non serviva se non ad accrescersi di continuo,
-Ceccone dall’Orto si trovò a possedere,
-su la sua cinquantina, quattro milioni e mezzo.
-Ma il patrimonio accumulato non gli fece mutar
-gusti nè abitudini; egli rimase il rozzo bifolco
-che era il giorno in cui aveva gettato la marra
-e abbandonata la famiglia per seguire il suo
-destino dissimile. Come non mutò la foggia del
-vestire e la casa e sempre fu contento della
-sua cacciatora di <i>mezzalana</i> e del suo stambugio
-disadorno fra i campi, così i desideri
-suoi non si accrebbero per altre vie. Gli era
-gioia spadroneggiare pei mercati, far ribotta
-quanto più sovente poteva, cambiare le sue
-grosse amiche gioconde che non conoscevan
-sospiri. Non aveva famiglia. Gli eran compagni,
-nella casa solitaria, due garzoni e una cuoca.
-La stalla e la cucina erano le sue sale.
-</p>
-
-<p>
-Ottuso ad ogni sentimento, di qualsiasi natura
-esso fosse, non aveva provato mai commozione
-nessuna nè per sè nè verso i suoi simili.
-Amava la sincerità brutale; le cose che
-hanno un volto e una parola cruda. Pel resto
-la sua nativa diffidenza di bifolco e di mercante
-si esplicava nel suo immutabile riso.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-</p>
-
-<p>
-Assediato dai suoi parenti, che il suo patrimonio
-cospicuo faceva delirare, Cecco dall’Orto
-rideva; perseguitato da ogni sorta di gente,
-losca nella sua umile devozione, non ne era
-vinto. Nessuno mai aveva avuto da lui un solo
-scudo. Ceccon dall’Orto rideva.
-</p>
-
-<p>
-Tale era il re delle sonanti adunate, l’astuto
-bifolco squadrato a gagliardia; gran mangiatore
-e grande amatore al cospetto dei compagni
-suoi bercianti che sempre gli erano da
-presso.
-</p>
-
-<p>
-Ora egli non pensava alla morte più che non
-pensasse a impoverire e benchè i parenti suoi
-innumerevoli sempre gli stesser d’intorno, quasi
-a ricordargli la fragilità della sua materia, non
-eran riusciti tuttavia a far sì che padron Cecco
-testasse. Egli sapeva che le sue amiche e le
-genti alle quali dimostrava qualche simpatia
-erano osservate, circuite, minacciate chè, nel
-novero dei suoi parenti, v’era qualcuno del suo
-conio, pronto a qualsiasi prova pur di riuscire
-dove mirava; sapeva che ogni sua parola detta
-era vagliata e soppesata, che ogni ora della
-sua vita era a conoscenza de’ suoi devotissimi
-aguzzini, che non poteva far cosa che non fosse
-risaputa e tutto questo in attesa della sua bene
-augurata morte; ma non mutava volto nè anima,
-nè la giocondità di lui era per annebbiarsi menomamente.
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-Anzi il giuoco lo divertiva. E se
-qualcuno fra i più arditi gli faceva osservare
-talvolta che un uomo dell’età sua avrebbe dovuto
-pensare a disporre de’ suoi beni, rispondeva
-ridendo:
-</p>
-
-<p>
-— Fra tutti voi, davanti alla morte, io mi
-chiamo Ultimo!
-</p>
-
-<p>
-Ora quel giorno, dopo aver fatto ribotta con i
-mercanti amici suoi, se ne stava seduto, verso sera,
-innanzi alla tavola apparecchiata attendendo che
-Carlotta ritornasse dall’orto e gli apprestasse la
-cena, quando udì qualcuno che si rimuoveva sotto
-il portico. Non vi pose mente. La porta era spalancata,
-ma padron Cecco non levò gli occhi a
-guardare. Pensava ad un suo nuovo raggiro.
-Così non badò a chi entrava nella cucina e solo
-alzò il capo quando udì la voce di Carlotta dire:
-</p>
-
-<p>
-— Oh!... Come mai vi si vede, Gilda!...
-</p>
-
-<p>
-Allora guardò dall’altro lato della tavola e
-si trovò innanzi la donna che l’aveva seguito
-furtivamente quando ritornava dal mercato. Vestiva
-sempre il lutto, aveva la pezzuola nera
-sul capo e gli occhi suoi grandi fiammeggiavano
-di sdegno.
-</p>
-
-<p>
-La Gilda non rispose a Carlotta. Guardava
-Ceccone dall’Orto, fissamente.
-</p>
-
-<p>
-Questi non si scompose, la sua faccia gioviale
-non ebbe un sol guizzo. Disse in tono placido:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sei venuta a farmi compagnia, Gilda?
-</p>
-
-<p>
-La Gilda, senza mutar volto, come fosse irrigidita,
-mormorò:
-</p>
-
-<p>
-— Imbroglione!...
-</p>
-
-<p>
-Allora Ceccon dall’Orto si rivolse a Carlotta
-che si scandalizzava e riprese:
-</p>
-
-<p>
-— La Gilda non si sente bene, forse! Hai
-fatto il brodo questa sera?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, padrone!
-</p>
-
-<p>
-— Be’, apparecchia per due.
-</p>
-
-<p>
-E siccome padron Cecco non disse altro, ogni
-conversare finì. Rimasero di fronte e l’una pareva
-volesse distruggere l’altro solo col fiammeggiare
-degli occhi suoi fissi. Aveva puntato
-i cubiti su la tavola e si stringeva la faccia fra
-le palme.
-</p>
-
-<p>
-Padron Cecco riprese l’ordine de’ suoi pensieri
-e nulla perse della sua tranquillità giuliva;
-ma quando Carlotta si fece alla tavola con una
-scodella e la pose innanzi alla Gilda, questa si
-levò di scatto, scaraventò l’arnese in mezzo
-alla stanza e riprese la via dell’uscio.
-</p>
-
-<p>
-Ceccon dall’Orto die’ nel ridere e a Carlotta
-che gli chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Ma che ha quell’indemoniata?
-</p>
-
-<p>
-rispose:
-</p>
-
-<p>
-— È un po’ matta, ma fa ridere! È la seconda
-volta che la vedo, oggi!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Badate, padrone, che è della razza dei
-Giuli!... Badate non faccia uno sproposito!
-</p>
-
-<p>
-— E che dovrebbe fare?
-</p>
-
-<p>
-— Non si sa mai!... Una donna come quella!...
-</p>
-
-<p>
-— Hai paura che mi ammazzi?
-</p>
-
-<p>
-— Io non porrei la mano sul fuoco, sapete!...
-È una donna capace di tutto!
-</p>
-
-<p>
-— Ma no!
-</p>
-
-<p>
-— Per me, fate quel che volete; ma, se fossi
-in voi, terrei gli occhi aperti.
-</p>
-
-<p>
-— E li tengo chiusi, io?
-</p>
-
-<p>
-— Non dico questo. Ma non è prudente lasciarsi
-accostare così da un’indemoniata come quella.
-</p>
-
-<p>
-— Ma credi sia la prima volta? Sarà un anno
-che mi perseguita così; da quando l’ho lasciata!
-Le ho offerto del denaro, non ne vuole! Le
-ho domandato che cosa le abbisognava e neppure
-mi ha risposto. Che cosa devo fare, allora?...
-Vuoi che me la sposi?... Una volta mi
-aspettava o all’osteria o sulla strada; mi capitava
-fra i piedi ogni due ore e si accontentava
-di guardarmi malamente. Ora pare voglia stare
-più comoda, viene in casa; e tu lasciala venire.
-Che vuoi farci?
-</p>
-
-<p>
-— Io la metterei alla porta!
-</p>
-
-<p>
-— Ma no, poveraccia!
-</p>
-
-<p>
-— Non vedete che vuol farvi dispetto?
-</p>
-
-<p>
-— Be’, ti pare che le riesca?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-</p>
-
-<p>
-Carlotta si strinse fra le spalle e ritornò ai
-suoi fornelli brontolando:
-</p>
-
-<p>
-— Se se ne accorgono i vostri parenti!
-</p>
-
-<p>
-— Credi non lo sappiano?... No, di quella
-non hanno paura!
-</p>
-
-<p>
-E Ceccon dall’Orto rise, divertito dalla lotta
-che gli si muoveva intorno sorda e continua
-per il possesso dei suoi beni.
-</p>
-
-<p>
-E la Gilda continuò ad apparire, imperturbabile,
-ogni sera, quando padron Cecco era per
-mettersi a cena. Entrava per la porta aperta,
-senza dir parola, senza badare a quelli che potevano
-essere nella cucina, sedeva in faccia al suo
-vecchio amante, puntava i gomiti sulla tavola,
-la faccia fra le palme e così restava mezz’ora
-e più in perfetto silenzio, guardando a sdegno
-padron Cecco. Che fosse tuttavia innamorata
-di Ceccon dall’Orto nessuno credeva, come
-non si credeva che un qualsiasi interesse potesse
-spingerla ad agire in sì strano modo;
-ella ubbidiva unicamente alla sua natura dispettosa,
-al bisogno di riuscire intollerabile a chi
-non si era occupato di lei per tutta la vita e
-le aveva detto addio con la tranquillità con la
-quale si abbandona un indifferente. Nel sottile
-groviglio della sua docile perfidia ella aveva
-cercato e cercava tuttavia la persecuzione più
-sorda, più continua, più implacabile; quella che
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-esaurisce ogni pazienza e si termina in aspri
-litigi quando non ceda al peggio.
-</p>
-
-<p>
-La Gilda avrebbe dato metà del suo sangue
-per vedere la faccia di Ceccone travolgersi
-nell’ira brutale; l’anima sua maligna ne avrebbe
-goduto come del più bel trionfo; ma come non
-le riusciva neppure a scomporre per il battito
-di un secondo la tetragona placidità dell’antico
-amante, sempre più si incaniva in se stessa,
-struggendosi dalla bile e pronta ad ogni più
-sorda lotta pur di riuscire al suo còmpito.
-</p>
-
-<p>
-Altro non voleva se non tormentare e l’immutata
-giocondia di padron Cecco la faceva
-tormentata.
-</p>
-
-<p>
-Ora avvenne che, cadendo l’autunno ed essendo
-tempo di grande caccia, Ceccon dall’Orto,
-per imbandire certi suoi germani che aveva uccisi
-nella palude, convitasse ad un festino gargantuesco
-tutti gli amici suoi ed i parenti e
-le donne dei parenti e degli amici. Due cuochi
-giunsero dalla città in aiuto di Carlotta.
-L’ampia cucina brillò per le grandi fiammate
-e sì empì di grassi odori e di un festevole
-vocìo fin dalle prime ore del giorno.
-</p>
-
-<p>
-Si apprestava il banchetto classico romagnolo,
-ponderoso ed interminato, in cui le portate si succedono
-e si moltiplicano, si sovrappongono e si ripetono
-in tale abbondanza da farne sazio un paese.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-</p>
-
-<p>
-La brigata incominciò a giungere fin dalla
-mattina. Ora era un barroccino, ora un calesse,
-ora un bagherino.
-</p>
-
-<p>
-Ogni nuovo arrivato incominciava a gridare
-fin dalla strada per manifestar la sua gioia e
-la sua fame.
-</p>
-
-<p>
-L’aver fame, molta e bramosa fame, è il complimento
-più grato all’ospite che convita. E
-Ceccone accoglieva gli invitati di su la soglia,
-ridendo e vociando a sua volta, tutto rosso e
-grasso e colossale che pareva lo specchio dell’uomo
-che non sa se non la robustezza del
-proprio stomaco insaziabile come il sepolcro.
-</p>
-
-<p>
-La stalla rigurgitò di cavalli e di ciuchi;
-l’aia fu piena di calessi e di <i>bagher</i>; la casa
-di genti, strillanti come la scimmia e la gazza.
-Le donne si ritraevano in cucina; gli uomini
-si adunavano su l’aia. Erano una coorte. E la
-frase che correva intorno più frequente, a manifestar
-la bramosia del gregge, era:
-</p>
-
-<p>
-— Quando si mangia?
-</p>
-
-<p>
-E ognuno faceva sollecitudine ai cuochi e
-alle donne chè si affrettassero e dessero il
-cenno che allieta colui che si appresta ad ingozzarsi.
-Il cenno fu dato che ancora non era
-il meriggio e l’immensa tavola imbandita fu
-presa d’assalto. L’orgia bacchica incominciò.
-Il sangiovese, l’albana, il pagadebiti, la canina,
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-corsero a fiumi giù per le sitibonde gole.
-L’acqua fu bandita come una cosa immonda;
-come la compagna dell’anatra e del luccio e dei
-ridevoli ranocchi. E fra bere e impinzarsi la buona
-gente romagnola si sentì a suo agio. Il cuore
-crebbe a mano a mano che lo stomaco si saziò.
-Tutti si vollero bene e vollero bene alle donne
-e ai cuochi e ai cani e alle galline che razzolavano
-sotto la tavola. La nativa scurrilità si elevò
-di tono. Ogni sporca cosa divertì la brigata, ma
-sopratutto le donne. Chi le diceva più grasse più
-era apprezzato dalla compagnia e le risate succedevano
-alle risate in un assordante baccano.
-E fra tutte risuonava più alta la voce di Ceccon
-dall’Orto. Egli non poteva dir cosa, anche fra le
-più stupide, senza sollevare un clamore di approvazioni
-e di risate, e, se apriva bocca, tutti
-tacevano e si protendevano, rapiti.
-</p>
-
-<p>
-Ma avvenne che, sul più bello di un enorme
-boccone, e il simposio volgeva alla fine, padron
-Cecco stralunasse.
-</p>
-
-<p>
-Dapprima gli ospiti risero, credendo che il
-milionario celiasse; ma quando videro la rotonda
-faccia del mercante, di vermiglia divenir
-paonazza e inturgidirsi nelle vene; e videro
-gli occhi farsi di un subito sanguigni e metà
-viso stravolgersi in una smorfia orrenda, balzarono
-in piedi, ammutoliti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-</p>
-
-<p>
-Fu prima una donna che disse piano:
-</p>
-
-<p>
-— Gli è venuto un colpo!...
-</p>
-
-<p>
-Poi l’attimo dello sbalordimento fu superato e
-furono in venti a soccorrerlo. Padron Cecco non
-dava più segno di conoscenza. Gli slacciarono i
-panni, lo portarono al piano superiore, nel suo
-letto, e mentre gli uomini correvano per il medico
-altri andarono per il prete. Tutti lo videro morto.
-Al baccano smodato subentrò un pavido silenzio.
-</p>
-
-<p>
-Ormai si poteva esporre apertamente il proprio
-pensiero, Ceccone dall’Orto non capiva più.
-</p>
-
-<p>
-Ancora fu prima una donna che disse:
-</p>
-
-<p>
-— Bisogna cercare il testamento!
-</p>
-
-<p>
-E un’altra:
-</p>
-
-<p>
-— Non ne ha fatto!
-</p>
-
-<p>
-Un brivido corse fra i muti parenti, torvi
-dinanzi alla morte che poteva carpir loro l’agognata
-fortuna.
-</p>
-
-<p>
-Poi fu come una vandalica intesa e mentre
-il moribondo rantolava nello spasimo della soffocazione,
-l’avida muda si gettò sui canterali,
-sugli armadi, sulle arche, rompendo e devastando
-nell’ansia della suprema ricerca.
-</p>
-
-<p>
-Solo Carlotta singhiozzava muta in un angolo.
-</p>
-
-<p>
-Non fu trovata nè una carta nè un soldo e
-la turbolenta masnada si rivolse a guardare il
-moribondo, obliqua e sinistra. Su tutti quei
-volti non era che il lampo dell’odio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-</p>
-
-<p>
-Giunse il medico, intraprese la sua inutile cura.
-</p>
-
-<p>
-Gli fu chiesto:
-</p>
-
-<p>
-— Morirà?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— Potrà parlare?
-</p>
-
-<p>
-— Forse sì.
-</p>
-
-<p>
-— Ah!... — Una speranza si fece largo fra
-la tenebra improvvisa.
-</p>
-
-<p>
-Ed anche il prete venne e dietro di lui la
-Gilda vestita di nero. Aveva la pezzuola calata
-su la fronte. Passò muta fra l’indifferenza degli
-astanti, non salutò e non fu salutata. Ristette
-in piedi, vicino al capezzale, le braccia pendule
-e le mani incrociate. Sul volto di lei non era
-se non la sua continua smorfia sdegnosa.
-</p>
-
-<p>
-Ora tutti erano intenti a seguire l’opera del
-medico. Non rifiatavano. Vi fu un punto in cui
-il rantolo di padron Cecco si affievolì e si
-spense. Allora le donne mormorarono:
-</p>
-
-<p>
-— È morto!...
-</p>
-
-<p>
-E già il prete si chinava sul capezzale e dietro
-di lui la Gilda, quando il morituro ebbe una subitanea
-scossa, levò un poco il capo, aperse gli occhi:
-</p>
-
-<p>
-— Parla, parla!... — susurrarono le donne
-protese. — Parla!... Potrà far testamento!
-</p>
-
-<p>
-E tutti si fecero innanzi togliendosi il cappello
-e richinando umilissimamente la faccia.
-Vi fu chi disse:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Coraggio, Checco!
-</p>
-
-<p>
-Ed altri:
-</p>
-
-<p>
-— È nulla!... Guarirete, coraggio!...
-</p>
-
-<p>
-E i mormorii passavan via col brivido del
-cuore in tumulto.
-</p>
-
-<p>
-Ceccon dall’Orto volse gli occhi intorno, disse:
-</p>
-
-<p>
-— Ho sete!
-</p>
-
-<p>
-Venti mani si protesero all’arida bocca rossigna.
-</p>
-
-<p>
-E Ceccone bevve e tutti lo guardarono assiepandosi
-intorno a lui e attendendo le sue
-parole. Fu un silenzio eterno.
-</p>
-
-<p>
-Padron Cecco richiuse gli occhi, li riaprì,
-fissò ad una ad una le facce degli astanti volgendo
-lentamente il capo. E su tutte le tragiche
-maschere vide la stessa ansia rapinatrice,
-velata di umiltà; su tutte, tranne una. Una
-donna era là con l’anima sua di sempre, col
-suo dispetto nemico, dipinto sul viso pallido.
-Padron Cecco la guardò, disse:
-</p>
-
-<p>
-— La Gilda!...
-</p>
-
-<p>
-E questa, senza scomporsi, senza mutar voce
-nè tono, come tante volte rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Crepa, cane!...
-</p>
-
-<p>
-Ceccon dall’Orto tentò un sorriso, ricadde
-spossato sui guanciali; ma poi lo videro muovere
-un braccio come a chiamar qualcuno e
-riaprì gli occhi e fe’ segno che il medico ed
-il prete gli andasser vicini.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Parla, parla!...
-</p>
-
-<p>
-— Fa testamento!... Ha chiamato i testimoni!...
-Fa testamento!...
-</p>
-
-<p>
-Non fu mai ansia più tremenda, forse, neppure
-in chi attendeva dal giudice la morte o la vita.
-</p>
-
-<p>
-Il medico e il prete si chinarono sul morituro.
-</p>
-
-<p>
-— Volete parlare?
-</p>
-
-<p>
-— Sì... ecco... la mia ultima... volontà!...
-</p>
-
-<p>
-I volti erano terrei.
-</p>
-
-<p>
-— Vi ascoltiamo — disse il prete.
-</p>
-
-<p>
-E il medico:
-</p>
-
-<p>
-— Vi ascoltiamo.
-</p>
-
-<p>
-— Io... ho piena coscienza... è vero?
-</p>
-
-<p>
-I testimoni dissero:
-</p>
-
-<p>
-— Sì. Avete perfetta coscienza.
-</p>
-
-<p>
-— Allora... (fra parola e parola pareva passasse
-l’eterno silenzio). Allora... io... in perfetta
-coscienza... voglio e dispongo che... erede
-universale... delle mie sostanze... sia...
-</p>
-
-<p>
-Boccheggiò. Si udirono quattro bestemmie
-favolose.
-</p>
-
-<p>
-Riprese:
-</p>
-
-<p>
-— ... sia... l’unica che non mente... la Gilda...
-Gilda dei Patrizi...
-</p>
-
-<p>
-Ed altro non disse; ma non morì a tempo
-per non udire la sincerità dei delusi scatenarglisi
-contro come a nessun uomo mai, nell’odio
-che impaura ed ammazza.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span></p>
-
-<h2 id="festa">LA FESTA DEI MIGLIACCI.</h2>
-</div>
-
-<p>
-I tre norcini si rivolsero a padron Serafino,
-chè eran per separarsi, e domandarono:
-</p>
-
-<p>
-— Dunque è per domani?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, per domani!
-</p>
-
-<p>
-— A bruzzico?...
-</p>
-
-<p>
-— Ma sicuro!... Ce ne son tre da governare!
-Arrotate gli arnesi.
-</p>
-
-<p>
-— Non temete che son a filo. Allora saremo
-da voi prima di giorno. Fate che tutto sia pronto.
-</p>
-
-<p>
-— Tutto è in ordine. Arrivederci.
-</p>
-
-<p>
-— Non ci pagate da bere?
-</p>
-
-<p>
-— No; chè se vi ubriacate non si lavora.
-</p>
-
-<p>
-— Anzi!... Si lavorerà più sodo!...
-</p>
-
-<p>
-— Berrete domani, chè faremo allegra festa.
-</p>
-
-<p>
-— Bene. Vi salutiamo.
-</p>
-
-<p>
-— Addio.
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino frustò la ronzina e i norcini
-svoltarono per la viottola dei maceri.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il livido decembre si assonnava infreddolito,
-accorciando sempre più le giornate. Si era
-alla vigilia di San Tomè che prende il porco
-per lo pè. L’adagio rispecchiava l’usanza dei
-bisavoli, dei trisavoli; l’antichissima consuetudine
-di sacrificare, nel giorno di San Tommaso,
-gli enormi porci satolli di farina gialla e di
-ghiande. Epperò, nelle case che fiancheggiavano
-la strada, si vedevan, dalle basse finestre senza
-imposte, divampanti fiammate e grandi paiuoli sul
-fuoco e genti in moto a varie opere. Inoltre, nel
-crepuscolo bigio, passava a quando a quando
-l’infernale urlìo delle immonde bestie mangerecce
-le quali, tolte dai catri o dagli stabbioli,
-e trascinate per le orecchie e per la coda verso
-il luogo del sacrifizio, impaurite dal fatto inusitato,
-non potendo altro opporre, tanto strillavano
-da tòrre di senno l’armato norcino che
-le attendeva al varco.
-</p>
-
-<p>
-Su la bassa pianura corsa dalle fiumane, intenebrata
-dalla nebbia, dispoglia da ogni vita vegetale,
-erano quelli gli unici suoni che trascorressero,
-chè già le pievi disperse avevano suonato
-l’ave e le strade, aspre di ghiaie, erano
-deserte. Era la stagione in cui gli uomini più
-vantano i pregi della mensa e ingioiscono e s’ingollano
-e si satollano gridando, fra la tavola e
-il fuoco, negli interminabili conviti; la stagione
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-sacra agli stomachi temprati alle eroiche fami
-e ai pasti monumentali. Epperò l’ecatombe dei
-grufolanti quadrupedi si annunziava per un acutissimo
-stridere ripetuto di casa in casa, fin sotto
-l’estremo arco della sera, fin dove la zona delle
-nebbie più si ispessiva fra l’ignuda terra e il
-cinereo cielo.
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino guardava e si encomiava per
-aver resistito agli aspri rabuffi e alle geremiadi
-della moglie sua pallida e scarna come il peccato
-mortale; si encomiava, chè non avrebbe
-capito mai in quale utile fosse per tornargli una
-male intesa economia quando non aveva figliuoli
-a cui pensare, e, se avesse voluto godersi tutto
-il suo, innanzi di morire, questo era ben fatto!
-Ma la Bita, che era il ritratto stesso del digiuno
-e di ogni macerazione, più scendeva negli
-anni e più si incaniva nella febbre del suo
-risparmio, quasi che la vita le fosse diventata
-un malanno e tutto stesse per rovinare nella
-vecchia fattoria dei Conti. A darle retta si sarebbe
-mangiato sul pugno, una volta al giorno,
-pane e formaggio e nulla più; nè i vecchi vini,
-che hanno nel cuor loro vermiglio la giocondìa
-del sole, più sarebbero apparsi su la tavola;
-nè i tradizionali fasti della mensa avrebber dovuto
-continuarsi. E perchè questo? Perchè tale
-quaresima se ormai poco più tempo restava al
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-loro godere, chè gli anni eran molti? Portare i
-suoi <i>allievi</i> al mercato per trarne buon guadagno?...
-Bene! E poi? Chi l’avrebbe compensato
-del sacrificio? Forse la Bita co’ suoi vezzi?
-</p>
-
-<p>
-E padron Serafino rideva fra sè e frustava la
-sbilenca ronzina. Ancora vide, nel bigio crepuscolo,
-le case degli Anselmi, dei Montanari, dei
-Migi illuminate di fiamma; e udì frastuono di
-opere e di risa, mentre l’urlìo delle allombate
-vittime saliva, si spegneva, riscoppiava acutissimo
-fin oltre i visibili confini della sera decembrina.
-</p>
-
-<p>
-Come arrivò alla fattoria, la Bita era su la
-soglia, attratta dal bubbolìo delle sonagliere, e,
-ancor prima che padron Serafino fosse disceso
-dal calesse, domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Be’, li avete venduti?
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa?
-</p>
-
-<p>
-— Gli <i>allievi</i>.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, li ho venduti.
-</p>
-
-<p>
-— Quanto avete preso?
-</p>
-
-<p>
-— Centocinquanta marenghi; tre forme di
-cacio e un piatto di migliacci.
-</p>
-
-<p>
-— Volete canzonarmi?
-</p>
-
-<p>
-— No, signora Bita!... Non vi par buono il
-mercato?
-</p>
-
-<p>
-— Mi pare che mi manchiate di rispetto!
-</p>
-
-<p>
-— Oh!... Guarda!...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino rise, scese dal calesse,
-chiamò:
-</p>
-
-<p>
-— Michele?... O, Michele?...
-</p>
-
-<p>
-Il garzone uscì dalle stalle e prese in consegna
-la ronzina.
-</p>
-
-<p>
-— Aspetta, — disse Serafino. — Ho qui
-qualche cosa.
-</p>
-
-<p>
-E si chinò a togliere dal cassetto del calesse
-alcuni suoi involti.
-</p>
-
-<p>
-— E quella che roba è? — domandò la Bita.
-E padron Serafino, infilando l’uscio di casa:
-</p>
-
-<p>
-— Toh!... Sono i marenghi!
-</p>
-
-<p>
-La Bita scrollò le spalle. Gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Più invecchiate e più rimbecillite!
-</p>
-
-<p>
-— Già!... Io rimbecillisco, ma tu non canzoni!...
-</p>
-
-<p>
-Poi, dopo aver posato gl’involti su la tavola:
-</p>
-
-<p>
-— Be’, che cosa si mangia questa sera?
-</p>
-
-<p>
-— Niente.
-</p>
-
-<p>
-— Come niente?
-</p>
-
-<p>
-— Niente, vi ho detto!... È poco, niente?...
-Niente!...
-</p>
-
-<p>
-— Sarai matta?... Ma ti sogni forse ch’io
-voglia digiunare come te?
-</p>
-
-<p>
-— Se avete fame andate all’osteria.
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino incominciava a spazientirsi.
-Si rivolse, guardò in faccia la sua donna irosa
-e rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Io non vado nè all’osteria, nè all’albergo,
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-nè.... Basta!... Io sono in casa mia qui; e voglio
-mangiar qui!... O che storie sono queste?
-</p>
-
-<p>
-E la Bita ironicamente:
-</p>
-
-<p>
-— Perchè non mangiate i vostri allievi?
-</p>
-
-<p>
-— Non t’impensierire, chè domani sarà
-fatto!... E non sarò solo alla festa!...
-</p>
-
-<p>
-— Come?... Domani.... ammazzate?...
-</p>
-
-<p>
-— Proprio così!... Domani ammazziamo!...
-</p>
-
-<p>
-— Dunque volete farmi tutti i dispetti possibili?
-</p>
-
-<p>
-— Prendila come vuoi!
-</p>
-
-<p>
-— Vi siete giurato di romperla?
-</p>
-
-<p>
-— Romperla o no, io voglio così e così deve
-essere!
-</p>
-
-<p>
-— Peggio di una serva mi trattate!... Ma la
-vedremo!... Oh, la vedremo come finirà!...
-</p>
-
-<p>
-Allora padron Serafino si rivolse, levò la mano
-chiusa con l’indice teso e incominciò:
-</p>
-
-<p>
-— Stammi a sentire, moglie....
-</p>
-
-<p>
-Ma in quel che era per catechizzare la recalcitrante
-compagna, ecco aprirsi la porta ed entrare
-i tre norcini. Il capomaestro, magro e brucato
-come l’erbaio delle capre, si fece innanzi
-e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Siamo venuti.
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino lo sbirciò in tralicio.
-</p>
-
-<p>
-— Siete venuti?... O che l’alba spunta alle
-nove di sera quest’oggi?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-</p>
-
-<p>
-E il capomaestro:
-</p>
-
-<p>
-— Abbiamo pensato che ne avevate tre, padrone;
-e siccome si voleva fare il nostro lavoro
-a modo, e posdomani siamo impegnati, si lavorerà
-tutta la notte.
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino guardò involontariamente la
-donna sua, ma questa gli volse le spalle grugnendo
-ed uscì.
-</p>
-
-<p>
-— Sta bene, — disse il grosso fattore, e si
-fregò le mani. — Sta bene. Allora all’opera!
-</p>
-
-<p>
-I norcini deposero gli arnesi su la tavola, si
-tolsero la cacciatora, vestirono i grandi grembiuli
-insanguinati.
-</p>
-
-<p>
-— Siamo pronti, — disse il capomaestro. — Ora
-chiamate i garzoni che accendano il fuoco.
-</p>
-
-<p>
-Animati dalla speranza di un pasto succolento,
-i garzoni accatastarono in breve, vicino al focolare,
-una montagna di sarmenti. Fu sgombrata
-la camera dagli oggetti inutili. Si fece posto al
-troppolo, a una gran tavola, al sacco del sale
-e furono fissate alle travi lunghe corde terminate
-da ganci.
-</p>
-
-<p>
-Il capomaestro dirigeva l’opera. Quando tutto
-fu compiuto, afferrò l’acuminato punteruolo e
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo.
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino e i compagni gli tennero dietro.
-La cucina chiareggiava per la fiammata altissima.
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-Poco dopo i tre <i>allievi</i> di padron Serafino
-empirono la notte delle loro urla laceranti
-e l’olocausto al Dio della fame fu compiuto.
-</p>
-
-<p>
-La Bita era scomparsa, ma nessuno si occupò
-di lei. I norcini e gli uomini della casa erano
-troppo intenti a sparare e a governare i tre monumentali
-<i>allievi</i> di padron Serafino perchè avesser
-la mente ad altro; nè si addiedero del cupo
-abbaio dei mastini, chiusi in fondo all’aia, nella
-capanna dell’aratro. Sopraggiunsero le genti del
-vicinato. Si fermarono sulla soglia battendo i
-piedi e disviluppandosi dalle mantelle.
-</p>
-
-<p>
-— Che si fa lo sdrucio? — chiedevano.
-</p>
-
-<p>
-E padron Serafino:
-</p>
-
-<p>
-— Chi vuol mangiare, lavori!...
-</p>
-
-<p>
-Finirono per essere una ventina all’opera.
-Chi tagliava, chi tritava, chi insaccava, chi struggeva
-la stillante grascia, chi si arrovellava agli
-strettoi a fare i pani di ciccioli, chi, lasciata la
-mannaia sul troppolo, affondava le braccia nel
-sacco del sale o drogava il rosso tritume cosparso
-di grasselli, chi cuoceva i mallegati negli
-enormi paiuoli, chi apprestava la rosticciana e
-i migliacci chi adunava le setole, chi i zampetti,
-le cotenne, il grugno e le gote a far la soppressata.
-Era un rumoroso tramestio interrotto a
-quando a quando dal grido di gioia che si leva
-allorchè si dilemba e si assolca la terra; o quando
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-si accorolla la paglia in tumulto e la bica è disfatta.
-Per l’indomani padron Serafino aveva
-convitato i parenti, i vicini, gli amici a far la
-festa dei migliacci, e il pantagruelico pasto,
-inaffiato dai vini migliori della fattoria, accendeva
-il desiderio degli uomini accorsi a prestar
-mano all’opera gioconda.
-</p>
-
-<p>
-I mastini continuavano a latrare sordamente.
-La Bita non si vide più.
-</p>
-
-<p>
-Or come la notte fu verso il suo termine, la
-stanchezza vinse l’operosa brigata e fu deciso
-che tutti avrebber riposato un par di ore. Ognuno
-riprese la propria mantella ed uscì dopo aver
-fissato l’ora della ripresa.
-</p>
-
-<p>
-Ultimi ad andarsene furono i norcini e padron
-Serafino: quelli entrarono nella stalla, questi salì
-alla sua stanza. Quando fu al termine delle scale,
-accese un fiammifero ed aprì cautamente la porta
-per non ridestare la Bita, ma la precauzione fu
-inutile perchè la Bita non c’era e il letto era
-intatto. Non vi pensò più che tanto. Era stanco,
-aveva sonno. Si tolse le scarpe e la cacciatora,
-s’infilò sotto le coltri e, dopo un minuto, dormiva.
-Ma non tanto dormì chè, di repente, balzò
-sul letto, sbalordito dall’affannosa chiamata del
-capomaestro;
-</p>
-
-<p>
-— Padrone.... padrone.... scendete che hanno
-aperto la porta, e i mastini....
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Eh? — gridò Serafino. — I mastini?....
-</p>
-
-<p>
-— Sono entrati in cucina....
-</p>
-
-<p>
-— In cucina?...
-</p>
-
-<p>
-— È un guaio!... Un guaio!...
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino scese il letto e così in pedùli
-traversò la stanza e si gettò giù per le scale.
-</p>
-
-<p>
-Quando vide il disastro, si portò le mani ai
-capelli, senza far parola. Anche i tre norcini
-guardavano, allibiti. Durante il loro sonno qualcuno
-aveva disciolto i mastini e aveva aperto
-l’uscio della cucina. Le bestie affamate non
-avevano chiesto di meglio per darsi alla devastazione.
-Ora non rimaneva di tutta la faticata
-opera notturna se non uno sconcio tritume sparso
-qua e là per terra, sulle tavole, presso la cenere
-del camino.
-</p>
-
-<p>
-Il giorno non era nato ancora. Appena si vedeva
-un po’ di chiarinella all’estremo levante. E
-nevicava; nevicava a dolco, a fiocchi serrati, fra
-un grande silenzio. Ed ecco che, dal silenzio,
-all’improvviso si levò, leggero e delicato, un
-canto di voci argentine di bimbi e di fanciulli.
-Giungeva dall’altro lato della corte, dove erano
-i magazzini e le stanze disabitate nelle quali
-dormivano i braccianti alla buona stagione.
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino si inorecchì, volse il capo,
-domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Che cos’è questo?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-</p>
-
-<p>
-I tre norcini si strinsero nelle spalle senza rispondere.
-</p>
-
-<p>
-Il canto si levava, con nostalgica dolcezza,
-dal gran silenzio, e pareva lontano, pareva attraversasse
-tutto il cielo per giungere fin là, o
-superasse le volte di un chiuso tempio deserto.
-Era un’aria antichissima, un motivo liturgico,
-sacro a Natale ed ai fanciulli dai tempi dei
-tempi.
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino mormorò:
-</p>
-
-<p>
-— Cantano la pastorella!
-</p>
-
-<p>
-E i tre norcini:
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-Nella nuova pausa si udiron le parole del canto:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo,</p>
-<p class="i01">E vieni in questa grotta al freddo e al gelo....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Padron Serafino non rifiatava, le braccia penzoloni.
-Entrò Michele, il garzone. Serafino gli
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— Dov’è la Bita?
-</p>
-
-<p>
-Michele rise e disse:
-</p>
-
-<p>
-— È nei magazzini. È tornata un’ora fa.
-Aveva con sè una ventina di marmocchi. Non
-li sentite cantare?
-</p>
-
-<p>
-— Sì. Anche questa è una novità!
-</p>
-
-<p>
-E Michele:
-</p>
-
-<p>
-— Si preparano per la notte di Natale.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-</p>
-
-<p>
-— E c’è bisogno di prepararsi proprio all’alba?...
-Sul più bello del sonno?... E i mastini
-chi li ha preparati?...
-</p>
-
-<p>
-Michele si volse da un altro lato.
-</p>
-
-<p>
-— Quando sono andato a letto avevo ben
-chiusa la porta, io!... Chi l’ha aperta?
-</p>
-
-<p>
-Eguale silenzio.
-</p>
-
-<p>
-— E chi ha sciolto i cani dalle catene?
-</p>
-
-<p>
-Michele scoppiò in una risata improvvisa.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè ridi, stupido?
-</p>
-
-<p>
-— Rido.... perchè.... la Bita....
-</p>
-
-<p>
-— L’hai veduta?
-</p>
-
-<p>
-— Sì....
-</p>
-
-<p>
-— E perchè non sei venuto a destarmi?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè?... Perchè c’è stata lei a far la
-guardia!...
-</p>
-
-<p>
-— Va bene.
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino non perse la calma. Ordinò
-a Michele e ai due norcini di salvare dal disastro
-ciò che ancóra era salvabile e di riordinare
-tutto e di non far parola come se nulla fosse
-stato; poi, afferrato un punteruolo robusto, si
-volse al capomaestro e gli disse:
-</p>
-
-<p>
-— Vieni con me.
-</p>
-
-<p>
-E uscirono. Michele ed i norcini si guardarono
-in faccia:
-</p>
-
-<p>
-— E adesso che succede?
-</p>
-
-<p>
-Sempre si udiva il dolce canto giungere per
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-l’aria come se discendesse con la neve dall’infinita
-pallida foschia.
-</p>
-
-<p>
-— Ho paura che succeda qualcosa di grosso! — fece
-Michele; ma in quel che si avvicinava
-alla finestra per guardar nella corte, ecco rientrare
-padron Serafino, seguito dal capomaestro
-e da Luigi, il biolco.
-</p>
-
-<p>
-— Presto, presto!... — gridò Serafino. — Tu,
-Michele, va, attacca la cavalla e verrai con noi.
-E tu, Luigi, prendi il morello e gira per tutte le
-case, per tutti i ritrovi e invita uomini, donne,
-preti.... chi conosci e chi non conosci.... invita
-chi incontri: poveri e ricchi, contadini, braccianti,
-cacciatori, pescatori.... tutti, insomma!...
-Hai capito?... Tutti!... Devi dire che padron Serafino
-ha vinto al lotto e vuol dare una gran
-festa.... un festone stragrande!... E che riempirà
-di tavole imbandite tutta la casa, fino alle cantine....
-e che non guarderà in faccia nè ad amici
-nè a nemici perchè vuol stare allegro.... perchè
-vuol ridere e vuole che tutto il vicinato goda
-con lui! Hai capito?... E non dimenticarti dei
-suonatori! Vogliamo ballare, vogliamo!... Hai
-capito?...
-</p>
-
-<p>
-Poi, senza attendere risposta, si volse ai norcini,
-e parlava affollato come se l’affanno fosse
-per soffocarlo:
-</p>
-
-<p>
-— E voi accendete i fuochi, qui e nella stanza
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-delle pile. Fate tutto alla grande! Eccovi cento
-lire!... Se non c’è sale, compratene; se non ci
-sono droghe, compratene. Quando ritorno voglio
-trovar tutto all’ordine. Se vien gente dite
-che aspetti. — Luigi?... Senti. Prima di andar via,
-aggioga i buoi al carro.... chiama Pietro e digli
-che li conduca dai Fiori, che ne avrò bisogno.
-Presto dunque!... Presto!... Non state lì a guardarmi
-come tanti mammalucchi!... Oggi si vuol
-far ribotta, oggi!... Dev’essere uno sdrucio, da
-ricordarsi negli anni!... Andiamo.... Andiamo!...
-</p>
-
-<p>
-E uscì seguito dal capomaestro. La ronzina
-li attendeva nella corte: salirono sul calesse e
-partirono fra la neve senza che nessun rumore
-si avvertisse; solo si udiva il canto dei fanciulli
-dai magazzini:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Anche Luigi partì e Pietro col pesante carro
-vermiglio. I norcini accesero i fuochi. Incominciarono
-a giungere gli invitati, ma la neve attutiva
-ogni rumore e nessuno levava la voce
-tuttavia.
-</p>
-
-<p>
-Quando padron Serafino ritornò, dietro il
-carro nel quale giacevano due nuovi <i>allievi</i> già
-macellati, si fermò ad ascoltare se la Bita fosse
-sempre nei magazzini. C’era sempre. Disse:
-</p>
-
-<p>
-— Bene!...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-</p>
-
-<p>
-Gli <i>allievi</i> furono portati in cucina: il carro
-fu riposto. La gente che giungeva entrò nelle
-stanze a terreno senza rifiatare per non insospettire
-la Bita.
-</p>
-
-<p>
-Michele fu posto a guardia della casa. Si era
-rimpiattato in una ceppa e, avvoltolato entro
-il suo rifugio, spiava l’uscita dei magazzini. Nevicava
-sempre. Padron Serafino non era tuttavia
-sereno. Solo si irraggiò quando Michele
-aprì la porta e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Se n’è andata?
-</p>
-
-<p>
-— L’hai veduta?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— Ha preso la via della chiesa?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— Allora è fatta!... Presto, ragazzi, diàmoci
-d’attorno. La Bita non ritornerà prima di mezzogiorno
-e a mezzogiorno le tavole vogliono
-essere imbandite!
-</p>
-
-<p>
-Rotti i freni, il baccano e il furor dell’opera
-ricominciarono come la notte innanzi. La gente
-corse da tutte le parti all’invito, chè la nuova
-si era diffusa. Più di settanta persone si trovarono
-in breve, raccolte su la faccia del luogo.
-La nativa gaiezza romagnola travolse la brigata.
-I volti s’invermigliarono, i cuori si aprirono:
-non vi fu più padrone e contadino, ma
-gente che voleva godere e ridere e star di
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-buon core sotto la faccia del cielo. E le botti
-pensarono al resto. A mezzogiorno tutto era
-compiuto. Imbandite le tavole, apprestate le vivande,
-spillati i vini negli enormi boccali a fiorami.
-Tutte le stanze a terreno rigurgitavano
-di convitati. Michele stava sempre sull’avviso
-a spiare il ritorno della Bita. Padron Serafino
-attendeva presso l’uscio e quando il garzone
-giunse correndo e mormorò:
-</p>
-
-<p>
-— Eccola, eccola!... Viene!...
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino fece il cenno convenuto e
-tutti tacquero sedendo intorno alle tavole imbandite.
-Non si udì più se non il crepitar del
-fuoco e qualche susurrare subito interrotto. Il
-grosso fattore sedeva alla tavola più grande
-avendo a lato i norcini, i suoi compagni di mercato
-e le ben pasciute donne del contado.
-</p>
-
-<p>
-La Bita entrò nella corte. Tutti allungarono
-il collo, a guardare dalle anguste finestre. Passò
-un fremito e un susurro:
-</p>
-
-<p>
-— Eccola, eccola, eccola!...
-</p>
-
-<p>
-E una trepidazione gioiosa tenne il core di
-tutti i festanti. La Bita non aveva fretta.
-</p>
-
-<p>
-Si fermò, stupita, a osservar le innumerevoli
-pediche su la neve; si accostò al canile a vedere
-se i mastini c’erano sempre; si sorprese dello
-strano silenzio che regnava. Si volse intorno.
-Piano piano si diresse all’uscio, come a malavoglia.
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-La trepidazione dei convitati si accresceva
-sempre più. Si udì smuoversi la maniglia
-dell’uscio, si vide il paletto che si levava un
-poco. Trascorsero fulminei susurri:
-</p>
-
-<p>
-— Viene!... Non viene!... Se ne è accorta....
-No!...
-</p>
-
-<p>
-Padron Serafino aveva puntato le mani alla
-tavola, nell’atto del levarsi, e stava così, rivolto
-verso l’uscio, come fosse magato.
-</p>
-
-<p>
-Poi l’uscio si dischiuse un poco, sempre un
-po’ più, lentissimamente, e la scarna figura della
-peccatrice abbrunata apparve nel vano. Ma appena
-aveva levata la faccia di sotto lo scialle
-nero, e lo stupore si dipingeva in quella, che,
-da settanta petti, contemporaneamente, sorse
-un grido formidabile;
-</p>
-
-<p>
-— Evviva, evviva la Bitaaaa!...
-</p>
-
-<p>
-La donna illividì, parve impietrirsi, non dette
-più cenno di vita. Caduto il grido, non si rimosse,
-non comprese. Ferma e rattratta sotto
-lo sguardo delle genti, non rifiatava. Allora
-padron Serafino parlò. Disse:
-</p>
-
-<p>
-— Moglie, questa gente pregherà il Signore
-per te!... — La Bita levò gli occhi cupi. — Tu
-hai avuto pietà dei cani e io ho avuto pietà
-degli uomini. Moglie, ciò che è mio è tuo e ciò
-che è tuo è mio; ma è giusto ringraziare te
-di questa ribotta, perchè ho preso i soldi dal
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-tuo canterale. Erano cinquanta bei marenghi
-nuovi di zecca. Ce li mangiamo per la tua salute!
-È giusto!...
-</p>
-
-<p>
-Poi, fra l’improvviso travolgente baccano dei
-banchettanti, che avevano disciolto ormai ogni
-freno, si udì levarsi acutissima l’aspra voce
-della peccatrice abbrunata:
-</p>
-
-<p>
-— Ladro, ladro!... Assassino!... Erano i denari
-per il mio mortorio!... Ladro.... ladro....
-ladro!...
-</p>
-
-<p>
-Ma poco valse la sua pena, di fronte al giocondo
-irrompere delle genti che le sovrastavano
-berciando, ed ella si raccolse in un angolo, il
-volto celato nelle volute del suo nero zendado,
-e così stette singhiozzando senza rimuoversi
-per quanto tempo durò l’allegra festa dei migliacci.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span></p>
-
-<h2 id="madre">LA MADRE.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Girò due volte la chiave nella toppa, aprì la
-finestra sul giardino, respirò l’aria nuova, si
-irraggiò di sole, ristette pensosa per l’attimo
-di un suo turbamento inespresso. Era sola, si
-sentiva libera di pensare, di piangere, di ridere
-senza essere osservata, senza essere curata,
-senza l’ossessionante miseria di un egoismo
-amoroso che non le dava tregua e respiro.
-</p>
-
-<p>
-Sapeva che poco sarebbe durata anche quella
-sua momentanea pace perchè nel termine di
-una fuggevole ora qualcuno avrebbe bussato
-alla porta e una voce sommessa si sarebbe
-levata a domandar di entrare; ma frattanto poteva
-abbandonarsi a sè stessa, essere un attimo
-senza guardia e senza il sorriso di un affetto
-che a mano a mano, inattesamente e fatalmente,
-le si convertiva in odio.
-</p>
-
-<p>
-Sedette alla scrivania, guardò a lungo il sereno,
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-le rose in fiore, i comignoli dei vecchi
-tetti, le finestre delle soffitte che non si aprivano
-mai e dalle quali pendevano, ondeggiando
-al vento, le ragnatele; guardò là cima di un
-cipresso che svettava oltre la cinta di un giardino
-e lo spirito di lei, appartandosi fra le dolci
-cose consuete, distendendosi come al respiro
-del morire di quel maggio, ritornò alla sua
-gaiezza nativa, dimenticò tutto, seguì la sua
-via naturale nel sogno, poichè la vita le era
-una maledetta costrizione ed un continuo affanno.
-</p>
-
-<p>
-E dall’insolito silenzio le proveniva la sua
-gioia; sempre più si schiariva nell’abbandonarsi
-alla necessità del suo vivere. Tutto era dimenticato,
-tutto era morto e lontano e scomparso,
-proseguiva, come la nube innamorata del sole
-e del vento va per i liberi spazi secondo la
-legge delle creature lanciate dalla nascita alla
-morte. Come ogni astro ed ogni goccia di pioggia,
-ed ogni fiore cercava il suo compimento,
-costruiva la propria vita oltre il dolore e la
-morte di chi l’aveva preceduta.
-</p>
-
-<p>
-E l’umile aspetto di cui si rivestiva l’egoismo
-materno non le fu più dinanzi, nè più ricordò
-le melate parole che le predicavan la rinunzia
-per amore, nè le lacrime mute più penose
-di un’aperta volontà contraria alla quale
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-si può trovar forza per resistere come incitatrice
-di energia, nè la sorda lotta combattuta
-ora per ora, giorno per giorno in una snervante
-malinconia di opaco contrasto, di egoistica
-miseria che si infingeva rivestendosi di
-dolcezza e di bontà. Più nulla, più nulla! Il suo
-cuore era gaio come il cielo turchino, chiaro come
-un cristallo, aperto come l’ebbra rosa solare.
-</p>
-
-<p>
-La faccia appoggiata alle piccole palme dischiuse,
-gli occhi larghi sulla bionda luce del
-giardino, seguiva una dolcezza di memorie inquadrate
-in volti di paesi lontani, vissuti per
-tenerezza di amore, discoperti come all’origine
-della vita e sorrideva come se tutto le ritornasse
-dinanzi a volta a volta in una realtà più
-intensa e profonda di quella vera e s’ella si trovasse
-tuttavia, nei calessi che la trascinavano
-su pei colli verso una selva, verso un paese
-turrito, verso una città solitaria; e l’uomo amato
-le era vicino e la conduceva al limitare del
-sogno.
-</p>
-
-<p>
-Rinascevano così le parole scambiate, quelle
-più turgide d’ansia, che più si accostavano,
-come un brivido, dalla bocca al cuore e dal
-cuore a tutto il senso; e le estasi mute, e l’affannoso
-volto del piacere che occhieggiava di fra
-le siepi del biancospino come una giovine nudità
-intravveduta per cui si trema e si sogna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-</p>
-
-<p>
-E come più le memorie si affollavano, simili a
-volti di fanciulli al cancello di un giardino, più
-ella sentiva la profonda gioia della sua solitudine.
-</p>
-
-<p>
-Rilesse le ultime lettere che le aveva mandato
-da lontano e il tempo le scorreva sì rapido
-che appena le pareva di essere entrata
-nella stanza quando udì qualcuno che bussava
-alla porta.
-</p>
-
-<p>
-Ebbe un atto di impazienza; le gote le si
-arrossarono all’improvviso, volse il capo a domandare:
-</p>
-
-<p>
-— Chi è?
-</p>
-
-<p>
-Una voce umile rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Sono io!
-</p>
-
-<p>
-— Che vuoi?
-</p>
-
-<p>
-— Ti disturbo?...
-</p>
-
-<p>
-— Vorrei rimaner sola!
-</p>
-
-<p>
-Trascorse una pausa. La stessa voce riprese
-ancóra più sommessa:
-</p>
-
-<p>
-— C’è una lettera per te.
-</p>
-
-<p>
-— Una lettera?
-</p>
-
-<p>
-— Sì. L’ha portata poco fa il postino.
-</p>
-
-<p>
-Anna si levò e si fece alla porta. Apparve
-il piccolo viso dolciastro della madre.
-</p>
-
-<p>
-— Dov’è la lettera?
-</p>
-
-<p>
-— Eccola — fece la madre e gliela porse.
-</p>
-
-<p>
-Un’occhiata bastò ad Anna per capire dalla
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-soprascritta di che si trattava. Piegò la lettera
-in due e la ripose in seno.
-</p>
-
-<p>
-La madre la guardò fare senza mutar volto,
-sempre umile nella sua mansuetudine apparente.
-Fu un silenzio penoso.
-</p>
-
-<p>
-— Non la leggi? — domandò la madre.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, non è nulla di importante!
-</p>
-
-<p>
-Anna non abbandonava la maniglia dell’uscio;
-l’altra, che si era ferma sulla soglia, mosse un
-passo per entrare.
-</p>
-
-<p>
-— Chi ti scrive?
-</p>
-
-<p>
-— Non so. Forse sarà l’Angiola.
-</p>
-
-<p>
-— L’Angiola?... Non mi pare la sua calligrafia!
-</p>
-
-<p>
-— Mah!...
-</p>
-
-<p>
-Non si guardavano in faccia. La madre deviò
-il discorso, abilmente.
-</p>
-
-<p>
-— Non ti fa male agli occhi tanta luce?
-</p>
-
-<p>
-— No. Mi piace.
-</p>
-
-<p>
-— Non vuoi che ti socchiuda le persiane?
-</p>
-
-<p>
-— No, grazie!
-</p>
-
-<p>
-Le risposte di Anna erano concise e la voce
-dura. Ciò moltiplicava le pause.
-</p>
-
-<p>
-— Poco fa è venuta la signora Erminia; voleva
-vederti. Ho detto che non eri in casa.
-</p>
-
-<p>
-— Hai fatto bene!
-</p>
-
-<p>
-— Sai chi sposa?
-</p>
-
-<p>
-— No.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-</p>
-
-<p>
-— L’Amelia.
-</p>
-
-<p>
-— Ah!
-</p>
-
-<p>
-— Si è fidanzata col dottor Pini.
-</p>
-
-<p>
-La madre guardava per la stanza. Disse dopo
-una sosta più lunga:
-</p>
-
-<p>
-— Già vorrai rimaner sola!
-</p>
-
-<p>
-— Mi faresti piacere.
-</p>
-
-<p>
-Ma la signora Viani non si rimosse. Aveva sempre
-il suo sorriso di vittima sulle piccole labbra
-stirate e gli occhi malinconicamente umidi.
-</p>
-
-<p>
-Disse ancora:
-</p>
-
-<p>
-— Aspetta, Anna. Questa mattina non ti
-hanno cambiato gli asciugamani. Ora li prendo io.
-</p>
-
-<p>
-— Non importa, mamma.
-</p>
-
-<p>
-— Non vuoi?
-</p>
-
-<p>
-— È inutile. Ora non mi abbisognano.
-</p>
-
-<p>
-— Ma.... se più tardi....
-</p>
-
-<p>
-— Fra poco scenderò.
-</p>
-
-<p>
-— Come vuoi!
-</p>
-
-<p>
-Come si addiede di non poter scegliere via
-che la conducesse al suo porto, la signora Viani
-si ritrasse di su la soglia.
-</p>
-
-<p>
-— Allora ti aspetterò giù.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, mamma.
-</p>
-
-<p>
-— Tarderai molto?
-</p>
-
-<p>
-— No.... Qualche minuto.
-</p>
-
-<p>
-— Non vuoi uscire questa mattina?... C’è
-tanto un bel sole!...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Non ne ho voglia.
-</p>
-
-<p>
-— Bene.
-</p>
-
-<p>
-E si volse per andarsene. Anna richiuse la
-porta, attese che il passo della madre fosse dileguato
-giù per le scale e allora girò per due
-volte il chiavistello e respirò sollevata.
-</p>
-
-<p>
-Tornò allo scrittoio. Il volto di lei si distese,
-animato da una segreta gioia improvvisa, tolse
-la lettera dal seno, l’aprì. E non erano parole
-scritte ch’ella aveva dinanzi, ma il volto del
-suo amore e l’udiva parlare appassionato come
-se le fosse dietro le spalle, inchino, e la bocca
-di lui le sfiorasse le orecchie e il respiro le
-scendesse per le tempie e per le gote per farla
-abbrividire. Si udivano i passeri e le rondini.
-</p>
-
-<p>
-Cigolò la carrucola di un pozzo; una donna
-cantò il fior dell’arche odorose che si dischiudono
-per i letti dei giovani quando l’amore
-consiglia.
-</p>
-
-<p>
-Oh amore e gioia! E c’era una nuvola bianca
-ed esigua su l’orlo del giardino, là dove il
-cielo si chinava presso una nera torre quadrata,
-fiorita da ciuffi di ranuncoli. Le glicinie
-erano in fiore. Avevano coperte le mura dei
-loro corimbi azzurri e violacei; molli come il
-molle cielo. Ne erano quasi chiuse le finestre
-delle camere disabitate e i colombai. Anche le
-vecchie mura di rossi mattoni godevano del
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-sole e della primavera e le bifore chiuse da
-tanti mai anni; chiuse con lo spirito di una
-bellezza morta.
-</p>
-
-<p>
-Ed ella benchè non vedesse, assorta com’era
-nel suo léggere amoroso, sentiva l’anima delle
-cose circostanti irraggiarsi come l’anima sua,
-nel mattino, chè tutto compiace a giovinezza.
-</p>
-
-<p>
-E ancora udì bussare alla porta. Nascose la
-lettera nel seno; si levò. Era la madre con un
-fascio di fiori. Disse:
-</p>
-
-<p>
-— Ti ho portato i fiori per i tuoi vasi. Questa
-mattina non li avevi raccolti.
-</p>
-
-<p>
-— Grazie!
-</p>
-
-<p>
-Li prese e li posò sopra una sedia.
-</p>
-
-<p>
-— Ti occorre nulla?
-</p>
-
-<p>
-— No.
-</p>
-
-<p>
-— Non vuoi bere una tazza di brodo?
-</p>
-
-<p>
-— No, grazie.
-</p>
-
-<p>
-— Te l’avevo preparata!... Anna, ti indebolirai.
-</p>
-
-<p>
-— Ma se mi sento bene!
-</p>
-
-<p>
-— Non vuol dire!... Dunque non la vuoi?...
-Te l’ho portata!... È qui!...
-</p>
-
-<p>
-— No, mamma, non la voglio!...
-</p>
-
-<p>
-— Via.... ubbidisci! Ti farà bene!...
-</p>
-
-<p>
-Prese la tazza e la posò sulla sedia, vicino
-ai fiori. Le passarono per la mente i liberi
-amanti campagnoli che vanno per le strade
-morte, in solitudine, e nessuno li turba, e nessuno
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-li insidia e nessuno guasta loro la segreta
-gioia dell’amore.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque non vuoi uscire?...
-</p>
-
-<p>
-— No.
-</p>
-
-<p>
-— Ti farebbe bene prendere un po’ d’aria!
-</p>
-
-<p>
-— Non ne ho bisogno.
-</p>
-
-<p>
-— Come sei rossa!... Che cos’hai?...
-</p>
-
-<p>
-— Io?... Niente!...
-</p>
-
-<p>
-— Hai avuto qualche brutta notizia?
-</p>
-
-<p>
-— No.... perchè?...
-</p>
-
-<p>
-— Mi sembri agitata!
-</p>
-
-<p>
-— Ti inganni.
-</p>
-
-<p>
-— Chi ti ha scritto?...
-</p>
-
-<p>
-Fu per mentire, ma l’anima sua diritta si ribellò
-a una simile meschinità. Non rispose.
-</p>
-
-<p>
-— Non si può sapere?... — riprese la madre
-sorridendo, e gli occhi suoi malinconici erano
-ancora più umidi.
-</p>
-
-<p>
-— Se proprio lo desideri!
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— È Armando!
-</p>
-
-<p>
-— Come?... Ancóra?...
-</p>
-
-<p>
-— Ancóra?...
-</p>
-
-<p>
-— E ha avuto il coraggio....
-</p>
-
-<p>
-— Ha risposto semplicemente a una mia
-lettera!...
-</p>
-
-<p>
-— Tu gli hai scritto per prima?...
-</p>
-
-<p>
-— Sì!...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Anna!... Se lo sapesse tuo padre!
-</p>
-
-<p>
-— Lo saprà perchè glie lo dirò!
-</p>
-
-<p>
-— Non farlo, per carità!
-</p>
-
-<p>
-— Babbo saprà capirmi ed io non voglio
-mentire!...
-</p>
-
-<p>
-— Ma le tue promesse?...
-</p>
-
-<p>
-— Io non ho promesso nulla!
-</p>
-
-<p>
-— I tuoi pianti?...
-</p>
-
-<p>
-— Dovevi capire perchè piangevo!
-</p>
-
-<p>
-— Oh, Anna!...
-</p>
-
-<p>
-E delle mani grinzose si fece velo alla piccola
-faccia. Parve incerta se scoppiare in singhiozzi.
-Si trattenne.
-</p>
-
-<p>
-— Mi fai leggere quella lettera?...
-</p>
-
-<p>
-— Questo no!
-</p>
-
-<p>
-— Almeno dimmi quello che ti dice!
-</p>
-
-<p>
-— Neppure!...
-</p>
-
-<p>
-— Rispondi così alla tua mamma?...
-</p>
-
-<p>
-Anna si volse a guardare da un’altra parte,
-tutta bianca per l’emozione.
-</p>
-
-<p>
-La signora Viani raumiliò la debole voce e
-disse sospirosa:
-</p>
-
-<p>
-— Questa è la ricompensa per il bene che
-ti voglio!...
-</p>
-
-<p>
-Allora la giovinetta si volse di scatto, guardò
-la madre in faccia, fieramente, e d’un tratto si
-abbattè sulla scrivania, la faccia nascosta fra le
-braccia ripiegate.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Oh, mamma, mamma, mamma!...
-</p>
-
-<p>
-Fu un pianto represso ed aspro elle la scosse
-e la sconvolse.
-</p>
-
-<p>
-E la madre chinò la piccola testa e uscì silenziosamente
-senza chiuder la porta.
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-Ed eran due anni che la sorda lotta continuava
-così, senza nessuna pietà, ordita sulla
-trama di una tenerezza opprimente. Da un lato
-la madre a moltiplicare le attenzioni, i consigli,
-le scialbe dolcezze in un vigile affetto sospettoso,
-dall’altro Anna a difendere il suo fiero
-amore dall’insidia quotidiana. Perchè non v’era
-causa valevole che si opponesse al compimento
-di due destini se non il materno egoismo.
-</p>
-
-<p>
-Armando Vada era inviso alla buona madre
-solo per ciò che lo distingueva dai suoi coetanei.
-Non era una bestia da soma, non un uomo
-di famiglia, chè non voleva imbrancarsi e marcire
-nei piccoli cerchi delle piccole famiglie; non
-amava gli impieghi nè la beata tranquillità di
-un tanto al mese, nè la parca mensa che abbrutisce
-lo spirito fra lo scemo pettegolezzo
-quotidiano e il dominio delle stupide femmine
-che hanno il còmpito di ricondurre l’uomo alla
-sua greppia, alla sua condanna, alla morte di
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-ogni luce ribelle. I discorsi di lui avevano
-stordito l’umile signora Viani la quale se ne
-era fatta come un anticristo, ma, ancor più di
-tutto questo, l’aveva spaventata l’idea di perdere
-la sua Anna per sempre chè Armando Vada
-non nascondeva il suo intendimento di andarsene
-in paesi lontani ad esplicarvi la propria
-energia in una lotta dalla quale, se si esce
-trionfatori, si coglie una ben larga messe. E
-non tanto il rischio la spaventava quanto l’idea
-di non vedersi più d’attorno la sua bella figlia.
-Anna era bella, lo dicevan le genti, lo dichiaravano
-gli innumerevoli innamorati e di tale
-bellezza la piccola madre andava orgogliosa
-come di un vezzo di grazia per la sua vecchiaia,
-come di qualcosa che le spettava per giusto
-diritto e da cui non doveva mai separarsi. La
-sua vanità egoistica si era terribilmente serrata
-intorno alla figlia e ribadita in apparenza
-di affetto.
-</p>
-
-<p>
-Da quando Anna aveva incominciato ad essere
-qualcosa più di una bimba, la dolce madre,
-per farne un campione di bellezza, l’aveva
-ornata e addobbata come un altare, sol per
-sentirsi dire: — Com’è bella!... — e veder la
-gente soffermarsi lungo la strada e l’invidia
-negli occhi delle giovinette. E da quel tempo
-l’assiduità sua intorno alla figlia si era moltiplicata.
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-Anna non aveva avuto nè un giorno
-nè un’ora di libertà, non aveva conosciuto
-amiche. A venti anni non ancóra le era stata
-concessa una stanza nella quale raccogliere
-il suo lettuccio, le sue cose, i suoi sogni; dormiva
-tuttavia col babbo e la mamma come una
-piccola mocciosa senza intendimento, piena di
-terrori notturni. E il giorno in cui si impose
-e parlò alla madre della sua vergogna di esser
-tuttavia relegata nella stanza comune, di fronte
-al babbo, senza alcuna libertà possibile; e della
-sua recisa volontà di avere una stanza per sè
-sola, vide la madre singhiozzare come se avesser
-dovuto dividersi per la vita, e la vide implorare
-e impallidire; ma non piegò ed ebbe un nido.
-Le parve allora di aver raggiunta la felicità e
-la possibilità di ricercarsi, di esser sola, di vivere
-nell’intimo dell’anima sua, secondo un irrompente
-desiderio; ma ancóra si ingannò chè,
-secondo una ossessionante tenerezza, la madre
-le fu dintorno ogni dieci minuti e giungeva la
-notte, scalza, sulla punta dei piedi per darle
-un altro bacio, per raccomandarle il sonno.
-Anna incominciava a vedere in tutto questo
-qualcosa di diverso dall’affetto e non poteva
-difendersi, a volte, da un senso di invincibile
-ripugnanza. Non si risolveva in realtà in un
-trepido spionaggio quell’assiduo apparire in
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-silenzio durante la notte? E quando fingeva di
-esser presa dal sonno, perchè dunque si accostava
-alla scrittoio e frugava fra le sue carte?
-Ma come ribellarsi senza apparire cattiva, snaturata
-agli occhi di tutti? Ed ella non sapeva
-scindere tuttavia la propria condotta dal giudizio
-della gente, era troppo schiava delle consuetudini,
-l’avevano tenuta troppo avvinta per
-aver ali a un grande volo. La gente esaltava
-l’umile amore di quella madre e lo portava ad
-esempio. L’apparenza assumeva proporzioni
-eroiche e, come sempre, l’apparenza bastava
-chè, a voler indagare, si sarebbe giunti chi sa
-dove, perchè è molto raro che il sedicente amore
-non nasconda una qualche bruttura.
-</p>
-
-<p>
-Inoltre che avrebbe detto il babbo?... Anch’egli
-era stato fiero e ribelle nella sua giovinezza,
-ma poi era venuto piegandosi, si era ammollito
-sotto l’influsso della donna che si era scelto a
-compagna. Ella lo aveva vinto ed insciocchito
-con la mitezza, con la mansuetudine bestiale,
-con una specie di bontà inerte, remissiva, malinconica;
-gli aveva tolto ogni virilità assecondandolo,
-facendosi sempre più piccina, prestandogli i
-più umili servizi con pecorile accondiscendenza.
-Ed appariva buona buona buona!... di quell’idiota
-bontà che vince per forza d’inerzia e
-passa le mura e stempera il più saldo acciaio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-</p>
-
-<p>
-Anna vedeva questo benchè non ne detraesse
-giudizi, anzi tutto ciò le si convertiva in segreto
-dolore.
-</p>
-
-<p>
-Così si era svolta la vita di lei, senza nessuna
-ebbrezza fino al giorno in cui una grave
-malattia l’aveva quasi condotta alla morte.
-Quattro mesi combattuti fra l’insonnia e la
-febbre l’avevan disfatta. All’uscir di un inverno
-ella si destava come per la prima volta alla
-vita, senza memoria, pervasa dalla stessa dolcezza
-che trascorre pei limpidi cieli marzolini.
-Ma la convalescenza doveva essere lunga e per
-ristabilirsi ella doveva esulare, lasciar per qualche
-mese la sua piccola città oscura, cercare
-altri soli, altri paesi. Quando le dissero questo,
-il primo rossore le affiorò le scarnite guance
-e non vide le lacrime della madre o non le volle
-vedere. Chiuse i grandi occhi, incrociò le mani
-sul petto, stette così lung’ora, la testa affondata
-nei guanciali. Le si apriva un mondo diverso,
-una possibilità diversa, un infinito bene di sogno.
-Rinasceva in realtà e Iddio le era dinanzi.
-Ancóra non poteva parlare. Non guardava se
-non fuggevolmente la madre che era sempre
-a fianco al letto. Chiudeva gli occhi per lasciar
-vagare l’anima in un suo paradiso di freschezza.
-Quel ritorno alla vita le era come un illuminato
-stupore. Era morta e rinata. Aveva lasciato in
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-un passato remotissimo tutto il peso di mille
-cose gravi ed oscure; si ridestava con una prospettiva
-radiosa, sul principiare del marzo.
-Quando sarebbe partita e per dove? Chi l’attendeva?
-Chi le avrebbe parlato dolce?... Dove?...
-dove?... E dalla fantasia le nascevano terre sconosciute
-per le quali si figurava di andare divinamente
-sola, fra l’amor delle cose ebbre di
-luce, sotto il canto delle allodole.
-</p>
-
-<p>
-Paesi lontani, case tinte dall’aurora fra giardini
-di melograni, strade azzurrastre e sentieri,
-viottole, colline, selve, fiumi, fontane. Il mondo
-della rondine. E per l’arco breve dei giorni
-ella pregustava la nuova gioia.
-</p>
-
-<p>
-Sapeva che la madre non l’avrebbe accompagnata.
-Non si poteva per via del danaro. Sapeva
-la famiglia prescelta ad accoglierla e il
-luogo, ma tutto ciò le sembrava tanto lontano
-e tanto vago da confondersi quasi con l’irrealtà.
-</p>
-
-<p>
-Frattanto la sua giovine forza trionfava rapidamente
-sul male e il giorno giunse. Il giorno
-di una prima partenza è sempre di una bellezza
-gaudiosa. Quando uscì dalla casa, nel sole,
-quando fu alla stazione, quando vide giungere
-il treno tacque e sorrise; sorrise sempre senza
-che il malinconico aspetto della madre in lacrime
-la turbasse o la preoccupasse.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-</p>
-
-<p>
-Troppe ed inconsulte erano state le lacrime
-della madre perchè ella ne fosse presa. Poi
-era la sua volta. Dopo tanti sogni partiva verso
-l’ignoto e il commovimento da cui era invasa
-dominava e allontanava ogni altro amore.
-</p>
-
-<p>
-La chiusero in un compartimento per signore
-sole, la raccomandarono al capo treno e i consigli
-e le prediche non avevan più fine.
-</p>
-
-<p>
-Anna ascoltava senza capir nulla, dicendo
-sempre “sì„. Poi il treno si mise in moto ed
-ella vide la sua piccola madre abbrunata agitare
-il fazzoletto e portarselo agli occhi; la vide
-incamminarsi dietro al treno, protendere la
-faccia sparuta, piangere disperatamente. Perchè
-mai tanto dolore? Ed era solo dolore? Si separavano
-forse per la morte? Quando si ritirò
-dal finestrino non pensò più ad altro se non
-alla sua felicità e il ricordo di quel viaggio le
-fu poi sempre come un sogno vissuto portentosamente.
-Giunse alla città destinata verso il
-crepuscolo. Il treno si fermò ad una piccola
-stazione fiorita sul Lago Maggiore. Era l’aprile.
-</p>
-
-<p>
-Un brusìo festoso di gente che si avviava
-alle armoniose ville del Lago; una dolce luce
-per tutte le montagne e su l’acqua azzurra; una
-stazione gaia come un ritrovo d’amore. Trovò
-coloro che l’attendevano, li seguì stordita,
-senza parlare, e per quella sera non vide e non
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-seppe se non le montagne serene, una strada
-fra i giardini e la sua cameretta sul lago.
-</p>
-
-<p>
-Poi si ridestò. Fu anche per lei l’attimo in
-cui si vive la vita come un prodigio e non moriron
-dieci giorni ch’ella era innamorata.
-</p>
-
-<p>
-Non fu una cosa improvvisa. Si rividero laggiù,
-per caso, ma già si eran conosciuti fanciulli nella
-città nella quale erano nati. Nè l’uno fu più sorpreso
-di incontrare l’altra, nè la loro gioia si misurò
-su ritmi dissimili. Si piacquero, si amarono e decisero
-il loro destino. Egli doveva andarsene in
-America, avrebbero sposato innanzi di partire.
-</p>
-
-<p>
-Quaranta giorni trascorsero e l’incantesimo
-finì. Anna doveva ritornare. Riprese la strada
-come se discendesse verso il buio, verso una prigione
-che un mese di libertà le rendeva più intollerabile.
-Sentì allora di non poter amare sua madre.
-A volte la ribellione di lei giungeva fino al
-pensiero di andarsene lontana per sempre. Ma la
-speranza si abbranca ai minimi segni e pensava
-ancóra che i suoi avessero potuto assecondarla.
-</p>
-
-<p>
-Armando era partito due giorni prima per
-far la domanda ai legittimi proprietari di Anna;
-ella, giungendo, avrebbe trovata la decisione
-stabilita. Credendo ancóra di valer qualcosa
-nell’atto in cui doveva compirsi il proprio destino,
-scrisse alla madre e al padre una lettera
-appassionata per prevenirli, per dir loro quale
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-era l’anima sua e il suo desiderio, ma a volta
-a volta il dubbio vinceva la speranza.
-</p>
-
-<p>
-Attese invano un telegramma di Armando;
-partì scorata.
-</p>
-
-<p>
-Dopo un interminabile viaggio trovò alla stazione
-la madre, delirante in una convulsiva
-gioia lacrimosa e il buon padre più rinsciocchito
-che mai. Innumerevoli i baci e gli abbracci.
-C’era tutto il parentado strillante, ululante
-per la gran gioia. Una barocca fiera di
-esultanza. E fra la tempesta delle domande,
-dei baci, degli abbracci, delle lacrime, delle carezze
-fu trascinata via senza capir più nulla.
-Come le apparve orrendo il volto di quella
-gioia canina!... L’avevan <i>ripresa</i> finalmente!...
-Era ritornata all’adiaccio fra le altre pecore, fra
-tutte le pecore matte del suo parentado!... Era
-tornata sotto le amorose grinfie de’ suoi tutori
-e forse non se ne sarebbe dipartita mai più!...
-E d’improvviso tanto fu forte la sensazione di
-tale realtà che ruppe in un pianto improvviso.
-</p>
-
-<p>
-La signora Viani le si strinse al braccio:
-</p>
-
-<p>
-— Perchè piangi, Anna?...
-</p>
-
-<p>
-Non rispose. Risposero per lei le impennacchiate
-parenti:
-</p>
-
-<p>
-— È l’emozione, poverina!...
-</p>
-
-<p>
-— Era tanto che non ci vedeva!...
-</p>
-
-<p>
-— Piange per la gioia!... Lasciatela stare!...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Lasciatela stare!...
-</p>
-
-<p>
-La gioia, sì! La gioia sorella della morte! E
-il parentame se ne andò. Rimase sola nella stanza
-da pranzo col padre e la madre, li guardò negli
-occhi, cercò di parlare. Ma la sua piccola madre
-non le lasciò aprir bocca una volta sola: parlava
-e parlava e si faceva in quattro a toglierle di
-dosso l’ombrello, i guanti, il velo, il cappello. Pareva
-temesse di udire la voce di lei. Quando aveva
-esaurito un argomento ne cercava un altro, poi
-un altro, squadernandole innanzi lo stato civile
-di tutti i conoscenti: matrimoni, morti, adultèri,
-fallimenti, crudeltà filiali, eroismi materni, tutto
-quanto era venuta accumulando in quaranta
-giorni; e ogni dieci secondi interrompeva la narrazione
-favolosa per domandarle notizie della
-sua salute, per offrirle un brodo, una tazza di
-latte, un uovo da bere; ma di Armando non
-una parola. Si capiva che il solo nome di quell’uomo
-era l’orrenda ansia della piccola madre e
-che si profondeva ridicolmente in tal guisa solo
-nella speranza che Anna capisse e dimenticasse.
-Un attimo rimase sola col babbo e ne approfittò.
-Lo guardò fisso negli occhi, gli domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Babbo.... hai saputo?
-</p>
-
-<p>
-— Sì.... ho saputo.
-</p>
-
-<p>
-— Ebbene?...
-</p>
-
-<p>
-— Parlerai con la mamma!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Non volete?
-</p>
-
-<p>
-Fu un grido. In quell’istante rientrava la signora
-Viani. Si fermò stupita, domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa è stato?...
-</p>
-
-<p>
-Capì a un’occhiata del marito e ricominciò la
-petulante solfa. Anna ne era stordita. Salì alla sua
-stanza, affranta. Incominciava a intravvedere la
-verità. Di un subito fu colta da uno scoramento
-tale che si lasciò andare su di una sedia senza dir
-parola, tutta abbandonata all’angosciosa tristezza.
-Le lacrime le scendevano a coppie per la faccia impallidita.
-La signora Viani finse di non accorgersi
-nè del pianto nè dell’improvvisa tristezza della
-figliuola: continuò a parlare, sempre più animata,
-e a moltiplicare le sue tenerezze intempestive.
-</p>
-
-<p>
-Anna tacque ancóra; poi si rizzò di scatto e
-domandò, ferma:
-</p>
-
-<p>
-— Mamma, dimmi la verità!
-</p>
-
-<p>
-La signora Viani si fermò a mezzo la stanza,
-si rivolse e domandò stupita:
-</p>
-
-<p>
-— Quale verità?
-</p>
-
-<p>
-— Non farmi parlare, mamma!... Tu sai che
-cosa voglio dire!
-</p>
-
-<p>
-— Ma.... non ti capisco, bambina mia!
-</p>
-
-<p>
-— Ier l’altro è venuto qui Armando Vada....
-</p>
-
-<p>
-La signora Viani non rispose.
-</p>
-
-<p>
-— .... vi ha parlato....
-</p>
-
-<p>
-Uguale silenzio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ebbene.... che cosa gli avete risposto?...
-</p>
-
-<p>
-— Ma.... — fece l’umile creatura di bontà — io
-non c’entro!...
-</p>
-
-<p>
-— Come non c’entri?
-</p>
-
-<p>
-— No.... parlerai con tuo padre!
-</p>
-
-<p>
-Allora Anna fu presa da un aspro riso.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè ridi?...
-</p>
-
-<p>
-Per qualche tempo la convulsiva amarezza
-non le concesse di parlare. Quando l’affanno
-le si calmò un poco, disse:
-</p>
-
-<p>
-— Rido perchè il babbo mi ha risposto
-come te!...
-</p>
-
-<p>
-— Io non ne ho colpa!... — mormorò l’umile
-madre. Nella pausa che seguì ella evitò di guardare
-la figlia.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa gli avete risposto?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè parlarne? — fece la signora Viani,
-implorante.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque non dovrei saper nulla?
-</p>
-
-<p>
-— Stai tanto male con noi?
-</p>
-
-<p>
-— Che c’entra questo?
-</p>
-
-<p>
-— Pare tu non veda l’ora di abbandonarci!
-</p>
-
-<p>
-— Mamma!... Non essere ingiusta!...
-</p>
-
-<p>
-— Credevo tu ci volessi più bene!... — soggiunse
-la piccola donna, le lacrime agli occhi.
-</p>
-
-<p>
-Anna si sentiva il cuore stretto da un’amara
-tristezza. Disse a voce spenta, gli occhi fissi
-innanzi a sè, assorti in un malinconico deserto:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ti credevo più buona!...
-</p>
-
-<p>
-Un lampo di sdegno accese gli occhi della
-signora Viani, ma fu subito spento.
-</p>
-
-<p>
-— Dopo tutto — riprese — farai ciò che
-vorrai!...
-</p>
-
-<p>
-E per quel giorno Anna non ricondusse il
-discorso sul colloquio e la madre si intenerì
-sempre più nella speranza che la sua buona
-figlia avesse dimenticato.
-</p>
-
-<p>
-Nel giorno che seguì, recandosi la mattina
-nella stanza di Anna per prestarle gli umili,
-inutili servizi nei quali si esplicava tutto il suo
-amore, trovò la figlia seduta alla scrivania, pallida,
-scarmigliata, gli occhi enfiati.
-</p>
-
-<p>
-Così l’aveva lasciata la sera innanzi, così la
-ritrovava. Le si accostò piano piano, le chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Come stai?
-</p>
-
-<p>
-— Male! — rispose Anna.
-</p>
-
-<p>
-— Che cos’hai?
-</p>
-
-<p>
-— Non so!
-</p>
-
-<p>
-— Hai dormito?
-</p>
-
-<p>
-— No.
-</p>
-
-<p>
-Guardò il letto; era intatto.
-</p>
-
-<p>
-— Non sei andata a letto?
-</p>
-
-<p>
-— No!
-</p>
-
-<p>
-— Perchè?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè non ne avevo voglia!
-</p>
-
-<p>
-— Ma ti rovinerai la salute!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Poco male!
-</p>
-
-<p>
-— Anna!...
-</p>
-
-<p>
-Una pausa.
-</p>
-
-<p>
-— Se lo sapesse tuo padre!...
-</p>
-
-<p>
-Anna nascose la faccia fra le palme e ricominciò
-a piangere sommessa.
-</p>
-
-<p>
-— Ma che cos’hai?...
-</p>
-
-<p>
-— Dovresti saperlo!... — rispose la giovinetta.
-</p>
-
-<p>
-— Bambina mia.... diventi irragionevole!...
-</p>
-
-<p>
-Anna si levò, si rivolse verso la madre:
-</p>
-
-<p>
-— Mamma, gli avete detto che non volete?...
-</p>
-
-<p>
-— Ma perchè non lo domandi a tuo padre?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè tu sola hai deciso tutto!
-</p>
-
-<p>
-— Io?
-</p>
-
-<p>
-— Sì. Il babbo fa quello che tu vuoi.... Tu
-lo sai convincere.
-</p>
-
-<p>
-— Ti giuro che non gli ho parlato!
-</p>
-
-<p>
-— Non vuol dire! Avrà capito dalle tue reticenze.
-</p>
-
-<p>
-— Quali reticenze?
-</p>
-
-<p>
-— Le puoi sapere tu sola.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque non mi credi?
-</p>
-
-<p>
-— Ma io credo tutto!... Voglio sapere solamente
-quello che gli avete detto!
-</p>
-
-<p>
-— Sei ben cocciuta!
-</p>
-
-<p>
-— Non si tratta di cocciutaggine, si tratta
-della mia vita! Credo di avere il diritto di sapere
-come volete disporne.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Noi vorremmo che tu non ci abbandonassi
-mai!
-</p>
-
-<p>
-— Vorreste ch’io rimanessi sempre la vostra
-piccola figliola da condurre a spasso!
-</p>
-
-<p>
-— Anna!
-</p>
-
-<p>
-— È la verità!
-</p>
-
-<p>
-— Sei crudele!
-</p>
-
-<p>
-— Non più di quello che tu non lo sia con
-me! Ma è dunque un giuoco il mio? Ma sono
-dunque tanto trascurabile che il mio cuore e la
-mia volontà non valgano nulla in tutto questo?
-</p>
-
-<p>
-— Bada.... potresti pentirtene!
-</p>
-
-<p>
-— Di che cosa?
-</p>
-
-<p>
-— Di aver fatta la tua volontà.
-</p>
-
-<p>
-— E perchè?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè non hai esperienza.... perchè alla tua
-età si vedono le cose da un falso punto di vista!
-</p>
-
-<p>
-— Vorresti forse ch’io fossi vecchia prima
-del tempo?
-</p>
-
-<p>
-— Come rispondi!...
-</p>
-
-<p>
-— E lasciatemi la mia gioia!... Ne ho avuta
-così poca nella mia vita!...
-</p>
-
-<p>
-— Anche questo mi rimproveri?
-</p>
-
-<p>
-— Non è un rimprovero. Io vedo che il giorno
-in cui mi si apriva innanzi una strada infinita,
-in cui potevo farmi una vita mia, tu e il babbo
-vi opponete, mi respingete verso il mio passato,
-mi dite: — No, non vogliamo!... — Non posso
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-ribellarmi, ma nello stesso tempo non posso
-ubbidirvi!
-</p>
-
-<p>
-La signora Viani stupiva sempre più. Chiese
-tremando:
-</p>
-
-<p>
-— Gli vuoi tanto bene, dunque?
-</p>
-
-<p>
-Il volto di Anna ebbe un subito rossore.
-</p>
-
-<p>
-— Se gli voglio bene?... Da morirne!... Devi
-saperlo perchè è così, perchè sarà sempre così!
-Se domani vorrà ch’io lo segua, te lo dico prima,
-mamma, andrò con lui anche senza averlo sposato,
-lo seguirò senza nessuna vergogna. E
-farà di me ciò che vorrà. Nulla mi fa paura!
-</p>
-
-<p>
-— Tu faresti questo, Anna?...
-</p>
-
-<p>
-— Sì, lo farei!
-</p>
-
-<p>
-— E a noi non pensi?... Siamo dunque un
-niente per te?...
-</p>
-
-<p>
-— Ed io che cosa sono per voi?
-</p>
-
-<p>
-— Tutto!
-</p>
-
-<p>
-— Sì, fin che non vi abbandono! Se domani
-partissi senza il vostro consenso diventerei
-indegna del vostro amore!
-</p>
-
-<p>
-— Tu vuoi vedermi morta!
-</p>
-
-<p>
-— Non dire cose insensate, mamma!
-</p>
-
-<p>
-Ma la piccola madre aveva trovato il tasto
-opportuno ed insistè su quello come l’unico
-che potesse torla d’imbarazzo con onore e farle
-riacquistare il terreno perduto.
-</p>
-
-<p>
-— Sì.... vuoi vedermi morta!... È meglio ch’io
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-muoia!... Tanto sono inutile.... non servo a
-niente.... non faccio che far del male!...
-</p>
-
-<p>
-E si abbattè su di una sedia singhiozzando
-follemente; convulsa, stravolta, convinta di destare
-pietà.
-</p>
-
-<p>
-E la pietà giunse con la sua faccia spaurita,
-e attanagliò il core della giovinetta.
-</p>
-
-<p>
-L’anima generosa ed ingenua della nuova creatura,
-non resse al dolore della madre e si piegò affranta
-verso di lei. Mormorò parole di scusa, si umiliò.
-La piccola madre intese così quanto fosse opportuno
-il suo còmpito di vittima e da quel giorno
-tanto parve malata ed esausta da destare in tutti
-il convincimento ch’ella fosse presso a morire.
-</p>
-
-<p>
-Tutto il parentame si allarmò; la voce corse di
-casa in casa per la piccola città accigliata. Fu detto
-che la santa donna se ne andava perchè Iddio chiama
-più presto i buoni presso di sè; le regalarono
-una malattia nuova ogni giorno e la pallida vittima
-vestì da quel tempo le gramaglie e più non
-le tolse. Anche si parlò sommessamente di Anna.
-</p>
-
-<p>
-Qualcuno disse:
-</p>
-
-<p>
-— È una testa romantica!
-</p>
-
-<p>
-E qualcun’altro:
-</p>
-
-<p>
-— È un’ingrata!
-</p>
-
-<p>
-Il parentame materno, uno sciame di donnacole,
-vergini per l’ira di Dio, mise in circolazione
-l’ingratitudine di Anna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-</p>
-
-<p>
-E benchè i medici non riscontrassero alcuna
-malattia nella signora Viani, questa non si ritenne
-guarita mai più, e ogni tanto, a conferma
-del suo male interiore, digiunava fra la strillante
-preoccupazione della fantesca e del marito.
-</p>
-
-<p>
-Ma frattanto chi intristiva veramente era Anna.
-</p>
-
-<p>
-Armando aveva rimesso la partenza di mese
-in mese e quasi un anno era trascorso. Nulla
-era mutato nel frattempo. La signora Viani,
-superando le sue possibilità finanziarie e riempiendo
-di debiti il miser’uomo del quale si era
-impadronita, copriva di regali la figlia e piangeva
-e sorrideva e si moltiplicava per sostituirsi,
-nel pensiero di lei, all’uomo odiato che
-voleva togliergliela. Esaurì in tale còmpito tutte
-le sue scarse arti troppo ingenue. Ma la piccola
-madre aveva incrollabile la coscienza dei suoi
-diritti materni e le pareva di essere buona
-buona buona, e se lo sentiva dire tante mai
-volte dalle sorelle, dalle zie, dalle cugine, dalle
-attinenti che, nella sua piccola testa, per poco
-non si santificava al cospetto del suo Iddio
-microcefalo.
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-Aveva stabilito tutto tranquillamente, fin dal
-giorno prima, senza affrettarsi, con la precisa sicurezza
-che dànno le decisioni meditate a lungo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-</p>
-
-<p>
-Aveva nascosto la valigia nel cassetto dell’armadio;
-sapeva già, ad una ad una, le cose
-che avrebbe prese con sè.
-</p>
-
-<p>
-Nulla l’aveva tradita. Era stata anche il giorno
-innanzi, come sempre, ferma nel suo raccoglimento
-interiore, un poco triste, impartecipe alla
-scimmiesca allegria del parentame che da qualche
-mese frequentava quotidianamente la casa,
-col compito di renderla gaia.
-</p>
-
-<p>
-Nessuno aveva intravveduto in lei alcunchè
-di mutato. Era l’Annetta di sempre: imbroncita,
-coi grilli per la testa. E su questi chimerici
-grilli le zie ridanciane si divertivano un
-mondo, bofonchiando come coloro che vorrebbero
-entrare per una porta vietata e tentano
-timidamente la maniglia dell’uscio, pronte a
-ritirarsi al minimo suono.
-</p>
-
-<p>
-A sera se ne erano andate profondendosi
-in baci ed abbracci come per una separazione
-eterna. Anna non aveva detto che poche parole;
-il puro necessario.
-</p>
-
-<p>
-Salita alla sua stanza, aveva atteso tranquilla
-e indifferente le tre o quattro sorprese materne,
-serrando poi l’uscio a doppia mandata.
-</p>
-
-<p>
-Ora disponeva le cose necessarie nella valigia.
-Non era in lei alcuna emozione all’infuori
-di un’aspra volontà di agire. Era giunta a quel
-passo attraverso ad una landa squallida, per
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-un crepuscolo bigio. Aveva pianto tutte le sue
-lacrime. Era stanca, stanca di oppressione e
-di tristezza. La sua sostanza vitale cercava la
-libera vivacità dei cieli violentemente. Ella non
-avrebbe più potuto opporsi a sè stessa. Doveva
-andare. Nel buio dell’anima sua non era
-ormai se non quell’unica luce verso la quale
-si protendeva per una necessità imperiosa.
-</p>
-
-<p>
-Era giunta per vie sì lunghe al suo divisamento
-che ormai non ne provava più ansia
-nessuna. Era una cosa fatale e necessaria che
-ella compiva: o allora o mai più. Armando le
-aveva scritto: “Entro la settimana entrante
-mi imbarco. Sabato sarò a Bologna. Ti aspetto
-ancóra, dove sai. Sciegli e decidi. O col tuo
-amore o contro l’amor tuo!„. Ella aveva risposto:
-“Sabato alle dieci sarò da te„. La voce
-d’invito, precisa nella sua concisione, aveva
-trovato un subito acconsentimento risoluto.
-Tre volte l’aveva trattenuta la pietà filiale.
-Aveva sperato in una diversa via di uscita,
-ma la piccola madre, sempre che Anna avesse
-tentato ricondurla a parlar del suo amore, aveva
-dato in ismanie ripetendo la minaccia consueta
-che non aveva ormai più valore d’incubo:
-</p>
-
-<p>
-— È meglio ch’io muoia!... Ne avrete per
-poco ancóra!... Sono una disgraziata!...
-</p>
-
-<p>
-Anna si era ridotta al silenzio. E la signora
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-Viani non vedeva il consumamento della figliola,
-intenta solo a impedirle il suo radioso destino.
-</p>
-
-<p>
-Il padre non aveva avuto nè volontà, nè voce.
-Fiacco come ogni uomo caduto nel piccolo mondo
-di una femmina sciocca, imbastardito nella mollezza
-che aveva dispento in lui ogni impeto virile,
-si era appaciato in una indifferenza beota senza
-chiedere, senza indagare, senza desiderio di un
-qualsiasi convincimento profondo. E la mamercula
-aveva avuto facile campo alla sua conquista.
-</p>
-
-<p>
-Ma non nel forte cuore della vergine. La
-bell’anima combattuta decideva di sè stessa. Si
-avviava per la via del suo destino senza rivolgersi;
-gli occhi asciutti e il cuore suggellato.
-</p>
-
-<p>
-Il treno partiva alle due.
-</p>
-
-<p>
-Aveva calcolato sul sonno dei suoi.
-</p>
-
-<p>
-Per non far rumore nell’andarsene aveva
-trascelto certi suoi scarponcelli estivi che ammorzavano
-il passo.
-</p>
-
-<p>
-In breve tutto fu compiuto. Lasciò sulla scrivania
-una lettera breve indirizzata alla madre.
-L’aveva scritta da vari giorni. Aprì l’uscio lentissimamente.
-Si protese ad ascoltare. Il sonno
-faceva la casa vuota, corsa solamente da qualche
-ignoto cricchiare, da un brivido di respiro
-nell’ombra. Le sue pupille si dilatarono nella
-tenebra. Fece qualche passo nel corridoio,
-salì una scaletta che conduceva sul ripiano
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-delle scale, si accostò all’uscio della stanza
-nella quale dormivano i suoi. Nulla. Il sonno
-misterioso col suo respiro eguale nella tenebra
-densa. Ritornò sui suoi passi. Iddio la vegliava.
-Quando fu sul punto dell’estrema decisione
-ebbe un tremito al cuore. Non vi badò. Pallida
-ma ferma, socchiuse l’uscio, si accostò al
-letto, infilò il mantello, si ravvolse in un velo
-fitto. Era pronta. Ancóra ascoltò. Ebbe un tremito
-di morte ad un tratto, chè le parve di
-udire il passo della madre. Indietreggiò fino
-alla finestra. No... non era lei!... Era la sua
-paura, la sua folle paura di non potere!...
-</p>
-
-<p>
-Prese la valigia, spense il lume. Era il punto.
-Si accostò all’uscio a tentoni, lo aperse, lo richiuse.
-Ristette sulla soglia ancóra, respirando
-come chi abbia dinanzi la visione di un incubo.
-Appoggiata la mano al muro del corridoio, per
-seguire la via diritta, proseguì nell’ombra. Ora
-la tempestava dentro l’ansia di superare quel
-poco spazio, quel nulla ch’era più di una dolorosa
-eternità. Fu alla scaletta di legno, ne
-salì i gradi ad uno ad uno, sbucò nella stanza
-che immetteva nelle scale. Superata la stanza
-poteva dirsi salva. Ristette un attimo ancóra,
-abbrividì, le pareva di udire un respiro vicino.
-Qualcuno respirava di fronte a lei nella tenebra.
-Mosse un passo, poi due, poi prese la via,
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-risoluta. S’intravvedeva in fondo alle scale
-un bagliore. Erano i lumi della strada che rischiaravano
-un poco l’andito a terreno, per i
-vetri della rostra. Era la luce che l’attendeva, il
-suo ultimo porto. Avanzò ancóra, fu per uscire;
-ma, sul punto in cui stava per sbucare sulle scale,
-una voce transumanata, non sapeva se orrida di
-spavento o di ira, gridò a due passi da lei:
-</p>
-
-<p>
-— Chi è?... Chi è?...
-</p>
-
-<p>
-Indietreggiò impietrita. Sentì il cuore arrestarsi
-e tutte le vene corse da un subito gelo.
-Non rispose. Le mascelle le si inchiodarono, l’una
-contro l’altra duramente. Sentiva la faccia come
-fosse di marmo. La valigia le cadde di mano.
-</p>
-
-<p>
-E ancóra un soffio vicino e la stessa voce
-e la stessa domanda:
-</p>
-
-<p>
-— Chi è?... Chi c’è qui?
-</p>
-
-<p>
-Non rispose, non seppe il senso delle parole,
-non seppe più nulla.
-</p>
-
-<p>
-— Sei tu, Anna?... Anna, Anna?...
-</p>
-
-<p>
-Era un urlo. Poi una porta si dischiuse. La
-stanza si rischiarò.
-</p>
-
-<p>
-Stettero di fronte terrorizzati. Si guardarono
-negli occhi il padre, la madre, la vergine impietrita.
-</p>
-
-<p>
-E nessuno pianse. C’era, al di sopra di loro,
-qualcosa di più grande, di più oscuro, di più
-tragico che non fosse il loro cuore con le sue
-torve passioni.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-E gli anni passarono come un’acqua di palude,
-torbida di una putrida vita. Anna dormì
-ancora fra il padre e la madre.
-</p>
-
-<p>
-Le avevan vietata la morte per tre volte. Si
-scoraggì, si piegò, s’insciocchì poveramente
-come una cosa disfatta negli anni torbidi e fermi
-come un’acqua di palude.
-</p>
-
-<p>
-E la piccola madre sempre la pettinò alla
-mattina, innanzi allo specchio, e sempre le disse,
-come dall’alba dimenticata:
-</p>
-
-<p>
-— Come sono belli i tuoi capelli!...
-</p>
-
-<p>
-E la vestì per trarsela dietro per le vie, la
-vestì sempre più vistosamente; ma la gente
-non si volgeva ormai più, non guardava più
-la vergine insciocchita dai larghi occhi senza
-lume.
-</p>
-
-<p>
-E Anna rise, immiserita, dimentica, e si curvò
-all’Iddio microcefalo della madre, per trovare almeno
-nella cassa, almeno nella morte un fiore:
-un piccolo pallido inutile fiore che sorridesse
-al suo crepuscolo.
-</p>
-
-<p>
-E dopo tanti e tanti mai anni erano quasi
-vecchie ad un modo la madre e la figlia; e la
-buona gente ne rise e le chiamò, “le scimmie„.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span></p>
-
-<h2 id="grigia">L’ORA GRIGIA.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Ormai don Pietro viveva d’accatto e poco
-usciva e quando gli toccava di andare da un
-luogo all’altro allora il povero prete si faceva
-piccino, si accappucciava e seguiva le prode
-dei fossi senza fermarsi mai, senza rivolgersi
-mai, senza ascoltare e senza rispondere e senza
-vedere le facce grifagne de’ suoi persecutori.
-</p>
-
-<p>
-Un prete era una macchia nera in quei paesi
-di rivoluzione, e don Pietro sapeva questo.
-Egli era in peccato continuo e nessuna acqua
-lustrale poteva mondarlo della sua colpa originaria.
-E sì che se per miseria si poteva essere
-apostoli del Signore, egli era uno di questi;
-chè non aveva mai toccato prebende e
-doveva viver di un nulla come la lucertola,
-tantochè la sua vecchia serva lo chiamava:
-</p>
-
-<p>
-— <i>La furmighina del Signor!</i> (la formichina
-del Signore!).
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-</p>
-
-<p>
-E don Pietro:
-</p>
-
-<p>
-— State zitta, Costanzina, chè siamo tutti di
-un <i>alzòne</i>!
-</p>
-
-<p>
-E voleva dire: — Siam tutti pari, tutti ad
-un’altezza, tutti poveri ad un modo.
-</p>
-
-<p>
-Coltura no, non ne aveva, povero don Pietro,
-ma era vecchio di quasi ottant’anni e se
-qualcosa aveva imparato, al tempo de’ suoi
-dubbi studi, questo qualcosa si era smarrito
-per la lunga via.
-</p>
-
-<p>
-Be’, nessuno gli rimproverava la sua semplicità,
-chè le sue rarissime conoscenze erano del
-suo stesso candore.
-</p>
-
-<p>
-Costanzina, che viveva con lui da più di
-trent’anni, e qualche altra vecchia; in tutto
-quattro o cinque creature, a sommar gli anni
-delle quali si andava verso il millennio.
-</p>
-
-<p>
-L’ultimo uomo timorato di Dio che più aveva
-resistito alla bufera e gli si era mantenuto fedele
-fino all’estremo possibile, era stato Barroccio,
-il campanaro. Barroccio abitava una
-capanna su l’argine della palude, esercitava la
-pesca e la caccia di frodo, era celibe, aveva
-un sacro orror delle femmine, digiunava sei
-giorni della settimana, era balbuziente e un
-poco scemo e nessuno avrebbe potuto pensare
-mai che un tale arnese dovesse far gola agli
-uomini di partito, a coloro che dominavano le
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-campagne; eppure anche Barroccio era stato
-del numero.
-</p>
-
-<p>
-Per venti anni Barroccio aveva esercitato
-l’arte supplementaria del campanaro senza che
-nessuno lo avesse tormentato mai, perchè era
-uno di quegli uomini che non s’immischiano
-nei fatti degli altri, che non cercano compagnia,
-ma, paghi del loro silenzio, attendono
-all’opera quotidiana con metodica regolarità,
-fino alla morte. Per venti anni, percependo il
-lauto stipendio di tre lire l’anno, Barroccio
-era salito al suo campanile due volte il giorno,
-senza contare le feste, e, lanciati all’aria i tocchi
-rituali, era partito lungo le siepi senza
-scambiar parola con anima viva se non rarissimamente.
-Ed era ormai, per le genti della
-canonica e per i contadini circostanti, come
-l’ombra della meridiana che viene e va senza
-far rumore, sempre su lo stesso muro, fra i
-numeri convenuti, nel gorgo del tempo.
-</p>
-
-<p>
-Verso sera, qualche volta, don Pietro lo vedeva
-discendere dal campanile e allora gli si
-faceva incontro.
-</p>
-
-<p>
-— Come va, Barroccio?...
-</p>
-
-<p>
-— <i>Ssss.... sssi cccc.... cccampa!</i>...
-</p>
-
-<p>
-— Hai fatto buona pesca?
-</p>
-
-<p>
-— <i>Cccc.... cccosì!</i>...
-</p>
-
-<p>
-— Vuoi bere?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-</p>
-
-<p>
-— <i>Cccc.... cca no sssed!</i>... (Non ho sete!)
-</p>
-
-<p>
-— Buona sera, Barroccio.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Ffff.... ffalicia sera!</i>...
-</p>
-
-<p>
-E toccatasi la gialla <i>galosa</i> se ne andava per
-gli affari suoi atterrando gli occhi, curvo e silenzioso
-come profondasse nel nulla.
-</p>
-
-<p>
-Ebbene un bel giorno Barroccio non si vide
-più. Aspettalo all’alba, aspettalo al vespro, non
-veniva. Don Pietro mandò Costanzina a cercarlo
-e Costanzina lo trovò nella sua capanna
-sull’argine della palude.
-</p>
-
-<p>
-— Be’, perchè non venite più?
-</p>
-
-<p>
-— <i>Nnnn.... nnon vogliono!</i> — rispose Barroccio.
-</p>
-
-<p>
-— Chi non vuole?
-</p>
-
-<p>
-— <i>I ssss.... i sssucialèsta!</i>... (I socialisti!)
-</p>
-
-<p>
-— E perchè non vogliono?...
-</p>
-
-<p>
-— <i>Nnnn.... nnnon lo so!</i>...
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa ti hanno detto?
-</p>
-
-<p>
-— <i>Nnnn.... nniente!</i>...
-</p>
-
-<p>
-— E allora?
-</p>
-
-<p>
-— <i>I mmm.... i m’ha piciè!</i>... (Mi han bastonato!).
-</p>
-
-<p>
-E tale fu lo spavento del poveruomo che,
-dismessa l’arte sua canora, non solo non salì
-più sul campanile, ma nemmeno si accostò alla
-chiesa. E l’ultimo fedele era esulato.
-</p>
-
-<p>
-Don Pietro fece suonar le campane da Costanzina,
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-ma sempre più timidamente, qualche
-tocco alla sfuggita, nelle ore del giorno più
-quiete, più deserte, più innamorate del sonno.
-Allora la vecchia Costanzina si inerpicava fra
-le tele di ragno per le vecchie scale a piuoli,
-cricchianti, pencolanti, polverose e, giunta al
-piano delle campane, avvertiva (chi avvertiva
-mai?) che l’alba era nata, che il giorno se ne
-andava, che in una piccola chiesa in rovina
-un vecchio fanciullo cantava l’<i>Angelus</i> alle immagini
-del suo Dio e all’ombra de’ suoi sogni,
-o officiava solo per i morti che erano sotto il
-pavimento, ricordati dalle lapidi, vivi soltanto
-per le consuete parole incise su la pietra.
-</p>
-
-<p>
-Ma no. Per qualcuno ancora si schiudeva la
-porta del piccolo tempio, una volta la settimana,
-innanzi che fosse giorno.
-</p>
-
-<p>
-L’alba della domenica aveva le sue fedeli.
-Tre vecchie che giungevano da tre casolari
-lontani, che si incontravano per via, che indossavano,
-solo per la messa, le loro vesti migliori,
-e parlavan piano quasi fossero spiate da cent’occhi
-nemici.
-</p>
-
-<p>
-Giungevano alla porta socchiusa. Costanzina
-le aspettava. Entravano insieme scambiando
-qualche parola. Su l’altare si accendevano due
-soli ceri, proprio all’ultima ora perchè non si
-consumassero troppo, e di fronte a un crocifisso,
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-su la sacra pietra disadorna, senza fiori,
-senza candelabri, senza dorature, senza cornici
-o tovaglie, o qualcuno dei tanti arredi che adornano
-gli altari, nella più povera semplicità
-don Pietro iniziava il sacro mistero. Costanzina
-serviva la messa. Iddio le avrebbe perdonato!
-Balbettava le frasi latine malamente. D’altra
-parte fra don Pietro e lei poco sapevano che
-si dicessero, ma la fede era grande. Grande la
-fede e serena; Iddio scendeva fra di loro, nella
-chiesuola dalle pareti scalcinate, dalle imposte
-cadenti dalle quali entrava il rovaio e entravano
-le rondini in primavera. Da principio erano
-giunte con uno strido riacquistando ben presto
-la serena libertà dei cieli; ma poi si erano fatte
-più ardite e prima una, poi dieci e venti avevano
-plasmato il loro nido fra le travi scoperte.
-</p>
-
-<p>
-Costanzina se ne era accorta una mattina
-mentre era intenta a rassettare alla meglio la
-chiesuola. Avvertiva sì, da un po’ di tempo, lo
-stridere troppo frequente delle sorelle nere,
-ma non aveva pensato mai a levar gli occhi.
-Si sa, senza vetri alle imposte, in quella povertà
-estrema nella quale vivevano, non potevano
-pretendere di non aver le rondini in
-chiesa; ma quella mattina volle il caso che
-una rondine le lasciasse cadere proprio su la
-fronte come una tepida goccia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-</p>
-
-<p>
-Costanzina capì di che si trattava e si rasciugò;
-poi, levata la faccia, scoprì una novità
-fra le alte travi. Stette in vedetta, studiò meglio
-l’affar suo e potè constatare che le rondini
-avevano fatto il nido in chiesa. Per questo
-trovava tanto sudicio il pavimento e non
-le bastava mai la fatica a pulirlo!... Còlta da
-un sacro sdegno, uscì e cercò di don Pietro.
-Lo trovò nel brolo.
-</p>
-
-<p>
-— Signor parroco, venga a vedere!
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa?
-</p>
-
-<p>
-— Venga, le dico!
-</p>
-
-<p>
-— Che c’è?
-</p>
-
-<p>
-— Ma venga, santo Dio!...
-</p>
-
-<p>
-E lo prese per la veste e se lo rimorchiò
-dietro. Furono in chiesa. Costanzina tese un
-braccio verso le travi:
-</p>
-
-<p>
-— Vede?
-</p>
-
-<p>
-— No.
-</p>
-
-<p>
-— Come, non vede le rondini dove hanno
-fatto il nido?
-</p>
-
-<p>
-— Oooooh!... — fece don Pietro.
-</p>
-
-<p>
-— Bisognerà prender una scala e portar via
-quei nidi!...
-</p>
-
-<p>
-— Perchè?
-</p>
-
-<p>
-— Ma le pare, signor parroco?... In chiesa!...
-</p>
-
-<p>
-— Be’?...
-</p>
-
-<p>
-— Il sudicio che fanno!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Si pulirà.
-</p>
-
-<p>
-— Il rispetto....
-</p>
-
-<p>
-— Costanzina, bisogna essere <i>onorificati</i> della
-misericordia di Dio!...
-</p>
-
-<p>
-— Ma!...
-</p>
-
-<p>
-— Se ci sono <i>lasèli ste</i>.... lasciatele stare,
-povere bestie!... Il Signore ce le manda!...
-<i>Coiòmberi!</i>... Sono tutte <i>pudicizia</i>!... Dove volete
-trovare una bestiola più <i>inonorata</i>, più
-<i>specifica.... cm’as disal</i>.... come si dice?... più
-<i>procace</i> della rondine?... Saranno un <i>addobbo</i>,
-non le toccate.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Jèso!</i>... (Gesù!...) — fece Costanzina; ma
-i nidi delle rondini non furono tócchi.
-</p>
-
-<p>
-Così voleva don Pietro, la piccola formica
-di Dio, e così fu, chè Costanzina aveva una
-grande venerazione per il vecchio sacerdote e
-non avrebbe compita mai cosa contraria alla
-volontà di lui.
-</p>
-
-<p>
-E sta il fatto che, sotto le travi adorne di
-nidi, inginocchiate su la nuda terra, nell’ombra
-antelucana, appena vinta dal bagliore di due
-ceri, la santa domenica tre sole vecchie, le ultime,
-ascoltavano il divino mistero.
-</p>
-
-<p>
-Francesca, Palmina e Mariòla: si chiamavano
-così.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">❦</p>
-
-<p>
-E queste tre vecchie avevano l’aria di cospiratrici.
-Si levavano piano piano innanzi che il
-gallo cantasse, aprivano l’arca, si vestivano al
-buio e, imbacuccate entro le pezzuole nere a
-righe bianche, le scarpe in una mano, scendevano
-in peduli per non far rumore.
-</p>
-
-<p>
-Gli uomini dormivano; il cane, su l’aia, le
-annusava e le lasciava partire al loro cammino,
-ritornando alla sua cuccia dentro il pagliaio
-dello strame.
-</p>
-
-<p>
-Eccole all’Incrociata dell’Olmo. Erano puntuali.
-Sbucava Marióla dalla viottola dei Calza
-che Palmina era già presso la cappelletta votiva
-del quadrivio e Francesca giungeva per
-il campo dei Balestra.
-</p>
-
-<p>
-La chiesuola non era su la via maestra, era
-in mezzo ai campi, al termine di una straducola
-incassata fra siepi altissime. Vi si internavano
-tutte tre camminando a paro e parlucchiando
-della stagione, degli uomini, dei tempi
-e della loro malinconia.
-</p>
-
-<p>
-La casipola di Marióla aveva inchiodato a
-sommo dell’uscio un crocifisso nero, messo là
-da tempi immemorabili, tanto che Mariòla ricordava
-di aver sentito dire dal suo uomo che
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-la famiglia dei Travelli l’aveva trovato tale e
-quale quando era discesa dai monti al nuovo
-podere. Be’, che fastidio dava?... Non lo potevano
-lasciare al suo posto?... Nossignori!... Il
-suo figlio grande le aveva voluto dare anche
-quel dispiacere e, preso il pennato, aveva compiuto
-il sacrilegio. E Mariòla a raccomandarsi
-e il figlio a risponderle:
-</p>
-
-<p>
-— State zitta, vecchia!... Una casa che si
-rispetta non deve avere questi segni di superstizione!
-</p>
-
-<p>
-Un segno di superstizione il Signore?... <i>Jèso!</i>...
-Ma dove si andava a finire?... D’altra parte i
-castighi di Dio non mancavano: grandinate, colèra,
-guerre, ammazzamenti, rovina!... Una volta
-si stava meglio, c’era anche più rispetto pei vecchi!...
-Ma adesso chi badava ai vecchi? Non
-eran buoni neppur da bruciare!...
-</p>
-
-<p>
-E Francesca:
-</p>
-
-<p>
-— <i>Di ’e farà ’na grân vandetta!</i>... (Iddio
-farà una grande vendetta!...).
-</p>
-
-<p>
-E Palmina:
-</p>
-
-<p>
-— Questi ragazzi crescono e, ancora non
-sanno dire mamma che imparano a bestemmiare!...
-<i>Jèso!</i>... Non rispettano più niente, vengono
-su come l’erbaccia, non vogliono osservazioni
-nè consigli; che cosa diventeranno?
-</p>
-
-<p>
-E così ragionando giungevano alla chiesa,
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-trovavano Costanzina su la porta del tempio,
-disparivano.
-</p>
-
-<p>
-La cosa continuava da anni ed anni.
-</p>
-
-<p>
-Ora una mattina, e il buio era anche più
-fitto perchè era nuvolo, una mattina queste
-tre vecchie avevano svoltato per la straducola
-che conduceva alla chiesa, e andavano di
-passo uguale parlucchiando, quando all’improvviso
-videro un’ombra ferma innanzi a loro, in
-mezzo alla strada. Sostarono. Lo sconosciuto
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— Tornate indietro!
-</p>
-
-<p>
-Le vecchie sbalordite non risposero.
-</p>
-
-<p>
-— Tornate a casa, vecchie!...
-</p>
-
-<p>
-— Perchè? — fece Mariòla.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè in chiesa non si va!
-</p>
-
-<p>
-— Non si va?
-</p>
-
-<p>
-— No.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa c’entrate voi?
-</p>
-
-<p>
-— Fatemi il piacere di tornare indietro.
-</p>
-
-<p>
-— È una prepotenza!
-</p>
-
-<p>
-— È quello che è!
-</p>
-
-<p>
-— Ed io voglio andare dove mi accomoda!
-</p>
-
-<p>
-— E allora vi prenderò come una bambina
-e vi porterò a casa.
-</p>
-
-<p>
-— Chi siete voi?
-</p>
-
-<p>
-— Questo non vi interessa.
-</p>
-
-<p>
-— Lo dirò con i miei uomini.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ditelo a chi vi accomoda.
-</p>
-
-<p>
-Passò un silenzio. Francesca e Palmina davano
-di gomito a Mariòla perchè tacesse, perchè
-ubbidisse, chè tanto non c’era nulla da
-opporre contro la prepotenza di un male intenzionato.
-E le tre vecchie ritornarono umili
-per la strada percorsa e non scambiaron parola.
-Quando furono all’Incrociata dell’Olmo si
-fermarono. Lo sconosciuto non c’era più.
-</p>
-
-<p>
-— Chi sarà stato?...
-</p>
-
-<p>
-— Chi sa?...
-</p>
-
-<p>
-— Un socialista!...
-</p>
-
-<p>
-— Sì!...
-</p>
-
-<p>
-Era l’alba. Che dovevan fare? Ed ecco che
-la chiesuola lanciò un secondo timido richiamo.
-Costanzina le aspettava.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa dirà il parroco?
-</p>
-
-<p>
-— Gli avevo portato due uova, povero vecchio!
-È malato e non ha nulla da curarsi!
-</p>
-
-<p>
-— Sentite?... Suonano ancora la prima!...
-</p>
-
-<p>
-— Ci aspettano.
-</p>
-
-<p>
-E si udiva la chiamata sommessa. Pareva
-che la campana non fosse tocca da una mano,
-bensì dal vento leggero che ne movesse il
-battaglio appena, tanto che il suono, inuguale
-fra pause inuguali, fosse come il tremolio
-della foglia e l’incresparsi dell’acqua e il chinarsi
-degli steli e il moto e la voce di tutte le
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-cose che parlano e si ridestano quando l’aria
-si muove.
-</p>
-
-<p>
-Le tre vecchie presero una via traversa.
-L’ombra non c’era più. Ed anche quella domenica
-si inginocchiarono su la nuda terra,
-sotto le travi dove erano i nidi abbandonati
-delle rondini lontane.
-</p>
-
-<p>
-Ma alla prima minaccia ne seguirono altre.
-Le ultime tre fedeli del piccolo tempio in rovina
-dovevano rinunziare alla pubblica pratica
-della loro fede; se volevano pregare, pregassero
-in casa. In chiesa, no!...
-</p>
-
-<p>
-Mariòla, Palmina e Francesca lasciaron dire
-gli uomini incaniti e tacquero, ma il loro silenzio
-non fu di acquiescenza. Anch’esse erano
-della stessa razza tenace e non cedevano sì
-facilmente.
-</p>
-
-<p>
-Ora giunse la domenica e fra loro si era
-passato un accordo. Quella volta non indossavano
-la veste consacrata, anzi trascelsero la
-peggiore e presero un sacchetto ed un falcetto
-come quando solevano andar lungo i fossi a
-raccogliere la gramigna. La campana della chiesuola
-non suonò i suoi doppi. Costanzina era
-avvisata. Tanto Mariòla quanto le compagne
-non percorsero la via consueta, anzi andaron
-per strade diverse raddoppiando il cammino.
-Si erano levate più di buon’ora. L’alba pareva
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-lontana. Quando cantarono i galli si trovarono
-tutte e tre lungo il fondo di un rio come era
-convenuto. Questo rio passava sotto il cimitero
-e accanto alla chiesuola.
-</p>
-
-<p>
-Si videro appena. Era un gran buio.
-</p>
-
-<p>
-— Siete voi Mariòla?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, Francesca!
-</p>
-
-<p>
-— E Palmina?
-</p>
-
-<p>
-— Eccola.
-</p>
-
-<p>
-Incurve, guardinghe, col loro sacchetto sopra
-una spalla e il falcetto in una mano proseguirono,
-l’una dietro l’altra.
-</p>
-
-<p>
-— E se ci sono? — domandò Francesca.
-</p>
-
-<p>
-— Se ci sono raccoglieremo la gramigna — rispose
-Mariòla.
-</p>
-
-<p>
-Un cane abbaiò lontanissimamente. Si udì il
-remoto rombo di un treno. Non c’erano stelle.
-</p>
-
-<p>
-— Siamo arrivate? — fece Palmina.
-</p>
-
-<p>
-Mariòla levò la faccia e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— C’è Costanzina?
-</p>
-
-<p>
-Le tre vecchie scrutarono l’ombra.
-</p>
-
-<p>
-— Non si vede.
-</p>
-
-<p>
-— Allora son venuti e ci aspettano!
-</p>
-
-<p>
-— Non importa! — disse Mariòla.
-</p>
-
-<p>
-Si intravvedeva la siepe del cimitero. Mariòla incominciò
-a inerpicarsi lungo la sponda del rio. Andava
-carponi. Palmina e Francesca la seguirono.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-</p>
-
-<p>
-Quando potè inginocchiarsi su lo scrimolo,
-Mariòla passò il capo per un varco della siepe
-e chiamò sommessamente:
-</p>
-
-<p>
-— Costanzina?
-</p>
-
-<p>
-Nessuno rispose.
-</p>
-
-<p>
-— Non c’è! — disse Francesca.
-</p>
-
-<p>
-Mariòla si rizzò. Le altre le furono al fianco.
-Ristettero immobili, un attimo. Udirono qualche
-voce nella straducola della chiesa.
-</p>
-
-<p>
-— Li sentite? — fece Palmina.
-</p>
-
-<p>
-— Sì.
-</p>
-
-<p>
-— Sono venuti in molti.
-</p>
-
-<p>
-— Non importa.
-</p>
-
-<p>
-— Ci vogliono fischiare!...
-</p>
-
-<p>
-— E tu <i>digli</i> che fischino!
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa fate?...
-</p>
-
-<p>
-— Venitemi dietro.
-</p>
-
-<p>
-Mariòla aprì un varco ed entrò nel piccolo
-camposanto. Andarono in fila, lungo la siepe,
-senza far rumore, tutte tre incurve, tutte tre
-con lo stesso sacchetto sulle spalle e il falcetto
-in una mano. Avevano una pezzuola bianca e
-nera. Camminavano adagio, trasfigurate dall’ombra.
-</p>
-
-<p>
-Dalla via qualcuno gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Chi è?
-</p>
-
-<p>
-Le vecchie non risposero. Trascorse un silenzio
-profondo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Avete veduto? — domandò una voce
-sommessa.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa?
-</p>
-
-<p>
-— Là.... dietro la siepe del camposanto!
-</p>
-
-<p>
-— Chi è?... Chi è?...
-</p>
-
-<p>
-— Sarà l’ombra di un albero.
-</p>
-
-<p>
-— No....
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo a vedere.
-</p>
-
-<p>
-Le tre vecchie si fermarono e anche gli uomini
-si fermarono. Nessuno si mosse. Ma quando
-Mariòla aprì il cancelletto del camposanto e si
-udì lo stridore dei cardini, ed ella non fu più
-confusa alla siepe, ma chiara e paurosa nel vano,
-contro le croci e i marmi, allora si udì un urlo
-soffocato, poi il busso di una corsa sfrenata.
-</p>
-
-<p>
-Poco dopo la schiletta del campanile suonò
-i suoi doppi e i due ceri si accesero sull’altare
-dispoglio innanzi al nero crocifisso e le tre
-vecchie si inginocchiarono l’una vicino all’altra
-su la nuda terra.
-</p>
-
-<p>
-E queste tre vecchie più non furono disturbate
-finchè la morte non le chiamò ad una ad
-una, dopo don Pietro, la piccola formica di
-Dio, che già aveva seguito l’ignoto volo delle
-sue rondini verso l’eternità.
-</p>
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-INDICE</a></h2>
-
-<table class="indice">
- <tr>
- <td>&#160;</td> <td class="pag">Pag.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2">&#160;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La pace</td> <td class="pag"><a href="#pace">1</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Lo spaventa passeri</td> <td class="pag"><a href="#passeri">19</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La vigna vendemmiata</td> <td class="pag"><a href="#vignav">33</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Padre Serenità</td> <td class="pag"><a href="#padre">51</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>L’eremita</td> <td class="pag"><a href="#eremita">71</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>I violenti</td> <td class="pag"><a href="#violenti">93</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La gazza</td> <td class="pag"><a href="#gazza">107</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>L’eredità</td> <td class="pag"><a href="#eredita">137</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La festa dei migliacci</td> <td class="pag"><a href="#festa">147</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La madre</td> <td class="pag"><a href="#madre">165</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>L’ora grigia</td> <td class="pag"><a href="#grigia">199</a></td>
- </tr>
-</table>
-<hr />
-
-</div>
-
-<div class="opere">
-<p class="title">
-DELLO STESSO AUTORE:
-</p>
-
-<table class="indice">
- <tr>
- <td><i>Anna Perenna</i>, novelle</td> <td class="pag">L. 3 50</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>I primogeniti</i>, novelle</td> <td class="pag">3 50</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Il cantico</i>, romanzo</td> <td class="pag">3 50</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Gli uomini rossi</i>, romanzo</td> <td class="pag">2&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>L’alterna vicenda</i>, novelle</td> <td class="pag">3 50</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Il diario di un viandante. Dal deserto al Mar Glaciale</i>. In-8 ill., con tav. a colori</td> <td class="pag">8&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Solicchio</i>, canto d’amore. In-8</td> <td class="pag">4&#160;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Le Novelle della Guerra</i></td> <td class="pag">3 50</td>
- </tr>
-</table>
-</div>
-
-<div class="footnotes">
-
-<h2>
-NOTE:
-</h2>
-
-<div class="footnote" id="note1">
-<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>.&#160;&#160;</span><i>Battolata</i>, così si chiama in Romagna il batter
-delle gramole in ritmo, fra lunghe pause. Le gramolatrici
-usano fare la battolata per chiamar sulla sera i
-loro innamorati a convegno.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note2">
-<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>.&#160;&#160;</span>Usava in Romagna, fino a qualche anno fa, che un
-amante abbandonato, per vendicarsi pubblicamente dell’incostanza
-della propria innamorata, al tempo della
-gramolatura della canapa, si recasse all’aia nella quale
-si trovava la sua bella ed ivi giunto gridasse il nome
-di questa facendolo seguire da due colpi di fucile. Tali
-colpi costituivano le così dette <i>corna</i> ed erano per la
-ragazza un tale sfregio che il capoccio della casa si affrettava
-a <i>guastare</i> sparando un terzo colpo.</p>
-</div>
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>LA VIGNA VENDEMMIATA</span> ***</div>
-<div style='text-align:left'>
-
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- of the Project Gutenberg License included with this eBook or online
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-</blockquote>
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-forth in Section 3 below.
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-1.F.
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-or any Project Gutenberg&#8482; work, (b) alteration, modification, or
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-Defect you cause.
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg&#8482;
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; is synonymous with the free distribution of
-electronic works in formats readable by the widest variety of
-computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
-exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
-from people in all walks of life.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Volunteers and financial support to provide volunteers with the
-assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg&#8482;&#8217;s
-goals and ensuring that the Project Gutenberg&#8482; collection will
-remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
-Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
-and permanent future for Project Gutenberg&#8482; and future
-generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
-Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org.
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
-501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
-Revenue Service. The Foundation&#8217;s EIN or federal tax identification
-number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
-U.S. federal laws and your state&#8217;s laws.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation&#8217;s business office is located at 809 North 1500 West,
-Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
-to date contact information can be found at the Foundation&#8217;s website
-and official page at www.gutenberg.org/contact
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; depends upon and cannot survive without widespread
-public support and donations to carry out its mission of
-increasing the number of public domain and licensed works that can be
-freely distributed in machine-readable form accessible by the widest
-array of equipment including outdated equipment. Many small donations
-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
-status with the IRS.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
-charities and charitable donations in all 50 states of the United
-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
-considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
-with these requirements. We do not solicit donations in locations
-where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
-DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state
-visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-While we cannot and do not solicit contributions from states where we
-have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
-against accepting unsolicited donations from donors in such states who
-approach us with offers to donate.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-International donations are gratefully accepted, but we cannot make
-any statements concerning tax treatment of donations received from
-outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Please check the Project Gutenberg web pages for current donation
-methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
-ways including checks, online payments and credit card donations. To
-donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 5. General Information About Project Gutenberg&#8482; electronic works
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
-Gutenberg&#8482; concept of a library of electronic works that could be
-freely shared with anyone. For forty years, he produced and
-distributed Project Gutenberg&#8482; eBooks with only a loose network of
-volunteer support.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; eBooks are often created from several printed
-editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
-the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
-necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
-edition.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Most people start at our website which has the main PG search
-facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This website includes information about Project Gutenberg&#8482;,
-including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
-subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.
-</div>
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-</div>
-</div>
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