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If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: La vigna vendemmiata - -Author: Antonio Beltramelli - -Release Date: August 19, 2022 [eBook #68788] - -Language: Italian - -Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team - at http://www.pgdp.net (This file was produced from images - made available by The Internet Archive) - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VIGNA VENDEMMIATA *** - - - ANTONIO BELTRAMELLI - - - LA VIGNA - VENDEMMIATA - - NOVELLE - - - - MILANO - FRATELLI TREVES, EDITORI - 1919 - — - Secondo migliaio. - - - - - PROPRIETÀ LETTERARIA. - - _I diritti di riproduzione e di traduzione sono - riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia, - la Norvegia e l’Olanda._ - - Milano, Tip. Treves. - - - - -LA PACE. - - -Erano due brigate, due parti in eterna contesa come chi dicesse il -fuoco e l’acqua. La vita in comune non poteva essere accettata con -sopportazione. Dove appariva un piccolo Borghigiano c’era sempre un -piccolo Sobborghino che s’incaricava di fargli i versacci o viceversa. -E la cosa era vecchia quanto l’anima dell’uomo, nè accennava a -tramutare. I cronisti più antichi parlavano dei Borghigiani e dei -Sobborghini e narravano come le loro fraterne lotte finissero tanto -sovente con morti e lutti, che i capitani, i podestà, i signori del -popolo avevano emanato a più riprese leggi e bandi e divieti per far -cessare l’ebdomanaria impresa, ma invano. - -Tanto i Borghigiani come i Sobborghini erano innamorati dei loro ludi, -delle bellicose tradizioni, degli odî inveterati e non potevano nè -sapevano farne a meno. Così, oltre il volere dei reggenti, di secolo -in secolo, giù per i millenni l’usanza si era perpetuata e ancora, -per quanto i nuovi tempi e le freschissime dottrine avessero attenuata -l’antica asprezza dei rapporti, non v’era Borghigiano che non nutrisse -un velato disprezzo per un Sobborghino e viceversa. La medaglia era -identica su le due facce. - -Ho detto imprese ebdomanarie e usava infatti, al tempo degli arieti e -delle catapulte, al tempo dei castelli e dei fossati, usava che alla -sera di ogni sabato, piacendo al buon Dio, una brigata di Borghigiani -si imbattesse in una brigata di Sobborghini, dato il quale incontro -e la lièta disposizione degli animi ne nasceva tale intesa fraterna -che l’una brigata si lanciava sull’altra e, perchè non vi fosse -dubbio su l’intenzione, si affrettava a suonar certi colpi, a sferrar -certe mazzate, a picchiare con tanta foga e sì dolce ardimento che -il campo risuonava in breve di strida e di urla e di incitamenti e -di imprecazioni. Scorreva il sangue. Qualcuno cadeva. Il rumore era -grande. E quando le parti parevano soddisfatte si separavano e ciascuno -si portava via i propri feriti. Seguiva una tregua fino al sabato -venturo, nel qual sabato, piacendo a Dio, si ricominciava la sinfonia. - -Da che derivasse la gioconda consuetudine nessuno sapeva e men può -saperlo la critica moderna. I cronisti sono oscuri; narrano e non -ricercano. Gli archivi non hanno rivelato mai documenti che lumeggino -il problema. La tradizione popolare canta le sue gesta ma non si occupa -della causale delle medesime. Buio perfetto adunque e nel buio le due -brigate che menavano le mani nei secoli dei secoli, in tutti i costumi, -sotto tutti i Governi, nonostante tutte le proibizioni. - -La città che non nomino ma che ha d’altra parte molte consimili -fra l’Alpe e i due mari, godeva adunque, da immemorabile tempo, del -giostrare de’ suoi due sobborghi e per tali giostre andava nominata -nei dintorni e nelle lontananze. Si sapeva, ad esempio, che il dialetto -dei Borghigiani non assomigliava affatto al dialetto dei Sobborghini, -pur vivendo entrambe le brigate entro i confini di una stessa fossa; -correvano per il mondo circostante, come corrono tuttavia, benchè -l’antico spirito sia ormai cosa morta, i lazzi e le burlesche calunnie -di cui l’una parte si compiaceva di adornar l’altra e viceversa. I -Borghigiani avevano, ad esempio, nel loro rione un magnifico campanile -a cono, alto settantacinque metri e più, tanto che imperava su tutti i -compagni della città. Tale campanile ridestava il loro giusto orgoglio. -Ora siccome i Sobborghini non ne avevano uno compagno da poter opporre -e si vedevano impossibilitati a rapire quello dei Borghigiani, andavano -narrando a beffa che costoro per far crescere il loro campanile ogni -anno più, venivano concimandolo ad ogni autunno coi frutti di tutte -le stalle del rione tanto da accumulargli intorno una montagna di -letame poi come con le abbondanti piogge autunnali il letame scemava, -lasciando sui muri la traccia del suo antico livello, i Borghigiani -si adunavano a festa e facevano suonare tutte le campane, e danzando e -cantando e trepestando gridavano: - -— È cresciuto!... È cresciuto!... - -I Sobborghini, in luogo del campanile, avevano un fiume che -attraversava il loro rione e ne erano naturalmente orgogliosi. Durante -l’estate le brigate vi si rinfrescavano, ma con l’autunno e con le -piogge v’era sempre la minaccia dell’inondazione. Ora i Borghigiani per -beffare il coraggio leonino dei Sobborghini narravano come in tempo -d’autunno questi ultimi andassero sempre armati dei loro schioppi e -che, al minimo accenno di fiumana, corressero ad assieparsi sul ponte, -e dal ponte, gridando e bestemmiando e facendo i più orribili ceffi che -si fossero veduti mai, tempestassero l’acqua di schioppettate tantochè -il povero fiume, vistosi assalito in sì mala guisa, tutto spaurito e -sbigottito, cessava di scorrere al mare, e volto il corso turbinoso se -ne ritornava alla nativa montagna. - -E i Sobborghini narravano come in un inverno frigidissimo, in cui -la neve era caduta in tanta abbondanza da seppellirne le case, i -Borghigiani, per impetrare pietà dal Signore e liberarsi dal malanno, -erano usciti su la loro piazza e avevano pregato un maestro di pietra, -che si trovava a passare dal luogo, di far loro un Cristo di neve. - -Il Cristo era stato fatto e tanto era parso bello ed amabile ed -adorabile nel suo lucente candore che avevano pensato di serbarlo. Ma -come serbarlo?... Gli anziani si erano adunati; fu tenuto consiglio e, -per giudizio delle persone più assennate, fu deciso che il Cristo di -neve sarebbe stato cotto al forno. - -— Una volta cotto è salvato! — dissero gli anziani. - -E il popolo disse: - -— È giusto! - -Fu riscaldato un gran forno fino ad arroventarlo e quando apparve -bianchiccio dal calore il Cristo fu infornato di botto e tappato chè -non dovesse uscire. - -E le donne pregavano e gli uomini sognavano la bellezza del loro -Cristo bianco come la nube. Trascorsa l’ora necessaria alla cottura i -Borghigiani si accostarono a capo scoperto addensandosi e, trepidando, -attesero. Il più vecchio fra tutti si fece il segno della croce, -afferrò il manico della serranda, lo trasse a sè religiosamente, -guardò. Mille occhi si affissarono co’ suoi ricercando per entro il -tenebrore la ben nota forma, ma non fu visto se non un po’ di bagnato. -Allora un: - -— Oooooh! — lungo, incredulo, stupefatto si levò dai Borghigiani -assiepati, e l’anziano che aveva tolta la serranda si rivolse e disse: - -— Ha fatto pipì e se n’è andato!... - -E il popolo giurò sul verbo del maestro e fu creduto che il Cristo di -neve avesse fatto pipì e se ne fosse andato. - -I Borghigiani a loro volta narravano come i Sobborghini avendo un -giorno deciso di atterrare una vecchia torre, l’avessero legata con un -fil di lana e, afferrato il filo, come questo cedeva, si fossero dati a -gridare: - -— Viene!... Viene!... - -Finchè non andarono tutti ruzzoloni. E così le reciproche gagliofferie -erano squisitamente esaltate da parte a parte e correvano il mondo, -animando le brigate, che ne facevano allegra festa. - -Poi, col passar dei secoli, le cose vennero modificandosi, ma l’antica -aspra scissura non si appianò e non è appianata tuttavia; non che le -antiche baruffe si rinnovino, ma un Borghigiano preferirà sempre un -Borghigiano a un Sobborghino e viceversa. - -Una volta non si facevano mai matrimoni fra le due parti, ora se ne -fanno; una volta, a una certa ora di notte, un abitante di uno fra i -due rioni in contesa non si attentava di avventurarsi nel rione nemico; -ora i Borghigiani bazzicano per le osterie dei Sobborghini e viceversa. -Le cose han mutato segno ma l’antica tradizione non è morta tuttavia: -abbandonata dagli uomini è scesa in retaggio ai fanciulli. - -Così le due masnade di marmocchi facevano onore ai loro bisnonni, -tempestandosi di santa ragione ogni qual volta si scontrassero. Certi -poveri piccoli cristi ostentavano con rassegnata fierezza le loro -innumerevoli lividure, ma ciò non formava impedimento. Bastava che -Vituperio o Scampoli, i condottieri delle due masnade, lanciassero il -loro grido di guerra perchè dalle botteghe, dai negozi, dalle case, di -fra le immondizie delle strade, sbucassero i componenti le due masnade. -Le mura, il greto del fiume, la piazza d’Armi erano i luoghi dei loro -scontri. Le baruffe non avevano termine se non quando l’una delle -due parti fosse volta in fuga ed inseguita fin dove gli uomini non si -potessero intromettere coi loro irriducibili scapaccioni. - -Naturalmente, ad ogni nuova baruffa, seguiva il parapiglia delle -comari, che si vedevano ritornare i loro eredi malconci. Fierissime -strida si levavano di catapecchia in catapecchia e la maggior parte -delle volte i belligeranti venivano sottoposti a una nuova dose di -legnate. - -Ma l’onor della parte faceva lieve ogni supplizio. E sempre, dove -appariva un Sobborghino sbucava un piccolo Borghigiano a fargli i -versacci. - -Così stavano le cose quando nacque bellamente al mondo la guerra -libica. L’entusiasmo delle due masnade fu grande. Per qualche tempo -Vituperio e Scampoli pensarono di riunire i loro gianizzeri e di -andarsene per davvero in Libia, ma quando la cosa apparve impossibile, -perchè dove ne parlarono non si ebbero che risa e rabuffi, dimettendo -il pensiero della lega, ricominciarono a guardarsi in cagnesco. E -furono nemici più di prima. Questo era naturale perchè tutti e due, -sognando giorno e notte i turchi e non potendoli aver sottomano, furono -predisposti a vedere, nella parte avversa, un’orda turchesca. Non -vi fu intesa fra di loro; la cosa maturò di per se stessa; bisognava -combattere. - -Furon quelli i giorni in cui le botteghe furon maggiormente disertate, -in cui i garzoni dei ciabattini, dei falegnami e dei fabbri furon -licenziati con maggior frequenza, in cui le catapecchie risuonarono di -violenti rabuffi; ma che importava? Bisognava combattere. E i marmocchi -combattevano. Come fare altrimenti se tutti i giorni avevano sotto gli -occhi lo spettacolo dei grandi che partivano per andare alla guerra? Se -i turchi erano in Libia potevano essere anche dietro le mura della loro -città ed ogni Sobborghino fu turco per i Borghigiani e viceversa. Fu -bandita la crociata. Nessuno più mantenne la foga della marmocchieria -battagliera, nè i padri nè le madri, nè la coalizione degli adulti. -Furono schiaffi e pugni, una robusta meraviglia. Vituperio e Scampoli -affinarono la loro arte guerresca, ne toccarono e ne dettero finchè un -bel giorno, dopo mesi e mesi di lotta, risuonò la novella della pace. - -La pace? Vituperio e Scampoli adunarono i loro marmocchi e tennero -consiglio. Era la prima volta, nei secoli dei secoli, che fra -Borghigiani e Sobborghini si parlava di una simile cosa. Eppure se la -pace l’avevano fatta gli altri, i grandi, doveva ben essere una cosa -seria. Furono sospese le ostilità, e una bella domenica Vituperio e -Scampoli, ciascuno a capo della propria turba, si diressero per strade -diverse ad uno stesso luogo. - -Il luogo prescelto era la piazza d’Armi. - -Scalzi, con gli enormi berretti appartenuti già a tutta una generazione -di adulti innanzi di scendere sulle loro orecchie, con certi giubboni -sbrindellati che si affloscivano giù giù per le stremenzite persone, -fino alla caviglia; senza camicia, senz’altro se non il loro buon -umore, si adunarono e partirono. Baiocco, Fringuello, Martufo, -Piedipiatti, Boccatorta, Frosone, Virgola, Cartoccio, ciascuno col -proprio nomignolo, come con un singolare adornamento, se ne andò a -testa alta. C’era il signor Sole. Essi adoravano il signor Sole, come -la signora Luna e come ogni cosa che fosse lucente. Erano come la gazza -e la cornacchia. Qualche donna si fece su la porta. - -— Dove andate, canaglie, rompicolli, avanzi di galera? - -I marmocchi non risposero e non fecero sberleffi. Un altro giorno forse -avrebbero scaricato sulla linguacciuta comare tutto il vocabolario -dei loro improperi, ma quel giorno no. Andavano a far la pace e c’era -il signor Sole. Essi lo chiamavano così perchè la parola _signore_ -significava per loro una cosa grande e lontana. Ciò che avrebbero fatto -e detto non lo sapevano, ma Virgola cantava e Piedipiatti gonfiava le -gote ad imitar la banda. - -Scampoli aveva le mani in tasca, ciò voleva dire che pensava. Quando -Scampoli pensava doveva essere in vista qualcosa di grosso. - -Boccatorta chiese a Frosone: - -— E dopo? - -— Dopo che? - -— Dopo, quando la pace sarà fatta? - -— Ebbene? - -— Che cosa si farà? - -— Io credo che ci bastoneremo in un altro modo! - -Boccatorta sputò e Frosone dette una spinta a Fringuello perchè non -camminava. Ne nacque un battibecco e volò qualche pugno. Scampoli non -si rivolse, fu Martufo che s’interpose e separò i contendenti: - -— Non vi fate male!... Pensate che avete una famiglia!... - -Frosone non aveva nessuno e Fringuello viveva con una vecchia zia che -non sapeva di averlo. Ma si rappacificarono perchè ciascuno credeva di -avere una famiglia là dove andava a dormire, fosse pure sotto l’arco di -una porta o in un loggiato. - -Guardarono il fiume. Qualcuno si soffermò a raccogliere qualche -sasso lucente. Salirono la sponda opposta e Virgola cantava sempre e -Piedipiatti gonfiava le gote a imitar la banda. - -Baiocco disse a quest’ultimo: - -— Vuoi finirla di sbuffare come un bue? - -Piedipiatti rispose: - -— No!... — E intonò l’inno di Garibaldi. - -— _Taracin, taracin, taracin._ - -Allora, per lo spirito suo repubblicano, anche Baiocco cominciò a -cantare. Le foglie erano color d’oro. Un pettirosso e un forasiepe -volaron pei rami bassi a guardare. C’erano tre piccole nubi che -correvano verso il sole, tutte scapigliate. Le montagne turchine pareva -si fossero levate a fare una bella corona al cielo limpido. - -Cispola, che era il più piccolo, guardò un contadino che passava con -una vacca e per associazione di idee disse: - -— Ho fame! - -Ma nessuno gli badò. Pancaccia ebbe un grande sbadiglio. - -E arrivarono in vista della piazza d’Armi. Quando videro le mura del -Tiro a segno, qualcuno chiese: - -— Ci sono? - -Fu risposto: - -— Sì, ci sono. - -Infatti i Borghigiani erano in fondo al prato, immobili. - -— Che cosa fanno? — chiese Virgola. - -— Non vedi?... — mormorò Pancaccia. — Aspettano la pace!... - -Scampoli camminava sempre con le mani in tasca e così continuò a -camminare fino a metà del prato e la sua turba dietro. - -Quando fu giunto a metà del prato si fermò. I Borghigiani non si -movevano. Si vedeva benissimo Vituperio fermo innanzi ai suoi. Stettero -così qualche tempo. - -— Be’?... — fece Baiocco accostandosi a Scampoli. - -— Be’, che cosa?... — domandò Scampoli rivolgendosi. - -— Che facciamo? - -— Si aspetta. - -— Ma anche gli altri aspettano! - -— Hai visto? — disse Fringuello. — Hanno inalberata la bandiera bianca! - -Si vedeva infatti un cencio pendere dalla cima di una canna. - -— Chi ha un fazzoletto? — fece Scampoli rivolgendosi. - -Nessuno rispose. - -— Chi ha la camicia? — riprese Scampoli. - -— Io! — disse Cispola. - -— Dalla qua. - -E Cispola fu costretto a togliersi la camicia che era turchina. Non vi -si badò. Qualcuno trovò una canna e la bandiera fu fatta. - -Allora i Borghigiani si mossero con Vituperio alla testa. Anche -Scampoli si mosse con i suoi. - -Quando le due masnade furono a dieci passi si soffermarono. - -Tanto i Borghigiani come i Sobborghini ridevano. - -— Che c’è da ridere? — domandò Scampoli. - -— E voi altri perchè ridete? — rispose Vituperio. - -Passò un silenzio. Scampoli e Vituperio si fecero innanzi. Le due -masnade si guardavano con occhi da locomotiva. - -E Scampoli disse: - -— Facciamo pace? - -— Facciamo pace! — rispose Vituperio. - -E i condottieri si teser la mano, veduta la qual cosa i marmocchi -d’ambo le parti si spinsero gli uni contro gli altri e cominciarono a -baciarsi, ad abbracciarsi che era una meraviglia vederli. - -Se ne andarono insieme e parevano in verità tutti fratelli. Giammai un -Borghigiano aveva avuta tanta esuberanza d’amore per un Sobborghino. -La secolare antinomia, la lotta senza quartiere, ecco, aveva trovata -la sua fine, la pace trionfava su la guerra; un sentimento umano su la -barbara usanza sanguinaria. - -I marmocchi non sapevano e non pensavano questo, erano allegri per -la cosa nuova, per il loro numero accresciuto, per il signor Sole che -rideva sempre compiendo la sua strada nel turchino. E tutto pensarono -fuorchè a riprender la strada delle loro case. - -Attraversarono campi e fossati, presero a sassate i cani, insolentirono -i bifolchi per la superiorità che ogni marmocchio cittadino sentiva -di avere su la gente del contado, devastarono qualche vigneto, fecero -quanto più danno poterono per il loro amore che non era l’amore degli -altri. E così camminando, piroettando, cantando, devastando, giunsero, -ebbri di pace e di fratellanza, ad una città vicina. - -Come ne vider le mura sostarono. Vituperio disse: - -— Entriamo a portar la pace anche fra i Tonti? - -— Sì!... — gridaron le masnade. — Evviva la pace!... - -E in verità parevano tanti piccoli Arcangeli in Cristo, illuminati di -grazia e di soavità. - -Scampoli raccolse un ramo di ulivo. L’esempio suo fu imitato. In -breve la povera pianta, per la pace degli uomini, fu dispogliata da’ -suoi rami. Poi si posero in ordine, a quattro a quattro, e ciascuno -recava il suo ramo di ulivo. In mancanza di meglio intonarono un coro -scolastico: - - Noi siamo piccoli ma cresceremo.... - -E a gola aperta, fra lo strepito del canto stonato, agitando alte le -loro rame si diressero verso la porta medioevale della città dei Tonti. - -Due piccoli Tonti li accolsero con uno sberleffo; un altro disse loro: - -— Che cosa venite a fare in casa nostra? - -Ma gli apostoli non intesero o finsero di non intendere. Varcarono le -mura cantando sempre e credevano di andare incontro ad un’accoglienza -trionfale, senonchè i Tonti, avvertiti dal frastuono, si erano raccolti -in buon numero e non appena le apostoliche masnade avevan posto piede -nella loro città che incominciò la più tempestosa sassaiuola che queste -avesser dovuta subir mai. - -— Siamo amici! — gridò Vituperio. — Vi portiamo la pace! - -— La pace!... La pace!... — gridarono le masnade. - -E allora un brutto piccolo rospo della famiglia dei Tonti, un segnato -da Dio, con un occhio cieco, la bocca torta e sciancato, come udì il -grido si fece innanzi e in un momento di tregua gridò: - -— Che cosa volete?... - -— La pace! - -Lo sgorbio umano ebbe un riso sinistro, si pose la mano alla bocca e -rispose con un suono inarticolato. - -I Tonti risero. - -Vituperio e Scampoli allibirono. Piedipiatti disse: - -— Torniamo indietro. - -Vi fu un momento di scompiglio e ancora le masnade dell’amore non si -erano rifatte dalla loro sorpresa che una seconda frotta di Tonti, -armati di randelli, sbucò da un vicolo, assalì i pacifici Borghigiani e -Sobborghini e, senza che essi potessero reagire, li conciò nel più malo -modo possibile. - -La rotta fu vergognosa e disperata. E da quel giorno, per il dolce -volto di madonna Pace, la Guerra non fece che un inchino ai suoi vecchi -messeri e cambiò luogo se non cambiò costume. - -Borghigiani e Sobborghini furono alleati contro i Tonti, tanto è vero -che tutto è parziale al mondo e l’universalità è una utopia. - - - - -LO SPAVENTA PASSERI. - - -Seduto in mezzo al campo, presso la croce di canna elevata a porre il -seminato sotto la protezione del Signore, lo squallido vecchio aveva -a quando a quando un rauco grido e levava a stento un suo vinciglio, -fra le mani anchilosate. Incurvo il mento sul petto, tutto pervaso dal -tremito della paralisi, attendeva al suo còmpito dall’alba al tramonto, -da quando i passeri scendevano dai loro rifugi fino all’ora in cui vi -ritornavano con un frullo, mentre suonava un’Ave. - -Era il tempo dell’estremo autunno, chè novembre traeva l’invernata dai -cieli preclusi, con le nebbie, le brine e le burrascose furie di Borea. -Anche i pettirossi se ne andavano con le ultime foglie e le nostalgiche -voci delle giovinette cantavan la leggenda di Solicello che muore -impigliato fra i roveti. - -La terra si mostrava ignuda fra zone di basse nebbie o nei magici -bagliori della galaverna. E fra le nebbie e la galaverna, sotto -l’esigua croce di canna, rattrappito, bistorto, ravvolto come un ramo -secco, padron Veli attendeva la sua morte in mezzo al campo seminato. -Nè pregava Iddio che l’affrettasse, nè vedeva cosa che gli paresse -ingiusta anche in quella sua postrema sofferenza. - -Vegeto e sano aveva sempre pensato, come i suoi tre figli, che tanto -ci si può prender cura di un uomo quanto utile può rendere; ed ora -che si vedeva immobilizzato dal male su di una sedia, più gli sarebbe -parso atroce essere come l’aratro arrugginito o come lo stollo fracido -che non regge il suo mucchio anzichè giovare, in quel modo che poteva, -a coloro che avevano preso il posto di lui. Così s’illividiva sotto i -plumbei cieli tranquillamente, levando a quando a quando un rauco grido -o il rossigno vimine a spaventare i passeri che non vedeva ormai più -perchè gli occhi suoi non gli mostravan del mondo se non un’immagine -smorticcia, una teoria di fantasmi evanescenti dall’ombra densa. - -E Maiore e Pietro e Benedetto utilizzavano il vecchio in tal modo, -contenti dell’opera loro e di quel qualsiasi utile che ne ritraevano. - -Erano costoro tre uomini scalati come tre canne di una zampogna, ma -di uguale tipo e di anima uguale, se ben poteva dirsi anima il vago -baglior di vita che appena schiariva la loro grossezza. Ridevan di -nulla così come il minimo suono s’ingigantisce nelle stanze vuote, -l’un dopo l’altro con la bocca aperta e gli occhi tondi: avevan quella -semplicità la quale confina con l’ebetudine, ma solo fino al punto in -cui non entrasse in gioco il loro tornaconto. - -Infaticati come la bestia a coltivare il campo e la vigna, consideravan -sè stessi a simiglianza degli altri, a seconda dell’utile che potevan -dare, nè avevan tolto moglie perchè più pane avrebbe consumato una -donna che non ne avrebbe reso. Così conducevano la casa da soli, -compiendo ogni opera femminile, perfettamente. - -Nel contado li chiamavan gli Scalzi e infatti fino ai giorni del più -rigido inverno andavan scalzi e solo allora infilavano gli zoccoli -quando la neve era per le vie. Nè possedevan mantelle a ripararsi dai -rigori del gennaio, nè ferrajoli, nè altra veste che non fosse una -pelle di pecora la quale avevan cucita alla meglio e che infilavan -sulla giacchetta a volta a volta, chè ne possedevano una sola. - -Il loro mondo era in tale avarizia, all’infuori della quale nessuna -cosa più li toccava o li commuoveva e non sapevan che ridere. - -Così quando padron Veli, il padre loro venerando, fu ridotto fra il -letto e la sedia, incapace a qualsiasi opera, i tre Scalzi sentirono -appesantirsi sull’anima loro la nube di quella vecchiaia dannosa e, -tardando la morte a render giustizia, strologarono nel pensier loro il -modo di far servire a qualcosa il malato. - -Fu Maiore che una mattina, all’alba, levato col canto del gallo, disse -a Pietro: - -— Prendi il vecchio e portalo con te. - -— Dove? - -— Nel campo. - -Pietro trasse padron Veli dal letto e se lo caricò sulle spalle. Questi -non fiatò, tremava soltanto, ma per la sua paralisi. - -Poi Maiore chiamò Benedetto e gli disse: - -— Prendi una sedia e vieni con me. - -— Dove? - -— Nel campo. - -Maiore si caricò di tre marre e andarono. Traversata l’aia, seguendo le -redole, giunsero al campo della croce che era il più grande. - -Avevano seminato il giorno prima. Maiore andava innanzi. Quando fu -presso la croce disse a Benedetto: - -— Metti la sedia qui. - -Fu fatto. Maiore la piantò bene sulla terra smossa chè non avesse a -rovesciarsi, compiuta la qual opera, disse a Pietro: - -— Vien qua. Fa sedere il vecchio. Spaventerà i passeri. - -Padron Veli capì solo allora che cosa gli preparavano e non si dolse -della cosa, come non si sarebbe dispiaciuto anco se l’avesser sepolto. - -Come fu seduto, Maiore gli disse: - -— Voi siete quasi cieco ma non importa. I passeri avranno paura di voi. -Badate al grano. Se avrete fame vi ho messo il pane in tasca. Qui c’è -la fiasca dell’acqua. Verremo a prendervi questa sera. - -Padron Veli non parlava più e non potè rispondere; continuò a tremare, -la testa inchiodata al petto, le braccia penzoloni. Ma per quel che -capì fu soddisfatto. Maiore si fermò à guardarlo. Disse a Benedetto: - -— Va a tagliare una rama. - -Benedetto andò in un filare e tornò con un vimine rossigno. Maiore lo -pose nelle mani del vecchio e disse ancora: - -— Tenete questa rama. Vi farà buono per i passeri! - -Poi raccolse la marra, Pietro e Benedetto fecero similmente e senza -rivolgersi se ne andarono all’opera loro. - -Padron Veli rimase in mezzo al seminato col suo vimine sanguigno. Su le -prime non si rimosse, stette con le braccia abbandonate, istupidito, -senza saper come eseguire degnamente il compito nuovo, chè nulla -vedeva se non l’ombra degli alberi, sul cielo, e un mare grigiastro -ed uniforme; poi a qualcosa che trasentì e che non seppe comprendere -nell’ombra sua moritura, mandò un grido rauco e levò il vinciglio -e così fece e continuò fra lunghe pause finchè giunse la sera e lo -riportarono via. - -Il nuovo costume non fu più dimesso. Ad ogni alba gli Scalzi partivano -col vecchio paralitico e ritornavano col tramonto. E fra le ultime -foglie che le raffiche si portavano via frullando, fra lo strido dei -forasiepe, l’argento delle brine, il grave aduggiarsi delle nebbie -Padron Veli attese la sua morte che non poteva mancare. - -Ma egli era di salda radice e il freddo e l’umido e la nebbia e -la pioggia non l’abbatterono. Anche quando scendeva sulla terra la -caligine livida, sì che non vedeva la cinta degli alberi, i tre Scalzi -che lavoravano nel campo vicino, udivano uscire dal fitto velo della -foschia il grido del vecchio; e pareva giungesse di tanto lontano -che già la morte l’avesse serrato e condotto giù per le sue fosche -contrade. - -E Maiore diceva alludendo al vecchio: - -— Lavora bene! - -E Pietro e Benedetto assentivano. - -Poi giunsero le piogge e il còmpito di padron Veli parve esaurito. Dal -primo giorno in cui il cielo si oscurò per non aver più sole il vecchio -fu posto in una panca, vicino al focolare spento. Faceva freddo, ma -in casa degli Scalzi il fuoco non si accendeva mai se non per cuocere -le vivande. Quel giorno non v’erano vivande da cuocere e padron Veli -tremava presso la cenere del focolare e aveva il volto illividito -come quando sedeva in mezzo al seminato, fra il turbinìo del vento. -Gli occhi gli si erano ormai chiusi e non udiva intorno che il ronzìo -cupo delle sue stanche vene. E quel ronzìo gli figurò lo svolare e il -pigolar dei passeri fra la sementa. Alzò un braccio, ad un tratto e -mandò il suo rauco grido. - -Maiore levò il capo di su lo spianatoio e si volse a guardare. Così -fecero Pietro e Benedetto, ma non corse parola. Dall’angusta finestra -chiusa da un’impannata, entrava appena uno scialbo livore di luce. E, -fra i colpi del telaio, si udiva il gran pianto del giorno senza sole. - -Fu una pausa durante la quale Padron Veli continuò a tremare nella sua -solitudine moritura, poi con lo stanco gesto del braccio il suo rauco -grido empì di nuovo la stanza. - -Benedetto ristette, la spola in una mano, e domandò: - -— Che ha il vecchio? - -Disse Maiore: - -— Si sogna! - -E lo guardarono un poco in silenzio. Padron Veli non vedeva e -non udiva; udiva solamente gli immensi stormi dei passeri voraci -cinguettare, cantare, svolare in una persecuzione senza tregua, penosa, -e i campi erano devastati, sotto la croce di canna coronata dal candor -della brina. - -Solo al quinto, al sesto grido, Maiore disse: - -— Si pensa di essere nel seminato e lavora!... - -Pietro e Benedetto risero e nessuno pensò più alla cosa. Padron Veli -continuò nel gesto e nel grido automatico, seduto innanzi la cenere del -focolare, illividito dal freddo, sperduto nell’ultima sua visione di -tormento. - -Ma al secondo e al terzo giorno, come il maltempo non accennava a -tramutare e il vecchio a ravvedersi, Maiore disse: - -— Bisogna avvertirlo che non è più nel campo!... - -E Pietro e Benedetto risposero: - -— Sì! - -Bisognava avvertirlo e Maiore si accostò a padron Veli, gli battè una -mano sulla spalla, gridò: - -— Vecchio, siete in casa, qui non ci sono i passeri!... — Pietro e -Benedetto ridevano. Padron Veli non intese, non poteva intendere, tremò -un po’ più forte senza rispondere. - -E Maiore: - -— Avete capito?... Non gridate più che non c’è bisogno!... - -E l’opera diuturna fu ripresa, ma il vecchio Veli non aveva inteso. -Egli non viveva ormai più se non nella sua estrema visione. - -Allora i tre figli si dissero: - -— Chiamiamo Puntèrla chè lo faccia tacere con le sue erbe! - -E Puntèrla giunse. Era questi un semplicista e aveva grande rinomanza -per le campagne, chè le sue guarigioni erano prodigiose. Giunse e -guardò padron Veli. Maiore, Pietro e Benedetto gli stavano intorno con -la bocca tonda. - -Maiore domandò! - -— Potrete guarirlo senza farci spendere? - -Disse Puntèrla: - -— È vecchio! - -I tre figli assentirono. - -E Maiore chiese: - -— Che cosa potremmo dargli? - -Puntèrla disse: - -— Morirà!... - -I tre figli assentirono. Già, era giusto che dovesse morire perchè era -troppo vecchio. - -Ora padron Veli urlava sempre più forte e la sua paralisi lo faceva -traballare sulla sedia. - -— Vedete come trema? — disse Puntèrla. — Ha il male della spingarda? - -— Della spingarda? - -— Sì — fece il sapiente di semplici. — Bisognerebbe farlo sudare!... - -— Non basterebbe qualche pillola? - -— No. Fatelo sudare!... - -E Puntèrla si ravvolge nel suo ferraiolo. Quando fu sulla porta Maiore -gli pose fra le mani due uova e disse: - -— Prendete per il vostro incomodo! - -Puntèrla intascò le uova senza dir parola e scomparve. - -Come rimasero soli, Maiore pensò per qualche secondo, poi disse ai -fratelli: - -— Aspettatemi qui! — E uscì sotto il portico. - -Per circa mezz’ora Pietro e Benedetto lo udirono andare e venire senza -sapere che si facesse. Padron Veli era sempre più agitato e le sue urla -aumentavano d’intensità. - -Di repente la porta che immetteva nel portico si aperse, e Maiore -apparve, vermiglio in volto. - -Disse ai fratelli: - -— Prendete il vecchio! - -Pietro e Benedetto ubbidirono senza domandare, com’erano soliti, chè -Maiore poteva avere il comando, essendo il primo nato. - -Sollevarono padron Veli fra le braccia e uscirono. Maiore andava -innanzi. In un angolo del portico era aperta la nera bocca del forno. - -— Che facciamo? — domandarono i fratelli. - -— Portatelo qua! — disse Maiore. - -Padron Veli aveva gli occhi serrati. Quando - -furono innanzi alla bocca del forno Maiore guardò dentro e chiese: - -— Potrà starvi seduto?... - -Pietro e Benedetto risposero: - -— Sì!... - -E l’opera fu compiuta. Quando ebbero chiusa la serranda e l’ebber -tappata intorno con molta mota, ristettero ad ascoltare, tutti e tre -reclini. - -— Ora suda!... Non urla più!... — disse Maiore. - -E se ne andarono tranquilli. - -Padron Veli sudava infatti dentro il forno serrato e più non udiva il -cupo ronzio delle sue vene tramutarsi nell’acuto pigolìo dei passeri -voraci. Il giorno declinò ed i tre fratelli compirono le opere loro -in pace. Quando fu la sera, Maiore si accostò alla bocca del forno e -chiamò forte: - -— Vecchio?... o vecchio?... Sudate?... - -Padron Veli non rispose. Pietro e Benedetto dissero: - -— Dormirà!... - -— Lasciamolo tranquillo!... - -— Sì, lasciamolo tranquillo! - -E com’ebber mangiato il loro pan secco sul palmo della mano, se ne -andarono a dormire, contenti nella loro anima ottusa. - -All’alba il gallo rosso cantò presso il fico dispoglio dal quale -stillava la pioggia. I tre fratelli si levarono e scesero nella stalla. - -Com’ebbero governate le bestie era il mattino, e la giornata era -piovosa. - -Dall’aia qualcuno chiamò: - -— Oh!... Gli Scalzi!... - -— Avanti!... — gridò Maiore. - -Entrò Puntèrla. - -— Benvenuto! — fece Maiore. — Che volete?... - -— Come sta padron Veli? - -— Deve star bene perchè ha sudato! Non l’abbiamo sentito più! - -— Si può vedere? - -— Venite!... - -E Maiore e Pietro e Benedetto s’accostarono alla bocca del forno. -Puntèrla li guardava fare. - -Com’ebbero aperta la serranda Maiore disse a Pietro: - -— Va a prendere il lume! - -Venne il lume e Maiore lo legò in cima a una pertica. - -— Ma che avete fatto?... — domandò Punterla, e stralunava. - -I tre fratelli si volsero a guardarlo, stupiti. Non risposero. - -Maiore spinse la lampada nel forno. Apparve l’ombra del vecchio, -appoggiata all’incurva parete, ma il volto non si vedeva, non si vedeva -che il corpo rattrapito, risecchito. - -— O vecchio?... — chiamò Maiore. Passò un silenzio e padron Veli non -rispose a quella e alle nuove chiamate. Allora Maiore levò la lampada -fin presso il volto del taciturno e, nella luce rossastra, l’orrendo -volto apparve di un subito, come dal fondo di un sepolcro millenne. -Non era più inchiodato al petto, ma levato fino alla vôlta del forno e -gli occhi erano sbarrati e i capelli irti e le mascelle contratte e la -bocca socchiusa e stirata sulle vuote gengive. Impietrito nello spasimo -era segnato nei solchi e nell’ossa e nella cavità profonda, da una -forza spaventevole. - -Maiore lo guardò tranquillo e chiamò ancora: - -— O vecchio?... Non ci sentite? - -— Sì che ci sente — sussurrò Pietro. — Guardalo!... Ride!... - -E Benedetto: - -— Ride!... - -E tutti e tre sporsero la testa entro la nera bocca del forno e -ripeterono adagio, soddisfatti: - -— Ride! - -Poi, levatisi in un silenzio, si guardarono negli occhi e scoppiarono a -ridere a loro volta tutti e tre, l’uno di fronte all’altro, inconsci e -tremendi innanzi alla muta morte che li guatava dalla tenebra. - - - - -LA VIGNA VENDEMMIATA. - - -C’era, lungo la casa, una riga di ombra e il sole batteva tuttavia -sui muri opposti con tanta violenza che l’aria ne era affocata. -Le finestre e le porte erano chiuse e per la strada non c’era che -Calandra accoccolato lungo la riga di ombra, presso il muro della sua -casipola, le ginocchia divaricate, le braccia su le ginocchia e le mani -penzoloni. - -Sonnecchiava. Ogni suo còmpito era esaurito. - -Interrotto il sonno, sul far dell’alba, era sorto dallo stramazzo -bell’e vestito come si coricava e, sbirciata l’Amalia, la quale -continuava a dormire mezza nuda, appoggiata la larga gota rossa sul -braccio ripiegato, era disceso alla vigna. - -Uomo di tenace fatica, paziente, placido e resistente come il bue, non -aveva badato alla violenza solare, protraendo il lavoro suo finchè la -fame imperiosa non lo avesse discacciato di tra i filari. - -Ritornato alla casipola sua nel paese, poco dopo mezzogiorno, si era -fatto alla madia senza cercar di Amalia, e preso un pane, un boccale di -vinello e un bicchiere, seduto su la panca innanzi alla tavola, aveva -mangiato il suo pane, pensando ai bei grappoli che avevano alleghito e -ai pampini superbi. - -Ora sonnecchiava presso la soglia, addossato al muro, lungo l’esigua -ombra delle gronde. - -Sul principio, come i suoi piedi scalzi erano ancora nel sole e gli -ardevano, nè pensava a ritrarli, sul principio aveva udito il ronzìo -delle mosche e un malo odore entrargli per le nari insistente, ma nè -l’una cosa nè l’altra erano tali da fargli rivolgere gli occhi o da -farlo scansare; vi si era adattato calando le ciglia su la sua torpida -volontà di sonno e di tregua. - -Il rotolìo di uno di quei pesanti plaustri vermigli, antichi come -l’arca e la nave, pieni di ferramenta e solidi a simiglianza dei -quadrati buoi che li trascinano, non gli fece levar le palpebre di -sopra gli occhi suoi grigi e piccoli come quelli del cane; un fanciullo -che trascorse gridando come un invaso dal farnetico, ma solo per la -barbara gioia di sentirsi vivo, non lo riscosse. Quando Calandra aveva -chiuso gli occhi sul suo silenzio, era disceso nel torpor del suo -riposo come nell’immensità del non essere, occorreva una ben diversa -ragione a farlo levar di repente, diritto nel sole, con la sua piccola -coscienza. - -E così ristava nell’ebetudine della siesta, simile ad un cencio gettato -sopra una corda tesa, quando, nella casa che gli era dirimpetto, si -aprì ad un tratto un usciuolo, un braccio si sporse e gettò in mezzo -alla via il contenuto di un grande orcio rossigno. - -Il liquido si espanse per l’aria e giunse fino al muro opposto e piovve -sul collo, sul petto e su le braccia di Calandra. Questi, al brivido -inatteso, levò il capo e grugnì e al grugnito sordo fece seguito una -fra quelle sonanti imprecazioni, sì comuni in Romagna, che possono -dirsi una più scabra natura di quella gente scabrosa. - -Ma Calandra imprecò per l’abito suo di imprecare, così come avrebbe -presa la marra o guardato l’aspetto del cielo; il brivido che lo aveva -riscosso violentemente dalla sua torpida vacuità aveva ridesta la parte -di lui più viva e più inconscia: quella che bestemmiava; era stato come -un atto riflesso, la conseguenza necessaria di un’azione indipendente -dalla volontà e nulla più. E con l’innocente imprecare tutto sarebbe -finito, se la Checca, donna irosa e maligna, non avesse prese per -sè le sùbite parole di Calandra e, riaperto l’usciuolo che già aveva -richiuso, non si fosse fatta su la soglia per dimandare a provocazione: - -— Che c’è da brontolare?... Con chi l’avete?... - -Calandra, che già aveva ripresa la flaccida posa dell’uomo insonnolito, -levò lentamente le palpebre e guardò la Checca co’ suoi piccoli occhi -di cane, senza capir che si volesse. - -E la donnacola ribattè: - -— Dico con voi, sapete!... Che c’è da brontolare?... - -Calandra non si scompose, richiuse gli occhi e borbottò: - -— Chi brontola? - -— Voi!... E mandate degli accidenti a chi non v’ha fatto nulla di male. -Sarebbe meglio apriste gli occhi sui fatti vostri, povero merlo!... - -Calandra non rispose. - -— Sì, fate le orecchie da mercante. A voi vi interviene come a quello -che dava consigli al vicino perchè si guardasse dal fuoco e aveva il -fuoco in casa! - -E Calandra muto. - -— E la gente dicono che non sapete niente, che nessuno vi ha fatto mai -aprir gli occhi!... A crederci!... Ma se ve la fanno sotto il naso!... - -Calandra ritrasse le mani sul grembo, levò un poco la testa, chiese -lentamente, come se gli fosse giunta appena appena la eco di un -discorso strano, nel sonno: - -— Che cosa mi fanno sotto il naso? - -— Quello che non volete sapere! — fece la Checca. - -E Calandra con la stessa lentezza beota: - -— Che cos’è che non voglio sapere? - -— Sì, fate lo smarrito? - -— Che smarrito? - -La Checca squadrò in tralice il tardigrado, crollò le spalle, disse: - -— E chi non lo sa che siete becco e contento? — E su tali parole -richiuse violentemente l’usciuolo. - -Allora Calandra alzò la grande mano noccoluta, si calcò su la nuca il -cappello, che il solfato di rame delle sue viti aveva stinto e ritinto, -sputò di traverso e disse, ma placidamente: - -— Vacca! - -E l’ira sua fu compiuta. - -La Checca non c’era più; la strada divenne silenziosa dall’un capo -all’altro; Calandra ricadde nella sua immobilità di vegetale che dalle -soglie del non essere si affaccia alla vita. Avvertì tuttavia il malo -odore e il fitto ronzìo delle mosche, udì il grido di un bifolco a’ -suoi bovi, da un prossimo campo, e i tocchi delle ore dalla torre del -Palagio. Non voleva darsi la fatica di contar le ore, ma le contò senza -addarsene. L’orologio della torre aveva suonato il tocco e un quarto; -poteva dormire ancora; ma in quel che ridiscendeva verso la profonda -beatitudine del riposo, eccoti lo Scancio che giungeva cantarellando -lungo la riga d’ombra. - -Calandra chiuse gli occhi e non si rimosse. - -Lo Scancio era il garzone dei Falistri, un giovinastro cane che non -avrebbe portato rispetto neppure all’anima santa di una madre. - -Il Calandra non lo temeva, per vero dire, perchè egli non aveva che un -timore al mondo ed era quello di Dio; ma la presenza dello Scancio gli -dava sempre un malessere inesplicabile, un fastidio inespresso che lo -lasciava scontento. Attese senza levar la testa. Lo Scancio si fermò -all’osteria del Moro, parlò sommesso, dalla strada, con qualcuno che -era oltre la porta, rise forte e proseguì. - -Ora Calandra fingeva di essere preso dal più pesante sonno. Lo Scancio -gli gridò: - -— Buon riposo, Calandra! - -Il bifolco non rispose. - -E lo Scancio: - -— Ti fa buon pro il sonno?... Dormi, dormi, passero, che c’è chi veglia -per te!... - -Calandra aprì un occhio e poi l’altro e la sua faccia era torva. - -— Sei stato alla vigna? - -Calandra non rispose. - -— Tu vegli la notte perchè non ti rubin l’uva, e il giorno che cosa fai? - -Calandra inarcò un sopracciglio in un suo particolar gesto di noia e di -stupore. - -Fece: - -— Perchè?... - -— Perchè se tu andassi di giorno troveresti i ladri che non ci sono la -notte! - -— Quali ladri?... - -— E tu va se vuoi sapere! Tu la sentirai la novella! - -E lo Scancio rise forte e proseguì lungo la riga d’ombra cantando una -canzonettaccia di scherno. - -Poi giunse Serafina, la moglie dell’oste, e dalla strada incominciò a -chiamare: - -— Amalia?... O Amalia?... - -Calandra aveva abbassata la faccia fra le grosse mani terrose e udiva -il borbottare di Serafina fra il reiterato grido: - -— Amalia?... O Amalia?... - -La Checca, pronta al rumore, riaprì l’usciuolo e si fece su la soglia. -Guardò Serafina e domandò: - -— Chi cercate? - -— Cerco l’Amalia chè ne ho bisogno. - -— O non sapete che non c’è? - -— Quando è uscita? - -— Saranno tre ore. - -— Dov’è? — domandò Serafina e ammiccò a Calandra che non levava la -faccia di tra le grosse mani. - -— Che volete che sappia io? — fece la Checca. — Domandatelo a Calandra. - -Calandra alzò una spalla e non levò la faccia. - -— Allora non potrò trovarla? — domandò Serafina. - -— Ma sì!... Andate alla vigna che la troverete e non sarà sola! - -Le donnacole risero, poi l’una richiuse l’usciuolo della sua tana e -l’altra ritornò ciabattando all’osteria. - -Calandra incominciò a pensare e l’opera del pensamento gli fu come una -mortale fatica. - -Sudò sette camicie, ma ormai non poteva più separarsi dal tardo -sospetto che si muoveva dentro di lui a simiglianza di un orso -inebetito in prigionia. Non era adirato nè prossimo all’ira, e neppure -un qualsiasi sdegno per la possibile offesa era per nascergli dentro. -In primo luogo non era tuttavia convinto della cosa; in secondo luogo, -se pure qualche forte dubbio lo teneva perplesso, egli non vedeva e -non sentiva ancora il proprio atteggiamento di fronte all’avvenimento -impensato. Eran parole che gli giravan per la mente e non altro. -La figurazione materiale del tradimento, l’unica che avesse potuto -smuoverlo, non gli si presentava. Vedeva tutt’al più la vigna, -l’Amalia, la strada affocata dall’ardore, il suo capanno di guardia, i -bei tralci delle solide viti, e non quell’alcunchè di preciso che muove -la violenta gelosia nell’anima degli uomini. Si traviava dietro le -chiacchiere udite, ma non aveva sentimento che lo spingesse ad agire, -come avrebbe agito un uomo par suo, a simiglianza di una catapulta. -Nello stesso tempo la dolce ebetudine del riposo era scomparsa, epperò -si tolse dal muro, aprì l’uscio della casipola, entrò. - -Ancora gli sorrise la speranza di trovare l’Amalia addormentata in -qualcuna delle quattro stanze e di potersene ritornare così alla sua -vigna senza altro pensiero; ma l’Amalia non c’era. Ebbe lo scrupolo -di guardare anche negli angoli, di smuovere lo stramazzo dell’enorme -letto, di aprire l’armadio, ma non vide la sposa sua dalle rotonde -guance vermiglie e dal grande seno bestiale. L’Amalia non c’era, se -n’era ita a nozze con Martin della Fratta. - -Calandra uscì e chiuse a chiave la porta di casa. Non seppe bene se -facesse questo per guardarsi dai ladri o perchè l’Amalia non rientrasse -durante l’assenza di lui; gli venne fatto di girar la chiave nella -toppa e tirò di lungo. - -La stradicciuola del paese sboccava ben presto nella campagna. Calandra -si trovò fra le faticate terre degli uomini, senza volerlo. L’abitudine -e non la volontà lo aveva avviato lungo il cammino che egli percorreva -da quarant’anni: dalla casa alla vigna. Si soffermò. Riconobbe i campi -dei Falistri, i campi dei Vicelli; si interessò alle culture; vide -che i grani dei Falistri erano i più belli, fece in sè le lodi del -capoccio. E udì suonare una campana. Si tolse il cappello a quella che -egli riteneva la voce di Dio, inchinò gli occhi e ancora non li aveva -tolti di su la terra riarsa che si sentì domandare: - -— Dove vai, Calandra? - -Levò la faccia e vide don Beniamino, a cavallo della sua rozza. - -Calandra si passò il cappello da una mano all’altra. Disse: - -— Vado.... andavo.... così.... - -— Metti il cappello. - -— Grazie, don Beniamino. - -— Be’ — fece il parroco — come vanno gli affari? - -— Ah!... se è per gli affari, non c’è male, si tira innanzi! — rispose -Calandra. - -— Che altro c’è allora? - -Calandra si rimise il cappello e rispose: - -— Niente. - -Don Beniamino fece girare il parasole color cenere che aveva appoggiato -ad una spalla e stava per congedarsi quando Calandra gli si accostò e -prese la brenna per la capezza. - -— Sentite, don Beniamino, vorrei domandarvi una cosa. - -— Di’! - -— Se un uomo avesse moglie e gli fosse detto che questa moglie gli fa -le corna, che cosa avrebbe diritto di fare quest’uomo?... - -— Prima di tutto avrebbe il dovere di accertarsi se l’accusa fosse -giusta. - -— Sì. E poi? - -— E poi, una volta che fosse riuscito a procurarsi delle prove -inattaccabili, potrebbe separarsi dalla moglie. - -— Questo sarebbe il suo diritto? - -— Sì. - -— E se quest’uomo trovasse la moglie con un altro dentro un capanno in -una vigna, che cosa avrebbe diritto di fare? - -— La cosa sarebbe grave! - -— Potrebbe prendere un randello e rompere le costole a tutti due? - -— Eh!... - -— Questo sarebbe il suo diritto? - -— Forse sì e forse no.... - -— Bene. Arrivederci, signor parroco. - -— Dove vai? - -— Alla vigna. - -— A quest’ora bruciata? - -— Sì. - -Si separarono. - -Ora Calandra ci vedeva chiaro. Nel mondo della sua angusta coscienza si -erano venute formando una convinzione e una risoluzione; le parole del -parroco avevano diradate le gravi nebbie. Calandra sapeva la propria -strada. Era disposto ad agire perchè riteneva che tale fosse il suo -còmpito e nessun altro; ma, nel cuor suo piccolo di bove dai placidi -sensi, non era turbamento di sorta. La passione, la gelosia, l’offesa -dignità di marito trascurato fino all’ultimo limite non avevan parola -che lo commuovesse. Egli avrebbe, con tranquillità in nulla diversa, -fermato un bue tragiogante o un gagliardo ladro nella sua florida -vigna. Non che l’Amalia fosse una vigna per lui, anzi non era ormai che -una maggiatica, una terra in riposo, chè la sterilità di lei glie la -faceva maledetta da Dio; ma capiva che l’Amalia era sua come la terra e -l’aratro e la sua solida marra e il letame. - -Tagliò frattanto, da un querciolo, un suo solido randello e, quando fu -presso la vigna, prese una via traversa e preferì aprire un varco nella -siepe anzichè entrare dal cancelletto di spine. Ogni cosa era immota -nell’accasciante calura. Disseccate le fonti, inariditi i torrenti, la -terra si distendeva intorpidita e riarsa fra lo stridere di un mare di -cicale. - -Calandra proseguì carponi. Era sotto la siepe. Ora aguzzava i -piccoli occhi di cane e stava su l’intesa se gli giungesse la voce -degli adulteri. E se non c’erano? E s’egli avesse dovuto forzare la -sua faticata siepe per nulla? Non si udivano che le cicale, quelle -maledette cicale che pareva stridesser più forte tanto da coprire -ogni altro suono. Scoprì finalmente, più presso la proda del fosso, -un piccolo varco nella siepe, un varco aperto dai polli e dai cani, -ma tanto piccolo che appena vi sarebbe passato un fanciullo. Calandra -non vi badò; troppo gli sarebbe stato penoso dover aprire la siepe -in un altro punto; si distese, infilò la testa nel vano, fece forza -di braccia, puntò, cercò di inarcarsi, ma le spine gli entravan -per le carni e lo facevan dolorare. Poi, appena era passato con una -spalla, e il braccio gli sanguinava, che una gallina si levò dal suo -caldo nido fra la terra e urlando e schiamazzando e traendo dal suo -beccaccio giallo i più acuti strilli che mai fossero usati, fuggì come -una freccia tra i filari delle viti. E lo spavento di quella mosse lo -spavento di tutte le galline che dirazzolavano per la vigna, tanto che, -nel batter di un ciglio, fu tale e tanto il frastuono che non solo gli -adulteri ne sarebbero venuti in sospetto, ma qualsiasi altra creatura -che non avesse ragioni a timore. - -Calandra rimase inchiodato alla terra, imprecando, in cuor suo, a -tutti i volatili immaginabili, e vedeva, di tra i fusti delle viti, il -suo capanno di paglia rilucer nel sole. Vedeva e attendeva un attimo -di calma per riprendere l’aspra sua lotta con la siepe che lo teneva -prigione, quand’ecco dischiudersi l’usciuolo del capanno e uscirne -Martin della Fratta. - -Calandra rimase impietrito; guardava come se vedesse l’inverosimile. -L’uomo si volgeva intorno, chinandosi poi a mormorar qualcosa a chi -era tuttavia fra la paglia. Dopo un istante ecco balzar fuori dal covo -l’Amalia, scomposta, scarmigliata, accesa come il ferro su l’ancudine. -Ridevano, si baciavano. Poi Martino diceva: - -— Hai sete, bellona? - -E l’Amalia a ridere fin che Martino non si chinava a vendemmiare i suoi -bei grappoli, i suoi bei grappoli conti e adorati come l’immagine della -Vergine e come quella del re, su le monete d’oro. - -Allora Calandra si smagò. Più valeva un chiccolo della sua vigna -anzichè tutte le donne della terra; ed era come se gli strappassero il -cuore il veder lo scempio che ne facevano quei cani. La violenza che -non lo aveva tuttavia scombuiato, si levò su, di scatto, dall’anima -di lui, squassando le sue fiamme rossigne; egli ne sentì l’impeto, -la furia, l’imperiosa volontà e incominciò a urlare e a dibattersi -a rovina entro la sua morsa lacerante. Gli adulteri sbiancarono, si -guardarono smarriti, riconobbero la voce di Calandra. E, nell’attimo -della sorpresa, temendo ch’egli fosse su di loro a stroncarli, non -pensarono a fuggire. Lo sbalordimento dell’inatteso li inebetiva, ma -poco durò tale sbalordimento, chè Martin della Fratta, vedendo Calandra -alle prese con la siepe impervia, gridò all’Amalia: - -— Guardalo dov’è!... - -E mai non furon presti due cerbiatti a fuggir per le selve come essi -si salvarono, balenando via a guisa di razzi. E si udì nel contempo un -alto crescere di grida e di risa come di gente che facesse l’abbaiata. - -Calandra balzò in piedi alla fine e fra il sangue e il terrame e -l’obliquo color del suo volto era orrendo a vedersi. I suoi piccoli -occhi di cane sfavillavano sinistri fra i capelli che gli coprivan la -fronte e l’ispida barba nascente. Si levò nella sua massa bestiale, -tutto lacero nei panni, e raccolse il randello e si lanciò per la -vigna. Non vide, nella sua furia, un filo teso a reggere le viti e sì -malamente vi incappò da andar ruzzoloni. - -Allora l’abbaiata crebbe, le voci si avvicinarono, la gente aveva -invaso la vigna. Non si udiva più che un gridìo intermesso da risate -omeriche. Da dove sbucava la masnada? Chi l’aveva spinta fin laggiù, -nella sua terra benedetta?... - -Calandra si rizzò e più non aveva l’aspetto d’uomo; era anzi una bestia -orrenda da esserne guardinghi. Ma l’abbaiata non cedeva; ma gli uomini -e i fanciulli e le donne non volevano rinunciare alla loro barbara -gioia e venivano innanzi per la vigna gridando, ridendo. - -Calandra li squadrò senza smuoversi. - -Era primo lo Scancio e batteva un sasso sopra una sua pentolaccia di -rame traendone un suono stridulo ed assordante; lo seguivano altri -uomini e fanciulli, con arnesi simili. Calandra pareva impietrito e -lo Scancio non vide la sua faccia perchè proseguì fino a fermarsi a un -passo da lui e quando fu fermo fe’ cenno a tutti che tacessero e levò -la voce e disse: - -— Calandrone, li hai trovati gli storni?... - -Si levò una risata grande, ma i fanciulli videro torcersi la faccia di -Calandra, videro serrarsi le due mascelle quadrate e gli occhi brillare -di fuoco e le grandi mani terrose stringersi e il randello levarsi e -piombare giù diritto, con la forza del toro, su la testa dello Scancio. - -Fu per l’aria un solo urlo acutissimo. Un getto di sangue si levò nel -sole. - -Lo Scancio stralunò, la testa squarciata, girò su sè stesso, -strapiombò, finito. - -E le facce degli uomini divennero di morte e non si udì più un fiato, -di fronte al colosso stravolto, ma solo un busso di passi precipiti, -una travolgente fuga. - -Un’ora dopo, quando don Beniamino andò alla vigna e primo accostò -Calandra e gli domandò smarrito: - -— Calandra.... Calandra, che cosa hai fatto? - -Questi si volse a guardarlo, torse la bocca e disse: - -— Prete, ne avevo il diritto!... - -Ed altro più non disse nè allora nè poi. - - - - -PADRE SERENITÀ. - - -Una casetta fra le “larghe„ e Padre Serenità su la soglia. - -Lo vedevo ogni sera allorchè m’imbattevo a passare per quelle redole -verso un’aia festosa di gramolatrici. Avevo sedici anni in quel tempo e -Padre Serenità ne aveva novanta. - -Era l’autunno. Un autunno della mia vita, sereno più che un cielo -appena commosso da qualche cirro imbevuto di sole, piccolo come la -perla. L’amore, il gaio amore, era disceso al mattino nell’anima mia -pensosa con le allodole e l’aria, rimovendo la mia sostanza fino alle -più riposte fibre in una immaginosa dolcezza. E tutto era vergine -innanzi a me come l’anima mia al mondo; ed ogni limite insuperato era -una promessa di gioia. - -Avevo sedici anni e l’amore. - -Quali e quante cose mi erano innanzi allora chè io non godessi? E così -andavo con la mia benedetta allegrezza come per una eternità. - -La terra non aveva orme, il mondo non era stato mai veduto. Io ero il -primo. Con me erano nate le fonti, gli alberi, le stagioni, i costumi -degli uomini, la vita. Non sapevo nulla, sentivo; ma con impeto divino. -Solo ch’io mi rivolga e sogguardi, ora che ho passato i limiti e -hanno nevicato i capelli, rinasce dalla visione precisa, un identico -commovimento che gli anni non hanno seppellito ed il tempo non ha -tramutato; nulla è pianto o rimpianto, o desolazione che, se la porta -lontana si dischiude, ne ritorna la mia giovinezza col suo gran fascio -di fiori e mi s’abbranca. - -Rivedo la viottola insolcata dai plaustri, coi due margini erbosi sotto -le selvagge siepi di marruche e di prugnoli; la terra olivigna, le -pediche fonde dei bovi. Un ombreggio di roveri solenni, qualche varco -sui campi, ma rado, e scarsi tuguri col nero forno e la disselciata -“capanna„. - -Quando pioveva era tutto un pantano. Si giungeva alla viottola passando -dalla chiesuola di San Bartolo e dalla casa dei Giuliani, per la -bianca strada che conduce a Durazzano. Passata la casa dei Giuliani si -volgeva a destra per un piccolo ponte e si era nel regno antico che -ricordava le campagne medioevali, senza strade, percorse unicamente -da fonde viottole, impraticabili al tempo delle piogge. In breve ogni -altra vita era lontana. E gli uomini che si incontravano per quei -silenzi pareva giungessero da un tempo remoto. Era raro udirvi il lento -disperdersi di un cantare malinconico; più spesso si udivan le allodole -e le rondini. Voci del cielo. Ed uno camminava fra i prugnoli, coi -loro piccoli frutti violastri, come se andasse per la strada del sogno -verso un paese insospettato. Talvolta trascorreva, rasentando le siepi, -un cane giallo, sudicio e irsuto; tal’altra un fanciullo selvatico -che atterrava la faccia aggrottata per non parlare e si fermava a -guardarvi da lontano; ma più spesso nessuno. E dalla viottola serrata -si sbucava nella chiara vastità delle “larghe„ di Castellaccio. Un mare -di lupinelle con isole di pioppi e dense rive di alberi intorno; il -paradiso delle allodole e delle lepri. - -E nel cuore di tale vastità viveva Nicolao di Zaccaria, il vecchio -novantenne ch’io chiamavo per amore Padre Serenità. - -La sua casipola si acquattava fra tanto spazio, come a radicarsi alla -terra più tenacemente e aveva al centro un “portico„ disselciato sul -quale si aprivano due basse stanze. Anche aveva una vite, a solatio, e -un pozzo ombreggiato da un fico. - -Quando dietro i colli della sera scendeva l’ultima luce a languire -lontana, col sorriso della stella che accora, e le vergini e le -innamorate uscivano per le aie e si fermavano alle siepi ad ascoltare -una parola sommessa; quando le bocche si facevan baciare per nostalgia -dell’amore, al suono di un’“Ave„ mi avviavo pei campi, solo con la -mia felicità. E, via per i primi silenzi, trascorreva l’impeto di una -“battolata„[1] da un’aia nel vespero. Era lo scroscio di venti gramole -in ben misurata cadenza, il richiamo ardito agli sperduti; poi che -vespero campeggiava fra i pioppi e dietro le rosse vigne. - -_Ecco ch’io t’amo e ti offro l’ombra e la bocca e il mio palpito di -moritura, poi che è più bello morire che non esser amata_.... - -Una pausa. - -_E il giorno di San Giovanni, amore, il giorno di San Giovanni quanto -spicanardo raccolsi_.... - -Il volto del cielo smoriva come la faccia dell’innamorata. - -_Sorelle, sorelle!... La bella estate ci vuole e il vomere fende la -terra_.... - -_Cogliamo lo spigo; non pel granaio, ma per l’arche; per l’arche e le -lenzuola e che l’amore si sogni di dormirci a lato_.... - -_Canto a morire, che m’oda.... passan tre nuvole, in alto, fra le -montagne e la luna_.... - -La veste del silenzio si era fatta più verde. Nascevan di me -le canzoni, i frammenti, il commovimento che cingeva la vita in -un’impetuosa serenità. - -_Ecco ch’io t’amo e t’offro l’ombra e la bocca_.... - -E la “battolata„, sorta da qualcuna fra le isole di pioppi, sparse per -la “larga„, moriva nel silenzio della sera. - -Compivo la strada senza addarmene, come la nube e il vento e l’acqua -soffusa di cielo, senza nozione del tempo e del suo rapido trascorrere, -chè la mia vita era tutta avvenire e non lasciavo ombra dietro le -spalle. - -La voce di Nicolao mi coglieva sempre alla sprovvista. - -— Si va a “gramadora„? - -Volgevo gli occhi. Il vecchio era sulla soglia, incontro alle montagne -della sera. - -— Oh, Nicolao! - -— Padrone, buonasera. - -— Buonasera. - -Accendeva la pipa chioggiotta. E pronosticava il sereno, la pioggia o -la nebbia, leggendo nello spazio ciò che sfuggiva ad ogni altro. - -La sua parola era franca, i suoi occhi limpidi, la grande vecchiezza -non gli annebbiava la mente. - -Ho del mio amore e di questo vecchio la più chiara memoria. - - ❦ - -Socchiudeva la porta. - -— Venite, nonno? - -— Vengo. - -— Non serrate l’uscio? - -Alzava le spalle. - -— Chi volete che rubi ad un povero vecchio? I miei quattro stracci non -fanno gola a nessuno. - -— E se passa una “brutta faccia„? - -— Per queste maggiatiche?... In tutta la mia vita non c’è capitato che -un bandito, una volta, al tempo del Papa. - -S’andava insieme di pari passo e su la soglia della piccola casa -acquattata fra le larghe non restava che il cane accucciato: il muso -fra le zampe e gli occhi aperti. Padre Serenità amava la compagnia dei -giovani. All’opposto dei suoi coetanei, inciprigniti in una malinconica -stanchezza, egli cercava i ritrovi, sedeva alle feste dei giovani -e vegliava fino all’ora sua proverbiale, l’ora di Nicolao, come la -chiamavano le genti: le dieci. Quando eran le dieci di notte riprendeva -la sua mazza ferrata, la “capparella„ se era d’inverno o la cacciatora -di bordatino se d’estate e, girati intorno i suoi piccoli occhi -celesti, dolcemente gai fra i solchi della sua faccia antica, lanciava -il consueto augurio: - -— Vi saluto, gente! - -E allora, o fosser guidate le danze sul ritmo di un valzer di Zaclên -o fosse sviata la comitiva dietro un rifacimento delle istorie -cavalleresche, tutti ristavano e si rivolgevano al vecchietto ad -augurargli la buona andata. - -Ancora amava motteggiare e stare alla baia, sollecito alla risposta -come al frizzo salace, pronto all’aneddoto, spedito di lingua, -tranquillo, senza fiele per nessuno. - -Le ragazze gli si sedevano intorno; egli le chiamava figliuole, le mie -figliuole: e veramente se fosse occorso ch’egli avesse avuta necessità -dell’opera loro, non una, ma tutte, tutte quante gli sarebbero state -intorno perchè la bontà non è vana fra i semplici di cuore. Nonno -Nicola si faceva amare. Tutta la sua vita gli era a specchio di -chiarezza. Povero, combattuto dalla disgrazia, i figliuoli lontani ed -immemori, egli non si era invelenito. Il suo dolce cuore era il centro -del mondo e non vi dimorava nè amarezza nè sdegno. Egli doveva amare: -era la sua necessità e la sua gioia; amare, sorridere, veder negli -uomini il sereno che aveva in sè, e in realtà dove appariva era come se -una mite lampada ardesse a raccogliere gli sperduti. - -E non lo chiamavano Santo perchè era vicino a tutti, era un po’ il -cuore di tutti, la simpatia umana che non traligna ma sempre si rinnova -concedendo, perdonando, solo per amare. E gli uomini angustiati fra -spine e triboli, col cuore gravato dalla semitica maledizione, gli -si stringevano intorno ebbri della sua dolcezza perchè non si semina -invano tra chi soffre e lavora. - -Io so che se egli avesse voluto essere qualcosa più e non un umile fra -gli umili; se il Dio che aveva nel cuore lo avesse guidato a parlare -con la stessa ingenua freschezza con la quale narrava dei fatti della -sua vita e dell’altrui, avrebbe avuto con sè le turbe. Prima le donne -ed i fanciulli, gli uomini poi; gli uomini chè se bestemmiano il -giorno, la notte si impaurano e, su cento, uno forse e non più d’uno -non sente ribrezzo del transito senza speranza. - -Ma nonno Nicola, se pur lasciava intravedere la sua fede, ferma come -la stella incatenata in capo all’Orsa, non parlava di Dio come non si -parla del fiore che vi cresce nell’orto e del pensiero che vi illumina -la vita, perchè il dirne sarebbe un corromperne il segreto incantesimo -e la parola è spessa innanzi alle chiarità dello spirito. - -Bene; io so che i suoi novant’anni valevano la più ricca primavera. - -Si andava dunque ogni sera, in quell’autunno della mia giovinezza, -a cercar le aie dove le festose ragazze cantavano le romanelle e, -curve sulle gramole, dipinte a rose rosse e turchine, ripulivano i -lisci mannelli dagli ultimi canapuli. Era prescelta l’aia dei Giuli. -Ivi sotto un olmo gigantesco, fra una siepe e i pagliai erano adunate -le gramole in semicerchio e, a notte, una lampada appesa ad un ramo -per una funicella, blandiva col suo discreto chiarore la tenebra. -Se pure la rotonda luna non si affacciasse da sopra la casa a spiare -l’adunata. Di prima sera, compìta la cena sul pugno, essendo le ragazze -alle gramole, sbucavano gli innamorati o dai varchi delle siepi, o -dall’entrata dell’aia e qualcuno, più protervo, portava la doppietta -a bandoliera mentre tutti quanti avevano cura di nascondere la faccia -sotto le ampie tese del cappello. - -C’era chi lanciava l’augurio serale all’adunata e chi, approfittando -del frastuono, scivolava nell’ombra inavvertito e sedeva silenzioso, -come gli altri, sulla capra della gramola prescelta. - -Ora eravamo una sera più numerosi che mai e più numerose erano le -“doppiette„ e c’era Giovanni dei Bissi che raccontava la storia di un -suo singolare paladino, quando la Moffa (la Pallida), una ragazzona -sgraziata dalla testa troppo piccola su due spalle da gigante, si fece -in mezzo all’adunata e susurrò intimorita: - -— Ragazzi, c’è il Mancino!... - -E l’adunata ammutolì. Tutti ci guardammo intorno e per qualche istante -non si udì che il biolco il quale canticchiava nella stalla. Poi -qualcuno domandò: - -— Dove l’hai visto? - -E la Moffa: - -— Dietro la siepe. Eccolo!... - -Come fosse riuscita a distinguere nella notte la figura del Mancino e -come l’avesse riconosciuta, nessuno seppe perchè le siepi erano lontane -dal punto nel quale ci trovavamo e la notte era oscura. Sta di fatto -che poi ch’ella ebbe detto: — Eccolo!... — un uomo entrò nell’aia e si -avvicinò. - -Solo lo riconoscemmo quando, giunto a tre passi da noi, si fermò e ci -chiese: — Perchè state zitti? — poi, senza che nessuno gli badasse, -tirò di lungo e andò a sedersi sulla gramola della Pallida. Seduto che -fu, depose la doppietta fra i ginocchi, accese la pipa e si volse a -parlare tranquillamente alla ragazza, la quale, tanto era stordita, -che gramolava a vuoto senza il mannello di tiglia. L’allegria se ne -andò. Giovanni dei Bissi lasciò la sua storia a mezzo, furono scambiate -parole rade e sommesse. - -Un inespresso disagio si era impadronito di ciascuno di noi e l’unico -che pareva non accorgersi di questo era il Mancino. Si udiva il -susurrìo della sua parlata tranquilla. La Moffa lo ascoltava senza -rispondergli mai. E così trascorse un’ora senza che la comitiva si -orientasse ad una gaiezza nuova. - -Da sopra alla casa salì nello spazio la luna. - -Si udì lo schianto di due schioppettate lontane; dopo un silenzio se -ne udì una terza, poi altre due più rapide. Anche il sommesso parlare -si quetò e dapprima fu un cane che latrò sordamente da un’aia remota, -poi furono dieci e venti tutt’intorno dall’immensa campagna assorta fra -il silenzio e la luna. Qualcuno disse: — È stato all’aia dei Forlani. -Hanno le gramolatrici. Lo zoppo si è vendicato della Gilda di Bartolo. - -— Ma se avevano rifatto pace! - -— No! - -Altri due colpi rintronarono nella notte. - -— Sentite?... — disse la Bionda del Mago. — Le “fa le corna!„.[2] - -Dopo una pausa si udì una terza schioppettata. - -— Gliele han “guastate„! — disse la Vignaiuola. - -Ma a questo punto il Mancino si levò di scatto dalla gramola e si -udì lo schiocco di due solidi schiaffi e una sola parola li consacrò, -schietta e violenta. - -La Moffa rimase impietrita. Guardò il Mancino, lasciò cadere il manico -della gramola; ma in quel che l’uomo si rivolgeva, come se la voce di -lei insieme alla sua conoscenza si ridestasse solo allora, urlò a voce -strangolata: - -— Sei un vigliacco! - -Il Mancino levò un braccio, ma questa volta la ragazza gliel’afferrò -attanagliandolo con le piatte mani robuste. - -Rimasero di fronte a guatarsi. Nessuno intervenne, ma tutti ci levammo, -l’un dopo l’altro. Di repente il Mancino tentò liberarsi con uno -strattone violento. La gramola si rovesciò. - -— Lasciami andare! - -E la ragazza, alta, noccoluta, dal corpo di maschio saldamente piantato -sulle ignude piote, non aprì bocca. - -— Lasciami andare!... — La voce del bandito cresceva inasprendosi, -come l’ira sua; ma la gramolatrice non battè ciglio; aveva il viso fra -l’ebete e il feroce, fermissimo, senza commovimento. - -L’attanagliato tentò un secondo, un terzo scrollone; non si liberò; -allora con la mancina, che aveva libera, brandì la doppietta per le -canne come una clava, l’alzò, mirò al capo della taciturna e scagliò il -colpo. - -Ancóra mi si gela il sangue se ripenso allo strido delle donne. La -cassa dello schioppo sfiorò la Moffa, ma non la colpì. Ci stringemmo -attorno al Mancino. Robbone gli strappò la doppietta. Il biolco giunse -con la corda de’ buoi; ma il Mancino era libero. - -Come si vide circondato non rifiatò. Parve rassegnato a lasciarsi -prendere, ma quando gli uomini più fecero a fidanza nella sua -debolezza, egli ne approfittò che, di un subito, con un lancio -prodigioso, saltò la gramola, rovesciò il Rossello e lo Svina che gli -stavano innanzi e fu al fianco dei pagliai. Ciò avvenne nel tempo di -dir Ave. - -Come fu ai pagliai si rivolse e ci guatò ghignando. Disse: - -— Ragazzi, datemi il mio schioppo! - -— Daglielo — mormorarono i più prudenti. - -Robbone si fece innanzi e glie lo tese. Disse: - -— Va per la tua strada! - -Ma il Mancino gli gridò: - -— Scànsati! — E portatasi la doppietta alla spalla puntò la Moffa. - -Fu un baleno ed un grido. Vedemmo la Moffa inarcarsi su la sua gramola -e stramazzare. - - ❦ - -Una sera eravamo su l’aia, incontro alle “larghe„. Già volgeva al suo -fine il novembre, ma non era giunto tuttavia il freddo. Da poco era -trascorso Giovanni dei Bissi con le panie e le gabbie dei richiami. -S’era fermo a dir qualche parola dileguando poi fra le pozzanghere -della viottola motosa. - -Passavano dei buoi lontanamente verso una stalla remota e una sola -allodola discendeva cantando dal cielo al suo rifugio fra le lupinelle. -Padre Serenità sedeva sopra un vecchio aratro arrovesciato. E si -taceva. Quand’ecco che, alzando gli occhi, vidi qualcuno che si era -fermo dietro la siepe e ci guardava; ma in quel che feci per levarmi, -l’uomo si diresse all’entrata dell’aia e fu di fronte a noi. - -Aveva il cappello tirato su gli occhi. Non lo riconoscemmo. - -Era scalzo; aveva un sacco gettato sulle spalle, lo schioppo e un -coltello alla cintura. - -Padre Serenità si levò a sua volta. - -— Che volete? — domandò. - -— Da dormire — rispose l’uomo. - -— Non ho posto. - -— Mettetemi nella stalla; mi basta un po’ di paglia. - -Padre Serenità gli si fece sotto, lo guardò fisso e domandò: - -— Sei tu, Mancino? - -— Sono io. - -— Be’, vieni avanti. - -Lo condusse nella stalla. Dalla morte della Moffa, il Mancino si era -dato bandito e nessuno più l’aveva veduto nei dintorni. Si credeva -fosse fuggito in America. Ogni ricerca era stata vana. - -Li seguii in casa. Nicolao richiuse la porta e tirò il catenaccio. Mi -disse: - -— Accendi il lume. - -Il Mancino gettò il sacco in un angolo, ma non si separò dallo -schioppo. Sedette sulla panca innanzi alla tavola. Era torvo e taceva. - -— Avrai fame! — fece Padre Serenità. - -— Sì — rispose il Mancino. - -Poco dopo mangiava avidamente senza levar gli occhi. - -Padre Serenità non gli chiese nulla di nulla, nè io interloquii. Dopo -ch’ebbe mangiato, lo conducemmo nella stalla, dove si gettò su una -lettiera di paglia e si addormentò quasi subito col suo schioppo al -fianco. - -Quando richiudemmo la porta, Padre Serenità disse: - -— Se è tornato è segno che soffre! - -E per quella sera ci lasciammo senza aggiunger parola. - -Nicolao sapeva ch’io conoscevo come lui la sacra legge dell’ospitalità -e che il Mancino doveva esserci sacro per quella notte perchè era -venuto a domandarci la pace nel nostro rifugio. - -Salii alla mia stanza, che era presso alla colombaia. Nei mesi di -caccia, per esser più pronto a trovarmi sui luoghi, dormivo nella casa -di Nicolao, che era sola fra le “larghe„. Lasciai la finestra aperta -per destarmi non appena la luna avesse raggiunto il colmo del cielo e -mi coricai tranquillo come sempre, senza bisogno di cercare il sonno. - -Ora, era forse a mezzo la notte, quando mi destai per un brusco rumore. -Qualcuno aveva aperta la porta della mia stanza. Stetti in ascolto e mi -sentii chiamare. Era Nicolao. - -— Che volete, nonno? - -— Discendi. - -Fui pronto, chè dormivo vestito. Quando fummo sulle scale, mi disse: - -— Il Mancino se ne è andato! - -— Lo immaginavo! — risposi. - -— Sì.... ma si è portato via il vitello! - -— L’avete veduto? - -— Sì. - -— Quando? - -— Poco fa. - -— Ed ora?... volete che lo rincorriamo con lo schioppo? - -— No. - -— E allora? - -— Tornerà indietro. Lo aspetteremo sulla strada. Vieni. - -Guardai il mio vecchio amico senza capir nulla. Conoscevo la sua -imperturbabile serenità e la sua buona fede, ma non immaginavo ch’egli -pensasse di vincere il ladro con tali virtù. - -Uscimmo che c’era la luna. Era un fantastico mondo assopito in una -fredda immobilità fosforea; e le rame già erano dispoglie. Si vedevano, -sulla terra umida, le pediche recenti del Mancino e del vitello. -Nicolao osservò e disse: - -— Sono andati verso il fosso; sono discesi nel fosso. - -Poi uscimmo dall’aia vegliando in silenzio. E si udivano a quando -a quando trasvolare gli stormi dei germani e delle grù e, nel cielo -perlaceo, non era che il grido degli esuli stormi. - -Passarono due, tre ore e il ladro non riapparve. Nicolao non parlava. - -Quando fu l’alba ed egli cominciò a ricredersi e gli doleva di -avermi tenuto per tanto tempo fermo al freddo della notte per una sua -ingenuità, mi disse: - -— Figliuolo, mi sono sbagliato; ma non lo credevo capace di tanto!... - -Non gli risposi e non sorrisi. Partii tranquillamente per la mia caccia. - -— Vi aspetto a mezzogiorno! — disse Nicolao. - -— A mezzogiorno! — dissi. - -E me ne andai. - -Alla sera eravamo ancóra seduti sull’aratro, innanzi al cielo che -sbiancava e non parlavamo. - -Ad un tratto vedo Nicolao levarsi di scatto e dirigersi all’uscita -dell’aia. Lo seguii. Il Mancino ci stava di fronte, diritto in mezzo -alla viottola. Stemmo muti qualche secondo, poi Nicolao domandò, e la -voce sua era inalterata: - -— Che cosa hai fatto, Mancino?... - -L’uomo sinistro non rispose. - -— Perchè sei ritornato? - -Un silenzio uguale. - -— Ti hanno scoperto? - -— No! — rispose il Mancino. - -— Allora che cosa vuoi? - -Ricordo la rude frase dialettale che proruppe violentissima come un -singulto: - -— _A so’ un vigliàcc!... Amázam!_... (Sono un vile!... Ammazzami!...) - -Padre Serenità levò la mano scarna e rispose: - -— _Va par la tu stre e che e’ Signor u t’aiuda!_... (Va per la tua -strada e il Signore t’aiuti!...) - -Il Mancino guardò il vecchio, poi si volse senza far parola, saltò un -fosso e scomparve. - -Padre Serenità aveva gettato la sua sementa, ma la biancana non -dà frutto e non passaron due lune che il Mancino fu disteso da una -schioppettata, sulla soglia di una stalla, da chi non vedeva gli uomini -e il mondo con i chiari occhi di Nicolao. Ma Nicolao era un mondo a -sè con la sua dolcezza; era un piccolo astro nell’immensità, col suo -chiarore. - -Ne ho novellato per amore e non per dilettare, secondo una legge -stabilita. Vi è sempre qualcuno che ha cuore bastante per intendere. - - - - -L’EREMITA. - - -C'era una volta una baracca sbilenca innalzata vicino ad una spiaggia -da un uomo errabondo in cerca di fortuna. Oltre tale baracca, per -chilometri e chilometri intorno, non sorgeva altro rifugio. - -L’uomo errabondo aveva ben fondate le sue speranze. Si era detto: - -— C’è una strada che conduce al mare, e questa strada finisce fra le -sabbie e non c’è altro. La gente vi passa coi carri e coi barrocci -quando fa l’estate. Se io faccio il mio nido dove finisce la strada e -incomincia il mare, la gente verrà da me ed io ne guadagnerò! - -E le cose si svolsero come l’uomo errabondo aveva preveduto. - -Codest’uomo si chiamava Palma, era solo, ed aveva sulla coscienza -una interminabile serie di furti e qualche delitto. Per venti anni -aveva meditato nelle patrie galere; a cinquanta anni ritornava fra gli -uomini. - -Bisogna dire che Palma non aveva un soldo quando arrivò sul luogo -destinatogli dal caso; aveva bensì qualche idea. Fra queste, una -brillava che gli parve buona e se ne assicurò meditandola. Ma come -porla ad effetto? Per far nascere un’ombra sotto il sole occorreva -dire agli uomini ben baffuti: — Dammi questo che ti darò questo! — -Ed egli che poteva dare? Il suo lavoro; ma a quale pro, data l’idea -che meditava? Allora s’incamminò lungo la spiaggia deserta e cammina -e cammina.... ecco che vede, abbandonata fra sabbia e mare, mezzo -sepolta, quasi sfasciata, la carena di un vascello. Un cadavere. -Ma anche i cadaveri valgono qualcosa pei corvi e Palma non era che -un corvo. Si avvicinò, considerò il carcame e disse: — Sì! — Poi -soggiunse: — Farò da solo!... — Ma per cominciare gli occorreva almeno -una vanga e non l’aveva. La rubò e fu l’ultimo furto ch’egli commise -al di fuori della legge. Poi per tre giorni e per tre notti scavò, si -affannò e riuscì a trarre la carena sotto la luce del sole. Era meno -peggio di quel che non avesse pensato. Ma da quel punto incominciava -la vera gravità del suo disegno. Come fare a trar quel carcame al -punto che egli aveva prescelto? Occorrevano per lo meno due paia di -buoi. Dove trovarle? Allora assottigliò l’ingegno e pensò: ormai egli -possedeva qualcosa e poteva essere creduto. Egli aveva creato un’ombra -sulla terra; da quella qualsiasi ombra doveva nascere il credito. E il -credito nacque. Un contadino si prestò. Palma gli disse: - -— Vi pagherò fra due mesi. - -Il contadino rispose: - -— Mi pagherete quando vi farà comodo. - -Perfettamente. Allora Palma fece trasportare la nave al termine della -strada che si apriva sul mare. - -— Che ne volete fare? — gli chiese il contadino. - -Palma rispose: - -— Un’osteria! - -Il contadino lo guardò in tralice. Palma soggiunse: - -— Un’osteria ed è una bella pensata! - -— Ma come farete? - -— Datemi aiuto e vedrete. - -— Oh!... Ed io vi aiuto! - -Infatti l’aiutò. Ormai la Provvidenza si era incaricata della faccenda -e Palma se ne accorse, ma non rifiatò. Perchè con la Provvidenza non si -uccella. Essa non incappa nelle reti e nelle panie degli uomini, anzi -appare a coloro che non la invocano. Dunque Palma si ebbe un aiuto. Il -contadino chiamò i suoi figli. Furono cinque uomini di buona volontà, -data la qual cosa, la baracca alzò la sua gobba al cielo. Tolte le -monche alberature e sgombrato l’interno del vascello dai rottami e -dagli intoppi non rimase che la carena ignuda, malconcia qua e là e con -una rispettabile falla sotto la prora. Palma non si occupò della cosa; -capovolse la nave in un punto stabilito della spiaggia e domandò al -contadino dieci lire in prestito. Il contadino glie le dette e disse: - -— Mi dovete in tutto venticinque lire. - -— Ed io ve ne darò trenta! — rispose Palma. - -Ormai Palma aveva una casa e un capitale. Incominciò col comperare -chiodi e martello. Assai ne aveva con tutti i rottami del vascello. -Prima mangiò, chè non aveva mangiato da qualche tempo, poi si mise -all’opera. E tappa, e inchioda, e rappezza, in due giorni la casa era -fatta. Non più uno spiraglio. Nell’interno, buio perfetto. - -Ora si trattava di praticare una porta e una finestra e di innestare un -camino sul dorso della novissima abitazione. - -Cosa semplice. Una sega servì per la prima bisogna; una vecchia -grondaia funse da camino. Dopodichè l’esterno era compiuto e Palma -passò all’interno che divise in due parti. Da un lato la cantina -che doveva servire anche da stanza da letto per l’oste; dall’altro -la cucina. E basta. Il contadino gli venne in soccorso ancora per -l’arredamento, finito il quale, Palma si dette all’opera artistica -e presa una piccola tavola rettangolare e alcune vernici, dipinse su -detta tavola la sua personale sensazione di una Sirena e con non meno -personale ortografia vi scrisse sotto: — _Osteria della Sirena_ — -compìta la quale opera inchiodò la tavola a sommo della sua abitazione -e attese. - -Attese un uomo, il primo. In verità non avrebbe potuto offrire al suo -primo avventore se non dell’acqua limpida; ma anche l’acqua limpida -aveva il suo valore in quelle latitudini perchè per molte miglia -all’intorno non esisteva un pozzo. Palma non possedeva tuttavia una -botte, ma sì bene due latte da petrolio. Dette latte erano piene -d’acqua e costituivano un valore. Non mancava che li assetati. Anche -di questo doveva incaricarsi la Provvidenza e siccome Palma non -aveva fretta e si accontentava di ben poco per arrivare da un giorno -all’altro, attese in tranquillità. - -Ed ecco che una notte, dormiva sulla sua paglia fra le due latte di -petrolio, quando sentì qualcuno alla porticciuola serrata. Si levò sui -gomiti. Chiese: - -— Chi è? - -— Si può entrare? — fece una voce dal di fuori. - -— Cosa volete? — domandò Palma. - -— Bere! — rispose l’estraneo. - -— Non ho che dell’acqua. - -— È lo stesso. - -Bene. - -Palma non aveva bisogno di vestirsi perchè non si svestiva mai; si -rizzò ed andò ad aprire la porta. Entrò un uomo; un vecchio barbuto con -gli occhiali sul naso. Un par di occhiali a stanghetta, arrugginiti, e -un cappellaccio di traverso. - -Sedette sulla panca innanzi a una tavolaccia nera e quando fu seduto -disse ancóra: - -— Bene! - -Palma lo guardò; il barbone incrociò le braccia sulla tavola. - -— Di dove venite? — gli domandò Palma. - -— Datemi da bere — rispose l’uomo. - -Palma prese il suo unico boccale che era un coccio senza manico e senza -beccuccio, pose innanzi all’ospite una ciotola sboccata e scomparve in -cantina. Poco dopo rientrò col suo vin di nuvoli e l’ospite non si era -rimosso. Aveva una faccia da ceffautte da guardarsi a stupore: o da -dove discendeva nel pieno della notte quell’individuo? E dove andava -e che cercava mai? Palma sentiva queste domande dentro di sè, ma le -trattenne chè si investiva del suo nuovo còmpito di oste. - -L’uomo bevve tutto il boccale e quando ebbe bevuto disse: - -— Buona! - -— È acqua di fonte — fece Palma. - -E l’estraneo ridisse: - -— Buona! - -Evidentemente il barbone non era un parlatore, ma ciò non preoccupava -Palma il quale diceva fra sè: — Anche se mi dà quattro soldi, son tutti -guadagnati! — Ed in questo pensiero si accosciò in disparte presso -la parete della sua bicocca. L’olio non mancava alla lampada ma se ne -consumava troppo. Trascorso qualche tempo Palma disse all’ospite: - -— Volete dormire? - -— Perchè? — fece l’ignoto. - -— Perchè l’olio si consuma. - -— Ed io ve lo pagherò. - -— Ah, se volete pagare fate ciò che vi accomoda!... - -E Palma chiuse gli occhi e stava per addormentarsi tranquillamente -quando l’ospite suo gli chiese levando gli occhi: - -— Da quanto tempo state qui? - -— Da venti giorni. - -— E che cosa volete guadagnare fra queste lande? - -— Aspetto che venga l’estate! — fece Palma ammiccando. - -— E con l’estate? - -— Con l’estate? Ma vengono a migliaia quaggiù i contadini! - -— E se vengono? - -— Se vengono, lavoro! - -— E il vino?... - -— Il vino.... il vino!... Si troverà! - -Il vecchio tacque e Palma lo guardava sempre più incuriosito. Chiese, -dopo una sosta: - -— E voi cosa siete, un pastore? - -— No — fece l’uomo. Poi guardò Palma negli occhi e soggiunse: — Io sono -un frate! - -— Un frate? - -— Sì. Ma se mi va bene una cosa non torno più al convento. - -— E la veste dove l’avete messa? - -— In casa del contadino che mi ha dato questi panni. - -— Ed ora dove andate? - -Il vecchio si levò e disse: - -— Hai una vanga? - -— Sì. - -— Sai dove sia la Torraccia? - -— Sì. - -— Vuoi condurmi alla Torraccia? - -— A quest’ora? - -— Sì. - -— E che cosa volete fare laggiù? — Palma non voleva compromettersi. Gli -erano bastati i suoi vent’anni di prigione e più non voleva farne. - -— Se vieni faremo a metà — rispose il vecchio. - -Palma si convinse; prese la vanga e il suo coltello e seguì l’ospite. - -Dopo due ore di strada erano ai piedi del rudere solitario. Il vecchio -entrò nella torre e Palma dietro. - -Dopo aver misurato a passi lo spazio rinchiuso fra le mura pericolanti -l’uomo si fermò e disse a Palma: - -— Scava qui! - -Palma si mise all’opera. Dopo più che un’ora di lavoro aveva scoperto -una scaletta che scendeva in un sotterraneo. - -L’uomo disse: - -— Non mi sono sbagliato! — Poi accese una candela che aveva con sè ed -entrò per primo nell’antro oscuro. - - ❦ - -Era vicina l’alba quando uscirono dagli antri sotterranei. Primo fu il -vecchio; Palma venne dopo. Erano ambedue irriconoscibili per il terrame -che li ricopriva. - -Quando ebbero fatto qualche passo, Palma si fermò innanzi all’uomo -sconosciuto e gli disse: - -— E adesso che cosa mi darete per la mia fatica? - -— Aspetta — disse il frate. - -— Che cosa devo aspettare? - -— Quello che ti dirò. - -— Le parole non si spendono! - -— Sei uno stupido!... Le parole si spendono benissimo! - -— Ma insomma che cosa siamo andati a fare laggiù? - -— A cercare un tesoro! - -— Infatti abbiamo trovato da stare allegri! - -— Questo non importa! - -— Sì, che importa! - -— Tu avrai sempre guadagnato qualcosa. - -— Che cosa? - -— Vedrai! - -E ripresero la strada. Quando furono all’osteria della Sirena si -vedevano già le vele raminghe per il mare. - -Entrarono. Il frate sedette innanzi alla tavolaccia ed abbandonò la -fronte fra le mani. Dopo una pausa domandò: - -— Hai un calamaio, una penna, della carta? - -Palma guardò il vecchio in tralice e chiese a sua volta: - -— Siete matto? - -— Sai leggere? - -— No. - -— Bene. Allora stammi a sentire. - -Palma lo ascoltò. - - ❦ - -Il frate ritornò al convento senza lasciare una palanca a Palma, ma -Palma fu contento ugualmente. Da quella volta il vecchio barbone non -comparve più nè di notte nè di giorno al vascello capovolto, ma il suo -passaggio non fu più dimenticato. - -Ora giunse l’estate. Cominciò il giugno con certe giornate ardenti -che valsero più di qualsiasi consiglio a cacciar le turbe assetate di -frescura dai piani al mare. - -Cominciarono a giungere le carovane urlanti e si accamparono per la -spiaggia. - -Bisogna dire che Palma aveva tolta dalla sua baracca la dipinta insegna -dell’Osteria della Sirena e che l’aveva sostituita con una rozza croce -formata da due avanzi di naufragio legati insieme con una corda. - -Giunsero le carovane adunque, ma Palma non si mostrò. Vestito di -un sacco stava rannicchiato in fondo al suo rifugio aspettando che -qualcuno dischiudesse l’usciuolo. Pareva non volesse uccellare anzi -attendesse di essere uccellato. Ma la gente si sbandava all’intorno -volgendo appena una fuggevole occhiata allo strano rifugio. Diceva -tutt’al più: - -— Sarà la casa di qualche poveraccio!... Di qualche pescatore di -arselle!... - -E non sapevano che un pescatore in realtà si accucciava là dentro, ma -un pescatore di uomini. - -Aspetta e spera. Passavano i giorni. Palma cominciava a bestemmiare, -cosa quant’altra mai indecorosa per un uomo che vestiva il saio -all’ombra della croce. - -Ma nessuno lo udiva. Si udiva la gazzarra, il frastuono delle turbe -che esulavano al mare. La spiaggia pareva convertita in un cocomeraio -chè ogni brigata traeva seco sui biroccini e sui carri oltre a qualche -lenzuolo, larga copia di cocomeri e ne faceva festa tra un bagno e -l’altro ingoiando fette su fette del saporoso frutto vermiglio. - -E il nudo trionfava e l’ebbrezza della frescura e del mare. - - ❦ - -Palma pazientava e non usciva a mostrarsi alla turba, ma già nell’anima -sua incominciava a infiltrarsi il dubbio, quando avvenne che due -fanciulli ignudi, ruzzando un giorno fra le arene, venissero a sedersi -all’ombra della singolare baracca E com’è dell’età loro curiosa, -dopo alcun tempo incominciarono a considerare la novissima capanna e -pensarono di visitarla anche all’interno. - -Palma udì e lasciò fare. Si avvicinava il momento buono. Infatti, non -appena i due fanciulli ebbero messo il capo all’uscio ed ebber veduto -quello strano uomo accoccolato in un canto e tutto ravvolto in un -sacco, ne ebbero tanta paura che fuggirono come lepri e mai più non si -rividero presso la baracca. Ma la voce si diffuse fra le turbe. - -— Nella baracca c’è un eremita!... C’è un santo eremita!... È coperto -di un solo sacco!... Non mangia mai!... Ha la barba lunga due metri!... -Non vede il sole da vent’anni!... - -E vai dicendo. La necessità del fantastico si liberava a carriera e -qualcuno giunse a sostenere che si trattava di un turco convertito. - -Ma tutto ciò poteva ancóra interessare le donne non già gli uomini, -i quali fra cocomeri e bagni avevano in superbo disprezzo ogni -santocchieria e preti e frati ed eremiti e ogni altro tipo del genere -che non era, presso le faticate turbe, se non un vagabondo. - -E Palma udiva questi discorsi e incominciava a disperare. Il contadino -che gli aveva fatto credito giungeva tutte le notti a reclamare il suo -e già minacciava uno scandalo. Un giorno Palma si disse: - -— Se oggi non vien nessuno, domani metto fuori l’insegna dell’osteria e -si vedrà!... - -Ma appunto quel giorno era il destinato. - - ❦ - -Era il meriggio, forse, quando una voce si udì dall’esterno; una voce -di donna: - -— Si può entrare? - -— Avanti! — fece Palma. - -Entrò una donna che recava in braccio un suo marmocchio, giallo come lo -zafferano. Palma non si rimosse. - -— Voi che siete un sant’uomo.... — disse la donna e si fermò. - -— Che cosa volete? — domandò Palma. - -— Voi che siete un sant’uomo dovreste guarirmi questa povera creatura! - -Palma chinò il capo e non rispose. - -La donna, a tale mimica, fu sempre più compresa della virtù -taumaturgica del solitario. - -— Se voi voleste.... — continuò. - -Palma alzò un braccio e disse: - -— È Dio che deve volere! - -Poi si stupì di aver detto tanto. Ma la donna aveva molta fede. - -— Se voleste pregare il Signore.... - -Palma si levò e la donna si fece il segno della croce. - -— Fatemi vedere questo bambino! — disse Palma. - -La donna glielo mostrò mormorando: - -— È molto malato!... Deve morire!... - -Dopo un lungo silenzio speso a considerar la creatura da tutti i lati -Palma disse: - -— Non morirà! - -Fu colpito dal suono della sua voce e dalla promessa formale. Oramai si -era compromesso. O riusciva o ritornava alla sua prima Sirena. - -La donna disse: - -— Se me lo salvate siete il più grand’uomo del mondo!... - -Palma si sarebbe accontentato di meno; di quattro palanche. - -Disse alla donna: - -— Aspettate! - -E passò nel secondo stambugio della sua capanna. - -Ritornò poco dopo con un cartoncino in cui erano tre pillole. Le porse -alla donna, disse: - -— Queste sono tre pillole fatte con erbe che hanno virtù non conosciute -da nessuno al mondo. Dovete darne al vostro bambino una oggi, una -domani e una posdomani. - -— E guarirà? — fece la donna. - -Palma chinò la testa, susurrò: - -— Vedrete!... Vi aspetto fra tre giorni!... - -La fortuna o la disgrazia erano in via. Palma attese con un certa -ansietà ciò che gli avrebbe fruttato la ricetta del frate. - - ❦ - -A vero dire Palma non aveva mai pensato a Iddio. Non gli era venuto in -mente mai, neppure in prigione quando poteva meditare a tutto suo agio. - -Ricordava che da piccino sua madre gli aveva parlato qualche volta -del Signore, ma Palma era un ragazzo distratto e non era stato mai -tanto curioso da voler sapere che cosa ci fosse in fondo ai cieli. -Per lui l’uomo era una bestia che deve lavorare e morire. E basta. -Lavorare e morire come un bove con la semplice differenza che gli -uomini mangiavano i bovi e questi eran più miti chè si accontentavano -dell’erba. Dunque se un Dio doveva esserci sarebbe stato giusto avesse -preferito il bue che era migliore dell’uomo. Ma tale idea poteva -essergli balenata innanzi forse una volta in tutti i suoi cinquant’anni -di vita. Per il resto si era accontentato di passare da un governo -all’altro con l’unica preoccupazione di trovare un modo per trarre -in inganno i suoi simili e far danaro. Egli era dunque un ignaro di -cose divine quando fu costretto a formarsi una chiara convinzione in -proposito. - -Fino a quel punto aveva seguito il consiglio del frate senza derogarne -in nulla; si era costretto ad una prigionia che non gli riusciva -importuna per la lunga consuetudine a tale stato, aveva atteso come il -ragno, sperando che tutto si risolvesse in un commercio lucroso e nulla -più. - -Palma attendeva il lucro e il suo fato lo pose di fronte a Iddio. Tale -cosa lo sbalordì. Non se l’aspettava, ma tacque. - -Trascorso adunque il secondo giorno e incominciato il terzo, appena era -sorto il mattino che un insolito vocìo giunse all’ignaro eremita e lo -chiamò sulla soglia della sua acquatile casa. - -Come volse intorno gli occhi, ecco venire di lontano una turba di donne. - -Palma rimase perplesso. Gridavano, dunque il bambino era morto e, se -era morto, l’unica cosa che gli restasse a fare era quella di darsela a -gambe chè ormai la sua fortuna gli aveva volte le spalle. - -Tale la prima considerazione e la risoluzione prima che gli balenarono -innanzi. - -Su tale proposito rientrò in casa, ma sul punto di uscirne troppo gli -dispiacque di abbandonare il suo nido fra le sabbie sì che, passato -nella seconda stanza, e rifugiatosi in un angolo, nel buio, attese -senza rifiatare l’arrivo della strillante turba. - -E poco attese che le donne furono innanzi alla soglia e incominciarono -a gridare: - -— Palma.... Palma.... apriteci.... apriteci!... - -— Sì, aspettatemi per l’anno del mai!... — diceva fra sè l’eremita e -più si rintanava nel buio. - -E le donne: - -— Palma.... Palma!... Veniteci ad aprire, per carità!... - -— Ve lo domandiamo per carità!... - -Palma stette in orecchio. Trasentiva o non piuttosto le femmine lo -imploravano? - -— Venite da queste disgraziate, Palma, che Iddio ve ne rimeriti!... - -Davvero?... Dunque le pillole erano state efficaci!... Il frate -aveva detta la verità!... Si levò; si riaggiustò addosso il suo sacco -grigio.... - -— Palma?... Non ci mandate via!... Siamo povere donne!... - -Allora l’uomo dal saio incominciò a sentire qualcosa dentro di sè che -vi ingrandiva come se un sole nascesse. Uscì dalla cantina, attraversò -la prima stanza, aprì l’usciuolo. Non appena fu sulla soglia il -vociferìo si accrebbe e le braccia si protesero: - -— Palma, uomo benedetto dal Signore, guaritemi questa creatura!... - -— Palma, Palma, sono tre anni che non trovo riposo!... - -— Palma, benedite questa povera figlia che ha il diavolo in corpo!... - -E volevano da lui queste e cento altre cose, cento miracoli e Iddio. - -Iddio!... L’uomo profano di ogni fede rimase muto, accigliato, -impassibile, ma dentro al cuor suo incominciò a nascere un dubbio, un -dubbio curioso che gli dava una sensazione nuova come di una leggerezza -subitanea fra terra e cielo. - -Iddio!... Dunque poteva darsi davvero che qualche notte, nel silenzio -sterminato di quella solitudine, qualcuno fosse disceso dal cielo per -entrare dall’usciuolo nella sua nave antica?... Poteva darsi?... Ed -egli dormiva e questo qualcuno... - -Distribuì quante pillole aveva e rimandò le donne per la loro strada. -Gli ubbidirono a un cenno. Egli aveva in realtà la figura di un asceta -e il volto di un qualche santo forastico nutrito di miele selvaggio. -Tanto si sentì smarrito dalla devozione delle femmine che non pensò -a chiedere compensi. Distribuì il suo farmaco per l’amore di Dio, e -per l’amore di Dio, verso sera, giunse alla sua baracca una giovinetta -che si inginocchiò sulla soglia ed ivi depose un pane, delle uova, del -formaggio; poi si fece il segno della croce e se ne andò. - -Palma rimase solo nella notte: contrito, confuso, pentito; ma non -sapeva bene di che si pentisse. Andò pe’ suoi farmachi, raccolse -l’erba che il santo frate gli aveva indicata nella notte del tesoro, -si sentì invaso come da una sacra purità e sempre più confuso, sempre -più incerto sul calcolo ch’egli doveva fare e di se stesso e di Iddio e -delle donne strillanti. - -La sua baracca divenne come un santuario per le turbe le quali un -bel giorno pretesero che il povero Palma facesse ritornare in vita un -moribondo. Palma non volle saperne, ma il moribondo guarì. Guarì e fu -fatta. Palma era un santo; Palma aveva fatto il miracolo. - -E da quel giorno egli si trovò in diretta comunicazione col Signore. -La macerata povertà, il digiuno, il lungo patire dovevano essere suo -ornamento e questo fino alla morte. E perchè mai?... Che aveva egli -fatto?... Le sue virtù gli erano sconosciute, come il suo Dio. Qualche -notte stette inorecchito sperando di udire una voce portentosa, ma non -la udì. E allora? La virtù della gran mutazione della sua vita non era -adunque che nel farmaco lasciatogli dal frate?... - -Tutto scendeva direttamente da una piccola innocua pillola? E quale era -il suo guadagno?... Ah, uomo bruto!... Così avviene che la divina luce -dell’alba discenda per gli sterquilini!... Ma Palma non era di stoppa -ultraterrena e una notte, gettato il suo saio alle ortiche, si dette -per fallito e partì. - -E mentre le turbe lo assumevano al cielo, il povero vecchio Palma, -esule di Dio e della legge, sentendosi perduto per sempre per non aver -ascoltata la Provvidenza non ebbe più posa. - - - - -I VIOLENTI. - - -Avevano i Venchi la loro officina sotto un albero fulminato, lungo -la riva di un fiume. Una angusta capanna contesta di rozzi pali e di -fascine e pienata di argilla le pareti; il tetto di stipa, i battenti -neri. V’eran per entro in grande copia gli arnesi fabbrili e più ne -stavano all’aperto dove il maestro carradore lavorava e l’estate e -l’invemo. - -Quivi disposte su ampie capre e su banchi e sul terreno erano ruote e -timoni e sale e cassini e carra, le membra disperse degli arnesi che -uscivan dal centenario cantiere. - -Nell’antro funzionava e ansava e ardeva la fucina. E dall’alba -primissima al declinare delle ombre serali, era un grande travaglio -sotto l’albero fulminato. - -Da centinaia di anni la famiglia dei Venchi conduceva il cantiere e -l’opera era trasmessa di padre in figlio co’ suoi gelosi segreti, come -la vita e il nome e le virtù della razza. - -Ora era maestro dell’arte, Alessandro, il vecchio di più che settanta -inverni e non aveva questi se non un figliuolo: Samuele, ed erano soli -nella loro casa senza donne. Vivevano essi senza parlarsi mai, tanto -l’uno aveva preso dell’altro e l’anima e il costume ed erano come -estranei nella casa degli avi tutta deserta e muta sulla loro bocca -muta. - -Tornavano a notte, l’uno dopo l’altro e salivano alle loro stanze -opposte. All’alba la casa si richiudeva nel suo silenzio. - -Mangiavano sul pugno, al lavoro, seduti sopra un toppo di ancudine o -sul tronco di un’acacia o di un olmo e il loro pasto era breve come il -respiro. Non bevevano che al pozzo, ricurvi su la secchia traboccante. -I loro garzoni non ricordavano ch’essi avessero parlato mai a -confidenza neppure per l’attimo. S’intendevano per monosillabi, senza -guardarsi. - -Sapendosi uguali in tutto: e nella forza e nel volere, cercavano -evitarsi perchè la devozione sacra del figlio non venisse meno e non -venisse meno l’affetto che li legava. Andavan paralleli, pronti a -morire l’uno per l’altro finchè il caso non li ponesse di fronte per -opposte volontà. - -La sommissione di Samuele era stata cieca sempre; aveva seguito il -consiglio e il comando, si era concessa e prona e pronta al sacrificio. -Non mai un giorno senza lavoro; non mai un’ora di gioioso abbandono. -Egli si era piegato come il ferro sul fuoco; era stato stretto e -costretto come la ruota nel cerchio, come il timone fra le chiavarde: -si era dato passivamente con tutta la sua forza. - -D’altra parte, tale era stata la vita del padre sotto il dominio di -nonno Samuele. La consuetudine degli avi si manteneva uguale negli anni -nè poteva esser discussa, nè diminuita: era sacra e fatale. - -Il figlio era del padre come cosa e non come creatura e questi poteva -disporne a suo piacimento. La salda compagine della famiglia richiedeva -tale disciplina. E Samuele si era aggiogato come tutti coloro che erano -stati innanzi a lui nel tempo e avevano creato il prestigio di un’arte -e di una tradizione; aveva accettato il loro còmpito come il cieco -legno che si costringe tra le ferramenta e va ad obbedienza finchè -non sia ultimamente consunto. Ma la morte era lontana tuttavia per il -giovane gagliardo e la vita non poteva continuare sì cupamente monotona -fino al punto in cui uno si appacia col suo destino e si dispone -all’ultima ventura. - -Aveva egli un cuore tumultuoso, una forza non per anco provata, un -desiderio solare che a quando a quando si ridestava per accenderlo di -una radiosità senza confine. Se una sola era la via battuta, s’egli -non andava che dalla casa deserta all’antro fumoso e da questo alla -casa quando il sonno incombeva; se era chiuso fatalmente, come l’astro, -nel suo circolo eterno e doveva seguire l’ombra del padre e coprire le -stesse orme a capo inchino e non fiatare e non domandare e non essere -mai; se, come gli arnesi della fucina, non doveva servire che ad un -ufficio, l’anima sua, nel suo alto silenzio, vedeva, s’irraggiava per -mille aspetti giovanilmente in una sua trepida adorazione portentosa. - -Era il mondo, a quell’anima chiusa, come un canto sconfinato e -magnifico, come un ignoto adorabile, come una gioia senza fine e senza -principio, e una purità senza travaglio. Dalla sua costrizione, dal suo -isolamento sorgeva l’ignaro con raddoppiata energia a illuminare della -sua sconfinata passione le cose indifferenti. - -Maestro Alessandro nulla pensava di questo. La giovinezza sua era stata -impassibile. Egli non aveva conosciuto se non una ragione fisiologica -alla quale era bastata una donna qualsiasi, quella che gli avevano -data in moglie e ch’egli aveva accettata come si accetta un pastrano -quando fa freddo; nè poteva supporre che altro fosse il desiderio del -figliuolo. - -Avere una donna in casa era necessario; non potevano continuare la loro -vita sbandata e Samuele doveva sposare. Ora maestro Alessandro sapeva -già di una donna ricca e perfetta massaia, che avrebbe fatto della -casa un paradiso; anche avrebbe dato figli sani e robusti perchè non -era giovine ed era ben squadrata chè fra anche e spalle raggiungeva -l’ampiezza di un bue, e gli piaceva benchè non l’avesse mai guardata in -viso; ma che importava il viso? Una donna si sposa per quello che vale -e non per la sua bellezza e la bellezza è vana e crea fastidi e può -portare a mal fine un marito. - -Se era brutta, come aveva sentito dire, tanto meglio; la sua povera -moglie era quasi gobba, eppure gli aveva partorito un fior di figlio, -chè Samuele era saldo come l’incudine. E più di questo non si poteva -desiderare. - -Ora una sera, chiusa che fu l’officina e partiti i garzoni, maestro -Alessandro, contro il costume suo, chiamò Samuele e gli si pose a -fianco. Il loro parlare fu breve: - -— Samuele, tu devi prender moglie! - -Il giovine levò gli occhi sul volto del padre e non rispose. - -— A venticinque anni è il tempo giusto. Le cose si fanno alla spiccia. -La Venusta degli Antoni è già pronta. Io le ho parlato. - -Samuele ebbe un fremito ma si rattenne. Chiese a voce soffocata: - -— E che vuole da me? - -Maestro Alessandro si fermò a squadrare il figlio e la sua faccia si -aggrottò come il monte a sera: - -— Come che vuole? Di che mondo sei? Dovete sposarvi! - -Samuele guardò il padre negli occhi con insolita fermezza e sbiancò -tremando. - -Rispose: - -— No. - -E il vecchio: - -— No che cosa? Che ti frulla per il capo questa sera. - -— Io non la voglio! - -— Non la vuoi? - -— Ho detto no! - -Fu fra i due un torbido silenzio, poi maestro Alessandro alzò a -violenza il pugno vigoroso ma non colpì; si rivolse e riprese la -strada. Samuele gli tenne dietro. Camminarono sempre a fianco, a capo -chino. Erano di pari statura; ambedue forti ad un modo: l’uno più -agile, l’altro più nodoso; il frassino e la rovere. Sulla soglia della -casa deserta maestro Alessandro si fermò e nelle parole che disse era -un monito sinistro, la voce rauca tremava nel singhiozzo dell’ira: - -— Tieni bene a mente quello che ti dico, ragazzo! In questa casa c’è -una volontà sola ed è la mia. Non pensare a disubbidirmi e bada a te! - -Ed entrarono e la casa tacque sul loro angosciato riposo. - -Dopo non molti giorni ogni formalità era compiuta. Maestro Alessandro -aveva lasciata l’officina per recarsi in città e nessuno seppe la -ragione del suo viaggio. La seppe Samuele, una sera di domenica, quando -il padre gli disse: - -— Ora verrai con me. - -— Dove? - -Maestro Alessandro continuò: - -— Il permesso è preso; non c’è nulla che si opponga. Posdomani tutto -sarà fatto e la Venusta sarà con noi, nella nostra casa. Tu puoi -scegliere l’ora che ti piaccia meglio per sposare. - -Samuele guardava il padre co’ grandi occhi larghi e bianchi e immobili. -Il suo volto era quello di chi impietra. - -Disse maestro Alessandro: - -— Hai inteso? - -— Sì! - -— Perchè mi guardi così? - -— Per nulla. - -— Allora va, mettiti la veste migliore. La Venusta ci aspetta! - -Samuele non si muoveva. - -E il vecchio gridò: - -— A chi parlo? - -— Che vuoi? — fece Samuele. - -— T’ho detto di ripulirti che ci aspettano a casa dei Grandi. E fa -presto!... E cammina senza storie prima ch’io ti rompa la faccia! - -E ancora l’abitudine antica lo tenne e l’anima sua fu muta in fondo al -suo buio. Samuele andò, si vestì come in sogno e seguì il padre senza -parlare. - -A casa dei Grandi li aspettavano. C’era una tavola imbandita e nel -basso focolare, in fondo alla stanza, ardeva una fiamma altissima. -Samuele non vide se non quel dolce bagliore e non udì le voci e gli -auguri, nè vide la donna attempata che gli parlava sorridendo. Una -volta ch’egli fissò quel volto piatto dal gran naso broccuto, rise come -un ebete e a tutto ciò che gli fu chiesto non rispose. Poi cominciò il -festino e la volgarità. - -Erano pigiati intorno ad una grande tavola, seduti su due lunghe panche -e le donne mangiavano in disparte, presso il focolare come bestie -accosciate, il viso sui piatti fumanti. Solo una gli era al fianco e -lo stuzzicava e rideva a rovescio come una caldaia che bolla, ed egli -vedeva la larga bocca dai denti gialli aprirsi e vociare e ingoiare, e -vedeva i piccoli occhi porcini e le guance sudanti, floscie come l’otre -vuoto. - -Maestro Alessandro più non si curava di lui; nessuno gli poneva mente -chè l’accolta era intenta ai bisogni suoi voraci. I grandi vassoi di -carni e di legumi eran finiti d’assalto e gli ampi boccali si vuotavano -a gran furia. Solo, più aumentava l’ebbra bestialità dell’accolta, più, -quella che gli sedeva a fianco, lo pigiava e lo infastidiva con la sua -voce rauca e Samuele cominciò a guardarla in volto senza fiatare. - -E la donna chiese: - -— Perchè non mangi?... Ti vergogni della tua sposa?... - -E rideva, rideva interrompendosi a quando a quando per saziare la sua -voracità flatulenta. - -— Hai sonno, di’?... Dormi ancora per questa notte chè domani non -potrai dormire! - -E, sotto la tavola, gli si stringeva da presso, sempre più tenacemente, -come la mignatta e il nodo scorsoio e le cose che soffocano e che -dissanguano. - -— Non mi vuoi bene? - -Silenzio. - -— Non ti piaccio? - -Egli la guardava con una sua tragica smorfia e pensò come mai potevano -uscire tali parole da quella bocca sconcia, irte di peli le labbra e il -mento piatto. Ed ella rideva e si accalorava da sola, scambiando per -timida inesperienza il silenzio dell’uomo e più le piaceva il giuoco, -e più le cresceva la foja quanto più le sembrava e fresco e timido il -frutto nuovo sul quale avrebbe morso con la furia della sua maturità -brutta ed ingorda. - -E ancora gli diceva accostando a quella di lui la faccia bestialmente -accesa: - -— Quando mi conoscerai mi amerai. Io so l’arte di farti morire d’amore! -Non mi guardare se non sono bella chè ti piacerò più del sole! - -E la gente ubriaca cominciava a bofonchiare. Poi qualcuno più acceso, -gridò: - -— O Samuele, stringitela dunque quella tua vecchia gallina!... Non vedi -come ti guarda?... - -E l’idea piacque sì che l’accolta l’impose urlando. - -La Venusta protese le labbra e baciò sul collo Samuele. Questi la -respinse col gomito a violenza. - -E disse la donna: - -— Abbracciami, non siamo sposi? - -Maestro Alessandro, in capo alla tavola, teneva la testa china sul suo -piatto; allora un giovinastro gli gridò: - -— Diteglielo voi, maestro, che s’abbraccino!... - -E la gente: - -— Su dunque, diteglielo, maestro! - -Il vecchio levò gli occhi che si scontrarono in quelli del figlio -suo, nè mai più torbida luce si incrociò per gli spazi nelle orrende -tempeste. Maestro Alessandro chinò la testa. Allora l’anatroccola -infojata abbrancò al collo Samuele e lo attanagliò come la morsa -stringendo la viscida faccia contro quella di lui. - -Scoppiò una risata omerica e la voce incomposta degli ebbri di vino -incitò la Venusta a tutto osare. - -Anche le donne si accostarono alla tavola, scapigliate, e battevan le -mani. In breve si formò intorno un cerchio di brutale concupiscenza e -Samuele vide l’assieparsi e il chinarsi delle facce oblique e vide gli -occhi accesi di fosco ardore e le vene turgide e gli aspetti bestiali, -nè più resse a tale supplizio. - -Allora ciò che l’anima sua pura aveva contenuto irruppe, schiantò ogni -costrizione. - -— Va via che mi fai schifo, puttana! - -E afferrata la donna alla cintola l’arrovesciò sconciamente su la panca -e si tolse dall’incubo. - -Il clamore si spense d’un subito. Non fu intorno che un’incertezza -paurosa e gli occhi corsero dal volto del padre a quello del figlio. - -Samuele non guardò la gente, di nulla si curò se non del suo immenso -desiderio di libertà; non fu al mondo, per lui, se non la sua fiera -volontà che non avrebbe umiliata mai più, e sentiva una gioia altissima -in quella subita conquista. - -Già era per uscire quando si levò, aspra ed imperiosa dal silenzio, la -voce di maestro Alessandro: - -— Samuele?... - -Il giovane si rivolse torvo. - -— Che vuoi da me? - -Il vecchio fece per slanciarsi ma un urlo lo trattenne. Allora si passò -le grosse mani su la pallida faccia sconvolta e gridò: - -— Va, va, che saprò dove trovarti! - -E nessuno più disse parola. Sentivano l’approssimarsi dell’orrore. -Erano i Venchi di una feroce razza lupigna che nulla raffrenava. Gli -uomini chinarono la faccia; le donne udivano già per l’aria fosca di -tenebra le urla della folle paura. - -E quando il vecchio fece per uscire nessuno gli si oppose: era sul suo -volto cadaverico la risolutezza che umilia chiunque la guati. Uscì, lo -guardarono finchè la porta non fu rinchiusa, ascoltarono il suo passo -finchè non si perse e allora si udì l’implorazione della donna offesa; -schiantò il silenzio come un singhiozzo: - -— Correte gente, correte che non si debba udire un simile spavento! - -Quelle parole agghiacciarono i cuori e gli anziani si mossero incurvi, -senza fiatare. - -Ora Samuele attendeva il padre nella casa sconsolata. Una lampada -fumigava sulla tavola. Più non aveva misura il tempo, più non era nè -tempo nè spazio, ma una cupa eternità senza voce. - -Camminava il giovine ascoltando il tonfo del suo cuore scatenato e ad -ogni scricchiolio sussultava rivolgendosi alla porta. - -Poi si udì cigolare la porta e si udì il passo del sopravveniente. -Furon l’un contro l’altro come due spettri. Nè l’uno dei due piegò; nè -parevano tanto forti da superare quell’orrendo silenzio. - -E il vecchio si accostò al muro e ne distaccò la doppietta. Si udirono -gli scatti delle molle congegnate. - -Samuele non fiatò, non si mosse, non distolse gli occhi torvi dal volto -del padre. Erano ai due lati opposti della stanza. - -Maestro Alessandro puntò lentamente l’arme nera. Era nel suo volto -sparuto la contrazione di un’ira senza limite, la terribilità del -delitto. - -E allora parlò e disse: - -— Inginocchiati! - -Il figlio ubbidì e s’aperse le vesti, nè le sue mani tremarono. - -E il vecchio: - -— Farai ciò che voglio? - -Samuele non rispose. - -Il fucile s’abbassò verso il petto scoperto. - -— Rispondi!... - -Si udì un gemito, una voce strozzata, uno spasimo angosciato di -supremo dolore e la pallidissima faccia sbiancò ancor più nell’orrendo -singhiozzo. - -— Rispondi! — gridò più forte l’ossesso. - -Allora parve che tutto l’essere veemente e tutta la ribelle gagliardia -del giovine si liberassero nel grido; ed egli parlò stravolto, senza -più lume negli occhi: - -— Puoi ammazzarmi, ma non puoi costringermi! - -— Tornerai dai Grandi? - -— No!... - -— Chiederai scusa? - -— No!... - -— Mi ubbidirai? - -— No, no, no!... - -E in così dire fece per lanciarsi innanzi, cieco nel suo furore; ma -appena aveva levato il ginocchio che un colpo rintronò e il giovine dal -fiero viso stramazzò riverso come cosa inanimata: gli occhi al cielo e -la bocca torta. - -Poi un urlo fu nella casa desolata e un urlo più alto nella notte -grande, chè gli anziani sopraggiungevano correndo. - -Ma tutto era vano ormai. Il tragico fato dei Venchi era compiuto per -l’eternità. - - - - -LA GAZZA. - - -Il semplicista non fece troppe parole; guardò Mezzalana, gli tastò il -polso, gli rovesciò le palpebre e scrollò il capo. - -— Be’, cosa dite? — mormorò Mezzalana. - -— Cosa debbo dire? — rispose il semplicista. - -— C’è pericolo? - -— Non la vedo chiara. - -— Che cosa c’è.... Un tumore? - -— No, è il male della lucciola. - -— Della lucciola?... Non l’ho mai sentito ricordare. - -— Be’, ve lo dico io. - -— Siete sicuro di non sbagliarvi? - -— Se non mi credete, perchè non chiamate il dottore? - -— Il dottore?... Vuol esser pagato! - -— Allora state zitto se non volete spendere! - -Mezzalana alzò le spalle e mormorò: - -— Starò zitto! - -L’empirico riprese la mazza che aveva appoggiata al muro, si chinò alla -secchia ricolma che era appoggiata sul pozzale, bevve e, asciugata la -bocca sulla manica della giacca, si avviò all’uscita dell’aia. - -Mezzalana non era contento e già si pentiva del palancone che aveva -dato al semplicista per la sua visita; due soldi valevan bene un lungo -discorso, s’egli li valutava alla stregua della sua rabbiosa avarizia; -così, come vide l’uomo andarsene tranquillamente senza aggiungere -parola, gli gridò dietro: - -— Be’, non mi dite altro? - -L’empirico si fermò e, volgendosi a mezzo, rispose: - -— Non ve l’ho detto il male che avete? - -— Sì, ma che cosa debbo prendere per guarire? - -— La cassa! - -— Che cosa?... - -Allora Zibaldino, che stringeva tuttavia a dispetto, nel palmo -della mano, la scarsa mercede e voleva far notare all’avaro la sua -spilorceria, grugnì: - -— Dite un po’, pretendereste forse ch’io perdessi tutta la mia giornata -per due soldi? - -— Due soldi son due soldi — rispose Mezzalana; — costano fatica e voi -li guadagnate con delle chiacchiere! - -— Ah! sono chiacchiere le mie? - -— Non avete mica imparato la vostr’arte vangando la terra! - -— Allora perchè mi chiamate se sono chiacchere?... - -— Perchè vi contentate di poco. - -— Siete uno sciocco! - -— Io sarò uno sciocco, ma due soldi son due soldi!... E per due soldi -dovreste parlare un po’ di più!... - -Zibaldino scuoteva il capo da destra a sinistra squadrando il cocciuto -bifolco; poi si decise e parlò chiaro: - -— Be’, già che volete farmi parlare: volete proprio saperla tutta? - -— Sì. - -— Allora vi dico che avrete ancora tre giorni da campare! - -— Tre giorni. - -— Sì, tre giorni. E ve la dò lunga!... - -Mezzalana si guardò attorno, si calcò la _galosa_ fino alle orecchie e -mormorò: - -— Basta!... Ho capito!... - -— Vi saluto — fece Zibaldino. - -— Addio — rispose Mezzalana; ma l’empirico non era giunto ancora sulla -strada che il vecchio gli gridò dietro: - -— Avete detto che è il male della lucciola? - -— Sì, della lucciola! - -— E non ci sarebbe qualche erba? - -— Sì, l’_erba cagnina_ che fa bono ai cani! - -— Dite davvero? - -Zibaldino non rispose più. Si avviò per la riva del fosso, e camminava -forte. - -Mezzaluna corse sulla strada, stette in forse un secondo, poi chiamò: - -— O Zibaldinoooo? - -L’altro affrettava il passo dinoccolato, il cappello sugli occhi e le -mani in tasca. - -— O Zibaldinoooo?... Non mi sentite?... - -Sì! Chi lo sentiva?... Era indispettito. Svoltò per la prima -viottola e non si vide più. Allora Mezzalana si grattò un orecchio -e incominciò a pensare. Era troppo chiaro che il semplicista si era -preso giuoco di lui. Forse con tre palanche avrebbe parlato un po’ -più e si rimproverava di non aver arrotondata la grassa mercede. Ma -tale rimprovero non resse alla sua critica feroce. Tre palanche per -un chiacchierone che veniva a guardarvi negli occhi o a tastarvi il -polso? Bisognava essere milionari per darsi a spese simili. E negli -occhi che cosa ci vedeva, la fede di nascita?... E a che serviva -tastare il polso se egli sentiva male dentro, nel _cassone_, fra il -cuore, lo stomaco e la milza? Spendere due soldi per sentirsi ripetere -la bella verità che bisognava morire!... Tante grazie! Credeva forse -che Mezzalana non sapesse.... Però aveva solo settant’anni. Che -cos’erano settant’anni?... Suo padre era morto a ottantasette e suo -nonno a novantaquattro. E aveva sentito dire dalla buon’anima di sua -madre che un loro vecchio antico era giunto alla bella età di cento -e quindici anni. Oh, sì!... Così bastava!... Dice: — Era ridotto come -un uccellino!... Be’, e se era magro, e se mangiava poco non era fra -i vivi ugualmente?... Perchè il tutto sta a non dover andarsene troppo -presto; per il resto che cosa importa?... Anche se uno non si muove più -da una sedia, basta veda.... - -E qui lo colse un pensiero amaro: e se per davvero egli non avesse -potuto veder più?... A settant’anni! E gli pareva di trovarsi di fronte -a una smisurata ingiustizia se pensava alla morte alla sua età. Si -spinse la _galosa_ sulla nuca; si avviò per l’aia ciondolon ciondoloni; -prese una forca appoggiata a un pagliaio e la portò nella capanna. Il -cane corse ad annusargli le gambe; lo scacciò. - -Una subita incredulità lo invase. Ogni dubbio ne fu travolto. Ma -che morire!... A dar retta a certa gente sì, che si sarebbe morti -venti volte il giorno. L’ora segnata era nel libro di Dio, non poteva -conoscerla faccia d’uomo sulla madre terra. Il nostro destino era ben -al disopra dei tetti delle case, in fondo al cielo, e se qualcuno fosse -potuto andare e ritornare di lassù dove corrono le stelle, oh! allora -gli si sarebbe potuto credere ad occhi chiusi. Ma un chiacchierone che -sapeva l’arte di comporre qualche pillola, dove doveva togliersela -la misteriosa scienza della vita e della morte? Perchè andava pei -boschi, la notte?... Perchè dicevano che l’avevan veduto parlare -coi fantasmi?... Chiacchiere che non valevano le sue belle palanche! -Richiuse la capanna e si avviò al pozzo. - -Era ben vero che non si sentiva bene! Era vero, perchè negarlo?... A -volte gli sopravvenivano certi mancamenti che, se non trovava appoggio, -andava ruzzoloni per le terre, come gli era accaduto varie volte. E la -vista gli si annebbiava sempre più e non aveva appetito. Almeno avesse -mangiato!... Fin che si mangia si campa. Ma no, niente!... Appena -qualche boccone e stentato che doveva far fatica ad inghiottirlo! -Questo era il brutto! Già, perchè con lo stomaco non si ragiona e se -lo stomaco sciopera.... Il male della lucciola?... Uhm?! Non l’aveva -sentito ricordare mai. Ma che c’entrava la lucciola? Non era mica il -tempo dei grani ed egli non soffriva di nessun fenomeno luminoso! - -Forse era un tumore. Già se lo sentiva addosso, a porgli mente; si -sentiva come una cosa rotonda gravitare fra il cuore, lo stomaco e la -milza, e nè Zibaldino, nè tutti i professori della terra potevano saper -questo perchè, a voler ragionare, il male è di chi lo ha e chi non ne -soffre non ne può sapere proprio nulla. - -E tale convinzione gli si accrebbe e gli si perfezionò per quanto più -tempo prese a considerarla. Definito il male, pensò al rimedio. Un -rimedio doveva esservi. La sua ostinata volontà di vivere non poteva -rassegnarsi all’idea dell’inguaribile; così, siccome un poco se ne -intendeva di semplici, si dette a rimuginare tutte le virtù delle erbe -e da un angolo occulto della sua memoria gli tornò alla mente questo: -che cioè l’erba _piastrella_ aveva la virtù di sciogliere i nodi che si -formavano nel corpo degli uomini in seguito a cadute o a stregonerie. -Ci voleva adunque l’erba _piastrella_ la quale non si trovava nei campi -o lungo i fossi, ma nella pineta lontana. Doveva essere raccolta di -notte, durante l’interlunio perchè non perdesse le sue proprietà. In -quanto all’interlunio il periodo era propizio; in quanto alla notte.... -Si grattò un orecchio. A questo punto qualcuno scarpicciò dietro le sue -spalle. - -— Come state, Mezzalana? - -Gettò un’occhiata in tralice. Era Pignòla, la sua vecchia moglie. Non -le rispose. - -Pignòla veniva per l’aia con un paniere. - -— O Mezzalana, non mi date mente? - -Mezzalana volse il viso burbero. - -Quando fu vicina al marito si fermò a guardarlo da sotto in su, seria -seria, col paniere infilato in un braccio, e nel paniere pigolavano una -ventina di anatroccoli appena sgusciati dall’ovo. - -— Che cosa volete? - -— Vi ho domandato come va! - -— Io non lo so! — fece Mezzalana. - -— È venuto Zibaldino? - -— Sì. Non lo avete visto? - -— Non l’ho visto. Be’, che cosa vi ha detto? - -— Che debbo morire! - -— Sarà matto?! - -— È quello che dico io! - -— Non gli darete mica retta?... - -— No, per Dio.... - -— Volevo ben dire!... - -E tacquero. Mezzalana si guardò i piedi; Pignòla raccolse i pulcini che -tentavano di guizzar via dal paniere. Poi Pignòla soggiunse: - -— Non sapete neppure la razza del male? - -E Mezzalana: - -— È una razza cane! - -Pignòla scosse la testa: - -— Questo sì! - -Passò una pausa. - -— E sapete che cosa ha avuto core di rispondermi quando gli ho -domandato un rimedio? - -— Che cosa ancora? - -— Mi ha risposto che la medicina era la cassa! - -— Dite sul serio? - -— Non vedessi più la faccia de’ miei figli! - -Pignòla aggrottò le ciglia e scagliò la sua maledizione: - -— Facesse Iddio che toccasse a lui!... - -E, lanciato che ebbe l’anatema, si dette a rincorrere gli anatroccoli -che erano guizzati fuor dal paniere e scorrazzavano per l’aia. - -Mezzalana l’aiutò. Quand’ebbero compita l’opera, Mezzalana disse: - -— Sapete che male è? - -— No. - -— È un tumore! - -— Ne siete sicuro? - -— Sì. E ci vuole l’erba _piastrella!_ - -— L’erba _piastrella?_... Che cos’è? - -— Come, non la conoscete?... Non sapete se faccia bene?... - -— Io no.... - -Allora Mezzalana guardò la moglie di sbieco e brontolò: - -— Già l’ho sempre detto che siete un’ignorante!... - -La Pignòla non ribattè, era abituata agli sgarbi del suo signore e -padrone, nè si riteneva degna di un trattamento diverso. Quand’era -ancora giovine erano state famose bastonature ch’ella aveva inscritto -nel capitolo dell’amore e della gelosia e che l’avevan fatta orgogliosa -del suo uomo di fronte alle compagne; da vecchia il bastone aveva -ceduto l’impero alle violenze ed ella prendeva queste come quelle, con -l’intima fierezza di una donna che si sente amata. - -Senza scomporsi adunque, e per nulla offesa tirò di lungo, entrò nella -capanna e scomparve. - -Come Mezzalana fu solo, raccattò uno stecco che vide in mezzo all’aia, -lo portò nella catasta delle legna perchè nulla doveva andare disperso, -poi si fermò, la testa bassa, tutto assorto in un pensiero. - -Così ristette alquanto e, quando si riscosse, la sua decisione era -presa. - -Egli stesso sarebbe andato in pineta, durante la notte; avrebbe -raccolta l’erba che conosceva e sarebbe ritornato innanzi l’alba. - -A compire il viaggio gli bastava il suo ciuco. Nessuno doveva saper -nulla della decisione presa, neppure la Pignòla. - -Però, siccome un certo dubbio gli rimaneva in fondo all’anima e capiva -di mettersi in un grave rischio, chè il viaggio non era corto, e poteva -coglierlo un malore lungo la strada, decise che, prima di partire, -avrebbe preso le sue precauzioni. E tali precauzioni erano d’indole -affatto particolare. Entrato nel nuovo ordine di idee si affrettò verso -la casipola, entrò nella stanza terrena e gridò a Pignòla che era curva -su gli alari: - -— Questa sera si deve cenar presto!... Spicciatevi! - -— Devo cuocere la minestra? — domandò Pignòla rivolgendo la faccia. - -— Sì, cuocete! - -— E i ragazzi? - -— Fatevi alla siepe e chiamateli. Sono nel campo? - -— Sì. - -La Pignòla andò e tornò, presta come la lepre. Aggiunse legna al fuoco -e una grembiulata di canàpuli, accese la lampada, andò ad attingere il -vino nel boccale, cosse la minestra. - -I figli e le figlie di Mezzalana entrarono senza pronunciar parola e -sedettero sulle panche disposte ai due lati della tavola. - -La Pignòla si spicciò, la minestra fu servita. Mezzalana non toccò -cibo, ma nessuno gli pose mente se non fu la vecchia Pignòla. -Questa che, dopo essersi pienata la sua verde scodella, preso il -nero cucchiaio di legno, si era seduta sopra un sacco di farina, in -disparte, a consumare il suo pasto, guardava a quando a quando il -marito e mangiava di mala voglia. Poi non potè resistere e disse: - -— Mezzalana, non avete fame? - -Il vecchio non rispose. E la donna: - -— Non fate bene a star sempre digiuno! Vi guasterete la salute! - -Mezzalana grugnì in sì malo modo che la vecchia Pignòla abbassò -l’insolcata faccia su la scodella e non parlò più. - -Compìto che fu il pasto, tutti salirono al piano superiore e Mezzalana -rimase solo; allora, come udì spengersi a mano a mano ogni fruscìo, -si tolse le scarpe, staccò la lampada appesa sotto una trave e andò -ad assicurarsi che tutte le porte fossero ben chiuse. Si fece poi -alle scale e stette in ascolto. La sua gente dormiva affranta dalla -stanchezza. Ciò piacque al vecchio, il quale si guardò attorno ancóra, -chè lo teneva l’eterno sospetto di essere spiato. Stava per compire -qualcosa di sacro, qualcosa che gli era come un misterioso rito verso -il suo Dio sonante. E per tale rito al quale, dai lontani tempi della -sua immemorabile giovinezza, egli si era tenacemente votato, dormiva -solo, in uno stambugio attiguo alla cucina e nessuno vi entrava se non -Pignòla, rarissimamente, quando il consorte suo non poteva levarsi dal -letto. - -Entrato che fu nel _Sancta sanctorum_, tirò il catenaccio, posò la -lampada sopra una sedia e, presa una piccola scala a piuoli, l’appoggiò -ad una trave e vi salì. Nel corpo di detta trave, per mezzo di certi -suoi nuovi congegni, egli aveva aperto un rifugio capace di contenere -comodamente le cose che voleva riporvi; e tale rifugio era sì ben -chiuso che, dal basso, nessuno avrebbe potuto sospettarne l’esistenza. -Vi salì adunque, ne tolse la chiusura, l’ispezionò e come fu sicuro -dell’affar suo, vi depose la sacra mercanzia ch’egli aveva presa -antecedentemente da un ripostiglio praticato nel muro, dietro l’arca. -Compìta ch’ebbe la faccenda, ridiscese, portò la scala altrove, uscì -su l’aia a specular la notte. Era sereno. Tempo calmo. Il Carro saliva -nello spazio verso i sommi cieli, con le sue sette stelle. Allora, -trasse dalla stalla _Simone_, l’attaccò alla carretta e se ne andarono -per le strade silenziose verso la pineta marina. - -E l’alba non ancóra era per nascere quando Mezzalana e _Simone_ -ritornavano con l’erba _piastrella_. Ma se _Simone_ era tranquillo -circa la sua sorte, altrettanto non lo era Mezzalana, chè sentiva il -suo male crescergli dentro a dismisura e arroncigliarlo e morderlo e -tormentarlo con lena sempre maggiore dilagando dal confine suo consueto -a tutto il corpo. Il nodo maligno, confinato fra lo stomaco, il cuore -e la milza si moltiplicava, tanto che Mezzalana aveva ferma fede di -sentirlo crescere dentro di sè e radicarsi per ogni dove fino alla cima -delle dita. Epperò un certo sudor freddo gli bagnava la fronte e il -petto; e il dolore lo toglieva di senno. - -Fermarsi no, e correre non poteva. Inoltre l’austera indifferenza di -_Simone_ tanto lo inaspriva che, nelle rare tregue alla sua sofferenza -si vendicava con certe gigantesche legnate le quali avrebbero atterrato -un toro, non che un ciuco. _Simone_ si limitava a ritrarre un poco la -parte offesa, che era quella dove la coda s’impianta, e tirava di lungo -senza commozione nessuna, come se l’ossa sue e le carni fossero del -più saldo metallo. Tutt’al più levava il muso e raggrinziva le froge in -quella diabolica risata muta che solo gli asini sanno. Comunque fosse, -la distanza fu superata e Mezzalana giunse alla sua casa. - -Già cantavano le capinere e il cielo si tingeva di rosa. Le finestre -erano chiuse tuttavia. La sua gente dormiva. Bene: tutto era riuscito -secondo il suo piano; ma il più gran male sorse quando egli tentò -di scendere dalla carretta nella quale si era disteso fra l’erba -_piastrella_. Non vi riuscì. Solo che avesse tentato di sollevarsi gli -sopravveniva tale spasimo da togliergli la luce. Frattanto _Simone_, -che non si sentiva più dominato dal morso, se ne andava per l’aia a -suo piacimento e avrebbe senz’altro rovesciata la carretta e Mezzalana -nella buca del letame, se il vecchio egoista non si fosse dato a -gridare: - -— Pignòla?... O Pignòla?... - -E appena aveva levata la voce angosciata dal male che una finestra -si aprì e fra un vaso di basilico e un geranio fiorito apparve la -scarmigliata testa della donna. - -Si guardò intorno, domandò: - -— Che cos’è? - -— Vieni!... — urlò il sofferente. - -— Siete voi, Mezzalana?... - -Il vecchio le rispose con un’imprecazione classica tanto che Pignòla, -di un sùbito ridesta, si tolse dalla finestra, chiamò i figliuoli e -corse nell’aia. - -Dopo Pignòla giunse Stecco, il figlio maggiore, e Mezzalana fu preso e -portato nel suo stambugio ad attendervi l’ora dell’ultima passeggiata. - -Tornò Zibaldino; giunsero le attinenti vestite di nero; i figliuoli e -le figliuole non andarono ai campi. - -Zibaldino disse: - -— Chiamate il prete. Tira lo sgambetto!... - -E, fra quanti erano nella camera, solamente una donna incominciò a -piangere e fu Pignòla. Si tirò la pezzola su gli occhi e si perse, non -seppe più far nulla. Ella soffriva davvero perchè si era affezionata al -suo aguzzino e le doleva di vederlo partire per la dimora vegliata da -una croce. - -Mezzalana non parlava più. Aveva una gran sete, beveva sempre, tanto -che Stecco disse: - -— Diventerà una botte!... — E lo guardò morire perchè la morte era una -cosa nuova per lui e gli procurava una certa sensazione strana. - -Giunsero altre attinenti abbrunate; ne fu piena la camera e la cucina, -tantochè quando il prete fu sulla porta dovette farsi largo per -entrare. - -Mezzalana fu unto, ma non se ne addiede e il prete ripartì senza -avergli tratto una sola parola di bocca. Non che il morituro fosse -fuori di senno, ma non parlava, non badava a nessuno, gli occhi fissi -al soffitto e le mani conserte sul petto. - -Solo ad un punto, quando già la sera stava per ritornare, le donne che -gli eran vicine, l’udiron mormorare: - -— Li vedo.... li vedo!... - -E volsero gli occhi intorno e si guardarono stupite. La Pignòla si fece -innanzi, stranita: - -— Ha parlato? - -— Sì. - -— Che cosa ha detto? - -— Ha detto che li vede! - -— Li vede?... - -E un terrore superstizioso invase le donne che guardaron per l’aria e -temettero di vedere a loro volta una paurosa apparizione. - -Da quel punto Mezzalana incominciò ad agonizzare; ma ebbe un’agonia -gaia, senza scosse, senza grida o stravolgimenti, senza orrori. Se ne -andava per il suo destino, come una stella in fondo ai cieli e pareva -fosse contento. Il suo viso si illuminava sempre più, si componeva -in una pace gaudiosa come se la morte gli parlasse dentro con parole -amorose, narrandogli di un riposo eterno in un paese sonante di un -infinito tintinnìo metallico. - -Non erano, le stelle, sì grandi quanto uno scudo d’argento?... E -bene erano di argento e d’oro le belle monete di Dio!... D’argento e -d’oro.... cosparse per l’immensa contrada dove non è neve, o pioggia, -o solleone: ma solo l’Eterno Patriarca, e gli uomini che non hanno -peccato, e le inutili vergini, e i poppanti, e i santi impolverati, -e gli uccelli!... Forse la morte gli additava la contrada celeste e -la fiumana sonante perchè Mezzalana più si accostava al valico e più -sorrideva. E come fino a quel punto non aveva parlato, incominciò a -parlare e le donne lo ascoltarono abbrividendo perchè esse vedevano la -morte ben diversamente. - -Mezzalana adunque non tolse più gli occhi dal soffitto o, con maggior -precisione, dalla trave nella quale era richiamato il suo cuore e, come -l’aria veniva a mancargli sempre più, incominciò da prima a borbottare, -sì che nessuno intese ciò che diceva, poi scandì le parole. - -— Io li vedo.... nessuno li vede!... Sono là.... là.... bianchi.... -gialli.... neri!... Duemila, quattromila!... — E una grande luce gli -si distendeva sul volto. — Quattromila.... diecimila.... die.... ci.... -mi.... la!... - -Le donne si portavano le mani alla faccia; gli uomini si stringevano -alle pareti e il panico superstizioso cresceva. - -— Nessuno li vedrà.... nessuno li toccherà!... - -Allora una donna piccina, ossuta, che più tremava di sacro orrore, levò -la faccia rigata di lacrime e gridò: - -— Vede gli angeli!... - -Quel grido si ripercosse in tutti i cuori e ne trasse un’emozione -violenta. Di un sùbito tutti furono convinti della stessa verità e si -inginocchiarono e nascosero la faccia. E la piccola donna gridò: - -— Muore come un santo!... Ha la grazia del Signore!... È un santo!... - -Le lugubri prefiche ripeterono: - -— È un santo!... - -E tutti piansero, toltone i figli di Mezzalana, che non credettero -a niente perchè ricordavano troppo bene la vita, le prepotenze, le -angherie e la sordida avarizia del padre. Ma Pignòla era fra le più -convinte; Pignòla piangeva e perdonava tutto perchè aveva amato. - -E Mezzalana morì mormorando: - -— Li vedo!... Li vedo!... - -Era notte quando se ne andò dal mondo, tantochè le ammantate, che -rimasero a pregare presso la salma di lui, videro in realtà un grande -chiarore nella notte e gli angeli che portavano in cielo l’anima di San -Mezzalana. - - ❦ - -Ora, quando il vecchio non fu più nel suo stambugio, i figli suoi -gettarono all’aria tutto e cercarono e frugarono senza trovar neppure -un centesimo. E la voce corse per il contado: - -— È morto e non ha lasciato niente!... È una famiglia alla miseria!... - -Qualcuno susurrò ch’egli avesse dotato del suo un convento delle -montagne. - -Comunque fosse, anche Pignòla morì e i figliuoli vendettero la casa -e si dispersero per il mondo. Dieci anni dopo, quando al fatto non -si pensava più, volendo il nuovo proprietario della casa ampliarla, -cominciò con l’abbatterne una parte e un giorno, in cui i muratori -erano intenti a far discendere una trave dalle mura disfatte, avvenne -un prodigio: questa trave si aperse e lasciò cadere un rivolo; una -pioggia di monete d’oro e d’argento. - -Furono conte: erano diecimila lire, quelle stesse che il vecchio -avaro aveva nascoste lassù prima di andarsene a raccogliere l’erba -_piastrella_ e che avevano illuminata la morte di lui. - -Ma il fatto non fu risaputo che da pochi; e ancóra si parlò per le -veglie della santa morte di San Mezzalana, mentre i figli di lui -andavano poveri e raminghi per le vie della terra. - - - - -L’EREDITÀ. - - -Il grande niveo armento riprendeva le vie della campagna, chè già era -prossimo il mezzodì e fin dall’alba soave si era accolto nel campo -alberato giungendo e dalle foci remote e dai colli inghirlandati di -mandorli. - -Ora l’inegual tocco dei campani, il grido dei biolchi, il fondo -muggito dei bovi si disperdeva lungo le vie maestre e le viottole; si -allontanava verso i chiusi e le stalle prossime e remote, dal mare alla -montagna. E non restavano, nel campo alberato, se non i ritardatari, -i mercanti, coloro che attendevano a riscuotere o a pagare, e qualche -disperso che era giunto senza saper che volere e così se ne tornava -maledicendo, curvo su le pediche innumerevoli dei trascorsi. - -Non per anco dalle rogge torri e dai campanili sereni era disceso lo -stormo delle campane del meriggio; nè dalle piazze della bianca città -si era levato il volo delle colombe al consueto richiamo; ma presso -era il punto dell’ora che divide il giorno fra i due crepuscoli e i -bifolchi cercavano, nel cammino dell’ombra e nell’arco solare, il tempo -alla sosta ed al sonno. - -Già le osterie intorno al mercato rigurgitavano di genti, di grida -e dell’acciottolìo che riempie quei luoghi quando la fame degli -uomini impera; già chi non aveva se non il suo pane nei tasconi della -cacciatora, lo traeva e lo addentava in pace, seduto ad un’ombra, in -disparte, e molti si affrettavano, accesi dal caldo e dal vino, verso -gli stallatici rigurgitanti a riprender la brenna o il ciuco e a partir -sotto il sole per le remote case. - -Non uno era solo sul proprio barroccino o sul calesse dal mantice -stinto, chè lo attendeva per la via una comare, un capoccio, un amico, -un conoscente a domandargli ospitalità al suo fianco e le brenne -arrancavano malinconiche. - -Scarse eran le ombre, violentissimo il sole, accecante il bagliore -delle strade, i nembi della polvere, densi come la nube turbinosa. - -E sempre suonavan campani, muggivano buoi, gridavano e sibilavano -biolchi astati, dietro le disciolte mandre dei vitelli, i quali, -impauriti da un nulla, si sbandavano e invadevano i campi e le vigne e -le maggesi in una scalpitante scorribanda tempestosa. - -Uomini e fanciulli e cani si lanciavano all’inseguimento mentre, -ubbidienti alla mano di un bimbo, reggente la corda della nasaiola, i -giganteschi buoi seguivano le prode dei fossi ponendo nel sole l’acceso -bagliore dei loro fiocchi vermigli. - -La fiumana si disperdeva; morivano i suoni lontanando nell’afa -meridiana; il niveo armento disceso con l’alba alle soglie della bianca -città ricinta da floridi orti, ritornava verso le foci silenziose e -verso le vigne degli armoniosi colli. Il campo del mercato era quasi -deserto, ma ancora vi si trattenevano i mercanti, e i capocci, e i -sensali. - -Eran conclusi gli ultimi patti, risolti i più tardi dubbi fra un -intermesso scrosciar di bestemmie e un vociare e un tendersi di mani -avvinte e squassate dalla furia dei sensali e tanto più s’incaniva -la baraonda quanto più era presso il termine del mercato: ma padron -Cecco rideva. La sua rotonda faccia gioviale non era punto commossa -dall’impeto di coloro che gli si stringevano intorno nel passionato -desiderio di concludere l’affare col re del mercato; le parole, le -promesse, le esaltazioni, le grida, non turbavano la sua sorridente -impassibilità. Ascoltava tranquillo, lasciava che i venditori e i -sensali si sopraffacessero nella iperbolica esaltazione della merce, -non troncava mai a mezzo un discorso, non discuteva; solo, quando si -era al concludere, ripeteva l’offerta fatta fin dal principio: - -— Quaranta marenghi! - -— Ma, Dio mi faccia morire, se Paolino della Tuda non me ne ha offerti -quarantacinque!... - -E padron Cecco: - -— Dovevate darglieli! - -— Un paio di buoi che porterebbero via una casa! - -E un sensale: - -— Padron Cecco, quarantadue marenghi e non se ne parli più!... Qua la -mano! - -Cecco dall’Orto rideva. - -— Allora dite che non volete farne nulla!... - -E il venditore ai sensali: - -— Dio mi faccia perder la vista e ch’io non veda più i miei figliuoli -se non mi offrivan di più questa mattina!... Due buoi senza difetto!... -Grassi che sembran da macello! - -— Qua la mano, padron Cecco; quarantadue marenghi e pace è fatta! - -— Quaranta marenghi! - -La disputa si accendeva, traviava in qualche velata insolenza, ma -Cecco dall’Orto non perdeva contegno e misura essendo convinto che, -per l’offerta avanzata, gli avrebber condotte le bestie fino alla sua -stalla lontana. - -Così avvenne. Il patto fu conchiuso e fu versata una parte del prezzo. - -La gente sapeva, d’altra parte, che se Ceccone dall’Orto, il mercante -milionario, aveva stimato che un par di buoi non valesse più che tanto, -non sarebbe stato possibile elevarne il valore perchè il parere di -Ceccone imperava per tutti i mercati della grassa terra fruttifera. - -Ed anche gli ultimi preser la via del ritorno. Non rimaneva, fra la -scarsa ombra degli alberi, allineati attorno attorno al campo, se -non qualche miserrimo ciuco che fiutava la polvere. I bifolchi e i -sensali si sbandarono. Padron Cecco s’avviò solo verso lo stallatico -a riprender la cavalla e già stava per uscire su la via quando si -vide alle terga una donna in gramaglie che lo seguiva. Si rivolse -mediocremente incuriosito. La donna si fermò e fece per calarsi la -pezzuola su gli occhi, ma Ceccone disse ridendo: - -— Oh! La Gilda!... - -La donna levò gli occhi torvi su la rotonda faccia gioviale del -mercante e non parlò. - -E padron Cecco: - -— Mi cercavi?... Sei a piedi?... Vuoi salire con me sul barroccino?... - -— No, non voglio! - -— Be’!... E allora?... - -— Allora, sempre così!... — gridò la donna. - -— Sempre così.... sempre così!... - -E gli occhi di lei, accesi di sdegno, dopo aver squadrato una seconda -volta il giocondo colosso, si rivolsero altrove; ed ella prese una -strada diversa e si allontanò rapidamente. - -Padron Cecco sorrise e, abbassata un poco la testa, appoggiandosi -a quando a quando sul suo rozzo bastone da fattore, si avviò allo -stallatico. Quivi trovò gli amici mercanti e, come era consuetudine -sua, chè avrebbe preferito digiunare anzichè mangiar solo, li convitò -alla sua mensa. - -Partirono al trotto serrato dei cavalli iniziando ben presto la gara -fra i singoli corsieri; tutti affannati, impolverati, sudanti; ebbri -dei buoni guadagni e del caldo e dell’amore delle facili femmine -lascive, sempre soggette e dimesse, come i nivei bovi al curvo giogo di -salice. - - ❦ - -Così la vita a Ceccone dall’Orto, l’astuto bifolco alunno della -fortuna. Egli era cresciuto in ricchezza e in gagliardia da quando, -abbandonato l’aratro fra le maggiatiche, lasciate le costumanze degli -avoli, e l’antico podere, troppo violentato dall’adunco vomere perchè -potesse dare buon frutto, si era dato a bazzicare pei mercati e a -intessere i suoi primi imbrogli ben riusciti. - -Allora non aveva che la sua giocondità, un discreto acume per gli -affari ed una furberia malandrina. Aveva anche l’arte di piacere agli -uomini benchè gli fossero tutti ugualmente indifferenti. La fortuna -lo adocchiò. In quel tempo egli poteva giuocare tutto per tutto; la -prigione non lo spaventava nè l’opinione che i suoi simili potevano -farsi sul conto di lui. Sapeva che il danaro rinnova le coscienze -stinte e che la gente indignata non rivolge il proprio furore là dove -l’oro ristagna e la sua giocondità non si oscurò per un attimo solo. -Tentò un colpo canaglia. Gli riuscì. Mandò all’aria una famiglia di -onesti sciagurati e da un giorno all’altro si trovò possessore di -trentacinquemila lire. Aveva ciò che gli abbisognava per dare alla -propria attività il largo campo necessario. - -Da quel tempo gli scrupoli suoi furono anche minori, se ciò era -possibile, e siccome natura lo aveva fatto di solida tempra ed egli -poteva tranquillamente non dormir le notti, mangiare poco e a furia, -resistere per giorni e settimane, alla baraonda dei mercati senza -risentirne stanchezza, non si risparmiò. Volle da se stesso il massimo -sforzo per il maggior risultato e l’ottenne. In pochi anni la sua -fortuna decuplicò e siccome il denaro, fra le sue mani, ad altro non -serviva se non ad accrescersi di continuo, Ceccone dall’Orto si trovò -a possedere, su la sua cinquantina, quattro milioni e mezzo. Ma il -patrimonio accumulato non gli fece mutar gusti nè abitudini; egli -rimase il rozzo bifolco che era il giorno in cui aveva gettato la marra -e abbandonata la famiglia per seguire il suo destino dissimile. Come -non mutò la foggia del vestire e la casa e sempre fu contento della sua -cacciatora di _mezzalana_ e del suo stambugio disadorno fra i campi, -così i desideri suoi non si accrebbero per altre vie. Gli era gioia -spadroneggiare pei mercati, far ribotta quanto più sovente poteva, -cambiare le sue grosse amiche gioconde che non conoscevan sospiri. Non -aveva famiglia. Gli eran compagni, nella casa solitaria, due garzoni e -una cuoca. La stalla e la cucina erano le sue sale. - -Ottuso ad ogni sentimento, di qualsiasi natura esso fosse, non aveva -provato mai commozione nessuna nè per sè nè verso i suoi simili. -Amava la sincerità brutale; le cose che hanno un volto e una parola -cruda. Pel resto la sua nativa diffidenza di bifolco e di mercante si -esplicava nel suo immutabile riso. - -Assediato dai suoi parenti, che il suo patrimonio cospicuo faceva -delirare, Cecco dall’Orto rideva; perseguitato da ogni sorta di gente, -losca nella sua umile devozione, non ne era vinto. Nessuno mai aveva -avuto da lui un solo scudo. Ceccon dall’Orto rideva. - -Tale era il re delle sonanti adunate, l’astuto bifolco squadrato a -gagliardia; gran mangiatore e grande amatore al cospetto dei compagni -suoi bercianti che sempre gli erano da presso. - -Ora egli non pensava alla morte più che non pensasse a impoverire -e benchè i parenti suoi innumerevoli sempre gli stesser d’intorno, -quasi a ricordargli la fragilità della sua materia, non eran riusciti -tuttavia a far sì che padron Cecco testasse. Egli sapeva che le -sue amiche e le genti alle quali dimostrava qualche simpatia erano -osservate, circuite, minacciate chè, nel novero dei suoi parenti, v’era -qualcuno del suo conio, pronto a qualsiasi prova pur di riuscire dove -mirava; sapeva che ogni sua parola detta era vagliata e soppesata, che -ogni ora della sua vita era a conoscenza de’ suoi devotissimi aguzzini, -che non poteva far cosa che non fosse risaputa e tutto questo in attesa -della sua bene augurata morte; ma non mutava volto nè anima, nè la -giocondità di lui era per annebbiarsi menomamente. Anzi il giuoco lo -divertiva. E se qualcuno fra i più arditi gli faceva osservare talvolta -che un uomo dell’età sua avrebbe dovuto pensare a disporre de’ suoi -beni, rispondeva ridendo: - -— Fra tutti voi, davanti alla morte, io mi chiamo Ultimo! - -Ora quel giorno, dopo aver fatto ribotta con i mercanti amici suoi, -se ne stava seduto, verso sera, innanzi alla tavola apparecchiata -attendendo che Carlotta ritornasse dall’orto e gli apprestasse la cena, -quando udì qualcuno che si rimuoveva sotto il portico. Non vi pose -mente. La porta era spalancata, ma padron Cecco non levò gli occhi a -guardare. Pensava ad un suo nuovo raggiro. Così non badò a chi entrava -nella cucina e solo alzò il capo quando udì la voce di Carlotta dire: - -— Oh!... Come mai vi si vede, Gilda!... - -Allora guardò dall’altro lato della tavola e si trovò innanzi la donna -che l’aveva seguito furtivamente quando ritornava dal mercato. Vestiva -sempre il lutto, aveva la pezzuola nera sul capo e gli occhi suoi -grandi fiammeggiavano di sdegno. - -La Gilda non rispose a Carlotta. Guardava Ceccone dall’Orto, fissamente. - -Questi non si scompose, la sua faccia gioviale non ebbe un sol guizzo. -Disse in tono placido: - -— Sei venuta a farmi compagnia, Gilda? - -La Gilda, senza mutar volto, come fosse irrigidita, mormorò: - -— Imbroglione!... - -Allora Ceccon dall’Orto si rivolse a Carlotta che si scandalizzava e -riprese: - -— La Gilda non si sente bene, forse! Hai fatto il brodo questa sera? - -— Sì, padrone! - -— Be’, apparecchia per due. - -E siccome padron Cecco non disse altro, ogni conversare finì. -Rimasero di fronte e l’una pareva volesse distruggere l’altro solo -col fiammeggiare degli occhi suoi fissi. Aveva puntato i cubiti su la -tavola e si stringeva la faccia fra le palme. - -Padron Cecco riprese l’ordine de’ suoi pensieri e nulla perse della -sua tranquillità giuliva; ma quando Carlotta si fece alla tavola con -una scodella e la pose innanzi alla Gilda, questa si levò di scatto, -scaraventò l’arnese in mezzo alla stanza e riprese la via dell’uscio. - -Ceccon dall’Orto die’ nel ridere e a Carlotta che gli chiese: - -— Ma che ha quell’indemoniata? - -rispose: - -— È un po’ matta, ma fa ridere! È la seconda volta che la vedo, oggi! - -— Badate, padrone, che è della razza dei Giuli!... Badate non faccia -uno sproposito! - -— E che dovrebbe fare? - -— Non si sa mai!... Una donna come quella!... - -— Hai paura che mi ammazzi? - -— Io non porrei la mano sul fuoco, sapete!... È una donna capace di -tutto! - -— Ma no! - -— Per me, fate quel che volete; ma, se fossi in voi, terrei gli occhi -aperti. - -— E li tengo chiusi, io? - -— Non dico questo. Ma non è prudente lasciarsi accostare così da -un’indemoniata come quella. - -— Ma credi sia la prima volta? Sarà un anno che mi perseguita così; da -quando l’ho lasciata! Le ho offerto del denaro, non ne vuole! Le ho -domandato che cosa le abbisognava e neppure mi ha risposto. Che cosa -devo fare, allora?... Vuoi che me la sposi?... Una volta mi aspettava -o all’osteria o sulla strada; mi capitava fra i piedi ogni due ore e si -accontentava di guardarmi malamente. Ora pare voglia stare più comoda, -viene in casa; e tu lasciala venire. Che vuoi farci? - -— Io la metterei alla porta! - -— Ma no, poveraccia! - -— Non vedete che vuol farvi dispetto? - -— Be’, ti pare che le riesca? - -Carlotta si strinse fra le spalle e ritornò ai suoi fornelli -brontolando: - -— Se se ne accorgono i vostri parenti! - -— Credi non lo sappiano?... No, di quella non hanno paura! - -E Ceccon dall’Orto rise, divertito dalla lotta che gli si muoveva -intorno sorda e continua per il possesso dei suoi beni. - -E la Gilda continuò ad apparire, imperturbabile, ogni sera, quando -padron Cecco era per mettersi a cena. Entrava per la porta aperta, -senza dir parola, senza badare a quelli che potevano essere nella -cucina, sedeva in faccia al suo vecchio amante, puntava i gomiti -sulla tavola, la faccia fra le palme e così restava mezz’ora e più -in perfetto silenzio, guardando a sdegno padron Cecco. Che fosse -tuttavia innamorata di Ceccon dall’Orto nessuno credeva, come non si -credeva che un qualsiasi interesse potesse spingerla ad agire in sì -strano modo; ella ubbidiva unicamente alla sua natura dispettosa, al -bisogno di riuscire intollerabile a chi non si era occupato di lei -per tutta la vita e le aveva detto addio con la tranquillità con la -quale si abbandona un indifferente. Nel sottile groviglio della sua -docile perfidia ella aveva cercato e cercava tuttavia la persecuzione -più sorda, più continua, più implacabile; quella che esaurisce ogni -pazienza e si termina in aspri litigi quando non ceda al peggio. - -La Gilda avrebbe dato metà del suo sangue per vedere la faccia di -Ceccone travolgersi nell’ira brutale; l’anima sua maligna ne avrebbe -goduto come del più bel trionfo; ma come non le riusciva neppure -a scomporre per il battito di un secondo la tetragona placidità -dell’antico amante, sempre più si incaniva in se stessa, struggendosi -dalla bile e pronta ad ogni più sorda lotta pur di riuscire al suo -còmpito. - -Altro non voleva se non tormentare e l’immutata giocondia di padron -Cecco la faceva tormentata. - -Ora avvenne che, cadendo l’autunno ed essendo tempo di grande caccia, -Ceccon dall’Orto, per imbandire certi suoi germani che aveva uccisi -nella palude, convitasse ad un festino gargantuesco tutti gli amici -suoi ed i parenti e le donne dei parenti e degli amici. Due cuochi -giunsero dalla città in aiuto di Carlotta. L’ampia cucina brillò per le -grandi fiammate e sì empì di grassi odori e di un festevole vocìo fin -dalle prime ore del giorno. - -Si apprestava il banchetto classico romagnolo, ponderoso ed -interminato, in cui le portate si succedono e si moltiplicano, si -sovrappongono e si ripetono in tale abbondanza da farne sazio un paese. - -La brigata incominciò a giungere fin dalla mattina. Ora era un -barroccino, ora un calesse, ora un bagherino. - -Ogni nuovo arrivato incominciava a gridare fin dalla strada per -manifestar la sua gioia e la sua fame. - -L’aver fame, molta e bramosa fame, è il complimento più grato -all’ospite che convita. E Ceccone accoglieva gli invitati di su -la soglia, ridendo e vociando a sua volta, tutto rosso e grasso -e colossale che pareva lo specchio dell’uomo che non sa se non la -robustezza del proprio stomaco insaziabile come il sepolcro. - -La stalla rigurgitò di cavalli e di ciuchi; l’aia fu piena di calessi e -di _bagher_; la casa di genti, strillanti come la scimmia e la gazza. -Le donne si ritraevano in cucina; gli uomini si adunavano su l’aia. -Erano una coorte. E la frase che correva intorno più frequente, a -manifestar la bramosia del gregge, era: - -— Quando si mangia? - -E ognuno faceva sollecitudine ai cuochi e alle donne chè si -affrettassero e dessero il cenno che allieta colui che si appresta ad -ingozzarsi. Il cenno fu dato che ancora non era il meriggio e l’immensa -tavola imbandita fu presa d’assalto. L’orgia bacchica incominciò. Il -sangiovese, l’albana, il pagadebiti, la canina, corsero a fiumi giù -per le sitibonde gole. L’acqua fu bandita come una cosa immonda; come -la compagna dell’anatra e del luccio e dei ridevoli ranocchi. E fra -bere e impinzarsi la buona gente romagnola si sentì a suo agio. Il -cuore crebbe a mano a mano che lo stomaco si saziò. Tutti si vollero -bene e vollero bene alle donne e ai cuochi e ai cani e alle galline -che razzolavano sotto la tavola. La nativa scurrilità si elevò di -tono. Ogni sporca cosa divertì la brigata, ma sopratutto le donne. Chi -le diceva più grasse più era apprezzato dalla compagnia e le risate -succedevano alle risate in un assordante baccano. E fra tutte risuonava -più alta la voce di Ceccon dall’Orto. Egli non poteva dir cosa, anche -fra le più stupide, senza sollevare un clamore di approvazioni e di -risate, e, se apriva bocca, tutti tacevano e si protendevano, rapiti. - -Ma avvenne che, sul più bello di un enorme boccone, e il simposio -volgeva alla fine, padron Cecco stralunasse. - -Dapprima gli ospiti risero, credendo che il milionario celiasse; ma -quando videro la rotonda faccia del mercante, di vermiglia divenir -paonazza e inturgidirsi nelle vene; e videro gli occhi farsi di un -subito sanguigni e metà viso stravolgersi in una smorfia orrenda, -balzarono in piedi, ammutoliti. - -Fu prima una donna che disse piano: - -— Gli è venuto un colpo!... - -Poi l’attimo dello sbalordimento fu superato e furono in venti a -soccorrerlo. Padron Cecco non dava più segno di conoscenza. Gli -slacciarono i panni, lo portarono al piano superiore, nel suo letto, e -mentre gli uomini correvano per il medico altri andarono per il prete. -Tutti lo videro morto. Al baccano smodato subentrò un pavido silenzio. - -Ormai si poteva esporre apertamente il proprio pensiero, Ceccone -dall’Orto non capiva più. - -Ancora fu prima una donna che disse: - -— Bisogna cercare il testamento! - -E un’altra: - -— Non ne ha fatto! - -Un brivido corse fra i muti parenti, torvi dinanzi alla morte che -poteva carpir loro l’agognata fortuna. - -Poi fu come una vandalica intesa e mentre il moribondo rantolava nello -spasimo della soffocazione, l’avida muda si gettò sui canterali, sugli -armadi, sulle arche, rompendo e devastando nell’ansia della suprema -ricerca. - -Solo Carlotta singhiozzava muta in un angolo. - -Non fu trovata nè una carta nè un soldo e la turbolenta masnada si -rivolse a guardare il moribondo, obliqua e sinistra. Su tutti quei -volti non era che il lampo dell’odio. - -Giunse il medico, intraprese la sua inutile cura. - -Gli fu chiesto: - -— Morirà? - -— Sì. - -— Potrà parlare? - -— Forse sì. - -— Ah!... — Una speranza si fece largo fra la tenebra improvvisa. - -Ed anche il prete venne e dietro di lui la Gilda vestita di nero. Aveva -la pezzuola calata su la fronte. Passò muta fra l’indifferenza degli -astanti, non salutò e non fu salutata. Ristette in piedi, vicino al -capezzale, le braccia pendule e le mani incrociate. Sul volto di lei -non era se non la sua continua smorfia sdegnosa. - -Ora tutti erano intenti a seguire l’opera del medico. Non rifiatavano. -Vi fu un punto in cui il rantolo di padron Cecco si affievolì e si -spense. Allora le donne mormorarono: - -— È morto!... - -E già il prete si chinava sul capezzale e dietro di lui la Gilda, -quando il morituro ebbe una subitanea scossa, levò un poco il capo, -aperse gli occhi: - -— Parla, parla!... — susurrarono le donne protese. — Parla!... Potrà -far testamento! - -E tutti si fecero innanzi togliendosi il cappello e richinando -umilissimamente la faccia. Vi fu chi disse: - -— Coraggio, Checco! - -Ed altri: - -— È nulla!... Guarirete, coraggio!... - -E i mormorii passavan via col brivido del cuore in tumulto. - -Ceccon dall’Orto volse gli occhi intorno, disse: - -— Ho sete! - -Venti mani si protesero all’arida bocca rossigna. - -E Ceccone bevve e tutti lo guardarono assiepandosi intorno a lui e -attendendo le sue parole. Fu un silenzio eterno. - -Padron Cecco richiuse gli occhi, li riaprì, fissò ad una ad una -le facce degli astanti volgendo lentamente il capo. E su tutte le -tragiche maschere vide la stessa ansia rapinatrice, velata di umiltà; -su tutte, tranne una. Una donna era là con l’anima sua di sempre, col -suo dispetto nemico, dipinto sul viso pallido. Padron Cecco la guardò, -disse: - -— La Gilda!... - -E questa, senza scomporsi, senza mutar voce nè tono, come tante volte -rispose: - -— Crepa, cane!... - -Ceccon dall’Orto tentò un sorriso, ricadde spossato sui guanciali; ma -poi lo videro muovere un braccio come a chiamar qualcuno e riaprì gli -occhi e fe’ segno che il medico ed il prete gli andasser vicini. - -— Parla, parla!... - -— Fa testamento!... Ha chiamato i testimoni!... Fa testamento!... - -Non fu mai ansia più tremenda, forse, neppure in chi attendeva dal -giudice la morte o la vita. - -Il medico e il prete si chinarono sul morituro. - -— Volete parlare? - -— Sì... ecco... la mia ultima... volontà!... - -I volti erano terrei. - -— Vi ascoltiamo — disse il prete. - -E il medico: - -— Vi ascoltiamo. - -— Io... ho piena coscienza... è vero? - -I testimoni dissero: - -— Sì. Avete perfetta coscienza. - -— Allora... (fra parola e parola pareva passasse l’eterno silenzio). -Allora... io... in perfetta coscienza... voglio e dispongo che... erede -universale... delle mie sostanze... sia... - -Boccheggiò. Si udirono quattro bestemmie favolose. - -Riprese: - -— ... sia... l’unica che non mente... la Gilda... Gilda dei Patrizi... - -Ed altro non disse; ma non morì a tempo per non udire la sincerità -dei delusi scatenarglisi contro come a nessun uomo mai, nell’odio che -impaura ed ammazza. - - - - -LA FESTA DEI MIGLIACCI. - - -I tre norcini si rivolsero a padron Serafino, chè eran per separarsi, e -domandarono: - -— Dunque è per domani? - -— Sì, per domani! - -— A bruzzico?... - -— Ma sicuro!... Ce ne son tre da governare! Arrotate gli arnesi. - -— Non temete che son a filo. Allora saremo da voi prima di giorno. Fate -che tutto sia pronto. - -— Tutto è in ordine. Arrivederci. - -— Non ci pagate da bere? - -— No; chè se vi ubriacate non si lavora. - -— Anzi!... Si lavorerà più sodo!... - -— Berrete domani, chè faremo allegra festa. - -— Bene. Vi salutiamo. - -— Addio. - -Padron Serafino frustò la ronzina e i norcini svoltarono per la -viottola dei maceri. - -Il livido decembre si assonnava infreddolito, accorciando sempre più -le giornate. Si era alla vigilia di San Tomè che prende il porco per -lo pè. L’adagio rispecchiava l’usanza dei bisavoli, dei trisavoli; -l’antichissima consuetudine di sacrificare, nel giorno di San Tommaso, -gli enormi porci satolli di farina gialla e di ghiande. Epperò, nelle -case che fiancheggiavano la strada, si vedevan, dalle basse finestre -senza imposte, divampanti fiammate e grandi paiuoli sul fuoco e genti -in moto a varie opere. Inoltre, nel crepuscolo bigio, passava a quando -a quando l’infernale urlìo delle immonde bestie mangerecce le quali, -tolte dai catri o dagli stabbioli, e trascinate per le orecchie e per -la coda verso il luogo del sacrifizio, impaurite dal fatto inusitato, -non potendo altro opporre, tanto strillavano da tòrre di senno l’armato -norcino che le attendeva al varco. - -Su la bassa pianura corsa dalle fiumane, intenebrata dalla nebbia, -dispoglia da ogni vita vegetale, erano quelli gli unici suoni che -trascorressero, chè già le pievi disperse avevano suonato l’ave e le -strade, aspre di ghiaie, erano deserte. Era la stagione in cui gli -uomini più vantano i pregi della mensa e ingioiscono e s’ingollano e -si satollano gridando, fra la tavola e il fuoco, negli interminabili -conviti; la stagione sacra agli stomachi temprati alle eroiche fami e -ai pasti monumentali. Epperò l’ecatombe dei grufolanti quadrupedi si -annunziava per un acutissimo stridere ripetuto di casa in casa, fin -sotto l’estremo arco della sera, fin dove la zona delle nebbie più si -ispessiva fra l’ignuda terra e il cinereo cielo. - -Padron Serafino guardava e si encomiava per aver resistito agli aspri -rabuffi e alle geremiadi della moglie sua pallida e scarna come il -peccato mortale; si encomiava, chè non avrebbe capito mai in quale -utile fosse per tornargli una male intesa economia quando non aveva -figliuoli a cui pensare, e, se avesse voluto godersi tutto il suo, -innanzi di morire, questo era ben fatto! Ma la Bita, che era il -ritratto stesso del digiuno e di ogni macerazione, più scendeva negli -anni e più si incaniva nella febbre del suo risparmio, quasi che la -vita le fosse diventata un malanno e tutto stesse per rovinare nella -vecchia fattoria dei Conti. A darle retta si sarebbe mangiato sul -pugno, una volta al giorno, pane e formaggio e nulla più; nè i vecchi -vini, che hanno nel cuor loro vermiglio la giocondìa del sole, più -sarebbero apparsi su la tavola; nè i tradizionali fasti della mensa -avrebber dovuto continuarsi. E perchè questo? Perchè tale quaresima se -ormai poco più tempo restava al loro godere, chè gli anni eran molti? -Portare i suoi _allievi_ al mercato per trarne buon guadagno?... Bene! -E poi? Chi l’avrebbe compensato del sacrificio? Forse la Bita co’ suoi -vezzi? - -E padron Serafino rideva fra sè e frustava la sbilenca ronzina. Ancora -vide, nel bigio crepuscolo, le case degli Anselmi, dei Montanari, dei -Migi illuminate di fiamma; e udì frastuono di opere e di risa, mentre -l’urlìo delle allombate vittime saliva, si spegneva, riscoppiava -acutissimo fin oltre i visibili confini della sera decembrina. - -Come arrivò alla fattoria, la Bita era su la soglia, attratta dal -bubbolìo delle sonagliere, e, ancor prima che padron Serafino fosse -disceso dal calesse, domandò: - -— Be’, li avete venduti? - -— Che cosa? - -— Gli _allievi_. - -— Sì, li ho venduti. - -— Quanto avete preso? - -— Centocinquanta marenghi; tre forme di cacio e un piatto di migliacci. - -— Volete canzonarmi? - -— No, signora Bita!... Non vi par buono il mercato? - -— Mi pare che mi manchiate di rispetto! - -— Oh!... Guarda!... - -Padron Serafino rise, scese dal calesse, chiamò: - -— Michele?... O, Michele?... - -Il garzone uscì dalle stalle e prese in consegna la ronzina. - -— Aspetta, — disse Serafino. — Ho qui qualche cosa. - -E si chinò a togliere dal cassetto del calesse alcuni suoi involti. - -— E quella che roba è? — domandò la Bita. E padron Serafino, infilando -l’uscio di casa: - -— Toh!... Sono i marenghi! - -La Bita scrollò le spalle. Gridò: - -— Più invecchiate e più rimbecillite! - -— Già!... Io rimbecillisco, ma tu non canzoni!... - -Poi, dopo aver posato gl’involti su la tavola: - -— Be’, che cosa si mangia questa sera? - -— Niente. - -— Come niente? - -— Niente, vi ho detto!... È poco, niente?... Niente!... - -— Sarai matta?... Ma ti sogni forse ch’io voglia digiunare come te? - -— Se avete fame andate all’osteria. - -Padron Serafino incominciava a spazientirsi. Si rivolse, guardò in -faccia la sua donna irosa e rispose: - -— Io non vado nè all’osteria, nè all’albergo, nè.... Basta!... Io sono -in casa mia qui; e voglio mangiar qui!... O che storie sono queste? - -E la Bita ironicamente: - -— Perchè non mangiate i vostri allievi? - -— Non t’impensierire, chè domani sarà fatto!... E non sarò solo alla -festa!... - -— Come?... Domani.... ammazzate?... - -— Proprio così!... Domani ammazziamo!... - -— Dunque volete farmi tutti i dispetti possibili? - -— Prendila come vuoi! - -— Vi siete giurato di romperla? - -— Romperla o no, io voglio così e così deve essere! - -— Peggio di una serva mi trattate!... Ma la vedremo!... Oh, la vedremo -come finirà!... - -Allora padron Serafino si rivolse, levò la mano chiusa con l’indice -teso e incominciò: - -— Stammi a sentire, moglie.... - -Ma in quel che era per catechizzare la recalcitrante compagna, ecco -aprirsi la porta ed entrare i tre norcini. Il capomaestro, magro e -brucato come l’erbaio delle capre, si fece innanzi e disse: - -— Siamo venuti. - -Padron Serafino lo sbirciò in tralicio. - -— Siete venuti?... O che l’alba spunta alle nove di sera quest’oggi? - -E il capomaestro: - -— Abbiamo pensato che ne avevate tre, padrone; e siccome si voleva fare -il nostro lavoro a modo, e posdomani siamo impegnati, si lavorerà tutta -la notte. - -Padron Serafino guardò involontariamente la donna sua, ma questa gli -volse le spalle grugnendo ed uscì. - -— Sta bene, — disse il grosso fattore, e si fregò le mani. — Sta bene. -Allora all’opera! - -I norcini deposero gli arnesi su la tavola, si tolsero la cacciatora, -vestirono i grandi grembiuli insanguinati. - -— Siamo pronti, — disse il capomaestro. — Ora chiamate i garzoni che -accendano il fuoco. - -Animati dalla speranza di un pasto succolento, i garzoni accatastarono -in breve, vicino al focolare, una montagna di sarmenti. Fu sgombrata -la camera dagli oggetti inutili. Si fece posto al troppolo, a una gran -tavola, al sacco del sale e furono fissate alle travi lunghe corde -terminate da ganci. - -Il capomaestro dirigeva l’opera. Quando tutto fu compiuto, afferrò -l’acuminato punteruolo e disse: - -— Andiamo. - -Padron Serafino e i compagni gli tennero dietro. La cucina chiareggiava -per la fiammata altissima. Poco dopo i tre _allievi_ di padron Serafino -empirono la notte delle loro urla laceranti e l’olocausto al Dio della -fame fu compiuto. - -La Bita era scomparsa, ma nessuno si occupò di lei. I norcini e gli -uomini della casa erano troppo intenti a sparare e a governare i tre -monumentali _allievi_ di padron Serafino perchè avesser la mente ad -altro; nè si addiedero del cupo abbaio dei mastini, chiusi in fondo -all’aia, nella capanna dell’aratro. Sopraggiunsero le genti del -vicinato. Si fermarono sulla soglia battendo i piedi e disviluppandosi -dalle mantelle. - -— Che si fa lo sdrucio? — chiedevano. - -E padron Serafino: - -— Chi vuol mangiare, lavori!... - -Finirono per essere una ventina all’opera. Chi tagliava, chi tritava, -chi insaccava, chi struggeva la stillante grascia, chi si arrovellava -agli strettoi a fare i pani di ciccioli, chi, lasciata la mannaia sul -troppolo, affondava le braccia nel sacco del sale o drogava il rosso -tritume cosparso di grasselli, chi cuoceva i mallegati negli enormi -paiuoli, chi apprestava la rosticciana e i migliacci chi adunava -le setole, chi i zampetti, le cotenne, il grugno e le gote a far la -soppressata. Era un rumoroso tramestio interrotto a quando a quando dal -grido di gioia che si leva allorchè si dilemba e si assolca la terra; -o quando si accorolla la paglia in tumulto e la bica è disfatta. Per -l’indomani padron Serafino aveva convitato i parenti, i vicini, gli -amici a far la festa dei migliacci, e il pantagruelico pasto, inaffiato -dai vini migliori della fattoria, accendeva il desiderio degli uomini -accorsi a prestar mano all’opera gioconda. - -I mastini continuavano a latrare sordamente. La Bita non si vide più. - -Or come la notte fu verso il suo termine, la stanchezza vinse l’operosa -brigata e fu deciso che tutti avrebber riposato un par di ore. Ognuno -riprese la propria mantella ed uscì dopo aver fissato l’ora della -ripresa. - -Ultimi ad andarsene furono i norcini e padron Serafino: quelli -entrarono nella stalla, questi salì alla sua stanza. Quando fu al -termine delle scale, accese un fiammifero ed aprì cautamente la porta -per non ridestare la Bita, ma la precauzione fu inutile perchè la -Bita non c’era e il letto era intatto. Non vi pensò più che tanto. -Era stanco, aveva sonno. Si tolse le scarpe e la cacciatora, s’infilò -sotto le coltri e, dopo un minuto, dormiva. Ma non tanto dormì chè, -di repente, balzò sul letto, sbalordito dall’affannosa chiamata del -capomaestro; - -— Padrone.... padrone.... scendete che hanno aperto la porta, e i -mastini.... - -— Eh? — gridò Serafino. — I mastini?.... - -— Sono entrati in cucina.... - -— In cucina?... - -— È un guaio!... Un guaio!... - -Padron Serafino scese il letto e così in pedùli traversò la stanza e si -gettò giù per le scale. - -Quando vide il disastro, si portò le mani ai capelli, senza far -parola. Anche i tre norcini guardavano, allibiti. Durante il loro -sonno qualcuno aveva disciolto i mastini e aveva aperto l’uscio della -cucina. Le bestie affamate non avevano chiesto di meglio per darsi alla -devastazione. Ora non rimaneva di tutta la faticata opera notturna se -non uno sconcio tritume sparso qua e là per terra, sulle tavole, presso -la cenere del camino. - -Il giorno non era nato ancora. Appena si vedeva un po’ di chiarinella -all’estremo levante. E nevicava; nevicava a dolco, a fiocchi serrati, -fra un grande silenzio. Ed ecco che, dal silenzio, all’improvviso si -levò, leggero e delicato, un canto di voci argentine di bimbi e di -fanciulli. Giungeva dall’altro lato della corte, dove erano i magazzini -e le stanze disabitate nelle quali dormivano i braccianti alla buona -stagione. - -Padron Serafino si inorecchì, volse il capo, domandò: - -— Che cos’è questo? - -I tre norcini si strinsero nelle spalle senza rispondere. - -Il canto si levava, con nostalgica dolcezza, dal gran silenzio, e -pareva lontano, pareva attraversasse tutto il cielo per giungere fin -là, o superasse le volte di un chiuso tempio deserto. Era un’aria -antichissima, un motivo liturgico, sacro a Natale ed ai fanciulli dai -tempi dei tempi. - -Padron Serafino mormorò: - -— Cantano la pastorella! - -E i tre norcini: - -— Sì. - -Nella nuova pausa si udiron le parole del canto: - - Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo, - E vieni in questa grotta al freddo e al gelo.... - -Padron Serafino non rifiatava, le braccia penzoloni. Entrò Michele, il -garzone. Serafino gli disse: - -— Dov’è la Bita? - -Michele rise e disse: - -— È nei magazzini. È tornata un’ora fa. Aveva con sè una ventina di -marmocchi. Non li sentite cantare? - -— Sì. Anche questa è una novità! - -E Michele: - -— Si preparano per la notte di Natale. - -— E c’è bisogno di prepararsi proprio all’alba?... Sul più bello del -sonno?... E i mastini chi li ha preparati?... - -Michele si volse da un altro lato. - -— Quando sono andato a letto avevo ben chiusa la porta, io!... Chi l’ha -aperta? - -Eguale silenzio. - -— E chi ha sciolto i cani dalle catene? - -Michele scoppiò in una risata improvvisa. - -— Perchè ridi, stupido? - -— Rido.... perchè.... la Bita.... - -— L’hai veduta? - -— Sì.... - -— E perchè non sei venuto a destarmi? - -— Perchè?... Perchè c’è stata lei a far la guardia!... - -— Va bene. - -Padron Serafino non perse la calma. Ordinò a Michele e ai due norcini -di salvare dal disastro ciò che ancóra era salvabile e di riordinare -tutto e di non far parola come se nulla fosse stato; poi, afferrato un -punteruolo robusto, si volse al capomaestro e gli disse: - -— Vieni con me. - -E uscirono. Michele ed i norcini si guardarono in faccia: - -— E adesso che succede? - -Sempre si udiva il dolce canto giungere per l’aria come se discendesse -con la neve dall’infinita pallida foschia. - -— Ho paura che succeda qualcosa di grosso! — fece Michele; ma in quel -che si avvicinava alla finestra per guardar nella corte, ecco rientrare -padron Serafino, seguito dal capomaestro e da Luigi, il biolco. - -— Presto, presto!... — gridò Serafino. — Tu, Michele, va, attacca la -cavalla e verrai con noi. E tu, Luigi, prendi il morello e gira per -tutte le case, per tutti i ritrovi e invita uomini, donne, preti.... -chi conosci e chi non conosci.... invita chi incontri: poveri e ricchi, -contadini, braccianti, cacciatori, pescatori.... tutti, insomma!... -Hai capito?... Tutti!... Devi dire che padron Serafino ha vinto al -lotto e vuol dare una gran festa.... un festone stragrande!... E che -riempirà di tavole imbandite tutta la casa, fino alle cantine.... e -che non guarderà in faccia nè ad amici nè a nemici perchè vuol stare -allegro.... perchè vuol ridere e vuole che tutto il vicinato goda con -lui! Hai capito?... E non dimenticarti dei suonatori! Vogliamo ballare, -vogliamo!... Hai capito?... - -Poi, senza attendere risposta, si volse ai norcini, e parlava affollato -come se l’affanno fosse per soffocarlo: - -— E voi accendete i fuochi, qui e nella stanza delle pile. Fate tutto -alla grande! Eccovi cento lire!... Se non c’è sale, compratene; se -non ci sono droghe, compratene. Quando ritorno voglio trovar tutto -all’ordine. Se vien gente dite che aspetti. — Luigi?... Senti. Prima -di andar via, aggioga i buoi al carro.... chiama Pietro e digli che li -conduca dai Fiori, che ne avrò bisogno. Presto dunque!... Presto!... -Non state lì a guardarmi come tanti mammalucchi!... Oggi si vuol far -ribotta, oggi!... Dev’essere uno sdrucio, da ricordarsi negli anni!... -Andiamo.... Andiamo!... - -E uscì seguito dal capomaestro. La ronzina li attendeva nella corte: -salirono sul calesse e partirono fra la neve senza che nessun rumore si -avvertisse; solo si udiva il canto dei fanciulli dai magazzini: - - Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo.... - -Anche Luigi partì e Pietro col pesante carro vermiglio. I norcini -accesero i fuochi. Incominciarono a giungere gli invitati, ma la neve -attutiva ogni rumore e nessuno levava la voce tuttavia. - -Quando padron Serafino ritornò, dietro il carro nel quale giacevano due -nuovi _allievi_ già macellati, si fermò ad ascoltare se la Bita fosse -sempre nei magazzini. C’era sempre. Disse: - -— Bene!... - -Gli _allievi_ furono portati in cucina: il carro fu riposto. La gente -che giungeva entrò nelle stanze a terreno senza rifiatare per non -insospettire la Bita. - -Michele fu posto a guardia della casa. Si era rimpiattato in una ceppa -e, avvoltolato entro il suo rifugio, spiava l’uscita dei magazzini. -Nevicava sempre. Padron Serafino non era tuttavia sereno. Solo si -irraggiò quando Michele aprì la porta e disse: - -— Se n’è andata? - -— L’hai veduta? - -— Sì. - -— Ha preso la via della chiesa? - -— Sì. - -— Allora è fatta!... Presto, ragazzi, diàmoci d’attorno. La Bita non -ritornerà prima di mezzogiorno e a mezzogiorno le tavole vogliono -essere imbandite! - -Rotti i freni, il baccano e il furor dell’opera ricominciarono come -la notte innanzi. La gente corse da tutte le parti all’invito, chè la -nuova si era diffusa. Più di settanta persone si trovarono in breve, -raccolte su la faccia del luogo. La nativa gaiezza romagnola travolse -la brigata. I volti s’invermigliarono, i cuori si aprirono: non vi fu -più padrone e contadino, ma gente che voleva godere e ridere e star di -buon core sotto la faccia del cielo. E le botti pensarono al resto. -A mezzogiorno tutto era compiuto. Imbandite le tavole, apprestate -le vivande, spillati i vini negli enormi boccali a fiorami. Tutte -le stanze a terreno rigurgitavano di convitati. Michele stava sempre -sull’avviso a spiare il ritorno della Bita. Padron Serafino attendeva -presso l’uscio e quando il garzone giunse correndo e mormorò: - -— Eccola, eccola!... Viene!... - -Padron Serafino fece il cenno convenuto e tutti tacquero sedendo -intorno alle tavole imbandite. Non si udì più se non il crepitar del -fuoco e qualche susurrare subito interrotto. Il grosso fattore sedeva -alla tavola più grande avendo a lato i norcini, i suoi compagni di -mercato e le ben pasciute donne del contado. - -La Bita entrò nella corte. Tutti allungarono il collo, a guardare dalle -anguste finestre. Passò un fremito e un susurro: - -— Eccola, eccola, eccola!... - -E una trepidazione gioiosa tenne il core di tutti i festanti. La Bita -non aveva fretta. - -Si fermò, stupita, a osservar le innumerevoli pediche su la neve; si -accostò al canile a vedere se i mastini c’erano sempre; si sorprese -dello strano silenzio che regnava. Si volse intorno. Piano piano si -diresse all’uscio, come a malavoglia. La trepidazione dei convitati si -accresceva sempre più. Si udì smuoversi la maniglia dell’uscio, si vide -il paletto che si levava un poco. Trascorsero fulminei susurri: - -— Viene!... Non viene!... Se ne è accorta.... No!... - -Padron Serafino aveva puntato le mani alla tavola, nell’atto del -levarsi, e stava così, rivolto verso l’uscio, come fosse magato. - -Poi l’uscio si dischiuse un poco, sempre un po’ più, lentissimamente, -e la scarna figura della peccatrice abbrunata apparve nel vano. Ma -appena aveva levata la faccia di sotto lo scialle nero, e lo stupore si -dipingeva in quella, che, da settanta petti, contemporaneamente, sorse -un grido formidabile; - -— Evviva, evviva la Bitaaaa!... - -La donna illividì, parve impietrirsi, non dette più cenno di vita. -Caduto il grido, non si rimosse, non comprese. Ferma e rattratta sotto -lo sguardo delle genti, non rifiatava. Allora padron Serafino parlò. -Disse: - -— Moglie, questa gente pregherà il Signore per te!... — La Bita levò -gli occhi cupi. — Tu hai avuto pietà dei cani e io ho avuto pietà degli -uomini. Moglie, ciò che è mio è tuo e ciò che è tuo è mio; ma è giusto -ringraziare te di questa ribotta, perchè ho preso i soldi dal tuo -canterale. Erano cinquanta bei marenghi nuovi di zecca. Ce li mangiamo -per la tua salute! È giusto!... - -Poi, fra l’improvviso travolgente baccano dei banchettanti, che avevano -disciolto ormai ogni freno, si udì levarsi acutissima l’aspra voce -della peccatrice abbrunata: - -— Ladro, ladro!... Assassino!... Erano i denari per il mio mortorio!... -Ladro.... ladro.... ladro!... - -Ma poco valse la sua pena, di fronte al giocondo irrompere delle genti -che le sovrastavano berciando, ed ella si raccolse in un angolo, -il volto celato nelle volute del suo nero zendado, e così stette -singhiozzando senza rimuoversi per quanto tempo durò l’allegra festa -dei migliacci. - - - - -LA MADRE. - - -Girò due volte la chiave nella toppa, aprì la finestra sul giardino, -respirò l’aria nuova, si irraggiò di sole, ristette pensosa per -l’attimo di un suo turbamento inespresso. Era sola, si sentiva libera -di pensare, di piangere, di ridere senza essere osservata, senza essere -curata, senza l’ossessionante miseria di un egoismo amoroso che non le -dava tregua e respiro. - -Sapeva che poco sarebbe durata anche quella sua momentanea pace perchè -nel termine di una fuggevole ora qualcuno avrebbe bussato alla porta e -una voce sommessa si sarebbe levata a domandar di entrare; ma frattanto -poteva abbandonarsi a sè stessa, essere un attimo senza guardia e senza -il sorriso di un affetto che a mano a mano, inattesamente e fatalmente, -le si convertiva in odio. - -Sedette alla scrivania, guardò a lungo il sereno, le rose in fiore, -i comignoli dei vecchi tetti, le finestre delle soffitte che non -si aprivano mai e dalle quali pendevano, ondeggiando al vento, le -ragnatele; guardò là cima di un cipresso che svettava oltre la cinta -di un giardino e lo spirito di lei, appartandosi fra le dolci cose -consuete, distendendosi come al respiro del morire di quel maggio, -ritornò alla sua gaiezza nativa, dimenticò tutto, seguì la sua via -naturale nel sogno, poichè la vita le era una maledetta costrizione ed -un continuo affanno. - -E dall’insolito silenzio le proveniva la sua gioia; sempre più si -schiariva nell’abbandonarsi alla necessità del suo vivere. Tutto era -dimenticato, tutto era morto e lontano e scomparso, proseguiva, come la -nube innamorata del sole e del vento va per i liberi spazi secondo la -legge delle creature lanciate dalla nascita alla morte. Come ogni astro -ed ogni goccia di pioggia, ed ogni fiore cercava il suo compimento, -costruiva la propria vita oltre il dolore e la morte di chi l’aveva -preceduta. - -E l’umile aspetto di cui si rivestiva l’egoismo materno non le fu più -dinanzi, nè più ricordò le melate parole che le predicavan la rinunzia -per amore, nè le lacrime mute più penose di un’aperta volontà contraria -alla quale si può trovar forza per resistere come incitatrice di -energia, nè la sorda lotta combattuta ora per ora, giorno per giorno in -una snervante malinconia di opaco contrasto, di egoistica miseria che -si infingeva rivestendosi di dolcezza e di bontà. Più nulla, più nulla! -Il suo cuore era gaio come il cielo turchino, chiaro come un cristallo, -aperto come l’ebbra rosa solare. - -La faccia appoggiata alle piccole palme dischiuse, gli occhi larghi -sulla bionda luce del giardino, seguiva una dolcezza di memorie -inquadrate in volti di paesi lontani, vissuti per tenerezza di amore, -discoperti come all’origine della vita e sorrideva come se tutto -le ritornasse dinanzi a volta a volta in una realtà più intensa e -profonda di quella vera e s’ella si trovasse tuttavia, nei calessi che -la trascinavano su pei colli verso una selva, verso un paese turrito, -verso una città solitaria; e l’uomo amato le era vicino e la conduceva -al limitare del sogno. - -Rinascevano così le parole scambiate, quelle più turgide d’ansia, che -più si accostavano, come un brivido, dalla bocca al cuore e dal cuore a -tutto il senso; e le estasi mute, e l’affannoso volto del piacere che -occhieggiava di fra le siepi del biancospino come una giovine nudità -intravveduta per cui si trema e si sogna. - -E come più le memorie si affollavano, simili a volti di fanciulli al -cancello di un giardino, più ella sentiva la profonda gioia della sua -solitudine. - -Rilesse le ultime lettere che le aveva mandato da lontano e il tempo le -scorreva sì rapido che appena le pareva di essere entrata nella stanza -quando udì qualcuno che bussava alla porta. - -Ebbe un atto di impazienza; le gote le si arrossarono all’improvviso, -volse il capo a domandare: - -— Chi è? - -Una voce umile rispose: - -— Sono io! - -— Che vuoi? - -— Ti disturbo?... - -— Vorrei rimaner sola! - -Trascorse una pausa. La stessa voce riprese ancóra più sommessa: - -— C’è una lettera per te. - -— Una lettera? - -— Sì. L’ha portata poco fa il postino. - -Anna si levò e si fece alla porta. Apparve il piccolo viso dolciastro -della madre. - -— Dov’è la lettera? - -— Eccola — fece la madre e gliela porse. - -Un’occhiata bastò ad Anna per capire dalla soprascritta di che si -trattava. Piegò la lettera in due e la ripose in seno. - -La madre la guardò fare senza mutar volto, sempre umile nella sua -mansuetudine apparente. Fu un silenzio penoso. - -— Non la leggi? — domandò la madre. - -— Oh, non è nulla di importante! - -Anna non abbandonava la maniglia dell’uscio; l’altra, che si era ferma -sulla soglia, mosse un passo per entrare. - -— Chi ti scrive? - -— Non so. Forse sarà l’Angiola. - -— L’Angiola?... Non mi pare la sua calligrafia! - -— Mah!... - -Non si guardavano in faccia. La madre deviò il discorso, abilmente. - -— Non ti fa male agli occhi tanta luce? - -— No. Mi piace. - -— Non vuoi che ti socchiuda le persiane? - -— No, grazie! - -Le risposte di Anna erano concise e la voce dura. Ciò moltiplicava le -pause. - -— Poco fa è venuta la signora Erminia; voleva vederti. Ho detto che non -eri in casa. - -— Hai fatto bene! - -— Sai chi sposa? - -— No. - -— L’Amelia. - -— Ah! - -— Si è fidanzata col dottor Pini. - -La madre guardava per la stanza. Disse dopo una sosta più lunga: - -— Già vorrai rimaner sola! - -— Mi faresti piacere. - -Ma la signora Viani non si rimosse. Aveva sempre il suo sorriso di -vittima sulle piccole labbra stirate e gli occhi malinconicamente -umidi. - -Disse ancora: - -— Aspetta, Anna. Questa mattina non ti hanno cambiato gli asciugamani. -Ora li prendo io. - -— Non importa, mamma. - -— Non vuoi? - -— È inutile. Ora non mi abbisognano. - -— Ma.... se più tardi.... - -— Fra poco scenderò. - -— Come vuoi! - -Come si addiede di non poter scegliere via che la conducesse al suo -porto, la signora Viani si ritrasse di su la soglia. - -— Allora ti aspetterò giù. - -— Sì, mamma. - -— Tarderai molto? - -— No.... Qualche minuto. - -— Non vuoi uscire questa mattina?... C’è tanto un bel sole!... - -— Non ne ho voglia. - -— Bene. - -E si volse per andarsene. Anna richiuse la porta, attese che il passo -della madre fosse dileguato giù per le scale e allora girò per due -volte il chiavistello e respirò sollevata. - -Tornò allo scrittoio. Il volto di lei si distese, animato da una -segreta gioia improvvisa, tolse la lettera dal seno, l’aprì. E non -erano parole scritte ch’ella aveva dinanzi, ma il volto del suo amore -e l’udiva parlare appassionato come se le fosse dietro le spalle, -inchino, e la bocca di lui le sfiorasse le orecchie e il respiro le -scendesse per le tempie e per le gote per farla abbrividire. Si udivano -i passeri e le rondini. - -Cigolò la carrucola di un pozzo; una donna cantò il fior dell’arche -odorose che si dischiudono per i letti dei giovani quando l’amore -consiglia. - -Oh amore e gioia! E c’era una nuvola bianca ed esigua su l’orlo del -giardino, là dove il cielo si chinava presso una nera torre quadrata, -fiorita da ciuffi di ranuncoli. Le glicinie erano in fiore. Avevano -coperte le mura dei loro corimbi azzurri e violacei; molli come il -molle cielo. Ne erano quasi chiuse le finestre delle camere disabitate -e i colombai. Anche le vecchie mura di rossi mattoni godevano del sole -e della primavera e le bifore chiuse da tanti mai anni; chiuse con lo -spirito di una bellezza morta. - -Ed ella benchè non vedesse, assorta com’era nel suo léggere amoroso, -sentiva l’anima delle cose circostanti irraggiarsi come l’anima sua, -nel mattino, chè tutto compiace a giovinezza. - -E ancora udì bussare alla porta. Nascose la lettera nel seno; si levò. -Era la madre con un fascio di fiori. Disse: - -— Ti ho portato i fiori per i tuoi vasi. Questa mattina non li avevi -raccolti. - -— Grazie! - -Li prese e li posò sopra una sedia. - -— Ti occorre nulla? - -— No. - -— Non vuoi bere una tazza di brodo? - -— No, grazie. - -— Te l’avevo preparata!... Anna, ti indebolirai. - -— Ma se mi sento bene! - -— Non vuol dire!... Dunque non la vuoi?... Te l’ho portata!... È qui!... - -— No, mamma, non la voglio!... - -— Via.... ubbidisci! Ti farà bene!... - -Prese la tazza e la posò sulla sedia, vicino ai fiori. Le passarono per -la mente i liberi amanti campagnoli che vanno per le strade morte, in -solitudine, e nessuno li turba, e nessuno li insidia e nessuno guasta -loro la segreta gioia dell’amore. - -— Dunque non vuoi uscire?... - -— No. - -— Ti farebbe bene prendere un po’ d’aria! - -— Non ne ho bisogno. - -— Come sei rossa!... Che cos’hai?... - -— Io?... Niente!... - -— Hai avuto qualche brutta notizia? - -— No.... perchè?... - -— Mi sembri agitata! - -— Ti inganni. - -— Chi ti ha scritto?... - -Fu per mentire, ma l’anima sua diritta si ribellò a una simile -meschinità. Non rispose. - -— Non si può sapere?... — riprese la madre sorridendo, e gli occhi suoi -malinconici erano ancora più umidi. - -— Se proprio lo desideri! - -— Sì. - -— È Armando! - -— Come?... Ancóra?... - -— Ancóra?... - -— E ha avuto il coraggio.... - -— Ha risposto semplicemente a una mia lettera!... - -— Tu gli hai scritto per prima?... - -— Sì!... - -— Anna!... Se lo sapesse tuo padre! - -— Lo saprà perchè glie lo dirò! - -— Non farlo, per carità! - -— Babbo saprà capirmi ed io non voglio mentire!... - -— Ma le tue promesse?... - -— Io non ho promesso nulla! - -— I tuoi pianti?... - -— Dovevi capire perchè piangevo! - -— Oh, Anna!... - -E delle mani grinzose si fece velo alla piccola faccia. Parve incerta -se scoppiare in singhiozzi. Si trattenne. - -— Mi fai leggere quella lettera?... - -— Questo no! - -— Almeno dimmi quello che ti dice! - -— Neppure!... - -— Rispondi così alla tua mamma?... - -Anna si volse a guardare da un’altra parte, tutta bianca per l’emozione. - -La signora Viani raumiliò la debole voce e disse sospirosa: - -— Questa è la ricompensa per il bene che ti voglio!... - -Allora la giovinetta si volse di scatto, guardò la madre in faccia, -fieramente, e d’un tratto si abbattè sulla scrivania, la faccia -nascosta fra le braccia ripiegate. - -— Oh, mamma, mamma, mamma!... - -Fu un pianto represso ed aspro elle la scosse e la sconvolse. - -E la madre chinò la piccola testa e uscì silenziosamente senza chiuder -la porta. - - ❦ - -Ed eran due anni che la sorda lotta continuava così, senza nessuna -pietà, ordita sulla trama di una tenerezza opprimente. Da un lato la -madre a moltiplicare le attenzioni, i consigli, le scialbe dolcezze in -un vigile affetto sospettoso, dall’altro Anna a difendere il suo fiero -amore dall’insidia quotidiana. Perchè non v’era causa valevole che si -opponesse al compimento di due destini se non il materno egoismo. - -Armando Vada era inviso alla buona madre solo per ciò che lo -distingueva dai suoi coetanei. Non era una bestia da soma, non un uomo -di famiglia, chè non voleva imbrancarsi e marcire nei piccoli cerchi -delle piccole famiglie; non amava gli impieghi nè la beata tranquillità -di un tanto al mese, nè la parca mensa che abbrutisce lo spirito fra -lo scemo pettegolezzo quotidiano e il dominio delle stupide femmine -che hanno il còmpito di ricondurre l’uomo alla sua greppia, alla sua -condanna, alla morte di ogni luce ribelle. I discorsi di lui avevano -stordito l’umile signora Viani la quale se ne era fatta come un -anticristo, ma, ancor più di tutto questo, l’aveva spaventata l’idea -di perdere la sua Anna per sempre chè Armando Vada non nascondeva il -suo intendimento di andarsene in paesi lontani ad esplicarvi la propria -energia in una lotta dalla quale, se si esce trionfatori, si coglie una -ben larga messe. E non tanto il rischio la spaventava quanto l’idea -di non vedersi più d’attorno la sua bella figlia. Anna era bella, lo -dicevan le genti, lo dichiaravano gli innumerevoli innamorati e di tale -bellezza la piccola madre andava orgogliosa come di un vezzo di grazia -per la sua vecchiaia, come di qualcosa che le spettava per giusto -diritto e da cui non doveva mai separarsi. La sua vanità egoistica si -era terribilmente serrata intorno alla figlia e ribadita in apparenza -di affetto. - -Da quando Anna aveva incominciato ad essere qualcosa più di una bimba, -la dolce madre, per farne un campione di bellezza, l’aveva ornata e -addobbata come un altare, sol per sentirsi dire: — Com’è bella!... — -e veder la gente soffermarsi lungo la strada e l’invidia negli occhi -delle giovinette. E da quel tempo l’assiduità sua intorno alla figlia -si era moltiplicata. Anna non aveva avuto nè un giorno nè un’ora di -libertà, non aveva conosciuto amiche. A venti anni non ancóra le era -stata concessa una stanza nella quale raccogliere il suo lettuccio, le -sue cose, i suoi sogni; dormiva tuttavia col babbo e la mamma come una -piccola mocciosa senza intendimento, piena di terrori notturni. E il -giorno in cui si impose e parlò alla madre della sua vergogna di esser -tuttavia relegata nella stanza comune, di fronte al babbo, senza alcuna -libertà possibile; e della sua recisa volontà di avere una stanza per -sè sola, vide la madre singhiozzare come se avesser dovuto dividersi -per la vita, e la vide implorare e impallidire; ma non piegò ed ebbe un -nido. Le parve allora di aver raggiunta la felicità e la possibilità -di ricercarsi, di esser sola, di vivere nell’intimo dell’anima sua, -secondo un irrompente desiderio; ma ancóra si ingannò chè, secondo una -ossessionante tenerezza, la madre le fu dintorno ogni dieci minuti e -giungeva la notte, scalza, sulla punta dei piedi per darle un altro -bacio, per raccomandarle il sonno. Anna incominciava a vedere in tutto -questo qualcosa di diverso dall’affetto e non poteva difendersi, a -volte, da un senso di invincibile ripugnanza. Non si risolveva in -realtà in un trepido spionaggio quell’assiduo apparire in silenzio -durante la notte? E quando fingeva di esser presa dal sonno, perchè -dunque si accostava alla scrittoio e frugava fra le sue carte? Ma come -ribellarsi senza apparire cattiva, snaturata agli occhi di tutti? Ed -ella non sapeva scindere tuttavia la propria condotta dal giudizio -della gente, era troppo schiava delle consuetudini, l’avevano tenuta -troppo avvinta per aver ali a un grande volo. La gente esaltava l’umile -amore di quella madre e lo portava ad esempio. L’apparenza assumeva -proporzioni eroiche e, come sempre, l’apparenza bastava chè, a voler -indagare, si sarebbe giunti chi sa dove, perchè è molto raro che il -sedicente amore non nasconda una qualche bruttura. - -Inoltre che avrebbe detto il babbo?... Anch’egli era stato fiero e -ribelle nella sua giovinezza, ma poi era venuto piegandosi, si era -ammollito sotto l’influsso della donna che si era scelto a compagna. -Ella lo aveva vinto ed insciocchito con la mitezza, con la mansuetudine -bestiale, con una specie di bontà inerte, remissiva, malinconica; gli -aveva tolto ogni virilità assecondandolo, facendosi sempre più piccina, -prestandogli i più umili servizi con pecorile accondiscendenza. Ed -appariva buona buona buona!... di quell’idiota bontà che vince per -forza d’inerzia e passa le mura e stempera il più saldo acciaio. - -Anna vedeva questo benchè non ne detraesse giudizi, anzi tutto ciò le -si convertiva in segreto dolore. - -Così si era svolta la vita di lei, senza nessuna ebbrezza fino al -giorno in cui una grave malattia l’aveva quasi condotta alla morte. -Quattro mesi combattuti fra l’insonnia e la febbre l’avevan disfatta. -All’uscir di un inverno ella si destava come per la prima volta alla -vita, senza memoria, pervasa dalla stessa dolcezza che trascorre pei -limpidi cieli marzolini. Ma la convalescenza doveva essere lunga e -per ristabilirsi ella doveva esulare, lasciar per qualche mese la -sua piccola città oscura, cercare altri soli, altri paesi. Quando le -dissero questo, il primo rossore le affiorò le scarnite guance e non -vide le lacrime della madre o non le volle vedere. Chiuse i grandi -occhi, incrociò le mani sul petto, stette così lung’ora, la testa -affondata nei guanciali. Le si apriva un mondo diverso, una possibilità -diversa, un infinito bene di sogno. Rinasceva in realtà e Iddio le era -dinanzi. Ancóra non poteva parlare. Non guardava se non fuggevolmente -la madre che era sempre a fianco al letto. Chiudeva gli occhi per -lasciar vagare l’anima in un suo paradiso di freschezza. Quel ritorno -alla vita le era come un illuminato stupore. Era morta e rinata. Aveva -lasciato in un passato remotissimo tutto il peso di mille cose gravi -ed oscure; si ridestava con una prospettiva radiosa, sul principiare -del marzo. Quando sarebbe partita e per dove? Chi l’attendeva? Chi -le avrebbe parlato dolce?... Dove?... dove?... E dalla fantasia -le nascevano terre sconosciute per le quali si figurava di andare -divinamente sola, fra l’amor delle cose ebbre di luce, sotto il canto -delle allodole. - -Paesi lontani, case tinte dall’aurora fra giardini di melograni, strade -azzurrastre e sentieri, viottole, colline, selve, fiumi, fontane. Il -mondo della rondine. E per l’arco breve dei giorni ella pregustava la -nuova gioia. - -Sapeva che la madre non l’avrebbe accompagnata. Non si poteva per via -del danaro. Sapeva la famiglia prescelta ad accoglierla e il luogo, ma -tutto ciò le sembrava tanto lontano e tanto vago da confondersi quasi -con l’irrealtà. - -Frattanto la sua giovine forza trionfava rapidamente sul male e il -giorno giunse. Il giorno di una prima partenza è sempre di una bellezza -gaudiosa. Quando uscì dalla casa, nel sole, quando fu alla stazione, -quando vide giungere il treno tacque e sorrise; sorrise sempre senza -che il malinconico aspetto della madre in lacrime la turbasse o la -preoccupasse. - -Troppe ed inconsulte erano state le lacrime della madre perchè ella -ne fosse presa. Poi era la sua volta. Dopo tanti sogni partiva verso -l’ignoto e il commovimento da cui era invasa dominava e allontanava -ogni altro amore. - -La chiusero in un compartimento per signore sole, la raccomandarono al -capo treno e i consigli e le prediche non avevan più fine. - -Anna ascoltava senza capir nulla, dicendo sempre “sì„. Poi il treno -si mise in moto ed ella vide la sua piccola madre abbrunata agitare -il fazzoletto e portarselo agli occhi; la vide incamminarsi dietro al -treno, protendere la faccia sparuta, piangere disperatamente. Perchè -mai tanto dolore? Ed era solo dolore? Si separavano forse per la morte? -Quando si ritirò dal finestrino non pensò più ad altro se non alla -sua felicità e il ricordo di quel viaggio le fu poi sempre come un -sogno vissuto portentosamente. Giunse alla città destinata verso il -crepuscolo. Il treno si fermò ad una piccola stazione fiorita sul Lago -Maggiore. Era l’aprile. - -Un brusìo festoso di gente che si avviava alle armoniose ville del -Lago; una dolce luce per tutte le montagne e su l’acqua azzurra; una -stazione gaia come un ritrovo d’amore. Trovò coloro che l’attendevano, -li seguì stordita, senza parlare, e per quella sera non vide e non -seppe se non le montagne serene, una strada fra i giardini e la sua -cameretta sul lago. - -Poi si ridestò. Fu anche per lei l’attimo in cui si vive la vita come -un prodigio e non moriron dieci giorni ch’ella era innamorata. - -Non fu una cosa improvvisa. Si rividero laggiù, per caso, ma già si -eran conosciuti fanciulli nella città nella quale erano nati. Nè l’uno -fu più sorpreso di incontrare l’altra, nè la loro gioia si misurò su -ritmi dissimili. Si piacquero, si amarono e decisero il loro destino. -Egli doveva andarsene in America, avrebbero sposato innanzi di partire. - -Quaranta giorni trascorsero e l’incantesimo finì. Anna doveva -ritornare. Riprese la strada come se discendesse verso il buio, verso -una prigione che un mese di libertà le rendeva più intollerabile. -Sentì allora di non poter amare sua madre. A volte la ribellione di -lei giungeva fino al pensiero di andarsene lontana per sempre. Ma -la speranza si abbranca ai minimi segni e pensava ancóra che i suoi -avessero potuto assecondarla. - -Armando era partito due giorni prima per far la domanda ai legittimi -proprietari di Anna; ella, giungendo, avrebbe trovata la decisione -stabilita. Credendo ancóra di valer qualcosa nell’atto in cui doveva -compirsi il proprio destino, scrisse alla madre e al padre una lettera -appassionata per prevenirli, per dir loro quale era l’anima sua e il -suo desiderio, ma a volta a volta il dubbio vinceva la speranza. - -Attese invano un telegramma di Armando; partì scorata. - -Dopo un interminabile viaggio trovò alla stazione la madre, delirante -in una convulsiva gioia lacrimosa e il buon padre più rinsciocchito -che mai. Innumerevoli i baci e gli abbracci. C’era tutto il parentado -strillante, ululante per la gran gioia. Una barocca fiera di esultanza. -E fra la tempesta delle domande, dei baci, degli abbracci, delle -lacrime, delle carezze fu trascinata via senza capir più nulla. Come le -apparve orrendo il volto di quella gioia canina!... L’avevan _ripresa_ -finalmente!... Era ritornata all’adiaccio fra le altre pecore, fra -tutte le pecore matte del suo parentado!... Era tornata sotto le -amorose grinfie de’ suoi tutori e forse non se ne sarebbe dipartita mai -più!... E d’improvviso tanto fu forte la sensazione di tale realtà che -ruppe in un pianto improvviso. - -La signora Viani le si strinse al braccio: - -— Perchè piangi, Anna?... - -Non rispose. Risposero per lei le impennacchiate parenti: - -— È l’emozione, poverina!... - -— Era tanto che non ci vedeva!... - -— Piange per la gioia!... Lasciatela stare!... - -— Lasciatela stare!... - -La gioia, sì! La gioia sorella della morte! E il parentame se ne andò. -Rimase sola nella stanza da pranzo col padre e la madre, li guardò -negli occhi, cercò di parlare. Ma la sua piccola madre non le lasciò -aprir bocca una volta sola: parlava e parlava e si faceva in quattro a -toglierle di dosso l’ombrello, i guanti, il velo, il cappello. Pareva -temesse di udire la voce di lei. Quando aveva esaurito un argomento -ne cercava un altro, poi un altro, squadernandole innanzi lo stato -civile di tutti i conoscenti: matrimoni, morti, adultèri, fallimenti, -crudeltà filiali, eroismi materni, tutto quanto era venuta accumulando -in quaranta giorni; e ogni dieci secondi interrompeva la narrazione -favolosa per domandarle notizie della sua salute, per offrirle un -brodo, una tazza di latte, un uovo da bere; ma di Armando non una -parola. Si capiva che il solo nome di quell’uomo era l’orrenda ansia -della piccola madre e che si profondeva ridicolmente in tal guisa solo -nella speranza che Anna capisse e dimenticasse. Un attimo rimase sola -col babbo e ne approfittò. Lo guardò fisso negli occhi, gli domandò: - -— Babbo.... hai saputo? - -— Sì.... ho saputo. - -— Ebbene?... - -— Parlerai con la mamma! - -— Non volete? - -Fu un grido. In quell’istante rientrava la signora Viani. Si fermò -stupita, domandò: - -— Che cosa è stato?... - -Capì a un’occhiata del marito e ricominciò la petulante solfa. -Anna ne era stordita. Salì alla sua stanza, affranta. Incominciava -a intravvedere la verità. Di un subito fu colta da uno scoramento -tale che si lasciò andare su di una sedia senza dir parola, tutta -abbandonata all’angosciosa tristezza. Le lacrime le scendevano a coppie -per la faccia impallidita. La signora Viani finse di non accorgersi -nè del pianto nè dell’improvvisa tristezza della figliuola: continuò -a parlare, sempre più animata, e a moltiplicare le sue tenerezze -intempestive. - -Anna tacque ancóra; poi si rizzò di scatto e domandò, ferma: - -— Mamma, dimmi la verità! - -La signora Viani si fermò a mezzo la stanza, si rivolse e domandò -stupita: - -— Quale verità? - -— Non farmi parlare, mamma!... Tu sai che cosa voglio dire! - -— Ma.... non ti capisco, bambina mia! - -— Ier l’altro è venuto qui Armando Vada.... - -La signora Viani non rispose. - -— .... vi ha parlato.... - -Uguale silenzio. - -— Ebbene.... che cosa gli avete risposto?... - -— Ma.... — fece l’umile creatura di bontà — io non c’entro!... - -— Come non c’entri? - -— No.... parlerai con tuo padre! - -Allora Anna fu presa da un aspro riso. - -— Perchè ridi?... - -Per qualche tempo la convulsiva amarezza non le concesse di parlare. -Quando l’affanno le si calmò un poco, disse: - -— Rido perchè il babbo mi ha risposto come te!... - -— Io non ne ho colpa!... — mormorò l’umile madre. Nella pausa che seguì -ella evitò di guardare la figlia. - -— Che cosa gli avete risposto? - -— Perchè parlarne? — fece la signora Viani, implorante. - -— Dunque non dovrei saper nulla? - -— Stai tanto male con noi? - -— Che c’entra questo? - -— Pare tu non veda l’ora di abbandonarci! - -— Mamma!... Non essere ingiusta!... - -— Credevo tu ci volessi più bene!... — soggiunse la piccola donna, le -lacrime agli occhi. - -Anna si sentiva il cuore stretto da un’amara tristezza. Disse a -voce spenta, gli occhi fissi innanzi a sè, assorti in un malinconico -deserto: - -— Ti credevo più buona!... - -Un lampo di sdegno accese gli occhi della signora Viani, ma fu subito -spento. - -— Dopo tutto — riprese — farai ciò che vorrai!... - -E per quel giorno Anna non ricondusse il discorso sul colloquio e la -madre si intenerì sempre più nella speranza che la sua buona figlia -avesse dimenticato. - -Nel giorno che seguì, recandosi la mattina nella stanza di Anna -per prestarle gli umili, inutili servizi nei quali si esplicava -tutto il suo amore, trovò la figlia seduta alla scrivania, pallida, -scarmigliata, gli occhi enfiati. - -Così l’aveva lasciata la sera innanzi, così la ritrovava. Le si accostò -piano piano, le chiese: - -— Come stai? - -— Male! — rispose Anna. - -— Che cos’hai? - -— Non so! - -— Hai dormito? - -— No. - -Guardò il letto; era intatto. - -— Non sei andata a letto? - -— No! - -— Perchè? - -— Perchè non ne avevo voglia! - -— Ma ti rovinerai la salute! - -— Poco male! - -— Anna!... - -Una pausa. - -— Se lo sapesse tuo padre!... - -Anna nascose la faccia fra le palme e ricominciò a piangere sommessa. - -— Ma che cos’hai?... - -— Dovresti saperlo!... — rispose la giovinetta. - -— Bambina mia.... diventi irragionevole!... - -Anna si levò, si rivolse verso la madre: - -— Mamma, gli avete detto che non volete?... - -— Ma perchè non lo domandi a tuo padre? - -— Perchè tu sola hai deciso tutto! - -— Io? - -— Sì. Il babbo fa quello che tu vuoi.... Tu lo sai convincere. - -— Ti giuro che non gli ho parlato! - -— Non vuol dire! Avrà capito dalle tue reticenze. - -— Quali reticenze? - -— Le puoi sapere tu sola. - -— Dunque non mi credi? - -— Ma io credo tutto!... Voglio sapere solamente quello che gli avete -detto! - -— Sei ben cocciuta! - -— Non si tratta di cocciutaggine, si tratta della mia vita! Credo di -avere il diritto di sapere come volete disporne. - -— Noi vorremmo che tu non ci abbandonassi mai! - -— Vorreste ch’io rimanessi sempre la vostra piccola figliola da -condurre a spasso! - -— Anna! - -— È la verità! - -— Sei crudele! - -— Non più di quello che tu non lo sia con me! Ma è dunque un giuoco -il mio? Ma sono dunque tanto trascurabile che il mio cuore e la mia -volontà non valgano nulla in tutto questo? - -— Bada.... potresti pentirtene! - -— Di che cosa? - -— Di aver fatta la tua volontà. - -— E perchè? - -— Perchè non hai esperienza.... perchè alla tua età si vedono le cose -da un falso punto di vista! - -— Vorresti forse ch’io fossi vecchia prima del tempo? - -— Come rispondi!... - -— E lasciatemi la mia gioia!... Ne ho avuta così poca nella mia vita!... - -— Anche questo mi rimproveri? - -— Non è un rimprovero. Io vedo che il giorno in cui mi si apriva -innanzi una strada infinita, in cui potevo farmi una vita mia, tu e -il babbo vi opponete, mi respingete verso il mio passato, mi dite: — -No, non vogliamo!... — Non posso ribellarmi, ma nello stesso tempo non -posso ubbidirvi! - -La signora Viani stupiva sempre più. Chiese tremando: - -— Gli vuoi tanto bene, dunque? - -Il volto di Anna ebbe un subito rossore. - -— Se gli voglio bene?... Da morirne!... Devi saperlo perchè è così, -perchè sarà sempre così! Se domani vorrà ch’io lo segua, te lo dico -prima, mamma, andrò con lui anche senza averlo sposato, lo seguirò -senza nessuna vergogna. E farà di me ciò che vorrà. Nulla mi fa paura! - -— Tu faresti questo, Anna?... - -— Sì, lo farei! - -— E a noi non pensi?... Siamo dunque un niente per te?... - -— Ed io che cosa sono per voi? - -— Tutto! - -— Sì, fin che non vi abbandono! Se domani partissi senza il vostro -consenso diventerei indegna del vostro amore! - -— Tu vuoi vedermi morta! - -— Non dire cose insensate, mamma! - -Ma la piccola madre aveva trovato il tasto opportuno ed insistè su -quello come l’unico che potesse torla d’imbarazzo con onore e farle -riacquistare il terreno perduto. - -— Sì.... vuoi vedermi morta!... È meglio ch’io muoia!... Tanto sono -inutile.... non servo a niente.... non faccio che far del male!... - -E si abbattè su di una sedia singhiozzando follemente; convulsa, -stravolta, convinta di destare pietà. - -E la pietà giunse con la sua faccia spaurita, e attanagliò il core -della giovinetta. - -L’anima generosa ed ingenua della nuova creatura, non resse al dolore -della madre e si piegò affranta verso di lei. Mormorò parole di scusa, -si umiliò. La piccola madre intese così quanto fosse opportuno il suo -còmpito di vittima e da quel giorno tanto parve malata ed esausta da -destare in tutti il convincimento ch’ella fosse presso a morire. - -Tutto il parentame si allarmò; la voce corse di casa in casa per la -piccola città accigliata. Fu detto che la santa donna se ne andava -perchè Iddio chiama più presto i buoni presso di sè; le regalarono una -malattia nuova ogni giorno e la pallida vittima vestì da quel tempo le -gramaglie e più non le tolse. Anche si parlò sommessamente di Anna. - -Qualcuno disse: - -— È una testa romantica! - -E qualcun’altro: - -— È un’ingrata! - -Il parentame materno, uno sciame di donnacole, vergini per l’ira di -Dio, mise in circolazione l’ingratitudine di Anna. - -E benchè i medici non riscontrassero alcuna malattia nella signora -Viani, questa non si ritenne guarita mai più, e ogni tanto, a conferma -del suo male interiore, digiunava fra la strillante preoccupazione -della fantesca e del marito. - -Ma frattanto chi intristiva veramente era Anna. - -Armando aveva rimesso la partenza di mese in mese e quasi un anno era -trascorso. Nulla era mutato nel frattempo. La signora Viani, superando -le sue possibilità finanziarie e riempiendo di debiti il miser’uomo -del quale si era impadronita, copriva di regali la figlia e piangeva -e sorrideva e si moltiplicava per sostituirsi, nel pensiero di lei, -all’uomo odiato che voleva togliergliela. Esaurì in tale còmpito -tutte le sue scarse arti troppo ingenue. Ma la piccola madre aveva -incrollabile la coscienza dei suoi diritti materni e le pareva di -essere buona buona buona, e se lo sentiva dire tante mai volte dalle -sorelle, dalle zie, dalle cugine, dalle attinenti che, nella sua -piccola testa, per poco non si santificava al cospetto del suo Iddio -microcefalo. - - ❦ - -Aveva stabilito tutto tranquillamente, fin dal giorno prima, senza -affrettarsi, con la precisa sicurezza che dànno le decisioni meditate a -lungo. - -Aveva nascosto la valigia nel cassetto dell’armadio; sapeva già, ad una -ad una, le cose che avrebbe prese con sè. - -Nulla l’aveva tradita. Era stata anche il giorno innanzi, come sempre, -ferma nel suo raccoglimento interiore, un poco triste, impartecipe -alla scimmiesca allegria del parentame che da qualche mese frequentava -quotidianamente la casa, col compito di renderla gaia. - -Nessuno aveva intravveduto in lei alcunchè di mutato. Era l’Annetta -di sempre: imbroncita, coi grilli per la testa. E su questi chimerici -grilli le zie ridanciane si divertivano un mondo, bofonchiando -come coloro che vorrebbero entrare per una porta vietata e tentano -timidamente la maniglia dell’uscio, pronte a ritirarsi al minimo suono. - -A sera se ne erano andate profondendosi in baci ed abbracci come per -una separazione eterna. Anna non aveva detto che poche parole; il puro -necessario. - -Salita alla sua stanza, aveva atteso tranquilla e indifferente le tre o -quattro sorprese materne, serrando poi l’uscio a doppia mandata. - -Ora disponeva le cose necessarie nella valigia. Non era in lei alcuna -emozione all’infuori di un’aspra volontà di agire. Era giunta a quel -passo attraverso ad una landa squallida, per un crepuscolo bigio. Aveva -pianto tutte le sue lacrime. Era stanca, stanca di oppressione e di -tristezza. La sua sostanza vitale cercava la libera vivacità dei cieli -violentemente. Ella non avrebbe più potuto opporsi a sè stessa. Doveva -andare. Nel buio dell’anima sua non era ormai se non quell’unica luce -verso la quale si protendeva per una necessità imperiosa. - -Era giunta per vie sì lunghe al suo divisamento che ormai non ne -provava più ansia nessuna. Era una cosa fatale e necessaria che -ella compiva: o allora o mai più. Armando le aveva scritto: “Entro -la settimana entrante mi imbarco. Sabato sarò a Bologna. Ti aspetto -ancóra, dove sai. Sciegli e decidi. O col tuo amore o contro l’amor -tuo!„. Ella aveva risposto: “Sabato alle dieci sarò da te„. La voce -d’invito, precisa nella sua concisione, aveva trovato un subito -acconsentimento risoluto. Tre volte l’aveva trattenuta la pietà -filiale. Aveva sperato in una diversa via di uscita, ma la piccola -madre, sempre che Anna avesse tentato ricondurla a parlar del suo -amore, aveva dato in ismanie ripetendo la minaccia consueta che non -aveva ormai più valore d’incubo: - -— È meglio ch’io muoia!... Ne avrete per poco ancóra!... Sono una -disgraziata!... - -Anna si era ridotta al silenzio. E la signora Viani non vedeva il -consumamento della figliola, intenta solo a impedirle il suo radioso -destino. - -Il padre non aveva avuto nè volontà, nè voce. Fiacco come ogni uomo -caduto nel piccolo mondo di una femmina sciocca, imbastardito nella -mollezza che aveva dispento in lui ogni impeto virile, si era appaciato -in una indifferenza beota senza chiedere, senza indagare, senza -desiderio di un qualsiasi convincimento profondo. E la mamercula aveva -avuto facile campo alla sua conquista. - -Ma non nel forte cuore della vergine. La bell’anima combattuta decideva -di sè stessa. Si avviava per la via del suo destino senza rivolgersi; -gli occhi asciutti e il cuore suggellato. - -Il treno partiva alle due. - -Aveva calcolato sul sonno dei suoi. - -Per non far rumore nell’andarsene aveva trascelto certi suoi -scarponcelli estivi che ammorzavano il passo. - -In breve tutto fu compiuto. Lasciò sulla scrivania una lettera breve -indirizzata alla madre. L’aveva scritta da vari giorni. Aprì l’uscio -lentissimamente. Si protese ad ascoltare. Il sonno faceva la casa -vuota, corsa solamente da qualche ignoto cricchiare, da un brivido -di respiro nell’ombra. Le sue pupille si dilatarono nella tenebra. -Fece qualche passo nel corridoio, salì una scaletta che conduceva sul -ripiano delle scale, si accostò all’uscio della stanza nella quale -dormivano i suoi. Nulla. Il sonno misterioso col suo respiro eguale -nella tenebra densa. Ritornò sui suoi passi. Iddio la vegliava. Quando -fu sul punto dell’estrema decisione ebbe un tremito al cuore. Non vi -badò. Pallida ma ferma, socchiuse l’uscio, si accostò al letto, infilò -il mantello, si ravvolse in un velo fitto. Era pronta. Ancóra ascoltò. -Ebbe un tremito di morte ad un tratto, chè le parve di udire il passo -della madre. Indietreggiò fino alla finestra. No... non era lei!... Era -la sua paura, la sua folle paura di non potere!... - -Prese la valigia, spense il lume. Era il punto. Si accostò all’uscio -a tentoni, lo aperse, lo richiuse. Ristette sulla soglia ancóra, -respirando come chi abbia dinanzi la visione di un incubo. Appoggiata -la mano al muro del corridoio, per seguire la via diritta, proseguì -nell’ombra. Ora la tempestava dentro l’ansia di superare quel poco -spazio, quel nulla ch’era più di una dolorosa eternità. Fu alla -scaletta di legno, ne salì i gradi ad uno ad uno, sbucò nella stanza -che immetteva nelle scale. Superata la stanza poteva dirsi salva. -Ristette un attimo ancóra, abbrividì, le pareva di udire un respiro -vicino. Qualcuno respirava di fronte a lei nella tenebra. Mosse un -passo, poi due, poi prese la via, risoluta. S’intravvedeva in fondo -alle scale un bagliore. Erano i lumi della strada che rischiaravano -un poco l’andito a terreno, per i vetri della rostra. Era la luce che -l’attendeva, il suo ultimo porto. Avanzò ancóra, fu per uscire; ma, sul -punto in cui stava per sbucare sulle scale, una voce transumanata, non -sapeva se orrida di spavento o di ira, gridò a due passi da lei: - -— Chi è?... Chi è?... - -Indietreggiò impietrita. Sentì il cuore arrestarsi e tutte le vene -corse da un subito gelo. Non rispose. Le mascelle le si inchiodarono, -l’una contro l’altra duramente. Sentiva la faccia come fosse di marmo. -La valigia le cadde di mano. - -E ancóra un soffio vicino e la stessa voce e la stessa domanda: - -— Chi è?... Chi c’è qui? - -Non rispose, non seppe il senso delle parole, non seppe più nulla. - -— Sei tu, Anna?... Anna, Anna?... - -Era un urlo. Poi una porta si dischiuse. La stanza si rischiarò. - -Stettero di fronte terrorizzati. Si guardarono negli occhi il padre, la -madre, la vergine impietrita. - -E nessuno pianse. C’era, al di sopra di loro, qualcosa di più grande, -di più oscuro, di più tragico che non fosse il loro cuore con le sue -torve passioni. - - ❦ - -E gli anni passarono come un’acqua di palude, torbida di una putrida -vita. Anna dormì ancora fra il padre e la madre. - -Le avevan vietata la morte per tre volte. Si scoraggì, si piegò, -s’insciocchì poveramente come una cosa disfatta negli anni torbidi e -fermi come un’acqua di palude. - -E la piccola madre sempre la pettinò alla mattina, innanzi allo -specchio, e sempre le disse, come dall’alba dimenticata: - -— Come sono belli i tuoi capelli!... - -E la vestì per trarsela dietro per le vie, la vestì sempre più -vistosamente; ma la gente non si volgeva ormai più, non guardava più la -vergine insciocchita dai larghi occhi senza lume. - -E Anna rise, immiserita, dimentica, e si curvò all’Iddio microcefalo -della madre, per trovare almeno nella cassa, almeno nella morte -un fiore: un piccolo pallido inutile fiore che sorridesse al suo -crepuscolo. - -E dopo tanti e tanti mai anni erano quasi vecchie ad un modo la madre e -la figlia; e la buona gente ne rise e le chiamò, “le scimmie„. - - - - -L’ORA GRIGIA. - - -Ormai don Pietro viveva d’accatto e poco usciva e quando gli toccava di -andare da un luogo all’altro allora il povero prete si faceva piccino, -si accappucciava e seguiva le prode dei fossi senza fermarsi mai, senza -rivolgersi mai, senza ascoltare e senza rispondere e senza vedere le -facce grifagne de’ suoi persecutori. - -Un prete era una macchia nera in quei paesi di rivoluzione, e don -Pietro sapeva questo. Egli era in peccato continuo e nessuna acqua -lustrale poteva mondarlo della sua colpa originaria. E sì che se per -miseria si poteva essere apostoli del Signore, egli era uno di questi; -chè non aveva mai toccato prebende e doveva viver di un nulla come la -lucertola, tantochè la sua vecchia serva lo chiamava: - -— _La furmighina del Signor!_ (la formichina del Signore!). - -E don Pietro: - -— State zitta, Costanzina, chè siamo tutti di un _alzòne_! - -E voleva dire: — Siam tutti pari, tutti ad un’altezza, tutti poveri ad -un modo. - -Coltura no, non ne aveva, povero don Pietro, ma era vecchio di quasi -ottant’anni e se qualcosa aveva imparato, al tempo de’ suoi dubbi -studi, questo qualcosa si era smarrito per la lunga via. - -Be’, nessuno gli rimproverava la sua semplicità, chè le sue rarissime -conoscenze erano del suo stesso candore. - -Costanzina, che viveva con lui da più di trent’anni, e qualche altra -vecchia; in tutto quattro o cinque creature, a sommar gli anni delle -quali si andava verso il millennio. - -L’ultimo uomo timorato di Dio che più aveva resistito alla bufera -e gli si era mantenuto fedele fino all’estremo possibile, era stato -Barroccio, il campanaro. Barroccio abitava una capanna su l’argine -della palude, esercitava la pesca e la caccia di frodo, era celibe, -aveva un sacro orror delle femmine, digiunava sei giorni della -settimana, era balbuziente e un poco scemo e nessuno avrebbe potuto -pensare mai che un tale arnese dovesse far gola agli uomini di partito, -a coloro che dominavano le campagne; eppure anche Barroccio era stato -del numero. - -Per venti anni Barroccio aveva esercitato l’arte supplementaria del -campanaro senza che nessuno lo avesse tormentato mai, perchè era uno -di quegli uomini che non s’immischiano nei fatti degli altri, che non -cercano compagnia, ma, paghi del loro silenzio, attendono all’opera -quotidiana con metodica regolarità, fino alla morte. Per venti anni, -percependo il lauto stipendio di tre lire l’anno, Barroccio era salito -al suo campanile due volte il giorno, senza contare le feste, e, -lanciati all’aria i tocchi rituali, era partito lungo le siepi senza -scambiar parola con anima viva se non rarissimamente. Ed era ormai, per -le genti della canonica e per i contadini circostanti, come l’ombra -della meridiana che viene e va senza far rumore, sempre su lo stesso -muro, fra i numeri convenuti, nel gorgo del tempo. - -Verso sera, qualche volta, don Pietro lo vedeva discendere dal -campanile e allora gli si faceva incontro. - -— Come va, Barroccio?... - -— _Ssss.... sssi cccc.... cccampa!_... - -— Hai fatto buona pesca? - -— _Cccc.... cccosì!_... - -— Vuoi bere? - -— _Cccc.... cca no sssed!_... (Non ho sete!) - -— Buona sera, Barroccio. - -— _Ffff.... ffalicia sera!_... - -E toccatasi la gialla _galosa_ se ne andava per gli affari suoi -atterrando gli occhi, curvo e silenzioso come profondasse nel nulla. - -Ebbene un bel giorno Barroccio non si vide più. Aspettalo all’alba, -aspettalo al vespro, non veniva. Don Pietro mandò Costanzina a cercarlo -e Costanzina lo trovò nella sua capanna sull’argine della palude. - -— Be’, perchè non venite più? - -— _Nnnn.... nnon vogliono!_ — rispose Barroccio. - -— Chi non vuole? - -— _I ssss.... i sssucialèsta!_... (I socialisti!) - -— E perchè non vogliono?... - -— _Nnnn.... nnnon lo so!_... - -— Che cosa ti hanno detto? - -— _Nnnn.... nniente!_... - -— E allora? - -— _I mmm.... i m’ha piciè!_... (Mi han bastonato!). - -E tale fu lo spavento del poveruomo che, dismessa l’arte sua canora, -non solo non salì più sul campanile, ma nemmeno si accostò alla chiesa. -E l’ultimo fedele era esulato. - -Don Pietro fece suonar le campane da Costanzina, ma sempre più -timidamente, qualche tocco alla sfuggita, nelle ore del giorno più -quiete, più deserte, più innamorate del sonno. Allora la vecchia -Costanzina si inerpicava fra le tele di ragno per le vecchie scale a -piuoli, cricchianti, pencolanti, polverose e, giunta al piano delle -campane, avvertiva (chi avvertiva mai?) che l’alba era nata, che il -giorno se ne andava, che in una piccola chiesa in rovina un vecchio -fanciullo cantava l’_Angelus_ alle immagini del suo Dio e all’ombra de’ -suoi sogni, o officiava solo per i morti che erano sotto il pavimento, -ricordati dalle lapidi, vivi soltanto per le consuete parole incise su -la pietra. - -Ma no. Per qualcuno ancora si schiudeva la porta del piccolo tempio, -una volta la settimana, innanzi che fosse giorno. - -L’alba della domenica aveva le sue fedeli. Tre vecchie che giungevano -da tre casolari lontani, che si incontravano per via, che indossavano, -solo per la messa, le loro vesti migliori, e parlavan piano quasi -fossero spiate da cent’occhi nemici. - -Giungevano alla porta socchiusa. Costanzina le aspettava. Entravano -insieme scambiando qualche parola. Su l’altare si accendevano due soli -ceri, proprio all’ultima ora perchè non si consumassero troppo, e di -fronte a un crocifisso, su la sacra pietra disadorna, senza fiori, -senza candelabri, senza dorature, senza cornici o tovaglie, o qualcuno -dei tanti arredi che adornano gli altari, nella più povera semplicità -don Pietro iniziava il sacro mistero. Costanzina serviva la messa. -Iddio le avrebbe perdonato! Balbettava le frasi latine malamente. -D’altra parte fra don Pietro e lei poco sapevano che si dicessero, -ma la fede era grande. Grande la fede e serena; Iddio scendeva fra di -loro, nella chiesuola dalle pareti scalcinate, dalle imposte cadenti -dalle quali entrava il rovaio e entravano le rondini in primavera. -Da principio erano giunte con uno strido riacquistando ben presto la -serena libertà dei cieli; ma poi si erano fatte più ardite e prima una, -poi dieci e venti avevano plasmato il loro nido fra le travi scoperte. - -Costanzina se ne era accorta una mattina mentre era intenta a -rassettare alla meglio la chiesuola. Avvertiva sì, da un po’ di -tempo, lo stridere troppo frequente delle sorelle nere, ma non aveva -pensato mai a levar gli occhi. Si sa, senza vetri alle imposte, in -quella povertà estrema nella quale vivevano, non potevano pretendere -di non aver le rondini in chiesa; ma quella mattina volle il caso che -una rondine le lasciasse cadere proprio su la fronte come una tepida -goccia. - -Costanzina capì di che si trattava e si rasciugò; poi, levata la -faccia, scoprì una novità fra le alte travi. Stette in vedetta, studiò -meglio l’affar suo e potè constatare che le rondini avevano fatto il -nido in chiesa. Per questo trovava tanto sudicio il pavimento e non le -bastava mai la fatica a pulirlo!... Còlta da un sacro sdegno, uscì e -cercò di don Pietro. Lo trovò nel brolo. - -— Signor parroco, venga a vedere! - -— Che cosa? - -— Venga, le dico! - -— Che c’è? - -— Ma venga, santo Dio!... - -E lo prese per la veste e se lo rimorchiò dietro. Furono in chiesa. -Costanzina tese un braccio verso le travi: - -— Vede? - -— No. - -— Come, non vede le rondini dove hanno fatto il nido? - -— Oooooh!... — fece don Pietro. - -— Bisognerà prender una scala e portar via quei nidi!... - -— Perchè? - -— Ma le pare, signor parroco?... In chiesa!... - -— Be’?... - -— Il sudicio che fanno! - -— Si pulirà. - -— Il rispetto.... - -— Costanzina, bisogna essere _onorificati_ della misericordia di Dio!... - -— Ma!... - -— Se ci sono _lasèli ste_.... lasciatele stare, povere bestie!... Il -Signore ce le manda!... _Coiòmberi!_... Sono tutte _pudicizia_!... Dove -volete trovare una bestiola più _inonorata_, più _specifica.... cm’as -disal_.... come si dice?... più _procace_ della rondine?... Saranno un -_addobbo_, non le toccate. - -— _Jèso!_... (Gesù!...) — fece Costanzina; ma i nidi delle rondini non -furono tócchi. - -Così voleva don Pietro, la piccola formica di Dio, e così fu, chè -Costanzina aveva una grande venerazione per il vecchio sacerdote e non -avrebbe compita mai cosa contraria alla volontà di lui. - -E sta il fatto che, sotto le travi adorne di nidi, inginocchiate su la -nuda terra, nell’ombra antelucana, appena vinta dal bagliore di due -ceri, la santa domenica tre sole vecchie, le ultime, ascoltavano il -divino mistero. - -Francesca, Palmina e Mariòla: si chiamavano così. - - ❦ - -E queste tre vecchie avevano l’aria di cospiratrici. Si levavano piano -piano innanzi che il gallo cantasse, aprivano l’arca, si vestivano al -buio e, imbacuccate entro le pezzuole nere a righe bianche, le scarpe -in una mano, scendevano in peduli per non far rumore. - -Gli uomini dormivano; il cane, su l’aia, le annusava e le lasciava -partire al loro cammino, ritornando alla sua cuccia dentro il pagliaio -dello strame. - -Eccole all’Incrociata dell’Olmo. Erano puntuali. Sbucava Marióla dalla -viottola dei Calza che Palmina era già presso la cappelletta votiva del -quadrivio e Francesca giungeva per il campo dei Balestra. - -La chiesuola non era su la via maestra, era in mezzo ai campi, -al termine di una straducola incassata fra siepi altissime. Vi si -internavano tutte tre camminando a paro e parlucchiando della stagione, -degli uomini, dei tempi e della loro malinconia. - -La casipola di Marióla aveva inchiodato a sommo dell’uscio un -crocifisso nero, messo là da tempi immemorabili, tanto che Mariòla -ricordava di aver sentito dire dal suo uomo che la famiglia dei -Travelli l’aveva trovato tale e quale quando era discesa dai monti -al nuovo podere. Be’, che fastidio dava?... Non lo potevano lasciare -al suo posto?... Nossignori!... Il suo figlio grande le aveva voluto -dare anche quel dispiacere e, preso il pennato, aveva compiuto il -sacrilegio. E Mariòla a raccomandarsi e il figlio a risponderle: - -— State zitta, vecchia!... Una casa che si rispetta non deve avere -questi segni di superstizione! - -Un segno di superstizione il Signore?... _Jèso!_... Ma dove si andava a -finire?... D’altra parte i castighi di Dio non mancavano: grandinate, -colèra, guerre, ammazzamenti, rovina!... Una volta si stava meglio, -c’era anche più rispetto pei vecchi!... Ma adesso chi badava ai vecchi? -Non eran buoni neppur da bruciare!... - -E Francesca: - -— _Di ’e farà ’na grân vandetta!_... (Iddio farà una grande -vendetta!...). - -E Palmina: - -— Questi ragazzi crescono e, ancora non sanno dire mamma che imparano -a bestemmiare!... _Jèso!_... Non rispettano più niente, vengono su -come l’erbaccia, non vogliono osservazioni nè consigli; che cosa -diventeranno? - -E così ragionando giungevano alla chiesa, trovavano Costanzina su la -porta del tempio, disparivano. - -La cosa continuava da anni ed anni. - -Ora una mattina, e il buio era anche più fitto perchè era nuvolo, -una mattina queste tre vecchie avevano svoltato per la straducola che -conduceva alla chiesa, e andavano di passo uguale parlucchiando, quando -all’improvviso videro un’ombra ferma innanzi a loro, in mezzo alla -strada. Sostarono. Lo sconosciuto disse: - -— Tornate indietro! - -Le vecchie sbalordite non risposero. - -— Tornate a casa, vecchie!... - -— Perchè? — fece Mariòla. - -— Perchè in chiesa non si va! - -— Non si va? - -— No. - -— Che cosa c’entrate voi? - -— Fatemi il piacere di tornare indietro. - -— È una prepotenza! - -— È quello che è! - -— Ed io voglio andare dove mi accomoda! - -— E allora vi prenderò come una bambina e vi porterò a casa. - -— Chi siete voi? - -— Questo non vi interessa. - -— Lo dirò con i miei uomini. - -— Ditelo a chi vi accomoda. - -Passò un silenzio. Francesca e Palmina davano di gomito a Mariòla -perchè tacesse, perchè ubbidisse, chè tanto non c’era nulla da opporre -contro la prepotenza di un male intenzionato. E le tre vecchie -ritornarono umili per la strada percorsa e non scambiaron parola. -Quando furono all’Incrociata dell’Olmo si fermarono. Lo sconosciuto non -c’era più. - -— Chi sarà stato?... - -— Chi sa?... - -— Un socialista!... - -— Sì!... - -Era l’alba. Che dovevan fare? Ed ecco che la chiesuola lanciò un -secondo timido richiamo. Costanzina le aspettava. - -— Che cosa dirà il parroco? - -— Gli avevo portato due uova, povero vecchio! È malato e non ha nulla -da curarsi! - -— Sentite?... Suonano ancora la prima!... - -— Ci aspettano. - -E si udiva la chiamata sommessa. Pareva che la campana non fosse -tocca da una mano, bensì dal vento leggero che ne movesse il battaglio -appena, tanto che il suono, inuguale fra pause inuguali, fosse come il -tremolio della foglia e l’incresparsi dell’acqua e il chinarsi degli -steli e il moto e la voce di tutte le cose che parlano e si ridestano -quando l’aria si muove. - -Le tre vecchie presero una via traversa. L’ombra non c’era più. Ed -anche quella domenica si inginocchiarono su la nuda terra, sotto le -travi dove erano i nidi abbandonati delle rondini lontane. - -Ma alla prima minaccia ne seguirono altre. Le ultime tre fedeli del -piccolo tempio in rovina dovevano rinunziare alla pubblica pratica -della loro fede; se volevano pregare, pregassero in casa. In chiesa, -no!... - -Mariòla, Palmina e Francesca lasciaron dire gli uomini incaniti e -tacquero, ma il loro silenzio non fu di acquiescenza. Anch’esse erano -della stessa razza tenace e non cedevano sì facilmente. - -Ora giunse la domenica e fra loro si era passato un accordo. Quella -volta non indossavano la veste consacrata, anzi trascelsero la peggiore -e presero un sacchetto ed un falcetto come quando solevano andar lungo -i fossi a raccogliere la gramigna. La campana della chiesuola non suonò -i suoi doppi. Costanzina era avvisata. Tanto Mariòla quanto le compagne -non percorsero la via consueta, anzi andaron per strade diverse -raddoppiando il cammino. Si erano levate più di buon’ora. L’alba pareva -lontana. Quando cantarono i galli si trovarono tutte e tre lungo -il fondo di un rio come era convenuto. Questo rio passava sotto il -cimitero e accanto alla chiesuola. - -Si videro appena. Era un gran buio. - -— Siete voi Mariòla? - -— Sì, Francesca! - -— E Palmina? - -— Eccola. - -Incurve, guardinghe, col loro sacchetto sopra una spalla e il falcetto -in una mano proseguirono, l’una dietro l’altra. - -— E se ci sono? — domandò Francesca. - -— Se ci sono raccoglieremo la gramigna — rispose Mariòla. - -Un cane abbaiò lontanissimamente. Si udì il remoto rombo di un treno. -Non c’erano stelle. - -— Siamo arrivate? — fece Palmina. - -Mariòla levò la faccia e disse: - -— Sì. - -— C’è Costanzina? - -Le tre vecchie scrutarono l’ombra. - -— Non si vede. - -— Allora son venuti e ci aspettano! - -— Non importa! — disse Mariòla. - -Si intravvedeva la siepe del cimitero. Mariòla incominciò a inerpicarsi -lungo la sponda del rio. Andava carponi. Palmina e Francesca la -seguirono. - -Quando potè inginocchiarsi su lo scrimolo, Mariòla passò il capo per un -varco della siepe e chiamò sommessamente: - -— Costanzina? - -Nessuno rispose. - -— Non c’è! — disse Francesca. - -Mariòla si rizzò. Le altre le furono al fianco. Ristettero immobili, un -attimo. Udirono qualche voce nella straducola della chiesa. - -— Li sentite? — fece Palmina. - -— Sì. - -— Sono venuti in molti. - -— Non importa. - -— Ci vogliono fischiare!... - -— E tu _digli_ che fischino! - -— Che cosa fate?... - -— Venitemi dietro. - -Mariòla aprì un varco ed entrò nel piccolo camposanto. Andarono in -fila, lungo la siepe, senza far rumore, tutte tre incurve, tutte -tre con lo stesso sacchetto sulle spalle e il falcetto in una mano. -Avevano una pezzuola bianca e nera. Camminavano adagio, trasfigurate -dall’ombra. - -Dalla via qualcuno gridò: - -— Chi è? - -Le vecchie non risposero. Trascorse un silenzio profondo. - -— Avete veduto? — domandò una voce sommessa. - -— Che cosa? - -— Là.... dietro la siepe del camposanto! - -— Chi è?... Chi è?... - -— Sarà l’ombra di un albero. - -— No.... - -— Andiamo a vedere. - -Le tre vecchie si fermarono e anche gli uomini si fermarono. Nessuno si -mosse. Ma quando Mariòla aprì il cancelletto del camposanto e si udì lo -stridore dei cardini, ed ella non fu più confusa alla siepe, ma chiara -e paurosa nel vano, contro le croci e i marmi, allora si udì un urlo -soffocato, poi il busso di una corsa sfrenata. - -Poco dopo la schiletta del campanile suonò i suoi doppi e i due ceri -si accesero sull’altare dispoglio innanzi al nero crocifisso e le tre -vecchie si inginocchiarono l’una vicino all’altra su la nuda terra. - -E queste tre vecchie più non furono disturbate finchè la morte non le -chiamò ad una ad una, dopo don Pietro, la piccola formica di Dio, che -già aveva seguito l’ignoto volo delle sue rondini verso l’eternità. - - - - -INDICE - - - Pag. - - La pace 1 - Lo spaventa passeri 19 - La vigna vendemmiata 33 - Padre Serenità 51 - L’eremita 71 - I violenti 93 - La gazza 107 - L’eredità 137 - La festa dei migliacci 147 - La madre 165 - L’ora grigia 199 - - - - -NOTE: - - -[1] _Battolata_, così si chiama in Romagna il batter delle gramole in -ritmo, fra lunghe pause. Le gramolatrici usano fare la battolata per -chiamar sulla sera i loro innamorati a convegno. - -[2] Usava in Romagna, fino a qualche anno fa, che un amante -abbandonato, per vendicarsi pubblicamente dell’incostanza della -propria innamorata, al tempo della gramolatura della canapa, si recasse -all’aia nella quale si trovava la sua bella ed ivi giunto gridasse il -nome di questa facendolo seguire da due colpi di fucile. Tali colpi -costituivano le così dette _corna_ ed erano per la ragazza un tale -sfregio che il capoccio della casa si affrettava a _guastare_ sparando -un terzo colpo. - - - - -DELLO STESSO AUTORE: - - - _Anna Perenna_, novelle L. 3 50 - _I primogeniti_, novelle 3 50 - _Il cantico_, romanzo 3 50 - _Gli uomini rossi_, romanzo 2 — - _L’alterna vicenda_, novelle 3 50 - _Il diario di un viandante. Dal deserto al - Mar Glaciale_. In-8 ill., con tav. a colori 8 — - _Solicchio_, canto d’amore. In-8 4 — - _Le Novelle della Guerra_ 3 50 - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VIGNA VENDEMMIATA *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part -of this license, apply to copying and distributing Project -Gutenberg-tm electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG-tm -concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark, -and may not be used if you charge for an eBook, except by following -the terms of the trademark license, including paying royalties for use -of the Project Gutenberg trademark. If you do not charge anything for -copies of this eBook, complying with the trademark license is very -easy. You may use this eBook for nearly any purpose such as creation -of derivative works, reports, performances and research. Project -Gutenberg eBooks may be modified and printed and given away--you may -do practically ANYTHING in the United States with eBooks not protected -by U.S. copyright law. Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. - -START: FULL LICENSE - -THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK - -To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase "Project -Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg-tm License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. - -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project -Gutenberg-tm electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. 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Hart was the originator of the Project -Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of -volunteer support. - -Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. 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You may copy it, give it away or re-use it under the terms -of the Project Gutenberg License included with this eBook or online -at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. 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Treves. -</p> -<hr class="mid" /> -</div> - -<div class="somm"> -<hr /> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span></p> - -<h2 id="pace">LA PACE.</h2> -</div> - -<p> -Erano due brigate, due parti in eterna contesa -come chi dicesse il fuoco e l’acqua. La -vita in comune non poteva essere accettata -con sopportazione. Dove appariva un piccolo -Borghigiano c’era sempre un piccolo Sobborghino -che s’incaricava di fargli i versacci o viceversa. -E la cosa era vecchia quanto l’anima -dell’uomo, nè accennava a tramutare. I cronisti -più antichi parlavano dei Borghigiani e dei Sobborghini -e narravano come le loro fraterne lotte -finissero tanto sovente con morti e lutti, che -i capitani, i podestà, i signori del popolo avevano -emanato a più riprese leggi e bandi e -divieti per far cessare l’ebdomanaria impresa, -ma invano. -</p> - -<p> -Tanto i Borghigiani come i Sobborghini erano -innamorati dei loro ludi, delle bellicose tradizioni, -degli odî inveterati e non potevano nè -<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span> -sapevano farne a meno. Così, oltre il volere -dei reggenti, di secolo in secolo, giù per i millenni -l’usanza si era perpetuata e ancora, per -quanto i nuovi tempi e le freschissime dottrine -avessero attenuata l’antica asprezza dei rapporti, -non v’era Borghigiano che non nutrisse -un velato disprezzo per un Sobborghino e viceversa. -La medaglia era identica su le due -facce. -</p> - -<p> -Ho detto imprese ebdomanarie e usava infatti, -al tempo degli arieti e delle catapulte, al -tempo dei castelli e dei fossati, usava che alla -sera di ogni sabato, piacendo al buon Dio, una -brigata di Borghigiani si imbattesse in una brigata -di Sobborghini, dato il quale incontro e -la lièta disposizione degli animi ne nasceva -tale intesa fraterna che l’una brigata si lanciava -sull’altra e, perchè non vi fosse dubbio -su l’intenzione, si affrettava a suonar certi -colpi, a sferrar certe mazzate, a picchiare con -tanta foga e sì dolce ardimento che il campo -risuonava in breve di strida e di urla e di incitamenti -e di imprecazioni. Scorreva il sangue. -Qualcuno cadeva. Il rumore era grande. E quando -le parti parevano soddisfatte si separavano e -ciascuno si portava via i propri feriti. Seguiva -una tregua fino al sabato venturo, nel qual sabato, -piacendo a Dio, si ricominciava la sinfonia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> -</p> - -<p> -Da che derivasse la gioconda consuetudine -nessuno sapeva e men può saperlo la critica -moderna. I cronisti sono oscuri; narrano e non -ricercano. Gli archivi non hanno rivelato mai -documenti che lumeggino il problema. La tradizione -popolare canta le sue gesta ma non si -occupa della causale delle medesime. Buio perfetto -adunque e nel buio le due brigate che -menavano le mani nei secoli dei secoli, in tutti -i costumi, sotto tutti i Governi, nonostante -tutte le proibizioni. -</p> - -<p> -La città che non nomino ma che ha d’altra -parte molte consimili fra l’Alpe e i due mari, -godeva adunque, da immemorabile tempo, del -giostrare de’ suoi due sobborghi e per tali giostre -andava nominata nei dintorni e nelle lontananze. -Si sapeva, ad esempio, che il dialetto -dei Borghigiani non assomigliava affatto -al dialetto dei Sobborghini, pur vivendo entrambe -le brigate entro i confini di una stessa -fossa; correvano per il mondo circostante, come -corrono tuttavia, benchè l’antico spirito sia ormai -cosa morta, i lazzi e le burlesche calunnie -di cui l’una parte si compiaceva di adornar -l’altra e viceversa. I Borghigiani avevano, ad -esempio, nel loro rione un magnifico campanile -a cono, alto settantacinque metri e più, -tanto che imperava su tutti i compagni della -<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span> -città. Tale campanile ridestava il loro giusto -orgoglio. Ora siccome i Sobborghini non ne -avevano uno compagno da poter opporre e si -vedevano impossibilitati a rapire quello dei Borghigiani, -andavano narrando a beffa che costoro -per far crescere il loro campanile ogni anno -più, venivano concimandolo ad ogni autunno -coi frutti di tutte le stalle del rione tanto da -accumulargli intorno una montagna di letame -poi come con le abbondanti piogge autunnali il -letame scemava, lasciando sui muri la traccia del -suo antico livello, i Borghigiani si adunavano a -festa e facevano suonare tutte le campane, e -danzando e cantando e trepestando gridavano: -</p> - -<p> -— È cresciuto!... È cresciuto!... -</p> - -<p> -I Sobborghini, in luogo del campanile, avevano -un fiume che attraversava il loro rione -e ne erano naturalmente orgogliosi. Durante -l’estate le brigate vi si rinfrescavano, ma con -l’autunno e con le piogge v’era sempre la minaccia -dell’inondazione. Ora i Borghigiani per -beffare il coraggio leonino dei Sobborghini narravano -come in tempo d’autunno questi ultimi -andassero sempre armati dei loro schioppi e che, -al minimo accenno di fiumana, corressero ad -assieparsi sul ponte, e dal ponte, gridando e -bestemmiando e facendo i più orribili ceffi che -si fossero veduti mai, tempestassero l’acqua -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -di schioppettate tantochè il povero fiume, vistosi -assalito in sì mala guisa, tutto spaurito -e sbigottito, cessava di scorrere al mare, e -volto il corso turbinoso se ne ritornava alla -nativa montagna. -</p> - -<p> -E i Sobborghini narravano come in un inverno -frigidissimo, in cui la neve era caduta in tanta -abbondanza da seppellirne le case, i Borghigiani, -per impetrare pietà dal Signore e liberarsi -dal malanno, erano usciti su la loro piazza -e avevano pregato un maestro di pietra, che -si trovava a passare dal luogo, di far loro un -Cristo di neve. -</p> - -<p> -Il Cristo era stato fatto e tanto era parso -bello ed amabile ed adorabile nel suo lucente -candore che avevano pensato di serbarlo. Ma -come serbarlo?... Gli anziani si erano adunati; -fu tenuto consiglio e, per giudizio delle persone -più assennate, fu deciso che il Cristo di -neve sarebbe stato cotto al forno. -</p> - -<p> -— Una volta cotto è salvato! — dissero gli -anziani. -</p> - -<p> -E il popolo disse: -</p> - -<p> -— È giusto! -</p> - -<p> -Fu riscaldato un gran forno fino ad arroventarlo -e quando apparve bianchiccio dal calore -il Cristo fu infornato di botto e tappato -chè non dovesse uscire. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -</p> - -<p> -E le donne pregavano e gli uomini sognavano -la bellezza del loro Cristo bianco come -la nube. Trascorsa l’ora necessaria alla cottura -i Borghigiani si accostarono a capo scoperto -addensandosi e, trepidando, attesero. Il più -vecchio fra tutti si fece il segno della croce, -afferrò il manico della serranda, lo trasse a sè -religiosamente, guardò. Mille occhi si affissarono -co’ suoi ricercando per entro il tenebrore -la ben nota forma, ma non fu visto se non -un po’ di bagnato. Allora un: -</p> - -<p> -— Oooooh! — lungo, incredulo, stupefatto -si levò dai Borghigiani assiepati, e l’anziano -che aveva tolta la serranda si rivolse e disse: -</p> - -<p> -— Ha fatto pipì e se n’è andato!... -</p> - -<p> -E il popolo giurò sul verbo del maestro e -fu creduto che il Cristo di neve avesse fatto -pipì e se ne fosse andato. -</p> - -<p> -I Borghigiani a loro volta narravano come i -Sobborghini avendo un giorno deciso di atterrare -una vecchia torre, l’avessero legata con -un fil di lana e, afferrato il filo, come questo -cedeva, si fossero dati a gridare: -</p> - -<p> -— Viene!... Viene!... -</p> - -<p> -Finchè non andarono tutti ruzzoloni. E così le -reciproche gagliofferie erano squisitamente esaltate -da parte a parte e correvano il mondo, animando -le brigate, che ne facevano allegra festa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -</p> - -<p> -Poi, col passar dei secoli, le cose vennero -modificandosi, ma l’antica aspra scissura non -si appianò e non è appianata tuttavia; non che -le antiche baruffe si rinnovino, ma un Borghigiano -preferirà sempre un Borghigiano a un -Sobborghino e viceversa. -</p> - -<p> -Una volta non si facevano mai matrimoni -fra le due parti, ora se ne fanno; una volta, -a una certa ora di notte, un abitante di uno -fra i due rioni in contesa non si attentava di -avventurarsi nel rione nemico; ora i Borghigiani -bazzicano per le osterie dei Sobborghini e viceversa. -Le cose han mutato segno ma l’antica -tradizione non è morta tuttavia: abbandonata -dagli uomini è scesa in retaggio ai fanciulli. -</p> - -<p> -Così le due masnade di marmocchi facevano -onore ai loro bisnonni, tempestandosi di santa -ragione ogni qual volta si scontrassero. Certi -poveri piccoli cristi ostentavano con rassegnata -fierezza le loro innumerevoli lividure, ma ciò -non formava impedimento. Bastava che Vituperio -o Scampoli, i condottieri delle due masnade, -lanciassero il loro grido di guerra perchè -dalle botteghe, dai negozi, dalle case, di -fra le immondizie delle strade, sbucassero i -componenti le due masnade. Le mura, il greto -del fiume, la piazza d’Armi erano i luoghi dei -loro scontri. Le baruffe non avevano termine -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -se non quando l’una delle due parti fosse volta -in fuga ed inseguita fin dove gli uomini non -si potessero intromettere coi loro irriducibili -scapaccioni. -</p> - -<p> -Naturalmente, ad ogni nuova baruffa, seguiva -il parapiglia delle comari, che si vedevano ritornare -i loro eredi malconci. Fierissime strida -si levavano di catapecchia in catapecchia e la -maggior parte delle volte i belligeranti venivano -sottoposti a una nuova dose di legnate. -</p> - -<p> -Ma l’onor della parte faceva lieve ogni supplizio. -E sempre, dove appariva un Sobborghino sbucava -un piccolo Borghigiano a fargli i versacci. -</p> - -<p> -Così stavano le cose quando nacque bellamente -al mondo la guerra libica. L’entusiasmo -delle due masnade fu grande. Per qualche tempo -Vituperio e Scampoli pensarono di riunire i loro -gianizzeri e di andarsene per davvero in Libia, -ma quando la cosa apparve impossibile, perchè -dove ne parlarono non si ebbero che risa e rabuffi, -dimettendo il pensiero della lega, ricominciarono -a guardarsi in cagnesco. E furono nemici -più di prima. Questo era naturale perchè -tutti e due, sognando giorno e notte i turchi e -non potendoli aver sottomano, furono predisposti -a vedere, nella parte avversa, un’orda turchesca. -Non vi fu intesa fra di loro; la cosa -maturò di per se stessa; bisognava combattere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -</p> - -<p> -Furon quelli i giorni in cui le botteghe furon -maggiormente disertate, in cui i garzoni dei -ciabattini, dei falegnami e dei fabbri furon licenziati -con maggior frequenza, in cui le catapecchie -risuonarono di violenti rabuffi; ma -che importava? Bisognava combattere. E i marmocchi -combattevano. Come fare altrimenti se -tutti i giorni avevano sotto gli occhi lo spettacolo -dei grandi che partivano per andare alla -guerra? Se i turchi erano in Libia potevano -essere anche dietro le mura della loro città -ed ogni Sobborghino fu turco per i Borghigiani -e viceversa. Fu bandita la crociata. Nessuno -più mantenne la foga della marmocchieria -battagliera, nè i padri nè le madri, nè la -coalizione degli adulti. Furono schiaffi e pugni, -una robusta meraviglia. Vituperio e Scampoli -affinarono la loro arte guerresca, ne toccarono -e ne dettero finchè un bel giorno, dopo mesi -e mesi di lotta, risuonò la novella della pace. -</p> - -<p> -La pace? Vituperio e Scampoli adunarono i -loro marmocchi e tennero consiglio. Era la -prima volta, nei secoli dei secoli, che fra Borghigiani -e Sobborghini si parlava di una simile -cosa. Eppure se la pace l’avevano fatta -gli altri, i grandi, doveva ben essere una cosa -seria. Furono sospese le ostilità, e una bella -domenica Vituperio e Scampoli, ciascuno a capo -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -della propria turba, si diressero per strade diverse -ad uno stesso luogo. -</p> - -<p> -Il luogo prescelto era la piazza d’Armi. -</p> - -<p> -Scalzi, con gli enormi berretti appartenuti -già a tutta una generazione di adulti innanzi -di scendere sulle loro orecchie, con certi giubboni -sbrindellati che si affloscivano giù giù -per le stremenzite persone, fino alla caviglia; -senza camicia, senz’altro se non il loro buon -umore, si adunarono e partirono. Baiocco, Fringuello, -Martufo, Piedipiatti, Boccatorta, Frosone, -Virgola, Cartoccio, ciascuno col proprio nomignolo, -come con un singolare adornamento, se -ne andò a testa alta. C’era il signor Sole. Essi -adoravano il signor Sole, come la signora Luna -e come ogni cosa che fosse lucente. Erano -come la gazza e la cornacchia. Qualche donna -si fece su la porta. -</p> - -<p> -— Dove andate, canaglie, rompicolli, avanzi -di galera? -</p> - -<p> -I marmocchi non risposero e non fecero sberleffi. -Un altro giorno forse avrebbero scaricato -sulla linguacciuta comare tutto il vocabolario -dei loro improperi, ma quel giorno no. Andavano -a far la pace e c’era il signor Sole. Essi -lo chiamavano così perchè la parola <i>signore</i> -significava per loro una cosa grande e lontana. -Ciò che avrebbero fatto e detto non lo sapevano, -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -ma Virgola cantava e Piedipiatti gonfiava -le gote ad imitar la banda. -</p> - -<p> -Scampoli aveva le mani in tasca, ciò voleva -dire che pensava. Quando Scampoli pensava -doveva essere in vista qualcosa di grosso. -</p> - -<p> -Boccatorta chiese a Frosone: -</p> - -<p> -— E dopo? -</p> - -<p> -— Dopo che? -</p> - -<p> -— Dopo, quando la pace sarà fatta? -</p> - -<p> -— Ebbene? -</p> - -<p> -— Che cosa si farà? -</p> - -<p> -— Io credo che ci bastoneremo in un altro -modo! -</p> - -<p> -Boccatorta sputò e Frosone dette una spinta -a Fringuello perchè non camminava. Ne nacque -un battibecco e volò qualche pugno. Scampoli -non si rivolse, fu Martufo che s’interpose e separò -i contendenti: -</p> - -<p> -— Non vi fate male!... Pensate che avete -una famiglia!... -</p> - -<p> -Frosone non aveva nessuno e Fringuello viveva -con una vecchia zia che non sapeva di -averlo. Ma si rappacificarono perchè ciascuno -credeva di avere una famiglia là dove andava -a dormire, fosse pure sotto l’arco di una porta -o in un loggiato. -</p> - -<p> -Guardarono il fiume. Qualcuno si soffermò -a raccogliere qualche sasso lucente. Salirono -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -la sponda opposta e Virgola cantava sempre -e Piedipiatti gonfiava le gote a imitar la banda. -</p> - -<p> -Baiocco disse a quest’ultimo: -</p> - -<p> -— Vuoi finirla di sbuffare come un bue? -</p> - -<p> -Piedipiatti rispose: -</p> - -<p> -— No!... — E intonò l’inno di Garibaldi. -</p> - -<p> -— <i>Taracin, taracin, taracin.</i> -</p> - -<p> -Allora, per lo spirito suo repubblicano, anche -Baiocco cominciò a cantare. Le foglie erano -color d’oro. Un pettirosso e un forasiepe volaron -pei rami bassi a guardare. C’erano tre piccole -nubi che correvano verso il sole, tutte scapigliate. -Le montagne turchine pareva si fossero -levate a fare una bella corona al cielo limpido. -</p> - -<p> -Cispola, che era il più piccolo, guardò un -contadino che passava con una vacca e per -associazione di idee disse: -</p> - -<p> -— Ho fame! -</p> - -<p> -Ma nessuno gli badò. Pancaccia ebbe un -grande sbadiglio. -</p> - -<p> -E arrivarono in vista della piazza d’Armi. -Quando videro le mura del Tiro a segno, qualcuno -chiese: -</p> - -<p> -— Ci sono? -</p> - -<p> -Fu risposto: -</p> - -<p> -— Sì, ci sono. -</p> - -<p> -Infatti i Borghigiani erano in fondo al prato, -immobili. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -</p> - -<p> -— Che cosa fanno? — chiese Virgola. -</p> - -<p> -— Non vedi?... — mormorò Pancaccia. — Aspettano -la pace!... -</p> - -<p> -Scampoli camminava sempre con le mani in -tasca e così continuò a camminare fino a metà -del prato e la sua turba dietro. -</p> - -<p> -Quando fu giunto a metà del prato si fermò. -I Borghigiani non si movevano. Si vedeva benissimo -Vituperio fermo innanzi ai suoi. Stettero -così qualche tempo. -</p> - -<p> -— Be’?... — fece Baiocco accostandosi a -Scampoli. -</p> - -<p> -— Be’, che cosa?... — domandò Scampoli -rivolgendosi. -</p> - -<p> -— Che facciamo? -</p> - -<p> -— Si aspetta. -</p> - -<p> -— Ma anche gli altri aspettano! -</p> - -<p> -— Hai visto? — disse Fringuello. — Hanno -inalberata la bandiera bianca! -</p> - -<p> -Si vedeva infatti un cencio pendere dalla -cima di una canna. -</p> - -<p> -— Chi ha un fazzoletto? — fece Scampoli -rivolgendosi. -</p> - -<p> -Nessuno rispose. -</p> - -<p> -— Chi ha la camicia? — riprese Scampoli. -</p> - -<p> -— Io! — disse Cispola. -</p> - -<p> -— Dalla qua. -</p> - -<p> -E Cispola fu costretto a togliersi la camicia -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -che era turchina. Non vi si badò. Qualcuno -trovò una canna e la bandiera fu fatta. -</p> - -<p> -Allora i Borghigiani si mossero con Vituperio -alla testa. Anche Scampoli si mosse con -i suoi. -</p> - -<p> -Quando le due masnade furono a dieci passi -si soffermarono. -</p> - -<p> -Tanto i Borghigiani come i Sobborghini ridevano. -</p> - -<p> -— Che c’è da ridere? — domandò Scampoli. -</p> - -<p> -— E voi altri perchè ridete? — rispose Vituperio. -</p> - -<p> -Passò un silenzio. Scampoli e Vituperio si -fecero innanzi. Le due masnade si guardavano -con occhi da locomotiva. -</p> - -<p> -E Scampoli disse: -</p> - -<p> -— Facciamo pace? -</p> - -<p> -— Facciamo pace! — rispose Vituperio. -</p> - -<p> -E i condottieri si teser la mano, veduta la -qual cosa i marmocchi d’ambo le parti si spinsero -gli uni contro gli altri e cominciarono a -baciarsi, ad abbracciarsi che era una meraviglia -vederli. -</p> - -<p> -Se ne andarono insieme e parevano in verità -tutti fratelli. Giammai un Borghigiano aveva -avuta tanta esuberanza d’amore per un Sobborghino. -La secolare antinomia, la lotta senza -quartiere, ecco, aveva trovata la sua fine, la -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -pace trionfava su la guerra; un sentimento -umano su la barbara usanza sanguinaria. -</p> - -<p> -I marmocchi non sapevano e non pensavano -questo, erano allegri per la cosa nuova, per il -loro numero accresciuto, per il signor Sole -che rideva sempre compiendo la sua strada -nel turchino. E tutto pensarono fuorchè a riprender -la strada delle loro case. -</p> - -<p> -Attraversarono campi e fossati, presero a -sassate i cani, insolentirono i bifolchi per la -superiorità che ogni marmocchio cittadino sentiva -di avere su la gente del contado, devastarono -qualche vigneto, fecero quanto più danno -poterono per il loro amore che non era l’amore -degli altri. E così camminando, piroettando, -cantando, devastando, giunsero, ebbri di pace -e di fratellanza, ad una città vicina. -</p> - -<p> -Come ne vider le mura sostarono. Vituperio -disse: -</p> - -<p> -— Entriamo a portar la pace anche fra i -Tonti? -</p> - -<p> -— Sì!... — gridaron le masnade. — Evviva -la pace!... -</p> - -<p> -E in verità parevano tanti piccoli Arcangeli -in Cristo, illuminati di grazia e di soavità. -</p> - -<p> -Scampoli raccolse un ramo di ulivo. L’esempio -suo fu imitato. In breve la povera pianta, -per la pace degli uomini, fu dispogliata da’ -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -suoi rami. Poi si posero in ordine, a quattro -a quattro, e ciascuno recava il suo ramo di -ulivo. In mancanza di meglio intonarono un -coro scolastico: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Noi siamo piccoli ma cresceremo....</p> -</div></div> - -<p> -E a gola aperta, fra lo strepito del canto stonato, -agitando alte le loro rame si diressero -verso la porta medioevale della città dei Tonti. -</p> - -<p> -Due piccoli Tonti li accolsero con uno sberleffo; -un altro disse loro: -</p> - -<p> -— Che cosa venite a fare in casa nostra? -</p> - -<p> -Ma gli apostoli non intesero o finsero di non -intendere. Varcarono le mura cantando sempre -e credevano di andare incontro ad un’accoglienza -trionfale, senonchè i Tonti, avvertiti -dal frastuono, si erano raccolti in buon numero -e non appena le apostoliche masnade avevan -posto piede nella loro città che incominciò la -più tempestosa sassaiuola che queste avesser -dovuta subir mai. -</p> - -<p> -— Siamo amici! — gridò Vituperio. — Vi -portiamo la pace! -</p> - -<p> -— La pace!... La pace!... — gridarono le -masnade. -</p> - -<p> -E allora un brutto piccolo rospo della famiglia -dei Tonti, un segnato da Dio, con un occhio -cieco, la bocca torta e sciancato, come -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -udì il grido si fece innanzi e in un momento -di tregua gridò: -</p> - -<p> -— Che cosa volete?... -</p> - -<p> -— La pace! -</p> - -<p> -Lo sgorbio umano ebbe un riso sinistro, si -pose la mano alla bocca e rispose con un suono -inarticolato. -</p> - -<p> -I Tonti risero. -</p> - -<p> -Vituperio e Scampoli allibirono. Piedipiatti -disse: -</p> - -<p> -— Torniamo indietro. -</p> - -<p> -Vi fu un momento di scompiglio e ancora le -masnade dell’amore non si erano rifatte dalla -loro sorpresa che una seconda frotta di Tonti, -armati di randelli, sbucò da un vicolo, assalì -i pacifici Borghigiani e Sobborghini e, senza -che essi potessero reagire, li conciò nel più -malo modo possibile. -</p> - -<p> -La rotta fu vergognosa e disperata. E da -quel giorno, per il dolce volto di madonna Pace, -la Guerra non fece che un inchino ai suoi vecchi -messeri e cambiò luogo se non cambiò -costume. -</p> - -<p> -Borghigiani e Sobborghini furono alleati contro -i Tonti, tanto è vero che tutto è parziale -al mondo e l’universalità è una utopia. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span></p> - -<h2 id="passeri">LO SPAVENTA PASSERI.</h2> -</div> - -<p> -Seduto in mezzo al campo, presso la croce -di canna elevata a porre il seminato sotto la -protezione del Signore, lo squallido vecchio -aveva a quando a quando un rauco grido e -levava a stento un suo vinciglio, fra le mani -anchilosate. Incurvo il mento sul petto, tutto -pervaso dal tremito della paralisi, attendeva al -suo còmpito dall’alba al tramonto, da quando -i passeri scendevano dai loro rifugi fino all’ora -in cui vi ritornavano con un frullo, mentre -suonava un’Ave. -</p> - -<p> -Era il tempo dell’estremo autunno, chè novembre -traeva l’invernata dai cieli preclusi, con -le nebbie, le brine e le burrascose furie di -Borea. Anche i pettirossi se ne andavano con -le ultime foglie e le nostalgiche voci delle giovinette -cantavan la leggenda di Solicello che -muore impigliato fra i roveti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -</p> - -<p> -La terra si mostrava ignuda fra zone di basse -nebbie o nei magici bagliori della galaverna. -E fra le nebbie e la galaverna, sotto l’esigua -croce di canna, rattrappito, bistorto, ravvolto -come un ramo secco, padron Veli attendeva la -sua morte in mezzo al campo seminato. Nè -pregava Iddio che l’affrettasse, nè vedeva cosa -che gli paresse ingiusta anche in quella sua -postrema sofferenza. -</p> - -<p> -Vegeto e sano aveva sempre pensato, come -i suoi tre figli, che tanto ci si può prender -cura di un uomo quanto utile può rendere; ed -ora che si vedeva immobilizzato dal male su -di una sedia, più gli sarebbe parso atroce essere -come l’aratro arrugginito o come lo stollo -fracido che non regge il suo mucchio anzichè -giovare, in quel modo che poteva, a coloro che -avevano preso il posto di lui. Così s’illividiva -sotto i plumbei cieli tranquillamente, levando -a quando a quando un rauco grido o il rossigno -vimine a spaventare i passeri che non -vedeva ormai più perchè gli occhi suoi non gli -mostravan del mondo se non un’immagine smorticcia, -una teoria di fantasmi evanescenti dall’ombra -densa. -</p> - -<p> -E Maiore e Pietro e Benedetto utilizzavano -il vecchio in tal modo, contenti dell’opera loro -e di quel qualsiasi utile che ne ritraevano. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -</p> - -<p> -Erano costoro tre uomini scalati come tre -canne di una zampogna, ma di uguale tipo e -di anima uguale, se ben poteva dirsi anima il -vago baglior di vita che appena schiariva la -loro grossezza. Ridevan di nulla così come il -minimo suono s’ingigantisce nelle stanze vuote, -l’un dopo l’altro con la bocca aperta e gli occhi -tondi: avevan quella semplicità la quale confina -con l’ebetudine, ma solo fino al punto in cui -non entrasse in gioco il loro tornaconto. -</p> - -<p> -Infaticati come la bestia a coltivare il campo -e la vigna, consideravan sè stessi a simiglianza -degli altri, a seconda dell’utile che potevan -dare, nè avevan tolto moglie perchè più pane -avrebbe consumato una donna che non ne -avrebbe reso. Così conducevano la casa da -soli, compiendo ogni opera femminile, perfettamente. -</p> - -<p> -Nel contado li chiamavan gli Scalzi e infatti -fino ai giorni del più rigido inverno andavan -scalzi e solo allora infilavano gli zoccoli -quando la neve era per le vie. Nè possedevan -mantelle a ripararsi dai rigori del gennaio, nè -ferrajoli, nè altra veste che non fosse una pelle -di pecora la quale avevan cucita alla meglio e -che infilavan sulla giacchetta a volta a volta, -chè ne possedevano una sola. -</p> - -<p> -Il loro mondo era in tale avarizia, all’infuori -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -della quale nessuna cosa più li toccava o li -commuoveva e non sapevan che ridere. -</p> - -<p> -Così quando padron Veli, il padre loro venerando, -fu ridotto fra il letto e la sedia, incapace -a qualsiasi opera, i tre Scalzi sentirono -appesantirsi sull’anima loro la nube di quella -vecchiaia dannosa e, tardando la morte a render -giustizia, strologarono nel pensier loro il -modo di far servire a qualcosa il malato. -</p> - -<p> -Fu Maiore che una mattina, all’alba, levato -col canto del gallo, disse a Pietro: -</p> - -<p> -— Prendi il vecchio e portalo con te. -</p> - -<p> -— Dove? -</p> - -<p> -— Nel campo. -</p> - -<p> -Pietro trasse padron Veli dal letto e se lo -caricò sulle spalle. Questi non fiatò, tremava -soltanto, ma per la sua paralisi. -</p> - -<p> -Poi Maiore chiamò Benedetto e gli disse: -</p> - -<p> -— Prendi una sedia e vieni con me. -</p> - -<p> -— Dove? -</p> - -<p> -— Nel campo. -</p> - -<p> -Maiore si caricò di tre marre e andarono. -Traversata l’aia, seguendo le redole, giunsero -al campo della croce che era il più grande. -</p> - -<p> -Avevano seminato il giorno prima. Maiore -andava innanzi. Quando fu presso la croce disse -a Benedetto: -</p> - -<p> -— Metti la sedia qui. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -</p> - -<p> -Fu fatto. Maiore la piantò bene sulla terra -smossa chè non avesse a rovesciarsi, compiuta -la qual opera, disse a Pietro: -</p> - -<p> -— Vien qua. Fa sedere il vecchio. Spaventerà -i passeri. -</p> - -<p> -Padron Veli capì solo allora che cosa gli preparavano -e non si dolse della cosa, come non si -sarebbe dispiaciuto anco se l’avesser sepolto. -</p> - -<p> -Come fu seduto, Maiore gli disse: -</p> - -<p> -— Voi siete quasi cieco ma non importa. I -passeri avranno paura di voi. Badate al grano. -Se avrete fame vi ho messo il pane in tasca. Qui -c’è la fiasca dell’acqua. Verremo a prendervi -questa sera. -</p> - -<p> -Padron Veli non parlava più e non potè rispondere; -continuò a tremare, la testa inchiodata -al petto, le braccia penzoloni. Ma per quel -che capì fu soddisfatto. Maiore si fermò à guardarlo. -Disse a Benedetto: -</p> - -<p> -— Va a tagliare una rama. -</p> - -<p> -Benedetto andò in un filare e tornò con un -vimine rossigno. Maiore lo pose nelle mani del -vecchio e disse ancora: -</p> - -<p> -— Tenete questa rama. Vi farà buono per i -passeri! -</p> - -<p> -Poi raccolse la marra, Pietro e Benedetto fecero -similmente e senza rivolgersi se ne andarono all’opera -loro. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -</p> - -<p> -Padron Veli rimase in mezzo al seminato col -suo vimine sanguigno. Su le prime non si rimosse, -stette con le braccia abbandonate, istupidito, -senza saper come eseguire degnamente -il compito nuovo, chè nulla vedeva se non -l’ombra degli alberi, sul cielo, e un mare grigiastro -ed uniforme; poi a qualcosa che trasentì -e che non seppe comprendere nell’ombra -sua moritura, mandò un grido rauco e levò il -vinciglio e così fece e continuò fra lunghe -pause finchè giunse la sera e lo riportarono via. -</p> - -<p> -Il nuovo costume non fu più dimesso. Ad -ogni alba gli Scalzi partivano col vecchio paralitico -e ritornavano col tramonto. E fra le -ultime foglie che le raffiche si portavano via -frullando, fra lo strido dei forasiepe, l’argento -delle brine, il grave aduggiarsi delle nebbie -Padron Veli attese la sua morte che non poteva -mancare. -</p> - -<p> -Ma egli era di salda radice e il freddo e -l’umido e la nebbia e la pioggia non l’abbatterono. -Anche quando scendeva sulla terra la -caligine livida, sì che non vedeva la cinta degli -alberi, i tre Scalzi che lavoravano nel campo -vicino, udivano uscire dal fitto velo della foschia -il grido del vecchio; e pareva giungesse -di tanto lontano che già la morte l’avesse serrato -e condotto giù per le sue fosche contrade. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -</p> - -<p> -E Maiore diceva alludendo al vecchio: -</p> - -<p> -— Lavora bene! -</p> - -<p> -E Pietro e Benedetto assentivano. -</p> - -<p> -Poi giunsero le piogge e il còmpito di padron -Veli parve esaurito. Dal primo giorno in cui -il cielo si oscurò per non aver più sole il vecchio -fu posto in una panca, vicino al focolare -spento. Faceva freddo, ma in casa degli Scalzi -il fuoco non si accendeva mai se non per cuocere -le vivande. Quel giorno non v’erano vivande -da cuocere e padron Veli tremava presso -la cenere del focolare e aveva il volto illividito -come quando sedeva in mezzo al seminato, fra -il turbinìo del vento. Gli occhi gli si erano ormai -chiusi e non udiva intorno che il ronzìo -cupo delle sue stanche vene. E quel ronzìo gli -figurò lo svolare e il pigolar dei passeri fra la -sementa. Alzò un braccio, ad un tratto e mandò -il suo rauco grido. -</p> - -<p> -Maiore levò il capo di su lo spianatoio e si -volse a guardare. Così fecero Pietro e Benedetto, -ma non corse parola. Dall’angusta finestra -chiusa da un’impannata, entrava appena -uno scialbo livore di luce. E, fra i colpi del -telaio, si udiva il gran pianto del giorno -senza sole. -</p> - -<p> -Fu una pausa durante la quale Padron Veli -continuò a tremare nella sua solitudine moritura, -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -poi con lo stanco gesto del braccio il suo -rauco grido empì di nuovo la stanza. -</p> - -<p> -Benedetto ristette, la spola in una mano, e -domandò: -</p> - -<p> -— Che ha il vecchio? -</p> - -<p> -Disse Maiore: -</p> - -<p> -— Si sogna! -</p> - -<p> -E lo guardarono un poco in silenzio. Padron -Veli non vedeva e non udiva; udiva solamente -gli immensi stormi dei passeri voraci cinguettare, -cantare, svolare in una persecuzione senza -tregua, penosa, e i campi erano devastati, sotto -la croce di canna coronata dal candor della -brina. -</p> - -<p> -Solo al quinto, al sesto grido, Maiore disse: -</p> - -<p> -— Si pensa di essere nel seminato e lavora!... -</p> - -<p> -Pietro e Benedetto risero e nessuno pensò -più alla cosa. Padron Veli continuò nel gesto e -nel grido automatico, seduto innanzi la cenere -del focolare, illividito dal freddo, sperduto nell’ultima -sua visione di tormento. -</p> - -<p> -Ma al secondo e al terzo giorno, come il -maltempo non accennava a tramutare e il vecchio -a ravvedersi, Maiore disse: -</p> - -<p> -— Bisogna avvertirlo che non è più nel -campo!... -</p> - -<p> -E Pietro e Benedetto risposero: -</p> - -<p> -— Sì! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -</p> - -<p> -Bisognava avvertirlo e Maiore si accostò a -padron Veli, gli battè una mano sulla spalla, -gridò: -</p> - -<p> -— Vecchio, siete in casa, qui non ci sono i -passeri!... — Pietro e Benedetto ridevano. Padron -Veli non intese, non poteva intendere, -tremò un po’ più forte senza rispondere. -</p> - -<p> -E Maiore: -</p> - -<p> -— Avete capito?... Non gridate più che non -c’è bisogno!... -</p> - -<p> -E l’opera diuturna fu ripresa, ma il vecchio -Veli non aveva inteso. Egli non viveva ormai -più se non nella sua estrema visione. -</p> - -<p> -Allora i tre figli si dissero: -</p> - -<p> -— Chiamiamo Puntèrla chè lo faccia tacere -con le sue erbe! -</p> - -<p> -E Puntèrla giunse. Era questi un semplicista -e aveva grande rinomanza per le campagne, -chè le sue guarigioni erano prodigiose. Giunse -e guardò padron Veli. Maiore, Pietro e Benedetto -gli stavano intorno con la bocca tonda. -</p> - -<p> -Maiore domandò! -</p> - -<p> -— Potrete guarirlo senza farci spendere? -</p> - -<p> -Disse Puntèrla: -</p> - -<p> -— È vecchio! -</p> - -<p> -I tre figli assentirono. -</p> - -<p> -E Maiore chiese: -</p> - -<p> -— Che cosa potremmo dargli? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -</p> - -<p> -Puntèrla disse: -</p> - -<p> -— Morirà!... -</p> - -<p> -I tre figli assentirono. Già, era giusto che -dovesse morire perchè era troppo vecchio. -</p> - -<p> -Ora padron Veli urlava sempre più forte e -la sua paralisi lo faceva traballare sulla sedia. -</p> - -<p> -— Vedete come trema? — disse Puntèrla. — Ha -il male della spingarda? -</p> - -<p> -— Della spingarda? -</p> - -<p> -— Sì — fece il sapiente di semplici. — Bisognerebbe -farlo sudare!... -</p> - -<p> -— Non basterebbe qualche pillola? -</p> - -<p> -— No. Fatelo sudare!... -</p> - -<p> -E Puntèrla si ravvolge nel suo ferraiolo. -Quando fu sulla porta Maiore gli pose fra le -mani due uova e disse: -</p> - -<p> -— Prendete per il vostro incomodo! -</p> - -<p> -Puntèrla intascò le uova senza dir parola e -scomparve. -</p> - -<p> -Come rimasero soli, Maiore pensò per qualche -secondo, poi disse ai fratelli: -</p> - -<p> -— Aspettatemi qui! — E uscì sotto il portico. -</p> - -<p> -Per circa mezz’ora Pietro e Benedetto lo udirono -andare e venire senza sapere che si facesse. -Padron Veli era sempre più agitato e -le sue urla aumentavano d’intensità. -</p> - -<p> -Di repente la porta che immetteva nel portico -si aperse, e Maiore apparve, vermiglio in volto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -</p> - -<p> -Disse ai fratelli: -</p> - -<p> -— Prendete il vecchio! -</p> - -<p> -Pietro e Benedetto ubbidirono senza domandare, -com’erano soliti, chè Maiore poteva avere -il comando, essendo il primo nato. -</p> - -<p> -Sollevarono padron Veli fra le braccia e uscirono. -Maiore andava innanzi. In un angolo del -portico era aperta la nera bocca del forno. -</p> - -<p> -— Che facciamo? — domandarono i fratelli. -</p> - -<p> -— Portatelo qua! — disse Maiore. -</p> - -<p> -Padron Veli aveva gli occhi serrati. Quando -</p> - -<p> -furono innanzi alla bocca del forno Maiore -guardò dentro e chiese: -</p> - -<p> -— Potrà starvi seduto?... -</p> - -<p> -Pietro e Benedetto risposero: -</p> - -<p> -— Sì!... -</p> - -<p> -E l’opera fu compiuta. Quando ebbero chiusa -la serranda e l’ebber tappata intorno con molta -mota, ristettero ad ascoltare, tutti e tre reclini. -</p> - -<p> -— Ora suda!... Non urla più!... — disse Maiore. -</p> - -<p> -E se ne andarono tranquilli. -</p> - -<p> -Padron Veli sudava infatti dentro il forno -serrato e più non udiva il cupo ronzio delle -sue vene tramutarsi nell’acuto pigolìo dei passeri -voraci. Il giorno declinò ed i tre fratelli -compirono le opere loro in pace. Quando fu la -sera, Maiore si accostò alla bocca del forno -e chiamò forte: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -</p> - -<p> -— Vecchio?... o vecchio?... Sudate?... -</p> - -<p> -Padron Veli non rispose. Pietro e Benedetto -dissero: -</p> - -<p> -— Dormirà!... -</p> - -<p> -— Lasciamolo tranquillo!... -</p> - -<p> -— Sì, lasciamolo tranquillo! -</p> - -<p> -E com’ebber mangiato il loro pan secco sul -palmo della mano, se ne andarono a dormire, -contenti nella loro anima ottusa. -</p> - -<p> -All’alba il gallo rosso cantò presso il fico dispoglio -dal quale stillava la pioggia. I tre fratelli -si levarono e scesero nella stalla. -</p> - -<p> -Com’ebbero governate le bestie era il mattino, -e la giornata era piovosa. -</p> - -<p> -Dall’aia qualcuno chiamò: -</p> - -<p> -— Oh!... Gli Scalzi!... -</p> - -<p> -— Avanti!... — gridò Maiore. -</p> - -<p> -Entrò Puntèrla. -</p> - -<p> -— Benvenuto! — fece Maiore. — Che volete?... -</p> - -<p> -— Come sta padron Veli? -</p> - -<p> -— Deve star bene perchè ha sudato! Non -l’abbiamo sentito più! -</p> - -<p> -— Si può vedere? -</p> - -<p> -— Venite!... -</p> - -<p> -E Maiore e Pietro e Benedetto s’accostarono -alla bocca del forno. Puntèrla li guardava fare. -</p> - -<p> -Com’ebbero aperta la serranda Maiore disse -a Pietro: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -</p> - -<p> -— Va a prendere il lume! -</p> - -<p> -Venne il lume e Maiore lo legò in cima a -una pertica. -</p> - -<p> -— Ma che avete fatto?... — domandò Punterla, -e stralunava. -</p> - -<p> -I tre fratelli si volsero a guardarlo, stupiti. -Non risposero. -</p> - -<p> -Maiore spinse la lampada nel forno. Apparve -l’ombra del vecchio, appoggiata all’incurva parete, -ma il volto non si vedeva, non si vedeva -che il corpo rattrapito, risecchito. -</p> - -<p> -— O vecchio?... — chiamò Maiore. Passò un -silenzio e padron Veli non rispose a quella e -alle nuove chiamate. Allora Maiore levò la lampada -fin presso il volto del taciturno e, nella -luce rossastra, l’orrendo volto apparve di un -subito, come dal fondo di un sepolcro millenne. -Non era più inchiodato al petto, ma levato fino -alla vôlta del forno e gli occhi erano sbarrati -e i capelli irti e le mascelle contratte e la bocca -socchiusa e stirata sulle vuote gengive. Impietrito -nello spasimo era segnato nei solchi e -nell’ossa e nella cavità profonda, da una forza -spaventevole. -</p> - -<p> -Maiore lo guardò tranquillo e chiamò ancora: -</p> - -<p> -— O vecchio?... Non ci sentite? -</p> - -<p> -— Sì che ci sente — sussurrò Pietro. — Guardalo!... -Ride!... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -</p> - -<p> -E Benedetto: -</p> - -<p> -— Ride!... -</p> - -<p> -E tutti e tre sporsero la testa entro la nera -bocca del forno e ripeterono adagio, soddisfatti: -</p> - -<p> -— Ride! -</p> - -<p> -Poi, levatisi in un silenzio, si guardarono -negli occhi e scoppiarono a ridere a loro volta -tutti e tre, l’uno di fronte all’altro, inconsci e -tremendi innanzi alla muta morte che li guatava -dalla tenebra. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span></p> - -<h2 id="vignav">LA VIGNA VENDEMMIATA.</h2> -</div> - -<p> -C’era, lungo la casa, una riga di ombra e il -sole batteva tuttavia sui muri opposti con tanta -violenza che l’aria ne era affocata. Le finestre -e le porte erano chiuse e per la strada non -c’era che Calandra accoccolato lungo la riga -di ombra, presso il muro della sua casipola, le -ginocchia divaricate, le braccia su le ginocchia -e le mani penzoloni. -</p> - -<p> -Sonnecchiava. Ogni suo còmpito era esaurito. -</p> - -<p> -Interrotto il sonno, sul far dell’alba, era sorto -dallo stramazzo bell’e vestito come si coricava -e, sbirciata l’Amalia, la quale continuava a dormire -mezza nuda, appoggiata la larga gota rossa -sul braccio ripiegato, era disceso alla vigna. -</p> - -<p> -Uomo di tenace fatica, paziente, placido e -resistente come il bue, non aveva badato alla -violenza solare, protraendo il lavoro suo finchè -la fame imperiosa non lo avesse discacciato di -tra i filari. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -</p> - -<p> -Ritornato alla casipola sua nel paese, poco -dopo mezzogiorno, si era fatto alla madia -senza cercar di Amalia, e preso un pane, un -boccale di vinello e un bicchiere, seduto su la -panca innanzi alla tavola, aveva mangiato il -suo pane, pensando ai bei grappoli che avevano -alleghito e ai pampini superbi. -</p> - -<p> -Ora sonnecchiava presso la soglia, addossato -al muro, lungo l’esigua ombra delle gronde. -</p> - -<p> -Sul principio, come i suoi piedi scalzi erano -ancora nel sole e gli ardevano, nè pensava a -ritrarli, sul principio aveva udito il ronzìo delle -mosche e un malo odore entrargli per le nari -insistente, ma nè l’una cosa nè l’altra erano -tali da fargli rivolgere gli occhi o da farlo -scansare; vi si era adattato calando le ciglia -su la sua torpida volontà di sonno e di tregua. -</p> - -<p> -Il rotolìo di uno di quei pesanti plaustri vermigli, -antichi come l’arca e la nave, pieni di -ferramenta e solidi a simiglianza dei quadrati -buoi che li trascinano, non gli fece levar le -palpebre di sopra gli occhi suoi grigi e piccoli -come quelli del cane; un fanciullo che trascorse -gridando come un invaso dal farnetico, ma -solo per la barbara gioia di sentirsi vivo, non -lo riscosse. Quando Calandra aveva chiuso gli -occhi sul suo silenzio, era disceso nel torpor -del suo riposo come nell’immensità del non -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -essere, occorreva una ben diversa ragione a -farlo levar di repente, diritto nel sole, con la -sua piccola coscienza. -</p> - -<p> -E così ristava nell’ebetudine della siesta, simile -ad un cencio gettato sopra una corda -tesa, quando, nella casa che gli era dirimpetto, -si aprì ad un tratto un usciuolo, un braccio si -sporse e gettò in mezzo alla via il contenuto -di un grande orcio rossigno. -</p> - -<p> -Il liquido si espanse per l’aria e giunse fino -al muro opposto e piovve sul collo, sul petto -e su le braccia di Calandra. Questi, al brivido -inatteso, levò il capo e grugnì e al grugnito -sordo fece seguito una fra quelle sonanti imprecazioni, -sì comuni in Romagna, che possono -dirsi una più scabra natura di quella gente -scabrosa. -</p> - -<p> -Ma Calandra imprecò per l’abito suo di imprecare, -così come avrebbe presa la marra o -guardato l’aspetto del cielo; il brivido che lo -aveva riscosso violentemente dalla sua torpida -vacuità aveva ridesta la parte di lui più viva -e più inconscia: quella che bestemmiava; era -stato come un atto riflesso, la conseguenza -necessaria di un’azione indipendente dalla volontà -e nulla più. E con l’innocente imprecare -tutto sarebbe finito, se la Checca, donna irosa -e maligna, non avesse prese per sè le sùbite -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -parole di Calandra e, riaperto l’usciuolo che -già aveva richiuso, non si fosse fatta su la soglia -per dimandare a provocazione: -</p> - -<p> -— Che c’è da brontolare?... Con chi l’avete?... -</p> - -<p> -Calandra, che già aveva ripresa la flaccida -posa dell’uomo insonnolito, levò lentamente le -palpebre e guardò la Checca co’ suoi piccoli -occhi di cane, senza capir che si volesse. -</p> - -<p> -E la donnacola ribattè: -</p> - -<p> -— Dico con voi, sapete!... Che c’è da brontolare?... -</p> - -<p> -Calandra non si scompose, richiuse gli occhi -e borbottò: -</p> - -<p> -— Chi brontola? -</p> - -<p> -— Voi!... E mandate degli accidenti a chi -non v’ha fatto nulla di male. Sarebbe meglio -apriste gli occhi sui fatti vostri, povero merlo!... -</p> - -<p> -Calandra non rispose. -</p> - -<p> -— Sì, fate le orecchie da mercante. A voi -vi interviene come a quello che dava consigli -al vicino perchè si guardasse dal fuoco e aveva -il fuoco in casa! -</p> - -<p> -E Calandra muto. -</p> - -<p> -— E la gente dicono che non sapete niente, -che nessuno vi ha fatto mai aprir gli occhi!... A -crederci!... Ma se ve la fanno sotto il naso!... -</p> - -<p> -Calandra ritrasse le mani sul grembo, levò -un poco la testa, chiese lentamente, come se -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -gli fosse giunta appena appena la eco di un -discorso strano, nel sonno: -</p> - -<p> -— Che cosa mi fanno sotto il naso? -</p> - -<p> -— Quello che non volete sapere! — fece la -Checca. -</p> - -<p> -E Calandra con la stessa lentezza beota: -</p> - -<p> -— Che cos’è che non voglio sapere? -</p> - -<p> -— Sì, fate lo smarrito? -</p> - -<p> -— Che smarrito? -</p> - -<p> -La Checca squadrò in tralice il tardigrado, -crollò le spalle, disse: -</p> - -<p> -— E chi non lo sa che siete becco e contento? — E -su tali parole richiuse violentemente -l’usciuolo. -</p> - -<p> -Allora Calandra alzò la grande mano noccoluta, -si calcò su la nuca il cappello, che il solfato -di rame delle sue viti aveva stinto e ritinto, -sputò di traverso e disse, ma placidamente: -</p> - -<p> -— Vacca! -</p> - -<p> -E l’ira sua fu compiuta. -</p> - -<p> -La Checca non c’era più; la strada divenne -silenziosa dall’un capo all’altro; Calandra ricadde -nella sua immobilità di vegetale che -dalle soglie del non essere si affaccia alla vita. -Avvertì tuttavia il malo odore e il fitto ronzìo -delle mosche, udì il grido di un bifolco a’ suoi -bovi, da un prossimo campo, e i tocchi delle -ore dalla torre del Palagio. Non voleva darsi -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -la fatica di contar le ore, ma le contò senza -addarsene. L’orologio della torre aveva suonato -il tocco e un quarto; poteva dormire ancora; -ma in quel che ridiscendeva verso la profonda -beatitudine del riposo, eccoti lo Scancio che -giungeva cantarellando lungo la riga d’ombra. -</p> - -<p> -Calandra chiuse gli occhi e non si rimosse. -</p> - -<p> -Lo Scancio era il garzone dei Falistri, un -giovinastro cane che non avrebbe portato rispetto -neppure all’anima santa di una madre. -</p> - -<p> -Il Calandra non lo temeva, per vero dire, -perchè egli non aveva che un timore al mondo -ed era quello di Dio; ma la presenza dello -Scancio gli dava sempre un malessere inesplicabile, -un fastidio inespresso che lo lasciava -scontento. Attese senza levar la testa. Lo Scancio -si fermò all’osteria del Moro, parlò sommesso, -dalla strada, con qualcuno che era oltre -la porta, rise forte e proseguì. -</p> - -<p> -Ora Calandra fingeva di essere preso dal -più pesante sonno. Lo Scancio gli gridò: -</p> - -<p> -— Buon riposo, Calandra! -</p> - -<p> -Il bifolco non rispose. -</p> - -<p> -E lo Scancio: -</p> - -<p> -— Ti fa buon pro il sonno?... Dormi, dormi, -passero, che c’è chi veglia per te!... -</p> - -<p> -Calandra aprì un occhio e poi l’altro e la sua -faccia era torva. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -</p> - -<p> -— Sei stato alla vigna? -</p> - -<p> -Calandra non rispose. -</p> - -<p> -— Tu vegli la notte perchè non ti rubin -l’uva, e il giorno che cosa fai? -</p> - -<p> -Calandra inarcò un sopracciglio in un suo -particolar gesto di noia e di stupore. -</p> - -<p> -Fece: -</p> - -<p> -— Perchè?... -</p> - -<p> -— Perchè se tu andassi di giorno troveresti -i ladri che non ci sono la notte! -</p> - -<p> -— Quali ladri?... -</p> - -<p> -— E tu va se vuoi sapere! Tu la sentirai la -novella! -</p> - -<p> -E lo Scancio rise forte e proseguì lungo la riga -d’ombra cantando una canzonettaccia di scherno. -</p> - -<p> -Poi giunse Serafina, la moglie dell’oste, e -dalla strada incominciò a chiamare: -</p> - -<p> -— Amalia?... O Amalia?... -</p> - -<p> -Calandra aveva abbassata la faccia fra le -grosse mani terrose e udiva il borbottare di -Serafina fra il reiterato grido: -</p> - -<p> -— Amalia?... O Amalia?... -</p> - -<p> -La Checca, pronta al rumore, riaprì l’usciuolo e -si fece su la soglia. Guardò Serafina e domandò: -</p> - -<p> -— Chi cercate? -</p> - -<p> -— Cerco l’Amalia chè ne ho bisogno. -</p> - -<p> -— O non sapete che non c’è? -</p> - -<p> -— Quando è uscita? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -</p> - -<p> -— Saranno tre ore. -</p> - -<p> -— Dov’è? — domandò Serafina e ammiccò -a Calandra che non levava la faccia di tra le -grosse mani. -</p> - -<p> -— Che volete che sappia io? — fece la -Checca. — Domandatelo a Calandra. -</p> - -<p> -Calandra alzò una spalla e non levò la faccia. -</p> - -<p> -— Allora non potrò trovarla? — domandò -Serafina. -</p> - -<p> -— Ma sì!... Andate alla vigna che la troverete -e non sarà sola! -</p> - -<p> -Le donnacole risero, poi l’una richiuse l’usciuolo -della sua tana e l’altra ritornò ciabattando -all’osteria. -</p> - -<p> -Calandra incominciò a pensare e l’opera del -pensamento gli fu come una mortale fatica. -</p> - -<p> -Sudò sette camicie, ma ormai non poteva -più separarsi dal tardo sospetto che si muoveva -dentro di lui a simiglianza di un orso -inebetito in prigionia. Non era adirato nè prossimo -all’ira, e neppure un qualsiasi sdegno -per la possibile offesa era per nascergli dentro. -In primo luogo non era tuttavia convinto della -cosa; in secondo luogo, se pure qualche forte -dubbio lo teneva perplesso, egli non vedeva e -non sentiva ancora il proprio atteggiamento di -fronte all’avvenimento impensato. Eran parole -che gli giravan per la mente e non altro. La -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -figurazione materiale del tradimento, l’unica -che avesse potuto smuoverlo, non gli si presentava. -Vedeva tutt’al più la vigna, l’Amalia, -la strada affocata dall’ardore, il suo capanno -di guardia, i bei tralci delle solide viti, e non -quell’alcunchè di preciso che muove la violenta -gelosia nell’anima degli uomini. Si traviava -dietro le chiacchiere udite, ma non aveva sentimento -che lo spingesse ad agire, come avrebbe -agito un uomo par suo, a simiglianza di una -catapulta. Nello stesso tempo la dolce ebetudine -del riposo era scomparsa, epperò si tolse -dal muro, aprì l’uscio della casipola, entrò. -</p> - -<p> -Ancora gli sorrise la speranza di trovare -l’Amalia addormentata in qualcuna delle quattro -stanze e di potersene ritornare così alla sua -vigna senza altro pensiero; ma l’Amalia non -c’era. Ebbe lo scrupolo di guardare anche negli -angoli, di smuovere lo stramazzo dell’enorme -letto, di aprire l’armadio, ma non vide la sposa -sua dalle rotonde guance vermiglie e dal grande -seno bestiale. L’Amalia non c’era, se n’era ita -a nozze con Martin della Fratta. -</p> - -<p> -Calandra uscì e chiuse a chiave la porta di -casa. Non seppe bene se facesse questo per -guardarsi dai ladri o perchè l’Amalia non rientrasse -durante l’assenza di lui; gli venne fatto -di girar la chiave nella toppa e tirò di lungo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -</p> - -<p> -La stradicciuola del paese sboccava ben presto -nella campagna. Calandra si trovò fra le -faticate terre degli uomini, senza volerlo. L’abitudine -e non la volontà lo aveva avviato lungo -il cammino che egli percorreva da quarant’anni: -dalla casa alla vigna. Si soffermò. Riconobbe -i campi dei Falistri, i campi dei Vicelli; si interessò -alle culture; vide che i grani dei Falistri -erano i più belli, fece in sè le lodi del -capoccio. E udì suonare una campana. Si tolse -il cappello a quella che egli riteneva la voce -di Dio, inchinò gli occhi e ancora non li aveva -tolti di su la terra riarsa che si sentì domandare: -</p> - -<p> -— Dove vai, Calandra? -</p> - -<p> -Levò la faccia e vide don Beniamino, a cavallo -della sua rozza. -</p> - -<p> -Calandra si passò il cappello da una mano -all’altra. Disse: -</p> - -<p> -— Vado.... andavo.... così.... -</p> - -<p> -— Metti il cappello. -</p> - -<p> -— Grazie, don Beniamino. -</p> - -<p> -— Be’ — fece il parroco — come vanno gli -affari? -</p> - -<p> -— Ah!... se è per gli affari, non c’è male, si -tira innanzi! — rispose Calandra. -</p> - -<p> -— Che altro c’è allora? -</p> - -<p> -Calandra si rimise il cappello e rispose: -</p> - -<p> -— Niente. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -</p> - -<p> -Don Beniamino fece girare il parasole color -cenere che aveva appoggiato ad una spalla e -stava per congedarsi quando Calandra gli si -accostò e prese la brenna per la capezza. -</p> - -<p> -— Sentite, don Beniamino, vorrei domandarvi -una cosa. -</p> - -<p> -— Di’! -</p> - -<p> -— Se un uomo avesse moglie e gli fosse -detto che questa moglie gli fa le corna, che -cosa avrebbe diritto di fare quest’uomo?... -</p> - -<p> -— Prima di tutto avrebbe il dovere di accertarsi -se l’accusa fosse giusta. -</p> - -<p> -— Sì. E poi? -</p> - -<p> -— E poi, una volta che fosse riuscito a procurarsi -delle prove inattaccabili, potrebbe separarsi -dalla moglie. -</p> - -<p> -— Questo sarebbe il suo diritto? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— E se quest’uomo trovasse la moglie con -un altro dentro un capanno in una vigna, che -cosa avrebbe diritto di fare? -</p> - -<p> -— La cosa sarebbe grave! -</p> - -<p> -— Potrebbe prendere un randello e rompere -le costole a tutti due? -</p> - -<p> -— Eh!... -</p> - -<p> -— Questo sarebbe il suo diritto? -</p> - -<p> -— Forse sì e forse no.... -</p> - -<p> -— Bene. Arrivederci, signor parroco. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -</p> - -<p> -— Dove vai? -</p> - -<p> -— Alla vigna. -</p> - -<p> -— A quest’ora bruciata? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -Si separarono. -</p> - -<p> -Ora Calandra ci vedeva chiaro. Nel mondo -della sua angusta coscienza si erano venute -formando una convinzione e una risoluzione; -le parole del parroco avevano diradate le gravi -nebbie. Calandra sapeva la propria strada. Era -disposto ad agire perchè riteneva che tale -fosse il suo còmpito e nessun altro; ma, nel -cuor suo piccolo di bove dai placidi sensi, -non era turbamento di sorta. La passione, la -gelosia, l’offesa dignità di marito trascurato -fino all’ultimo limite non avevan parola che lo -commuovesse. Egli avrebbe, con tranquillità in -nulla diversa, fermato un bue tragiogante o un -gagliardo ladro nella sua florida vigna. Non che -l’Amalia fosse una vigna per lui, anzi non era -ormai che una maggiatica, una terra in riposo, -chè la sterilità di lei glie la faceva maledetta da -Dio; ma capiva che l’Amalia era sua come la terra -e l’aratro e la sua solida marra e il letame. -</p> - -<p> -Tagliò frattanto, da un querciolo, un suo -solido randello e, quando fu presso la vigna, -prese una via traversa e preferì aprire un varco -nella siepe anzichè entrare dal cancelletto di -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -spine. Ogni cosa era immota nell’accasciante -calura. Disseccate le fonti, inariditi i torrenti, -la terra si distendeva intorpidita e riarsa fra -lo stridere di un mare di cicale. -</p> - -<p> -Calandra proseguì carponi. Era sotto la siepe. -Ora aguzzava i piccoli occhi di cane e stava su -l’intesa se gli giungesse la voce degli adulteri. E -se non c’erano? E s’egli avesse dovuto forzare la -sua faticata siepe per nulla? Non si udivano che -le cicale, quelle maledette cicale che pareva stridesser -più forte tanto da coprire ogni altro suono. -Scoprì finalmente, più presso la proda del fosso, -un piccolo varco nella siepe, un varco aperto -dai polli e dai cani, ma tanto piccolo che appena -vi sarebbe passato un fanciullo. Calandra non -vi badò; troppo gli sarebbe stato penoso dover -aprire la siepe in un altro punto; si distese, -infilò la testa nel vano, fece forza di braccia, -puntò, cercò di inarcarsi, ma le spine gli entravan -per le carni e lo facevan dolorare. Poi, -appena era passato con una spalla, e il braccio -gli sanguinava, che una gallina si levò dal suo -caldo nido fra la terra e urlando e schiamazzando -e traendo dal suo beccaccio giallo i più -acuti strilli che mai fossero usati, fuggì come -una freccia tra i filari delle viti. E lo spavento -di quella mosse lo spavento di tutte le galline -che dirazzolavano per la vigna, tanto che, nel -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -batter di un ciglio, fu tale e tanto il frastuono -che non solo gli adulteri ne sarebbero venuti -in sospetto, ma qualsiasi altra creatura che non -avesse ragioni a timore. -</p> - -<p> -Calandra rimase inchiodato alla terra, imprecando, -in cuor suo, a tutti i volatili immaginabili, -e vedeva, di tra i fusti delle viti, il suo -capanno di paglia rilucer nel sole. Vedeva e -attendeva un attimo di calma per riprendere -l’aspra sua lotta con la siepe che lo teneva -prigione, quand’ecco dischiudersi l’usciuolo del -capanno e uscirne Martin della Fratta. -</p> - -<p> -Calandra rimase impietrito; guardava come -se vedesse l’inverosimile. L’uomo si volgeva -intorno, chinandosi poi a mormorar qualcosa -a chi era tuttavia fra la paglia. Dopo un istante -ecco balzar fuori dal covo l’Amalia, scomposta, -scarmigliata, accesa come il ferro su l’ancudine. -Ridevano, si baciavano. Poi Martino diceva: -</p> - -<p> -— Hai sete, bellona? -</p> - -<p> -E l’Amalia a ridere fin che Martino non si -chinava a vendemmiare i suoi bei grappoli, i -suoi bei grappoli conti e adorati come l’immagine -della Vergine e come quella del re, su le -monete d’oro. -</p> - -<p> -Allora Calandra si smagò. Più valeva un -chiccolo della sua vigna anzichè tutte le donne -della terra; ed era come se gli strappassero -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -il cuore il veder lo scempio che ne facevano -quei cani. La violenza che non lo aveva tuttavia -scombuiato, si levò su, di scatto, dall’anima di -lui, squassando le sue fiamme rossigne; egli -ne sentì l’impeto, la furia, l’imperiosa volontà -e incominciò a urlare e a dibattersi a rovina -entro la sua morsa lacerante. Gli adulteri sbiancarono, -si guardarono smarriti, riconobbero la -voce di Calandra. E, nell’attimo della sorpresa, -temendo ch’egli fosse su di loro a stroncarli, -non pensarono a fuggire. Lo sbalordimento -dell’inatteso li inebetiva, ma poco durò tale -sbalordimento, chè Martin della Fratta, vedendo -Calandra alle prese con la siepe impervia, -gridò all’Amalia: -</p> - -<p> -— Guardalo dov’è!... -</p> - -<p> -E mai non furon presti due cerbiatti a fuggir -per le selve come essi si salvarono, balenando -via a guisa di razzi. E si udì nel contempo un -alto crescere di grida e di risa come di gente -che facesse l’abbaiata. -</p> - -<p> -Calandra balzò in piedi alla fine e fra il -sangue e il terrame e l’obliquo color del suo -volto era orrendo a vedersi. I suoi piccoli occhi -di cane sfavillavano sinistri fra i capelli che -gli coprivan la fronte e l’ispida barba nascente. -Si levò nella sua massa bestiale, tutto lacero -nei panni, e raccolse il randello e si lanciò per -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -la vigna. Non vide, nella sua furia, un filo teso -a reggere le viti e sì malamente vi incappò -da andar ruzzoloni. -</p> - -<p> -Allora l’abbaiata crebbe, le voci si avvicinarono, -la gente aveva invaso la vigna. Non si -udiva più che un gridìo intermesso da risate -omeriche. Da dove sbucava la masnada? Chi l’aveva -spinta fin laggiù, nella sua terra benedetta?... -</p> - -<p> -Calandra si rizzò e più non aveva l’aspetto -d’uomo; era anzi una bestia orrenda da esserne -guardinghi. Ma l’abbaiata non cedeva; ma gli -uomini e i fanciulli e le donne non volevano -rinunciare alla loro barbara gioia e venivano innanzi -per la vigna gridando, ridendo. -</p> - -<p> -Calandra li squadrò senza smuoversi. -</p> - -<p> -Era primo lo Scancio e batteva un sasso -sopra una sua pentolaccia di rame traendone -un suono stridulo ed assordante; lo seguivano -altri uomini e fanciulli, con arnesi simili. Calandra -pareva impietrito e lo Scancio non vide -la sua faccia perchè proseguì fino a fermarsi -a un passo da lui e quando fu fermo fe’ cenno -a tutti che tacessero e levò la voce e disse: -</p> - -<p> -— Calandrone, li hai trovati gli storni?... -</p> - -<p> -Si levò una risata grande, ma i fanciulli videro -torcersi la faccia di Calandra, videro serrarsi -le due mascelle quadrate e gli occhi brillare -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -di fuoco e le grandi mani terrose stringersi -e il randello levarsi e piombare giù diritto, -con la forza del toro, su la testa dello Scancio. -</p> - -<p> -Fu per l’aria un solo urlo acutissimo. Un -getto di sangue si levò nel sole. -</p> - -<p> -Lo Scancio stralunò, la testa squarciata, girò -su sè stesso, strapiombò, finito. -</p> - -<p> -E le facce degli uomini divennero di morte -e non si udì più un fiato, di fronte al colosso -stravolto, ma solo un busso di passi precipiti, -una travolgente fuga. -</p> - -<p> -Un’ora dopo, quando don Beniamino andò -alla vigna e primo accostò Calandra e gli domandò -smarrito: -</p> - -<p> -— Calandra.... Calandra, che cosa hai fatto? -</p> - -<p> -Questi si volse a guardarlo, torse la bocca -e disse: -</p> - -<p> -— Prete, ne avevo il diritto!... -</p> - -<p> -Ed altro più non disse nè allora nè poi. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span></p> - -<h2 id="padre">PADRE SERENITÀ.</h2> -</div> - -<p> -Una casetta fra le “larghe„ e Padre Serenità -su la soglia. -</p> - -<p> -Lo vedevo ogni sera allorchè m’imbattevo a -passare per quelle redole verso un’aia festosa -di gramolatrici. Avevo sedici anni in quel tempo -e Padre Serenità ne aveva novanta. -</p> - -<p> -Era l’autunno. Un autunno della mia vita, sereno -più che un cielo appena commosso da -qualche cirro imbevuto di sole, piccolo come -la perla. L’amore, il gaio amore, era disceso -al mattino nell’anima mia pensosa con le allodole -e l’aria, rimovendo la mia sostanza fino -alle più riposte fibre in una immaginosa dolcezza. -E tutto era vergine innanzi a me come -l’anima mia al mondo; ed ogni limite insuperato -era una promessa di gioia. -</p> - -<p> -Avevo sedici anni e l’amore. -</p> - -<p> -Quali e quante cose mi erano innanzi allora -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -chè io non godessi? E così andavo con la mia -benedetta allegrezza come per una eternità. -</p> - -<p> -La terra non aveva orme, il mondo non era -stato mai veduto. Io ero il primo. Con me erano -nate le fonti, gli alberi, le stagioni, i costumi -degli uomini, la vita. Non sapevo nulla, sentivo; -ma con impeto divino. Solo ch’io mi rivolga -e sogguardi, ora che ho passato i limiti -e hanno nevicato i capelli, rinasce dalla visione -precisa, un identico commovimento che gli anni -non hanno seppellito ed il tempo non ha tramutato; -nulla è pianto o rimpianto, o desolazione -che, se la porta lontana si dischiude, ne -ritorna la mia giovinezza col suo gran fascio -di fiori e mi s’abbranca. -</p> - -<p> -Rivedo la viottola insolcata dai plaustri, coi -due margini erbosi sotto le selvagge siepi di -marruche e di prugnoli; la terra olivigna, le -pediche fonde dei bovi. Un ombreggio di roveri -solenni, qualche varco sui campi, ma rado, -e scarsi tuguri col nero forno e la disselciata -“capanna„. -</p> - -<p> -Quando pioveva era tutto un pantano. Si -giungeva alla viottola passando dalla chiesuola -di San Bartolo e dalla casa dei Giuliani, per la -bianca strada che conduce a Durazzano. Passata -la casa dei Giuliani si volgeva a destra -per un piccolo ponte e si era nel regno antico -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -che ricordava le campagne medioevali, senza -strade, percorse unicamente da fonde viottole, -impraticabili al tempo delle piogge. In breve -ogni altra vita era lontana. E gli uomini che -si incontravano per quei silenzi pareva giungessero -da un tempo remoto. Era raro udirvi -il lento disperdersi di un cantare malinconico; -più spesso si udivan le allodole e le rondini. -Voci del cielo. Ed uno camminava fra i prugnoli, -coi loro piccoli frutti violastri, come se -andasse per la strada del sogno verso un paese -insospettato. Talvolta trascorreva, rasentando -le siepi, un cane giallo, sudicio e irsuto; tal’altra -un fanciullo selvatico che atterrava la faccia -aggrottata per non parlare e si fermava a guardarvi -da lontano; ma più spesso nessuno. E -dalla viottola serrata si sbucava nella chiara vastità -delle “larghe„ di Castellaccio. Un mare di -lupinelle con isole di pioppi e dense rive di alberi -intorno; il paradiso delle allodole e delle lepri. -</p> - -<p> -E nel cuore di tale vastità viveva Nicolao di -Zaccaria, il vecchio novantenne ch’io chiamavo -per amore Padre Serenità. -</p> - -<p> -La sua casipola si acquattava fra tanto spazio, -come a radicarsi alla terra più tenacemente e aveva -al centro un “portico„ disselciato sul quale -si aprivano due basse stanze. Anche aveva una -vite, a solatio, e un pozzo ombreggiato da un fico. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -</p> - -<p> -Quando dietro i colli della sera scendeva -l’ultima luce a languire lontana, col sorriso della -stella che accora, e le vergini e le innamorate -uscivano per le aie e si fermavano alle siepi -ad ascoltare una parola sommessa; quando le -bocche si facevan baciare per nostalgia dell’amore, -al suono di un’“Ave„ mi avviavo pei -campi, solo con la mia felicità. E, via per i -primi silenzi, trascorreva l’impeto di una “battolata„<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a> -da un’aia nel vespero. Era lo scroscio -di venti gramole in ben misurata cadenza, il -richiamo ardito agli sperduti; poi che vespero -campeggiava fra i pioppi e dietro le rosse vigne. -</p> - -<p> -<i>Ecco ch’io t’amo e ti offro l’ombra e la bocca -e il mio palpito di moritura, poi che è più bello -morire che non esser amata</i>.... -</p> - -<p> -Una pausa. -</p> - -<p> -<i>E il giorno di San Giovanni, amore, il giorno -di San Giovanni quanto spicanardo raccolsi</i>.... -</p> - -<p> -Il volto del cielo smoriva come la faccia dell’innamorata. -</p> - -<p> -<i>Sorelle, sorelle!... La bella estate ci vuole e il -vomere fende la terra</i>.... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -</p> - -<p> -<i>Cogliamo lo spigo; non pel granaio, ma per -l’arche; per l’arche e le lenzuola e che l’amore -si sogni di dormirci a lato</i>.... -</p> - -<p> -<i>Canto a morire, che m’oda.... passan tre nuvole, -in alto, fra le montagne e la luna</i>.... -</p> - -<p> -La veste del silenzio si era fatta più verde. -Nascevan di me le canzoni, i frammenti, il commovimento -che cingeva la vita in un’impetuosa -serenità. -</p> - -<p> -<i>Ecco ch’io t’amo e t’offro l’ombra e la bocca</i>.... -</p> - -<p> -E la “battolata„, sorta da qualcuna fra le -isole di pioppi, sparse per la “larga„, moriva -nel silenzio della sera. -</p> - -<p> -Compivo la strada senza addarmene, come -la nube e il vento e l’acqua soffusa di cielo, -senza nozione del tempo e del suo rapido trascorrere, -chè la mia vita era tutta avvenire e -non lasciavo ombra dietro le spalle. -</p> - -<p> -La voce di Nicolao mi coglieva sempre alla -sprovvista. -</p> - -<p> -— Si va a “gramadora„? -</p> - -<p> -Volgevo gli occhi. Il vecchio era sulla soglia, -incontro alle montagne della sera. -</p> - -<p> -— Oh, Nicolao! -</p> - -<p> -— Padrone, buonasera. -</p> - -<p> -— Buonasera. -</p> - -<p> -Accendeva la pipa chioggiotta. E pronosticava -il sereno, la pioggia o la nebbia, leggendo -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -nello spazio ciò che sfuggiva ad ogni -altro. -</p> - -<p> -La sua parola era franca, i suoi occhi limpidi, -la grande vecchiezza non gli annebbiava -la mente. -</p> - -<p> -Ho del mio amore e di questo vecchio la -più chiara memoria. -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -Socchiudeva la porta. -</p> - -<p> -— Venite, nonno? -</p> - -<p> -— Vengo. -</p> - -<p> -— Non serrate l’uscio? -</p> - -<p> -Alzava le spalle. -</p> - -<p> -— Chi volete che rubi ad un povero vecchio? -I miei quattro stracci non fanno gola a nessuno. -</p> - -<p> -— E se passa una “brutta faccia„? -</p> - -<p> -— Per queste maggiatiche?... In tutta la mia -vita non c’è capitato che un bandito, una volta, -al tempo del Papa. -</p> - -<p> -S’andava insieme di pari passo e su la soglia -della piccola casa acquattata fra le larghe non -restava che il cane accucciato: il muso fra le -zampe e gli occhi aperti. Padre Serenità amava -la compagnia dei giovani. All’opposto dei suoi -coetanei, inciprigniti in una malinconica stanchezza, -egli cercava i ritrovi, sedeva alle feste -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -dei giovani e vegliava fino all’ora sua proverbiale, -l’ora di Nicolao, come la chiamavano le -genti: le dieci. Quando eran le dieci di notte -riprendeva la sua mazza ferrata, la “capparella„ -se era d’inverno o la cacciatora di bordatino -se d’estate e, girati intorno i suoi piccoli -occhi celesti, dolcemente gai fra i solchi della -sua faccia antica, lanciava il consueto augurio: -</p> - -<p> -— Vi saluto, gente! -</p> - -<p> -E allora, o fosser guidate le danze sul ritmo -di un valzer di Zaclên o fosse sviata la comitiva -dietro un rifacimento delle istorie cavalleresche, -tutti ristavano e si rivolgevano al -vecchietto ad augurargli la buona andata. -</p> - -<p> -Ancora amava motteggiare e stare alla baia, -sollecito alla risposta come al frizzo salace, -pronto all’aneddoto, spedito di lingua, tranquillo, -senza fiele per nessuno. -</p> - -<p> -Le ragazze gli si sedevano intorno; egli le -chiamava figliuole, le mie figliuole: e veramente -se fosse occorso ch’egli avesse avuta necessità -dell’opera loro, non una, ma tutte, tutte -quante gli sarebbero state intorno perchè la -bontà non è vana fra i semplici di cuore. Nonno -Nicola si faceva amare. Tutta la sua vita gli -era a specchio di chiarezza. Povero, combattuto -dalla disgrazia, i figliuoli lontani ed immemori, -egli non si era invelenito. Il suo dolce -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -cuore era il centro del mondo e non vi dimorava -nè amarezza nè sdegno. Egli doveva amare: -era la sua necessità e la sua gioia; amare, sorridere, -veder negli uomini il sereno che aveva -in sè, e in realtà dove appariva era come se una -mite lampada ardesse a raccogliere gli sperduti. -</p> - -<p> -E non lo chiamavano Santo perchè era vicino -a tutti, era un po’ il cuore di tutti, la simpatia -umana che non traligna ma sempre si -rinnova concedendo, perdonando, solo per -amare. E gli uomini angustiati fra spine e triboli, -col cuore gravato dalla semitica maledizione, -gli si stringevano intorno ebbri della -sua dolcezza perchè non si semina invano tra -chi soffre e lavora. -</p> - -<p> -Io so che se egli avesse voluto essere qualcosa -più e non un umile fra gli umili; se il -Dio che aveva nel cuore lo avesse guidato a -parlare con la stessa ingenua freschezza con -la quale narrava dei fatti della sua vita e dell’altrui, -avrebbe avuto con sè le turbe. Prima -le donne ed i fanciulli, gli uomini poi; gli uomini -chè se bestemmiano il giorno, la notte si impaurano -e, su cento, uno forse e non più d’uno -non sente ribrezzo del transito senza speranza. -</p> - -<p> -Ma nonno Nicola, se pur lasciava intravedere -la sua fede, ferma come la stella incatenata in -capo all’Orsa, non parlava di Dio come non si -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -parla del fiore che vi cresce nell’orto e del pensiero -che vi illumina la vita, perchè il dirne sarebbe -un corromperne il segreto incantesimo e la -parola è spessa innanzi alle chiarità dello spirito. -</p> - -<p> -Bene; io so che i suoi novant’anni valevano -la più ricca primavera. -</p> - -<p> -Si andava dunque ogni sera, in quell’autunno -della mia giovinezza, a cercar le aie dove le -festose ragazze cantavano le romanelle e, curve -sulle gramole, dipinte a rose rosse e turchine, -ripulivano i lisci mannelli dagli ultimi canapuli. -Era prescelta l’aia dei Giuli. Ivi sotto un olmo -gigantesco, fra una siepe e i pagliai erano adunate -le gramole in semicerchio e, a notte, una -lampada appesa ad un ramo per una funicella, -blandiva col suo discreto chiarore la tenebra. -Se pure la rotonda luna non si affacciasse da -sopra la casa a spiare l’adunata. Di prima sera, -compìta la cena sul pugno, essendo le ragazze -alle gramole, sbucavano gli innamorati o dai -varchi delle siepi, o dall’entrata dell’aia e qualcuno, -più protervo, portava la doppietta a bandoliera -mentre tutti quanti avevano cura di nascondere -la faccia sotto le ampie tese del cappello. -</p> - -<p> -C’era chi lanciava l’augurio serale all’adunata -e chi, approfittando del frastuono, scivolava -nell’ombra inavvertito e sedeva silenzioso, come -gli altri, sulla capra della gramola prescelta. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -</p> - -<p> -Ora eravamo una sera più numerosi che mai -e più numerose erano le “doppiette„ e c’era -Giovanni dei Bissi che raccontava la storia di -un suo singolare paladino, quando la Moffa (la -Pallida), una ragazzona sgraziata dalla testa -troppo piccola su due spalle da gigante, si fece -in mezzo all’adunata e susurrò intimorita: -</p> - -<p> -— Ragazzi, c’è il Mancino!... -</p> - -<p> -E l’adunata ammutolì. Tutti ci guardammo -intorno e per qualche istante non si udì che -il biolco il quale canticchiava nella stalla. Poi -qualcuno domandò: -</p> - -<p> -— Dove l’hai visto? -</p> - -<p> -E la Moffa: -</p> - -<p> -— Dietro la siepe. Eccolo!... -</p> - -<p> -Come fosse riuscita a distinguere nella notte -la figura del Mancino e come l’avesse riconosciuta, -nessuno seppe perchè le siepi erano -lontane dal punto nel quale ci trovavamo e la -notte era oscura. Sta di fatto che poi ch’ella -ebbe detto: — Eccolo!... — un uomo entrò -nell’aia e si avvicinò. -</p> - -<p> -Solo lo riconoscemmo quando, giunto a tre -passi da noi, si fermò e ci chiese: — Perchè -state zitti? — poi, senza che nessuno gli badasse, -tirò di lungo e andò a sedersi sulla gramola -della Pallida. Seduto che fu, depose la -doppietta fra i ginocchi, accese la pipa e si -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -volse a parlare tranquillamente alla ragazza, -la quale, tanto era stordita, che gramolava a -vuoto senza il mannello di tiglia. L’allegria se -ne andò. Giovanni dei Bissi lasciò la sua storia -a mezzo, furono scambiate parole rade e sommesse. -</p> - -<p> -Un inespresso disagio si era impadronito di -ciascuno di noi e l’unico che pareva non accorgersi -di questo era il Mancino. Si udiva il -susurrìo della sua parlata tranquilla. La Moffa -lo ascoltava senza rispondergli mai. E così trascorse -un’ora senza che la comitiva si orientasse -ad una gaiezza nuova. -</p> - -<p> -Da sopra alla casa salì nello spazio la -luna. -</p> - -<p> -Si udì lo schianto di due schioppettate lontane; -dopo un silenzio se ne udì una terza, -poi altre due più rapide. Anche il sommesso -parlare si quetò e dapprima fu un cane che -latrò sordamente da un’aia remota, poi furono -dieci e venti tutt’intorno dall’immensa campagna -assorta fra il silenzio e la luna. Qualcuno disse: — È -stato all’aia dei Forlani. Hanno le gramolatrici. -Lo zoppo si è vendicato della Gilda di -Bartolo. -</p> - -<p> -— Ma se avevano rifatto pace! -</p> - -<p> -— No! -</p> - -<p> -Altri due colpi rintronarono nella notte. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -</p> - -<p> -— Sentite?... — disse la Bionda del Mago. — Le -“fa le corna!„.<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a> -</p> - -<p> -Dopo una pausa si udì una terza schioppettata. -</p> - -<p> -— Gliele han “guastate„! — disse la Vignaiuola. -</p> - -<p> -Ma a questo punto il Mancino si levò di scatto -dalla gramola e si udì lo schiocco di due solidi -schiaffi e una sola parola li consacrò, schietta -e violenta. -</p> - -<p> -La Moffa rimase impietrita. Guardò il Mancino, -lasciò cadere il manico della gramola; -ma in quel che l’uomo si rivolgeva, come se -la voce di lei insieme alla sua conoscenza si -ridestasse solo allora, urlò a voce strangolata: -</p> - -<p> -— Sei un vigliacco! -</p> - -<p> -Il Mancino levò un braccio, ma questa volta -la ragazza gliel’afferrò attanagliandolo con le -piatte mani robuste. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -</p> - -<p> -Rimasero di fronte a guatarsi. Nessuno intervenne, -ma tutti ci levammo, l’un dopo l’altro. -Di repente il Mancino tentò liberarsi con uno -strattone violento. La gramola si rovesciò. -</p> - -<p> -— Lasciami andare! -</p> - -<p> -E la ragazza, alta, noccoluta, dal corpo di -maschio saldamente piantato sulle ignude piote, -non aprì bocca. -</p> - -<p> -— Lasciami andare!... — La voce del bandito -cresceva inasprendosi, come l’ira sua; ma -la gramolatrice non battè ciglio; aveva il viso -fra l’ebete e il feroce, fermissimo, senza commovimento. -</p> - -<p> -L’attanagliato tentò un secondo, un terzo -scrollone; non si liberò; allora con la mancina, -che aveva libera, brandì la doppietta per le -canne come una clava, l’alzò, mirò al capo della -taciturna e scagliò il colpo. -</p> - -<p> -Ancóra mi si gela il sangue se ripenso allo -strido delle donne. La cassa dello schioppo -sfiorò la Moffa, ma non la colpì. Ci stringemmo -attorno al Mancino. Robbone gli strappò la doppietta. -Il biolco giunse con la corda de’ buoi; -ma il Mancino era libero. -</p> - -<p> -Come si vide circondato non rifiatò. Parve -rassegnato a lasciarsi prendere, ma quando gli -uomini più fecero a fidanza nella sua debolezza, -egli ne approfittò che, di un subito, con un -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -lancio prodigioso, saltò la gramola, rovesciò il -Rossello e lo Svina che gli stavano innanzi e -fu al fianco dei pagliai. Ciò avvenne nel tempo -di dir Ave. -</p> - -<p> -Come fu ai pagliai si rivolse e ci guatò ghignando. -Disse: -</p> - -<p> -— Ragazzi, datemi il mio schioppo! -</p> - -<p> -— Daglielo — mormorarono i più prudenti. -</p> - -<p> -Robbone si fece innanzi e glie lo tese. Disse: -</p> - -<p> -— Va per la tua strada! -</p> - -<p> -Ma il Mancino gli gridò: -</p> - -<p> -— Scànsati! — E portatasi la doppietta alla -spalla puntò la Moffa. -</p> - -<p> -Fu un baleno ed un grido. Vedemmo la Moffa -inarcarsi su la sua gramola e stramazzare. -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -Una sera eravamo su l’aia, incontro alle -“larghe„. Già volgeva al suo fine il novembre, -ma non era giunto tuttavia il freddo. Da poco -era trascorso Giovanni dei Bissi con le panie -e le gabbie dei richiami. S’era fermo a dir -qualche parola dileguando poi fra le pozzanghere -della viottola motosa. -</p> - -<p> -Passavano dei buoi lontanamente verso una -stalla remota e una sola allodola discendeva -cantando dal cielo al suo rifugio fra le lupinelle. -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -Padre Serenità sedeva sopra un vecchio -aratro arrovesciato. E si taceva. Quand’ecco -che, alzando gli occhi, vidi qualcuno che si era -fermo dietro la siepe e ci guardava; ma in -quel che feci per levarmi, l’uomo si diresse -all’entrata dell’aia e fu di fronte a noi. -</p> - -<p> -Aveva il cappello tirato su gli occhi. Non lo -riconoscemmo. -</p> - -<p> -Era scalzo; aveva un sacco gettato sulle spalle, -lo schioppo e un coltello alla cintura. -</p> - -<p> -Padre Serenità si levò a sua volta. -</p> - -<p> -— Che volete? — domandò. -</p> - -<p> -— Da dormire — rispose l’uomo. -</p> - -<p> -— Non ho posto. -</p> - -<p> -— Mettetemi nella stalla; mi basta un po’ -di paglia. -</p> - -<p> -Padre Serenità gli si fece sotto, lo guardò -fisso e domandò: -</p> - -<p> -— Sei tu, Mancino? -</p> - -<p> -— Sono io. -</p> - -<p> -— Be’, vieni avanti. -</p> - -<p> -Lo condusse nella stalla. Dalla morte della -Moffa, il Mancino si era dato bandito e nessuno -più l’aveva veduto nei dintorni. Si credeva -fosse fuggito in America. Ogni ricerca -era stata vana. -</p> - -<p> -Li seguii in casa. Nicolao richiuse la porta -e tirò il catenaccio. Mi disse: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -</p> - -<p> -— Accendi il lume. -</p> - -<p> -Il Mancino gettò il sacco in un angolo, ma -non si separò dallo schioppo. Sedette sulla -panca innanzi alla tavola. Era torvo e taceva. -</p> - -<p> -— Avrai fame! — fece Padre Serenità. -</p> - -<p> -— Sì — rispose il Mancino. -</p> - -<p> -Poco dopo mangiava avidamente senza levar -gli occhi. -</p> - -<p> -Padre Serenità non gli chiese nulla di nulla, -nè io interloquii. Dopo ch’ebbe mangiato, lo -conducemmo nella stalla, dove si gettò su una -lettiera di paglia e si addormentò quasi subito -col suo schioppo al fianco. -</p> - -<p> -Quando richiudemmo la porta, Padre Serenità -disse: -</p> - -<p> -— Se è tornato è segno che soffre! -</p> - -<p> -E per quella sera ci lasciammo senza aggiunger -parola. -</p> - -<p> -Nicolao sapeva ch’io conoscevo come lui la -sacra legge dell’ospitalità e che il Mancino doveva -esserci sacro per quella notte perchè era -venuto a domandarci la pace nel nostro rifugio. -</p> - -<p> -Salii alla mia stanza, che era presso alla colombaia. -Nei mesi di caccia, per esser più pronto -a trovarmi sui luoghi, dormivo nella casa di -Nicolao, che era sola fra le “larghe„. Lasciai -la finestra aperta per destarmi non appena la -luna avesse raggiunto il colmo del cielo e mi -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -coricai tranquillo come sempre, senza bisogno -di cercare il sonno. -</p> - -<p> -Ora, era forse a mezzo la notte, quando mi -destai per un brusco rumore. Qualcuno aveva -aperta la porta della mia stanza. Stetti in ascolto -e mi sentii chiamare. Era Nicolao. -</p> - -<p> -— Che volete, nonno? -</p> - -<p> -— Discendi. -</p> - -<p> -Fui pronto, chè dormivo vestito. Quando -fummo sulle scale, mi disse: -</p> - -<p> -— Il Mancino se ne è andato! -</p> - -<p> -— Lo immaginavo! — risposi. -</p> - -<p> -— Sì.... ma si è portato via il vitello! -</p> - -<p> -— L’avete veduto? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— Quando? -</p> - -<p> -— Poco fa. -</p> - -<p> -— Ed ora?... volete che lo rincorriamo con -lo schioppo? -</p> - -<p> -— No. -</p> - -<p> -— E allora? -</p> - -<p> -— Tornerà indietro. Lo aspetteremo sulla -strada. Vieni. -</p> - -<p> -Guardai il mio vecchio amico senza capir -nulla. Conoscevo la sua imperturbabile serenità -e la sua buona fede, ma non immaginavo ch’egli -pensasse di vincere il ladro con tali virtù. -</p> - -<p> -Uscimmo che c’era la luna. Era un fantastico -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -mondo assopito in una fredda immobilità fosforea; -e le rame già erano dispoglie. Si vedevano, -sulla terra umida, le pediche recenti -del Mancino e del vitello. Nicolao osservò e -disse: -</p> - -<p> -— Sono andati verso il fosso; sono discesi -nel fosso. -</p> - -<p> -Poi uscimmo dall’aia vegliando in silenzio. E -si udivano a quando a quando trasvolare gli -stormi dei germani e delle grù e, nel cielo perlaceo, -non era che il grido degli esuli stormi. -</p> - -<p> -Passarono due, tre ore e il ladro non riapparve. -Nicolao non parlava. -</p> - -<p> -Quando fu l’alba ed egli cominciò a ricredersi -e gli doleva di avermi tenuto per tanto -tempo fermo al freddo della notte per una sua -ingenuità, mi disse: -</p> - -<p> -— Figliuolo, mi sono sbagliato; ma non lo -credevo capace di tanto!... -</p> - -<p> -Non gli risposi e non sorrisi. Partii tranquillamente -per la mia caccia. -</p> - -<p> -— Vi aspetto a mezzogiorno! — disse Nicolao. -</p> - -<p> -— A mezzogiorno! — dissi. -</p> - -<p> -E me ne andai. -</p> - -<p> -Alla sera eravamo ancóra seduti sull’aratro, -innanzi al cielo che sbiancava e non parlavamo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -</p> - -<p> -Ad un tratto vedo Nicolao levarsi di scatto -e dirigersi all’uscita dell’aia. Lo seguii. Il Mancino -ci stava di fronte, diritto in mezzo alla -viottola. Stemmo muti qualche secondo, poi -Nicolao domandò, e la voce sua era inalterata: -</p> - -<p> -— Che cosa hai fatto, Mancino?... -</p> - -<p> -L’uomo sinistro non rispose. -</p> - -<p> -— Perchè sei ritornato? -</p> - -<p> -Un silenzio uguale. -</p> - -<p> -— Ti hanno scoperto? -</p> - -<p> -— No! — rispose il Mancino. -</p> - -<p> -— Allora che cosa vuoi? -</p> - -<p> -Ricordo la rude frase dialettale che proruppe -violentissima come un singulto: -</p> - -<p> -— <i>A so’ un vigliàcc!... Amázam!</i>... (Sono un -vile!... Ammazzami!...) -</p> - -<p> -Padre Serenità levò la mano scarna e rispose: -</p> - -<p> -— <i>Va par la tu stre e che e’ Signor u t’aiuda!</i>... -(Va per la tua strada e il Signore -t’aiuti!...) -</p> - -<p> -Il Mancino guardò il vecchio, poi si volse -senza far parola, saltò un fosso e scomparve. -</p> - -<p> -Padre Serenità aveva gettato la sua sementa, -ma la biancana non dà frutto e non passaron -due lune che il Mancino fu disteso da una -schioppettata, sulla soglia di una stalla, da chi -non vedeva gli uomini e il mondo con i chiari -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -occhi di Nicolao. Ma Nicolao era un mondo a -sè con la sua dolcezza; era un piccolo astro -nell’immensità, col suo chiarore. -</p> - -<p> -Ne ho novellato per amore e non per dilettare, -secondo una legge stabilita. Vi è sempre -qualcuno che ha cuore bastante per intendere. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span></p> - -<h2 id="eremita">L’EREMITA.</h2> -</div> - -<p> -C'era una volta una baracca sbilenca innalzata -vicino ad una spiaggia da un uomo errabondo -in cerca di fortuna. Oltre tale baracca, -per chilometri e chilometri intorno, non sorgeva -altro rifugio. -</p> - -<p> -L’uomo errabondo aveva ben fondate le -sue speranze. Si era detto: -</p> - -<p> -— C’è una strada che conduce al mare, e -questa strada finisce fra le sabbie e non c’è -altro. La gente vi passa coi carri e coi barrocci -quando fa l’estate. Se io faccio il mio nido -dove finisce la strada e incomincia il mare, la -gente verrà da me ed io ne guadagnerò! -</p> - -<p> -E le cose si svolsero come l’uomo errabondo -aveva preveduto. -</p> - -<p> -Codest’uomo si chiamava Palma, era solo, -ed aveva sulla coscienza una interminabile serie -di furti e qualche delitto. Per venti anni -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -aveva meditato nelle patrie galere; a cinquanta -anni ritornava fra gli uomini. -</p> - -<p> -Bisogna dire che Palma non aveva un soldo -quando arrivò sul luogo destinatogli dal caso; -aveva bensì qualche idea. Fra queste, una brillava -che gli parve buona e se ne assicurò meditandola. -Ma come porla ad effetto? Per far -nascere un’ombra sotto il sole occorreva dire -agli uomini ben baffuti: — Dammi questo che -ti darò questo! — Ed egli che poteva dare? -Il suo lavoro; ma a quale pro, data l’idea che -meditava? Allora s’incamminò lungo la spiaggia -deserta e cammina e cammina.... ecco che -vede, abbandonata fra sabbia e mare, mezzo -sepolta, quasi sfasciata, la carena di un vascello. -Un cadavere. Ma anche i cadaveri valgono -qualcosa pei corvi e Palma non era che -un corvo. Si avvicinò, considerò il carcame e -disse: — Sì! — Poi soggiunse: — Farò da -solo!... — Ma per cominciare gli occorreva almeno -una vanga e non l’aveva. La rubò e fu -l’ultimo furto ch’egli commise al di fuori della -legge. Poi per tre giorni e per tre notti scavò, -si affannò e riuscì a trarre la carena sotto la -luce del sole. Era meno peggio di quel che -non avesse pensato. Ma da quel punto incominciava -la vera gravità del suo disegno. -Come fare a trar quel carcame al punto che -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -egli aveva prescelto? Occorrevano per lo meno -due paia di buoi. Dove trovarle? Allora assottigliò -l’ingegno e pensò: ormai egli possedeva -qualcosa e poteva essere creduto. Egli aveva -creato un’ombra sulla terra; da quella qualsiasi -ombra doveva nascere il credito. E il -credito nacque. Un contadino si prestò. Palma -gli disse: -</p> - -<p> -— Vi pagherò fra due mesi. -</p> - -<p> -Il contadino rispose: -</p> - -<p> -— Mi pagherete quando vi farà comodo. -</p> - -<p> -Perfettamente. Allora Palma fece trasportare -la nave al termine della strada che si apriva -sul mare. -</p> - -<p> -— Che ne volete fare? — gli chiese il contadino. -</p> - -<p> -Palma rispose: -</p> - -<p> -— Un’osteria! -</p> - -<p> -Il contadino lo guardò in tralice. Palma soggiunse: -</p> - -<p> -— Un’osteria ed è una bella pensata! -</p> - -<p> -— Ma come farete? -</p> - -<p> -— Datemi aiuto e vedrete. -</p> - -<p> -— Oh!... Ed io vi aiuto! -</p> - -<p> -Infatti l’aiutò. Ormai la Provvidenza si era -incaricata della faccenda e Palma se ne accorse, -ma non rifiatò. Perchè con la Provvidenza non -si uccella. Essa non incappa nelle reti e nelle -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -panie degli uomini, anzi appare a coloro che -non la invocano. Dunque Palma si ebbe un -aiuto. Il contadino chiamò i suoi figli. Furono -cinque uomini di buona volontà, data la qual -cosa, la baracca alzò la sua gobba al cielo. -Tolte le monche alberature e sgombrato l’interno -del vascello dai rottami e dagli intoppi -non rimase che la carena ignuda, malconcia -qua e là e con una rispettabile falla sotto la -prora. Palma non si occupò della cosa; capovolse -la nave in un punto stabilito della spiaggia -e domandò al contadino dieci lire in prestito. -Il contadino glie le dette e disse: -</p> - -<p> -— Mi dovete in tutto venticinque lire. -</p> - -<p> -— Ed io ve ne darò trenta! — rispose Palma. -</p> - -<p> -Ormai Palma aveva una casa e un capitale. -Incominciò col comperare chiodi e martello. -Assai ne aveva con tutti i rottami del vascello. -Prima mangiò, chè non aveva mangiato da qualche -tempo, poi si mise all’opera. E tappa, e -inchioda, e rappezza, in due giorni la casa era -fatta. Non più uno spiraglio. Nell’interno, buio -perfetto. -</p> - -<p> -Ora si trattava di praticare una porta e una -finestra e di innestare un camino sul dorso -della novissima abitazione. -</p> - -<p> -Cosa semplice. Una sega servì per la prima -bisogna; una vecchia grondaia funse da camino. -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -Dopodichè l’esterno era compiuto e Palma -passò all’interno che divise in due parti. Da -un lato la cantina che doveva servire anche -da stanza da letto per l’oste; dall’altro la cucina. -E basta. Il contadino gli venne in soccorso -ancora per l’arredamento, finito il quale, -Palma si dette all’opera artistica e presa una -piccola tavola rettangolare e alcune vernici, -dipinse su detta tavola la sua personale sensazione -di una Sirena e con non meno personale -ortografia vi scrisse sotto: — <i>Osteria della -Sirena</i> — compìta la quale opera inchiodò la -tavola a sommo della sua abitazione e attese. -</p> - -<p> -Attese un uomo, il primo. In verità non -avrebbe potuto offrire al suo primo avventore -se non dell’acqua limpida; ma anche l’acqua -limpida aveva il suo valore in quelle latitudini -perchè per molte miglia all’intorno non esisteva -un pozzo. Palma non possedeva tuttavia una -botte, ma sì bene due latte da petrolio. Dette -latte erano piene d’acqua e costituivano un -valore. Non mancava che li assetati. Anche -di questo doveva incaricarsi la Provvidenza e -siccome Palma non aveva fretta e si accontentava -di ben poco per arrivare da un giorno -all’altro, attese in tranquillità. -</p> - -<p> -Ed ecco che una notte, dormiva sulla sua -paglia fra le due latte di petrolio, quando sentì -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -qualcuno alla porticciuola serrata. Si levò sui -gomiti. Chiese: -</p> - -<p> -— Chi è? -</p> - -<p> -— Si può entrare? — fece una voce dal di fuori. -</p> - -<p> -— Cosa volete? — domandò Palma. -</p> - -<p> -— Bere! — rispose l’estraneo. -</p> - -<p> -— Non ho che dell’acqua. -</p> - -<p> -— È lo stesso. -</p> - -<p> -Bene. -</p> - -<p> -Palma non aveva bisogno di vestirsi perchè -non si svestiva mai; si rizzò ed andò ad aprire -la porta. Entrò un uomo; un vecchio barbuto -con gli occhiali sul naso. Un par di occhiali -a stanghetta, arrugginiti, e un cappellaccio di -traverso. -</p> - -<p> -Sedette sulla panca innanzi a una tavolaccia -nera e quando fu seduto disse ancóra: -</p> - -<p> -— Bene! -</p> - -<p> -Palma lo guardò; il barbone incrociò le braccia -sulla tavola. -</p> - -<p> -— Di dove venite? — gli domandò Palma. -</p> - -<p> -— Datemi da bere — rispose l’uomo. -</p> - -<p> -Palma prese il suo unico boccale che era un -coccio senza manico e senza beccuccio, pose -innanzi all’ospite una ciotola sboccata e scomparve -in cantina. Poco dopo rientrò col suo -vin di nuvoli e l’ospite non si era rimosso. -Aveva una faccia da ceffautte da guardarsi a -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -stupore: o da dove discendeva nel pieno della -notte quell’individuo? E dove andava e che -cercava mai? Palma sentiva queste domande -dentro di sè, ma le trattenne chè si investiva -del suo nuovo còmpito di oste. -</p> - -<p> -L’uomo bevve tutto il boccale e quando ebbe -bevuto disse: -</p> - -<p> -— Buona! -</p> - -<p> -— È acqua di fonte — fece Palma. -</p> - -<p> -E l’estraneo ridisse: -</p> - -<p> -— Buona! -</p> - -<p> -Evidentemente il barbone non era un parlatore, -ma ciò non preoccupava Palma il quale -diceva fra sè: — Anche se mi dà quattro soldi, -son tutti guadagnati! — Ed in questo pensiero -si accosciò in disparte presso la parete della -sua bicocca. L’olio non mancava alla lampada -ma se ne consumava troppo. Trascorso qualche -tempo Palma disse all’ospite: -</p> - -<p> -— Volete dormire? -</p> - -<p> -— Perchè? — fece l’ignoto. -</p> - -<p> -— Perchè l’olio si consuma. -</p> - -<p> -— Ed io ve lo pagherò. -</p> - -<p> -— Ah, se volete pagare fate ciò che vi accomoda!... -</p> - -<p> -E Palma chiuse gli occhi e stava per addormentarsi -tranquillamente quando l’ospite suo -gli chiese levando gli occhi: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -</p> - -<p> -— Da quanto tempo state qui? -</p> - -<p> -— Da venti giorni. -</p> - -<p> -— E che cosa volete guadagnare fra queste -lande? -</p> - -<p> -— Aspetto che venga l’estate! — fece Palma -ammiccando. -</p> - -<p> -— E con l’estate? -</p> - -<p> -— Con l’estate? Ma vengono a migliaia quaggiù -i contadini! -</p> - -<p> -— E se vengono? -</p> - -<p> -— Se vengono, lavoro! -</p> - -<p> -— E il vino?... -</p> - -<p> -— Il vino.... il vino!... Si troverà! -</p> - -<p> -Il vecchio tacque e Palma lo guardava sempre -più incuriosito. Chiese, dopo una sosta: -</p> - -<p> -— E voi cosa siete, un pastore? -</p> - -<p> -— No — fece l’uomo. Poi guardò Palma negli -occhi e soggiunse: — Io sono un frate! -</p> - -<p> -— Un frate? -</p> - -<p> -— Sì. Ma se mi va bene una cosa non torno -più al convento. -</p> - -<p> -— E la veste dove l’avete messa? -</p> - -<p> -— In casa del contadino che mi ha dato questi -panni. -</p> - -<p> -— Ed ora dove andate? -</p> - -<p> -Il vecchio si levò e disse: -</p> - -<p> -— Hai una vanga? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -</p> - -<p> -— Sai dove sia la Torraccia? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— Vuoi condurmi alla Torraccia? -</p> - -<p> -— A quest’ora? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— E che cosa volete fare laggiù? — Palma -non voleva compromettersi. Gli erano bastati -i suoi vent’anni di prigione e più non voleva -farne. -</p> - -<p> -— Se vieni faremo a metà — rispose il -vecchio. -</p> - -<p> -Palma si convinse; prese la vanga e il suo -coltello e seguì l’ospite. -</p> - -<p> -Dopo due ore di strada erano ai piedi del -rudere solitario. Il vecchio entrò nella torre e -Palma dietro. -</p> - -<p> -Dopo aver misurato a passi lo spazio rinchiuso -fra le mura pericolanti l’uomo si fermò -e disse a Palma: -</p> - -<p> -— Scava qui! -</p> - -<p> -Palma si mise all’opera. Dopo più che un’ora -di lavoro aveva scoperto una scaletta che scendeva -in un sotterraneo. -</p> - -<p> -L’uomo disse: -</p> - -<p> -— Non mi sono sbagliato! — Poi accese -una candela che aveva con sè ed entrò per -primo nell’antro oscuro. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -Era vicina l’alba quando uscirono dagli antri -sotterranei. Primo fu il vecchio; Palma venne -dopo. Erano ambedue irriconoscibili per il terrame -che li ricopriva. -</p> - -<p> -Quando ebbero fatto qualche passo, Palma -si fermò innanzi all’uomo sconosciuto e gli -disse: -</p> - -<p> -— E adesso che cosa mi darete per la mia -fatica? -</p> - -<p> -— Aspetta — disse il frate. -</p> - -<p> -— Che cosa devo aspettare? -</p> - -<p> -— Quello che ti dirò. -</p> - -<p> -— Le parole non si spendono! -</p> - -<p> -— Sei uno stupido!... Le parole si spendono -benissimo! -</p> - -<p> -— Ma insomma che cosa siamo andati a fare -laggiù? -</p> - -<p> -— A cercare un tesoro! -</p> - -<p> -— Infatti abbiamo trovato da stare allegri! -</p> - -<p> -— Questo non importa! -</p> - -<p> -— Sì, che importa! -</p> - -<p> -— Tu avrai sempre guadagnato qualcosa. -</p> - -<p> -— Che cosa? -</p> - -<p> -— Vedrai! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -</p> - -<p> -E ripresero la strada. Quando furono all’osteria -della Sirena si vedevano già le vele raminghe -per il mare. -</p> - -<p> -Entrarono. Il frate sedette innanzi alla tavolaccia -ed abbandonò la fronte fra le mani. Dopo -una pausa domandò: -</p> - -<p> -— Hai un calamaio, una penna, della carta? -</p> - -<p> -Palma guardò il vecchio in tralice e chiese -a sua volta: -</p> - -<p> -— Siete matto? -</p> - -<p> -— Sai leggere? -</p> - -<p> -— No. -</p> - -<p> -— Bene. Allora stammi a sentire. -</p> - -<p> -Palma lo ascoltò. -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -Il frate ritornò al convento senza lasciare -una palanca a Palma, ma Palma fu contento -ugualmente. Da quella volta il vecchio barbone -non comparve più nè di notte nè di giorno al -vascello capovolto, ma il suo passaggio non fu -più dimenticato. -</p> - -<p> -Ora giunse l’estate. Cominciò il giugno con -certe giornate ardenti che valsero più di qualsiasi -consiglio a cacciar le turbe assetate di -frescura dai piani al mare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -</p> - -<p> -Cominciarono a giungere le carovane urlanti -e si accamparono per la spiaggia. -</p> - -<p> -Bisogna dire che Palma aveva tolta dalla sua -baracca la dipinta insegna dell’Osteria della -Sirena e che l’aveva sostituita con una rozza -croce formata da due avanzi di naufragio legati -insieme con una corda. -</p> - -<p> -Giunsero le carovane adunque, ma Palma non -si mostrò. Vestito di un sacco stava rannicchiato -in fondo al suo rifugio aspettando che -qualcuno dischiudesse l’usciuolo. Pareva non -volesse uccellare anzi attendesse di essere uccellato. -Ma la gente si sbandava all’intorno -volgendo appena una fuggevole occhiata allo -strano rifugio. Diceva tutt’al più: -</p> - -<p> -— Sarà la casa di qualche poveraccio!... Di -qualche pescatore di arselle!... -</p> - -<p> -E non sapevano che un pescatore in realtà -si accucciava là dentro, ma un pescatore di -uomini. -</p> - -<p> -Aspetta e spera. Passavano i giorni. Palma -cominciava a bestemmiare, cosa quant’altra mai -indecorosa per un uomo che vestiva il saio -all’ombra della croce. -</p> - -<p> -Ma nessuno lo udiva. Si udiva la gazzarra, il -frastuono delle turbe che esulavano al mare. -La spiaggia pareva convertita in un cocomeraio -chè ogni brigata traeva seco sui biroccini -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -e sui carri oltre a qualche lenzuolo, larga copia -di cocomeri e ne faceva festa tra un bagno -e l’altro ingoiando fette su fette del saporoso -frutto vermiglio. -</p> - -<p> -E il nudo trionfava e l’ebbrezza della frescura -e del mare. -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -Palma pazientava e non usciva a mostrarsi -alla turba, ma già nell’anima sua incominciava -a infiltrarsi il dubbio, quando avvenne che due -fanciulli ignudi, ruzzando un giorno fra le arene, -venissero a sedersi all’ombra della singolare baracca -E com’è dell’età loro curiosa, dopo alcun -tempo incominciarono a considerare la novissima -capanna e pensarono di visitarla anche -all’interno. -</p> - -<p> -Palma udì e lasciò fare. Si avvicinava il momento -buono. Infatti, non appena i due fanciulli -ebbero messo il capo all’uscio ed ebber veduto -quello strano uomo accoccolato in un canto -e tutto ravvolto in un sacco, ne ebbero tanta -paura che fuggirono come lepri e mai più non -si rividero presso la baracca. Ma la voce si -diffuse fra le turbe. -</p> - -<p> -— Nella baracca c’è un eremita!... C’è un -santo eremita!... È coperto di un solo sacco!... -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -Non mangia mai!... Ha la barba lunga due metri!... -Non vede il sole da vent’anni!... -</p> - -<p> -E vai dicendo. La necessità del fantastico -si liberava a carriera e qualcuno giunse a sostenere -che si trattava di un turco convertito. -</p> - -<p> -Ma tutto ciò poteva ancóra interessare le -donne non già gli uomini, i quali fra cocomeri -e bagni avevano in superbo disprezzo ogni santocchieria -e preti e frati ed eremiti e ogni altro -tipo del genere che non era, presso le faticate -turbe, se non un vagabondo. -</p> - -<p> -E Palma udiva questi discorsi e incominciava -a disperare. Il contadino che gli aveva fatto -credito giungeva tutte le notti a reclamare il -suo e già minacciava uno scandalo. Un giorno -Palma si disse: -</p> - -<p> -— Se oggi non vien nessuno, domani metto -fuori l’insegna dell’osteria e si vedrà!... -</p> - -<p> -Ma appunto quel giorno era il destinato. -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -Era il meriggio, forse, quando una voce si -udì dall’esterno; una voce di donna: -</p> - -<p> -— Si può entrare? -</p> - -<p> -— Avanti! — fece Palma. -</p> - -<p> -Entrò una donna che recava in braccio un -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -suo marmocchio, giallo come lo zafferano. Palma -non si rimosse. -</p> - -<p> -— Voi che siete un sant’uomo.... — disse -la donna e si fermò. -</p> - -<p> -— Che cosa volete? — domandò Palma. -</p> - -<p> -— Voi che siete un sant’uomo dovreste guarirmi -questa povera creatura! -</p> - -<p> -Palma chinò il capo e non rispose. -</p> - -<p> -La donna, a tale mimica, fu sempre più compresa -della virtù taumaturgica del solitario. -</p> - -<p> -— Se voi voleste.... — continuò. -</p> - -<p> -Palma alzò un braccio e disse: -</p> - -<p> -— È Dio che deve volere! -</p> - -<p> -Poi si stupì di aver detto tanto. Ma la donna -aveva molta fede. -</p> - -<p> -— Se voleste pregare il Signore.... -</p> - -<p> -Palma si levò e la donna si fece il segno -della croce. -</p> - -<p> -— Fatemi vedere questo bambino! — disse -Palma. -</p> - -<p> -La donna glielo mostrò mormorando: -</p> - -<p> -— È molto malato!... Deve morire!... -</p> - -<p> -Dopo un lungo silenzio speso a considerar -la creatura da tutti i lati Palma disse: -</p> - -<p> -— Non morirà! -</p> - -<p> -Fu colpito dal suono della sua voce e dalla -promessa formale. Oramai si era compromesso. -O riusciva o ritornava alla sua prima Sirena. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -</p> - -<p> -La donna disse: -</p> - -<p> -— Se me lo salvate siete il più grand’uomo -del mondo!... -</p> - -<p> -Palma si sarebbe accontentato di meno; di -quattro palanche. -</p> - -<p> -Disse alla donna: -</p> - -<p> -— Aspettate! -</p> - -<p> -E passò nel secondo stambugio della sua -capanna. -</p> - -<p> -Ritornò poco dopo con un cartoncino in cui -erano tre pillole. Le porse alla donna, disse: -</p> - -<p> -— Queste sono tre pillole fatte con erbe che -hanno virtù non conosciute da nessuno al mondo. -Dovete darne al vostro bambino una oggi, -una domani e una posdomani. -</p> - -<p> -— E guarirà? — fece la donna. -</p> - -<p> -Palma chinò la testa, susurrò: -</p> - -<p> -— Vedrete!... Vi aspetto fra tre giorni!... -</p> - -<p> -La fortuna o la disgrazia erano in via. Palma -attese con un certa ansietà ciò che gli avrebbe -fruttato la ricetta del frate. -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -A vero dire Palma non aveva mai pensato -a Iddio. Non gli era venuto in mente mai, neppure -in prigione quando poteva meditare a -tutto suo agio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -</p> - -<p> -Ricordava che da piccino sua madre gli -aveva parlato qualche volta del Signore, ma -Palma era un ragazzo distratto e non era stato -mai tanto curioso da voler sapere che cosa -ci fosse in fondo ai cieli. Per lui l’uomo era -una bestia che deve lavorare e morire. E basta. -Lavorare e morire come un bove con la semplice -differenza che gli uomini mangiavano i -bovi e questi eran più miti chè si accontentavano -dell’erba. Dunque se un Dio doveva esserci -sarebbe stato giusto avesse preferito il bue -che era migliore dell’uomo. Ma tale idea poteva -essergli balenata innanzi forse una volta -in tutti i suoi cinquant’anni di vita. Per il resto -si era accontentato di passare da un governo -all’altro con l’unica preoccupazione di -trovare un modo per trarre in inganno i suoi -simili e far danaro. Egli era dunque un ignaro -di cose divine quando fu costretto a formarsi -una chiara convinzione in proposito. -</p> - -<p> -Fino a quel punto aveva seguito il consiglio -del frate senza derogarne in nulla; si era costretto -ad una prigionia che non gli riusciva -importuna per la lunga consuetudine a tale -stato, aveva atteso come il ragno, sperando -che tutto si risolvesse in un commercio lucroso -e nulla più. -</p> - -<p> -Palma attendeva il lucro e il suo fato lo pose -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -di fronte a Iddio. Tale cosa lo sbalordì. Non -se l’aspettava, ma tacque. -</p> - -<p> -Trascorso adunque il secondo giorno e incominciato -il terzo, appena era sorto il mattino -che un insolito vocìo giunse all’ignaro -eremita e lo chiamò sulla soglia della sua acquatile -casa. -</p> - -<p> -Come volse intorno gli occhi, ecco venire di -lontano una turba di donne. -</p> - -<p> -Palma rimase perplesso. Gridavano, dunque -il bambino era morto e, se era morto, l’unica -cosa che gli restasse a fare era quella di darsela -a gambe chè ormai la sua fortuna gli aveva -volte le spalle. -</p> - -<p> -Tale la prima considerazione e la risoluzione -prima che gli balenarono innanzi. -</p> - -<p> -Su tale proposito rientrò in casa, ma sul -punto di uscirne troppo gli dispiacque di abbandonare -il suo nido fra le sabbie sì che, passato -nella seconda stanza, e rifugiatosi in un -angolo, nel buio, attese senza rifiatare l’arrivo -della strillante turba. -</p> - -<p> -E poco attese che le donne furono innanzi -alla soglia e incominciarono a gridare: -</p> - -<p> -— Palma.... Palma.... apriteci.... apriteci!... -</p> - -<p> -— Sì, aspettatemi per l’anno del mai!... — diceva -fra sè l’eremita e più si rintanava nel buio. -</p> - -<p> -E le donne: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -</p> - -<p> -— Palma.... Palma!... Veniteci ad aprire, per -carità!... -</p> - -<p> -— Ve lo domandiamo per carità!... -</p> - -<p> -Palma stette in orecchio. Trasentiva o non -piuttosto le femmine lo imploravano? -</p> - -<p> -— Venite da queste disgraziate, Palma, che -Iddio ve ne rimeriti!... -</p> - -<p> -Davvero?... Dunque le pillole erano state efficaci!... -Il frate aveva detta la verità!... Si levò; -si riaggiustò addosso il suo sacco grigio.... -</p> - -<p> -— Palma?... Non ci mandate via!... Siamo -povere donne!... -</p> - -<p> -Allora l’uomo dal saio incominciò a sentire -qualcosa dentro di sè che vi ingrandiva come -se un sole nascesse. Uscì dalla cantina, attraversò -la prima stanza, aprì l’usciuolo. Non appena -fu sulla soglia il vociferìo si accrebbe e -le braccia si protesero: -</p> - -<p> -— Palma, uomo benedetto dal Signore, guaritemi -questa creatura!... -</p> - -<p> -— Palma, Palma, sono tre anni che non trovo -riposo!... -</p> - -<p> -— Palma, benedite questa povera figlia che -ha il diavolo in corpo!... -</p> - -<p> -E volevano da lui queste e cento altre cose, -cento miracoli e Iddio. -</p> - -<p> -Iddio!... L’uomo profano di ogni fede rimase -muto, accigliato, impassibile, ma dentro al cuor -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -suo incominciò a nascere un dubbio, un dubbio -curioso che gli dava una sensazione nuova come -di una leggerezza subitanea fra terra e cielo. -</p> - -<p> -Iddio!... Dunque poteva darsi davvero che -qualche notte, nel silenzio sterminato di quella -solitudine, qualcuno fosse disceso dal cielo per entrare -dall’usciuolo nella sua nave antica?... Poteva -darsi?... Ed egli dormiva e questo qualcuno... -</p> - -<p> -Distribuì quante pillole aveva e rimandò le -donne per la loro strada. Gli ubbidirono a un -cenno. Egli aveva in realtà la figura di un -asceta e il volto di un qualche santo forastico -nutrito di miele selvaggio. Tanto si sentì smarrito -dalla devozione delle femmine che non -pensò a chiedere compensi. Distribuì il suo -farmaco per l’amore di Dio, e per l’amore di Dio, -verso sera, giunse alla sua baracca una giovinetta -che si inginocchiò sulla soglia ed ivi depose -un pane, delle uova, del formaggio; poi -si fece il segno della croce e se ne andò. -</p> - -<p> -Palma rimase solo nella notte: contrito, confuso, -pentito; ma non sapeva bene di che si -pentisse. Andò pe’ suoi farmachi, raccolse l’erba -che il santo frate gli aveva indicata nella notte -del tesoro, si sentì invaso come da una sacra -purità e sempre più confuso, sempre più incerto -sul calcolo ch’egli doveva fare e di se -stesso e di Iddio e delle donne strillanti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -</p> - -<p> -La sua baracca divenne come un santuario -per le turbe le quali un bel giorno pretesero -che il povero Palma facesse ritornare in vita -un moribondo. Palma non volle saperne, ma -il moribondo guarì. Guarì e fu fatta. Palma era -un santo; Palma aveva fatto il miracolo. -</p> - -<p> -E da quel giorno egli si trovò in diretta comunicazione -col Signore. La macerata povertà, -il digiuno, il lungo patire dovevano essere suo -ornamento e questo fino alla morte. E perchè -mai?... Che aveva egli fatto?... Le sue virtù -gli erano sconosciute, come il suo Dio. Qualche -notte stette inorecchito sperando di udire -una voce portentosa, ma non la udì. E allora? -La virtù della gran mutazione della sua vita -non era adunque che nel farmaco lasciatogli -dal frate?... -</p> - -<p> -Tutto scendeva direttamente da una piccola -innocua pillola? E quale era il suo guadagno?... -Ah, uomo bruto!... Così avviene che la divina -luce dell’alba discenda per gli sterquilini!... -Ma Palma non era di stoppa ultraterrena e una -notte, gettato il suo saio alle ortiche, si dette -per fallito e partì. -</p> - -<p> -E mentre le turbe lo assumevano al cielo, il -povero vecchio Palma, esule di Dio e della legge, -sentendosi perduto per sempre per non aver -ascoltata la Provvidenza non ebbe più posa. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span></p> - -<h2 id="violenti">I VIOLENTI.</h2> -</div> - -<p> -Avevano i Venchi la loro officina sotto un -albero fulminato, lungo la riva di un fiume. Una -angusta capanna contesta di rozzi pali e di fascine -e pienata di argilla le pareti; il tetto di -stipa, i battenti neri. V’eran per entro in grande -copia gli arnesi fabbrili e più ne stavano all’aperto -dove il maestro carradore lavorava e -l’estate e l’invemo. -</p> - -<p> -Quivi disposte su ampie capre e su banchi -e sul terreno erano ruote e timoni e sale e -cassini e carra, le membra disperse degli arnesi -che uscivan dal centenario cantiere. -</p> - -<p> -Nell’antro funzionava e ansava e ardeva la -fucina. E dall’alba primissima al declinare delle -ombre serali, era un grande travaglio sotto -l’albero fulminato. -</p> - -<p> -Da centinaia di anni la famiglia dei Venchi -conduceva il cantiere e l’opera era trasmessa -di padre in figlio co’ suoi gelosi segreti, come -la vita e il nome e le virtù della razza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -</p> - -<p> -Ora era maestro dell’arte, Alessandro, il vecchio -di più che settanta inverni e non aveva -questi se non un figliuolo: Samuele, ed erano -soli nella loro casa senza donne. Vivevano essi -senza parlarsi mai, tanto l’uno aveva preso dell’altro -e l’anima e il costume ed erano come -estranei nella casa degli avi tutta deserta e -muta sulla loro bocca muta. -</p> - -<p> -Tornavano a notte, l’uno dopo l’altro e salivano -alle loro stanze opposte. All’alba la casa -si richiudeva nel suo silenzio. -</p> - -<p> -Mangiavano sul pugno, al lavoro, seduti sopra -un toppo di ancudine o sul tronco di un’acacia -o di un olmo e il loro pasto era breve -come il respiro. Non bevevano che al pozzo, -ricurvi su la secchia traboccante. I loro garzoni -non ricordavano ch’essi avessero parlato mai -a confidenza neppure per l’attimo. S’intendevano -per monosillabi, senza guardarsi. -</p> - -<p> -Sapendosi uguali in tutto: e nella forza e nel -volere, cercavano evitarsi perchè la devozione -sacra del figlio non venisse meno e non venisse -meno l’affetto che li legava. Andavan paralleli, -pronti a morire l’uno per l’altro finchè il caso -non li ponesse di fronte per opposte volontà. -</p> - -<p> -La sommissione di Samuele era stata cieca -sempre; aveva seguito il consiglio e il comando, -si era concessa e prona e pronta al sacrificio. -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -Non mai un giorno senza lavoro; non mai un’ora -di gioioso abbandono. Egli si era piegato come -il ferro sul fuoco; era stato stretto e costretto -come la ruota nel cerchio, come il timone fra -le chiavarde: si era dato passivamente con -tutta la sua forza. -</p> - -<p> -D’altra parte, tale era stata la vita del padre -sotto il dominio di nonno Samuele. La consuetudine -degli avi si manteneva uguale negli anni -nè poteva esser discussa, nè diminuita: era -sacra e fatale. -</p> - -<p> -Il figlio era del padre come cosa e non come -creatura e questi poteva disporne a suo piacimento. -La salda compagine della famiglia richiedeva -tale disciplina. E Samuele si era aggiogato -come tutti coloro che erano stati innanzi -a lui nel tempo e avevano creato il prestigio -di un’arte e di una tradizione; aveva accettato -il loro còmpito come il cieco legno che si costringe -tra le ferramenta e va ad obbedienza finchè -non sia ultimamente consunto. Ma la morte -era lontana tuttavia per il giovane gagliardo e -la vita non poteva continuare sì cupamente monotona -fino al punto in cui uno si appacia col -suo destino e si dispone all’ultima ventura. -</p> - -<p> -Aveva egli un cuore tumultuoso, una forza -non per anco provata, un desiderio solare che -a quando a quando si ridestava per accenderlo -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -di una radiosità senza confine. Se una sola era -la via battuta, s’egli non andava che dalla casa -deserta all’antro fumoso e da questo alla casa -quando il sonno incombeva; se era chiuso fatalmente, -come l’astro, nel suo circolo eterno -e doveva seguire l’ombra del padre e coprire -le stesse orme a capo inchino e non fiatare e -non domandare e non essere mai; se, come gli -arnesi della fucina, non doveva servire che -ad un ufficio, l’anima sua, nel suo alto silenzio, -vedeva, s’irraggiava per mille aspetti giovanilmente -in una sua trepida adorazione portentosa. -</p> - -<p> -Era il mondo, a quell’anima chiusa, come un -canto sconfinato e magnifico, come un ignoto -adorabile, come una gioia senza fine e senza -principio, e una purità senza travaglio. Dalla -sua costrizione, dal suo isolamento sorgeva -l’ignaro con raddoppiata energia a illuminare -della sua sconfinata passione le cose indifferenti. -</p> - -<p> -Maestro Alessandro nulla pensava di questo. -La giovinezza sua era stata impassibile. Egli -non aveva conosciuto se non una ragione fisiologica -alla quale era bastata una donna qualsiasi, -quella che gli avevano data in moglie e -ch’egli aveva accettata come si accetta un pastrano -quando fa freddo; nè poteva supporre -che altro fosse il desiderio del figliuolo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -</p> - -<p> -Avere una donna in casa era necessario; -non potevano continuare la loro vita sbandata -e Samuele doveva sposare. Ora maestro Alessandro -sapeva già di una donna ricca e perfetta -massaia, che avrebbe fatto della casa un paradiso; -anche avrebbe dato figli sani e robusti -perchè non era giovine ed era ben squadrata chè -fra anche e spalle raggiungeva l’ampiezza di un -bue, e gli piaceva benchè non l’avesse mai guardata -in viso; ma che importava il viso? Una -donna si sposa per quello che vale e non per -la sua bellezza e la bellezza è vana e crea fastidi -e può portare a mal fine un marito. -</p> - -<p> -Se era brutta, come aveva sentito dire, tanto -meglio; la sua povera moglie era quasi gobba, -eppure gli aveva partorito un fior di figlio, -chè Samuele era saldo come l’incudine. E più -di questo non si poteva desiderare. -</p> - -<p> -Ora una sera, chiusa che fu l’officina e partiti -i garzoni, maestro Alessandro, contro il -costume suo, chiamò Samuele e gli si pose a -fianco. Il loro parlare fu breve: -</p> - -<p> -— Samuele, tu devi prender moglie! -</p> - -<p> -Il giovine levò gli occhi sul volto del padre -e non rispose. -</p> - -<p> -— A venticinque anni è il tempo giusto. Le -cose si fanno alla spiccia. La Venusta degli -Antoni è già pronta. Io le ho parlato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -</p> - -<p> -Samuele ebbe un fremito ma si rattenne. -Chiese a voce soffocata: -</p> - -<p> -— E che vuole da me? -</p> - -<p> -Maestro Alessandro si fermò a squadrare il -figlio e la sua faccia si aggrottò come il monte -a sera: -</p> - -<p> -— Come che vuole? Di che mondo sei? Dovete -sposarvi! -</p> - -<p> -Samuele guardò il padre negli occhi con insolita -fermezza e sbiancò tremando. -</p> - -<p> -Rispose: -</p> - -<p> -— No. -</p> - -<p> -E il vecchio: -</p> - -<p> -— No che cosa? Che ti frulla per il capo -questa sera. -</p> - -<p> -— Io non la voglio! -</p> - -<p> -— Non la vuoi? -</p> - -<p> -— Ho detto no! -</p> - -<p> -Fu fra i due un torbido silenzio, poi maestro -Alessandro alzò a violenza il pugno vigoroso ma -non colpì; si rivolse e riprese la strada. Samuele -gli tenne dietro. Camminarono sempre a fianco, -a capo chino. Erano di pari statura; ambedue -forti ad un modo: l’uno più agile, l’altro più -nodoso; il frassino e la rovere. Sulla soglia della -casa deserta maestro Alessandro si fermò e -nelle parole che disse era un monito sinistro, -la voce rauca tremava nel singhiozzo dell’ira: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -</p> - -<p> -— Tieni bene a mente quello che ti dico, -ragazzo! In questa casa c’è una volontà sola -ed è la mia. Non pensare a disubbidirmi e -bada a te! -</p> - -<p> -Ed entrarono e la casa tacque sul loro angosciato -riposo. -</p> - -<p> -Dopo non molti giorni ogni formalità era -compiuta. Maestro Alessandro aveva lasciata -l’officina per recarsi in città e nessuno seppe -la ragione del suo viaggio. La seppe Samuele, -una sera di domenica, quando il padre gli disse: -</p> - -<p> -— Ora verrai con me. -</p> - -<p> -— Dove? -</p> - -<p> -Maestro Alessandro continuò: -</p> - -<p> -— Il permesso è preso; non c’è nulla che si -opponga. Posdomani tutto sarà fatto e la Venusta -sarà con noi, nella nostra casa. Tu puoi scegliere -l’ora che ti piaccia meglio per sposare. -</p> - -<p> -Samuele guardava il padre co’ grandi occhi -larghi e bianchi e immobili. Il suo volto era -quello di chi impietra. -</p> - -<p> -Disse maestro Alessandro: -</p> - -<p> -— Hai inteso? -</p> - -<p> -— Sì! -</p> - -<p> -— Perchè mi guardi così? -</p> - -<p> -— Per nulla. -</p> - -<p> -— Allora va, mettiti la veste migliore. La -Venusta ci aspetta! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -</p> - -<p> -Samuele non si muoveva. -</p> - -<p> -E il vecchio gridò: -</p> - -<p> -— A chi parlo? -</p> - -<p> -— Che vuoi? — fece Samuele. -</p> - -<p> -— T’ho detto di ripulirti che ci aspettano -a casa dei Grandi. E fa presto!... E cammina -senza storie prima ch’io ti rompa la faccia! -</p> - -<p> -E ancora l’abitudine antica lo tenne e l’anima -sua fu muta in fondo al suo buio. Samuele -andò, si vestì come in sogno e seguì il padre -senza parlare. -</p> - -<p> -A casa dei Grandi li aspettavano. C’era una -tavola imbandita e nel basso focolare, in fondo -alla stanza, ardeva una fiamma altissima. Samuele -non vide se non quel dolce bagliore e -non udì le voci e gli auguri, nè vide la donna -attempata che gli parlava sorridendo. Una volta -ch’egli fissò quel volto piatto dal gran naso -broccuto, rise come un ebete e a tutto ciò che -gli fu chiesto non rispose. Poi cominciò il festino -e la volgarità. -</p> - -<p> -Erano pigiati intorno ad una grande tavola, -seduti su due lunghe panche e le donne mangiavano -in disparte, presso il focolare come -bestie accosciate, il viso sui piatti fumanti. Solo -una gli era al fianco e lo stuzzicava e rideva -a rovescio come una caldaia che bolla, ed egli -vedeva la larga bocca dai denti gialli aprirsi e -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -vociare e ingoiare, e vedeva i piccoli occhi porcini -e le guance sudanti, floscie come l’otre vuoto. -</p> - -<p> -Maestro Alessandro più non si curava di lui; -nessuno gli poneva mente chè l’accolta era intenta -ai bisogni suoi voraci. I grandi vassoi di -carni e di legumi eran finiti d’assalto e gli ampi -boccali si vuotavano a gran furia. Solo, più -aumentava l’ebbra bestialità dell’accolta, più, -quella che gli sedeva a fianco, lo pigiava e lo -infastidiva con la sua voce rauca e Samuele -cominciò a guardarla in volto senza fiatare. -</p> - -<p> -E la donna chiese: -</p> - -<p> -— Perchè non mangi?... Ti vergogni della -tua sposa?... -</p> - -<p> -E rideva, rideva interrompendosi a quando -a quando per saziare la sua voracità flatulenta. -</p> - -<p> -— Hai sonno, di’?... Dormi ancora per questa -notte chè domani non potrai dormire! -</p> - -<p> -E, sotto la tavola, gli si stringeva da presso, -sempre più tenacemente, come la mignatta e il -nodo scorsoio e le cose che soffocano e che -dissanguano. -</p> - -<p> -— Non mi vuoi bene? -</p> - -<p> -Silenzio. -</p> - -<p> -— Non ti piaccio? -</p> - -<p> -Egli la guardava con una sua tragica smorfia -e pensò come mai potevano uscire tali parole -da quella bocca sconcia, irte di peli le -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -labbra e il mento piatto. Ed ella rideva e si -accalorava da sola, scambiando per timida inesperienza -il silenzio dell’uomo e più le piaceva -il giuoco, e più le cresceva la foja quanto più -le sembrava e fresco e timido il frutto nuovo -sul quale avrebbe morso con la furia della sua -maturità brutta ed ingorda. -</p> - -<p> -E ancora gli diceva accostando a quella di -lui la faccia bestialmente accesa: -</p> - -<p> -— Quando mi conoscerai mi amerai. Io so -l’arte di farti morire d’amore! Non mi guardare -se non sono bella chè ti piacerò più del sole! -</p> - -<p> -E la gente ubriaca cominciava a bofonchiare. -Poi qualcuno più acceso, gridò: -</p> - -<p> -— O Samuele, stringitela dunque quella tua -vecchia gallina!... Non vedi come ti guarda?... -</p> - -<p> -E l’idea piacque sì che l’accolta l’impose urlando. -</p> - -<p> -La Venusta protese le labbra e baciò sul -collo Samuele. Questi la respinse col gomito -a violenza. -</p> - -<p> -E disse la donna: -</p> - -<p> -— Abbracciami, non siamo sposi? -</p> - -<p> -Maestro Alessandro, in capo alla tavola, teneva -la testa china sul suo piatto; allora un -giovinastro gli gridò: -</p> - -<p> -— Diteglielo voi, maestro, che s’abbraccino!... -</p> - -<p> -E la gente: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -</p> - -<p> -— Su dunque, diteglielo, maestro! -</p> - -<p> -Il vecchio levò gli occhi che si scontrarono -in quelli del figlio suo, nè mai più torbida -luce si incrociò per gli spazi nelle orrende tempeste. -Maestro Alessandro chinò la testa. Allora -l’anatroccola infojata abbrancò al collo Samuele -e lo attanagliò come la morsa stringendo la viscida -faccia contro quella di lui. -</p> - -<p> -Scoppiò una risata omerica e la voce incomposta -degli ebbri di vino incitò la Venusta a -tutto osare. -</p> - -<p> -Anche le donne si accostarono alla tavola, -scapigliate, e battevan le mani. In breve si -formò intorno un cerchio di brutale concupiscenza -e Samuele vide l’assieparsi e il chinarsi -delle facce oblique e vide gli occhi accesi di -fosco ardore e le vene turgide e gli aspetti -bestiali, nè più resse a tale supplizio. -</p> - -<p> -Allora ciò che l’anima sua pura aveva contenuto -irruppe, schiantò ogni costrizione. -</p> - -<p> -— Va via che mi fai schifo, puttana! -</p> - -<p> -E afferrata la donna alla cintola l’arrovesciò -sconciamente su la panca e si tolse dall’incubo. -</p> - -<p> -Il clamore si spense d’un subito. Non fu intorno -che un’incertezza paurosa e gli occhi -corsero dal volto del padre a quello del figlio. -</p> - -<p> -Samuele non guardò la gente, di nulla si curò -se non del suo immenso desiderio di libertà; -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -non fu al mondo, per lui, se non la sua fiera -volontà che non avrebbe umiliata mai più, e -sentiva una gioia altissima in quella subita -conquista. -</p> - -<p> -Già era per uscire quando si levò, aspra ed -imperiosa dal silenzio, la voce di maestro Alessandro: -</p> - -<p> -— Samuele?... -</p> - -<p> -Il giovane si rivolse torvo. -</p> - -<p> -— Che vuoi da me? -</p> - -<p> -Il vecchio fece per slanciarsi ma un urlo lo -trattenne. Allora si passò le grosse mani su -la pallida faccia sconvolta e gridò: -</p> - -<p> -— Va, va, che saprò dove trovarti! -</p> - -<p> -E nessuno più disse parola. Sentivano l’approssimarsi -dell’orrore. Erano i Venchi di una -feroce razza lupigna che nulla raffrenava. Gli uomini -chinarono la faccia; le donne udivano già -per l’aria fosca di tenebra le urla della folle paura. -</p> - -<p> -E quando il vecchio fece per uscire nessuno -gli si oppose: era sul suo volto cadaverico la -risolutezza che umilia chiunque la guati. Uscì, -lo guardarono finchè la porta non fu rinchiusa, -ascoltarono il suo passo finchè non si perse e -allora si udì l’implorazione della donna offesa; -schiantò il silenzio come un singhiozzo: -</p> - -<p> -— Correte gente, correte che non si debba -udire un simile spavento! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -</p> - -<p> -Quelle parole agghiacciarono i cuori e gli anziani -si mossero incurvi, senza fiatare. -</p> - -<p> -Ora Samuele attendeva il padre nella casa -sconsolata. Una lampada fumigava sulla tavola. -Più non aveva misura il tempo, più non era nè -tempo nè spazio, ma una cupa eternità senza voce. -</p> - -<p> -Camminava il giovine ascoltando il tonfo del -suo cuore scatenato e ad ogni scricchiolio sussultava -rivolgendosi alla porta. -</p> - -<p> -Poi si udì cigolare la porta e si udì il passo del -sopravveniente. Furon l’un contro l’altro come -due spettri. Nè l’uno dei due piegò; nè parevano -tanto forti da superare quell’orrendo silenzio. -</p> - -<p> -E il vecchio si accostò al muro e ne distaccò -la doppietta. Si udirono gli scatti delle molle -congegnate. -</p> - -<p> -Samuele non fiatò, non si mosse, non distolse -gli occhi torvi dal volto del padre. Erano ai -due lati opposti della stanza. -</p> - -<p> -Maestro Alessandro puntò lentamente l’arme -nera. Era nel suo volto sparuto la contrazione -di un’ira senza limite, la terribilità del delitto. -</p> - -<p> -E allora parlò e disse: -</p> - -<p> -— Inginocchiati! -</p> - -<p> -Il figlio ubbidì e s’aperse le vesti, nè le sue -mani tremarono. -</p> - -<p> -E il vecchio: -</p> - -<p> -— Farai ciò che voglio? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -</p> - -<p> -Samuele non rispose. -</p> - -<p> -Il fucile s’abbassò verso il petto scoperto. -</p> - -<p> -— Rispondi!... -</p> - -<p> -Si udì un gemito, una voce strozzata, uno spasimo -angosciato di supremo dolore e la pallidissima -faccia sbiancò ancor più nell’orrendo singhiozzo. -</p> - -<p> -— Rispondi! — gridò più forte l’ossesso. -</p> - -<p> -Allora parve che tutto l’essere veemente e -tutta la ribelle gagliardia del giovine si liberassero -nel grido; ed egli parlò stravolto, senza -più lume negli occhi: -</p> - -<p> -— Puoi ammazzarmi, ma non puoi costringermi! -</p> - -<p> -— Tornerai dai Grandi? -</p> - -<p> -— No!... -</p> - -<p> -— Chiederai scusa? -</p> - -<p> -— No!... -</p> - -<p> -— Mi ubbidirai? -</p> - -<p> -— No, no, no!... -</p> - -<p> -E in così dire fece per lanciarsi innanzi, cieco -nel suo furore; ma appena aveva levato il ginocchio -che un colpo rintronò e il giovine dal -fiero viso stramazzò riverso come cosa inanimata: -gli occhi al cielo e la bocca torta. -</p> - -<p> -Poi un urlo fu nella casa desolata e un urlo -più alto nella notte grande, chè gli anziani sopraggiungevano -correndo. -</p> - -<p> -Ma tutto era vano ormai. Il tragico fato dei -Venchi era compiuto per l’eternità. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span></p> - -<h2 id="gazza">LA GAZZA.</h2> -</div> - -<p> -Il semplicista non fece troppe parole; guardò -Mezzalana, gli tastò il polso, gli rovesciò le -palpebre e scrollò il capo. -</p> - -<p> -— Be’, cosa dite? — mormorò Mezzalana. -</p> - -<p> -— Cosa debbo dire? — rispose il semplicista. -</p> - -<p> -— C’è pericolo? -</p> - -<p> -— Non la vedo chiara. -</p> - -<p> -— Che cosa c’è.... Un tumore? -</p> - -<p> -— No, è il male della lucciola. -</p> - -<p> -— Della lucciola?... Non l’ho mai sentito ricordare. -</p> - -<p> -— Be’, ve lo dico io. -</p> - -<p> -— Siete sicuro di non sbagliarvi? -</p> - -<p> -— Se non mi credete, perchè non chiamate -il dottore? -</p> - -<p> -— Il dottore?... Vuol esser pagato! -</p> - -<p> -— Allora state zitto se non volete spendere! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -</p> - -<p> -Mezzalana alzò le spalle e mormorò: -</p> - -<p> -— Starò zitto! -</p> - -<p> -L’empirico riprese la mazza che aveva appoggiata -al muro, si chinò alla secchia ricolma -che era appoggiata sul pozzale, bevve e, asciugata -la bocca sulla manica della giacca, si avviò -all’uscita dell’aia. -</p> - -<p> -Mezzalana non era contento e già si pentiva -del palancone che aveva dato al semplicista -per la sua visita; due soldi valevan bene un -lungo discorso, s’egli li valutava alla stregua -della sua rabbiosa avarizia; così, come vide -l’uomo andarsene tranquillamente senza aggiungere -parola, gli gridò dietro: -</p> - -<p> -— Be’, non mi dite altro? -</p> - -<p> -L’empirico si fermò e, volgendosi a mezzo, -rispose: -</p> - -<p> -— Non ve l’ho detto il male che avete? -</p> - -<p> -— Sì, ma che cosa debbo prendere per guarire? -</p> - -<p> -— La cassa! -</p> - -<p> -— Che cosa?... -</p> - -<p> -Allora Zibaldino, che stringeva tuttavia a -dispetto, nel palmo della mano, la scarsa mercede -e voleva far notare all’avaro la sua spilorceria, -grugnì: -</p> - -<p> -— Dite un po’, pretendereste forse ch’io perdessi -tutta la mia giornata per due soldi? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -</p> - -<p> -— Due soldi son due soldi — rispose Mezzalana; — costano -fatica e voi li guadagnate -con delle chiacchiere! -</p> - -<p> -— Ah! sono chiacchiere le mie? -</p> - -<p> -— Non avete mica imparato la vostr’arte -vangando la terra! -</p> - -<p> -— Allora perchè mi chiamate se sono chiacchere?... -</p> - -<p> -— Perchè vi contentate di poco. -</p> - -<p> -— Siete uno sciocco! -</p> - -<p> -— Io sarò uno sciocco, ma due soldi son due -soldi!... E per due soldi dovreste parlare un po’ -di più!... -</p> - -<p> -Zibaldino scuoteva il capo da destra a sinistra -squadrando il cocciuto bifolco; poi si decise -e parlò chiaro: -</p> - -<p> -— Be’, già che volete farmi parlare: volete -proprio saperla tutta? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— Allora vi dico che avrete ancora tre giorni -da campare! -</p> - -<p> -— Tre giorni. -</p> - -<p> -— Sì, tre giorni. E ve la dò lunga!... -</p> - -<p> -Mezzalana si guardò attorno, si calcò la <i>galosa</i> -fino alle orecchie e mormorò: -</p> - -<p> -— Basta!... Ho capito!... -</p> - -<p> -— Vi saluto — fece Zibaldino. -</p> - -<p> -— Addio — rispose Mezzalana; ma l’empirico -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -non era giunto ancora sulla strada che il vecchio -gli gridò dietro: -</p> - -<p> -— Avete detto che è il male della lucciola? -</p> - -<p> -— Sì, della lucciola! -</p> - -<p> -— E non ci sarebbe qualche erba? -</p> - -<p> -— Sì, l’<i>erba cagnina</i> che fa bono ai cani! -</p> - -<p> -— Dite davvero? -</p> - -<p> -Zibaldino non rispose più. Si avviò per la -riva del fosso, e camminava forte. -</p> - -<p> -Mezzaluna corse sulla strada, stette in forse -un secondo, poi chiamò: -</p> - -<p> -— O Zibaldinoooo? -</p> - -<p> -L’altro affrettava il passo dinoccolato, il cappello -sugli occhi e le mani in tasca. -</p> - -<p> -— O Zibaldinoooo?... Non mi sentite?... -</p> - -<p> -Sì! Chi lo sentiva?... Era indispettito. Svoltò -per la prima viottola e non si vide più. Allora -Mezzalana si grattò un orecchio e incominciò a -pensare. Era troppo chiaro che il semplicista si -era preso giuoco di lui. Forse con tre palanche -avrebbe parlato un po’ più e si rimproverava di -non aver arrotondata la grassa mercede. Ma tale -rimprovero non resse alla sua critica feroce. Tre -palanche per un chiacchierone che veniva a guardarvi -negli occhi o a tastarvi il polso? Bisognava -essere milionari per darsi a spese simili. E negli -occhi che cosa ci vedeva, la fede di nascita?... -E a che serviva tastare il polso se egli sentiva -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -male dentro, nel <i>cassone</i>, fra il cuore, lo stomaco -e la milza? Spendere due soldi per sentirsi ripetere -la bella verità che bisognava morire!... -Tante grazie! Credeva forse che Mezzalana non -sapesse.... Però aveva solo settant’anni. Che -cos’erano settant’anni?... Suo padre era morto a -ottantasette e suo nonno a novantaquattro. E -aveva sentito dire dalla buon’anima di sua madre -che un loro vecchio antico era giunto alla -bella età di cento e quindici anni. Oh, sì!... Così -bastava!... Dice: — Era ridotto come un uccellino!... -Be’, e se era magro, e se mangiava poco -non era fra i vivi ugualmente?... Perchè il tutto -sta a non dover andarsene troppo presto; per -il resto che cosa importa?... Anche se uno non -si muove più da una sedia, basta veda.... -</p> - -<p> -E qui lo colse un pensiero amaro: e se per -davvero egli non avesse potuto veder più?... A -settant’anni! E gli pareva di trovarsi di fronte -a una smisurata ingiustizia se pensava alla morte -alla sua età. Si spinse la <i>galosa</i> sulla nuca; si avviò -per l’aia ciondolon ciondoloni; prese una forca -appoggiata a un pagliaio e la portò nella capanna. -Il cane corse ad annusargli le gambe; lo scacciò. -</p> - -<p> -Una subita incredulità lo invase. Ogni dubbio -ne fu travolto. Ma che morire!... A dar retta a -certa gente sì, che si sarebbe morti venti volte -il giorno. L’ora segnata era nel libro di Dio, -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -non poteva conoscerla faccia d’uomo sulla madre -terra. Il nostro destino era ben al disopra -dei tetti delle case, in fondo al cielo, e se qualcuno -fosse potuto andare e ritornare di lassù -dove corrono le stelle, oh! allora gli si sarebbe -potuto credere ad occhi chiusi. Ma un chiacchierone -che sapeva l’arte di comporre qualche -pillola, dove doveva togliersela la misteriosa -scienza della vita e della morte? Perchè andava -pei boschi, la notte?... Perchè dicevano che l’avevan -veduto parlare coi fantasmi?... Chiacchiere -che non valevano le sue belle palanche! -Richiuse la capanna e si avviò al pozzo. -</p> - -<p> -Era ben vero che non si sentiva bene! Era -vero, perchè negarlo?... A volte gli sopravvenivano -certi mancamenti che, se non trovava -appoggio, andava ruzzoloni per le terre, come -gli era accaduto varie volte. E la vista gli si -annebbiava sempre più e non aveva appetito. -Almeno avesse mangiato!... Fin che si mangia -si campa. Ma no, niente!... Appena qualche -boccone e stentato che doveva far fatica ad -inghiottirlo! Questo era il brutto! Già, perchè -con lo stomaco non si ragiona e se lo stomaco -sciopera.... Il male della lucciola?... Uhm?! Non -l’aveva sentito ricordare mai. Ma che c’entrava -la lucciola? Non era mica il tempo dei grani ed -egli non soffriva di nessun fenomeno luminoso! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -</p> - -<p> -Forse era un tumore. Già se lo sentiva addosso, -a porgli mente; si sentiva come una -cosa rotonda gravitare fra il cuore, lo stomaco -e la milza, e nè Zibaldino, nè tutti i professori -della terra potevano saper questo perchè, a voler -ragionare, il male è di chi lo ha e chi non -ne soffre non ne può sapere proprio nulla. -</p> - -<p> -E tale convinzione gli si accrebbe e gli si perfezionò -per quanto più tempo prese a considerarla. -Definito il male, pensò al rimedio. Un rimedio -doveva esservi. La sua ostinata volontà -di vivere non poteva rassegnarsi all’idea dell’inguaribile; -così, siccome un poco se ne intendeva -di semplici, si dette a rimuginare tutte -le virtù delle erbe e da un angolo occulto della -sua memoria gli tornò alla mente questo: che -cioè l’erba <i>piastrella</i> aveva la virtù di sciogliere -i nodi che si formavano nel corpo degli uomini -in seguito a cadute o a stregonerie. Ci voleva -adunque l’erba <i>piastrella</i> la quale non si trovava -nei campi o lungo i fossi, ma nella pineta lontana. -Doveva essere raccolta di notte, durante -l’interlunio perchè non perdesse le sue proprietà. -In quanto all’interlunio il periodo era -propizio; in quanto alla notte.... Si grattò un -orecchio. A questo punto qualcuno scarpicciò -dietro le sue spalle. -</p> - -<p> -— Come state, Mezzalana? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -</p> - -<p> -Gettò un’occhiata in tralice. Era Pignòla, la -sua vecchia moglie. Non le rispose. -</p> - -<p> -Pignòla veniva per l’aia con un paniere. -</p> - -<p> -— O Mezzalana, non mi date mente? -</p> - -<p> -Mezzalana volse il viso burbero. -</p> - -<p> -Quando fu vicina al marito si fermò a guardarlo -da sotto in su, seria seria, col paniere -infilato in un braccio, e nel paniere pigolavano -una ventina di anatroccoli appena sgusciati -dall’ovo. -</p> - -<p> -— Che cosa volete? -</p> - -<p> -— Vi ho domandato come va! -</p> - -<p> -— Io non lo so! — fece Mezzalana. -</p> - -<p> -— È venuto Zibaldino? -</p> - -<p> -— Sì. Non lo avete visto? -</p> - -<p> -— Non l’ho visto. Be’, che cosa vi ha detto? -</p> - -<p> -— Che debbo morire! -</p> - -<p> -— Sarà matto?! -</p> - -<p> -— È quello che dico io! -</p> - -<p> -— Non gli darete mica retta?... -</p> - -<p> -— No, per Dio.... -</p> - -<p> -— Volevo ben dire!... -</p> - -<p> -E tacquero. Mezzalana si guardò i piedi; Pignòla -raccolse i pulcini che tentavano di guizzar -via dal paniere. Poi Pignòla soggiunse: -</p> - -<p> -— Non sapete neppure la razza del male? -</p> - -<p> -E Mezzalana: -</p> - -<p> -— È una razza cane! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -</p> - -<p> -Pignòla scosse la testa: -</p> - -<p> -— Questo sì! -</p> - -<p> -Passò una pausa. -</p> - -<p> -— E sapete che cosa ha avuto core di rispondermi -quando gli ho domandato un rimedio? -</p> - -<p> -— Che cosa ancora? -</p> - -<p> -— Mi ha risposto che la medicina era la cassa! -</p> - -<p> -— Dite sul serio? -</p> - -<p> -— Non vedessi più la faccia de’ miei figli! -</p> - -<p> -Pignòla aggrottò le ciglia e scagliò la sua -maledizione: -</p> - -<p> -— Facesse Iddio che toccasse a lui!... -</p> - -<p> -E, lanciato che ebbe l’anatema, si dette a rincorrere -gli anatroccoli che erano guizzati fuor -dal paniere e scorrazzavano per l’aia. -</p> - -<p> -Mezzalana l’aiutò. Quand’ebbero compita l’opera, -Mezzalana disse: -</p> - -<p> -— Sapete che male è? -</p> - -<p> -— No. -</p> - -<p> -— È un tumore! -</p> - -<p> -— Ne siete sicuro? -</p> - -<p> -— Sì. E ci vuole l’erba <i>piastrella!</i> -</p> - -<p> -— L’erba <i>piastrella?</i>... Che cos’è? -</p> - -<p> -— Come, non la conoscete?... Non sapete -se faccia bene?... -</p> - -<p> -— Io no.... -</p> - -<p> -Allora Mezzalana guardò la moglie di sbieco -e brontolò: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -</p> - -<p> -— Già l’ho sempre detto che siete un’ignorante!... -</p> - -<p> -La Pignòla non ribattè, era abituata agli sgarbi -del suo signore e padrone, nè si riteneva degna -di un trattamento diverso. Quand’era ancora -giovine erano state famose bastonature ch’ella -aveva inscritto nel capitolo dell’amore e della -gelosia e che l’avevan fatta orgogliosa del suo -uomo di fronte alle compagne; da vecchia il -bastone aveva ceduto l’impero alle violenze -ed ella prendeva queste come quelle, con l’intima -fierezza di una donna che si sente amata. -</p> - -<p> -Senza scomporsi adunque, e per nulla offesa -tirò di lungo, entrò nella capanna e scomparve. -</p> - -<p> -Come Mezzalana fu solo, raccattò uno stecco -che vide in mezzo all’aia, lo portò nella catasta -delle legna perchè nulla doveva andare disperso, -poi si fermò, la testa bassa, tutto assorto -in un pensiero. -</p> - -<p> -Così ristette alquanto e, quando si riscosse, -la sua decisione era presa. -</p> - -<p> -Egli stesso sarebbe andato in pineta, durante -la notte; avrebbe raccolta l’erba che conosceva -e sarebbe ritornato innanzi l’alba. -</p> - -<p> -A compire il viaggio gli bastava il suo ciuco. -Nessuno doveva saper nulla della decisione -presa, neppure la Pignòla. -</p> - -<p> -Però, siccome un certo dubbio gli rimaneva -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -in fondo all’anima e capiva di mettersi in un -grave rischio, chè il viaggio non era corto, e -poteva coglierlo un malore lungo la strada, -decise che, prima di partire, avrebbe preso le -sue precauzioni. E tali precauzioni erano d’indole -affatto particolare. Entrato nel nuovo ordine -di idee si affrettò verso la casipola, entrò -nella stanza terrena e gridò a Pignòla che era -curva su gli alari: -</p> - -<p> -— Questa sera si deve cenar presto!... Spicciatevi! -</p> - -<p> -— Devo cuocere la minestra? — domandò -Pignòla rivolgendo la faccia. -</p> - -<p> -— Sì, cuocete! -</p> - -<p> -— E i ragazzi? -</p> - -<p> -— Fatevi alla siepe e chiamateli. Sono nel -campo? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -La Pignòla andò e tornò, presta come la lepre. -Aggiunse legna al fuoco e una grembiulata -di canàpuli, accese la lampada, andò ad -attingere il vino nel boccale, cosse la minestra. -</p> - -<p> -I figli e le figlie di Mezzalana entrarono senza -pronunciar parola e sedettero sulle panche disposte -ai due lati della tavola. -</p> - -<p> -La Pignòla si spicciò, la minestra fu servita. -Mezzalana non toccò cibo, ma nessuno gli pose -mente se non fu la vecchia Pignòla. Questa -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -che, dopo essersi pienata la sua verde scodella, -preso il nero cucchiaio di legno, si era seduta -sopra un sacco di farina, in disparte, a consumare -il suo pasto, guardava a quando a quando -il marito e mangiava di mala voglia. Poi non -potè resistere e disse: -</p> - -<p> -— Mezzalana, non avete fame? -</p> - -<p> -Il vecchio non rispose. E la donna: -</p> - -<p> -— Non fate bene a star sempre digiuno! -Vi guasterete la salute! -</p> - -<p> -Mezzalana grugnì in sì malo modo che la -vecchia Pignòla abbassò l’insolcata faccia su -la scodella e non parlò più. -</p> - -<p> -Compìto che fu il pasto, tutti salirono al piano -superiore e Mezzalana rimase solo; allora, come -udì spengersi a mano a mano ogni fruscìo, si -tolse le scarpe, staccò la lampada appesa sotto -una trave e andò ad assicurarsi che tutte le -porte fossero ben chiuse. Si fece poi alle scale -e stette in ascolto. La sua gente dormiva affranta -dalla stanchezza. Ciò piacque al vecchio, -il quale si guardò attorno ancóra, chè lo teneva -l’eterno sospetto di essere spiato. Stava -per compire qualcosa di sacro, qualcosa che -gli era come un misterioso rito verso il suo -Dio sonante. E per tale rito al quale, dai lontani -tempi della sua immemorabile giovinezza, -egli si era tenacemente votato, dormiva solo, in -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -uno stambugio attiguo alla cucina e nessuno vi -entrava se non Pignòla, rarissimamente, quando -il consorte suo non poteva levarsi dal letto. -</p> - -<p> -Entrato che fu nel <i>Sancta sanctorum</i>, tirò il -catenaccio, posò la lampada sopra una sedia -e, presa una piccola scala a piuoli, l’appoggiò -ad una trave e vi salì. Nel corpo di detta trave, -per mezzo di certi suoi nuovi congegni, egli -aveva aperto un rifugio capace di contenere -comodamente le cose che voleva riporvi; e -tale rifugio era sì ben chiuso che, dal basso, -nessuno avrebbe potuto sospettarne l’esistenza. -Vi salì adunque, ne tolse la chiusura, l’ispezionò -e come fu sicuro dell’affar suo, vi depose -la sacra mercanzia ch’egli aveva presa -antecedentemente da un ripostiglio praticato -nel muro, dietro l’arca. Compìta ch’ebbe la -faccenda, ridiscese, portò la scala altrove, uscì -su l’aia a specular la notte. Era sereno. Tempo -calmo. Il Carro saliva nello spazio verso i -sommi cieli, con le sue sette stelle. Allora, -trasse dalla stalla <i>Simone</i>, l’attaccò alla carretta -e se ne andarono per le strade silenziose -verso la pineta marina. -</p> - -<p> -E l’alba non ancóra era per nascere quando -Mezzalana e <i>Simone</i> ritornavano con l’erba -<i>piastrella</i>. Ma se <i>Simone</i> era tranquillo circa -la sua sorte, altrettanto non lo era Mezzalana, -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -chè sentiva il suo male crescergli dentro a -dismisura e arroncigliarlo e morderlo e tormentarlo -con lena sempre maggiore dilagando dal -confine suo consueto a tutto il corpo. Il nodo -maligno, confinato fra lo stomaco, il cuore e -la milza si moltiplicava, tanto che Mezzalana -aveva ferma fede di sentirlo crescere dentro -di sè e radicarsi per ogni dove fino alla cima -delle dita. Epperò un certo sudor freddo gli -bagnava la fronte e il petto; e il dolore lo toglieva -di senno. -</p> - -<p> -Fermarsi no, e correre non poteva. Inoltre -l’austera indifferenza di <i>Simone</i> tanto lo inaspriva -che, nelle rare tregue alla sua sofferenza -si vendicava con certe gigantesche legnate le -quali avrebbero atterrato un toro, non che un -ciuco. <i>Simone</i> si limitava a ritrarre un poco -la parte offesa, che era quella dove la coda -s’impianta, e tirava di lungo senza commozione -nessuna, come se l’ossa sue e le carni fossero -del più saldo metallo. Tutt’al più levava il muso -e raggrinziva le froge in quella diabolica risata -muta che solo gli asini sanno. Comunque fosse, -la distanza fu superata e Mezzalana giunse alla -sua casa. -</p> - -<p> -Già cantavano le capinere e il cielo si tingeva -di rosa. Le finestre erano chiuse tuttavia. -La sua gente dormiva. Bene: tutto era riuscito -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -secondo il suo piano; ma il più gran male sorse -quando egli tentò di scendere dalla carretta -nella quale si era disteso fra l’erba <i>piastrella</i>. -Non vi riuscì. Solo che avesse tentato di sollevarsi -gli sopravveniva tale spasimo da togliergli -la luce. Frattanto <i>Simone</i>, che non si -sentiva più dominato dal morso, se ne andava -per l’aia a suo piacimento e avrebbe senz’altro -rovesciata la carretta e Mezzalana nella buca -del letame, se il vecchio egoista non si fosse -dato a gridare: -</p> - -<p> -— Pignòla?... O Pignòla?... -</p> - -<p> -E appena aveva levata la voce angosciata -dal male che una finestra si aprì e fra un vaso -di basilico e un geranio fiorito apparve la scarmigliata -testa della donna. -</p> - -<p> -Si guardò intorno, domandò: -</p> - -<p> -— Che cos’è? -</p> - -<p> -— Vieni!... — urlò il sofferente. -</p> - -<p> -— Siete voi, Mezzalana?... -</p> - -<p> -Il vecchio le rispose con un’imprecazione -classica tanto che Pignòla, di un sùbito ridesta, -si tolse dalla finestra, chiamò i figliuoli e corse -nell’aia. -</p> - -<p> -Dopo Pignòla giunse Stecco, il figlio maggiore, -e Mezzalana fu preso e portato nel suo -stambugio ad attendervi l’ora dell’ultima passeggiata. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -</p> - -<p> -Tornò Zibaldino; giunsero le attinenti vestite -di nero; i figliuoli e le figliuole non andarono -ai campi. -</p> - -<p> -Zibaldino disse: -</p> - -<p> -— Chiamate il prete. Tira lo sgambetto!... -</p> - -<p> -E, fra quanti erano nella camera, solamente -una donna incominciò a piangere e fu Pignòla. -Si tirò la pezzola su gli occhi e si perse, non -seppe più far nulla. Ella soffriva davvero perchè -si era affezionata al suo aguzzino e le doleva -di vederlo partire per la dimora vegliata -da una croce. -</p> - -<p> -Mezzalana non parlava più. Aveva una gran -sete, beveva sempre, tanto che Stecco disse: -</p> - -<p> -— Diventerà una botte!... — E lo guardò -morire perchè la morte era una cosa nuova -per lui e gli procurava una certa sensazione -strana. -</p> - -<p> -Giunsero altre attinenti abbrunate; ne fu -piena la camera e la cucina, tantochè quando -il prete fu sulla porta dovette farsi largo per -entrare. -</p> - -<p> -Mezzalana fu unto, ma non se ne addiede e -il prete ripartì senza avergli tratto una sola -parola di bocca. Non che il morituro fosse -fuori di senno, ma non parlava, non badava a -nessuno, gli occhi fissi al soffitto e le mani -conserte sul petto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -</p> - -<p> -Solo ad un punto, quando già la sera stava -per ritornare, le donne che gli eran vicine, -l’udiron mormorare: -</p> - -<p> -— Li vedo.... li vedo!... -</p> - -<p> -E volsero gli occhi intorno e si guardarono -stupite. La Pignòla si fece innanzi, stranita: -</p> - -<p> -— Ha parlato? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— Che cosa ha detto? -</p> - -<p> -— Ha detto che li vede! -</p> - -<p> -— Li vede?... -</p> - -<p> -E un terrore superstizioso invase le donne -che guardaron per l’aria e temettero di vedere -a loro volta una paurosa apparizione. -</p> - -<p> -Da quel punto Mezzalana incominciò ad agonizzare; -ma ebbe un’agonia gaia, senza scosse, -senza grida o stravolgimenti, senza orrori. Se -ne andava per il suo destino, come una stella -in fondo ai cieli e pareva fosse contento. Il -suo viso si illuminava sempre più, si componeva -in una pace gaudiosa come se la morte -gli parlasse dentro con parole amorose, narrandogli -di un riposo eterno in un paese sonante -di un infinito tintinnìo metallico. -</p> - -<p> -Non erano, le stelle, sì grandi quanto uno -scudo d’argento?... E bene erano di argento e -d’oro le belle monete di Dio!... D’argento e d’oro.... -cosparse per l’immensa contrada dove -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -non è neve, o pioggia, o solleone: ma solo -l’Eterno Patriarca, e gli uomini che non hanno -peccato, e le inutili vergini, e i poppanti, e i -santi impolverati, e gli uccelli!... Forse la morte -gli additava la contrada celeste e la fiumana -sonante perchè Mezzalana più si accostava al -valico e più sorrideva. E come fino a quel punto -non aveva parlato, incominciò a parlare e le -donne lo ascoltarono abbrividendo perchè esse -vedevano la morte ben diversamente. -</p> - -<p> -Mezzalana adunque non tolse più gli occhi -dal soffitto o, con maggior precisione, dalla -trave nella quale era richiamato il suo cuore -e, come l’aria veniva a mancargli sempre più, -incominciò da prima a borbottare, sì che nessuno -intese ciò che diceva, poi scandì le parole. -</p> - -<p> -— Io li vedo.... nessuno li vede!... Sono là.... -là.... bianchi.... gialli.... neri!... Duemila, quattromila!... — E -una grande luce gli si distendeva -sul volto. — Quattromila.... diecimila.... die.... -ci.... mi.... la!... -</p> - -<p> -Le donne si portavano le mani alla faccia; -gli uomini si stringevano alle pareti e il panico -superstizioso cresceva. -</p> - -<p> -— Nessuno li vedrà.... nessuno li toccherà!... -</p> - -<p> -Allora una donna piccina, ossuta, che più -tremava di sacro orrore, levò la faccia rigata -di lacrime e gridò: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -</p> - -<p> -— Vede gli angeli!... -</p> - -<p> -Quel grido si ripercosse in tutti i cuori e ne -trasse un’emozione violenta. Di un sùbito tutti -furono convinti della stessa verità e si inginocchiarono -e nascosero la faccia. E la piccola -donna gridò: -</p> - -<p> -— Muore come un santo!... Ha la grazia del -Signore!... È un santo!... -</p> - -<p> -Le lugubri prefiche ripeterono: -</p> - -<p> -— È un santo!... -</p> - -<p> -E tutti piansero, toltone i figli di Mezzalana, -che non credettero a niente perchè ricordavano -troppo bene la vita, le prepotenze, le angherie -e la sordida avarizia del padre. Ma Pignòla -era fra le più convinte; Pignòla piangeva e -perdonava tutto perchè aveva amato. -</p> - -<p> -E Mezzalana morì mormorando: -</p> - -<p> -— Li vedo!... Li vedo!... -</p> - -<p> -Era notte quando se ne andò dal mondo, -tantochè le ammantate, che rimasero a pregare -presso la salma di lui, videro in realtà un -grande chiarore nella notte e gli angeli che -portavano in cielo l’anima di San Mezzalana. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -Ora, quando il vecchio non fu più nel suo -stambugio, i figli suoi gettarono all’aria tutto -e cercarono e frugarono senza trovar neppure -un centesimo. E la voce corse per il contado: -</p> - -<p> -— È morto e non ha lasciato niente!... È -una famiglia alla miseria!... -</p> - -<p> -Qualcuno susurrò ch’egli avesse dotato del -suo un convento delle montagne. -</p> - -<p> -Comunque fosse, anche Pignòla morì e i figliuoli -vendettero la casa e si dispersero per -il mondo. Dieci anni dopo, quando al fatto non -si pensava più, volendo il nuovo proprietario -della casa ampliarla, cominciò con l’abbatterne -una parte e un giorno, in cui i muratori erano -intenti a far discendere una trave dalle mura -disfatte, avvenne un prodigio: questa trave si -aperse e lasciò cadere un rivolo; una pioggia -di monete d’oro e d’argento. -</p> - -<p> -Furono conte: erano diecimila lire, quelle -stesse che il vecchio avaro aveva nascoste lassù -prima di andarsene a raccogliere l’erba <i>piastrella</i> -e che avevano illuminata la morte di lui. -</p> - -<p> -Ma il fatto non fu risaputo che da pochi; e -ancóra si parlò per le veglie della santa morte -di San Mezzalana, mentre i figli di lui andavano -poveri e raminghi per le vie della terra. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span></p> - -<h2 id="eredita">L’EREDITÀ.</h2> -</div> - -<p> -Il grande niveo armento riprendeva le vie -della campagna, chè già era prossimo il mezzodì -e fin dall’alba soave si era accolto nel -campo alberato giungendo e dalle foci remote -e dai colli inghirlandati di mandorli. -</p> - -<p> -Ora l’inegual tocco dei campani, il grido dei -biolchi, il fondo muggito dei bovi si disperdeva -lungo le vie maestre e le viottole; si allontanava -verso i chiusi e le stalle prossime -e remote, dal mare alla montagna. E non restavano, -nel campo alberato, se non i ritardatari, -i mercanti, coloro che attendevano a riscuotere -o a pagare, e qualche disperso che -era giunto senza saper che volere e così se -ne tornava maledicendo, curvo su le pediche -innumerevoli dei trascorsi. -</p> - -<p> -Non per anco dalle rogge torri e dai campanili -sereni era disceso lo stormo delle campane -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -del meriggio; nè dalle piazze della bianca -città si era levato il volo delle colombe al consueto -richiamo; ma presso era il punto dell’ora -che divide il giorno fra i due crepuscoli -e i bifolchi cercavano, nel cammino dell’ombra e -nell’arco solare, il tempo alla sosta ed al sonno. -</p> - -<p> -Già le osterie intorno al mercato rigurgitavano -di genti, di grida e dell’acciottolìo che -riempie quei luoghi quando la fame degli uomini -impera; già chi non aveva se non il suo -pane nei tasconi della cacciatora, lo traeva e -lo addentava in pace, seduto ad un’ombra, in -disparte, e molti si affrettavano, accesi dal caldo -e dal vino, verso gli stallatici rigurgitanti a -riprender la brenna o il ciuco e a partir sotto -il sole per le remote case. -</p> - -<p> -Non uno era solo sul proprio barroccino o -sul calesse dal mantice stinto, chè lo attendeva -per la via una comare, un capoccio, un amico, -un conoscente a domandargli ospitalità al suo -fianco e le brenne arrancavano malinconiche. -</p> - -<p> -Scarse eran le ombre, violentissimo il sole, -accecante il bagliore delle strade, i nembi della -polvere, densi come la nube turbinosa. -</p> - -<p> -E sempre suonavan campani, muggivano buoi, -gridavano e sibilavano biolchi astati, dietro le -disciolte mandre dei vitelli, i quali, impauriti -da un nulla, si sbandavano e invadevano i campi -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -e le vigne e le maggesi in una scalpitante scorribanda -tempestosa. -</p> - -<p> -Uomini e fanciulli e cani si lanciavano all’inseguimento -mentre, ubbidienti alla mano di -un bimbo, reggente la corda della nasaiola, i -giganteschi buoi seguivano le prode dei fossi -ponendo nel sole l’acceso bagliore dei loro -fiocchi vermigli. -</p> - -<p> -La fiumana si disperdeva; morivano i suoni -lontanando nell’afa meridiana; il niveo armento -disceso con l’alba alle soglie della bianca città -ricinta da floridi orti, ritornava verso le foci -silenziose e verso le vigne degli armoniosi -colli. Il campo del mercato era quasi deserto, -ma ancora vi si trattenevano i mercanti, e i -capocci, e i sensali. -</p> - -<p> -Eran conclusi gli ultimi patti, risolti i più tardi -dubbi fra un intermesso scrosciar di bestemmie -e un vociare e un tendersi di mani avvinte -e squassate dalla furia dei sensali e tanto più -s’incaniva la baraonda quanto più era presso -il termine del mercato: ma padron Cecco rideva. -La sua rotonda faccia gioviale non era -punto commossa dall’impeto di coloro che gli -si stringevano intorno nel passionato desiderio -di concludere l’affare col re del mercato; le -parole, le promesse, le esaltazioni, le grida, non -turbavano la sua sorridente impassibilità. Ascoltava -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -tranquillo, lasciava che i venditori e i -sensali si sopraffacessero nella iperbolica esaltazione -della merce, non troncava mai a mezzo -un discorso, non discuteva; solo, quando si era -al concludere, ripeteva l’offerta fatta fin dal -principio: -</p> - -<p> -— Quaranta marenghi! -</p> - -<p> -— Ma, Dio mi faccia morire, se Paolino della -Tuda non me ne ha offerti quarantacinque!... -</p> - -<p> -E padron Cecco: -</p> - -<p> -— Dovevate darglieli! -</p> - -<p> -— Un paio di buoi che porterebbero via una -casa! -</p> - -<p> -E un sensale: -</p> - -<p> -— Padron Cecco, quarantadue marenghi e -non se ne parli più!... Qua la mano! -</p> - -<p> -Cecco dall’Orto rideva. -</p> - -<p> -— Allora dite che non volete farne nulla!... -</p> - -<p> -E il venditore ai sensali: -</p> - -<p> -— Dio mi faccia perder la vista e ch’io non -veda più i miei figliuoli se non mi offrivan di -più questa mattina!... Due buoi senza difetto!... -Grassi che sembran da macello! -</p> - -<p> -— Qua la mano, padron Cecco; quarantadue -marenghi e pace è fatta! -</p> - -<p> -— Quaranta marenghi! -</p> - -<p> -La disputa si accendeva, traviava in qualche -velata insolenza, ma Cecco dall’Orto non perdeva -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -contegno e misura essendo convinto che, -per l’offerta avanzata, gli avrebber condotte le -bestie fino alla sua stalla lontana. -</p> - -<p> -Così avvenne. Il patto fu conchiuso e fu versata -una parte del prezzo. -</p> - -<p> -La gente sapeva, d’altra parte, che se Ceccone -dall’Orto, il mercante milionario, aveva -stimato che un par di buoi non valesse più -che tanto, non sarebbe stato possibile elevarne -il valore perchè il parere di Ceccone imperava -per tutti i mercati della grassa terra fruttifera. -</p> - -<p> -Ed anche gli ultimi preser la via del ritorno. -Non rimaneva, fra la scarsa ombra degli alberi, -allineati attorno attorno al campo, se non qualche -miserrimo ciuco che fiutava la polvere. I -bifolchi e i sensali si sbandarono. Padron Cecco -s’avviò solo verso lo stallatico a riprender la -cavalla e già stava per uscire su la via quando -si vide alle terga una donna in gramaglie che lo -seguiva. Si rivolse mediocremente incuriosito. -La donna si fermò e fece per calarsi la pezzuola -su gli occhi, ma Ceccone disse ridendo: -</p> - -<p> -— Oh! La Gilda!... -</p> - -<p> -La donna levò gli occhi torvi su la rotonda -faccia gioviale del mercante e non parlò. -</p> - -<p> -E padron Cecco: -</p> - -<p> -— Mi cercavi?... Sei a piedi?... Vuoi salire -con me sul barroccino?... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -</p> - -<p> -— No, non voglio! -</p> - -<p> -— Be’!... E allora?... -</p> - -<p> -— Allora, sempre così!... — gridò la donna. -</p> - -<p> -— Sempre così.... sempre così!... -</p> - -<p> -E gli occhi di lei, accesi di sdegno, dopo -aver squadrato una seconda volta il giocondo -colosso, si rivolsero altrove; ed ella prese una -strada diversa e si allontanò rapidamente. -</p> - -<p> -Padron Cecco sorrise e, abbassata un poco -la testa, appoggiandosi a quando a quando sul -suo rozzo bastone da fattore, si avviò allo stallatico. -Quivi trovò gli amici mercanti e, come -era consuetudine sua, chè avrebbe preferito -digiunare anzichè mangiar solo, li convitò alla -sua mensa. -</p> - -<p> -Partirono al trotto serrato dei cavalli iniziando -ben presto la gara fra i singoli corsieri; -tutti affannati, impolverati, sudanti; ebbri dei -buoni guadagni e del caldo e dell’amore delle -facili femmine lascive, sempre soggette e dimesse, -come i nivei bovi al curvo giogo di -salice. -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -Così la vita a Ceccone dall’Orto, l’astuto bifolco -alunno della fortuna. Egli era cresciuto -in ricchezza e in gagliardia da quando, abbandonato -l’aratro fra le maggiatiche, lasciate le costumanze -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -degli avoli, e l’antico podere, troppo violentato -dall’adunco vomere perchè potesse dare -buon frutto, si era dato a bazzicare pei mercati -e a intessere i suoi primi imbrogli ben riusciti. -</p> - -<p> -Allora non aveva che la sua giocondità, un -discreto acume per gli affari ed una furberia -malandrina. Aveva anche l’arte di piacere agli -uomini benchè gli fossero tutti ugualmente indifferenti. -La fortuna lo adocchiò. In quel tempo -egli poteva giuocare tutto per tutto; la prigione -non lo spaventava nè l’opinione che i suoi simili -potevano farsi sul conto di lui. Sapeva che -il danaro rinnova le coscienze stinte e che la -gente indignata non rivolge il proprio furore -là dove l’oro ristagna e la sua giocondità non -si oscurò per un attimo solo. Tentò un colpo -canaglia. Gli riuscì. Mandò all’aria una famiglia -di onesti sciagurati e da un giorno all’altro si -trovò possessore di trentacinquemila lire. Aveva -ciò che gli abbisognava per dare alla propria -attività il largo campo necessario. -</p> - -<p> -Da quel tempo gli scrupoli suoi furono anche -minori, se ciò era possibile, e siccome natura -lo aveva fatto di solida tempra ed egli poteva -tranquillamente non dormir le notti, mangiare -poco e a furia, resistere per giorni e settimane, -alla baraonda dei mercati senza risentirne stanchezza, -non si risparmiò. Volle da se stesso -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -il massimo sforzo per il maggior risultato e -l’ottenne. In pochi anni la sua fortuna decuplicò -e siccome il denaro, fra le sue mani, ad -altro non serviva se non ad accrescersi di continuo, -Ceccone dall’Orto si trovò a possedere, -su la sua cinquantina, quattro milioni e mezzo. -Ma il patrimonio accumulato non gli fece mutar -gusti nè abitudini; egli rimase il rozzo bifolco -che era il giorno in cui aveva gettato la marra -e abbandonata la famiglia per seguire il suo -destino dissimile. Come non mutò la foggia del -vestire e la casa e sempre fu contento della -sua cacciatora di <i>mezzalana</i> e del suo stambugio -disadorno fra i campi, così i desideri -suoi non si accrebbero per altre vie. Gli era -gioia spadroneggiare pei mercati, far ribotta -quanto più sovente poteva, cambiare le sue -grosse amiche gioconde che non conoscevan -sospiri. Non aveva famiglia. Gli eran compagni, -nella casa solitaria, due garzoni e una cuoca. -La stalla e la cucina erano le sue sale. -</p> - -<p> -Ottuso ad ogni sentimento, di qualsiasi natura -esso fosse, non aveva provato mai commozione -nessuna nè per sè nè verso i suoi simili. -Amava la sincerità brutale; le cose che -hanno un volto e una parola cruda. Pel resto -la sua nativa diffidenza di bifolco e di mercante -si esplicava nel suo immutabile riso. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -</p> - -<p> -Assediato dai suoi parenti, che il suo patrimonio -cospicuo faceva delirare, Cecco dall’Orto -rideva; perseguitato da ogni sorta di gente, -losca nella sua umile devozione, non ne era -vinto. Nessuno mai aveva avuto da lui un solo -scudo. Ceccon dall’Orto rideva. -</p> - -<p> -Tale era il re delle sonanti adunate, l’astuto -bifolco squadrato a gagliardia; gran mangiatore -e grande amatore al cospetto dei compagni -suoi bercianti che sempre gli erano da -presso. -</p> - -<p> -Ora egli non pensava alla morte più che non -pensasse a impoverire e benchè i parenti suoi -innumerevoli sempre gli stesser d’intorno, quasi -a ricordargli la fragilità della sua materia, non -eran riusciti tuttavia a far sì che padron Cecco -testasse. Egli sapeva che le sue amiche e le -genti alle quali dimostrava qualche simpatia -erano osservate, circuite, minacciate chè, nel -novero dei suoi parenti, v’era qualcuno del suo -conio, pronto a qualsiasi prova pur di riuscire -dove mirava; sapeva che ogni sua parola detta -era vagliata e soppesata, che ogni ora della -sua vita era a conoscenza de’ suoi devotissimi -aguzzini, che non poteva far cosa che non fosse -risaputa e tutto questo in attesa della sua bene -augurata morte; ma non mutava volto nè anima, -nè la giocondità di lui era per annebbiarsi menomamente. -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -Anzi il giuoco lo divertiva. E se -qualcuno fra i più arditi gli faceva osservare -talvolta che un uomo dell’età sua avrebbe dovuto -pensare a disporre de’ suoi beni, rispondeva -ridendo: -</p> - -<p> -— Fra tutti voi, davanti alla morte, io mi -chiamo Ultimo! -</p> - -<p> -Ora quel giorno, dopo aver fatto ribotta con i -mercanti amici suoi, se ne stava seduto, verso sera, -innanzi alla tavola apparecchiata attendendo che -Carlotta ritornasse dall’orto e gli apprestasse la -cena, quando udì qualcuno che si rimuoveva sotto -il portico. Non vi pose mente. La porta era spalancata, -ma padron Cecco non levò gli occhi a -guardare. Pensava ad un suo nuovo raggiro. -Così non badò a chi entrava nella cucina e solo -alzò il capo quando udì la voce di Carlotta dire: -</p> - -<p> -— Oh!... Come mai vi si vede, Gilda!... -</p> - -<p> -Allora guardò dall’altro lato della tavola e -si trovò innanzi la donna che l’aveva seguito -furtivamente quando ritornava dal mercato. Vestiva -sempre il lutto, aveva la pezzuola nera -sul capo e gli occhi suoi grandi fiammeggiavano -di sdegno. -</p> - -<p> -La Gilda non rispose a Carlotta. Guardava -Ceccone dall’Orto, fissamente. -</p> - -<p> -Questi non si scompose, la sua faccia gioviale -non ebbe un sol guizzo. Disse in tono placido: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -</p> - -<p> -— Sei venuta a farmi compagnia, Gilda? -</p> - -<p> -La Gilda, senza mutar volto, come fosse irrigidita, -mormorò: -</p> - -<p> -— Imbroglione!... -</p> - -<p> -Allora Ceccon dall’Orto si rivolse a Carlotta -che si scandalizzava e riprese: -</p> - -<p> -— La Gilda non si sente bene, forse! Hai -fatto il brodo questa sera? -</p> - -<p> -— Sì, padrone! -</p> - -<p> -— Be’, apparecchia per due. -</p> - -<p> -E siccome padron Cecco non disse altro, ogni -conversare finì. Rimasero di fronte e l’una pareva -volesse distruggere l’altro solo col fiammeggiare -degli occhi suoi fissi. Aveva puntato -i cubiti su la tavola e si stringeva la faccia fra -le palme. -</p> - -<p> -Padron Cecco riprese l’ordine de’ suoi pensieri -e nulla perse della sua tranquillità giuliva; -ma quando Carlotta si fece alla tavola con una -scodella e la pose innanzi alla Gilda, questa si -levò di scatto, scaraventò l’arnese in mezzo -alla stanza e riprese la via dell’uscio. -</p> - -<p> -Ceccon dall’Orto die’ nel ridere e a Carlotta -che gli chiese: -</p> - -<p> -— Ma che ha quell’indemoniata? -</p> - -<p> -rispose: -</p> - -<p> -— È un po’ matta, ma fa ridere! È la seconda -volta che la vedo, oggi! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -</p> - -<p> -— Badate, padrone, che è della razza dei -Giuli!... Badate non faccia uno sproposito! -</p> - -<p> -— E che dovrebbe fare? -</p> - -<p> -— Non si sa mai!... Una donna come quella!... -</p> - -<p> -— Hai paura che mi ammazzi? -</p> - -<p> -— Io non porrei la mano sul fuoco, sapete!... -È una donna capace di tutto! -</p> - -<p> -— Ma no! -</p> - -<p> -— Per me, fate quel che volete; ma, se fossi -in voi, terrei gli occhi aperti. -</p> - -<p> -— E li tengo chiusi, io? -</p> - -<p> -— Non dico questo. Ma non è prudente lasciarsi -accostare così da un’indemoniata come quella. -</p> - -<p> -— Ma credi sia la prima volta? Sarà un anno -che mi perseguita così; da quando l’ho lasciata! -Le ho offerto del denaro, non ne vuole! Le -ho domandato che cosa le abbisognava e neppure -mi ha risposto. Che cosa devo fare, allora?... -Vuoi che me la sposi?... Una volta mi -aspettava o all’osteria o sulla strada; mi capitava -fra i piedi ogni due ore e si accontentava -di guardarmi malamente. Ora pare voglia stare -più comoda, viene in casa; e tu lasciala venire. -Che vuoi farci? -</p> - -<p> -— Io la metterei alla porta! -</p> - -<p> -— Ma no, poveraccia! -</p> - -<p> -— Non vedete che vuol farvi dispetto? -</p> - -<p> -— Be’, ti pare che le riesca? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -</p> - -<p> -Carlotta si strinse fra le spalle e ritornò ai -suoi fornelli brontolando: -</p> - -<p> -— Se se ne accorgono i vostri parenti! -</p> - -<p> -— Credi non lo sappiano?... No, di quella -non hanno paura! -</p> - -<p> -E Ceccon dall’Orto rise, divertito dalla lotta -che gli si muoveva intorno sorda e continua -per il possesso dei suoi beni. -</p> - -<p> -E la Gilda continuò ad apparire, imperturbabile, -ogni sera, quando padron Cecco era per -mettersi a cena. Entrava per la porta aperta, -senza dir parola, senza badare a quelli che potevano -essere nella cucina, sedeva in faccia al suo -vecchio amante, puntava i gomiti sulla tavola, -la faccia fra le palme e così restava mezz’ora -e più in perfetto silenzio, guardando a sdegno -padron Cecco. Che fosse tuttavia innamorata -di Ceccon dall’Orto nessuno credeva, come -non si credeva che un qualsiasi interesse potesse -spingerla ad agire in sì strano modo; -ella ubbidiva unicamente alla sua natura dispettosa, -al bisogno di riuscire intollerabile a chi -non si era occupato di lei per tutta la vita e -le aveva detto addio con la tranquillità con la -quale si abbandona un indifferente. Nel sottile -groviglio della sua docile perfidia ella aveva -cercato e cercava tuttavia la persecuzione più -sorda, più continua, più implacabile; quella che -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -esaurisce ogni pazienza e si termina in aspri -litigi quando non ceda al peggio. -</p> - -<p> -La Gilda avrebbe dato metà del suo sangue -per vedere la faccia di Ceccone travolgersi -nell’ira brutale; l’anima sua maligna ne avrebbe -goduto come del più bel trionfo; ma come non -le riusciva neppure a scomporre per il battito -di un secondo la tetragona placidità dell’antico -amante, sempre più si incaniva in se stessa, -struggendosi dalla bile e pronta ad ogni più -sorda lotta pur di riuscire al suo còmpito. -</p> - -<p> -Altro non voleva se non tormentare e l’immutata -giocondia di padron Cecco la faceva -tormentata. -</p> - -<p> -Ora avvenne che, cadendo l’autunno ed essendo -tempo di grande caccia, Ceccon dall’Orto, -per imbandire certi suoi germani che aveva uccisi -nella palude, convitasse ad un festino gargantuesco -tutti gli amici suoi ed i parenti e -le donne dei parenti e degli amici. Due cuochi -giunsero dalla città in aiuto di Carlotta. -L’ampia cucina brillò per le grandi fiammate -e sì empì di grassi odori e di un festevole -vocìo fin dalle prime ore del giorno. -</p> - -<p> -Si apprestava il banchetto classico romagnolo, -ponderoso ed interminato, in cui le portate si succedono -e si moltiplicano, si sovrappongono e si ripetono -in tale abbondanza da farne sazio un paese. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -</p> - -<p> -La brigata incominciò a giungere fin dalla -mattina. Ora era un barroccino, ora un calesse, -ora un bagherino. -</p> - -<p> -Ogni nuovo arrivato incominciava a gridare -fin dalla strada per manifestar la sua gioia e -la sua fame. -</p> - -<p> -L’aver fame, molta e bramosa fame, è il complimento -più grato all’ospite che convita. E -Ceccone accoglieva gli invitati di su la soglia, -ridendo e vociando a sua volta, tutto rosso e -grasso e colossale che pareva lo specchio dell’uomo -che non sa se non la robustezza del -proprio stomaco insaziabile come il sepolcro. -</p> - -<p> -La stalla rigurgitò di cavalli e di ciuchi; -l’aia fu piena di calessi e di <i>bagher</i>; la casa -di genti, strillanti come la scimmia e la gazza. -Le donne si ritraevano in cucina; gli uomini -si adunavano su l’aia. Erano una coorte. E la -frase che correva intorno più frequente, a manifestar -la bramosia del gregge, era: -</p> - -<p> -— Quando si mangia? -</p> - -<p> -E ognuno faceva sollecitudine ai cuochi e -alle donne chè si affrettassero e dessero il -cenno che allieta colui che si appresta ad ingozzarsi. -Il cenno fu dato che ancora non era -il meriggio e l’immensa tavola imbandita fu -presa d’assalto. L’orgia bacchica incominciò. -Il sangiovese, l’albana, il pagadebiti, la canina, -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -corsero a fiumi giù per le sitibonde gole. -L’acqua fu bandita come una cosa immonda; -come la compagna dell’anatra e del luccio e dei -ridevoli ranocchi. E fra bere e impinzarsi la buona -gente romagnola si sentì a suo agio. Il cuore -crebbe a mano a mano che lo stomaco si saziò. -Tutti si vollero bene e vollero bene alle donne -e ai cuochi e ai cani e alle galline che razzolavano -sotto la tavola. La nativa scurrilità si elevò -di tono. Ogni sporca cosa divertì la brigata, ma -sopratutto le donne. Chi le diceva più grasse più -era apprezzato dalla compagnia e le risate succedevano -alle risate in un assordante baccano. -E fra tutte risuonava più alta la voce di Ceccon -dall’Orto. Egli non poteva dir cosa, anche fra le -più stupide, senza sollevare un clamore di approvazioni -e di risate, e, se apriva bocca, tutti -tacevano e si protendevano, rapiti. -</p> - -<p> -Ma avvenne che, sul più bello di un enorme -boccone, e il simposio volgeva alla fine, padron -Cecco stralunasse. -</p> - -<p> -Dapprima gli ospiti risero, credendo che il -milionario celiasse; ma quando videro la rotonda -faccia del mercante, di vermiglia divenir -paonazza e inturgidirsi nelle vene; e videro -gli occhi farsi di un subito sanguigni e metà -viso stravolgersi in una smorfia orrenda, balzarono -in piedi, ammutoliti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -</p> - -<p> -Fu prima una donna che disse piano: -</p> - -<p> -— Gli è venuto un colpo!... -</p> - -<p> -Poi l’attimo dello sbalordimento fu superato e -furono in venti a soccorrerlo. Padron Cecco non -dava più segno di conoscenza. Gli slacciarono i -panni, lo portarono al piano superiore, nel suo -letto, e mentre gli uomini correvano per il medico -altri andarono per il prete. Tutti lo videro morto. -Al baccano smodato subentrò un pavido silenzio. -</p> - -<p> -Ormai si poteva esporre apertamente il proprio -pensiero, Ceccone dall’Orto non capiva più. -</p> - -<p> -Ancora fu prima una donna che disse: -</p> - -<p> -— Bisogna cercare il testamento! -</p> - -<p> -E un’altra: -</p> - -<p> -— Non ne ha fatto! -</p> - -<p> -Un brivido corse fra i muti parenti, torvi -dinanzi alla morte che poteva carpir loro l’agognata -fortuna. -</p> - -<p> -Poi fu come una vandalica intesa e mentre -il moribondo rantolava nello spasimo della soffocazione, -l’avida muda si gettò sui canterali, -sugli armadi, sulle arche, rompendo e devastando -nell’ansia della suprema ricerca. -</p> - -<p> -Solo Carlotta singhiozzava muta in un angolo. -</p> - -<p> -Non fu trovata nè una carta nè un soldo e -la turbolenta masnada si rivolse a guardare il -moribondo, obliqua e sinistra. Su tutti quei -volti non era che il lampo dell’odio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -</p> - -<p> -Giunse il medico, intraprese la sua inutile cura. -</p> - -<p> -Gli fu chiesto: -</p> - -<p> -— Morirà? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— Potrà parlare? -</p> - -<p> -— Forse sì. -</p> - -<p> -— Ah!... — Una speranza si fece largo fra -la tenebra improvvisa. -</p> - -<p> -Ed anche il prete venne e dietro di lui la -Gilda vestita di nero. Aveva la pezzuola calata -su la fronte. Passò muta fra l’indifferenza degli -astanti, non salutò e non fu salutata. Ristette -in piedi, vicino al capezzale, le braccia pendule -e le mani incrociate. Sul volto di lei non era -se non la sua continua smorfia sdegnosa. -</p> - -<p> -Ora tutti erano intenti a seguire l’opera del -medico. Non rifiatavano. Vi fu un punto in cui -il rantolo di padron Cecco si affievolì e si -spense. Allora le donne mormorarono: -</p> - -<p> -— È morto!... -</p> - -<p> -E già il prete si chinava sul capezzale e dietro -di lui la Gilda, quando il morituro ebbe una subitanea -scossa, levò un poco il capo, aperse gli occhi: -</p> - -<p> -— Parla, parla!... — susurrarono le donne -protese. — Parla!... Potrà far testamento! -</p> - -<p> -E tutti si fecero innanzi togliendosi il cappello -e richinando umilissimamente la faccia. -Vi fu chi disse: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -</p> - -<p> -— Coraggio, Checco! -</p> - -<p> -Ed altri: -</p> - -<p> -— È nulla!... Guarirete, coraggio!... -</p> - -<p> -E i mormorii passavan via col brivido del -cuore in tumulto. -</p> - -<p> -Ceccon dall’Orto volse gli occhi intorno, disse: -</p> - -<p> -— Ho sete! -</p> - -<p> -Venti mani si protesero all’arida bocca rossigna. -</p> - -<p> -E Ceccone bevve e tutti lo guardarono assiepandosi -intorno a lui e attendendo le sue -parole. Fu un silenzio eterno. -</p> - -<p> -Padron Cecco richiuse gli occhi, li riaprì, -fissò ad una ad una le facce degli astanti volgendo -lentamente il capo. E su tutte le tragiche -maschere vide la stessa ansia rapinatrice, -velata di umiltà; su tutte, tranne una. Una -donna era là con l’anima sua di sempre, col -suo dispetto nemico, dipinto sul viso pallido. -Padron Cecco la guardò, disse: -</p> - -<p> -— La Gilda!... -</p> - -<p> -E questa, senza scomporsi, senza mutar voce -nè tono, come tante volte rispose: -</p> - -<p> -— Crepa, cane!... -</p> - -<p> -Ceccon dall’Orto tentò un sorriso, ricadde -spossato sui guanciali; ma poi lo videro muovere -un braccio come a chiamar qualcuno e -riaprì gli occhi e fe’ segno che il medico ed -il prete gli andasser vicini. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -</p> - -<p> -— Parla, parla!... -</p> - -<p> -— Fa testamento!... Ha chiamato i testimoni!... -Fa testamento!... -</p> - -<p> -Non fu mai ansia più tremenda, forse, neppure -in chi attendeva dal giudice la morte o la vita. -</p> - -<p> -Il medico e il prete si chinarono sul morituro. -</p> - -<p> -— Volete parlare? -</p> - -<p> -— Sì... ecco... la mia ultima... volontà!... -</p> - -<p> -I volti erano terrei. -</p> - -<p> -— Vi ascoltiamo — disse il prete. -</p> - -<p> -E il medico: -</p> - -<p> -— Vi ascoltiamo. -</p> - -<p> -— Io... ho piena coscienza... è vero? -</p> - -<p> -I testimoni dissero: -</p> - -<p> -— Sì. Avete perfetta coscienza. -</p> - -<p> -— Allora... (fra parola e parola pareva passasse -l’eterno silenzio). Allora... io... in perfetta -coscienza... voglio e dispongo che... erede -universale... delle mie sostanze... sia... -</p> - -<p> -Boccheggiò. Si udirono quattro bestemmie -favolose. -</p> - -<p> -Riprese: -</p> - -<p> -— ... sia... l’unica che non mente... la Gilda... -Gilda dei Patrizi... -</p> - -<p> -Ed altro non disse; ma non morì a tempo -per non udire la sincerità dei delusi scatenarglisi -contro come a nessun uomo mai, nell’odio -che impaura ed ammazza. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span></p> - -<h2 id="festa">LA FESTA DEI MIGLIACCI.</h2> -</div> - -<p> -I tre norcini si rivolsero a padron Serafino, -chè eran per separarsi, e domandarono: -</p> - -<p> -— Dunque è per domani? -</p> - -<p> -— Sì, per domani! -</p> - -<p> -— A bruzzico?... -</p> - -<p> -— Ma sicuro!... Ce ne son tre da governare! -Arrotate gli arnesi. -</p> - -<p> -— Non temete che son a filo. Allora saremo -da voi prima di giorno. Fate che tutto sia pronto. -</p> - -<p> -— Tutto è in ordine. Arrivederci. -</p> - -<p> -— Non ci pagate da bere? -</p> - -<p> -— No; chè se vi ubriacate non si lavora. -</p> - -<p> -— Anzi!... Si lavorerà più sodo!... -</p> - -<p> -— Berrete domani, chè faremo allegra festa. -</p> - -<p> -— Bene. Vi salutiamo. -</p> - -<p> -— Addio. -</p> - -<p> -Padron Serafino frustò la ronzina e i norcini -svoltarono per la viottola dei maceri. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -</p> - -<p> -Il livido decembre si assonnava infreddolito, -accorciando sempre più le giornate. Si era -alla vigilia di San Tomè che prende il porco -per lo pè. L’adagio rispecchiava l’usanza dei -bisavoli, dei trisavoli; l’antichissima consuetudine -di sacrificare, nel giorno di San Tommaso, -gli enormi porci satolli di farina gialla e di -ghiande. Epperò, nelle case che fiancheggiavano -la strada, si vedevan, dalle basse finestre senza -imposte, divampanti fiammate e grandi paiuoli sul -fuoco e genti in moto a varie opere. Inoltre, nel -crepuscolo bigio, passava a quando a quando -l’infernale urlìo delle immonde bestie mangerecce -le quali, tolte dai catri o dagli stabbioli, -e trascinate per le orecchie e per la coda verso -il luogo del sacrifizio, impaurite dal fatto inusitato, -non potendo altro opporre, tanto strillavano -da tòrre di senno l’armato norcino che -le attendeva al varco. -</p> - -<p> -Su la bassa pianura corsa dalle fiumane, intenebrata -dalla nebbia, dispoglia da ogni vita vegetale, -erano quelli gli unici suoni che trascorressero, -chè già le pievi disperse avevano suonato -l’ave e le strade, aspre di ghiaie, erano -deserte. Era la stagione in cui gli uomini più -vantano i pregi della mensa e ingioiscono e s’ingollano -e si satollano gridando, fra la tavola e -il fuoco, negli interminabili conviti; la stagione -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -sacra agli stomachi temprati alle eroiche fami -e ai pasti monumentali. Epperò l’ecatombe dei -grufolanti quadrupedi si annunziava per un acutissimo -stridere ripetuto di casa in casa, fin sotto -l’estremo arco della sera, fin dove la zona delle -nebbie più si ispessiva fra l’ignuda terra e il -cinereo cielo. -</p> - -<p> -Padron Serafino guardava e si encomiava per -aver resistito agli aspri rabuffi e alle geremiadi -della moglie sua pallida e scarna come il peccato -mortale; si encomiava, chè non avrebbe -capito mai in quale utile fosse per tornargli una -male intesa economia quando non aveva figliuoli -a cui pensare, e, se avesse voluto godersi tutto -il suo, innanzi di morire, questo era ben fatto! -Ma la Bita, che era il ritratto stesso del digiuno -e di ogni macerazione, più scendeva negli -anni e più si incaniva nella febbre del suo -risparmio, quasi che la vita le fosse diventata -un malanno e tutto stesse per rovinare nella -vecchia fattoria dei Conti. A darle retta si sarebbe -mangiato sul pugno, una volta al giorno, -pane e formaggio e nulla più; nè i vecchi vini, -che hanno nel cuor loro vermiglio la giocondìa -del sole, più sarebbero apparsi su la tavola; -nè i tradizionali fasti della mensa avrebber dovuto -continuarsi. E perchè questo? Perchè tale -quaresima se ormai poco più tempo restava al -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -loro godere, chè gli anni eran molti? Portare i -suoi <i>allievi</i> al mercato per trarne buon guadagno?... -Bene! E poi? Chi l’avrebbe compensato -del sacrificio? Forse la Bita co’ suoi vezzi? -</p> - -<p> -E padron Serafino rideva fra sè e frustava la -sbilenca ronzina. Ancora vide, nel bigio crepuscolo, -le case degli Anselmi, dei Montanari, dei -Migi illuminate di fiamma; e udì frastuono di -opere e di risa, mentre l’urlìo delle allombate -vittime saliva, si spegneva, riscoppiava acutissimo -fin oltre i visibili confini della sera decembrina. -</p> - -<p> -Come arrivò alla fattoria, la Bita era su la -soglia, attratta dal bubbolìo delle sonagliere, e, -ancor prima che padron Serafino fosse disceso -dal calesse, domandò: -</p> - -<p> -— Be’, li avete venduti? -</p> - -<p> -— Che cosa? -</p> - -<p> -— Gli <i>allievi</i>. -</p> - -<p> -— Sì, li ho venduti. -</p> - -<p> -— Quanto avete preso? -</p> - -<p> -— Centocinquanta marenghi; tre forme di -cacio e un piatto di migliacci. -</p> - -<p> -— Volete canzonarmi? -</p> - -<p> -— No, signora Bita!... Non vi par buono il -mercato? -</p> - -<p> -— Mi pare che mi manchiate di rispetto! -</p> - -<p> -— Oh!... Guarda!... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -</p> - -<p> -Padron Serafino rise, scese dal calesse, -chiamò: -</p> - -<p> -— Michele?... O, Michele?... -</p> - -<p> -Il garzone uscì dalle stalle e prese in consegna -la ronzina. -</p> - -<p> -— Aspetta, — disse Serafino. — Ho qui -qualche cosa. -</p> - -<p> -E si chinò a togliere dal cassetto del calesse -alcuni suoi involti. -</p> - -<p> -— E quella che roba è? — domandò la Bita. -E padron Serafino, infilando l’uscio di casa: -</p> - -<p> -— Toh!... Sono i marenghi! -</p> - -<p> -La Bita scrollò le spalle. Gridò: -</p> - -<p> -— Più invecchiate e più rimbecillite! -</p> - -<p> -— Già!... Io rimbecillisco, ma tu non canzoni!... -</p> - -<p> -Poi, dopo aver posato gl’involti su la tavola: -</p> - -<p> -— Be’, che cosa si mangia questa sera? -</p> - -<p> -— Niente. -</p> - -<p> -— Come niente? -</p> - -<p> -— Niente, vi ho detto!... È poco, niente?... -Niente!... -</p> - -<p> -— Sarai matta?... Ma ti sogni forse ch’io -voglia digiunare come te? -</p> - -<p> -— Se avete fame andate all’osteria. -</p> - -<p> -Padron Serafino incominciava a spazientirsi. -Si rivolse, guardò in faccia la sua donna irosa -e rispose: -</p> - -<p> -— Io non vado nè all’osteria, nè all’albergo, -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -nè.... Basta!... Io sono in casa mia qui; e voglio -mangiar qui!... O che storie sono queste? -</p> - -<p> -E la Bita ironicamente: -</p> - -<p> -— Perchè non mangiate i vostri allievi? -</p> - -<p> -— Non t’impensierire, chè domani sarà -fatto!... E non sarò solo alla festa!... -</p> - -<p> -— Come?... Domani.... ammazzate?... -</p> - -<p> -— Proprio così!... Domani ammazziamo!... -</p> - -<p> -— Dunque volete farmi tutti i dispetti possibili? -</p> - -<p> -— Prendila come vuoi! -</p> - -<p> -— Vi siete giurato di romperla? -</p> - -<p> -— Romperla o no, io voglio così e così deve -essere! -</p> - -<p> -— Peggio di una serva mi trattate!... Ma la -vedremo!... Oh, la vedremo come finirà!... -</p> - -<p> -Allora padron Serafino si rivolse, levò la mano -chiusa con l’indice teso e incominciò: -</p> - -<p> -— Stammi a sentire, moglie.... -</p> - -<p> -Ma in quel che era per catechizzare la recalcitrante -compagna, ecco aprirsi la porta ed entrare -i tre norcini. Il capomaestro, magro e brucato -come l’erbaio delle capre, si fece innanzi -e disse: -</p> - -<p> -— Siamo venuti. -</p> - -<p> -Padron Serafino lo sbirciò in tralicio. -</p> - -<p> -— Siete venuti?... O che l’alba spunta alle -nove di sera quest’oggi? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -</p> - -<p> -E il capomaestro: -</p> - -<p> -— Abbiamo pensato che ne avevate tre, padrone; -e siccome si voleva fare il nostro lavoro -a modo, e posdomani siamo impegnati, si lavorerà -tutta la notte. -</p> - -<p> -Padron Serafino guardò involontariamente la -donna sua, ma questa gli volse le spalle grugnendo -ed uscì. -</p> - -<p> -— Sta bene, — disse il grosso fattore, e si -fregò le mani. — Sta bene. Allora all’opera! -</p> - -<p> -I norcini deposero gli arnesi su la tavola, si -tolsero la cacciatora, vestirono i grandi grembiuli -insanguinati. -</p> - -<p> -— Siamo pronti, — disse il capomaestro. — Ora -chiamate i garzoni che accendano il fuoco. -</p> - -<p> -Animati dalla speranza di un pasto succolento, -i garzoni accatastarono in breve, vicino al focolare, -una montagna di sarmenti. Fu sgombrata -la camera dagli oggetti inutili. Si fece posto al -troppolo, a una gran tavola, al sacco del sale -e furono fissate alle travi lunghe corde terminate -da ganci. -</p> - -<p> -Il capomaestro dirigeva l’opera. Quando tutto -fu compiuto, afferrò l’acuminato punteruolo e -disse: -</p> - -<p> -— Andiamo. -</p> - -<p> -Padron Serafino e i compagni gli tennero dietro. -La cucina chiareggiava per la fiammata altissima. -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -Poco dopo i tre <i>allievi</i> di padron Serafino -empirono la notte delle loro urla laceranti -e l’olocausto al Dio della fame fu compiuto. -</p> - -<p> -La Bita era scomparsa, ma nessuno si occupò -di lei. I norcini e gli uomini della casa erano -troppo intenti a sparare e a governare i tre monumentali -<i>allievi</i> di padron Serafino perchè avesser -la mente ad altro; nè si addiedero del cupo -abbaio dei mastini, chiusi in fondo all’aia, nella -capanna dell’aratro. Sopraggiunsero le genti del -vicinato. Si fermarono sulla soglia battendo i -piedi e disviluppandosi dalle mantelle. -</p> - -<p> -— Che si fa lo sdrucio? — chiedevano. -</p> - -<p> -E padron Serafino: -</p> - -<p> -— Chi vuol mangiare, lavori!... -</p> - -<p> -Finirono per essere una ventina all’opera. -Chi tagliava, chi tritava, chi insaccava, chi struggeva -la stillante grascia, chi si arrovellava agli -strettoi a fare i pani di ciccioli, chi, lasciata la -mannaia sul troppolo, affondava le braccia nel -sacco del sale o drogava il rosso tritume cosparso -di grasselli, chi cuoceva i mallegati negli -enormi paiuoli, chi apprestava la rosticciana e -i migliacci chi adunava le setole, chi i zampetti, -le cotenne, il grugno e le gote a far la soppressata. -Era un rumoroso tramestio interrotto a -quando a quando dal grido di gioia che si leva -allorchè si dilemba e si assolca la terra; o quando -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -si accorolla la paglia in tumulto e la bica è disfatta. -Per l’indomani padron Serafino aveva -convitato i parenti, i vicini, gli amici a far la -festa dei migliacci, e il pantagruelico pasto, -inaffiato dai vini migliori della fattoria, accendeva -il desiderio degli uomini accorsi a prestar -mano all’opera gioconda. -</p> - -<p> -I mastini continuavano a latrare sordamente. -La Bita non si vide più. -</p> - -<p> -Or come la notte fu verso il suo termine, la -stanchezza vinse l’operosa brigata e fu deciso -che tutti avrebber riposato un par di ore. Ognuno -riprese la propria mantella ed uscì dopo aver -fissato l’ora della ripresa. -</p> - -<p> -Ultimi ad andarsene furono i norcini e padron -Serafino: quelli entrarono nella stalla, questi salì -alla sua stanza. Quando fu al termine delle scale, -accese un fiammifero ed aprì cautamente la porta -per non ridestare la Bita, ma la precauzione fu -inutile perchè la Bita non c’era e il letto era -intatto. Non vi pensò più che tanto. Era stanco, -aveva sonno. Si tolse le scarpe e la cacciatora, -s’infilò sotto le coltri e, dopo un minuto, dormiva. -Ma non tanto dormì chè, di repente, balzò -sul letto, sbalordito dall’affannosa chiamata del -capomaestro; -</p> - -<p> -— Padrone.... padrone.... scendete che hanno -aperto la porta, e i mastini.... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -</p> - -<p> -— Eh? — gridò Serafino. — I mastini?.... -</p> - -<p> -— Sono entrati in cucina.... -</p> - -<p> -— In cucina?... -</p> - -<p> -— È un guaio!... Un guaio!... -</p> - -<p> -Padron Serafino scese il letto e così in pedùli -traversò la stanza e si gettò giù per le scale. -</p> - -<p> -Quando vide il disastro, si portò le mani ai -capelli, senza far parola. Anche i tre norcini -guardavano, allibiti. Durante il loro sonno qualcuno -aveva disciolto i mastini e aveva aperto -l’uscio della cucina. Le bestie affamate non -avevano chiesto di meglio per darsi alla devastazione. -Ora non rimaneva di tutta la faticata -opera notturna se non uno sconcio tritume sparso -qua e là per terra, sulle tavole, presso la cenere -del camino. -</p> - -<p> -Il giorno non era nato ancora. Appena si vedeva -un po’ di chiarinella all’estremo levante. E -nevicava; nevicava a dolco, a fiocchi serrati, fra -un grande silenzio. Ed ecco che, dal silenzio, -all’improvviso si levò, leggero e delicato, un -canto di voci argentine di bimbi e di fanciulli. -Giungeva dall’altro lato della corte, dove erano -i magazzini e le stanze disabitate nelle quali -dormivano i braccianti alla buona stagione. -</p> - -<p> -Padron Serafino si inorecchì, volse il capo, -domandò: -</p> - -<p> -— Che cos’è questo? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -</p> - -<p> -I tre norcini si strinsero nelle spalle senza rispondere. -</p> - -<p> -Il canto si levava, con nostalgica dolcezza, -dal gran silenzio, e pareva lontano, pareva attraversasse -tutto il cielo per giungere fin là, o -superasse le volte di un chiuso tempio deserto. -Era un’aria antichissima, un motivo liturgico, -sacro a Natale ed ai fanciulli dai tempi dei -tempi. -</p> - -<p> -Padron Serafino mormorò: -</p> - -<p> -— Cantano la pastorella! -</p> - -<p> -E i tre norcini: -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -Nella nuova pausa si udiron le parole del canto: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo,</p> -<p class="i01">E vieni in questa grotta al freddo e al gelo....</p> -</div></div> - -<p> -Padron Serafino non rifiatava, le braccia penzoloni. -Entrò Michele, il garzone. Serafino gli -disse: -</p> - -<p> -— Dov’è la Bita? -</p> - -<p> -Michele rise e disse: -</p> - -<p> -— È nei magazzini. È tornata un’ora fa. -Aveva con sè una ventina di marmocchi. Non -li sentite cantare? -</p> - -<p> -— Sì. Anche questa è una novità! -</p> - -<p> -E Michele: -</p> - -<p> -— Si preparano per la notte di Natale. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -</p> - -<p> -— E c’è bisogno di prepararsi proprio all’alba?... -Sul più bello del sonno?... E i mastini -chi li ha preparati?... -</p> - -<p> -Michele si volse da un altro lato. -</p> - -<p> -— Quando sono andato a letto avevo ben -chiusa la porta, io!... Chi l’ha aperta? -</p> - -<p> -Eguale silenzio. -</p> - -<p> -— E chi ha sciolto i cani dalle catene? -</p> - -<p> -Michele scoppiò in una risata improvvisa. -</p> - -<p> -— Perchè ridi, stupido? -</p> - -<p> -— Rido.... perchè.... la Bita.... -</p> - -<p> -— L’hai veduta? -</p> - -<p> -— Sì.... -</p> - -<p> -— E perchè non sei venuto a destarmi? -</p> - -<p> -— Perchè?... Perchè c’è stata lei a far la -guardia!... -</p> - -<p> -— Va bene. -</p> - -<p> -Padron Serafino non perse la calma. Ordinò -a Michele e ai due norcini di salvare dal disastro -ciò che ancóra era salvabile e di riordinare -tutto e di non far parola come se nulla fosse -stato; poi, afferrato un punteruolo robusto, si -volse al capomaestro e gli disse: -</p> - -<p> -— Vieni con me. -</p> - -<p> -E uscirono. Michele ed i norcini si guardarono -in faccia: -</p> - -<p> -— E adesso che succede? -</p> - -<p> -Sempre si udiva il dolce canto giungere per -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -l’aria come se discendesse con la neve dall’infinita -pallida foschia. -</p> - -<p> -— Ho paura che succeda qualcosa di grosso! — fece -Michele; ma in quel che si avvicinava -alla finestra per guardar nella corte, ecco rientrare -padron Serafino, seguito dal capomaestro -e da Luigi, il biolco. -</p> - -<p> -— Presto, presto!... — gridò Serafino. — Tu, -Michele, va, attacca la cavalla e verrai con noi. -E tu, Luigi, prendi il morello e gira per tutte le -case, per tutti i ritrovi e invita uomini, donne, -preti.... chi conosci e chi non conosci.... invita -chi incontri: poveri e ricchi, contadini, braccianti, -cacciatori, pescatori.... tutti, insomma!... -Hai capito?... Tutti!... Devi dire che padron Serafino -ha vinto al lotto e vuol dare una gran -festa.... un festone stragrande!... E che riempirà -di tavole imbandite tutta la casa, fino alle cantine.... -e che non guarderà in faccia nè ad amici -nè a nemici perchè vuol stare allegro.... perchè -vuol ridere e vuole che tutto il vicinato goda -con lui! Hai capito?... E non dimenticarti dei -suonatori! Vogliamo ballare, vogliamo!... Hai -capito?... -</p> - -<p> -Poi, senza attendere risposta, si volse ai norcini, -e parlava affollato come se l’affanno fosse -per soffocarlo: -</p> - -<p> -— E voi accendete i fuochi, qui e nella stanza -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -delle pile. Fate tutto alla grande! Eccovi cento -lire!... Se non c’è sale, compratene; se non ci -sono droghe, compratene. Quando ritorno voglio -trovar tutto all’ordine. Se vien gente dite -che aspetti. — Luigi?... Senti. Prima di andar via, -aggioga i buoi al carro.... chiama Pietro e digli -che li conduca dai Fiori, che ne avrò bisogno. -Presto dunque!... Presto!... Non state lì a guardarmi -come tanti mammalucchi!... Oggi si vuol -far ribotta, oggi!... Dev’essere uno sdrucio, da -ricordarsi negli anni!... Andiamo.... Andiamo!... -</p> - -<p> -E uscì seguito dal capomaestro. La ronzina -li attendeva nella corte: salirono sul calesse e -partirono fra la neve senza che nessun rumore -si avvertisse; solo si udiva il canto dei fanciulli -dai magazzini: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo....</p> -</div></div> - -<p> -Anche Luigi partì e Pietro col pesante carro -vermiglio. I norcini accesero i fuochi. Incominciarono -a giungere gli invitati, ma la neve attutiva -ogni rumore e nessuno levava la voce -tuttavia. -</p> - -<p> -Quando padron Serafino ritornò, dietro il -carro nel quale giacevano due nuovi <i>allievi</i> già -macellati, si fermò ad ascoltare se la Bita fosse -sempre nei magazzini. C’era sempre. Disse: -</p> - -<p> -— Bene!... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -</p> - -<p> -Gli <i>allievi</i> furono portati in cucina: il carro -fu riposto. La gente che giungeva entrò nelle -stanze a terreno senza rifiatare per non insospettire -la Bita. -</p> - -<p> -Michele fu posto a guardia della casa. Si era -rimpiattato in una ceppa e, avvoltolato entro -il suo rifugio, spiava l’uscita dei magazzini. Nevicava -sempre. Padron Serafino non era tuttavia -sereno. Solo si irraggiò quando Michele -aprì la porta e disse: -</p> - -<p> -— Se n’è andata? -</p> - -<p> -— L’hai veduta? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— Ha preso la via della chiesa? -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— Allora è fatta!... Presto, ragazzi, diàmoci -d’attorno. La Bita non ritornerà prima di mezzogiorno -e a mezzogiorno le tavole vogliono -essere imbandite! -</p> - -<p> -Rotti i freni, il baccano e il furor dell’opera -ricominciarono come la notte innanzi. La gente -corse da tutte le parti all’invito, chè la nuova -si era diffusa. Più di settanta persone si trovarono -in breve, raccolte su la faccia del luogo. -La nativa gaiezza romagnola travolse la brigata. -I volti s’invermigliarono, i cuori si aprirono: -non vi fu più padrone e contadino, ma -gente che voleva godere e ridere e star di -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -buon core sotto la faccia del cielo. E le botti -pensarono al resto. A mezzogiorno tutto era -compiuto. Imbandite le tavole, apprestate le vivande, -spillati i vini negli enormi boccali a fiorami. -Tutte le stanze a terreno rigurgitavano -di convitati. Michele stava sempre sull’avviso -a spiare il ritorno della Bita. Padron Serafino -attendeva presso l’uscio e quando il garzone -giunse correndo e mormorò: -</p> - -<p> -— Eccola, eccola!... Viene!... -</p> - -<p> -Padron Serafino fece il cenno convenuto e -tutti tacquero sedendo intorno alle tavole imbandite. -Non si udì più se non il crepitar del -fuoco e qualche susurrare subito interrotto. Il -grosso fattore sedeva alla tavola più grande -avendo a lato i norcini, i suoi compagni di mercato -e le ben pasciute donne del contado. -</p> - -<p> -La Bita entrò nella corte. Tutti allungarono -il collo, a guardare dalle anguste finestre. Passò -un fremito e un susurro: -</p> - -<p> -— Eccola, eccola, eccola!... -</p> - -<p> -E una trepidazione gioiosa tenne il core di -tutti i festanti. La Bita non aveva fretta. -</p> - -<p> -Si fermò, stupita, a osservar le innumerevoli -pediche su la neve; si accostò al canile a vedere -se i mastini c’erano sempre; si sorprese dello -strano silenzio che regnava. Si volse intorno. -Piano piano si diresse all’uscio, come a malavoglia. -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -La trepidazione dei convitati si accresceva -sempre più. Si udì smuoversi la maniglia -dell’uscio, si vide il paletto che si levava un -poco. Trascorsero fulminei susurri: -</p> - -<p> -— Viene!... Non viene!... Se ne è accorta.... -No!... -</p> - -<p> -Padron Serafino aveva puntato le mani alla -tavola, nell’atto del levarsi, e stava così, rivolto -verso l’uscio, come fosse magato. -</p> - -<p> -Poi l’uscio si dischiuse un poco, sempre un -po’ più, lentissimamente, e la scarna figura della -peccatrice abbrunata apparve nel vano. Ma appena -aveva levata la faccia di sotto lo scialle -nero, e lo stupore si dipingeva in quella, che, -da settanta petti, contemporaneamente, sorse -un grido formidabile; -</p> - -<p> -— Evviva, evviva la Bitaaaa!... -</p> - -<p> -La donna illividì, parve impietrirsi, non dette -più cenno di vita. Caduto il grido, non si rimosse, -non comprese. Ferma e rattratta sotto -lo sguardo delle genti, non rifiatava. Allora -padron Serafino parlò. Disse: -</p> - -<p> -— Moglie, questa gente pregherà il Signore -per te!... — La Bita levò gli occhi cupi. — Tu -hai avuto pietà dei cani e io ho avuto pietà -degli uomini. Moglie, ciò che è mio è tuo e ciò -che è tuo è mio; ma è giusto ringraziare te -di questa ribotta, perchè ho preso i soldi dal -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -tuo canterale. Erano cinquanta bei marenghi -nuovi di zecca. Ce li mangiamo per la tua salute! -È giusto!... -</p> - -<p> -Poi, fra l’improvviso travolgente baccano dei -banchettanti, che avevano disciolto ormai ogni -freno, si udì levarsi acutissima l’aspra voce -della peccatrice abbrunata: -</p> - -<p> -— Ladro, ladro!... Assassino!... Erano i denari -per il mio mortorio!... Ladro.... ladro.... -ladro!... -</p> - -<p> -Ma poco valse la sua pena, di fronte al giocondo -irrompere delle genti che le sovrastavano -berciando, ed ella si raccolse in un angolo, il -volto celato nelle volute del suo nero zendado, -e così stette singhiozzando senza rimuoversi -per quanto tempo durò l’allegra festa dei migliacci. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span></p> - -<h2 id="madre">LA MADRE.</h2> -</div> - -<p> -Girò due volte la chiave nella toppa, aprì la -finestra sul giardino, respirò l’aria nuova, si -irraggiò di sole, ristette pensosa per l’attimo -di un suo turbamento inespresso. Era sola, si -sentiva libera di pensare, di piangere, di ridere -senza essere osservata, senza essere curata, -senza l’ossessionante miseria di un egoismo -amoroso che non le dava tregua e respiro. -</p> - -<p> -Sapeva che poco sarebbe durata anche quella -sua momentanea pace perchè nel termine di -una fuggevole ora qualcuno avrebbe bussato -alla porta e una voce sommessa si sarebbe -levata a domandar di entrare; ma frattanto poteva -abbandonarsi a sè stessa, essere un attimo -senza guardia e senza il sorriso di un affetto -che a mano a mano, inattesamente e fatalmente, -le si convertiva in odio. -</p> - -<p> -Sedette alla scrivania, guardò a lungo il sereno, -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -le rose in fiore, i comignoli dei vecchi -tetti, le finestre delle soffitte che non si aprivano -mai e dalle quali pendevano, ondeggiando -al vento, le ragnatele; guardò là cima di un -cipresso che svettava oltre la cinta di un giardino -e lo spirito di lei, appartandosi fra le dolci -cose consuete, distendendosi come al respiro -del morire di quel maggio, ritornò alla sua -gaiezza nativa, dimenticò tutto, seguì la sua -via naturale nel sogno, poichè la vita le era -una maledetta costrizione ed un continuo affanno. -</p> - -<p> -E dall’insolito silenzio le proveniva la sua -gioia; sempre più si schiariva nell’abbandonarsi -alla necessità del suo vivere. Tutto era dimenticato, -tutto era morto e lontano e scomparso, -proseguiva, come la nube innamorata del sole -e del vento va per i liberi spazi secondo la -legge delle creature lanciate dalla nascita alla -morte. Come ogni astro ed ogni goccia di pioggia, -ed ogni fiore cercava il suo compimento, -costruiva la propria vita oltre il dolore e la -morte di chi l’aveva preceduta. -</p> - -<p> -E l’umile aspetto di cui si rivestiva l’egoismo -materno non le fu più dinanzi, nè più ricordò -le melate parole che le predicavan la rinunzia -per amore, nè le lacrime mute più penose -di un’aperta volontà contraria alla quale -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -si può trovar forza per resistere come incitatrice -di energia, nè la sorda lotta combattuta -ora per ora, giorno per giorno in una snervante -malinconia di opaco contrasto, di egoistica -miseria che si infingeva rivestendosi di -dolcezza e di bontà. Più nulla, più nulla! Il suo -cuore era gaio come il cielo turchino, chiaro come -un cristallo, aperto come l’ebbra rosa solare. -</p> - -<p> -La faccia appoggiata alle piccole palme dischiuse, -gli occhi larghi sulla bionda luce del -giardino, seguiva una dolcezza di memorie inquadrate -in volti di paesi lontani, vissuti per -tenerezza di amore, discoperti come all’origine -della vita e sorrideva come se tutto le ritornasse -dinanzi a volta a volta in una realtà più -intensa e profonda di quella vera e s’ella si trovasse -tuttavia, nei calessi che la trascinavano -su pei colli verso una selva, verso un paese -turrito, verso una città solitaria; e l’uomo amato -le era vicino e la conduceva al limitare del -sogno. -</p> - -<p> -Rinascevano così le parole scambiate, quelle -più turgide d’ansia, che più si accostavano, -come un brivido, dalla bocca al cuore e dal -cuore a tutto il senso; e le estasi mute, e l’affannoso -volto del piacere che occhieggiava di fra -le siepi del biancospino come una giovine nudità -intravveduta per cui si trema e si sogna. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -</p> - -<p> -E come più le memorie si affollavano, simili a -volti di fanciulli al cancello di un giardino, più -ella sentiva la profonda gioia della sua solitudine. -</p> - -<p> -Rilesse le ultime lettere che le aveva mandato -da lontano e il tempo le scorreva sì rapido -che appena le pareva di essere entrata -nella stanza quando udì qualcuno che bussava -alla porta. -</p> - -<p> -Ebbe un atto di impazienza; le gote le si -arrossarono all’improvviso, volse il capo a domandare: -</p> - -<p> -— Chi è? -</p> - -<p> -Una voce umile rispose: -</p> - -<p> -— Sono io! -</p> - -<p> -— Che vuoi? -</p> - -<p> -— Ti disturbo?... -</p> - -<p> -— Vorrei rimaner sola! -</p> - -<p> -Trascorse una pausa. La stessa voce riprese -ancóra più sommessa: -</p> - -<p> -— C’è una lettera per te. -</p> - -<p> -— Una lettera? -</p> - -<p> -— Sì. L’ha portata poco fa il postino. -</p> - -<p> -Anna si levò e si fece alla porta. Apparve -il piccolo viso dolciastro della madre. -</p> - -<p> -— Dov’è la lettera? -</p> - -<p> -— Eccola — fece la madre e gliela porse. -</p> - -<p> -Un’occhiata bastò ad Anna per capire dalla -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -soprascritta di che si trattava. Piegò la lettera -in due e la ripose in seno. -</p> - -<p> -La madre la guardò fare senza mutar volto, -sempre umile nella sua mansuetudine apparente. -Fu un silenzio penoso. -</p> - -<p> -— Non la leggi? — domandò la madre. -</p> - -<p> -— Oh, non è nulla di importante! -</p> - -<p> -Anna non abbandonava la maniglia dell’uscio; -l’altra, che si era ferma sulla soglia, mosse un -passo per entrare. -</p> - -<p> -— Chi ti scrive? -</p> - -<p> -— Non so. Forse sarà l’Angiola. -</p> - -<p> -— L’Angiola?... Non mi pare la sua calligrafia! -</p> - -<p> -— Mah!... -</p> - -<p> -Non si guardavano in faccia. La madre deviò -il discorso, abilmente. -</p> - -<p> -— Non ti fa male agli occhi tanta luce? -</p> - -<p> -— No. Mi piace. -</p> - -<p> -— Non vuoi che ti socchiuda le persiane? -</p> - -<p> -— No, grazie! -</p> - -<p> -Le risposte di Anna erano concise e la voce -dura. Ciò moltiplicava le pause. -</p> - -<p> -— Poco fa è venuta la signora Erminia; voleva -vederti. Ho detto che non eri in casa. -</p> - -<p> -— Hai fatto bene! -</p> - -<p> -— Sai chi sposa? -</p> - -<p> -— No. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -</p> - -<p> -— L’Amelia. -</p> - -<p> -— Ah! -</p> - -<p> -— Si è fidanzata col dottor Pini. -</p> - -<p> -La madre guardava per la stanza. Disse dopo -una sosta più lunga: -</p> - -<p> -— Già vorrai rimaner sola! -</p> - -<p> -— Mi faresti piacere. -</p> - -<p> -Ma la signora Viani non si rimosse. Aveva sempre -il suo sorriso di vittima sulle piccole labbra -stirate e gli occhi malinconicamente umidi. -</p> - -<p> -Disse ancora: -</p> - -<p> -— Aspetta, Anna. Questa mattina non ti -hanno cambiato gli asciugamani. Ora li prendo io. -</p> - -<p> -— Non importa, mamma. -</p> - -<p> -— Non vuoi? -</p> - -<p> -— È inutile. Ora non mi abbisognano. -</p> - -<p> -— Ma.... se più tardi.... -</p> - -<p> -— Fra poco scenderò. -</p> - -<p> -— Come vuoi! -</p> - -<p> -Come si addiede di non poter scegliere via -che la conducesse al suo porto, la signora Viani -si ritrasse di su la soglia. -</p> - -<p> -— Allora ti aspetterò giù. -</p> - -<p> -— Sì, mamma. -</p> - -<p> -— Tarderai molto? -</p> - -<p> -— No.... Qualche minuto. -</p> - -<p> -— Non vuoi uscire questa mattina?... C’è -tanto un bel sole!... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -</p> - -<p> -— Non ne ho voglia. -</p> - -<p> -— Bene. -</p> - -<p> -E si volse per andarsene. Anna richiuse la -porta, attese che il passo della madre fosse dileguato -giù per le scale e allora girò per due -volte il chiavistello e respirò sollevata. -</p> - -<p> -Tornò allo scrittoio. Il volto di lei si distese, -animato da una segreta gioia improvvisa, tolse -la lettera dal seno, l’aprì. E non erano parole -scritte ch’ella aveva dinanzi, ma il volto del -suo amore e l’udiva parlare appassionato come -se le fosse dietro le spalle, inchino, e la bocca -di lui le sfiorasse le orecchie e il respiro le -scendesse per le tempie e per le gote per farla -abbrividire. Si udivano i passeri e le rondini. -</p> - -<p> -Cigolò la carrucola di un pozzo; una donna -cantò il fior dell’arche odorose che si dischiudono -per i letti dei giovani quando l’amore -consiglia. -</p> - -<p> -Oh amore e gioia! E c’era una nuvola bianca -ed esigua su l’orlo del giardino, là dove il -cielo si chinava presso una nera torre quadrata, -fiorita da ciuffi di ranuncoli. Le glicinie -erano in fiore. Avevano coperte le mura dei -loro corimbi azzurri e violacei; molli come il -molle cielo. Ne erano quasi chiuse le finestre -delle camere disabitate e i colombai. Anche le -vecchie mura di rossi mattoni godevano del -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -sole e della primavera e le bifore chiuse da -tanti mai anni; chiuse con lo spirito di una -bellezza morta. -</p> - -<p> -Ed ella benchè non vedesse, assorta com’era -nel suo léggere amoroso, sentiva l’anima delle -cose circostanti irraggiarsi come l’anima sua, -nel mattino, chè tutto compiace a giovinezza. -</p> - -<p> -E ancora udì bussare alla porta. Nascose la -lettera nel seno; si levò. Era la madre con un -fascio di fiori. Disse: -</p> - -<p> -— Ti ho portato i fiori per i tuoi vasi. Questa -mattina non li avevi raccolti. -</p> - -<p> -— Grazie! -</p> - -<p> -Li prese e li posò sopra una sedia. -</p> - -<p> -— Ti occorre nulla? -</p> - -<p> -— No. -</p> - -<p> -— Non vuoi bere una tazza di brodo? -</p> - -<p> -— No, grazie. -</p> - -<p> -— Te l’avevo preparata!... Anna, ti indebolirai. -</p> - -<p> -— Ma se mi sento bene! -</p> - -<p> -— Non vuol dire!... Dunque non la vuoi?... -Te l’ho portata!... È qui!... -</p> - -<p> -— No, mamma, non la voglio!... -</p> - -<p> -— Via.... ubbidisci! Ti farà bene!... -</p> - -<p> -Prese la tazza e la posò sulla sedia, vicino -ai fiori. Le passarono per la mente i liberi -amanti campagnoli che vanno per le strade -morte, in solitudine, e nessuno li turba, e nessuno -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -li insidia e nessuno guasta loro la segreta -gioia dell’amore. -</p> - -<p> -— Dunque non vuoi uscire?... -</p> - -<p> -— No. -</p> - -<p> -— Ti farebbe bene prendere un po’ d’aria! -</p> - -<p> -— Non ne ho bisogno. -</p> - -<p> -— Come sei rossa!... Che cos’hai?... -</p> - -<p> -— Io?... Niente!... -</p> - -<p> -— Hai avuto qualche brutta notizia? -</p> - -<p> -— No.... perchè?... -</p> - -<p> -— Mi sembri agitata! -</p> - -<p> -— Ti inganni. -</p> - -<p> -— Chi ti ha scritto?... -</p> - -<p> -Fu per mentire, ma l’anima sua diritta si ribellò -a una simile meschinità. Non rispose. -</p> - -<p> -— Non si può sapere?... — riprese la madre -sorridendo, e gli occhi suoi malinconici erano -ancora più umidi. -</p> - -<p> -— Se proprio lo desideri! -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— È Armando! -</p> - -<p> -— Come?... Ancóra?... -</p> - -<p> -— Ancóra?... -</p> - -<p> -— E ha avuto il coraggio.... -</p> - -<p> -— Ha risposto semplicemente a una mia -lettera!... -</p> - -<p> -— Tu gli hai scritto per prima?... -</p> - -<p> -— Sì!... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -</p> - -<p> -— Anna!... Se lo sapesse tuo padre! -</p> - -<p> -— Lo saprà perchè glie lo dirò! -</p> - -<p> -— Non farlo, per carità! -</p> - -<p> -— Babbo saprà capirmi ed io non voglio -mentire!... -</p> - -<p> -— Ma le tue promesse?... -</p> - -<p> -— Io non ho promesso nulla! -</p> - -<p> -— I tuoi pianti?... -</p> - -<p> -— Dovevi capire perchè piangevo! -</p> - -<p> -— Oh, Anna!... -</p> - -<p> -E delle mani grinzose si fece velo alla piccola -faccia. Parve incerta se scoppiare in singhiozzi. -Si trattenne. -</p> - -<p> -— Mi fai leggere quella lettera?... -</p> - -<p> -— Questo no! -</p> - -<p> -— Almeno dimmi quello che ti dice! -</p> - -<p> -— Neppure!... -</p> - -<p> -— Rispondi così alla tua mamma?... -</p> - -<p> -Anna si volse a guardare da un’altra parte, -tutta bianca per l’emozione. -</p> - -<p> -La signora Viani raumiliò la debole voce e -disse sospirosa: -</p> - -<p> -— Questa è la ricompensa per il bene che -ti voglio!... -</p> - -<p> -Allora la giovinetta si volse di scatto, guardò -la madre in faccia, fieramente, e d’un tratto si -abbattè sulla scrivania, la faccia nascosta fra le -braccia ripiegate. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -</p> - -<p> -— Oh, mamma, mamma, mamma!... -</p> - -<p> -Fu un pianto represso ed aspro elle la scosse -e la sconvolse. -</p> - -<p> -E la madre chinò la piccola testa e uscì silenziosamente -senza chiuder la porta. -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -Ed eran due anni che la sorda lotta continuava -così, senza nessuna pietà, ordita sulla -trama di una tenerezza opprimente. Da un lato -la madre a moltiplicare le attenzioni, i consigli, -le scialbe dolcezze in un vigile affetto sospettoso, -dall’altro Anna a difendere il suo fiero -amore dall’insidia quotidiana. Perchè non v’era -causa valevole che si opponesse al compimento -di due destini se non il materno egoismo. -</p> - -<p> -Armando Vada era inviso alla buona madre -solo per ciò che lo distingueva dai suoi coetanei. -Non era una bestia da soma, non un uomo -di famiglia, chè non voleva imbrancarsi e marcire -nei piccoli cerchi delle piccole famiglie; non -amava gli impieghi nè la beata tranquillità di -un tanto al mese, nè la parca mensa che abbrutisce -lo spirito fra lo scemo pettegolezzo -quotidiano e il dominio delle stupide femmine -che hanno il còmpito di ricondurre l’uomo alla -sua greppia, alla sua condanna, alla morte di -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -ogni luce ribelle. I discorsi di lui avevano -stordito l’umile signora Viani la quale se ne -era fatta come un anticristo, ma, ancor più di -tutto questo, l’aveva spaventata l’idea di perdere -la sua Anna per sempre chè Armando Vada -non nascondeva il suo intendimento di andarsene -in paesi lontani ad esplicarvi la propria -energia in una lotta dalla quale, se si esce -trionfatori, si coglie una ben larga messe. E -non tanto il rischio la spaventava quanto l’idea -di non vedersi più d’attorno la sua bella figlia. -Anna era bella, lo dicevan le genti, lo dichiaravano -gli innumerevoli innamorati e di tale -bellezza la piccola madre andava orgogliosa -come di un vezzo di grazia per la sua vecchiaia, -come di qualcosa che le spettava per giusto -diritto e da cui non doveva mai separarsi. La -sua vanità egoistica si era terribilmente serrata -intorno alla figlia e ribadita in apparenza -di affetto. -</p> - -<p> -Da quando Anna aveva incominciato ad essere -qualcosa più di una bimba, la dolce madre, -per farne un campione di bellezza, l’aveva -ornata e addobbata come un altare, sol per -sentirsi dire: — Com’è bella!... — e veder la -gente soffermarsi lungo la strada e l’invidia -negli occhi delle giovinette. E da quel tempo -l’assiduità sua intorno alla figlia si era moltiplicata. -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -Anna non aveva avuto nè un giorno -nè un’ora di libertà, non aveva conosciuto -amiche. A venti anni non ancóra le era stata -concessa una stanza nella quale raccogliere -il suo lettuccio, le sue cose, i suoi sogni; dormiva -tuttavia col babbo e la mamma come una -piccola mocciosa senza intendimento, piena di -terrori notturni. E il giorno in cui si impose -e parlò alla madre della sua vergogna di esser -tuttavia relegata nella stanza comune, di fronte -al babbo, senza alcuna libertà possibile; e della -sua recisa volontà di avere una stanza per sè -sola, vide la madre singhiozzare come se avesser -dovuto dividersi per la vita, e la vide implorare -e impallidire; ma non piegò ed ebbe un nido. -Le parve allora di aver raggiunta la felicità e -la possibilità di ricercarsi, di esser sola, di vivere -nell’intimo dell’anima sua, secondo un irrompente -desiderio; ma ancóra si ingannò chè, -secondo una ossessionante tenerezza, la madre -le fu dintorno ogni dieci minuti e giungeva la -notte, scalza, sulla punta dei piedi per darle -un altro bacio, per raccomandarle il sonno. -Anna incominciava a vedere in tutto questo -qualcosa di diverso dall’affetto e non poteva -difendersi, a volte, da un senso di invincibile -ripugnanza. Non si risolveva in realtà in un -trepido spionaggio quell’assiduo apparire in -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -silenzio durante la notte? E quando fingeva di -esser presa dal sonno, perchè dunque si accostava -alla scrittoio e frugava fra le sue carte? -Ma come ribellarsi senza apparire cattiva, snaturata -agli occhi di tutti? Ed ella non sapeva -scindere tuttavia la propria condotta dal giudizio -della gente, era troppo schiava delle consuetudini, -l’avevano tenuta troppo avvinta per -aver ali a un grande volo. La gente esaltava -l’umile amore di quella madre e lo portava ad -esempio. L’apparenza assumeva proporzioni -eroiche e, come sempre, l’apparenza bastava -chè, a voler indagare, si sarebbe giunti chi sa -dove, perchè è molto raro che il sedicente amore -non nasconda una qualche bruttura. -</p> - -<p> -Inoltre che avrebbe detto il babbo?... Anch’egli -era stato fiero e ribelle nella sua giovinezza, -ma poi era venuto piegandosi, si era ammollito -sotto l’influsso della donna che si era scelto a -compagna. Ella lo aveva vinto ed insciocchito -con la mitezza, con la mansuetudine bestiale, -con una specie di bontà inerte, remissiva, malinconica; -gli aveva tolto ogni virilità assecondandolo, -facendosi sempre più piccina, prestandogli i -più umili servizi con pecorile accondiscendenza. -Ed appariva buona buona buona!... di quell’idiota -bontà che vince per forza d’inerzia e -passa le mura e stempera il più saldo acciaio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -</p> - -<p> -Anna vedeva questo benchè non ne detraesse -giudizi, anzi tutto ciò le si convertiva in segreto -dolore. -</p> - -<p> -Così si era svolta la vita di lei, senza nessuna -ebbrezza fino al giorno in cui una grave -malattia l’aveva quasi condotta alla morte. -Quattro mesi combattuti fra l’insonnia e la -febbre l’avevan disfatta. All’uscir di un inverno -ella si destava come per la prima volta alla -vita, senza memoria, pervasa dalla stessa dolcezza -che trascorre pei limpidi cieli marzolini. -Ma la convalescenza doveva essere lunga e per -ristabilirsi ella doveva esulare, lasciar per qualche -mese la sua piccola città oscura, cercare -altri soli, altri paesi. Quando le dissero questo, -il primo rossore le affiorò le scarnite guance -e non vide le lacrime della madre o non le volle -vedere. Chiuse i grandi occhi, incrociò le mani -sul petto, stette così lung’ora, la testa affondata -nei guanciali. Le si apriva un mondo diverso, -una possibilità diversa, un infinito bene di sogno. -Rinasceva in realtà e Iddio le era dinanzi. -Ancóra non poteva parlare. Non guardava se -non fuggevolmente la madre che era sempre -a fianco al letto. Chiudeva gli occhi per lasciar -vagare l’anima in un suo paradiso di freschezza. -Quel ritorno alla vita le era come un illuminato -stupore. Era morta e rinata. Aveva lasciato in -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -un passato remotissimo tutto il peso di mille -cose gravi ed oscure; si ridestava con una prospettiva -radiosa, sul principiare del marzo. -Quando sarebbe partita e per dove? Chi l’attendeva? -Chi le avrebbe parlato dolce?... Dove?... -dove?... E dalla fantasia le nascevano terre sconosciute -per le quali si figurava di andare divinamente -sola, fra l’amor delle cose ebbre di -luce, sotto il canto delle allodole. -</p> - -<p> -Paesi lontani, case tinte dall’aurora fra giardini -di melograni, strade azzurrastre e sentieri, -viottole, colline, selve, fiumi, fontane. Il mondo -della rondine. E per l’arco breve dei giorni -ella pregustava la nuova gioia. -</p> - -<p> -Sapeva che la madre non l’avrebbe accompagnata. -Non si poteva per via del danaro. Sapeva -la famiglia prescelta ad accoglierla e il -luogo, ma tutto ciò le sembrava tanto lontano -e tanto vago da confondersi quasi con l’irrealtà. -</p> - -<p> -Frattanto la sua giovine forza trionfava rapidamente -sul male e il giorno giunse. Il giorno -di una prima partenza è sempre di una bellezza -gaudiosa. Quando uscì dalla casa, nel sole, -quando fu alla stazione, quando vide giungere -il treno tacque e sorrise; sorrise sempre senza -che il malinconico aspetto della madre in lacrime -la turbasse o la preoccupasse. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -</p> - -<p> -Troppe ed inconsulte erano state le lacrime -della madre perchè ella ne fosse presa. Poi -era la sua volta. Dopo tanti sogni partiva verso -l’ignoto e il commovimento da cui era invasa -dominava e allontanava ogni altro amore. -</p> - -<p> -La chiusero in un compartimento per signore -sole, la raccomandarono al capo treno e i consigli -e le prediche non avevan più fine. -</p> - -<p> -Anna ascoltava senza capir nulla, dicendo -sempre “sì„. Poi il treno si mise in moto ed -ella vide la sua piccola madre abbrunata agitare -il fazzoletto e portarselo agli occhi; la vide -incamminarsi dietro al treno, protendere la -faccia sparuta, piangere disperatamente. Perchè -mai tanto dolore? Ed era solo dolore? Si separavano -forse per la morte? Quando si ritirò -dal finestrino non pensò più ad altro se non -alla sua felicità e il ricordo di quel viaggio le -fu poi sempre come un sogno vissuto portentosamente. -Giunse alla città destinata verso il -crepuscolo. Il treno si fermò ad una piccola -stazione fiorita sul Lago Maggiore. Era l’aprile. -</p> - -<p> -Un brusìo festoso di gente che si avviava -alle armoniose ville del Lago; una dolce luce -per tutte le montagne e su l’acqua azzurra; una -stazione gaia come un ritrovo d’amore. Trovò -coloro che l’attendevano, li seguì stordita, -senza parlare, e per quella sera non vide e non -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -seppe se non le montagne serene, una strada -fra i giardini e la sua cameretta sul lago. -</p> - -<p> -Poi si ridestò. Fu anche per lei l’attimo in -cui si vive la vita come un prodigio e non moriron -dieci giorni ch’ella era innamorata. -</p> - -<p> -Non fu una cosa improvvisa. Si rividero laggiù, -per caso, ma già si eran conosciuti fanciulli nella -città nella quale erano nati. Nè l’uno fu più sorpreso -di incontrare l’altra, nè la loro gioia si misurò -su ritmi dissimili. Si piacquero, si amarono e decisero -il loro destino. Egli doveva andarsene in -America, avrebbero sposato innanzi di partire. -</p> - -<p> -Quaranta giorni trascorsero e l’incantesimo -finì. Anna doveva ritornare. Riprese la strada -come se discendesse verso il buio, verso una prigione -che un mese di libertà le rendeva più intollerabile. -Sentì allora di non poter amare sua madre. -A volte la ribellione di lei giungeva fino al -pensiero di andarsene lontana per sempre. Ma la -speranza si abbranca ai minimi segni e pensava -ancóra che i suoi avessero potuto assecondarla. -</p> - -<p> -Armando era partito due giorni prima per -far la domanda ai legittimi proprietari di Anna; -ella, giungendo, avrebbe trovata la decisione -stabilita. Credendo ancóra di valer qualcosa -nell’atto in cui doveva compirsi il proprio destino, -scrisse alla madre e al padre una lettera -appassionata per prevenirli, per dir loro quale -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -era l’anima sua e il suo desiderio, ma a volta -a volta il dubbio vinceva la speranza. -</p> - -<p> -Attese invano un telegramma di Armando; -partì scorata. -</p> - -<p> -Dopo un interminabile viaggio trovò alla stazione -la madre, delirante in una convulsiva -gioia lacrimosa e il buon padre più rinsciocchito -che mai. Innumerevoli i baci e gli abbracci. -C’era tutto il parentado strillante, ululante -per la gran gioia. Una barocca fiera di -esultanza. E fra la tempesta delle domande, -dei baci, degli abbracci, delle lacrime, delle carezze -fu trascinata via senza capir più nulla. -Come le apparve orrendo il volto di quella -gioia canina!... L’avevan <i>ripresa</i> finalmente!... -Era ritornata all’adiaccio fra le altre pecore, fra -tutte le pecore matte del suo parentado!... Era -tornata sotto le amorose grinfie de’ suoi tutori -e forse non se ne sarebbe dipartita mai più!... -E d’improvviso tanto fu forte la sensazione di -tale realtà che ruppe in un pianto improvviso. -</p> - -<p> -La signora Viani le si strinse al braccio: -</p> - -<p> -— Perchè piangi, Anna?... -</p> - -<p> -Non rispose. Risposero per lei le impennacchiate -parenti: -</p> - -<p> -— È l’emozione, poverina!... -</p> - -<p> -— Era tanto che non ci vedeva!... -</p> - -<p> -— Piange per la gioia!... Lasciatela stare!... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -</p> - -<p> -— Lasciatela stare!... -</p> - -<p> -La gioia, sì! La gioia sorella della morte! E -il parentame se ne andò. Rimase sola nella stanza -da pranzo col padre e la madre, li guardò negli -occhi, cercò di parlare. Ma la sua piccola madre -non le lasciò aprir bocca una volta sola: parlava -e parlava e si faceva in quattro a toglierle di -dosso l’ombrello, i guanti, il velo, il cappello. Pareva -temesse di udire la voce di lei. Quando aveva -esaurito un argomento ne cercava un altro, poi -un altro, squadernandole innanzi lo stato civile -di tutti i conoscenti: matrimoni, morti, adultèri, -fallimenti, crudeltà filiali, eroismi materni, tutto -quanto era venuta accumulando in quaranta -giorni; e ogni dieci secondi interrompeva la narrazione -favolosa per domandarle notizie della -sua salute, per offrirle un brodo, una tazza di -latte, un uovo da bere; ma di Armando non -una parola. Si capiva che il solo nome di quell’uomo -era l’orrenda ansia della piccola madre e -che si profondeva ridicolmente in tal guisa solo -nella speranza che Anna capisse e dimenticasse. -Un attimo rimase sola col babbo e ne approfittò. -Lo guardò fisso negli occhi, gli domandò: -</p> - -<p> -— Babbo.... hai saputo? -</p> - -<p> -— Sì.... ho saputo. -</p> - -<p> -— Ebbene?... -</p> - -<p> -— Parlerai con la mamma! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -</p> - -<p> -— Non volete? -</p> - -<p> -Fu un grido. In quell’istante rientrava la signora -Viani. Si fermò stupita, domandò: -</p> - -<p> -— Che cosa è stato?... -</p> - -<p> -Capì a un’occhiata del marito e ricominciò la -petulante solfa. Anna ne era stordita. Salì alla sua -stanza, affranta. Incominciava a intravvedere la -verità. Di un subito fu colta da uno scoramento -tale che si lasciò andare su di una sedia senza dir -parola, tutta abbandonata all’angosciosa tristezza. -Le lacrime le scendevano a coppie per la faccia impallidita. -La signora Viani finse di non accorgersi -nè del pianto nè dell’improvvisa tristezza della -figliuola: continuò a parlare, sempre più animata, -e a moltiplicare le sue tenerezze intempestive. -</p> - -<p> -Anna tacque ancóra; poi si rizzò di scatto e -domandò, ferma: -</p> - -<p> -— Mamma, dimmi la verità! -</p> - -<p> -La signora Viani si fermò a mezzo la stanza, -si rivolse e domandò stupita: -</p> - -<p> -— Quale verità? -</p> - -<p> -— Non farmi parlare, mamma!... Tu sai che -cosa voglio dire! -</p> - -<p> -— Ma.... non ti capisco, bambina mia! -</p> - -<p> -— Ier l’altro è venuto qui Armando Vada.... -</p> - -<p> -La signora Viani non rispose. -</p> - -<p> -— .... vi ha parlato.... -</p> - -<p> -Uguale silenzio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -</p> - -<p> -— Ebbene.... che cosa gli avete risposto?... -</p> - -<p> -— Ma.... — fece l’umile creatura di bontà — io -non c’entro!... -</p> - -<p> -— Come non c’entri? -</p> - -<p> -— No.... parlerai con tuo padre! -</p> - -<p> -Allora Anna fu presa da un aspro riso. -</p> - -<p> -— Perchè ridi?... -</p> - -<p> -Per qualche tempo la convulsiva amarezza -non le concesse di parlare. Quando l’affanno -le si calmò un poco, disse: -</p> - -<p> -— Rido perchè il babbo mi ha risposto -come te!... -</p> - -<p> -— Io non ne ho colpa!... — mormorò l’umile -madre. Nella pausa che seguì ella evitò di guardare -la figlia. -</p> - -<p> -— Che cosa gli avete risposto? -</p> - -<p> -— Perchè parlarne? — fece la signora Viani, -implorante. -</p> - -<p> -— Dunque non dovrei saper nulla? -</p> - -<p> -— Stai tanto male con noi? -</p> - -<p> -— Che c’entra questo? -</p> - -<p> -— Pare tu non veda l’ora di abbandonarci! -</p> - -<p> -— Mamma!... Non essere ingiusta!... -</p> - -<p> -— Credevo tu ci volessi più bene!... — soggiunse -la piccola donna, le lacrime agli occhi. -</p> - -<p> -Anna si sentiva il cuore stretto da un’amara -tristezza. Disse a voce spenta, gli occhi fissi -innanzi a sè, assorti in un malinconico deserto: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -</p> - -<p> -— Ti credevo più buona!... -</p> - -<p> -Un lampo di sdegno accese gli occhi della -signora Viani, ma fu subito spento. -</p> - -<p> -— Dopo tutto — riprese — farai ciò che -vorrai!... -</p> - -<p> -E per quel giorno Anna non ricondusse il -discorso sul colloquio e la madre si intenerì -sempre più nella speranza che la sua buona -figlia avesse dimenticato. -</p> - -<p> -Nel giorno che seguì, recandosi la mattina -nella stanza di Anna per prestarle gli umili, -inutili servizi nei quali si esplicava tutto il suo -amore, trovò la figlia seduta alla scrivania, pallida, -scarmigliata, gli occhi enfiati. -</p> - -<p> -Così l’aveva lasciata la sera innanzi, così la -ritrovava. Le si accostò piano piano, le chiese: -</p> - -<p> -— Come stai? -</p> - -<p> -— Male! — rispose Anna. -</p> - -<p> -— Che cos’hai? -</p> - -<p> -— Non so! -</p> - -<p> -— Hai dormito? -</p> - -<p> -— No. -</p> - -<p> -Guardò il letto; era intatto. -</p> - -<p> -— Non sei andata a letto? -</p> - -<p> -— No! -</p> - -<p> -— Perchè? -</p> - -<p> -— Perchè non ne avevo voglia! -</p> - -<p> -— Ma ti rovinerai la salute! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -</p> - -<p> -— Poco male! -</p> - -<p> -— Anna!... -</p> - -<p> -Una pausa. -</p> - -<p> -— Se lo sapesse tuo padre!... -</p> - -<p> -Anna nascose la faccia fra le palme e ricominciò -a piangere sommessa. -</p> - -<p> -— Ma che cos’hai?... -</p> - -<p> -— Dovresti saperlo!... — rispose la giovinetta. -</p> - -<p> -— Bambina mia.... diventi irragionevole!... -</p> - -<p> -Anna si levò, si rivolse verso la madre: -</p> - -<p> -— Mamma, gli avete detto che non volete?... -</p> - -<p> -— Ma perchè non lo domandi a tuo padre? -</p> - -<p> -— Perchè tu sola hai deciso tutto! -</p> - -<p> -— Io? -</p> - -<p> -— Sì. Il babbo fa quello che tu vuoi.... Tu -lo sai convincere. -</p> - -<p> -— Ti giuro che non gli ho parlato! -</p> - -<p> -— Non vuol dire! Avrà capito dalle tue reticenze. -</p> - -<p> -— Quali reticenze? -</p> - -<p> -— Le puoi sapere tu sola. -</p> - -<p> -— Dunque non mi credi? -</p> - -<p> -— Ma io credo tutto!... Voglio sapere solamente -quello che gli avete detto! -</p> - -<p> -— Sei ben cocciuta! -</p> - -<p> -— Non si tratta di cocciutaggine, si tratta -della mia vita! Credo di avere il diritto di sapere -come volete disporne. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -</p> - -<p> -— Noi vorremmo che tu non ci abbandonassi -mai! -</p> - -<p> -— Vorreste ch’io rimanessi sempre la vostra -piccola figliola da condurre a spasso! -</p> - -<p> -— Anna! -</p> - -<p> -— È la verità! -</p> - -<p> -— Sei crudele! -</p> - -<p> -— Non più di quello che tu non lo sia con -me! Ma è dunque un giuoco il mio? Ma sono -dunque tanto trascurabile che il mio cuore e la -mia volontà non valgano nulla in tutto questo? -</p> - -<p> -— Bada.... potresti pentirtene! -</p> - -<p> -— Di che cosa? -</p> - -<p> -— Di aver fatta la tua volontà. -</p> - -<p> -— E perchè? -</p> - -<p> -— Perchè non hai esperienza.... perchè alla tua -età si vedono le cose da un falso punto di vista! -</p> - -<p> -— Vorresti forse ch’io fossi vecchia prima -del tempo? -</p> - -<p> -— Come rispondi!... -</p> - -<p> -— E lasciatemi la mia gioia!... Ne ho avuta -così poca nella mia vita!... -</p> - -<p> -— Anche questo mi rimproveri? -</p> - -<p> -— Non è un rimprovero. Io vedo che il giorno -in cui mi si apriva innanzi una strada infinita, -in cui potevo farmi una vita mia, tu e il babbo -vi opponete, mi respingete verso il mio passato, -mi dite: — No, non vogliamo!... — Non posso -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -ribellarmi, ma nello stesso tempo non posso -ubbidirvi! -</p> - -<p> -La signora Viani stupiva sempre più. Chiese -tremando: -</p> - -<p> -— Gli vuoi tanto bene, dunque? -</p> - -<p> -Il volto di Anna ebbe un subito rossore. -</p> - -<p> -— Se gli voglio bene?... Da morirne!... Devi -saperlo perchè è così, perchè sarà sempre così! -Se domani vorrà ch’io lo segua, te lo dico prima, -mamma, andrò con lui anche senza averlo sposato, -lo seguirò senza nessuna vergogna. E -farà di me ciò che vorrà. Nulla mi fa paura! -</p> - -<p> -— Tu faresti questo, Anna?... -</p> - -<p> -— Sì, lo farei! -</p> - -<p> -— E a noi non pensi?... Siamo dunque un -niente per te?... -</p> - -<p> -— Ed io che cosa sono per voi? -</p> - -<p> -— Tutto! -</p> - -<p> -— Sì, fin che non vi abbandono! Se domani -partissi senza il vostro consenso diventerei -indegna del vostro amore! -</p> - -<p> -— Tu vuoi vedermi morta! -</p> - -<p> -— Non dire cose insensate, mamma! -</p> - -<p> -Ma la piccola madre aveva trovato il tasto -opportuno ed insistè su quello come l’unico -che potesse torla d’imbarazzo con onore e farle -riacquistare il terreno perduto. -</p> - -<p> -— Sì.... vuoi vedermi morta!... È meglio ch’io -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -muoia!... Tanto sono inutile.... non servo a -niente.... non faccio che far del male!... -</p> - -<p> -E si abbattè su di una sedia singhiozzando -follemente; convulsa, stravolta, convinta di destare -pietà. -</p> - -<p> -E la pietà giunse con la sua faccia spaurita, -e attanagliò il core della giovinetta. -</p> - -<p> -L’anima generosa ed ingenua della nuova creatura, -non resse al dolore della madre e si piegò affranta -verso di lei. Mormorò parole di scusa, si umiliò. -La piccola madre intese così quanto fosse opportuno -il suo còmpito di vittima e da quel giorno -tanto parve malata ed esausta da destare in tutti -il convincimento ch’ella fosse presso a morire. -</p> - -<p> -Tutto il parentame si allarmò; la voce corse di -casa in casa per la piccola città accigliata. Fu detto -che la santa donna se ne andava perchè Iddio chiama -più presto i buoni presso di sè; le regalarono -una malattia nuova ogni giorno e la pallida vittima -vestì da quel tempo le gramaglie e più non -le tolse. Anche si parlò sommessamente di Anna. -</p> - -<p> -Qualcuno disse: -</p> - -<p> -— È una testa romantica! -</p> - -<p> -E qualcun’altro: -</p> - -<p> -— È un’ingrata! -</p> - -<p> -Il parentame materno, uno sciame di donnacole, -vergini per l’ira di Dio, mise in circolazione -l’ingratitudine di Anna. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -</p> - -<p> -E benchè i medici non riscontrassero alcuna -malattia nella signora Viani, questa non si ritenne -guarita mai più, e ogni tanto, a conferma -del suo male interiore, digiunava fra la strillante -preoccupazione della fantesca e del marito. -</p> - -<p> -Ma frattanto chi intristiva veramente era Anna. -</p> - -<p> -Armando aveva rimesso la partenza di mese -in mese e quasi un anno era trascorso. Nulla -era mutato nel frattempo. La signora Viani, -superando le sue possibilità finanziarie e riempiendo -di debiti il miser’uomo del quale si era -impadronita, copriva di regali la figlia e piangeva -e sorrideva e si moltiplicava per sostituirsi, -nel pensiero di lei, all’uomo odiato che -voleva togliergliela. Esaurì in tale còmpito tutte -le sue scarse arti troppo ingenue. Ma la piccola -madre aveva incrollabile la coscienza dei suoi -diritti materni e le pareva di essere buona -buona buona, e se lo sentiva dire tante mai -volte dalle sorelle, dalle zie, dalle cugine, dalle -attinenti che, nella sua piccola testa, per poco -non si santificava al cospetto del suo Iddio -microcefalo. -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -Aveva stabilito tutto tranquillamente, fin dal -giorno prima, senza affrettarsi, con la precisa sicurezza -che dànno le decisioni meditate a lungo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -</p> - -<p> -Aveva nascosto la valigia nel cassetto dell’armadio; -sapeva già, ad una ad una, le cose -che avrebbe prese con sè. -</p> - -<p> -Nulla l’aveva tradita. Era stata anche il giorno -innanzi, come sempre, ferma nel suo raccoglimento -interiore, un poco triste, impartecipe alla -scimmiesca allegria del parentame che da qualche -mese frequentava quotidianamente la casa, -col compito di renderla gaia. -</p> - -<p> -Nessuno aveva intravveduto in lei alcunchè -di mutato. Era l’Annetta di sempre: imbroncita, -coi grilli per la testa. E su questi chimerici -grilli le zie ridanciane si divertivano un -mondo, bofonchiando come coloro che vorrebbero -entrare per una porta vietata e tentano -timidamente la maniglia dell’uscio, pronte a -ritirarsi al minimo suono. -</p> - -<p> -A sera se ne erano andate profondendosi -in baci ed abbracci come per una separazione -eterna. Anna non aveva detto che poche parole; -il puro necessario. -</p> - -<p> -Salita alla sua stanza, aveva atteso tranquilla -e indifferente le tre o quattro sorprese materne, -serrando poi l’uscio a doppia mandata. -</p> - -<p> -Ora disponeva le cose necessarie nella valigia. -Non era in lei alcuna emozione all’infuori -di un’aspra volontà di agire. Era giunta a quel -passo attraverso ad una landa squallida, per -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -un crepuscolo bigio. Aveva pianto tutte le sue -lacrime. Era stanca, stanca di oppressione e -di tristezza. La sua sostanza vitale cercava la -libera vivacità dei cieli violentemente. Ella non -avrebbe più potuto opporsi a sè stessa. Doveva -andare. Nel buio dell’anima sua non era -ormai se non quell’unica luce verso la quale -si protendeva per una necessità imperiosa. -</p> - -<p> -Era giunta per vie sì lunghe al suo divisamento -che ormai non ne provava più ansia -nessuna. Era una cosa fatale e necessaria che -ella compiva: o allora o mai più. Armando le -aveva scritto: “Entro la settimana entrante -mi imbarco. Sabato sarò a Bologna. Ti aspetto -ancóra, dove sai. Sciegli e decidi. O col tuo -amore o contro l’amor tuo!„. Ella aveva risposto: -“Sabato alle dieci sarò da te„. La voce -d’invito, precisa nella sua concisione, aveva -trovato un subito acconsentimento risoluto. -Tre volte l’aveva trattenuta la pietà filiale. -Aveva sperato in una diversa via di uscita, -ma la piccola madre, sempre che Anna avesse -tentato ricondurla a parlar del suo amore, aveva -dato in ismanie ripetendo la minaccia consueta -che non aveva ormai più valore d’incubo: -</p> - -<p> -— È meglio ch’io muoia!... Ne avrete per -poco ancóra!... Sono una disgraziata!... -</p> - -<p> -Anna si era ridotta al silenzio. E la signora -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -Viani non vedeva il consumamento della figliola, -intenta solo a impedirle il suo radioso destino. -</p> - -<p> -Il padre non aveva avuto nè volontà, nè voce. -Fiacco come ogni uomo caduto nel piccolo mondo -di una femmina sciocca, imbastardito nella mollezza -che aveva dispento in lui ogni impeto virile, -si era appaciato in una indifferenza beota senza -chiedere, senza indagare, senza desiderio di un -qualsiasi convincimento profondo. E la mamercula -aveva avuto facile campo alla sua conquista. -</p> - -<p> -Ma non nel forte cuore della vergine. La -bell’anima combattuta decideva di sè stessa. Si -avviava per la via del suo destino senza rivolgersi; -gli occhi asciutti e il cuore suggellato. -</p> - -<p> -Il treno partiva alle due. -</p> - -<p> -Aveva calcolato sul sonno dei suoi. -</p> - -<p> -Per non far rumore nell’andarsene aveva -trascelto certi suoi scarponcelli estivi che ammorzavano -il passo. -</p> - -<p> -In breve tutto fu compiuto. Lasciò sulla scrivania -una lettera breve indirizzata alla madre. -L’aveva scritta da vari giorni. Aprì l’uscio lentissimamente. -Si protese ad ascoltare. Il sonno -faceva la casa vuota, corsa solamente da qualche -ignoto cricchiare, da un brivido di respiro -nell’ombra. Le sue pupille si dilatarono nella -tenebra. Fece qualche passo nel corridoio, -salì una scaletta che conduceva sul ripiano -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -delle scale, si accostò all’uscio della stanza -nella quale dormivano i suoi. Nulla. Il sonno -misterioso col suo respiro eguale nella tenebra -densa. Ritornò sui suoi passi. Iddio la vegliava. -Quando fu sul punto dell’estrema decisione -ebbe un tremito al cuore. Non vi badò. Pallida -ma ferma, socchiuse l’uscio, si accostò al -letto, infilò il mantello, si ravvolse in un velo -fitto. Era pronta. Ancóra ascoltò. Ebbe un tremito -di morte ad un tratto, chè le parve di -udire il passo della madre. Indietreggiò fino -alla finestra. No... non era lei!... Era la sua -paura, la sua folle paura di non potere!... -</p> - -<p> -Prese la valigia, spense il lume. Era il punto. -Si accostò all’uscio a tentoni, lo aperse, lo richiuse. -Ristette sulla soglia ancóra, respirando -come chi abbia dinanzi la visione di un incubo. -Appoggiata la mano al muro del corridoio, per -seguire la via diritta, proseguì nell’ombra. Ora -la tempestava dentro l’ansia di superare quel -poco spazio, quel nulla ch’era più di una dolorosa -eternità. Fu alla scaletta di legno, ne -salì i gradi ad uno ad uno, sbucò nella stanza -che immetteva nelle scale. Superata la stanza -poteva dirsi salva. Ristette un attimo ancóra, -abbrividì, le pareva di udire un respiro vicino. -Qualcuno respirava di fronte a lei nella tenebra. -Mosse un passo, poi due, poi prese la via, -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -risoluta. S’intravvedeva in fondo alle scale -un bagliore. Erano i lumi della strada che rischiaravano -un poco l’andito a terreno, per i -vetri della rostra. Era la luce che l’attendeva, il -suo ultimo porto. Avanzò ancóra, fu per uscire; -ma, sul punto in cui stava per sbucare sulle scale, -una voce transumanata, non sapeva se orrida di -spavento o di ira, gridò a due passi da lei: -</p> - -<p> -— Chi è?... Chi è?... -</p> - -<p> -Indietreggiò impietrita. Sentì il cuore arrestarsi -e tutte le vene corse da un subito gelo. -Non rispose. Le mascelle le si inchiodarono, l’una -contro l’altra duramente. Sentiva la faccia come -fosse di marmo. La valigia le cadde di mano. -</p> - -<p> -E ancóra un soffio vicino e la stessa voce -e la stessa domanda: -</p> - -<p> -— Chi è?... Chi c’è qui? -</p> - -<p> -Non rispose, non seppe il senso delle parole, -non seppe più nulla. -</p> - -<p> -— Sei tu, Anna?... Anna, Anna?... -</p> - -<p> -Era un urlo. Poi una porta si dischiuse. La -stanza si rischiarò. -</p> - -<p> -Stettero di fronte terrorizzati. Si guardarono -negli occhi il padre, la madre, la vergine impietrita. -</p> - -<p> -E nessuno pianse. C’era, al di sopra di loro, -qualcosa di più grande, di più oscuro, di più -tragico che non fosse il loro cuore con le sue -torve passioni. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -E gli anni passarono come un’acqua di palude, -torbida di una putrida vita. Anna dormì -ancora fra il padre e la madre. -</p> - -<p> -Le avevan vietata la morte per tre volte. Si -scoraggì, si piegò, s’insciocchì poveramente -come una cosa disfatta negli anni torbidi e fermi -come un’acqua di palude. -</p> - -<p> -E la piccola madre sempre la pettinò alla -mattina, innanzi allo specchio, e sempre le disse, -come dall’alba dimenticata: -</p> - -<p> -— Come sono belli i tuoi capelli!... -</p> - -<p> -E la vestì per trarsela dietro per le vie, la -vestì sempre più vistosamente; ma la gente -non si volgeva ormai più, non guardava più -la vergine insciocchita dai larghi occhi senza -lume. -</p> - -<p> -E Anna rise, immiserita, dimentica, e si curvò -all’Iddio microcefalo della madre, per trovare almeno -nella cassa, almeno nella morte un fiore: -un piccolo pallido inutile fiore che sorridesse -al suo crepuscolo. -</p> - -<p> -E dopo tanti e tanti mai anni erano quasi -vecchie ad un modo la madre e la figlia; e la -buona gente ne rise e le chiamò, “le scimmie„. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span></p> - -<h2 id="grigia">L’ORA GRIGIA.</h2> -</div> - -<p> -Ormai don Pietro viveva d’accatto e poco -usciva e quando gli toccava di andare da un -luogo all’altro allora il povero prete si faceva -piccino, si accappucciava e seguiva le prode -dei fossi senza fermarsi mai, senza rivolgersi -mai, senza ascoltare e senza rispondere e senza -vedere le facce grifagne de’ suoi persecutori. -</p> - -<p> -Un prete era una macchia nera in quei paesi -di rivoluzione, e don Pietro sapeva questo. -Egli era in peccato continuo e nessuna acqua -lustrale poteva mondarlo della sua colpa originaria. -E sì che se per miseria si poteva essere -apostoli del Signore, egli era uno di questi; -chè non aveva mai toccato prebende e -doveva viver di un nulla come la lucertola, -tantochè la sua vecchia serva lo chiamava: -</p> - -<p> -— <i>La furmighina del Signor!</i> (la formichina -del Signore!). -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -</p> - -<p> -E don Pietro: -</p> - -<p> -— State zitta, Costanzina, chè siamo tutti di -un <i>alzòne</i>! -</p> - -<p> -E voleva dire: — Siam tutti pari, tutti ad -un’altezza, tutti poveri ad un modo. -</p> - -<p> -Coltura no, non ne aveva, povero don Pietro, -ma era vecchio di quasi ottant’anni e se -qualcosa aveva imparato, al tempo de’ suoi -dubbi studi, questo qualcosa si era smarrito -per la lunga via. -</p> - -<p> -Be’, nessuno gli rimproverava la sua semplicità, -chè le sue rarissime conoscenze erano del -suo stesso candore. -</p> - -<p> -Costanzina, che viveva con lui da più di -trent’anni, e qualche altra vecchia; in tutto -quattro o cinque creature, a sommar gli anni -delle quali si andava verso il millennio. -</p> - -<p> -L’ultimo uomo timorato di Dio che più aveva -resistito alla bufera e gli si era mantenuto fedele -fino all’estremo possibile, era stato Barroccio, -il campanaro. Barroccio abitava una -capanna su l’argine della palude, esercitava la -pesca e la caccia di frodo, era celibe, aveva -un sacro orror delle femmine, digiunava sei -giorni della settimana, era balbuziente e un -poco scemo e nessuno avrebbe potuto pensare -mai che un tale arnese dovesse far gola agli -uomini di partito, a coloro che dominavano le -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -campagne; eppure anche Barroccio era stato -del numero. -</p> - -<p> -Per venti anni Barroccio aveva esercitato -l’arte supplementaria del campanaro senza che -nessuno lo avesse tormentato mai, perchè era -uno di quegli uomini che non s’immischiano -nei fatti degli altri, che non cercano compagnia, -ma, paghi del loro silenzio, attendono -all’opera quotidiana con metodica regolarità, -fino alla morte. Per venti anni, percependo il -lauto stipendio di tre lire l’anno, Barroccio -era salito al suo campanile due volte il giorno, -senza contare le feste, e, lanciati all’aria i tocchi -rituali, era partito lungo le siepi senza -scambiar parola con anima viva se non rarissimamente. -Ed era ormai, per le genti della -canonica e per i contadini circostanti, come -l’ombra della meridiana che viene e va senza -far rumore, sempre su lo stesso muro, fra i -numeri convenuti, nel gorgo del tempo. -</p> - -<p> -Verso sera, qualche volta, don Pietro lo vedeva -discendere dal campanile e allora gli si -faceva incontro. -</p> - -<p> -— Come va, Barroccio?... -</p> - -<p> -— <i>Ssss.... sssi cccc.... cccampa!</i>... -</p> - -<p> -— Hai fatto buona pesca? -</p> - -<p> -— <i>Cccc.... cccosì!</i>... -</p> - -<p> -— Vuoi bere? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -</p> - -<p> -— <i>Cccc.... cca no sssed!</i>... (Non ho sete!) -</p> - -<p> -— Buona sera, Barroccio. -</p> - -<p> -— <i>Ffff.... ffalicia sera!</i>... -</p> - -<p> -E toccatasi la gialla <i>galosa</i> se ne andava per -gli affari suoi atterrando gli occhi, curvo e silenzioso -come profondasse nel nulla. -</p> - -<p> -Ebbene un bel giorno Barroccio non si vide -più. Aspettalo all’alba, aspettalo al vespro, non -veniva. Don Pietro mandò Costanzina a cercarlo -e Costanzina lo trovò nella sua capanna -sull’argine della palude. -</p> - -<p> -— Be’, perchè non venite più? -</p> - -<p> -— <i>Nnnn.... nnon vogliono!</i> — rispose Barroccio. -</p> - -<p> -— Chi non vuole? -</p> - -<p> -— <i>I ssss.... i sssucialèsta!</i>... (I socialisti!) -</p> - -<p> -— E perchè non vogliono?... -</p> - -<p> -— <i>Nnnn.... nnnon lo so!</i>... -</p> - -<p> -— Che cosa ti hanno detto? -</p> - -<p> -— <i>Nnnn.... nniente!</i>... -</p> - -<p> -— E allora? -</p> - -<p> -— <i>I mmm.... i m’ha piciè!</i>... (Mi han bastonato!). -</p> - -<p> -E tale fu lo spavento del poveruomo che, -dismessa l’arte sua canora, non solo non salì -più sul campanile, ma nemmeno si accostò alla -chiesa. E l’ultimo fedele era esulato. -</p> - -<p> -Don Pietro fece suonar le campane da Costanzina, -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -ma sempre più timidamente, qualche -tocco alla sfuggita, nelle ore del giorno più -quiete, più deserte, più innamorate del sonno. -Allora la vecchia Costanzina si inerpicava fra -le tele di ragno per le vecchie scale a piuoli, -cricchianti, pencolanti, polverose e, giunta al -piano delle campane, avvertiva (chi avvertiva -mai?) che l’alba era nata, che il giorno se ne -andava, che in una piccola chiesa in rovina -un vecchio fanciullo cantava l’<i>Angelus</i> alle immagini -del suo Dio e all’ombra de’ suoi sogni, -o officiava solo per i morti che erano sotto il -pavimento, ricordati dalle lapidi, vivi soltanto -per le consuete parole incise su la pietra. -</p> - -<p> -Ma no. Per qualcuno ancora si schiudeva la -porta del piccolo tempio, una volta la settimana, -innanzi che fosse giorno. -</p> - -<p> -L’alba della domenica aveva le sue fedeli. -Tre vecchie che giungevano da tre casolari -lontani, che si incontravano per via, che indossavano, -solo per la messa, le loro vesti migliori, -e parlavan piano quasi fossero spiate da cent’occhi -nemici. -</p> - -<p> -Giungevano alla porta socchiusa. Costanzina -le aspettava. Entravano insieme scambiando -qualche parola. Su l’altare si accendevano due -soli ceri, proprio all’ultima ora perchè non si -consumassero troppo, e di fronte a un crocifisso, -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -su la sacra pietra disadorna, senza fiori, -senza candelabri, senza dorature, senza cornici -o tovaglie, o qualcuno dei tanti arredi che adornano -gli altari, nella più povera semplicità -don Pietro iniziava il sacro mistero. Costanzina -serviva la messa. Iddio le avrebbe perdonato! -Balbettava le frasi latine malamente. D’altra -parte fra don Pietro e lei poco sapevano che -si dicessero, ma la fede era grande. Grande la -fede e serena; Iddio scendeva fra di loro, nella -chiesuola dalle pareti scalcinate, dalle imposte -cadenti dalle quali entrava il rovaio e entravano -le rondini in primavera. Da principio erano -giunte con uno strido riacquistando ben presto -la serena libertà dei cieli; ma poi si erano fatte -più ardite e prima una, poi dieci e venti avevano -plasmato il loro nido fra le travi scoperte. -</p> - -<p> -Costanzina se ne era accorta una mattina -mentre era intenta a rassettare alla meglio la -chiesuola. Avvertiva sì, da un po’ di tempo, lo -stridere troppo frequente delle sorelle nere, -ma non aveva pensato mai a levar gli occhi. -Si sa, senza vetri alle imposte, in quella povertà -estrema nella quale vivevano, non potevano -pretendere di non aver le rondini in -chiesa; ma quella mattina volle il caso che -una rondine le lasciasse cadere proprio su la -fronte come una tepida goccia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -</p> - -<p> -Costanzina capì di che si trattava e si rasciugò; -poi, levata la faccia, scoprì una novità -fra le alte travi. Stette in vedetta, studiò meglio -l’affar suo e potè constatare che le rondini -avevano fatto il nido in chiesa. Per questo -trovava tanto sudicio il pavimento e non -le bastava mai la fatica a pulirlo!... Còlta da -un sacro sdegno, uscì e cercò di don Pietro. -Lo trovò nel brolo. -</p> - -<p> -— Signor parroco, venga a vedere! -</p> - -<p> -— Che cosa? -</p> - -<p> -— Venga, le dico! -</p> - -<p> -— Che c’è? -</p> - -<p> -— Ma venga, santo Dio!... -</p> - -<p> -E lo prese per la veste e se lo rimorchiò -dietro. Furono in chiesa. Costanzina tese un -braccio verso le travi: -</p> - -<p> -— Vede? -</p> - -<p> -— No. -</p> - -<p> -— Come, non vede le rondini dove hanno -fatto il nido? -</p> - -<p> -— Oooooh!... — fece don Pietro. -</p> - -<p> -— Bisognerà prender una scala e portar via -quei nidi!... -</p> - -<p> -— Perchè? -</p> - -<p> -— Ma le pare, signor parroco?... In chiesa!... -</p> - -<p> -— Be’?... -</p> - -<p> -— Il sudicio che fanno! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -</p> - -<p> -— Si pulirà. -</p> - -<p> -— Il rispetto.... -</p> - -<p> -— Costanzina, bisogna essere <i>onorificati</i> della -misericordia di Dio!... -</p> - -<p> -— Ma!... -</p> - -<p> -— Se ci sono <i>lasèli ste</i>.... lasciatele stare, -povere bestie!... Il Signore ce le manda!... -<i>Coiòmberi!</i>... Sono tutte <i>pudicizia</i>!... Dove volete -trovare una bestiola più <i>inonorata</i>, più -<i>specifica.... cm’as disal</i>.... come si dice?... più -<i>procace</i> della rondine?... Saranno un <i>addobbo</i>, -non le toccate. -</p> - -<p> -— <i>Jèso!</i>... (Gesù!...) — fece Costanzina; ma -i nidi delle rondini non furono tócchi. -</p> - -<p> -Così voleva don Pietro, la piccola formica -di Dio, e così fu, chè Costanzina aveva una -grande venerazione per il vecchio sacerdote e -non avrebbe compita mai cosa contraria alla -volontà di lui. -</p> - -<p> -E sta il fatto che, sotto le travi adorne di -nidi, inginocchiate su la nuda terra, nell’ombra -antelucana, appena vinta dal bagliore di due -ceri, la santa domenica tre sole vecchie, le ultime, -ascoltavano il divino mistero. -</p> - -<p> -Francesca, Palmina e Mariòla: si chiamavano -così. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -</p> - -<p class="ast">❦</p> - -<p> -E queste tre vecchie avevano l’aria di cospiratrici. -Si levavano piano piano innanzi che il -gallo cantasse, aprivano l’arca, si vestivano al -buio e, imbacuccate entro le pezzuole nere a -righe bianche, le scarpe in una mano, scendevano -in peduli per non far rumore. -</p> - -<p> -Gli uomini dormivano; il cane, su l’aia, le -annusava e le lasciava partire al loro cammino, -ritornando alla sua cuccia dentro il pagliaio -dello strame. -</p> - -<p> -Eccole all’Incrociata dell’Olmo. Erano puntuali. -Sbucava Marióla dalla viottola dei Calza -che Palmina era già presso la cappelletta votiva -del quadrivio e Francesca giungeva per -il campo dei Balestra. -</p> - -<p> -La chiesuola non era su la via maestra, era -in mezzo ai campi, al termine di una straducola -incassata fra siepi altissime. Vi si internavano -tutte tre camminando a paro e parlucchiando -della stagione, degli uomini, dei tempi -e della loro malinconia. -</p> - -<p> -La casipola di Marióla aveva inchiodato a -sommo dell’uscio un crocifisso nero, messo là -da tempi immemorabili, tanto che Mariòla ricordava -di aver sentito dire dal suo uomo che -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -la famiglia dei Travelli l’aveva trovato tale e -quale quando era discesa dai monti al nuovo -podere. Be’, che fastidio dava?... Non lo potevano -lasciare al suo posto?... Nossignori!... Il -suo figlio grande le aveva voluto dare anche -quel dispiacere e, preso il pennato, aveva compiuto -il sacrilegio. E Mariòla a raccomandarsi -e il figlio a risponderle: -</p> - -<p> -— State zitta, vecchia!... Una casa che si -rispetta non deve avere questi segni di superstizione! -</p> - -<p> -Un segno di superstizione il Signore?... <i>Jèso!</i>... -Ma dove si andava a finire?... D’altra parte i -castighi di Dio non mancavano: grandinate, colèra, -guerre, ammazzamenti, rovina!... Una volta -si stava meglio, c’era anche più rispetto pei vecchi!... -Ma adesso chi badava ai vecchi? Non -eran buoni neppur da bruciare!... -</p> - -<p> -E Francesca: -</p> - -<p> -— <i>Di ’e farà ’na grân vandetta!</i>... (Iddio -farà una grande vendetta!...). -</p> - -<p> -E Palmina: -</p> - -<p> -— Questi ragazzi crescono e, ancora non -sanno dire mamma che imparano a bestemmiare!... -<i>Jèso!</i>... Non rispettano più niente, vengono -su come l’erbaccia, non vogliono osservazioni -nè consigli; che cosa diventeranno? -</p> - -<p> -E così ragionando giungevano alla chiesa, -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -trovavano Costanzina su la porta del tempio, -disparivano. -</p> - -<p> -La cosa continuava da anni ed anni. -</p> - -<p> -Ora una mattina, e il buio era anche più -fitto perchè era nuvolo, una mattina queste -tre vecchie avevano svoltato per la straducola -che conduceva alla chiesa, e andavano di -passo uguale parlucchiando, quando all’improvviso -videro un’ombra ferma innanzi a loro, in -mezzo alla strada. Sostarono. Lo sconosciuto -disse: -</p> - -<p> -— Tornate indietro! -</p> - -<p> -Le vecchie sbalordite non risposero. -</p> - -<p> -— Tornate a casa, vecchie!... -</p> - -<p> -— Perchè? — fece Mariòla. -</p> - -<p> -— Perchè in chiesa non si va! -</p> - -<p> -— Non si va? -</p> - -<p> -— No. -</p> - -<p> -— Che cosa c’entrate voi? -</p> - -<p> -— Fatemi il piacere di tornare indietro. -</p> - -<p> -— È una prepotenza! -</p> - -<p> -— È quello che è! -</p> - -<p> -— Ed io voglio andare dove mi accomoda! -</p> - -<p> -— E allora vi prenderò come una bambina -e vi porterò a casa. -</p> - -<p> -— Chi siete voi? -</p> - -<p> -— Questo non vi interessa. -</p> - -<p> -— Lo dirò con i miei uomini. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -</p> - -<p> -— Ditelo a chi vi accomoda. -</p> - -<p> -Passò un silenzio. Francesca e Palmina davano -di gomito a Mariòla perchè tacesse, perchè -ubbidisse, chè tanto non c’era nulla da -opporre contro la prepotenza di un male intenzionato. -E le tre vecchie ritornarono umili -per la strada percorsa e non scambiaron parola. -Quando furono all’Incrociata dell’Olmo si -fermarono. Lo sconosciuto non c’era più. -</p> - -<p> -— Chi sarà stato?... -</p> - -<p> -— Chi sa?... -</p> - -<p> -— Un socialista!... -</p> - -<p> -— Sì!... -</p> - -<p> -Era l’alba. Che dovevan fare? Ed ecco che -la chiesuola lanciò un secondo timido richiamo. -Costanzina le aspettava. -</p> - -<p> -— Che cosa dirà il parroco? -</p> - -<p> -— Gli avevo portato due uova, povero vecchio! -È malato e non ha nulla da curarsi! -</p> - -<p> -— Sentite?... Suonano ancora la prima!... -</p> - -<p> -— Ci aspettano. -</p> - -<p> -E si udiva la chiamata sommessa. Pareva -che la campana non fosse tocca da una mano, -bensì dal vento leggero che ne movesse il -battaglio appena, tanto che il suono, inuguale -fra pause inuguali, fosse come il tremolio -della foglia e l’incresparsi dell’acqua e il chinarsi -degli steli e il moto e la voce di tutte le -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -cose che parlano e si ridestano quando l’aria -si muove. -</p> - -<p> -Le tre vecchie presero una via traversa. -L’ombra non c’era più. Ed anche quella domenica -si inginocchiarono su la nuda terra, -sotto le travi dove erano i nidi abbandonati -delle rondini lontane. -</p> - -<p> -Ma alla prima minaccia ne seguirono altre. -Le ultime tre fedeli del piccolo tempio in rovina -dovevano rinunziare alla pubblica pratica -della loro fede; se volevano pregare, pregassero -in casa. In chiesa, no!... -</p> - -<p> -Mariòla, Palmina e Francesca lasciaron dire -gli uomini incaniti e tacquero, ma il loro silenzio -non fu di acquiescenza. Anch’esse erano -della stessa razza tenace e non cedevano sì -facilmente. -</p> - -<p> -Ora giunse la domenica e fra loro si era -passato un accordo. Quella volta non indossavano -la veste consacrata, anzi trascelsero la -peggiore e presero un sacchetto ed un falcetto -come quando solevano andar lungo i fossi a -raccogliere la gramigna. La campana della chiesuola -non suonò i suoi doppi. Costanzina era -avvisata. Tanto Mariòla quanto le compagne -non percorsero la via consueta, anzi andaron -per strade diverse raddoppiando il cammino. -Si erano levate più di buon’ora. L’alba pareva -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -lontana. Quando cantarono i galli si trovarono -tutte e tre lungo il fondo di un rio come era -convenuto. Questo rio passava sotto il cimitero -e accanto alla chiesuola. -</p> - -<p> -Si videro appena. Era un gran buio. -</p> - -<p> -— Siete voi Mariòla? -</p> - -<p> -— Sì, Francesca! -</p> - -<p> -— E Palmina? -</p> - -<p> -— Eccola. -</p> - -<p> -Incurve, guardinghe, col loro sacchetto sopra -una spalla e il falcetto in una mano proseguirono, -l’una dietro l’altra. -</p> - -<p> -— E se ci sono? — domandò Francesca. -</p> - -<p> -— Se ci sono raccoglieremo la gramigna — rispose -Mariòla. -</p> - -<p> -Un cane abbaiò lontanissimamente. Si udì il -remoto rombo di un treno. Non c’erano stelle. -</p> - -<p> -— Siamo arrivate? — fece Palmina. -</p> - -<p> -Mariòla levò la faccia e disse: -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— C’è Costanzina? -</p> - -<p> -Le tre vecchie scrutarono l’ombra. -</p> - -<p> -— Non si vede. -</p> - -<p> -— Allora son venuti e ci aspettano! -</p> - -<p> -— Non importa! — disse Mariòla. -</p> - -<p> -Si intravvedeva la siepe del cimitero. Mariòla incominciò -a inerpicarsi lungo la sponda del rio. Andava -carponi. Palmina e Francesca la seguirono. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -</p> - -<p> -Quando potè inginocchiarsi su lo scrimolo, -Mariòla passò il capo per un varco della siepe -e chiamò sommessamente: -</p> - -<p> -— Costanzina? -</p> - -<p> -Nessuno rispose. -</p> - -<p> -— Non c’è! — disse Francesca. -</p> - -<p> -Mariòla si rizzò. Le altre le furono al fianco. -Ristettero immobili, un attimo. Udirono qualche -voce nella straducola della chiesa. -</p> - -<p> -— Li sentite? — fece Palmina. -</p> - -<p> -— Sì. -</p> - -<p> -— Sono venuti in molti. -</p> - -<p> -— Non importa. -</p> - -<p> -— Ci vogliono fischiare!... -</p> - -<p> -— E tu <i>digli</i> che fischino! -</p> - -<p> -— Che cosa fate?... -</p> - -<p> -— Venitemi dietro. -</p> - -<p> -Mariòla aprì un varco ed entrò nel piccolo -camposanto. Andarono in fila, lungo la siepe, -senza far rumore, tutte tre incurve, tutte tre -con lo stesso sacchetto sulle spalle e il falcetto -in una mano. Avevano una pezzuola bianca e -nera. Camminavano adagio, trasfigurate dall’ombra. -</p> - -<p> -Dalla via qualcuno gridò: -</p> - -<p> -— Chi è? -</p> - -<p> -Le vecchie non risposero. Trascorse un silenzio -profondo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -</p> - -<p> -— Avete veduto? — domandò una voce -sommessa. -</p> - -<p> -— Che cosa? -</p> - -<p> -— Là.... dietro la siepe del camposanto! -</p> - -<p> -— Chi è?... Chi è?... -</p> - -<p> -— Sarà l’ombra di un albero. -</p> - -<p> -— No.... -</p> - -<p> -— Andiamo a vedere. -</p> - -<p> -Le tre vecchie si fermarono e anche gli uomini -si fermarono. Nessuno si mosse. Ma quando -Mariòla aprì il cancelletto del camposanto e si -udì lo stridore dei cardini, ed ella non fu più -confusa alla siepe, ma chiara e paurosa nel vano, -contro le croci e i marmi, allora si udì un urlo -soffocato, poi il busso di una corsa sfrenata. -</p> - -<p> -Poco dopo la schiletta del campanile suonò -i suoi doppi e i due ceri si accesero sull’altare -dispoglio innanzi al nero crocifisso e le tre -vecchie si inginocchiarono l’una vicino all’altra -su la nuda terra. -</p> - -<p> -E queste tre vecchie più non furono disturbate -finchè la morte non le chiamò ad una ad -una, dopo don Pietro, la piccola formica di -Dio, che già aveva seguito l’ignoto volo delle -sue rondini verso l’eternità. -</p> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -INDICE</a></h2> - -<table class="indice"> - <tr> - <td> </td> <td class="pag">Pag.</td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2"> </td> - </tr> - <tr> - <td>La pace</td> <td class="pag"><a href="#pace">1</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Lo spaventa passeri</td> <td class="pag"><a href="#passeri">19</a></td> - </tr> - <tr> - <td>La vigna vendemmiata</td> <td class="pag"><a href="#vignav">33</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Padre Serenità</td> <td class="pag"><a href="#padre">51</a></td> - </tr> - <tr> - <td>L’eremita</td> <td class="pag"><a href="#eremita">71</a></td> - </tr> - <tr> - <td>I violenti</td> <td class="pag"><a href="#violenti">93</a></td> - </tr> - <tr> - <td>La gazza</td> <td class="pag"><a href="#gazza">107</a></td> - </tr> - <tr> - <td>L’eredità</td> <td class="pag"><a href="#eredita">137</a></td> - </tr> - <tr> - <td>La festa dei migliacci</td> <td class="pag"><a href="#festa">147</a></td> - </tr> - <tr> - <td>La madre</td> <td class="pag"><a href="#madre">165</a></td> - </tr> - <tr> - <td>L’ora grigia</td> <td class="pag"><a href="#grigia">199</a></td> - </tr> -</table> -<hr /> - -</div> - -<div class="opere"> -<p class="title"> -DELLO STESSO AUTORE: -</p> - -<table class="indice"> - <tr> - <td><i>Anna Perenna</i>, novelle</td> <td class="pag">L. 3 50</td> - </tr> - <tr> - <td><i>I primogeniti</i>, novelle</td> <td class="pag">3 50</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Il cantico</i>, romanzo</td> <td class="pag">3 50</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Gli uomini rossi</i>, romanzo</td> <td class="pag">2 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>L’alterna vicenda</i>, novelle</td> <td class="pag">3 50</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Il diario di un viandante. Dal deserto al Mar Glaciale</i>. In-8 ill., con tav. a colori</td> <td class="pag">8 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Solicchio</i>, canto d’amore. In-8</td> <td class="pag">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Le Novelle della Guerra</i></td> <td class="pag">3 50</td> - </tr> -</table> -</div> - -<div class="footnotes"> - -<h2> -NOTE: -</h2> - -<div class="footnote" id="note1"> -<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>.  </span><i>Battolata</i>, così si chiama in Romagna il batter -delle gramole in ritmo, fra lunghe pause. Le gramolatrici -usano fare la battolata per chiamar sulla sera i -loro innamorati a convegno.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note2"> -<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>.  </span>Usava in Romagna, fino a qualche anno fa, che un -amante abbandonato, per vendicarsi pubblicamente dell’incostanza -della propria innamorata, al tempo della -gramolatura della canapa, si recasse all’aia nella quale -si trovava la sua bella ed ivi giunto gridasse il nome -di questa facendolo seguire da due colpi di fucile. Tali -colpi costituivano le così dette <i>corna</i> ed erano per la -ragazza un tale sfregio che il capoccio della casa si affrettava -a <i>guastare</i> sparando un terzo colpo.</p> -</div> -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - -<div lang='en' xml:lang='en'> -<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>LA VIGNA VENDEMMIATA</span> ***</div> -<div style='text-align:left'> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Updated editions will replace the previous one—the old editions will -be renamed. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. -</div> - -<div style='margin-top:1em; font-size:1.1em; text-align:center'>START: FULL LICENSE</div> -<div style='text-align:center;font-size:0.9em'>THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE</div> -<div style='text-align:center;font-size:0.9em'>PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all -the terms of this agreement, you must cease using and return or -destroy all copies of Project Gutenberg™ electronic works in your -possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a -Project Gutenberg™ electronic work and you do not agree to be bound -by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the person -or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.B. “Project Gutenberg” is a registered trademark. 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INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the -trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone -providing copies of Project Gutenberg™ electronic works in -accordance with this agreement, and any volunteers associated with the -production, promotion and distribution of Project Gutenberg™ -electronic works, harmless from all liability, costs and expenses, -including legal fees, that arise directly or indirectly from any of -the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this -or any Project Gutenberg™ work, (b) alteration, modification, or -additions or deletions to any Project Gutenberg™ work, and (c) any -Defect you cause. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg™ -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s -goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg™ and future -generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see -Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state’s laws. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, -Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up -to date contact information can be found at the Foundation’s website -and official page at www.gutenberg.org/contact -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread -public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. We do not solicit donations in locations -where we have not received written confirmation of compliance. To SEND -DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state -visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -While we cannot and do not solicit contributions from states where we -have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition -against accepting unsolicited donations from donors in such states who -approach us with offers to donate. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -International donations are gratefully accepted, but we cannot make -any statements concerning tax treatment of donations received from -outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Please check the Project Gutenberg web pages for current donation -methods and addresses. Donations are accepted in a number of other -ways including checks, online payments and credit card donations. To -donate, please visit: www.gutenberg.org/donate -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 5. General Information About Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Professor Michael S. Hart was the originator of the Project -Gutenberg™ concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg™ eBooks with only a loose network of -volunteer support. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Most people start at our website which has the main PG search -facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -This website includes information about Project Gutenberg™, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. -</div> - -</div> -</div> -</body> -</html> diff --git a/old/68788-h/images/cover.jpg b/old/68788-h/images/cover.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index d3e35e1..0000000 --- a/old/68788-h/images/cover.jpg +++ /dev/null |
