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You may copy it, give it away or -re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included -with this eBook or online at www.gutenberg.org/license - - -Title: Le Novelle della Pescara - -Author: Gabriele D'Annunzio - -Release Date: October 1, 2016 [EBook #53184] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LE NOVELLE DELLA PESCARA *** - - - - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - - - - - - Gabriele d'Annunzio - - - Le Novelle - della Pescara - - - LA VERGINE ORSOLA. — LA VERGINE ANNA. - GLI IDOLATRI. — L'EROE. — LA VEGLIA FUNEBRE. - LA CONTESSA D'AMALFI. — LA MORTE DEL DUCA D'OFENA. - IL TRAGHETTATORE. — L'AGONIA. — LA FINE DI CANDIA. — LA FATTURA. - I MARENGHI. — LA MADIA. — MUNGIÀ. — LA GUERRA DEL PONTE. - TURLENDANA RITORNA. — TURLENDANA EBRO. - IL CERUSICO DI MARE. - - - - MILANO - FRATELLI TREVES, EDITORI. - 1904 - Settimo migliaio. - - - - - PROPRIETÀ LETTERARIA - - - _I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati - per tutti i paesi, compreso il Regno di Svezia e di Norvegia_ - - Tip. Fratelli Treves. - - - - -LA VERGINE ORSOLA. - - -I. - -Il viatico uscì dalla porta della chiesa a mezzogiorno. Su tutte le -strade era la primizia della neve, su tutte le case la neve. Ma in alto -grandi isole azzurre apparivano tra le nuvole nevose, si dilatavano -sul palazzo di Brina lentamente, s'illuminavano verso la Bandiera. E -nell'aria bianca, sul paese bianco appariva ora subitamente il miracolo -del sole. - -Il viatico s'incamminava alla casa di Orsola dell'Arca. La gente si -fermava a veder passare il prete incedente a capo nudo, con la stola -violacea, sotto l'ampio ombrello scarlatto, tra le lanterne portate dai -clerici accese. La campanella squillava limpidamente accompagnando i -salmi susurrati dal prete. I cani vagabondi si scansavano nei vicoli -al passaggio. Mazzanti cessò di ammucchiare la neve all'angolo della -piazza e si scoprì la zucca inchinandosi. Si spandeva in quel punto dal -forno di Flaiano nell'aria l'odore caldo e sano del pane recente. - -Nella casa dell'inferma gli astanti udirono gli squilli, e udirono su -per le scale il salire dei vegnenti. La vergine Orsola era sul letto, -supina, tenuta dallo stupore della febbre, da una sonnolenza inerte, -con la respirazione frequente rotta da i rantoli. Posava sul guanciale -la testa quasi nuda di capelli, la faccia d'un colore quasi ceruleo -ove le palpebre erano semichiuse sopra gli occhi vischiosi e le narici -parevano annerite dal fumo. Ella faceva con le mani scarne piccoli -gesti incerti, vaghi conati di prendere qualche cosa nel vuoto, strani -segni improvvisi che davano quasi un senso di terrore a chi stava -da presso; e nelle braccia pallide le passavano le contrazioni dei -fasci muscolari, i sussulti dei tendini; e a volte un balbettamento -inintelligibile le usciva dalle labbra, come se le parole le si -impigliassero nella fuliggine della lingua, nel muco tenace delle -gengive. - -Nella stanza si faceva quel silenzio tragico che suole precedere gli -avvenimenti supremi, un silenzio dove il respiro dell'inferma e i -gesticolamenti incerti e le irruzioni rauche della tosse aggravavano -l'attesa della morte. Dalle finestre aperte entrava l'aria pura ed -uscivano le esalazioni della malattia. Un vivo baglior bianco si -rifrangeva dalla neve coprente i cornicioni e i capitelli corintii -dell'arco di Portanova: il fiore cristallino dei ghiaccioli scintillava -d'iridi all'altezza della stanza. Nell'interno, su le pareti, pendevano -grandi medaglie sacre d'ottone, imagini di santi. Sotto un vetro una -Madonna di Loreto tutta nera il volto il seno le braccia, come un -idolo barbarico, luceva nella sua veste adorna di mezze lune d'oro. -In un angolo, un piccolo altare candido portava un vecchio crocifisso -di madreperla, tra due boccali turchini di Castelli pieni d'erbe -aromatiche. - -Camilla, la sorella, l'unica parente, presso al letto, pallidissima, -tergeva le labbra nerastre e i denti incrostati dell'inferma con -un lino umido di aceto. Don Vincenzo Bucci, il medico, seduto, -guardava il pomo d'argento della bella mazza, le belle corniole -incise ch'egli aveva negli anelli delle dita, aspettando. Teodora La -Jece, una tessitrice vicina, stava ritta, in silenzio, tutta intenta -nell'atteggiare a dolore la faccia bianca e lentigginosa, gli occhi -d'acciaio, la bocca crudele. - -— _Pax huic domui_ — disse il prete entrando. Apparve all'uscio Don -Gennaro Tierno, lunghissimo e smilzo su piedi enormi, con i movimenti -di un bruco che si snodi. Veniva dietro di lui Rosa Catena, una femmina -che avea fatto pubblica professione d'impudicizia al suo tempo verde e -che ora si salvava l'anima assistendo i moribondi, lavando i cadaveri, -vestendoli e accomodandoli nella bara, senza prender mercede. - -Nella stanza di Orsola tutti erano in ginocchio, chini la faccia. -L'inferma non udiva; una stupefazione intensa le teneva ancora i sensi. -E l'aspersorio si levò su di lei, lucido nell'aria, aspergendo il -letto. - -— _Asperges me, Domine, hyssopo, et mundabor..._ Ma Orsola non sentì -l'onda purificatrice che la rendeva più bianca della neve innanzi al -suo Signore. - -Ella stirava davanti a sè con le dita fragili le coperte, aveva un moto -tremulo nelle labbra, nella gola il gorgoglio della parola che ella non -poteva profferire. - -— _Exaudi nos, Domine sancte..._ - -Allora uno scoppio di pianto risonò fra le parole latine, e Camilla -nascose nella sponda del letto la faccia rigata di lacrime. Il medico -s'era accostato e teneva fra le dita inanellate il polso di Orsola. -Egli voleva scuoterla, apprestarla a ricevere il Sacramento dalle -mani del sacerdote di Gesù Cristo, fare che ella porgesse la lingua -all'ostia. - -Orsola balbettò, gesticolò ancora vagamente nel vuoto, mentre la -sollevavano su i guanciali. Ella non udiva se non un tintinno nei nervi -dell'orecchio perturbati, a tratti un gridìo, a tratti una musica. Come -fu sollevata, subitamente il rossore livido della faccia si mutò in -un pallore di cadavere; la vescica di ghiaccio cadde dalla testa sul -lenzuolo. - -— _Misereatur..._ - -Porse ella finalmente la lingua tremante, coperta d'una crosta mista di -muco e di sangue nerastro, dove l'ostia vergine si posò. - -— _Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi..._ - -Ma ella non ritirò la lingua a quel contatto, perchè non aveva -conscienza di quel che faceva: lo stupidimento non era rotto dal lume -dell'Eucaristia. Camilla guardava con gli occhi rossi pieni di terrore -e di dolore quella faccia terrea dove ogni segno di vita mancava a poco -a poco, quella bocca aperta che pareva la bocca di uno strangolato. -Il prete seguitava, nella solennità del suo ministerio, le preghiere -latine lentamente. Tutti gli altri rimanevano genuflessi, sotto il -diffuso albore che fuori dalla neve suscitava il meriggio. L'odore -del pane caldo salì col vento e fece fremere le papille del naso ai -clerici. - -— _Oremus!..._ - -Agli eccitamenti del medico Orsola richiuse le labbra. La riadagiarono -supina; poichè il prete entrava nel sacramento dell'Estrema Unzione. I -clerici genuflessi ripetevano sommessamente l'antifona dei sette Salmi -penitenziali. - -— _Ne reminiscaris._ - -Teodora La Jece metteva di tratto in tratto un singulto soffocato, -coperta il volto con le palme, a' piedi del letto. Rosa Catena -stava ritta, accanto, con un occhio semichiuso da cui le colava di -continuo un liquido giallognolo e con l'altro occhio cieco e bianco -per un'albùgine; scorreva un rosario, mormorando. E mentre i Salmi -sommessamente dal pavimento si elevavano, su quel mormorio confuso -dominava la formula sacra del prete ungente in croce gli occhi, gli -orecchi, le narici, la bocca, le mani dell'inferma inerte. - -— _... indulgeat tibi Dominus quidquid per gressum deliquisti. Amen._ - -Fu Camilla che scoperse i piedi della sorella: apparvero tra le coperte -due piedi gialli, squamosi, lividi nelle unghie, che al tatto davano un -ribrezzo di membra morte. E su quella pelle secca le lacrime caddero, -si mescolarono con l'unzione estrema. - -— _Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrie eleison. Pater noster..._ - -L'unta del Signore stava ora immobile, respirando, con gli occhi chiusi -dinanzi alla luce, con le ginocchia sollevate e le mani strette fra le -cosce, nell'atteggiamento abituale dei tifosi. E il prete, poi ch'ebbe -premuto su le labbra di lei per l'ultima volta il crocefisso, fatto -il segno della croce alto in mezzo alla stanza con la gran mano, uscì -seguito dai clerici. Vagava ancora nella stanza quell'odore svanito -d'incenso e di cera che hanno le vesti sacerdotali. Fuori, sotto le -finestre, Matteo Puriello martellava le suola, canticchiando. - - -II. - -I segni del male declinavano lentamente in favore: succedeva ora -il quarto settenario, succedeva ora al sopore stupido la quiete -naturale del sonno, una quiete durevole in cui a poco a poco tutte le -perturbazioni della conscienza si sedavano e le facoltà del senso si -facevano meno torbide e la frequenza della respirazione diminuiva. Ma -una tosse aspra scoppiava a tratti nel petto dell'inferma, facendo -sussultare le vertebre; una distruzione dolorosa della pelle e dei -tessuti molli si compiva ai gomiti, alle ginocchia, all'estremità -della schiena, di giorno in giorno. Quando Camilla si chinava sul -letto chiamando: — Orsola! — la sorella tentava d'aprire gli occhi, -di volgersi verso la voce. Ma la debolezza la opprimeva; lo stupore -torpido le occupava di nuovo il senso. - -Ella aveva fame, aveva fame. Una bramosìa bestiale di cibo le -torturava le viscere vuote, le dava alla bocca quel movimento vago -delle mandibole chiedenti qualche cosa da masticare, le dava talvolta -alle povere ossa delle mani quelle contrazioni prensili che hanno -le dita delle scimmie golose alla vista del pomo. Era la fame canina -nella convalescenza del tifo, quella terribile avidità di nutrimento -vitale in tutte le cellule del corpo impoverite dal lungo malore. -Una scarsa onda di sangue restava a pena circolante pei tessuti; nel -cervello debolmente irrigato ogni attività ristagnava come in una -macchina a cui la forza motrice del liquido difetti. Soltanto, in -quella materia disordinatamente ora si producevano certe vibrazioni -determinanti certi atti che nella vita anteriore erano abituali; nè di -quel lavorìo meccanico aveva la convalescente conscienza. Ella per lo -più diceva ad alta voce le letanie; divideva in sillabe parole senza -nesso; minacciava punizioni a discepoli; cantava le strofe quinarie -di un inno a Gesù. Aveva per lo più nell'indice della mano sinistra -un moto di indicazione scorrente su l'orlo del lenzuolo, come se -ella con quel segno guidasse l'occhio dei discepoli su le righe del -libro. Poi, talvolta, la sua voce si sollevava, prendeva una solennità -quasi minacciosa, pronunciando le ammonizioni delle _sette trombe_, -ricordando confusamente le parole di fra Bartolomeo da Saluzzo ai -peccatori, avendo forse negli occhi stupefatti la visione di quelle -vecchie stampe impresse dal legno piene di deformi angeli tubanti e -di demonii debellati. Ma negli occhi non mai aveva uno sguardo. Le -palpebre pesanti coprivano l'iride a metà, quell'iride senza colore -spersa nella sclerotica che pareva come velata da un muco giallastro. -Ella stava nel suo letto distesa, con il capo su due guanciali. Quasi -tutti i capelli le erano caduti nella malattia; un pallor terreo, -di quei pallori sotto cui pare non anche possa rimanere la vita, le -occupava la faccia, le cavità della faccia; e il teschio ne traspariva, -e da tutta la restante aridezza della pelle lo scheletro traspariva, -e intorno a tutto quell'ossame nei punti di pressione sul letto i -tessuti aderenti degeneravano. Solo, un'immensa fame animava quella -rovina, torturava gl'intestini ove le ulceri tifose si cicatrizzavano -lentamente. - -Fuori, era la novena di Natale, la bella festività de' vecchi e de' -fanciulli. Erano certi vespri chiari e rigidi, sotto cui tutto il -paese di Pescara si popolava di marinari e si empiva dei suoni delle -zampogne. L'odore acuto delle zuppe di pesce si propagava nell'aria -dalle cantine aperte. Lentamente alle finestre, alle porte, nelle vie i -lumi apparivano. Il sole indugiava roseo su i terrazzi di pietra della -casa di Farina, sui comignoli della casa di Memma, sul campanile di San -Giacomo. Le altezze illustri dominavano come fari sul paese occupato -dall'ombra. Poi, d'un tratto, la notte cominciava a constellare i -firmamenti; sopra le case di Sant'Agostino una mezza luna si affacciava -dal bastione tra il fanale rosso e il pino del telegrafo, crescendo. - -Alla stanza di Orsola tutta quell'animazione di vita saliva in un -romorìo confuso di alveare che si sveglia. - -Le pastorali delle zampogne si avvicinavano, di casa in casa, di porta -in porta. Avevano una religiosa e familiare letizia quei suoni che i -ciociari di Atina traevano da un otre di pecora e da un gruppo di canne -forate. La convalescente udiva, si sollevava sul letto; poichè quella -sensazione le ridestava i fantasmi di altre sensazioni trascorse, e gli -occhi le si empivano tutti di visione sacra, di presepi raggianti e di -bianchi peregrinaggi d'angeli in azzurri immacolati. Ella si metteva a -cantare le laudi, tendendo le braccia, restando talvolta con la bocca -aperta mentre la voce negli organi le mancava; si metteva a laudare -Gesù con una elevazione ardente e dolce di amore, trasportata dai suoni -delle pastorali appressantisi, allucinata dalle imagini sante delle -pareti. Ascendeva ai cieli, tra le musiche dei cherubini, tra i vapori -della mirra e dell'incenso. - -— _Hosanna!_ - -La voce le mancava. Ella tendeva le braccia. Camilla, da presso, voleva -riadagiarla su i guanciali; si sentiva come soggiogare da quel cieco -entusiasmo di fede: le tremavano le mani, le labbra. Orsola ricadeva -stesa, con il capo abbandonato, scoperta la gola e il petto, mostrando -degli occhi solo il bianco nel gran pallore, sorridente a qualche -cosa invisibile, in un atteggiamento di vergine martire. Le zampogne -passavano; tardi passavano le canzoni del vino urlate dai marinari -nella notte tornanti alle barche della Pescara. - - -III. - -L'istinto della fame si ridestava vivissimo, come più chiara si faceva -la coscienza. Quando dal forno di Flaiano saliva nell'aria l'odore -caldo del pane, Orsola chiedeva; chiedeva con un accento di mendicante -famelica, tendeva la mano, supplicando, alla sorella. Divorava -rapidamente, con un godimento brutale di tutto l'essere, guardando -d'intorno se qualcuno tentasse strapparle di tra le mani il cibo, in -sospetto. - -La convalescenza era lunga e lenta; ma già un senso mite di sollievo -cominciava a spargersi per le membra, a liberare il capo. Per quella -sana nutrizione di albume e di carne muscolare un sangue novello si -produceva: i polmoni dilatati ora largamente dall'aria vivificavano -il sangue carico di sostanze; e i tessuti irrigati dall'onda tiepida -e rapida si colorivano ricomponendosi, si rinnovellavano nelle piaghe -di decubito, si ricoprivano di cute a poco a poco; e le attività -cerebrali a quell'affluire operavano sicure; e le innervazioni negli -organi sensorii non più perturbate rendevano limpida la sensazione; -e sul cranio i bulbi capilliferi rigermogliavano densi; e da quel -riordinamento delle leggi meccaniche della vita, da quel dispiegarsi -di energie prima latenti che la malattia aveva provocate, da quella -intensa brama che la convalescente aveva di vivere e di sentirsi -vivere, da tutto, lentamente, quasi in una seconda nascita, una -creatura migliore sorgeva. - -Erano i giorni primi di febbraio. - -Dal suo letto Orsola vedeva la sommità dell'arco di Portanova, i -mattoni rossicci tra cui crescevano l'erbe, i capitelli sgretolati -dove le rondini avrebbero appeso i nidi. Le viole di Sant'Anna nelle -screpolature del fastigio non anche fiorivano. Il cielo sopra si -apriva in una gentile beatitudine; e per l'aria a tratti giungevano -dall'arsenale gli squilli delle fanfare. - -Fu allora che, quasi con un senso di meraviglia, ella riandò -l'esistenza trascorsa. Le pareva quasi che quel passato non le -appartenesse, non fosse suo: una lontananza smisurata ora la divideva -da quei ricordi, una lontananza come di sogno. Ella non aveva più -la valutazione sicura del tempo; ella doveva guardare gli oggetti -che la circondavano, fare uno sforzo della mente, raccogliersi a -lungo, per ricordare. Si toccava con le dita le tempie dove i capelli -rigerminavano tenui, e un sorriso vago di smemorata le sfiorava le -labbra pallide, le fuggiva negli occhi. - -— Ah! — susurrò fioca; e il gesto delle dita alle tempie le ritornava, -gentilmente. - -Era stata una vita triste ed uguale, in quelle tre stanze, fra tutte -quelle piccole statue deformi di Santi, fra tutte quelle imagini di -Madonne, fra tutti quei bimbi compitanti in coro ad alta voce per -cinque ore del giorno le medesime parole scritte col gesso su la -lavagna. Come le martiri gloriose della leggenda, come Santa Tecla -di Licaonia e Santa Eufemia di Calcedonia, le due sorelle avevano -consacrata la loro verginità allo Sposo celeste, al talamo di Gesù. -Avevano mortificata la carne a furia di privazioni e di preghiere, -respirando l'aria della chiesa, l'incenso e l'odore delle candele -ardenti, cibandosi di legumi. - -Avevano stupefatto lo spirito in quell'esercizio arido e lungo di -sillabazione, in quel freddo distillìo di parole, in quell'opera -macchinale dell'ago e del filo su le eterne tele bianche odoranti -di spigo e di santità. Mai le loro mani cercarono la dolcezza delle -chiome infantili, il tepore di quel biondo angelico; mai le loro labbra -cercarono la fronte dei discepoli, in una effusione di tenerezza -improvvisa. Insegnavano la piccola dottrina, i piccoli canti della -religione; facevano prostrare tutte quelle teste gioconde lungamente -sotto le ammonizioni quaresimali; parlavano del peccato, degli orrori -del peccato, delle pene eterne, con la voce grave, mentre tutti quei -grandi occhi si empivano di meraviglia e tutte quelle bocche rosee si -aprivano allo stupore. Intorno, per le fantasie vive dei fanciulli le -cose si animavano: dal fondo dei vecchi quadri uscivano certi profili -giallognoli di santi misteriosi; e il Nazareno cinto di spine e di -stille sanguigne guardava da ogni parte con gli occhi agonizzanti, -perseguitando; e su per la gran cappa del camino ogni macchia di fumo -prendeva una forma atroce. Così infondevano esse la fede in quelle -anime inconsapevoli. - -Ora il ricordo di quella sterilità si destò in Orsola torbidamente. -Ella risaliva, risaliva agli anni più lontani, per una naturale -tendenza dello spirito, si rifugiava alle fonti; e una pienezza -improvvisa di giubilo la inondò come se in un momento tutta la sua -infanzia le rifluisse al cuore. - -— Camilla! Camilla! — chiamò. — Dove sei? — La sorella non rispose, non -era nell'altra stanza; era forse andata giù, nella chiesa, al vespro. -Allora la convalescente fu presa dalla tentazione di mettere i piedi a -terra, di provare i passi sul pavimento, così, sola. - -Rideva d'un riso timido di bambina che esiti in un'impresa difficile; -socchiudeva gli occhi soffermandosi nel nuovo diletto di quel pensiero: -palpava con le dita le ginocchia, le caviglie esili, raccogliendosi, -come per misurare la forza; e rideva, rideva poichè il riso le -insinuava uno sfinimento dolce, una sottile delizia vibrante, in tutto -l'essere. - -Una freccia di sole strisciava sul davanzale e feriva l'acqua di un -bacile in un angolo: il riflesso mobile tremolava nella parete, come -una fine trama di oro. Uno stuolo di colombi attraversò lo spazio e -venne a posarsi su l'arco; parve un augurio. Ella pianamente scansò -le coperte, esitò ancora: seduta su la sponda del letto cercava con -la punta del piede scarno e giallo la pianella di lana. La trovò, -trovò l'altra; ma ora una tenerezza subitanea l'assaliva e le si -empivano di lacrime gli occhi, e tutto tremolava dinanzi a lei in -un albore indistinto come se le cose in torno si facessero aeree ed -evanissero. Le lacrime le rigavano le guance, le si fermavano alla -bocca tiepide e salse: ella ne bevve alcune, ne sentì il sapore. -Fuori, dall'arco i colombi a uno a due si rialzavano, frullando. Orsola -con un moto delle fauci respinse il groppo del pianto; poi si poggiò -su la sponda, premette, si alzò finalmente in piedi; sorrise dagli -occhi umidi, guardandosi. Non sapeva di essere così debole, di non -potersi così reggere diritta su le gambe; aveva una strana sensazione -di formicolìo negli stinchi, di vellicamento nei muscoli, quasi la -sensazione d'un ferito che si levi quando l'osso infranto non anche è -bene saldato. Tentò di muovere un passo, avanzò il piede, timidamente; -ebbe paura, sedette di nuovo su la sponda, guardandosi in torno come -per assicurarsi che non la spiava alcuno. Poi cercò un punto di meta, -la finestra; e ricominciò, pianamente, con gli occhi fissi sul piede -che avanzava, in equilibrio, stringendosi lo scialle verde al petto, -invasa un poco dal freddo. Un subitaneo spavento la prese, a mezzo: -ella barcollò, agitò le mani, si rivolse verso il letto, mise tre o -quattro passi precipitosi, ricadde su la sponda. Stette un momento là, -in affanno; rientrò sotto le coperte dove ancora restava il tepore, -s'avvolse e si raccolse rabbrividendo. - -— Come sono debole, Signore! - -E guardava curiosa sul pavimento il luogo dove ella aveva fatto i -passi, quasi vi cercasse le orme. - - -IV. - -Di questo primo tentativo non disse nulla alla sorella. Quando -sentì Camilla rientrare, chiuse gli occhi, stette immobile come -una dormiente, provando uno strano piacere in sè di quell'inganno, -ricacciando a forza indietro il riso che la vellicava a sommo del -petto e le saliva alle labbra. Ella gioiva di quel piccolo segreto: -tutti i giorni aspettava con un desiderio inquieto l'ora in cui Camilla -scendeva le scale; restava un momento in ascolto, seduta sul letto, fin -che giungeva il rumore del lento discendere; poi si levava, soffocando -gli scoppi di riso, appoggiandosi alle pareti, ai mobili, mettendo -gridi di paura sommessi ogni volta che le ginocchia minacciavano di -piegarsi, ogni volta che l'equilibrio mancava. - -Dal forno di Flaiano a quell'ora saliva quasi sempre l'odore del pane -ad irritarla. Ella si avvicinava alla finestra per cercare il vento; -provava una tortura mista di voluttà nell'aspirare quella emanazione -sana, con la lingua nuotante nell'acquolina e gli occhi vivi di -cupidigia. Allora la prendeva una furia di frugare da per tutto, -di mettere da per tutto le mani, traendosi di quà di là con minore -lentezza, facendo sforzi inutili e irosi su le serrature di cui Camilla -aveva portato seco le chiavi. Una volta, in fondo al repostiglio di -un tavolino trovò una mela e ci ficcò i denti golosamente. Da tempo -nel regime severo della convalescenza, ella non assaporava un frutto. -In quello era un fresco profumo di rosa, il profumo che in certe mele -aggrinzite e scolorite si accoglie. Cercò di nuovo nel repostiglio, -sperando; ma non trovò se non una specie di siliqua verdognola, chiusa, -che doveva contenere forse un gruppo di semi; e la prese, la guardò -curiosamente, la nascose sotto il guanciale. - -Passava così quell'ora, in segreto, con il godimento acre che danno ai -fanciulli in guarigione le cose proibite, le infrazioni degli ordini -dottorali, i piccoli furti. Solo testimone era un micio, tutto maculato -come una pelle di serpente, che girava talvolta intorno a Orsola con -un miagolìo familiare o si fermava teso invano a ghermire se fuori -volavano su l'arco i colombi. A poco a poco Orsola prendeva amore a -quel compagno discreto. Ella lo accoglieva nel tepore del letto, gli -sussurrava parole senza nesso, lo guardava lungamente leccarsi con la -lingua rosea la zampa, porgere la gola di lucertola alla blandizia, -una gola gialliccia che palpitava d'un suono rauco e dolce simile al -tubare delle tortore nei boschi. Ella, forse per un naturale ricorso di -quel suo misticismo anteriore, amava i bagliori tralucenti dagli occhi -dell'animale nella penombra, quegli sprazzi di fosforo, che emanavano -da una forma misteriosa e silenziosa nella tenebra. - -Camilla vedeva tutte queste strane predilezioni della sorella, con -una specie di diffidenza ed anche di rammarico sordo, ma taceva. E -lentamente, quasi insensibilmente, quelle due anime si distaccavano, si -allontanavano per repulsa. - -Erano prima vissute in una comunione di abitudini e di sentimenti -continua, perchè in loro ogni diversità d'indole e ogni insorgimento -si agguagliava e placava nell'unica fede, nel culto infrangibile della -deità di Cristo, in quel contemplamento ch'era divenuto lo scopo della -vita loro. Ma come il culto le assorbiva intere, in loro i legami -della consanguineità a poco a poco erano stati coperti e sopraffatti -da quelli della comune religione; quindi non mai una espansione di -tenerezza le aveva ricongiunte, non mai un abbandono di confidenza e -di ricordi o di speranze, come sorelle. Erano correligionarie, erano -membri della grande famiglia di Gesù spersi su la terra e agognanti il -Cielo. - -Così che a pena, per la rinnovazione operata prima dalla malattia e -dopo dal regime, in Orsola si manifestarono inaspettati atteggiamenti -d'indole e modi inconsueti, la repulsa avvenne inevitabile e la voce -del comun sangue sopita non si potè levare a contrasto. - - -V. - -I discepoli tornarono: fu la prima volta una mattina del marzo -nascente. Orsola s'era levata dal letto; stava seduta su la sponda, -col calore del sole alla nuca ed agli omeri. Nella stanza si sentiva -l'odore agro dell'aceto che Camilla aveva versato nei calamai muffiti; -e dalle finestre raramente il vento recava gli effluvii delle viole già -fiorite su l'arco. - -L'infanzia alitò nella stanza come un fiato di quel vento marzolino. -Fu prima su l'uscio un sospingersi tumultuoso di piccole teste che -volevano sollevarsi le une su le altre per vedere; poi l'esitazione, la -timidità, una specie di meraviglia ingenua dinanzi alla maestra pallida -pallida e scarna che i discepoli riconoscevano a pena. - -Ma la vergine sorrideva, sotto un turbamento improvviso di tutto il suo -sangue; li chiamava a sè, confondeva i loro nomi che le si affollavano -alle labbra, tendeva loro le mani. A uno, a due, a tre, i bimbi si -avanzavano, volevano prenderle le mani per metterci la bocca sopra, -ridicevano le parole di augurio imparate a casa, ingoiando per la furia -le sillabe. - -— No, no, non più! — esclamava Orsola, sopraffatta, ma abbandonando le -mani a quelle bocche tiepide e molli. Si sentiva quasi mancare. - -— Camilla, tienili, tienili. - -Ogni bimbo recava un dono: erano fiori, erano frutta. Le violette -avevano subito sparso il profumo nell'aria, e in quel profumo, in -quella luce tutte quelle facce infantili invermigliate dal buon sangue -plebeo sorridevano. - -Poi la lezione, nell'altra stanza, cominciò. La prima classe diceva a -voce alta le vocali e i dittonghi, la seconda sillabava; e su quel coro -chiarissimo a tratti si levava l'ammonimento di Camilla. - -— _La, le, li, lo, lu..._ - -Negli intervalli di silenzio, si udiva Matteo Puriello picchiare su le -suola o il telaio della Jece sbattere. - -— _Va, ve, vi, vo, vu..._ - -Allora Orsola s'infastidì. La monotonia de' rumori e delle voci le -dava al capo una pesantezza ingrata, le conciliava il sonno, mentre -ella voleva essere desta, mentre ella sentiva ancora intorno a sè la -respirazione dei fanciulli, il soffio giocondo di quelle vite. - -— _Bal, bel, bil, bol, bul..._ - -Prese i fiori, li mise in un bicchiere pieno d'acqua per conservarli. -Li fiutò poi lungamente, stette con le narici tra quel fresco, -chiudendo gli occhi, raccogliendosi tutta in quel peccato d'olfatto. - -— _Gra, gre, gri, gro, gru..._ - -Una gran nuvola bianca velò il sole. Orsola si accostò alla finestra, -si porse al davanzale per guardar giù nella piazza. Di fronte, Donna -Fermina Memma in una roba rosata stava sul balcone, tra i vasi dei -garofani; e un gruppo di ufficiali passava sotto a lei ridendo e -facendo un tintinnìo di sciabole sul lastrico. Più in là, nel giardino -pubblico le piante di lilla erano sul fiorire, la punta del gigantesco -pino si piegava al vento. Dalla cantina di Lucitino usciva Verdura, -l'eterno ubriaco, barcollando e vociferando. - -Orsola si ritrasse: era la prima volta, dopo tanto, che si affacciava -su la piazza. Le parve di essere in alto in alto, guardando in giù; la -prese una leggera vertigine. - -— _Nar, ner, nir, nor, nur..._ - -Il coro dentro seguitava, ancora, ancora, ancora. - -— _Pla, ple, pli, plo, plu..._ - -Orsola si sentiva soffocare, venir meno, a quella tortura: i suoi -poveri nervi indeboliti cedevano. Il coro seguitava, al ritmo della -bacchetta di Camilla battuta sul tavolino, implacabile. - -— _Ram, rem, rim, rom, rum..._ - -— _Sat, set, sit, sot, sut..._ - -Allora un impeto subitaneo di singhiozzi squassò la convalescente, -l'abbattè sul letto. Ella singhiozzava, così, bocconi, a braccia -aperte, premendo la faccia su i guanciali, scossa dai sussulti, senza -potersi frenare. - -— _Tal, tel, til, tol, tul..._ - - -VI. - -Le erano ricresciuti tutti i capelli, crespi e castanei, come prima. -Ella aveva ora una curiosità grande di guardarsi nello specchio; perchè -Rosa Catena, con uno di quei lezii che sempre svelavano in lei l'antica -femmina impudica, passandole la mano sul corpo le aveva detto: — -Bellezza! - -Aspettò dunque che Camilla uscisse; poi scese dal letto, staccò -dalla parete uno di quelli specchi _rococò_ a cornice d'oro appannati -di macchie verdi; con un lembo della coperta tolse la polvere e si -guardò dentro, sorridendo. Ella aveva tutto il collo nudo e pe 'l -collo certe vene azzurrognole quasi in rilievo, e nella testa piccola -e lunga qualche cosa di caprino, la bocca fine, il mento acuto, gli -occhi castanei come i capelli, ma più tendenti al giallo. Il pallore -trasparente e il sorriso davano una grazia nuova, una nuova giovinezza -ai suoi ventisette anni. - -Ella restò a guardarsi a lungo; e si piaceva di allontanare lentamente -lo specchio e di veder sparire l'imagine in quella luce un po' glauca -come in un velo d'acqua marina e quindi riemergere. La vanità la -conquistava, la occupava. Ella si accorse di tante piccole cose a -cui prima non aveva badato mai; per esempio, di un neo simile a una -lenticchia, che le macchiava la pelle su la tempia sinistra, e di una -cicatrice leggera che le attraversava l'arco di un sopracciglio. Restò -così, a lungo. Poi, assalita da una gioia repentina cercò in torno un -qualche diletto. - -Quella capsula vegetale, ch'ella aveva trovato in fondo a un -repostiglio, s'era aperta come in due valve scoprendo un grappolo denso -di semi nerastri. Ogni seme pareva legato a filamenti sottilissimi -d'una lucidità argentea; e il grappolo si manteneva compatto. Ma a -pena la Vergine vi mise un soffio, un nuvolo di piumoline bianche si -levò nell'aria e si sparpagliò qua e là brillando: erano le _spie_. -I semi parevano alati, parevano insetti ésili ed evanescenti che si -dissolvessero incontrando i raggi del sole o parevano lanugini di cigno -a pena visibili; ondeggiavano, ricadevano, si mescolavano ai capelli -di Orsola, le sfioravano la faccia, la coprivano tutta. Ella rideva, -difendendosi da quell'invasione, cercando di scacciare quella pelurie -che le vellicava la pelle e le si attaccava alle mani, ma le risa le -impedivano i soffii. - -Alla fine si distese lunga sul letto, lasciò che tutta quella molle -nevicata le scendesse sopra lentamente. Teneva gli occhi semichiusi -per prolungare la dolcezza; e a mano a mano che il sopore la invadeva, -si sentiva come sommergere in un giaciglio alto di piume. La luce che -entrava nella stanza era una di quelle pallide chiarità pomeridiane -del mese di marzo, ove il sole ride modestamente estinguendosi come un -indizio di aurora in un gran cielo albeggiante. - -Camilla trovò la sorella ancora addormentata con accanto lo specchio, -con ne' capelli le _spie_. - -— Oh, Signore Gesù! oh Signore Gesù! — mormorò tra i denti, -congiungendo le mani, in atto di compassione amara. - -La cristiana veniva dalla chiesa, dove aveva cantate le litanie -per l'Annunciazione e aveva ascoltata la predica sul messaggio -dell'Arcangelo all'ancella di Dio. _Ecce ancilla Domini_. L'eloquenza -sonora del frate predicante l'aveva inebriata; le restavano ancora -negli orecchi certe parole ammonitrici. - -Orsola si destava in quel momento con un lungo sbadiglio voluttuoso, e -stirava le membra. - -— Ah! sei tu, Camilla? — disse ella un po' confusa da quella presenza. - -— Sono io, sono io! Tu ti perderai, sciagurata, tu ti perderai — -irruppe la devota, additando lo specchio sul letto. — Tu hai tra le -mani lo strumento del demonio... - -Ed eccitata dalla prima invettiva, ella seguitava, sollevava la voce, -gittava le frasi ardenti della predica con grandi gesti nell'aria, -incalzava nelle minacce dei castighi eterni, non si rivolgeva soltanto -alla pericolante, assorgeva ad ammonire l'universo dei peccatori. - -— _Memento! Memento!_ - -Orsola non intendeva più nulla, poichè tutta quella vociferazione -l'aveva stordita. - -D'un tratto dall'angolo della piazza scoppiò la fanfara militare con -uno squillo di venti trombe. - - -VII. - -L'ultima stanza della casa era stretta e bassa, con le travi -del soffitto annerite dal fumo, piena d'un lezzo di cipolle, di -rigovernatura e di carbone spento. I vasi di rame pendevano alla parete -in ordine, senza luccichìo; i piatti di Castelli stavano in ordine su -la mensola con le loro gioconde pitture di fiori, di uccelli e di teste -ridenti; le antiche lucerne di ottone, le bottiglie vuote, le foglie di -erbaggio non più fresche erano sparpagliate per le tavole; e su tutto -dominava proteggitore San Vincenzo effigiato con il gran libro in una -mano e la fiamma rossa in mezzo al cranio. - -Là, un tempo, Orsola stando in mezzo ai vapori dell'acqua bollente e -alle esalazioni dei cibi vegetali, spesso aveva sentito giungersi sul -capo dalla piccola finestra alta i ritornelli d'una canzone libertina -e certi larghi schiamazzi di risa che s'inseguivano. I canti e le risa -crescevano nelle sere di estate, tra i passagalli delle chitarre, fra -gli urti della danza sul terreno. Tutti i romori della vita d'una -suburra infima salivano, in certe ore, a quella altezza e facevano -tremare d'orrore le povere spose di Gesù chine in umiltà su i tegami -d'argilla pieni dell'eremitica innocenza dei legumi e delle verdure. -Ma ora, al novel tempo e gaio, come un giorno udì Orsola le voci, una -voglia nell'animo le corse di spinger la vista fuori. - -Camilla non stava nella casa; era la domenica quinta di Lazzaro. -Urgeva nell'aria, dopo le brevi piogge, con un più dolce alito di -calore l'imminenza dell'aprile; e in quell'aria la pulzella più aveva -pieno e chiaro il senso del suo rinascimento. E, in ozio, girando per -le stanze, ebbe ella naturalmente la curiosità di guardare, presa al -fascino malsano che gli spettacoli di lascivia esercitano anche sugli -animi verecondi. - -Ella salì su una sedia all'altezza dell'apertura; ma prima di spingere -lo sguardo innanzi, fu invasa da un turbamento di tremiti, e ritta -su la sedia si volse intorno temente se non qualcuno la sorprendesse -nell'atto. - -Intorno tutto era quieto; ogni tanto una gocciola d'acqua cadeva -dall'alto in un bacile, sonando. Di fuori salivano le voci ed -allettavano. - -La vergine rassicurata, guardò. Nel vicolo, sotto la pioggia il -fradiciume aveva fermentato come un lievito; una melma nera copriva -il lastrico, ove spoglie di frutta, residui di erbe, stracci, -ciabatte marce, falde di cappello, tutto il ciarpame sfatto che la -miseria gitta nella strada, si mescolavano. Su quella cloaca, in -cui il sole suscitava insetti e miasmi, una fila di case nane pareva -ansare addossata alla Caserma. Da tutte le finestre però, da tutti -gli spiragli si riversavano le piante dei garofani non più contenute -nei vasi; e i grandi fiori rosei e rossi penzolavano al sole aperti -magnificamente. E tra quei fiori apparivano le facce flosce e dipinte -delle meretrici, passavano le oscenità delle canzonette, le risa -gutturali; e giù sul lastrico, sotto le inferriate della caserma, -altre femmine si tendevano verso i soldati parlando a voce alta, -provocandoli. E i soldati, che sentivano nel sangue alla primavera -rifiorire i mali di Venere, allungavano le mani di tra le sbarre pur di -brancicare qualcosa, divoravano con gli occhi in fiamme quelle femmine -disfatte già per anni dalla lascivia di tante ciurme briache e di tanti -facchini fradici. - -Orsola stette lì stupidita allo spettacolo di tutta quella corruzione -fermentante pe'l buon sole di quaresima e saliente fino a lei. Non si -ritraeva ancora; ma come alzò gli occhi, vide in un abbaino sul tetto -della caserma un uomo biondo che la guardava e sorrideva. Ella scese -dalla sedia a precipizio, più pallida di prima, credendo di sentire -la voce di Camilla. Corse nella sua stanza, e si gettò sul letto, -sbigottita, senza respiro, come se l'avesse perseguitata qualcuno -minacciandola. - - -VIII. - -Da quel giorno, tutte l'ore, tutti i momenti in cui Camilla non era -nella casa, la tentazione diabolica la trascinava a quello spettacolo. -Ella prima pugnava, vanamente, senza forze, lasciandosi vincere. Andava -là con l'ansia sospettosa di chi va a un ritrovo di amore; ci restava -lungo tempo, dietro la persiana quasi cadente, mentre i miasmi del -lupanare la turbavano e la corrompevano. - -Ella spiava tutto, acuendo lo sguardo, cercando di penetrare negli -interni, cercando di scoprire qualche cosa tra i garofani che -chiudevano le finestre. Il sole era caldo e pesante: sciami d'insetti -turbinavano nell'aria. Ad intervalli, quando entrava nel vicolo qualche -uomo, venivano dalle finestre i richiami delle aspettanti: femmine -discinte, con il seno scoperto, uscivano fuori ad offerirsi. L'uomo -spariva in una delle porte oscure con l'eletta. Le deluse gittavano -scherni e risa dietro la coppia, e si rimettevano all'agguato tra i -garofani. - -Così nella vergine si accendeva la brama. Il bisogno dell'amore, prima -latente, si levava ora da tutto il suo essere, diventava una tortura, -un supplizio incessante e feroce da cui ella non sapeva difendersi. - -Un fiotto di sanità caldo la riempiva; certe sùbite allegrezze le -muovevano il sangue, le suscitavan nel petto quasi battimenti d'ale, -le inspiravano canti nella bocca. A volte un soffio, uno di quei -piccoli fremiti dell'aria che si dilata sotto il sole, una canzone -di mendicante, un odore, un nulla bastava a darle smarrimenti vaghi, -abbandoni in cui le pareva di sentire su tutte le membra come il -passaggio carezzevole del velluto d'un frutto maturo. Ella era così -librata e perduta in abissi ignoti di dolcezza. L'irritazione della -continenza, la sovrabbondanza insolita de' succhi, quel distendersi -continuo dei nervi sotto gli stimoli la tenevano in una specie -di stordimento simile al primo stadio dell'ebrezza. Il passato si -dileguava, si assopiva in fondo alla memoria, non risorgeva più. E -in ogni ora, in ogni luogo il desiderio le tendeva insidie: i santi -delle mura, le madonne, i cristi crocefissi ignudi, le piccole figure -di cera deformi, tutte le cose in torno, prendevano per lei apparenze -impure. Da tutte le cose l'impurità emanava e le alitava su la persona, -affocantemente. - -— Ecco, ora scendo nella strada — diceva ella a sè stessa, non reggendo -più. - -Poi le mani le tremavano su la porta, nell'aprire. Lo stridore del -chiavistello scorrente negli anelli la sbigottiva. Ella tornava in -dietro, si gettava sul letto quasi svenendosi, livida, sotto una larva -d'uomo. - - -IX. - -La domenica delle Palme ella uscì dopo tanti mesi, per la prima volta; -poichè Camilla voleva condurla a render grazie della guarigione al -Signore. Quando le campane si misero a squillare, Orsola s'affacciò. -Tutto il paese era ridente nel grande riso pasquale del sole d'aprile. -Tutto il contado invadeva le vie con il segno pacifico dei rami di -olivo. - -Ella ora doveva vestirsi in festa: la gente nelle vie l'avrebbe -guardata passare. Una furia di vanità sùbito la prese: si chiuse nella -stanza, cercò in fondo alla cassa le vesti più chiare. Un odore acuto -di canfora saliva da quei vecchi tessuti conservati là dentro per anni: -erano grandi gonne di seta a fiorami, verdi e violette e cangianti, -che un tempo la crinolina avea forse gonfiate in torno alle anche di -una sposa novella; erano lunghi busti con màniche ampie, mantelline -color di tortora orlate di merletti bianchi, veli intrecciati di fili -d'argento, collari di tela fina ricamati a giorno; tutte cose morte per -l'uso, goffe, macchiate dall'umido. - -Orsola sceglieva, come guidata da un nuovo istinto, profumandosi di -canfora le mani nel cercare. Tutta quella seta inutile e quei veli -la irritavano. Non trovava alfine nulla che le andasse alla persona! -Chiuse la cassa irosamente, la respinse sotto il letto con un urto del -piede. Le campane sonavano per la terza volta. Ella si mise in furia -il consueto abito triste color di cenere, in conspetto di Camilla, -mordendosi le labbra per ricacciare in giù le lacrime. - -Le campane chiamavano. Per le vie i fasci delle palme mettevano un -mobile luccicore argenteo; da ogni gruppo di villici sorgeva una selva -di ramoscelli; e la candida clemenza della benedizione cristiana si -diffondeva per tutta l'aria da quelle selve, come se si appressasse -il Galileo, il re povero e dolce sedente su l'asina fra la turba dei -discepoli, in contro agli osanna del popolo redento. _Benedictus qui -venit in nomine Domini. Hosanna in excelsis!_ - -Nella chiesa la folla era immensa, sotto la selva delle palme. Per -una di quelle correnti che si formano irresistibili nelle masse di -popolo, Orsola fu divisa da Camilla; restò sola in quel rigurgito, in -mezzo a tutti quei contatti, in mezzo a tutti quegli urti e quegli -aliti. Ella tentava d'aprirsi un varco: le sue mani incontravano la -schiena d'un uomo, altre mani tiepide il cui tocco la turbava. Ella -si sentiva sfiorare il volto da una foglia d'olivo, contrastare il -passo da un ginocchio, spingere il fianco da un gomito, offendere -il petto, offendere le spalle da pressioni incognite. Sotto l'odore -dell'incenso, sotto le palme benedette, nella penombra mistica, in -tutto quell'ammasso di cristiani e di cristiane, piccole scintille -erotiche scoccavano per attrito e si propagavano; amori segreti si -ritrovavano e si congiungevano. Passavano accanto a Orsola fanciulle -della campagna con palme sul petto, con un riso fuggente nel bianco -degli occhi vòlto ad amatori che dietro le insidiavano; ed ella sentiva -in torno a sè così passare l'amore, poneva il suo corpo tra quei corpi -che si cercavano, era un ostacolo a quei gesti che tentavano toccarsi, -separava le strette di quelle mani, i legami di quelle braccia. Ma -qualche cosa di quelle carezze interrotte le penetrava nel sangue. In -un punto ella s'incontrò a faccia a faccia con un soldato biondo; quasi -gli posò il capo su la tunica, perchè una colonna di gente dietro la -spingeva. Ella levò gli occhi; e il giovine sorrise come aveva sorriso -un giorno dall'abbaino della caserma. Dietro, l'urto seguitava: il -vapore dell'incenso si spandeva più denso, e il Diacono dal fondo -cantò: - -— _Procedamus in pace._ - -E il coro rispose: - -— _In nomine Christi. Amen._ - -Era l'annunzio della processione, che mise un sommovimento enorme -in tutto il popolo. Per istinto, senza pensare, Orsola si attaccò -all'uomo, come se già gli appartenesse; si lasciò quasi sollevare -da quelle braccia che la prendevano ai fianchi, si sentì ne' capelli -quel fiato virile che sapeva lievemente di tabacco. Ella andava così, -indebolita, sfinita, oppressa da quella voluttà che l'aveva colta -d'improvviso, non vedendo se non un barbaglio dinanzi a sè. - -Allora dall'altare maggiore si mosse il turiferario spargendo nuvoli -di fumo cerulo e dolce sul popolo; e una processione candida si svolse -nel mezzo della chiesa. I celebranti portavano in mano rami d'olivo e -cantavano. - - -X. - -Tutta la settimana santa protesse delle sue complici ombre l'amore -della vergine Orsola. Le chiese erano immerse nel crepuscolo della -Passione, i crocifissi sugli altari erano coperti di drappi violacei; i -sepolcri del Nazareno erano circondati di grandi erbe bianche cresciute -nei sotterranei; un profumo di fiori e di belzuino pesava nell'aria. - -Là Orsola, inginocchiata, attendeva, fin che un passo leggero dietro -di lei la faceva trasalire. Ella non poteva volgersi, perchè Camilla la -vigilava; ma si sentiva tutta abbracciare dallo sguardo di quell'uomo, -come da un fuoco sottile, e una tenerezza torbida le scendeva nella -carne. Allora fissava i ceri digradanti su un triangolo di legno presso -l'altare. I preti cantavano dinanzi a un gran libro; e ad uno ad uno i -ceri venivano spenti. Non ne rimanevano che cinque, non ne rimanevano -che due; l'oscurità si avanzava dal fondo delle cappelle su la gente -in preghiera. L'ultima fiammella finalmente spariva; tutte le panche -risonavano sotto le battiture delle verghe. Orsola nel buio, a pena -si sentiva toccare da due mani cercanti, scattava dal pavimento, con -un sussulto, smarrita. Poi, quando usciva dalla chiesa, il pensiero -d'aver violato un luogo sacro la empiva di rimorso: subitamente, la -paura del castigo risorgeva. Ella s'inabissava poi come in un sogno -dove la figura livida di Gesù morto e lo scroscio delle battiture e i -brividi della carne sollecitata e l'odor grave dei fiori e gli aliti -di quell'uomo biondo si mescolavano in un senso dubbio di dolore e di -piacere. - - -XI. - -Ma come Gesù trionfante risalì alla gloria dei cieli, gli aromi -pasquali non più confortarono l'amore della vergine Orsola. Scena -dell'amore fu allora il dominio dei gatti randagi e dei colombi -torraioli. Dall'abbaino alla finestra i dolci segni correvano: tra -mezzo, il lupanare si sprofondava come un fossato d'acque limacciose -a' cui cigli crescessero fiori alimentati dalla putredine. I colombi -sorvolavano con il luccichio verde e grigio delle loro piume. - -L'amadore aveva un bel nome antico, si chiamava Marcello, e aveva un -bel fregio rosso e d'argento su le maniche della tunica. Scriveva -epistole piene di fuoco eterno, con frasi impetuose che davano -all'amatrice deliquii di tenerezza e fremiti di voluttà mal contenuta. -Orsola leggeva quei fogli in segreto, li teneva notte e giorno nel -seno: pe 'l calore la scrittura violetta le s'imprimeva su la pelle, ed -era come un gentile tatuaggio d'amore, di cui ella gioiva. Le risposte -di lei non finivano mai: tutta la sapienza grammaticale di una maestra, -tutto il tesoro delle apostrofi psalmistiche di una devota, tutta la -fluente sentimentalità di una pulzella tardiva si riversava su la carta -de' quaderni scolastici rigati di turchino. Ella scrivendo si obliava, -si sentiva trascinare in un'onda di verbosità sonore. Pareva quasi che -una facoltà novella si esplicasse in lei e prendesse forme maniache, -d'improvviso. Quel gran sedimento di lirismo mistico accumulato per -la lettura de' libri di preghiera in tanti anni di fedeltà allo Sposo -Celeste, ora, scosso dal tumulto dell'amore terreno, si levava su -confusamente per assumere sapori di profanità nuovi. Così le lacrimose -implorazioni a Gesù si mutavano in sospiri di speranza verso letizie -d'amplessi non eterei, le offerte del fior dell'anima al Sommo Bene si -mutavano in tenere dedizioni della carne al disio del biondo amante, e -il lume afrodisiaco della luna si cingeva di tutti gli epiteti per cui -va radioso lo Spirito Santo, nè gli zefiri della primavera mancavan di -rapire gli aromi alle mense del Paradiso. - - -XII. - -Era messaggero uno di quegli uomini che paion cresciuti su, come -funghi, dall'umidità della strada immonda ed hanno in tutta la figura -quasi una nativa tinta di fango; di quelli uomini bigi, che s'insinuano -per tutto, che si trovano per tutto ov'è un centesimo da guadagnare, un -po' di untume da leccare, uno straccio da sottrarre, oggi rigattieri -e domani procaccianti in atto di serve o di male femmine, oggi falsi -sensali di mercatanzia e domani accalappiatori di cani erratici. - -Costui aveva un nome melodrammatico, si chiamava Lindoro: dal quartiere -dell'Ospedale al bastione di Sant'Agostino una popolarità grande s'era -fatta in torno a questo nome. Nasceva costui dall'accoppiamento d'un -sonatore ambulante di clarinetto con una piazzaiuola rivenditrice -di fruttaglia, ereditando l'istinto nomade del padre e la naturale -avarizia della madre. S'era prima strascicato per gli immondezzai di -tutte le case, con la scopa o il canestro; aveva poi fatto il guattero -in una bettola, dove soldati e marinai gli gettavano sul viso gli -sgoccioli del bicchiere e le spine del pesce mal fritto. Dalla bettola -era caduto in un forno, dove spingeva i pani con la lunga pala dentro -le fiamme, tutta la notte, in sudore, accecandosi. Dal forno era -passato all'uffizio di accenditore pubblico de' fanali, logorandosi una -spalla sotto il peso della scala portatile. Scacciato da quell'uffizio -perchè sottraeva il petrolio dalle grandi casse di zinco bianco, si -mise alla ventura della strada, comprando e rivendendo abiti vecchi, -facendo in tutte le case popolane i servigi più vili, offrendo ai -soldati e ai forestieri i suoi ruffianesimi, lottando così per il -tozzo. - -Nel suo corpo e nella sua anima ogni mestiere aveva impresso una -traccia, aveva lasciato un gesto abituale, uno sviluppo di singoli -muscoli, l'indebolimento di un organo, una callosità, una cadenza di -voce, una frase del gergo. Egli era di piccola statura, magro, con una -testa enorme e quasi calva, con chiazze di peli radi su le guance, -con pustole tra i peli. Il suo vestito era ibrido e mutevole; tutte -le fogge passavano su la sua persona, si sovrapponevano a contrasto: -nobili zimarrine verdognole e calzoni carichi di toppe, cappelli -di feltro arrossenti e ciabatte servili, bottoni di metallo lucido, -formelle d'osso bianco, galloni militari, trine, quel miscuglio di -ricchezza sfatta e di miseria ignobile, che ingombra la bottega di un -rigattiere ebreo. - - -XIII. - -Ora costui fu il galeotto. Portava le epistole di Marcello con le -conche piene d'acqua della Pescara su alla casa di Orsola e tornava -giù con le conche vuote e con epistole di risposta. Orsola, quando -lo sentiva salir le scale, si faceva pallida; cercava pretesti per -allontanare Camilla, per essere sola con l'uomo portatore d'acqua e di -gioia. Avvenivano allora contatti rapidi, nel sotterfugio; passavano -allora tra lei e il galeotto quegli sguardi obliqui d'intesa, quei -fuggevoli accenni dei muscoli faciali, quei monosillabi sommessi, che -son gli aiuti dell'astuzia umana e che a lungo andare stringono legami -tra gli ingannatori. A poco a poco nell'amore di Orsola penetrava -qualche cosa della viltà di Lindoro; una specie di domestichezza a poco -a poco si stabiliva tra l'amatrice e l'ambasciatore. Ella, se costui -giungeva nell'assenza di Camilla, lo incalzava di domande, gli parlava -da presso facendogli sentire l'alito, qualche volta inavvedutamente -gli posava su la spalla una mano. Lindoro scioglieva i freni della sua -loquacità, intramezzando parole di gergo, reticenze impudiche, furbi -sorrisi rivelatori, gesti ambigui, piccoli schiocchi di lingua e di -labbra. - -Egli ruffianeggiava con arte, sapeva insinuare sottilmente la -corruzione nell'animo di Orsola, sapeva trascinare lentamente -all'insidia di Marcello quella preda. E la vergine stava ad ascoltarlo -intenta, con in fondo agli occhi una fiamma che cresceva, con in bocca -l'aridezza prodotta dall'orgasmo lascivo, senza più interrompere. -Lindoro s'accorgeva subito di aver suscitato nella femmina la brama; e -dinanzi a quella figura tutta protesa e tutta sconvolta si risvegliava -in lui il maschio d'un tratto e l'assaliva la tentazione di cogliere -quel fiore ch'egli apprestava al piacere di un altro. Ma la paura -sorgente dal fondo della sua viltà lo tratteneva e gli ghiacciava -l'ardore. - -Così Orsola al fine aveva concesso a Marcello un ritrovo. Si sarebbero -ritrovati in una casa remota del sobborgo, in fondo a un vico deserto, -dove nessuno li avrebbe spiati, una domenica di giugno, stando Camilla -nella chiesa più lungo tempo, facendo buona guardia Lindoro. - -Nei giorni precedenti quel gran fatto, Orsola era tenuta da una -eccitazione amara, da una specie di febbre che a volte le dava il -battito dei denti e le vampe alla faccia e i brividi alla radice dei -capelli, alla nuca. Ella non poteva più star ferma, non poteva più -star seduta; poichè una furia di mobilità le sollecitava tutte le -membra. Nella scuola, in mezzo al coro eguale dei discepoli, in mezzo -a quello stillicidio continuo di sillabe, uno spirito di ribellione -le abbagliava la vista all'improvviso, ed ella avrebbe voluto balzare -tra i fanciulli, sconvolgere con le mani tutte quelle capigliature, -rovesciare la lavagna, le tabelle, le panche, rompere in grida, -spezzare qualche cosa, stordirsi. Sotto lo sguardo freddo e scrutatore -di Camilla, poco mancava che ella non svenisse per lo spasimo, per la -bile, per l'immenso sforzo interiore di dissimulazione. - -Poi, quando Camilla usciva, ella si agitava per tutte le stanze, moveva -le sedie, morsicchiava un fiore, beveva d'un fiato un gran bicchier -d'acqua, si guardava nello specchio, si affacciava alla finestra, si -abbatteva a traverso il letto, sfogava in mille modi l'irrequietudine, -l'esuberanza della vitalità sensuale. Tutto il suo corpo, nel tardivo -fermento della verginità, si era arricchito ed espanto. La sua -testa non era bella, non aveva la quadratura vigorosa, lo splendore -olivastro di certe razze d'Abruzzo, quelle pure linee del naso e del -mento svolgentisi grecamente nella latina ampiezza della faccia. Ma -ella, inconsapevole, sotto la goffaggine delle vesti grige, sotto la -cascaggine delle pieghe incomposte, celava un bel corpo delicato. - -Erano i giorni primi di giugno: sorgeva l'estate dalla primavera, come -da un campo d'erbe un àloe. Tra il mare e il fiume tutto il paese di -Pescara godeva nella ventilazione salina e nel refrigerio fluviale, -come distendendo le braccia verso quei naturali confini d'acqua amara e -d'acqua dolce. Salivano alla stanza di Orsola allora le blandizie della -temperie; insetti lucidi urtavano ai vetri e rimbalzavano, come una -grandine d'oro. - -La vergine, se era sola, provava un bisogno di distendersi, di gettare -lungi le vesti, di giacere, e di raccogliere su la pelle quella -blandizia ignota che fluttuava nell'aria. - -Cominciava lentamente a spogliarsi, con gesti pigri, indugiando con le -dita in torno alle allacciature e ai fermagli, facendo piccoli sforzi -svogliati nel cacciar fuori le braccia dalle maniche, fermandosi a -mezzo e abbandonando in dietro la testa dai capelli crespi e corti, -quella sua testa di giovincello. Lentamente, sotto l'amorosa fatica, -dalla informità delle vesti, come dalla scoria del tempo una statua -diseppellita, il corpo ignudo si rivelava. Un mucchio di lana e di tela -vile era ai piedi della pulzella così purificata, e da quel mucchio -ella come da un piedestallo sorgeva nella luce coronandosi con le -braccia, mentre al contatto dell'aria una vibrazione a pena visibile -le correva a fior della pelle. In quell'attitudine momentanea tutte -le linee del torso si distendevano e salivano verso il capo ricinto: -si appianava la leggera onda del ventre non anche deturpato dalla -concezione; gli archi delle coste si disegnavano in rilievo. Poi, se un -insetto entrava nella stanza, il ronzìo aliante in torno ed accennante -ad attingere la nudità, il ronzìo sbigottiva Orsola; ed era allora un -difendersi dalla puntura mal temuta, erano movimenti serpentini, scatti -di muscoli sotto la cute, paurosi raggruppamenti di membra, falli dei -malleoli non bene forti al gioco. - -Poi, così eccitata dal moto e calda, ella aveva voglie nuove. -Apriva l'uscio, cauta in sospetto; e metteva fuori il capo guardando -nell'altra stanza. C'era un odore di chiuso, quello squallore inanimato -che hanno le scuole senza fanciulli. Nelle tabelle quadrate l'alfabeto -cubitale e i gruppi dei dittonghi e delle sillabe stavano muti -dominatori del luogo. Orsola si avanzava evitando co' piedi nudi gli -interstizii del pavimento smosso, provando la titubanza di chi cammina -scalzo per la prima volta su un piano aspro e la confusione di una -donna che non sente più in torno al suo passo l'impedimento abituale -della veste. Andava così fino alla terza stanza, dov'era l'acqua. -Intingeva le mani, si spruzzava tutta, coraggiosamente, sussultando -se una gocciola più grossa le rigava l'epidermide. Usciva di là, tutta -sparsa di rugiada: andava verso lo specchio di un antico canterano. - -Restavano in quel canterano ancora frammenti d'intarsio qua e là. -Lo specchio, che celava un armario sovrastante, aveva in torno fregi -misti d'oro e di colori e in alto due puttini decapitati. Orsola saliva -fin là, attratta da una irresistibile curiosità di vedersi nuda. La -sua persona tutta ancora fresca di gocciole sorgeva nell'offuscamento -dello specchio come in un verdazzurro fondo marino. Ella si guardava -sorridendo. Il sorriso, ogni movimento dei muscoli pareva far tremolare -tutte le linee della nudità nello specchio come quelle di una imagine -dentro le acque. Allora ella cominciava una specie di mimica vanitosa, -guardando riprodursi tutti i suoi gesti nella lastra, aprendo le labbra -per mostrare i denti, alzando le braccia per mostrare le ascelle, -presentando la schiena arcata e forzando il capo a volgersi in dietro; -fin che un pazzo impeto di ilarità, dinanzi a quello spettacolo di sè, -le scuoteva tutta la persona. In fondo in fondo, dietro la donna, si -rifletteva dalla parete avversa la tabella dell'alfabeto. - - -XIV. - -Ora avvenne che in uno di quei momenti battesse alla porta della scala -Lindoro venuto su con le conche. Orsola gridò: - -— Aspetta! - -E raccolse da terra le vesti, in furia; se le mise addosso, in furia; -andò ad aprire. - -Erano le sei di sera: il riverbero bianco del palazzo di Brina entrava -nella stanza; tutto il paese di Pescara, grande ospizio di rondini, -cantava. - -I due, in mezzo, ritti, parlarono del ritrovo imminente. Lindoro con la -sua loquacità cercava di vincere le estreme esitazioni della pulzella; -poichè egli già teneva una parte della mercede, e l'adescava il resto. -L'artifizio persuasore gli avvivava le parole, gli occhi, i gesti. -Egli aveva nel fiato l'odore del vino, e nella faccia, su le tempie, -pe 'l passaggio recente del rasoio, piccole macchie rosee e violacee. -Mentre parlava gli si scopriva la fila dei denti eguale e schietta, -una di quelle forti chiostre che spesso armano le bocche plebee; e la -singolarità emergeva vivacemente dalla generale turpitudine dell'uomo. - -Orsola opponeva dubbii, paure, ad interrompere; ma già, poi che -l'impudicizia a mano a mano sorgendo più calda dal fòmite del vino -bevuto si insinuò nelle persuasioni del galeotto, ella cominciava a -turbarsi. S'era ritirata a poco a poco verso il muro, appoggiandovisi. -Dalle aperture, lasciate qua e là nell'abito per la furia del -rivestirsi, si intravedevano i lembi del lino. La gola era tutta -scoperta, i piedi senza calze nascondevano nelle pianelle soltanto le -dita. - -Ma ella, a un punto, involontariamente, per quel cieco istinto da cui -una donna è avvertita d'essere innanzi a un uomo bramoso, corse con -la mano a chiudere sotto la gola, sul petto gli uncinelli. Quell'atto, -col quale Orsola così riconosceva nel mezzano l'uomo, quell'improvviso -atto fece scattare dall'abbiezione di Lindoro un impeto di orgoglio -maschile. — Ah, egli dunque aveva potuto per sè stesso turbare una -donna! — E si fece più da presso; e, come il coraggio del vino lo -animava, quella volta nessun ritegno di viltà trattenne il bruto. - - -XV. - -Orsola rimase inerte, lunga su i mattoni, con nelle vesti, con in tutta -la figura lo scompiglio della donna violata. - -Ma, quando udì i passi di Camilla nella scala, dal fondo della sua -languidezza si levò su un gomito; rapidamente passò le mani su le -vesti sconvolte; ritrovò le parole per dire alla sorella che una sùbita -mancanza di forze l'aveva fatta cadere nel mezzo della stanza. - -Fuori, annottava. Sul paese si spandeva la grande frescura glauca della -sera di giugno, originante dall'Adriatico. Voci e risa empivano la -piazza; giù pe 'l casamento cantava la gioia sabatina degli abitanti -sollevati. Dal secondo pianerottolo Teodora La Jece gridò: - -— Comare Camilla, comare Orsola, venite? - -Orsola seguì la sorella, senza parlare, senza pensare. Durava fatica -a ricordarsi: una specie di ebetudine le teneva ancora la memoria. -Teodora le empiva gli orecchi del suo chiacchierio di femmina -maldicente e petulante. - -— Sapete, comare, la figlia di Rachela Catena si marita. - -— Ah. - -— Sapete, piglia Giovannino Speranza, quel rosso che tiene locanda alla -Pesceria e ha il mal di San Donato, liberanosdòmine. - -— Ah. - -— Sapete, comare; Checchina Madrigale se n'è scappata un'altra volta a -Francavilla. Voi la conoscete: quella grassa che sta di casa a Gloria, -nera, col naso a becco.... quella. - -Teodora seguitando aveva preso il passo di Orsola. Camilla veniva un -poco in dietro, a capo chino, senza badare ai peccati di mormorazione -che la lingua della tessitrice commetteva contro il prossimo. Per le -vie tutta la gente godeva l'aria; gruppi di donne passavano, in vesti -di tela, con braccia nude sino al gómito. - -— Comare, guardate Graziella Potavigna che falbalà s'è messo! Guardate -Rosa Zazzetta, con un sergente avanti e uno dietro.... Ah, voi non -sapete? - -E qui una storia d'amorazzi piena d'indiscrezioni salaci, susurrata -quasi all'orecchio. Per obliare, Orsola si immerse nel pettegolezzo -intieramente, con una specie di furia convulsa, non dando a sè -stessa il tempo di ripensare, interrogando, eccitando Teodora alla -chiacchiera, temendo gli intervalli di silenzio, riempiendoli con -sussulti di riso. Ella aveva quasi un godimento amaro a sentire i -vituperii degli altri. - -— Oh! ecco Don Paolo! - -Veniva in contro con la sua bella placidezza Don Paolo Seccia, un -ottuagenario ancora aspro e verde come un ginepro. - -— Venite con noi, Don Paolo: usciamo fuori. - -Tutti i macelli per la via di qua, di là, avevano i loro manzi freschi -penzolanti in mezzo alla porta: l'odore della carne bovina si spandeva -dalle ventraie aperte e assaliva le nari. Più in su, lunghe file di -maccheroni stavano attelate al lume della luna che le guardava dalla -cima di un'antenna soperchiante la caserma. Gruppi di soldati si -affollavano in torno alle rivenditrici di frutta, vociferando. - -— Andiamo alla Bandiera — disse Teodora, dando la precedenza a Don -Paolo ed a Camilla. - -Orsola passò in mezzo a tutti quei romori e quegli odori forti, -stordita. Cominciava alfine uno sbigottimento vago a sommuoversi -dal fondo, a torcerle la bocca nel riso, nelle parole, a impedirle -la lingua. Anche certi piccoli tormenti fisici la molestavano e la -richiamavano alla realità delle cose. Ella non sapeva più sfuggire -a sè stessa: le moriva la voce fra i denti, l'angoscia le serrava la -gola, il fantasma del peccato enorme e irrimediabile le si drizzava -dinanzi. Ella ora si sentiva morire dalla fatica di reggersi in piedi, -di mettere i passi: si sentiva percossa dalla spietata animazione della -vita nella strada che è di tutti. - -— Dunque, comare mia, quel guercio del marito senza saper nulla di -nulla... — diceva Teodora riannodando la maldicenza interrotta. - -Andavano per la Bandiera. Il ponte a battelli, su la sinistra, -cavalcava il fiume. Dall'altro lato, la mole cupa e grave del bastione -si disegnava nel chiarore. I vecchi cannoni di ferro, piantati con la -bocca nel terreno, si dilungavano in fila trattenendo le gómene; grandi -áncore di ferro ingombravano lo scalo. Nelle tolde, a riva, i marinari -sotto le tende mangiavano e fumavano: le tende illuminate contrastavano -con un rossore sanguigno l'albore della luna. Intorno alle proe, -su l'acqua larghe chiazze come di materia liquefatta fluttuavano -lentamente. - -— ... mandò a chiamare Don Nereo Memma, figuratevi! — seguitava -Teodora, implacabile. - -— Chi parla del dottor Dulcamara? — fece Don Paolo, a cui era giunto -quel nome, ridendo dalla franca bocca ancora armata di avorii. - -Orsola non sentiva più: ella era pallida come la faccia della luna. Da -prima, tutta quella gran pace luminosa piovente dal cielo sul fiume -e tutte quelle lunghe vene di odore marino correnti pe 'l fresco le -avevano dato sollievo; poichè dinanzi a quello spettacolo di dolcezza -i fantasmi vagheggiati dell'amore in fondo a lei si risollevavano -e le sommità del sentimento al raggio lunare riscintillavano. Fu, -súbito dopo, un tumulto confuso in cui ella udiva battere le arterie -con un susurrìo assordante che parve dilatarsi e riempire tutta -l'aria d'un tratto. Le mancava sotto i piedi il suolo fermo. Il -limite delle acque si confuse, per la vertigine; il fiume invase la -strada; acque acque acque si spársero in torno. Poi, d'un tratto, uno -scintillìo di bagliori si accese dentro gli occhi di lei, un tremolìo -crescente di fiammelle fatue che rompevano, si intrecciavano, si -allontanavano, e si fondevano e perdevano serpentinamente nell'ombra. -In quella illuminazione la figura di Marcello compariva e spariva, -con una rapidità e una mutabilità di sogno. La vertigine cessò. -Orsola riconobbe i riflessi della luna nel fiume placido; continuò a -camminare, stupefatta, indebolita, quasi in punto di venir meno. - -— Stanca, eh? comare; voi non siete abituata, si sa. Appoggiatevi a me, -appoggiatevi — diceva Teodora. — La figlia di Donna Mentina Ussoria, -quella più piccola, butterata, stava proprio innanzi alla bottega, -sapete, su la piazzetta... - -Erano alla caserma dei finanzieri. Grandi mucchi di carrùbe mandavano -un odore forte come di pelli conciate; e la strada seminata di scaglie -d'ostriche scricchiolava sotto i passi. Due sciàbiche, presso la riva, -facevano pesca d'anguille, in silenzio, con la luna propizia. Ma la -sonorità del mare empiva di grandezza il silenzio. Annunziavano la foce -gli ondeggiamenti del sale superanti il lieve fiore dell'acqua dolce. - -— Torniamo in dietro, belle figliuole — disse Don Paolo, prendendo una -carruba dal mucchio vicino. - -Orsola si lasciava condurre. Ella durava fatica a rattenere l'ansia -del respiro; poichè ora il suo stato, con una terribilità incalzante, -le si ripresentava dinanzi e schiacciava tutti gli aneliti e i tumulti -del sentimento suscitati dalla voluttà della notte lunare. Ella vedeva, -nella fissazione del suo pensiero, la figura di Lindoro levarsi e -vivere; si sentiva un'altra volta afferrare e palpare da quelle mani -aspre, soffocare da quel fiato caldo di vino e di libidine, violare -su i mattoni della stanza. Ma in quel momento, pensava, ella non aveva -resistito, non aveva gridato, non aveva fatto nessun moto per opporsi; -ella aveva soggiaciuto, senza forze, non distinguendo più nulla, non -sentendo se non una gran gioia mista di dolore inondarle le fibre. -Allora il ribrezzo e il languore si avvicendarono nella sua carne, -agghiacciandola, affocandola. Inconsapevole, guardava innanzi a sè, -pallida e con gli occhi ingranditi e più neri. - -— Sentite come il vino canta! — disse Don Paolo, soffermandosi. - -Nelle barche i marinai stavano distesi tra i cordami, in mezzo al fumo -del tabacco di Dalmazia, e cantavano di femmine belle, in gran coro. - - -XVI. - -Camilla, su l'inginocchiatoio, pregò a voce bassa, co 'l capo -prostrato, con giunte le mani, lungamente; poi accese la lampada votiva -a Maria Vergine, per la notte; piegò poi nel sonno tenendo il dolce -cuore di Gesù tra i fiori vizzi del seno. Il suo respiro di dormiente -era religioso come se sfiorasse l'ostia sacra su la paténa d'argento. -Nella volta le ombre seguivano le oscillazioni della fiammella -alimentata dall'olio. I rumori del legno che si dilata e dei tarli -che ródono, le voci misteriose dei vecchi mobili nella calma notturna, -rompevano il silenzio. - -Orsola stava nello stesso letto, a fianco di Camilla, distesa, senza -muoversi, senza chiudere gli occhi, poichè una grande stanchezza -insonne le occupava le membra e la vigilanza assidua dell'angoscia le -martoriava l'anima tapina. Ella ascoltava il silenzio; spiava sè stessa -con una curiosità ansiosa, come per sentire qual mutamento si fosse -compiuto nell'essere suo. - -A un tratto, Camilla nel sonno cominciò a mormorare parole confuse, -frammenti di parole incomprensibili, movendo appena le labbra, mettendo -lunghi respiri. La testa di lei, scarna, affilata, scolpita rigidamente -dalla penitenza e dal digiuno, ingiallita dal lume della lampada, -posava su la bianchezza del guanciale come una effigie mal dorata di -santa sopra una raggiera. Piccole ombre violacee segnavano l'interno -delle narici, i solchi del collo teso e pieno di corde, le fosse delle -gote, le occhiaie d'onde sporgeva grande il globo coperto dalla pelle -molle della pálpebra. Ella pareva così il cadavere di una martire, -dentro cui scendesse lo spirito di Dio. - -Benchè quello dei soliloquii notturni non fosse il primo, Orsola -sentì freddo in mezzo ai capelli: un terrore improvviso l'assalì e la -oppresse. Ella istintivamente si rannicchiò, cercò di allontanarsi -dal corpo della sorella ritraendosi su l'orlo della sponda; stette -immobile, sospesa negli intervalli di silenzio, con gli occhi fissi -su la bocca della dormiente, provando un sordo sussulto in mezzo -al petto se quelle labbra si movevano a profferire nuove parole. -Ella non comprendeva; ma qualche cosa di lontanamente profondo e di -solenne era in quel mormorìo interrotto, un mistero soprannaturale si -levava da quel corpo inerte e inconsapevole che parlava senza udire -la propria voce. Nella stanza passava l'alito del sepolcro; per la -fantasia sconvolta dell'insonne le ombre oscillanti prendevano forme -spaventose e minacciose di spettri; l'aria pareva solcata da romori -ignoti. Tutte le cose su cui l'allucinata si rifugiava con lo sguardo, -tutte le cose si trasformavano e si animavano ed andavano verso di -lei. Allora l'idea del castigo e della pena eterna ancora una volta -le risorse nella conscienza e la incalzò. Ella si abbattè sotto -l'incubo del suo peccato, mettendo in croce le braccia sul petto per -difendersi dalle minacce dei demoni, tentando pregare con la lingua -impedita dal terrore, aggrappandosi con un supremo slancio all'áncora -del pentimento, all'ultima salvezza. Ella si sentiva perduta, chiedeva -misericordia dall'intimo del suo cuore al divino Sposo tradito, a Gesù -buono e grande, a Colui che perdona. - -La voce di Camilla si esalava in sospiri, si confondeva in un borboglìo -tremulo, si spegneva nella respirazione lenta ed eguale, a mano a -mano che l'entusiasmo del sogno mistico si andava placando. Le ombre -seguitavano ad oscillare. Non ancora il Crocefisso discendeva dalla -parete a raccogliere con le dolcissime braccia la pecorella tornante -all'ovile. - - -XVII. - -— Ha detto il Signore per bocca del profeta Gioele, figlio di Petuel: -«Avverrà che io spanderò il mio Spirito sopra ogni carne, e i vostri -figliuoli e le vostre figliuole profetizzeranno; i vostri vecchi -sogneranno sogni, i vostri giovani vedranno visioni.» - -Questo Spirito di cui gli Apostoli ebbero le primizie e la beatitudine, -fu per essi e per noi uno Spirito di verità, uno Spirito di santità -e uno Spirito di forza... O divino amore, o sacro legame che unisci -il Padre e il Figlio, Spirito onnipotente, fedele consolatore degli -afflitti, pénetra negli abissi profondi del nostro cuore e infondici la -tua gran luce! — - -Così predicava Don Gennaro Tierno nella Pentecoste, dall'altare -maggiore, volto al popolo ascoltante. Sopra di lui, in alto, la terza -persona della SS. Trinità apriva l'arco radioso delle ali d'oro, e -nella chiesa l'illuminazione dei ceri spandeva un rossore simile a -un riflesso d'incendio. Gli enormi pilastri di pietra sostenenti le -due navate, coperti di barbare sculture cristiane, cavalcavano verso -l'altare pesantemente; su le pareti gli avanzi dei mosaici rilucevano: -qualche testa di Apostolo, qualche braccio rigido di santa, qualche ala -d'angelo emergeva ancora nell'offuscamento e nello scrostamento operato -dai secoli. Tra i mosaici pendevano piccole navi ex-voto dedicate al -tempio dai naufraghi supérstiti. E in mezzo alle pietre rudi e alle -croste fosche si elevava agile un gruppo di colonne rosee a spira -sorreggenti il pergamo anche marmoreo fiorito di acanti e animato di -bassirilievi. - -— Spandi la tua dolce rugiada su questa terra deserta, a fin che cessi -la sua lunga aridità. Manda i raggi celesti del tuo amore fino al -santuario dell'anima nostra, a fin che penetrandoci accendano fiamme -consumatrici delle nostre debolezze, delle nostre negligenze, dei -nostri languori! — seguitava il prete, salendo ai supremi culmini della -sua eloquenza e della sua potenza vocale. - -Orsola, da presso, ascoltava, tutta raccolta. Ella si era rifugiata -nella casa del Signore, era tornata al talamo; voleva che il Signore -la purificasse e la ricevesse un'altra volta nella benignità del suo -grande abbracciamento. Quel barbaglio subitaneo di fede la abbacinava, -le faceva quasi dimenticare ogni fallo anteriore. Le pareva che -subitamente dalla sua anima le macchie si cancellassero e dalla sua -carne cadessero le scorie della impurità terrena. Giammai ella si era -accostata all'altare di Dio con un più profondo tremito di speranza; -giammai aveva ascoltato la parola di Dio con una più lunga ebrezza. - -Dall'istante in cui l'orrore della dannazione le si levò nella -conoscenza, ella si compresse in una specie di raccoglimento cupo, -sorvegliando sè stessa, sorvegliando i propri atti, i propri pensieri, -i minimi moti pe 'l timore che quella veemenza di pentimento si -esalasse, per l'ansia di conservare intatto dentro di sè quel fiore -di fede rigermogliato d'improvviso. Fu una specie d'assunzione verso -Gesù, con un ripudio di ogni legame umano. Ella si esaltò nella lettura -dei libri sacri; si gettò nella contemplazione delle imagini e dei -misteri; lottò contro le molli viltà della carne, contro i calori della -giornata, contro l'insidie della notte, contro i profumi che le portava -il vento, contro il soffio che saliva dai suoi ricordi impuri, contro -le voci che parevano vellicarle l'udito e susurrarle segreti nuovi di -piacere. - -Dopo quella settimana solitaria di passione, ella ora deponeva il -sacrificio ai piedi dell'altare; beveva il balsamo della parola di Dio, -fissando gli occhi in alto alla colomba radiosa e sentendosi a poco a -poco naufragare nel pèlago dell'estasi. - -— Vieni dunque, vieni, dolce consolatore delle anime desolate, rifugio -nei pericoli, protettore nella sventura. Vieni, o tu che purifichi -l'anime da ogni macchia e ne guarisci le piaghe. Vieni, forza del -debole, appoggio di quegli che cade. Vieni, stella dei naviganti, -speranza dei poveri, salute di chi è per morire — incalzava Don Gennaro -Tierno, alto nella pianeta d'argento, vermiglio in volto, con occhi -forzanti le órbite, con gesti che parevano toccare il cielo. - -Nella chiesa una calura grave si era addensata su i cristiani. Le -navate si schiacciavano su i pilastri; in una vetrata la testa di S. -Luca evangelista raggiava percossa dal sole e il gran manto metteva -nell'aria una zona di crepuscolo verde. L'ambone marmoreo si levava -come un miracoloso fiore mistico, in quel vapore di luce. - -— Vieni, o Spirito, vieni ed abbi misericordia di noi! - -Orsola teneva gli occhi all'alto: su l'onda di tutte quelle invocazioni -ella ascendeva verso il nimbo, penetrata dalla ineffabile soavità che -attira l'anime all'odore degli aromi spirituali. Le parve un istante -di vedere la colomba d'oro balenarle un lampo di assentimento, e il -cuore le balzò di giubilo nel seno come San Giovanni nelle viscere -d'Elisabetta alla visita della Vergine Maria. - -— Per nostro signore Gesù Cristo. Amen. - -Il prete, tutto d'argento, si volse verso la custodia, dicendo a bassa -voce un credo. Due turiferarii bianchi ai lati cominciarono a scuotere -i turiboli fumanti e odoranti. Un nuvolo di incenso avvolse la vergine -violata che stava da presso; e subitamente un invincibile fiotto di -náusea dal fondo della maternità le salì alla gola e le fece torcere la -bocca. - - -XVIII. - -Non c'era dunque scampo? — Più giorni ancora ella oscillò nel dubbio, -aspettando l'ultima prova. Vertigini la prendevano al levarsi, quando -ella metteva a terra i piedi; sfinimenti vaghi la invadevano su la -sera, fievolezze in cui il pensiero, la volontà, i ricordi parevano -quasi avere la confusione, la sonnolenza fluttuante delle prime ore -mattutine. Ella faceva le cose per abitudine, con gesti di sonnambula, -stancamente. Nella scuola, se veniva sul vento l'odore del pane caldo -dal forno, ella si sentiva morire, sentiva tutte le viscere montarle -d'un tratto alla bocca; e un sapore di lisciva le si spandeva nella -lingua. Un giorno, mentre un bimbo succhiava una ciliegia, una voglia -violenta di quel frutto la fece contorcere su la sedia, impallidire -e sudare. Poi, ella, dopo il pasto, tutta amara di nausea, si metteva -lunga sul letto, si lasciava occupare dal sopore: il caldo era pesante, -le mosche ronzavano, le grida d'un venditore di occhiali passavano -sotto la finestra, rauche nel silenzio. - -Sfiduciata, ella non cercò più la chiesa: l'incenso anche la ributtava. - -Ella non pensò più a Marcello; non lo vide più, non ebbe di lui se non -un ricordo incerto, come d'un sogno remoto. L'ansia presente la teneva -tutta. - -Lindoro saliva a portar acqua, come prima. Egli giungeva su, rosso e -stillante di sudore; posava le conche, lanciando sguardi di sbieco alla -vittima. Orsola si ritirava nell'altra stanza o si curvava sul lavoro -stringendo i denti nella collera repressa. Lindoro se ne andava, come -un cane frustato; ma il pensiero di aver posseduto quella donna gli -turbava il sangue: avrebbe voluto ora trascinarsela con sè, tenersela, -esserne il padrone come di una merce da usare e da vendere. Cupidigia -sensuale e avidità di guadagno in lui si mescevano. - -Una sera egli aspettò che Camilla uscisse, alla porta di strada; poi -salì a precipizio per sorprendere Orsola, per trovarla sola nella casa. -Quando egli battè all'uscio Orsola lo riconobbe e si sentì rimescolare. - -— Che vuoi da me, che vuoi? — chiese ella con la voce soffocata, senza -aprire. - -— Sentimi un momento, sentimi! Non aver paura; non ti faccio male... - -— Vattene, cane, infame, assassino... — proruppe la donna, con una -veemenza stridula di vituperii, togliendo il freno a tutto l'odio -accumulato contro colui. — Vattene, vattene! - -E, sfinita, si ritrasse nella sua stanza, si gettò su i guanciali -mordendoli fra le lagrime. - - -XIX. - -Non c'era più scampo. — La figlia di Maria Camastra aveva bevuto il -vetriolo ed era morta così, con un bimbo di tre mesi nel ventre. La -figlia di Clemenza Iorio s'era precipitata dal ponte, ed era morta -così, nella fanga della Pescarina. Bisognava dunque morire. - -Quando questo pensiero balenò alla mente di Orsola, cadeva il -pomeriggio. Tutte le campane sonavano a gloria, nella vigilia del -_Corpus Domini_; grandi tribù di rondini schiamazzavano e turbinavano -sul palazzo di Brina, si assembravano a parlamento su l'Arco. Una -nuvola rossa sovrastava le case, simile forse a quella che versò bitume -ardente su l'empietà di Sodoma. - -Orsola al baleno di quel pensiero si smarrì, ebbe paura. Poi a mano -a mano che il sentimento della vergogna la persuadeva al passo, in -fondo a lei una sorda ribellione di vitalità cominciava a levitare, -le viscere fremevano. Ella d'un tratto sentì il rossore e il calore -del suo sangue chiazzarle la fronte, le guance. Si levò dalla sedia, -torcendosi le braccia nell'agitazione della lotta. E, con un impeto -di forza nervosa, finalmente uscì dalla stanza, entrò nella cucina, -cercò su le tavole un bicchiere e il mazzo degli zolfanelli. L'odore -forte del carbone le turbava lo stomaco; la vertigine le prendeva -il cervello. Ella trovò tutto: mise gli zolfanelli a disciogliersi -nell'acqua; rientrò nella sua stanza e nascose in un angolo, sotto un -mobile, il bicchiere letale. - -— Dio mio! Dio mio! - -Ella aveva ora paura di trovarsi così, sola, dinanzi al suo -proponimento. Le tornò subitamente nella fantasia il cadavere di -Cristina Iorio intraveduto quel giorno mentre lo portavano su la -barella alla casa della madre: un corpo gonfio come un otre, con la -melma ne' capelli, nel cavo degli occhi, nella bocca, tra le dita de' -piedi violetti... - -— Dio mio, Dio mio, morire! - -E sussultò come se una mano fredda e rigida le si fosse posata sul -capo: un brivido le corse tutte le membra, le durò un momento sul -cranio con l'impressione di una lama che vi penetrasse per distaccarne -la pelle. - -— No, no, no! — disse con la voce alterata, come se volesse scacciare -da sè il contatto di qualche cosa orribile. E andò alla finestra, -sporse il capo fuori, cercando un rifugio. - -Ella rimase là, inchiodata, attònita dinanzi a quella visione -d'incendio biblico e a quella tregenda di uccelli neri. Quando si -volse un poco, intravide nell'ombra della stanza un bagliore strano: -il luccichìo delle mezzelune d'oro su la veste della Madonna di Loreto -e il luccichìo delle medaglie. Ebbe ancora paura; si schiacciò sul -davanzale, si sporse di più; stette là, senza avere il coraggio di -muoversi. Allora, in quella immobilità, l'indebolimento serale cominciò -ad invaderla; ed ella si strinse la testa grave tra le palme, socchiuse -le pàlpebre. - -— Ah! - -D'improvviso le si era aperto nell'animo uno spiràcolo. — Sì, sì, ella -se ne rammentava! Spacone, il mago, quel vecchio con la barba lunga, -quello che faceva i miracoli e aveva le medicine per ogni male... Era -venuto al paese qualche volta a cavalcioni di una muletta bianca, con -due triangoli d'oro agli orecchi, con una fila di bottoni larghi come -cucchiai d'argento senza mànico. Tante donne uscivano su gli usci e -lo chiamavano, e lo benedicevano. Egli aveva guarito ogni sorta di -malattie con certe erbe e certe acque e certi segni del dito pollice -e certe parole magiche. Egli doveva avere i rimedii pure per quella -cosa... sì, sì, li doveva avere! - -E Orsola rivisse in un barlume di speranza, mentre il languore saliva -saliva. Dinanzi a lei, le cose annegavano nel crepuscolo; il giorno -vermiglio, penetrato dalle ceneri della notte vicina, mancava in un -lento scoloramento, senza contrasti. Una rondine, come un pipistrello, -passò radendole il capo. Il sùbito alito dell'estate le soffiò nella -faccia, le toccò ogni vena, le scosse fin le radici infime della vita. - -Ella, con un moto involontario e inconsapevole, mise le mani sul ventre -e le tenne così un istante. L'indefinito sentimento della maternità -le attraversava l'anima. E dal fondo, misteriosamente, un ricordo -della convalescenza lontana si svegliò. — Ah, era di marzo... una -gran bianchezza ridente... e sopra di lei le _spie_, le lanugini molli -piovevano. - - -XX. - -Così fu che la mattina dopo ella uscì dalla casa, di sotterfugio; e -s'incamminò sola fuori del paese, per la strada nuova di Chieti. - -Nelle vicinanze di San Rocco abitava Spacone. Sotto la maestà di una -quercia druidica, egli compiva i miracoli e formulava i responsi. -Tutto il contado, in venti miglia di circuito, ricorreva a lui, come -a un apostolo della Providenza. Nelle epidemie del bestiame indigeno, -mandre di bovi e di cavalli si raccoglievano in torno alla quercia -per ricevere il talismano preservante dal morbo: le orme delle unghie -equine e bovine facevano come un circolo d'incanti su l'erbe semplici -del terreno. - -Quando Orsola s'incamminò, era nella terra pescarese un gran giuoco -d'ombre e di luci. Le nuvole nòmadi trasmigravano dalla marina alla -montagna, come carovane con buone salmerìe d'acqua, per quel cielo -arabico del mese di giugno. A intervalli, larghe zone di terra si -sommergevano nell'ombra, altre zone emergevano illustrate; e, come -l'ombra era turchina e mobile, la campagna così dava apparenza di un -arcipelago che galleggiasse copioso d'alberi e di fromento. Il canto -degli uccelli lodava la maturità delle biade. - -Al primo spettacolo Orsola ebbe un insolito ristoro; poichè la -libertà della campagna, la felicità della luce sul fogliame, gli odori -cordiali dell'aria circondandole d'un tratto la persona le mossero il -sangue, e la nuova speranza in lei al dispiegarsi dell'orizzonte si -fortificò ed esultò. Ella si alleggeriva di tutte le angosce, vivendo -per due sentimenti soli, per la speranza della salvazione corporea -e pel desiderio di raggiungere la meta. In fondo, alla meta, ella -vedeva nella sua fantasia sorgere il vecchio benefico e illuminarsi -misticamente. Per una nativa tendenza superstiziosa, ella trasformava -quella figura, la ingigantiva e la vestiva di una dolcezza cristiana, -la cingeva di nimbo. Allora tutte le dicerie che correvano tra il -volgo le tornarono alla memoria confusamente e gittarono sprazzi di -luce meravigliosa su la fronte di Spacone. Allora ella si rammentò -che Rosa Catena, in un giorno lontano della malattia, aveva parlato -del Vecchio con una reverenza devota citando miracoli. — Un cieco di -Torre de' Passeri era andato a San Rocco ed era tornato dopo tre dì con -gli occhi che ci vedevano e con una cifra turchina su la tempia. Una -femmina di Spoltore, invasa dagli spiriti maligni, era tornata mansueta -come un'agnella, dopo aver bevuto due sorsi d'un'acqua custodita in una -piccola zucca secca. - -Così a poco a poco, lungo il cammino, pel concorso di tanti elementi -sparsi si venne formando nella mente di Orsola una specie di leggenda. -E a poco a poco, giacchè nulla possono gli uomini senza l'assistenza -di Dio, sorse anche la persuasione che il vecchio fosse un inviato -del cielo, un redentore delle anime dalla dipendenza corporale, un -distributore di grazie celesti su la terra ai caduti. — La speranza -estrema non era discesa su la peccatrice improvvisamente, quasi per -influsso divino, fra i segnali accesi nell'aria? E nella Pentecoste -la colomba non aveva balenato dall'alto, agli occhi della pregante, un -lampo di buona promessa? - -La promessa ora si compiva nel santo giorno del _Corpus Domini_. Orsola -dunque, tutta calda di fede e di giubilo, andava su la polvere della -via nuova, non curando la fatica dei passi. Ai due lati, le siepi -biancheggiavano come coperte di escrementi d'uccelli. Gruppi di pioppi -sonori stavano su i limiti; e i tronchi inargentati riverberavano -le variazioni della luce. Le contadine della Villa del Fuoco, nane, -co 'l naso camuso, con le labbra schiacciate, femmine cafre dalla -pelle bianca, venivano incontro a due, a tre. Le vicende delle nuvole -occupavano l'immenso teatro della campagna. - -Orsola passò il Mulino, passò la Villa. Una energìa nervosa le animava -il passo. Ella si sentiva battere il vento su la nuca e sentiva sul -capo a intervalli stormire i pioppi. Ma l'oscillare delle ombre e la -polvere cominciavano a turbarle un poco la visione; il calore del moto -le affluiva alla testa; la volontà era tutta occupata nell'insolito -sforzo materiale dell'incedere. Ella così andò innanzi in una specie di -stordimento crescente che si mutava in malessere; e, vinta dalla fatica -e dal caldo, si lasciò allettare da un mucchio di olivi messi in salita -a sinistra. - -Passavano quattro o cinque zingari seminudi, bronzini, con amuleti -luccicanti sul petto, a cavalcioni di certi asini rossastri. Uno di -loro fischiava urtando con le calcagna il ventre della sua bestia. -Tutti avevano in mano canne e portavano bisacce di pelle su le cosce. -Guardarono la donna rifugiata sotto gli olivi e mormorarono ridendo. - -Orsola ebbe paura di quegli occhi che mostravano il bianco nello -sguardo, e stette sbigottita finchè il gruppo non si allontanò. Lo -scoraggiamento incominciava a impadronirsi di lei; la solitudine -cominciava ad esserle paventosa, poichè nella campagna correva per -lunghi brividi l'annunzio della pioggia e un silenzio quasi lugubre -scendeva nell'aria dalle nuvole raccolte. Ella s'era appoggiata ad -un tronco: freschi soffi intermessi le investivano la persona e le -gelavano il sudore nei pori, soffi che accorrevano a lei co 'l fruscìo -di un animale furtivo nell'erba; mentre in torno il tremolìo del sole -pareva un riverbero d'acque lontane. Pallidi fiori d'un giallo sulfureo -facevano onda a pie' degli olivi. - -Un ricordo scese allora dai buoni alberi su l'animo della donna. — La -chiesa era tutta piena di palme benedette e di aromi, quel giorno; -ed ella andava tra il popolo sorretta dalle braccia di Marcello, in -un gran tremore... Ma, come ella si soffermò in quel pensiero, le -si smarrì la memoria; tutto le sfuggì in una incertezza di sogno. -Soltanto, colpi sordi le batterono il cuore, sussulti d'angoscia le -affannarono il respiro. Ella aveva ora la sensazione ottusa di un -sopore che le cadesse sul cervello con la pesantezza d'un colpo di -maglio. Un resto di volontà vigile le bastò a scuotersi debolmente e a -discendere nella strada. - -Le nuvole raccolte verso la Maiella avevano preso il colore diafano -e grigio di una massa pendula d'acque. Larghe trombe si avvicinavano -dalla marina più cariche; e ancora qualche azzurro campo si dilatava -nell'alto. Un odore di umidità già saliva dalla polvere, da tutta -la campagna ansante nell'aspettazione. Gli alberi immobili parevano -assorbire la luce, si levavano anneriti in mezzo alla fumea dell'aria, -popolavano di forme incerte la lontananza. - -Orsola camminava con una fatica immensa, sentendo che le forze stavano -per abbandonarla. — Ecco, pensava, arriverò a quell'albero e poi -cadrò. — Ma non cadeva. Si scorgevano a destra le case di San Rocco. Un -contadino veniva in contro a corsa. - -— Buon uomo, è quello San Rocco? - -— Sì, sì, voltate alla prima scorciatoia. - -Grosse gocce sonanti cominciarono a cadere; poi d'un tratto la pioggia -crescente rigò l'aria di lunghe frecce bianche, di lunghe sferze che -percotendo schioccavano. Un sommovimento mostruoso agitò allora le -nuvole: sprazzi di raggi eruppero di qua, di là. Tutte le colline, in -fondo, a traverso le liste della pioggia si accesero un attimo e si -rispensero. Una fievole serenità d'argento si levò su la Maiella, parve -acuirsi come una spada sottile. - -Orsola tentava di correre verso la quercia distante un tiro di -schioppo. Le gocce le battevano su la nuca, le scivolavano per la -schiena, le colpivano la faccia; e già le vesti erano tutte molli sino -alla pelle. I passi le mancavano sul terreno sdrucciolevole. Ella cadde -e si rialzò, due volte. Poi, quasi folle, si mise a gridare verso la -casa. - -— Aiuto! aiuto! - -Una femmina uscì dalla porta e venne a sorreggerla, seguita da due cani -che abbaiavano. - -Orsola si lasciò condurre senza poter più proferire una parola a -traverso i denti serrati, livida, con la faccia stravolta. Non si -riscosse se non dopo qualche tempo, per le domande che l'ospite le -faceva. E allora, repentinamente, all'udire il nome di Spacone, si -ricordò di tutto. - -— Ah, dov'è Spacone? — chiese. - -— È a Popoli, donna santa: l'hanno chiamato. - -Orsola non resse più: cominciò a singhiozzare e a strapparsi i capelli. - -— Che volete, donna santa? che volete? Io sono la moglie; ci son qua -io... — miagolava la strega, trattenendole i polsi, incitandola a -parlare. - -Orsola esitò un momento; poi disse tutto, a precipizio, tra i singulti, -coprendosi la faccia. - -— Aspettate. Il rimedio c'è; ma costa cinquanta soldi, donna santa — -fece la strega in quel suo idioma tutto molle di vocali, cantando quel -bello appellativo per intercalare. - -Orsola sciolse un nodo nel fazzoletto e offerse cinque piccole monete -d'argento. Poi aspettò, più calma. - -La stanza era vasta, ma bassa. Le pareti, su cui qua e là il salnitro -fioriva, apparivano scagliose e verdastre. Rozzi idoli cristiani di -maiolica popolavano quel fondo di spelonca; forme strane di utensili -e di stromenti ingombravano le tavole. Era come un aspro santuario -custodito da un semplicista monaco. - -La moglie di Spacone, dinanzi al camino, componeva il suo filtro, in -silenzio. Era una femmina alta e ossuta, bianchissima in faccia, co -'l naso guasto, violetto come un fico, con i capelli rossi e lisci su -le tempie, con due piccoli occhi di albina, tatuata nel mento, nella -fronte, nel dorso delle mani. - -— Ecco, donna santa! Coraggio! - -Orsola ingoiò il liquido, d'un fiato; ma si sentì, subito dopo, da -un'amarezza atroce mordere il palato e le viscere. Restò con la bocca -aperta, premendosi il ventre con le mani, battendo rapidamente un piede -sul pavimento, nello spasimo della prima contrazione uterina. - -— Coraggio, donna santa, coraggio! — le ripeteva la strega, fissandola -con quegli occhi bianchicci, soffregandole le reni. Avete tempo di -arrivare a Pescara... Via! via! - -Orsola non poteva rispondere: alla bocca non le venivano che urli. I -crampi le serravano lo stomaco, le irrigidivano i muscoli respiratorii, -le eccitavano il vomito. I bulbi visivi le ruotavano in alto, come se -ella fosse entrata ne' sintomi di una convulsione epilettica. In tutto -il suo debole organismo la potenza eccessiva della bevanda operava ora -effetti inaspettati. Il parto falso si produsse quasi d'improvviso, con -una di quelle terribili perdite per ove le forze della vita se ne vanno -mollemente, insensibilmente, fluendo. - -— Gesù, Gesù, Gesù! — mormorava la strega, inquieta, presa da una -sùbita paura dinanzi a quel povero corpo riverso — Gesù, aiutatemi! - -Alle sollecitazioni di lei, Orsola rinvenne. E come dopo qualche tempo -il profluvio parve arrestarsi, la meschina si potè levare in piedi; -sospinta dalla femmina, uscire; giungere fino alla strada nuova, -barcollando, pallida come se non le fosse rimasta sotto la pelle una -goccia di sangue, ma tenuta viva dalla speranza che il maggior pericolo -fosse omai superato. - -Ora la campagna era tutta frescamente luminosa dopo la pioggia. Passava -una fila di carretti carichi di gesso, e i grossi carrettieri di Letto -Manoppello, pieni di vino, sdraiati sui sacchi fumavano. Come Orsola si -mise dietro la fila, uno di quelli, l'estremo, gridò: - -— Ohè, volete che vi porti, bella figliuola? - -Quasi inconscia Orsola si lasciò tirar su dalle forti braccia -dell'uomo, e stette così seduta sopra i sacchi. Non intendeva le grosse -risa e i motti osceni che di carro in carro si propagavano. - -Con l'energia dell'istinto teneva le ginocchia serrate per impedire al -flusso la via. Sentiva a poco a poco una specie di ottusità occuparle i -sensi, così che gli sbalzi frequenti delle ruote su la ghiaia le davano -appena un dolor sordo e il lezzo delle pipe le feriva appena le nari. -Poi cominciò un susurro lontano agli orecchi, un tremante bagliore alla -vista. Più volte ella sarebbe caduta se non l'avessero sorretta le mani -del carrettiere, che incoraggiato dalla muta docilità di lei tentava -qualche brutale carezza. - -Il paese di Pescara apparve in cima alla strada, in mezzo al sole, -mandando suoni sul vento. - -— Fanno la processione — disse uno degli uomini. Tutti gli altri -sferzarono; e la strada risonò sotto il trotto pesante, al tintinnìo -de' sonagli, allo schiocco delle fruste. - -Quella violenza di scosse e di fragore richiamò per un momento Orsola -al senso della realtà circostante. Ma, poichè l'uomo le cingeva i -fianchi con un braccio e le soffiava il fiato vinoso nella guancia, -ella per un cieco impeto si mise a gridare e a gesticolare quasi -l'avesse presa il delirio. E il fantasma di Lindoro subitamente le si -rizzò dinanzi agli occhi offuscati e potè anco suscitarle il ribrezzo -dell'orrore in quel poco di sensibilità che le restava nei nervi. -Appena il carro si fermò, discese a terra dai sacchi scivolando; tentò -di muovere i passi, con la furia affannosa di chi cerchi raggiungere un -luogo sicuro per cadere. - -Venivano in contro nella strada le verginelle coperte di veli candidi, -con in mano i cèrei dipinti, e cantavano. Dietro la torma angelica, un -grande sventolìo di drappi e di baldacchini ampliava l'aria beneficata -dalla pioggia recente. E cantavano: - - _Tantum ergo sacramentum_ - _Veneremur cernui..._ - -Orsola, intravedendo, voltò nel vicolo; giunse alla casa di Rosa -Catena, entrò; presa dalla vertigine, cadde in mezzo al pavimento. E, -come il profluvio del sangue ricominciava, la paralisi le occupò la -metà inferiore del corpo, ogni facoltà di moto volontario in lei si -spense. - -Rosa non era nella casa: la processione aveva attirato tutto il paese, -quel giorno. In un angolo della stanza Muà, il padre, un mostro di -vecchiaia umana, un cieco inchiodato per anni sul legname di una sedia -dall'artrite deformante, tentava vagamente con la punta del bastone i -mattoni intorno a sè per scoprire la causa del rumore improvviso; e un -borbottìo bavoso gli esciva dalla bocca sdentata. - -Allora, ai piedi del mostro orrendo, in mezzo al sangue del peccato, -con i pollici stretti nei pugni, senza grida, la sposa violata del -Signore per alcuni attimi si agitò nella convulsione mortale. - -— Via! Via! Passa via! Via di qua! - -Il vecchio, credendo che fosse entrato il mastino del beccaio, -allungava il bastone per scacciarlo; e percoteva la moribonda. - - - - -LA VERGINE ANNA. - - -I. - -Luca Minella, nato nel 1789 a Ortona in una delle case di Porta -Caldara, fu marinaio. Nella prima giovinezza navigò per qualche -tempo sul trabaccolo _Santa Liberata_, dalla rada di Ortona ai porti -della Dalmazia, caricando legnami, frumento e frutta secche. Poi, -per vaghezza di cambiar padrone, si mise al servizio di Don Rocco -Panzavacante, e su una tanecca nuova fece molti viaggi in commercio -d'agrumi al promontorio di Roto, che è una grande e dilettosa altura su -la costa italica, tutta coperta da una selva di aranci e di limoni. - -Su i ventisette anni egli si accese d'amore per Francesca Nobile; e -dopo alcuni mesi strinse le nozze. - -Luca, uomo di statura bassa e fortissimo, aveva una dolce barba bionda -intorno al viso colorito; e, come le femmine, agli orecchi portava -due cerchietti d'oro. Amava il vino ed il tabacco; professava una -devozione ardente per il santo apostolo Tommaso; e, poichè era di -natura superstizioso e inchinevole allo stupore, raccontava singolari -avventure e meraviglie dei paesi d'oltremare e novellava delle genti -dálmate e delle isole adriatiche come di tribù e di terre prossime al -polo. - -Francesca, donna di gioventù già schiusa, aveva della razza ortonese -la floridissima carne e i lineamenti molli. Ella amava la chiesa, le -funzioni religiose, le pompe sacre, le musiche dei tridui; viveva in -gran semplicità di costumi; e, poichè la sua intelligenza era fievole, -credeva le più incredibili cose e lodava in ogni suo atto il Signore. - -Dal congiungimento nacque Anna; e fu nel mese di giugno del 1817. -Siccome il parto veniva difficile e si temeva di qualche sventura, -il sacramento del battesimo fu amministrato sul ventre della madre, -prima che uscisse alla luce l'infante. Dopo molto travaglio il parto -si compì. La creatura bevve il latte dalle mammelle materne e crebbe -in salute e in letizia. Francesca scendeva verso sera alla marina, -con la poppante su le braccia, quando la tanecca doveva tornare -carica da Roto; e Luca sbarcando aveva la camicia tutta odorosa dei -frutti meridionali. Risalendo insieme verso le case alte, si fermavano -allora un momento alla chiesa e s'inginocchiavano. Nelle cappelle già -ardevano le lampade votive; e in fondo, a traverso i sette cancelli -di bronzo, il busto dell'Apostolo luccicava come un tesoro. Le -preghiere invocavano la benedizione celeste sul capo della figliuola. -Nell'uscire, quando la madre bagnava la fronte di Anna con l'acqua -della pila, gli strilli infantili echeggiavano a lungo per quelle -navate sonanti come grandi conche di metallo puro. - -L'infanzia di Anna passava pianamente, senza alcuno avvenimento -notevole. Nel maggio del 1823 ella fu vestita da cherubino, con una -corona di rose e un velo bianco; e, confusa in mezzo allo stuolo -angelico, seguì la processione tenendo in mano un cero sottile. La -madre nella chiesa volle sollevarla su le braccia per farle baciare -il santo protettore. Ma, come le altre madri sorreggenti gli altri -cherubini spingevano in folla, uno dei ceri appiccò il fuoco al velo -d'Anna e d'improvviso la fiamma avvolse il corpo tenerello. Un moto di -paura si propagò allora nella moltitudine, e ciascuno tentava d'essere -primo ad uscire. Francesca, se bene aveva le mani quasi impedite dal -terrore, riuscì a strappare la veste ardente; si strinse contro il -petto la figliuola nuda e tramortita; gittandosi dietro ai fuggenti, -invocava Gesù con alte grida. - -Per le ustioni Anna stette inferma lungo tempo in pericolo. Ella -giaceva nel letto, con l'esile faccia esangue, senza parlare, come -fosse diventata muta; e aveva negli occhi aperti e fissi un'espressione -di stupore immemore più che di dolore. Nell'autunno guarì: e andò ad -appendere un voto. - -Quando la temperie era dolce, la famiglia scendeva nella barca pel -pasto della sera. Sotto la tenda, Francesca accendeva il fuoco e sul -fuoco metteva i pesci: l'odor cordiale degli alimenti si spandeva -lungo il Molo mescendosi al profumo derivante dai verzieri della Villa -Onofria. Il mare dinanzi era così tranquillo che si udiva a pena -tra gli scogli il risucchio, e l'aria così limpida che la punta di -San Vito si vedeva in lontananza emergere con tutto il cumulo delle -case. Luca si metteva a cantare, insieme con gli altri uomini; Anna -faceva atto di aiutare la madre. Dopo il pasto, come la luna saliva il -cielo, i marinai apprestavano la tanecca per salpare. Intanto Luca, -nel calore del vino e del cibo, preso da quella sua naturale avidità -di narrazioni mirabili, cominciava a parlare dei litorali lontani. — -C'era, più in là di Roto, una montagna tutta abitata dalle scimmie -e da _uomini dell'India_, altissima, con piante che producevano le -pietre preziose.... — La moglie e la figlia ascoltavano, in silenzio, -attonite. Poi le vele si spiegavano lungo gli alberi lentamente, tutte -segnate di figure nere e di simboli cattolici, come vecchi gonfaloni -della patria. E Luca partiva. - -Nel febbraio del 1826 Francesca si sgravò d'un bimbo morto. Nella -primavera del 1830 Luca volle condurre Anna al promontorio. Anna -era allora su l'adolescenza. Il viaggio fu felice. Nell'alto mare -incontrarono una nave di mercanti, una gran nave che faceva cammino -per forza di immense vele bianche. I delfini nuotavano nella scia; -l'acqua si moveva dolcemente intorno, scintillando, come se sopra vi -galleggiassero tappeti di penne di paone. Anna seguì a lungo con gli -occhi mai sazii la nave in lontananza. Poi una specie di nuvola azzurra -sorse su la linea dell'orizzonte; ed era la montagna fruttifera. Le -coste della Puglia si designavano a poco a poco sotto il sole. Il -profumo degli agrumi veniva spandendosi nell'aria gioviale. Quando Anna -discese su la riva, fu presa da un senso di letizia; e stette curiosa -a guardare le piantagioni e gli uomini nativi del luogo. Il padre la -condusse nella casa di una donna non giovane che parlava con una lieve -balbuzie. Restarono là due giorni. Anna vide una volta il padre baciare -la donna ospite su la bocca; ma non comprese. Al ritorno la tanecca era -carica di aranci; e il mare era ancora mite. - -Anna conservò di quel viaggio un ricordo come di sogno; e, poichè per -natura era taciturna, raccontò non molte cose alle coetanee che la -incalzavano di interrogazioni. - - -II. - -Nel maggio seguente, alle feste dell'Apostolo intervenne l'arcivescovo -di Orsogna. La chiesa era tutta parata di drappi rossi e di fogliami -d'oro; dinanzi ai cancelli di bronzo ardevano undici lampade d'argento -lavorate dagli orefici per religione; e tutte le sere l'orchestra -sonava un oratorio solenne con un bel coro di voci bianche. Il sabato -si doveva esporre il busto dell'Apostolo. I devoti peregrinavano -da tutti i paesi marittimi e interni; salivano la costa cantando e -portando in mano i voti, nel conspetto del mare. - -Anna il venerdì fece la prima comunione. L'arcivescovo era un vecchio -venerando e mite: quando sollevava la mano per benedire, la gemma -dell'anello risplendeva simile ad un occhio divino. Anna, appena sentì -su la lingua l'ostia eucaristica, smarrì la vista per un'improvvisa -onda di gaudio che le irrigò i capelli con la dolcezza d'un bagno -tiepido e odoroso. Dietro di lei un susurro correva nella moltitudine; -allato, altre verginelle prendevano il sacramento e chinavano la faccia -sul gradino, in gran compunzione. - -La sera Francesca volle dormire, com'è costume dei fedeli, sul -pavimento della basilica, aspettando l'ostensione mattutina del santo. -Ella era incinta da sette mesi, e molto l'affaticava il peso del -ventre. Sul pavimento i pellegrini giacevano accumulati; dai loro corpi -esalava il calore e montava nell'aria. Alcune voci confuse uscivano a -tratti da qualche bocca inconscia nel sonno; le fiammelle tremolavano -e si riflettevano su l'olio nei bicchieri sospesi tra gli archi; e -nei vani delle larghe porte aperte scintillavano le stelle alla notte -primaverile. - -Francesca vegliò per due ore in travaglio, poichè l'esalazione dei -dormienti le dava la nausea. Ma, determinata a resistere e a soffrire -pel bene dell'anima, vinta dalla stanchezza, piegò alfine il capo. Su -l'alba si destò. L'aspettazione cresceva negli animi degli astanti e -altra gente sopraggiungeva: in ciascuno ardeva il desiderio d'essere -primo a vedere l'Apostolo. Fu aperto il cancello esterno; e il romore -dei cardini risonò nitidamente nel silenzio, si ripercosse in tutti -i cuori. Fu aperto il secondo cancello, poi il terzo, poi il quarto, -il quinto, il sesto, l'ultimo. Parve allora come una tromba d'uragano -investisse la moltitudine. La massa degli uomini si precipitò verso il -tabernacolo; grida acute squillarono nell'aria mossa da quell'impeto; -dieci, quindici persone rimasero schiacciate e soffocate; una preghiera -tumultuaria si levò. - -I morti furono tratti fuori all'aperto. Il corpo di Francesca, tutto -contuso e livido, fu portato alla famiglia. Molti curiosi in torno si -accalcarono; e i parenti gemevano compassionevolmente. - -Anna, quando vide la madre distesa sul letto tutta violacea nella -faccia e macchiata di sangue, cadde a terra senza conoscenza. Poi, per -molti mesi fu tormentata dal mal caduco. - - -III. - -Nell'estate del 1835 Luca partiva per un porto della Grecia sul -trabaccolo _Trinità_ di Don Giovanni Camaccione. Siccome egli aveva -nell'animo un segreto pensiero, prima di navigare vendè le masserizie e -pregò i parenti d'accogliere Anna nella casa fin che egli non tornasse. -Di là a qualche tempo il trabaccolo tornò carico di fichi secchi e -d'uva di Corinto, dopo aver toccata la spiaggia di Roto. Luca non era -tra la ciurma; e si vociferò poi ch'egli fosse rimasto nel _paese dei -portogalli_ con una femmina amorosa. - -Anna si ricordava dell'antica ospite balbuziente. Una gran tristezza -allora discese nella sua vita. La casa dei parenti era sotto la strada -orientale, in vicinanza del Molo. I marinai venivano a bere il vino -in una stanza bassa, ove quasi tutto il giorno le canzoni sonavano -tra il fumo delle pipe. Anna passava in mezzo ai bevitori portando -i boccali colmi; e il primo istinto de' suoi pudori si risvegliava a -quel contatto assiduo, a quell'assidua comunione di vita con uomini -bestiali. Ad ogni momento ella doveva soffrire i motti inverecondi, -le risa crudeli, i gesti ambigui, la malvagità delle ciurme inasprite -dalle fatiche della navigazione. Ella non osava lamentarsi, poichè -mangiava il pane nella casa degli altri. Ma quel supplizio di tutte le -ore la rendeva ebete: una imbecillità grave le opprimeva a poco a poco -l'intelligenza indebolita. - -Per una naturale inclinazione affettiva dell'animo, ella poneva amore -agli animali. Un asino di molta età era ricoverato sotto una tettoia -di paglia e di argilla, dietro la casa. Il quadrupede mansueto portava -cotidianamente some di vino da Sant'Apollinare alla tavernella; -e, se bene i suoi denti cominciavano a ingiallire e le sue unghie -a sfaldarsi, se bene il suo cuoio era già secco e non aveva quasi -più pelo, talvolta al conspetto di una fiorita di cardi ridirizzava -le orecchie e si metteva a ragliare vivacemente in un'attitudine -giovenile. - -Anna empiva di profenda la greppia e di acqua l'abbeveratoio. Quando -il calore era grande, ella veniva sotto la tettoia a meriggiare. -L'asino triturava i fili di paglia tra le mandibole laboriose, ed ella -con un ramo fronzuto faceva opera di pietà liberandogli la schiena -dalla molestia degli insetti. Di tanto in tanto l'asino volgeva la -testa orecchiuta, per un increspamento delle labbra flosce mostrando -le gencive quasi in un rossastro riso animalesco di gratitudine -e mostrando per un moto obliquo dell'occhio nell'orbita il globo -giallognolo e venato di paonazzo come una vescica di fiele. Gli insetti -turbinavano con un ronzìo pesante, su 'l fimo; non dalla terra nè -dal mare venivano romori o voci; e un senso infinito di pace occupava -allora l'animo della donna. - -Nell'aprile del 1842 Pantaleo, l'uomo che guidava il somiere al -viaggio cotidiano, morì di coltello. Da quel tempo ad Anna fu commesso -l'ufficio. Ed ella partiva su l'alba e tornava sul mezzogiorno o -partiva sul mezzogiorno e tornava su la sera. La strada volgeva per -una collina solatia piantata d'olivi, discendeva per una terra irrigua -messa a pasture, e risalendo tra i vigneti giungeva alle fattorie di -Sant'Apollinare. L'asino camminava innanzi, con le orecchie basse, a -fatica: una frangia verde tutta logora e stinta gli batteva le coste e -i lombi; nel basto luccicavano alcuni frammenti di làmine d'ottone. - -Quando l'animale si soffermava per riprender fiato, Anna gli dava -qualche piccolo urto carezzevole sul collo e l'eccitava con la voce; -poichè ella aveva misericordia di quella decrepitezza. Ogni tanto -strappando dalle siepi un pugno di foglie, le porgeva in ristoro; e -s'inteneriva sentendo su la palma il movimento molle delle labbra che -ricevevano l'offerta. Le siepi erano fiorite; e i fiori del bianco -spino avevano un sapore di mandorle amare. - -Sul confine dell'oliveto stava una gran cisterna, e accanto alla -cisterna un lungo canale di pietra dove le vacche venivano ad -abbeverarsi. Tutti i giorni Anna faceva sosta in quel luogo; ed ella -e l'asino si dissetavano prima di seguire il cammino. Una volta ella -s'incontrò col custode dell'armento, che era nativo di Tollo e aveva -la guardatura un poco losca e il labbro leporino. L'uomo le volse il -saluto; e ambedue cominciarono a ragionare dei pascoli e dell'acqua, -e poi dei santuarii e dei miracoli. Anna ascoltava con benignità -e con frequenza di sorriso. Ella era macilente e bianca; aveva gli -occhi chiarissimi e la bocca stragrande, e i capelli castanei pieganti -indietro tutti senza spartizione. Nel collo le si vedevano le cicatrici -rossicce delle bruciature e le si vedevano le arterie battere d'un -palpito incessante. - -Da allora i colloquii si reiterarono. Per l'erba le vacche stavano -sparse; e giacevano ruminando o pascolavano in piedi. Quelle moventi -forme pacifiche aumentavano la tranquillità della solitudine pastorale. -Anna, seduta su l'orlo della cisterna, ragionava semplicemente; e -l'uomo dal labbro fesso pareva preso d'amore. Un giorno ella, per un -improvviso spontaneo rifiorir del ricordo, narrò la navigazione alla -montagna di Roto. E, poichè la lontananza del tempo le ingannava la -memoria, ella diceva con accento di verità cose meravigliose. L'uomo -stupefatto ascoltava senza batter le palpebre. Quando Anna tacque, -ad ambedue il silenzio e la solitudine d'intorno parvero più grandi; -ed ambedue restarono in pensiero. Venivano le vacche, tratte dalla -consuetudine, all'abbeveratoio; e a tutte penzolava fra le gambe il -gruppo delle mammelle rifornite di latte dalla pastura. Come esse -avanzavano il muso nel canale, l'acqua diminuiva ai loro sorsi lenti e -regolari. - - -IV. - -Su gli ultimi giorni di giugno l'asino infermò. Non prendeva cibo nè -bevanda da quasi una settimana. I viaggi s'interruppero. Una mattina -che Anna discese alla tettoia, scorse la bestia tutta ripiegata su lo -strame in un avvilimento miserevole. Una specie di tosse roca e tenace -scoteva di tratto in tratto la gran carcassa malcoperta di cuoio; sopra -gli occhi s'erano formate due cavità profonde, come due orbite vacue; -e gli occhi parevano due grosse bolle gonfie di siero. Quando l'asino -udì le voci di Anna, tentò di levarsi: il corpo gli traballava su le -zampe e il collo gli si abbatteva giù dalle spalle acute e le orecchie -gli penzolavano con i movimenti involontari e incomposti di un enorme -giocattolo che avesse guaste le commessure. Un liquido mucoso gli -colava dalle nari, talvolta allungandosi in filamenti sino ai ginocchi. -Le chiazze nude nel pelame avevano il colore azzurrognolo e quasi -cangiante della lavagna. I guidaleschi qua e là sanguinavano. - -Anna, allo spettacolo, si sentì stringere da una angoscia pietosa; e, -poichè ella per natura e per uso non provava alcuna ripugnanza fisica -in contatto della materia immonda, si accostò a toccare l'animale. Con -una mano gli sorreggeva la mascella inferiore, con l'altra una spalla; -e così cercava di fargli muovere i passi, sperando in qualche virtù -dell'esercizio. L'animale prima esitava, squassato da nuovi sussulti di -tosse; poi finalmente prese a camminare per la china dolce che scendeva -al lido. Le acque, dinanzi, nella natività del giorno biancheggiavano; -e i calafati verso la Penna spalmavano una carena. Come Anna levò il -sostegno delle mani e trasse la corda della cavezza, l'asino per un -fallo de' piedi anteriori stramazzò d'improvviso. La gran macchina -delle ossa ebbe un scricchiolío interno di rotture, e la pelle del -ventre e dei fianchi risonò sordamente e palpitò. Le gambe fecero -l'atto di correre; per l'urto, dalla gengiva uscì un poco di sangue e -tra i denti si diffuse. - -Allora la donna si mise a gridare andando verso la casa. Ma i calafati, -sopraggiunti, in cospetto dell'asino giacente ridevano e motteggiavano. -Uno di loro percosse col piede il ventre del moribondo. Un altro gli -afferrò le orecchie e gli sollevò il capo che ricadde pesantemente -a terra. Gli occhi si chiusero; qualche brivido corse fra il pelame -bianco del ventre aprendone le spighe, come un soffio; una delle gambe -di dietro battè due o tre volte nell'aria. Poi tutto fu immobile; se -non che nella spalla ov'era un'ulcera, si produsse un lieve tremolìo, -simile a quello che per la molestia d'un insetto avveniva dianzi -volontario nella carne vivente. Quando Anna tornò sul luogo, trovò i -calafati che tiravano per la coda la carogna, e cantavano un _Requiem_ -con false voci asinine. - -Così Anna rimase in solitudine; e per lungo tempo ancora visse nella -casa dei parenti ed ivi appassì, adempiendo umili uffici, e sopportando -con molta pazienza cristiana le vessazioni. Nel 1845 il mal caduco -riapparve con violenza; sparve dopo alcuni mesi. La fede religiosa -in quell'epoca divenne in lei più profonda e più calda. Ella saliva -alla basilica tutte le mattine e tutte le sere; e s'inginocchiava -abitualmente in un angolo oscuro protetto da una gran pila di marmo -dov'era figurata con rozza opera di bassorilievo la fuga della Sacra -Famiglia in Egitto. Da prima scelse ella forse quell'angolo attratta -dal docile asinello trasportante il pargolo Gesù e la Madre alla -terra dell'idolatria? Una gran quietudine d'amore le discendeva su lo -spirito, quando aveva piegate le ginocchia nell'ombra; e la preghiera -le sgorgava puramente dal petto come da una fonte naturale, poichè -ella pregava soltanto per la voluttà cieca dell'adorazione, non per la -speranza d'ottener grazia di beni nella vita terrena. Ella pregava, -con la testa china su la sedia; e come i cristiani nell'accedere e -nell'uscire attingevano con le dita l'acqua della pila, e si segnavano, -ella a quando a quando trasaliva sentendo su' capelli qualche stilla -benedetta cadere. - - -V. - -Quando nel 1851 Anna venne la prima volta al paese di Pescara, era -prossima la festa del Rosario, che si celebra nella prima domenica -di ottobre. La donna si mosse da Ortona a piedi, per sciogliere un -voto; e, portando chiuso in un fazzoletto di seta un piccolo cuore -d'argento, camminò religiosamente lungo la riva del mare; poichè la -strada provinciale non ancora in quel tempo era praticata, e un bosco -di pini occupava molta estensione di terreno vergine. La giornata -pareva dolce, se non che nel mare le onde andavano crescendo, ed -all'estremo limite andavano crescendo in forma di trombe i vapori. -Anna avanzava tutta assorta in pensieri di santità. Nel far della sera, -come ella fu sul luogo delle Saline, cadde d'improvviso la pioggia, da -prima pianamente e dopo in grande abbondanza; così che, non essendovi -in torno riparo alcuno, ella n'ebbe le vesti tutte molli. Più in qua, -la foce dell'Alento portava acqua; ed ella si scalzò per guadare. -In vicinanza di Vallelonga la pioggia restò: ed il bosco dei pini -rinasceva serenante nell'aria con odor quasi d'incenso. Anna, rendendo -grazie nell'animo al Signore, seguì il cammino del litorale ma con più -rapidi passi, poichè sentiva penetrarsi nelle ossa l'umidità malsana, e -cominciava a battere i denti pel ribrezzo. - -A Pescara, ella fu subito presa dalla febbre palustre, e ricoverata per -misericordia nella casa di Donna Cristina Basile. Dal letto, udendo i -cantici della pompa sacra, e vedendo le cime degli stendardi ondeggiare -all'altezza della finestra, ella si mise a dire le preghiere e a -invocare la guarigione. Quando passò la Vergine, ella scorse soltanto -la corona gemmata, e fece atto di mettersi in ginocchio su i guanciali -per adorare. - -Dopo tre settimane guarì; e, avendole Donna Cristina offerto di -rimanere, ella rimase in qualità di domestica. Ebbe allora una piccola -stanza guardante sul cortile. Le pareti erano imbiancate di calce; -un vecchio paravento coperto di figure profane chiudeva un angolo; -e fra i travicelli del soffitto molti ragni tendevano in pace le -tele laboriose. Sotto la finestra sporgeva un tetto breve, e più giù -s'apriva il cortile pieno di volatili mansueti. Sul tetto vegetava, da -un mucchio di terra chiuso fra cinque tegole, una pianta di tabacco. -Il sole vi s'indugiava dalle prime ore antimeridiane alle prime ore del -pomeriggio. Ogni estate la pianta dava fiori. - -Anna, nella nuova vita, nella nuova casa, a poco a poco si sentì -sollevare e rivivere. La sua naturale inclinazione all'ordine si -dispiegò. Ella attendeva a tutti i suoi uffici tranquillamente, senza -far parole. Anche, in lei la credenza nelle cose soprannaturali -ingigantì. Due o tre leggende s'erano per antico formate su due o -tre luoghi della casa Basile, e di generazione in generazione si -tramandavano. Nella _camera gialla_ del secondo piano abbandonato -viveva l'anima di Donna Isabella. In un ricettacolo ingombro, dove -una scala discendeva a gomito sino a una porta che non s'apriva da -tempo, viveva l'anima di Don Samuele. Quei due nomi esercitavano un -singolar fàscino sui nuovi abitatori, e diffondevano per tutto il -vecchio edificio una specie di solennità conventuale. Come poi il -cortile interno era circondato di molti tetti, i gatti su la loggia si -riunivano in conciliaboli e miagolavano con una dolcezza misteriosa, -chiedendo ad Anna gli avanzi del pasto familiare. - -Nel marzo del 1853 il marito di Donna Cristina morì d'una malattia -urinaria, dopo lunghe settimane di spasimi. Egli era un uomo -timorato di Dio, casalingo e caritatevole; era capo d'una congrega di -possidenti religiosi; leggeva le opere dei teologi, e sapeva sonare sul -gravicembalo alcune semplici arie di antichi maestri napolitani. Quando -venne il viatico, magnifico per numero di ministri e per ricchezza di -arnesi, Anna s'inginocchiò su la porta, e si mise a pregare ad alta -voce. La stanza si empì d'un vapor d'incenso, in mezzo a cui il ciborio -raggiava e raggiavano i turiboli, oscillando come lampade accese. Si -udirono singhiozzi; poi le voci dei ministri, raccomandando l'anima -all'Altissimo, si sollevarono. Anna, rapita dalla solennità di quel -sacramento, perdè ogni orrore della morte, e da allora pensò che la -morte dei cristiani fosse un trapasso dolce e gaudioso. - -Donna Cristina tenne chiuse tutte le finestre della casa durante un -mese intero. Continuava a piangere il marito nell'ora del pranzo e -nell'ora della cena; faceva in nome di lui le elemosine ai mendicanti; -e, più volte nel giorno, con una coda di volpe levava la polvere dal -gravicembalo come da una reliquia, emettendo sospiri. Ella era una -donna di quarant'anni, tendente alla pinguedine, ancora fresca nelle -sue forme che la sterilità aveva conservate. E poichè ereditava dal -defunto una dovizia considerevole, i cinque più maturi celibi del -paese cominciarono a tenderle insidie e ad allettarla alle nuove -nozze con arti lusingatrici. I campioni furono: Don Ignazio Cespa, -persona dolcigna, di sesso ambiguo, con una faccia di vecchia pettegola -butterata dal vaiuolo e una capellatura impregnata di olii cosmetici, -con le dita cariche di anelli e gli orecchi forati da due minuscoli -cerchi d'oro; Don Paolo Nervegna, dottor di legge, uomo parlatore -e accorto, che aveva le labbra sempre increspate come se masticasse -l'erba sardonica e su la fronte una specie di crescimento rossastro -innascondibile; Don Fileno D'Amelio, nuovo capo della congrega, -uomo pieno d'unzione e di compunzione, un po' calvo, con la fronte -sfuggente indietro e l'occhio pecorinamente opaco; Don Pompeo Pepe, -uomo giocondo, amante del vino e delle donne e dell'ozio, ubertoso -in tutta la corporatura e più nella faccia, sonoro nelle risa e nelle -parole; Don Fiore Ussorio, uomo di spiriti pugnaci, gran leggitore di -opere politiche e citator trionfante di esempi storici in ogni disputa, -pallido d'un pallor terrigno, con una sottil corona di barba intorno -agli zigomi e una bocca singolarmente atteggiata in linea obliqua. A -costoro si aggiungeva, ausiliare della resistenza di Donna Cristina, -l'abate Egidio Cennamele che, volendo trarre l'erede ai benefizi della -chiesa, osteggiava con ben coperta astuzia di impedimenti le lusinghe. - -La gran contesa, che sarà un giorno narrata dal cronista per diffuso, -durò molto tempo ed ebbe molta varietà di vicende. E principal teatro -della prima azione fu il cenacolo, sala rettangolare dove su la carta -francesca delle pareti erano francescamente rappresentati i fatti di -Ulisse naufragante all'isola di Calipso. Quasi tutte le sere i campioni -si riunivano intorno all'inclita vedova; e facevano il giuoco della -briscola e il giuoco dell'amore alternativamente. - - -VI. - -Anna fu candida testimone. Introduceva i visitatori, tendeva il tappeto -su la tavola, e a mezzo della veglia portava i bicchierini pieni -d'un rosolio verdognolo composto dalle monache con droghe speciali. -Una volta ella sentì su per le scale Don Fiore Ussorio gridare nel -calore della disputa un'ingiuria contro l'abate Cennamele che parlava -sommesso; e poichè l'irriverenza le parve mostruosa, ella da allora -in poi tenne Don Fiore per un uomo diabolico e al comparir di lui si -faceva rapidamente il segno della croce e mormorava un _Pater_. - -Nella primavera del 1856, un giorno, mentre sul greto della Pescara -ella sbatteva i panni lavati, vide una torma di barche passare la foce -e navigar lentamente contro la forza dell'acqua. Il sole era sereno; le -due rive si rispecchiavano in fondo abbracciandosi; alcuni ramoscelli -verdi e alcune ceste di giunchi natavano nel mezzo della corrente, -come simboli pacifici, verso il mare; e le barche, aventi quasi tutte -la mitria di san Tommaso dipinta per insegna in un angolo della vela, -avanzavano così nel bel fiume santificato dalla leggenda di san Cetteo -Liberatore. I ricordi del paese natale si svegliarono nell'animo della -donna con un tumulto improvviso, a quello spettacolo; ed ella, pensando -al padre, fu invasa da una gran tenerezza. - -Le barche erano tanecche ortonesi e venivano dal promontorio di -Roto con un carico di agrumi. Anna, come le ancore furono gettate, -si avvicinò ai marinai; e li guardava con una curiosità benevola e -trepidante, senza far parole. Uno di loro, colpito dalla insistenza, -la ravvisò e la interrogò famigliarmente. — Chi cercava? Cosa voleva? — -Allora Anna, tratto in disparte l'uomo, gli chiese se non per caso egli -avesse veduto al _paese dei portogalli_ Luca Minella, il padre. — Non -l'aveva veduto? Non stava ancora con _quella femmina_? — L'uomo rispose -che Luca era morto da qualche tempo. — Era vecchio. Poteva campar -di più? — Allora Anna contenne le lagrime; volle sapere molte cose. -L'uomo le disse molte cose. — Luca aveva strette le nozze con _quella -femmina_; ne aveva avuti due figliuoli. Il maggiore dei due navigava -sopra un trabaccolo e veniva qualche volta a Pescara per negozii. — -Anna trasalì. Un turbamento indeterminato, una specie di smarrimento -confuso le occupava l'animo. Ella non giungeva a ritrovar l'equilibrio -e la lucidità del giudizio dinanzi a quel fatto troppo complesso. -Ella aveva ora due fratelli dunque? Doveva amarli? Doveva cercare di -vederli? Ora che doveva dunque fare? - -Così, titubante, tornò a casa. E dopo, per molte sere, quando entravano -nel fiume le barche, ella andava lungo lo scalo a guardare i marinai. -Qualche trabaccolo portava dalla Dalmazia un carico di asini e di -cavalli nani. Le bestie prendendo terra scalpitavano; l'aria sonava di -ragli e di nitriti. Anna, nel passare, batteva con la mano le grosse -teste degli asinelli. - - -VII. - -Verso quel tempo ebbe in dono dal fattore di campagna una testuggine. -Il nuovo ospite tardo e taciturno fu diletto e cura della donna nelle -ore d'ozio. Camminava da un punto all'altro della stanza sollevando -a stento dal suolo il grave peso del corpo su le zampe simili a -moncherini olivastri, e, come era giovine, le piastre del suo scudo -dorsale, gialle maculate di nero, tralucevano talvolta al sole con -un nitor d'ambra. La testa coperta di scaglie, compressa nel muso, -giallognola, sporgeva tentennando con una mansuetudine timorosa; e -pareva talvolta la testa di un vecchio serpe estenuato che uscisse dal -guscio di un crostaceo. Anna prediligeva nell'animale i costumi: il -silenzio, la frugalità, la modestia, l'amor della casa. Gli dava per -cibo foglie di verdura, radici e vermi, restando estatica ad osservare -il moto delle piccole mandibole cornee dentellate nel lor duplice -margine. Ella, in quell'atto, provava quasi un sentimento di maternità; -eccitava pianamente l'animale con le voci e sceglieva per lui le erbe -più tenere e più dolci. - -Fu la testuggine allora auspice d'un idillio. Il fattore, venendo più -volte al giorno nella casa, s'intratteneva su la loggia a ragionare -con Anna. Ed essendo egli uomo d'umili spiriti, divoto, prudente -e giusto, godeva veder riflesse le sue pie virtù nell'animo della -donna. Per la consuetudine sorse quindi tra i due a poco a poco una -famigliarità amorevole. Ella aveva già qualche capello bianco su -le tempie, ed in tutta la faccia diffuso un placido candore. Egli, -Zacchiele, superava di alcuni anni l'età di lei; aveva una gran testa -dalla fronte sporgente e due miti e rotondi occhi di coniglio. Tutt'e -due, nei colloquii, sedevano per lo più su la loggia. Sopra di loro, -fra i tetti, il cielo pareva una cupola luminosa; e ad intervalli i -voli dei colombi domestici, bianchi come il Paraclito, traversavano la -quiete celestiale. I colloquii volgevano su le raccolte, su la bontà -dei terreni, su le semplici norme della coltivazione; ed erano pieni di -esperienza e di rettitudine. - -Poichè Zacchiele amava talvolta, per una ingenua vanità naturale, di -far pompa del suo sapere, in conspetto della donna ignorante e credula, -questa concepì per lui una stima e un'ammirazione senza limiti. Ella -imparò che la terra è divisa in cinque parti e che cinque sono le razze -degli uomini: la bianca, la gialla, la rossa, la nera e la bruna. -Imparò che la terra è di forma rotonda, che Romolo e Remo furono -nutricati da una lupa, e che le rondini su l'autunno vanno oltremare -nell'Egitto dove anticamente regnavano i Faraoni. — Ma gli uomini non -avevano tutti un colore, a imagine e somiglianza di Dio? Potevamo noi -camminare sopra una palla? Chi erano i re Faraoni? — Ella non riusciva -a comprendere, e rimaneva così tutta smarrita. Però da allora ella -considerò le rondini con reverenza e le tenne per uccelli dotati di -saggezza umana. - -Un giorno Zacchiele le mostrò una Storia sacra dell'antico Testamento, -illustrata di figure. Anna guardava con lentezza, ascoltando le -spiegazioni. Ed ella vide Adamo ed Eva tra le lepri ed i cervi, Noè -seminudo inginocchiato innanzi a un altare, i tre angeli di Abramo, -Mosè salvato dalle acque; vide con gioia finalmente un Faraone nel -conspetto della verga di Mosè cangiata in serpe, e la regina di Saba, -la festa dei Tabernacoli, il martirio dei Maccabei. Il fatto dell'asina -di Balaam la empì di meraviglia e di tenerezza. Il fatto della coppa -di Giuseppe nel sacco di Beniamino la fece rompere in lacrime. Ed ella -imaginava gli Israeliti camminanti per un deserto tutto coperto di -quaglie, sotto una rugiada che si chiamava la manna ed era bianca come -la neve e più dolce del pane. - -Dopo la Storia sacra, preso da una singolare ambizione, Zacchiele -cominciò a leggerle le imprese dei Reali di Francia da Costantino -imperatore sino ad Orlando conte d'Anglante. Un gran tumulto sconvolse -allora la mente della donna: le battaglie dei Filistei e dei Siriaci -si confusero con le battaglie dei Saraceni, Oloferne si confuse con -Rizieri, il re Saul col re Mambrino, Eleazaro con Balante, Noemi con -Galeana. Ed ella, affaticata, non seguiva più il filo delle narrazioni, -ma si riscoteva soltanto ad intervalli quando udiva passare nella voce -di Zacchiele i suoni di qualche nome prediletto. E predilesse Dusolina -e il duca Bovetto che prese tutta l'Inghilterra innamorandosi della -figliuola del re di Frisia. - -Erano le calende di settembre. Nell'aria temperata dalla pioggia -recente, si andava diffondendo una placida chiarità autunnale. La -stanza di Anna divenne il luogo delle letture. Un giorno Zacchiele, -seduto, leggeva _come Galeana, figliuola del re Galafro, s'innamorò -di Mainetto e volle da lui la ghirlanda dell'erba_. Anna, poichè la -favola pareva semplice e campestre, e poichè la voce del lettore pareva -addolcirsi di accenti novelli, ascoltava con visibile assiduità. La -testuggine si traeva in mezzo ad alcune foglie di lattuga, pianamente; -il sole su la finestra illuminava una gran tela di ragno, e gli ultimi -fiori rosei del tabacco si vedevano a traverso la sottile opera di filo -d'oro. - -Quando il capitolo fu finito, Zacchiele depose il libro; e, guardando -la donna, sorrise d'uno di quei sorrisi fatui che solevano increspargli -le tempie e gli angoli della bocca. Poi cominciò a parlarle vagamente, -con la peritanza di colui che non sa in qual modo giungere al -punto desiderato. Finalmente ardì. — Ella non aveva pensato mai al -matrimonio? — Anna alla domanda non rispose. Stettero ambedue in -silenzio ed ambedue sentivano nell'animo una dolcezza confusa, quasi -un risveglio attonito della giovinezza sepolta e un umano richiamo -dell'amore. E n'erano turbati come dal fumo d'un vino troppo forte che -montasse al loro cervello indebolito. - - -VIII. - -Ma una tacita promessa di nozze fu data molti giorni dopo, in ottobre, -nella prima natività dell'olio d'oliva e nell'ultima migrazione -delle rondini. Con licenza di Donna Cristina, un lunedì Zacchiele -condusse Anna alla fattoria dei colli, dov'era il frantoio. Uscirono -da Portasale, a piedi, e presero la via Salaria, volgendo le spalle al -fiume. Dal giorno della favola di Galeana e di Mainetto, essi provavano -l'un verso l'altra una specie di trepidazione, un misto di temenza -vergogna e rispetto. Avevano perduta quella bella famigliarità d'una -volta; parlavano poco insieme e sempre con un tal riserbo esitante, -senza mai guardarsi nel volto, con incerti sorrisi, confondendosi -talora per un subitaneo rossore, indugiando così in questi timidi -bamboleggiamenti d'innocenza. - -Camminarono in silenzio, da prima, ciascuno seguendo lo stretto -sentiero asciutto che i passi dei viandanti avevano praticato sui -due margini della via; e li divideva il mezzo della via fangoso e -segnato di solchi profondi dalle ruote dei veicoli. Una libera gioia -vendemmiale occupava le campagne: i canti del mosto per la pianura -si avvicendavano. Zacchiele si teneva un poco indietro, rompendo a -tratti a tratti il silenzio con qualche parola su la temperie, su -le vigne, su la raccolta delle olive. Anna guardava curiosa tutti i -cespugli rosseggianti di bacche, i campi lavorati, le acque dei fossi; -e a poco a poco le nasceva nell'animo una letizia vaga, quale di chi -dopo lungo tempo sia dilettato da sensazioni già innanzi conosciute. -Come il cammino prese a volgere su pel declivio tra i ricchi -oliveti di Cardirusso, chiaramente le sorse nell'animo il ricordo di -Sant'Apollinare e dell'asino e del custode degli armenti. Ed ella sentì -quasi rifluirsi al cuore tutto il sangue, d'improvviso. Quell'episodio -obliato della sua giovinezza le si coordinò nella memoria con una -perspicuità meravigliosa; l'imagine dei luoghi le si formò dinanzi; e -nella scena illusoria ella rivide l'uomo dal labbro leporino, ne riudì -la voce, provando un turbamento nuovo senza sapere perchè. - -La fattoria si avvicinava; fra gli alberi soffiava il vento -facendo cadere le ulive mature; una zona di mare sereno si scopriva -dall'altitudine. Zacchiele s'era messo a fianco della donna e la -guardava di tratto in tratto con una pia supplicazione di tenerezza. -— A che pensava ella dunque? — Anna si volse, con un'aria quasi -di sbigottimento, come fosse stata colta in fallo. — A niente -pensava. — - -Giunsero al frantoio, dove i coloni macinavano la prima raccolta delle -olive cadute precocemente dall'albero. La stanza delle macine era -bassa e oscura; dalla vôlta luccicante di salnitro pendevano lucerne -di ottone e fumigavano; un giumento bendato girava una mola gigantesca, -con passo regolare; e i coloni, vestiti di certe lunghe tuniche simili -a sacchi, nudi le gambe e le braccia, muscolosi, oleosi, versavano il -liquido nelle giare, nelle conche, negli orci. - -Anna si mise a considerare l'opera, attentamente; e, come Zacchiele -impartiva ordini ai faticatori, e girava tra le macine, osservando la -qualità delle olive con una grande sicurezza di giudice, ella sentì per -lui in quel momento crescere l'ammirazione. Poi, come Zacchiele dinanzi -a lei prese un gran boccale colmo e versando nell'orcio quell'olio -purissimo e luminoso nominò la grazia di Dio, ella si fece il segno -della croce, tutta compresa di venerazione per l'opulenza della terra. - -Venivano intanto su la porta le due femmine della fattoria; e ciascuna -teneva contro il seno un poppante, e si traeva un bel grappolo di -figliuoli dietro le gonne. Si misero a conversare placidamente; e, -poichè Anna tentava di accarezzare i fanciulli, ciascuna si compiaceva -della propria fecondità, e con una ridente onestà di parole ragionava -dei parti. La prima aveva avuti sette figliuoli; la seconda undici. -— Era la volontà di Gesù Cristo; e per la campagna poi ci volevano -braccia. - -Allora la conversazione volse in materie famigliari. Albarosa, una -delle madri, fece molte domande ad Anna. — Ella non aveva avuto mai -figliuoli? — Anna, nel rispondere che non s'era maritata, provò per -la prima volta una specie di umiliazione e di rammarico, dinanzi a -quella possente e casta maternità. Poi, cambiando discorso, ella tese -la mano sul più vicino dei bimbi. Gli altri guardavano con occhi vasti -che pareva avessero assunto un limpido color vegetale dallo spettacolo -continuo delle cose verdi. L'odore delle olive infrante si spandeva -nell'aria, ed entrava nelle fauci ad eccitare il palato. I gruppi dei -faticatori apparivano e sparivano sotto il rossore delle lucerne. - -Zacchiele, che fino a quel momento aveva invigilato su la misura -dell'olio, si accostò alle donne. Albarosa lo accolse con un volto -festevole. — Quanto voleva aspettare Don Zacchiele a prender moglie? -— Zacchiele sorrise con un po' di confusione, a quella domanda; e -diede un'occhiata sfuggente ad Anna che accarezzava ancora il bimbo -selvatico e fingeva di non aver inteso. Albarosa, per una benevola -arguzia contadinesca, riunendo visibilmente con l'ammiccar degli occhi -bovini il capo d'Anna e quello di Zacchiele, seguitò le incitazioni. — -Erano una coppia benedetta da Dio. Che aspettavano? — I coloni, avendo -sospesa l'opera per attendere al pasto, facevano in torno cerchia. E -la coppia, anche più confusa per quella testimonianza, restava muta in -un'attitudine tra di sorriso tremulo e di pudica modestia. Qualcuno dei -giovini fra i testimoni, esilarato dalla faccia amorosamente compunta -di Don Zacchiele, sospingeva con urti di gomiti i compagni. Il giumento -nitrì, per fame. - -Fu apprestato il pasto. Un 'attività diligente invase la gran famiglia -rustica. Su lo spiazzo, all'aperto, tra gli olivi pacifici e in -conspetto del sottostante mare, gli uomini sedevano alla mensa. I -piatti dei legumi conditi d'olio novello fumavano; il vino scintillava -nelle semplici forme liturgiche dei vasi; e il cibo frugale dispariva -rapidamente entro gli stomachi dei faticatori. - -Anna ora si sentiva come assalire da un tumulto di giubilo, e si -sentiva d'un tratto quasi legata da una specie di dimestichezza -amichevole con le due donne. Queste la condussero nell'interno della -casa, dove le stanze erano larghe e luminose benchè antichissime. -Su le pareti le imagini sacre si alternavano con le palme pasquali; -provvigioni di carni suine pendevano dai soffitti; i talami dal -pavimento si elevavano ampi ed altissimi con a canto le culle; da -tutto emanava la serenità della concordia familiare. Anna, considerando -quell'ordine, sorrideva timidamente a una dolcezza interiore; e in un -punto fu presa da una strana commozione quasi che tutte le sue latenti -virtù di madre casalinga e i suoi istinti di allevatrice fremessero e -insorgessero d'improvviso. - -Quando le donne ridiscesero su lo spiazzo, gli uomini stavano ancora -in torno alla tavola; Zacchiele parlava con loro. Albarosa prese un -piccolo pane di frumento, lo divise nel mezzo, lo consperse d'olio -e di sale, e l'offerì ad Anna. L'olio novello, allora allora gemuto -dal frutto, spandeva nella bocca un saporoso aroma asprino; ed Anna -allettata mangiò tutto il pane. Bevve anche il vino. Poi, come il -vespro cadeva, ella e Zacchiele ripresero il cammino del declivio. - -Dietro di loro i coloni cantarono. Molti altri canti sorsero dalla -campagna, e si dispiegarono nella sera con la piana larghezza di un -salmo gregoriano. Il vento soffiava fra gli oliveti più umido; un -chiarore moriente tra roseo e violaceo indugiava effuso pel cielo. - -Anna camminò innanzi, con passo celere, rasente i tronchi. Zacchiele -la seguì, pensando alle parole ch'egli voleva dire. Ambedue, da poi -che si sentivano soli, provavano una trepidazione infantile. A un -punto Zacchiele chiamò la donna per nome; ed ella si volse umile e -palpitante. — Che voleva? — Zacchiele non disse più altro; fece due -passi, giunse al fianco di lei. E così continuarono il cammino, in -silenzio, finchè la via Salaria non li divise. Come nell'andare, -essi presero ciascuno il sentiero del margine, a destra e a manca. E -rientrarono a Portasale. - - -IX. - -Per una nativa irresolutezza, Anna differiva continuamente il -matrimonio. Dubbii religiosi la tormentavano. Ella aveva sentito dire -che soltanto le vergini sarebbero ammesse a far corona in torno alla -Madre di Dio, nel paradiso. Dunque? Doveva ella rinunciare a quella -dolcezza celeste per un bene terreno? Un più vivo ardore di divozione -allora la invase. In tutte le ore libere ella andava alla chiesa del -Rosario; s'inginocchiava innanzi al gran confessionale di quercia, -e rimaneva immobile in quell'attitudine di preghiera. La chiesa era -semplice e povera; il pavimento era coperto di lapidi mortuarie; una -sola lampada di metallo vile ardeva innanzi all'altare. E la donna -rimpiangeva nell'animo il fasto della sua basilica, la solennità delle -cerimonie, le undici lampade d'argento, i tre altari di marmo prezioso. - -Ma nella Settimana Santa del 1857, sorse un grande avvenimento. -Tra la Confraternita capitanata da Don Fileno d'Amelio e l'abate -Cennamele, coadiuvato dai satelliti parrocchiali, scoppiò la guerra; -e ne fu causa un contrasto per la processione di Gesù morto. Don -Fileno voleva che la pompa, fornita dai congregati, uscisse dalla -chiesa della Confraternita; l'abate voleva che la pompa uscisse dalla -chiesa parrocchiale. La guerra attrasse e avviluppò tutti i cittadini -e le milizie del Re di Napoli, residenti nel forte. Nacquero tumulti -popolari; le vie furono occupate da assembramenti di gente fanatica; -pattuglie armigere andarono in volta per impedire i disordini; il -conte arcivescovo di Chieti fu assediato da innumerevoli messi d'ambo -le parti; corse molta pecunia per corruzioni; un mormorio di congiure -misteriose si sparse nella città. Focolare degli odii la casa di Donna -Cristina Basile. Don Fiore Ussorio sfolgorò per mirabili stratagemmi -e per audacie novissime, in quei giorni di lotta. Don Paolo Nervegna -ebbe un grave spargimento di bile. Don Ignazio Cespa adoperò in vano -tutte le sue blande arti conciliative e i suoi sorrisi melliflui. La -vittoria fu contrastata con un accanimento implacabile, fino all'ora -rituale della pompa funeraria. Il popolo fremeva nell'aspettazione; il -comandante de le milizie, partigiano dell'abbadia, minacciava castighi -ai facinorosi della Confraternita. La rivolta stava per irrompere. -Quand'ecco giungere su la piazza un soldato a cavallo latore di un -messaggio episcopale che dava la vittoria ai congregati. - -L'ordine della pompa si dispiegò allora con insolita magnificenza per -le vie sparse di fiori. Un coro di cinquanta voci bianche cantò gli -inni della Passione; e dieci turiferarii incensarono tutta la città. -I baldacchini, gli stendardi, i ceri per la nuova ricchezza empirono -gli astanti di meraviglia. L'abate sconfitto non intervenne; ed in sua -vece Don Pasquale Carabba, il Gran Coadiutore, vestito dei paramenti -badiali, seguì con molta solennità d'incesso il feretro di Gesù. - -Anna, nel frangente, aveva fatto voti per la vittoria dell'abate. Ma -la suntuosità della cerimonia la abbagliò; una specie di rapimento -la invase, allo spettacolo; ed ella sentì gratitudine anche per Don -Fiore Ussorio che passava reggendo nel pugno un cero immane. Poi, come -l'ultima schiera dei celebranti le giunse dinanzi, ella si mescolò -alla turba fanatica degli uomini, delle donne e de' fanciulli; e andò -così, quasi senza toccar terra, tenendo sempre gli occhi fissi al serto -culminante della _Mater dolorosa_. In alto, dall'uno all'altro balcone, -stavano tesi i drappi signorili consecutivamente; dalle case dei -panettieri pendevano rustiche forme d'agnelli materiate di fromento; ad -intervalli, nei trivii, nei quadrivii, un braciere acceso spandeva fumo -di aròmati. - -La processione non passò sotto le finestre dell'abate. Di tratto in -tratto una specie di movimento irregolare correva lungo le file, come -se la schiera antesignana incontrasse un ostacolo. E n'era causa il -contrasto tra il crocifero della Confraternita e il luogotenente -delle milizie, i quali ambedue avevano ricevuto il comando di -seguire un itinerario diverso. Poichè il luogotenente non poteva usar -violenza senza commetter sacrilegio, vinse il crocifero. I congregati -esultavano; il comandante generale ardeva d'ira; il popolo s'empiva di -curiosità. - -Quando la pompa, in vicinanza dell'arsenale, si rivolse per rientrare -nella chiesa di San Giacomo, Anna prese un vicolo obliquo e in pochi -passi fu su la porta madre. S'inginocchiò. Giungeva primo verso di lei -l'uomo portante il crocifisso gigantesco; seguivano gli stendardieri -che tenevano l'altissima asta in equilibrio su la fronte o sul mento, -atteggiandosi con dotto giuoco di muscoli. Poi, quasi in mezzo a una -nuvola d'incenso, venivano le altre schiere, i cori angelici, gli -incappati, le vergini, i signori, il clero, le milizie. Lo spettacolo -era grande. Una specie di terrore mistico teneva l'animo della donna. - -Si avanzò sul vestibolo, secondo la consuetudine, un accolito munito -d'un largo piatto d'argento per ricevere i ceri. Anna guardava. Allora -fu che il comandante, spezzando tra i denti aspre parole contro la -Confraternita, gittò violentemente il suo cero nel piatto e voltò le -spalle con piglio minaccioso. Tutti rimasero allibiti. E nel momentaneo -silenzio si udì tintinnare la spada di colui che si allontanava. Solo -Don Fiore Ussorio ebbe la temerità di sorridere. - - -X. - -I fatti per moltissimo tempo incitarono l'attività vocale dei cittadini -e furono causa di turbolenze. Come Anna era stata testimone dell'ultima -scena, alcuni vennero a lei per ragguagli. Ella raccontava sempre -con le stesse parole, pazientemente. La sua vita da allora fu tutta -spesa tra le pratiche religiose, gli uffici domestici e l'amore della -testuggine. Ai primi tepori d'aprile la testuggine uscì dal letargo. -Un giorno, d'improvviso, sbucò di sotto allo scudo la testa serpentina -e tentennò debolmente mentre i piedi erano ancora immersi nel torpore. -I piccoli occhi rimasero coperti a mezzo dalla palpebra. E l'animale, -forse non più consapevole d'essere captivo, si mosse finalmente con un -moto pigro e incerto, tastando co' piedi il suolo, spinto dal bisogno -di trovarsi il cibo come nella sabbia del suo bosco natale. - -Anna, innanzi a quel risveglio, fu invasa da una tenerezza ineffabile e -stette a guardare con occhi umidi di lacrime. Poi prese la testuggine, -la mise sul letto, le offerì alcune foglie verdi. La testuggine esitava -a toccare le foglie, e nell'aprire le mandibole mostrava la lingua -carnosa come quella dei pappagalli. Gli indumenti del collo e delle -zampe parevano membrane flosce e giallognole di un corpo estinto. La -donna a quella vista si sentiva stringere da una gran misericordia; ed -eccitava al ristoro il bene amato, con le blandizie di una madre pel -figliuolo convalescente. Unse d'olio dolce lo scudo osseo; e, come il -sole vi percoteva sopra, le piastre pulite risplendevano più belle. - -In queste cure passarono i mesi della primavera. Ma Zacchiele, -consigliato dalla stagione novella a maggiori impeti di amore, incalzò -la donna con così tenere supplicazioni che n'ebbe alfine una promessa -solenne. Le nozze si sarebbero celebrate il giorno precedente la -Natività di Gesù Cristo. - -Allora l'idillio rifiorì. Mentre Anna attendeva alle opere dell'ago -pel corredo nuziale, Zacchiele leggeva ad alta voce la storia del Nuovo -Testamento. Le nozze di Cana, i prodigi del Redentore in Cafarnao, il -morto di Naim, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, la liberazione -della figliuola della Cananea, i dieci lebbrosi, il cieco nato, la -risurrezione di Lazzaro, tutte quelle narrazioni miracolose rapirono -l'animo della donna. Ed ella pensò lungamente a Gesù che entrava in -Gerusalemme cavalcando un'asina, mentre i popoli stendevano su la sua -via le vesti e spargevano fronde. - -Nella stanza l'erbe di timo odoravano in un vaso di terra. La -testuggine veniva talvolta alla cucitrice e le tentava con la bocca il -lembo delle tele o le morsicchiava il cuoio sporgente delle scarpe. -Un giorno Zacchiele, nel leggere la parabola del Figliuol Prodigo, -sentendosi d'improvviso qualche cosa di mobile tra i piedi, per un -involontario moto di ribrezzo diede co' piedi un urto; e la testuggine -urtata andò a battere contro la parete e rimase capovolta. Il guscio -dorsale si scheggiò in più parti; un po' di sangue apparve da una delle -zampe che l'animale agitava inutilmente per riprendere la posizione -primitiva. - -Se bene l'infelice amante si mostrò atterrito del fatto e -inconsolabile, Anna dopo quel giorno si chiuse in una specie di -severità diffidente, non parlò più, non volle più ascoltare la lettura. -E così il figliuol prodigo rimase per sempre sotto gli alberi delle -ghiande a guardare i porci del suo signore. - - -XI. - -Nella grande alluvione dell'ottobre (1857) Zacchiele morì. La cascina -dov'egli abitava, nei dintorni dei Cappuccini, fuori di Porta-Giulia, -fu invasa dalle acque. Le acque inondarono tutta la campagna, dal -colle d'Orlando fino al Colle di Castellammare; e, poichè avevano -attraversato vastissimi sedimenti d'argilla, erano sanguigne come -nella favola antica. Le cime degli alberi emergevano qua e là su quel -sangue melmoso ed estuoso. Per intervalli, dinanzi al forte passavano -in precipizio tronchi enormi con tutte le radici, masserizie, materie -di forme irriconoscibili, gruppi di bestiami non ancora morti che -urlavano e sparivano e riapparivano e si perdevano in lontananza. I -branchi dei bovi, in ispecie, davano uno spettacolo mirabile: i grossi -corpi biancastri s'incalzavano l'un l'altro, le teste si ergevano -disperatamente fuori dell'acqua, furiosi intrecciamenti di corna -avvenivano nell'impeto del terrore. Come il mare era di levante, le -onde alla foce rigurgitavano. Il lago salso della Palata e gli estuarii -si riunirono col fiume. Il forte divenne un'isola perduta. - -Nell'interno le vie si sommersero; la casa di Donna Cristina ebbe -la linea delle acque sino a metà della scala. Il fragore cresceva di -continuo, mentre le campane sonavano a distesa. I forzati, dentro le -carceri, urlavano. - -Anna, credendo a qualche supremo castigo dell'Altissimo, ricorse -alla salvezza delle preghiere. Il secondo giorno, come salì su la -sommità della colombaia, non vide che acque e acque in torno sotto le -nuvole, e scorse poi cavalli sbigottiti che galoppavano in furia su le -troniere di San Vitale. Discese, stupida, con la mente sconvolta; e la -persistenza del fragore e l'oscurità dell'aria le fecero smarrire ogni -nozione del luogo e del tempo. - -Quando l'alluvione cominciò a decrescere, la gente del contado entrò -nella città per mezzo di palischermi. Uomini, donne e fanciulli, -avevano su la faccia e negli occhi la stupefazione dolorosa. Tutti -narravano fatti tristi. E un bifolco dei Cappuccini venne alla casa -Basile per annunziare che Don Zacchiele se n'era andato _a marina_. -Il bifolco parlava semplicemente, narrando la morte. Disse che in -vicinanza dei Cappuccini certe femmine avevano legato i figliuoli -lattanti su la cima di un grande albero per salvarli dall'acqua e che -i vortici avevano sradicato l'albero trascinandosi le cinque creature. -Don Zacchiele stava sul tetto con altri cristiani in un mucchio -compatto, urlando; e il tetto stava già per sommergersi; e cadaveri -d'animali e rami rotti venivano già a urtare contro i disperati. Quando -finalmente l'albero dei lattanti passò di là sopra, la violenza fu così -terribile che dopo il suo passaggio non si vide più traccia di tetto nè -di cristiani. - -Anna ascoltò senza piangere; e nella sua mente percossa il racconto di -quella morte, con quell'albero dei cinque pargoli e con quelli uomini -ammucchiati tutti sopra un tetto e con quei cadaveri di bestie che -andavano a urtar contro, suscitò una specie di meraviglia superstiziosa -simile a quella suscitatale da certe narrazioni del Vecchio Testamento. -Ella salì con lentezza alla sua stanza, e cercò di raccogliersi. -Il sole modesto splendeva sul davanzale; la testuggine in un angolo -dormiva ricoverata sotto il suo scudo; un cinguettío di passeri veniva -dagli émbrici. Tutte queste cose naturali, questa usuale tranquillità -della vita circonstante, a poco a poco la rasserenarono. Dal fondo di -quella momentanea calma alfine sorse chiaro il dolore; ed ella chinò la -testa sul petto, in un grande sconforto. - -Allora le punse l'animo il rimorso d'aver serbato contro Zacchiele -quella specie di muto rancore per tanto tempo; e i ricordi a uno a uno -vennero ad assalirla; e le virtù del defunto le rifulgevano ora alla -memoria più religiosamente. Poichè l'onda del dolore cresceva, ella si -alzò, andò verso il letto, vi si distese bocconi. E i suoi singhiozzi -risonavano tra il cinguettío degli uccelli. - -Dopo, quando le lacrime si arrestarono, la quiete della rassegnazione -cominciò a discenderle nell'animo; ed ella pensò che tutte le cose -della terra sono caduche, e che noi dobbiamo conformarci alla volontà -del Signore. L'unzione di questo semplice atto d'abbandono le sparse -sul cuore un'abbondanza di dolcezza. Ella si sentì libera da ogni -inquietudine, e trovò il riposo in quell'umile e ferma confidenza. -Da allora nella sua regola non fu che questa clausola: — La soprana -volontà di Dio, sempre giusta, sempre adorabile, sia fatta in tutte le -cose, sia lodata ed esaltata per tutta l'eternità. - - -XII. - -Così alla figlia di Luca fu aperta la vera strada del paradiso. E -il giro del tempo per lei non fu determinato se non dalle ricorrenze -ecclesiastiche. Quando il fiume rientrò nell'alveo, uscirono per ordine -consecutivo di giorni molte processioni nella città e nelle campagne. -Ella le seguì tutte, insieme con il popolo, cantando il _Te Deum_. Le -vigne in torno erano devastate; il terreno era molle e l'aria pregna di -vapori biondi, singolarmente luminosa, come nelle primavere palustri. - -Poi venne la festa d'Ognissanti; poi, la solennità dei Morti. Grandi -messe furono celebrate in suffragio delle vittime dell'alluvione. Nel -Natale Anna volle fare il presepe; comprò un bambino di cera, Maria, -san Giuseppe, il bove, l'asino, i re Magi e i pastori. Accompagnata -dalla figlia del sagrestano, ella andò per i fossati della via Salaria -a cercare il musco. Sotto la vitrea serenità iemale i latifondi -riposavano pingui di limo; la fattoria d'Albarosa si scorgeva sul colle -tra gli olivi; nessuna voce turbava il silenzio. Anna, come scopriva -il musco, si chinava e con un coltello tagliava la zolla. Al contatto -delle fredde erbe le sue mani divenivano lievemente violacee. Di -tratto in tratto, alla vista di una zolla più verde, le sfuggiva una -esclamazione di contentezza. Quando il canestro fu pieno, ella sedette -sul ciglio del fossato, con la fanciulla. I suoi occhi salirono pel -sentiero dell'oliveto, lentamente, e si fermarono alle mura bianche -della fattoria che pareva un edifizio claustrale. Allora ella chinò -la fronte, assalita da un pensiero. Poi d'un tratto si volse alla -compagna. — Non aveva mai veduto macinare le olive? — E cominciò -a figurar l'opera delle macine con molta prolissità di parole; e, -come parlava, a poco a poco le salivano dall'animo altri ricordi, le -venivano su la bocca spontaneamente a uno a uno, e le passavano nella -voce con un piccolo tremito. - -Quella fu l'ultima debolezza. Nell'aprile del 1858, poco dopo -la Pasqua maggiore, ella infermò. Stette nel letto quasi durante -un mese, tormentata dall'infiammazione pulmonare. Donna Cristina -veniva la mattina e la sera nella stanza a visitarla. Una vecchia -fantesca, che faceva pubblica professione d'assistere i malati, le -somministrava i medicamenti. Poi la testuggine le rallegrò i giorni -della convalescenza. E come l'animale era estenuato dal digiuno, ed -era tutto aridamente pelloso, Anna vedendosi macilente, e sentendosi -anch'essa affievolita, provava quella specie di appagamento interiore -che noi proviamo quando una stessa sofferenza ci accomuna alla persona -diletta. Un tepore molle saliva dagli émbrici coperti di licheni, -verso i convalescenti; nel cortile i galli cantavano: e una mattina due -rondini entrarono d'improvviso, batterono l'ali in torno alla stanza e -fuggirono. - -Quando Anna tornò la prima volta nella chiesa, dopo la guarigione, -era la Pasqua delle rose. Ella, nell'entrare, aspirò il profumo -dell'incenso cupidamente. Camminò piano, lungo la navata, per ritrovare -il posto dove soleva prima inginocchiarsi; e si sentì prendere da -una sùbita gioia, quando scorse finalmente tra le lapidi mortuarie -quella che portava nel mezzo un bassorilievo tutto consunto. Vi piegò -i ginocchi sopra, e si mise a pregare. La gente aumentava. A un certo -punto della cerimonia due accoliti scesero dal coro con due bacini -d'argento colmi di rose, e cominciarono a spargere i fiori su le -teste dei prostrati, mentre l'organo sonava un inno giocondo. Anna era -rimasta china, in una specie di estasi che le davano la beatitudine del -misterio celebrato e il senso vagamente voluttuoso della guarigione. -Come alcune rose vennero a caderle su la persona, ella n'ebbe un -fremito lungo. E la povera donna nulla aveva provato nella sua vita di -più dolce che quel fremito di delizia mistica e il susseguito languore. - -La Pasqua rosata rimase perciò la festività prediletta di Anna, e -ritornò periodicamente senza alcun episodio notevole. Nel 1860 la città -fu turbata da gravi agitazioni. Si udivano spesso nella notte i rulli -dei tamburi, gli allarmi delle sentinelle, i colpi della moschetteria. -Nella casa di Donna Cristina si manifestò un più vivo fervore di azione -tra i cinque proci. Anna non si sbigottì; ma visse in un raccoglimento -profondo, non prendendo conoscenza degli avvenimenti pubblici nè -di quelli domestici, adempiendo ai suoi uffici con un'esattezza -macchinale. - -Nel mese di settembre la fortezza di Pescara fu evacuata; le milizie -borboniche si sbandarono, gittando armi e bagagli nelle acque del -fiume; stuoli di cittadini corsero le vie con liberali acclamazioni -di gioia. Anna, come seppe che l'abate Cennamele era fuggito -precipitosamente, pensò che i nemici della Chiesa di Dio avessero -ottenuto il trionfo; e n'ebbe molto dolore. - -Dopo, la sua vita si svolse in pace, lungo tempo. Lo scudo della -testuggine crebbe in latitudine e divenne più opaco; la pianta del -tabacco annualmente sorse, fiorì e cadde; le sagge rondini in ogni -autunno partirono per la terra dei Faraoni. Nel 1865 alfine la gran -contesa dei proci terminò con la vittoria di Don Fileno d'Amelio. -Le nozze si celebrarono nel mese di marzo, con solenne giocondità -di conviti. E vennero allora ad ammannire vivande preziose due padri -cappuccini, Fra Vittorio e Fra Mansueto. - -Erano costoro i due che di tutta la compagnia rimanevano, dopo la -soppressione, a custodire il cenobio. Fra Vittorio era un sessagenario -invermigliato fortificato e letificato dal succo dell'uva. Una piccola -benda verde gli copriva l'infermità dell'occhio destro, e il sinistro -gli scintillava pieno di vivezza penetrante. Egli esercitava fin dalla -gioventù l'arte farmaceutica; e, come aveva pratica molta di cucina, i -signori solevano chiamarlo in occasione di festeggiamenti. Nell'opere -aveva gesti rudi che gli scoprivano fuor delle ampie maniche le braccia -villose; la sua barba si moveva tutta ad ogni moto della bocca; la -sua voce si frangeva in stridori. Fra Mansueto in vece era un vecchio -macilente, con una testa caprina da cui pendeva una barbicola candida, -con due occhi giallognoli pieni di sommissione. Egli coltivava l'orto, -e questuando portava l'erbe mangerecce per le case. Nell'aiutare il -compagno prendeva attitudini modeste, zoppicava da un piede; parlava -nel molle idioma patrio di Ortona, e, forse in memoria della leggenda -di san Tommaso, esclamava: — _Pe' li Turchi!_ — ad ogni momento, -lisciandosi con una mano il cranio polito. - -Anna attendeva a porgere i piatti, gli arnesi, i vasellami di rame. -Le pareva ora che la cucina assumesse una sorta di solennità sacra per -la presenza dei frati. Ella restava intenta a guardare tutti gli atti -di Fra Vittorio, presa da quella trepidazione che le persone semplici -provano in cospetto degli uomini dotati di qualche virtù superiore. -Ammirava ella in ispecie il gesto infallibile con cui il gran -cappuccino spargeva su gli intingoli certe sue droghe segrete, certi -suoi aromi particolari. Ma l'umiltà, la mitezza, la modesta arguzia di -Fra Mansueto a poco a poco la conquistarono. E i legami della comune -patria e quelli più sensibili del comune idioma strinsero l'una e -l'altro d'amicizia. - -Come essi conversavano, i ricordi del passato pullulavano nelle loro -parole. Fra Mansueto aveva conosciuto Luca Minella e si trovava nella -basilica quando accadde la morte di Francesca Nobile tra i pellegrini. -— _Pe' li Turchi!_ — Egli aveva anzi dato aiuto a trasportare il -cadavere fino alle case di Porta Caldara; e si ricordava che la morta -aveva addosso una veste di seta gialla e tante collane d'oro... - -Anna divenne triste. Nella sua memoria il fatto fino a quel momento era -rimasto confuso, vago, quasi incerto, attenuato dal lunghissimo stupore -inerte che aveva seguito i primi accessi del mal caduco. Ma quando Fra -Mansueto disse che la morta stava in paradiso, perchè chi muore per -causa di religione va fra i santi, Anna provò una dolcezza indicibile e -si sentì d'un tratto crescere nell'animo una immensa adorazione per la -santità della madre. - -Allora, per rammentare i luoghi del paese nativo, ella si mise a -discorrere su la basilica dell'Apostolo, minutamente, determinando le -forme degli altari, la positura delle cappelle, il numero degli arredi, -le figurazioni della cupola, le attitudini delle immagini, le divisioni -del pavimento, i colori delle vetrate. Fra Mansueto la secondava con -benignità; e, poichè egli era stato ad Ortona alcuni mesi innanzi, -raccontò le nuove cose vedute. — L'Arcivescovo di Orsogna aveva donato -alla basilica un ciborio d'oro con incrostature di pietre preziose. La -Confraternita del SS. Sacramento aveva rinnovato tutti i legnami e i -corami degli stalli. Donna Blandina Onofrii aveva fornita una intera -muta di parati consistente in pianete dalmatiche stole piviali cotte. - -Anna ascoltava avidamente; e il desiderio di vedere le nuove cose e di -riveder le antiche cominciò a tormentarla. Ella, quando il cappuccino -tacque, si rivolse a lui con un'aria tra di letizia e di timidezza. — -La festa di maggio si avvicinava. Se andassero? - - -XIII. - -Alle calende di maggio la donna, avuta licenza da Donna Cristina, fece -gli apparecchi. Inquietudine le nacque nell'animo per la testuggine. -— Doveva lasciarla? o portarla seco? — Stette lungamente in forse; e -infine deliberò di portarla, per sicurezza. La pose dentro un canestro, -tra i panni suoi e le scatole di confetture che Donna Cristina inviava -a Donna Veronica Monteferrante, abadessa del monastero di Santa -Caterina. - -Su l'alba Anna e Fra Mansueto si misero in cammino. Anna aveva in -principio il passo spedito, l'aspetto gaio: i capelli, già quasi tutti -canuti, le si piegavano lucidi sotto il fazzoletto. Il frate zoppicava -reggendosi a una mazza, e le bisacce vuote gli penzolavano dalle -spalle. Come essi giunsero al bosco dei pini, fecero la prima sosta. - -Il bosco, al mattino di maggio, ondeggiava immerso nel suo profumo -natale, voluttuosamente, tra il sereno del cielo e il sereno del mare. -I tronchi gemevano la ragia. I merli fischiavano. Tutte le fonti della -vita parevano aperte su la trasfigurazione della terra. - -Anna sedette sopra l'erba; offerse al cappuccino pane e frutta; e -si mise a discorrere della festività, ad intervalli, mangiando. La -testuggine tentava con le zampe anteriori l'orlo del canestro, e la sua -timida testa serpigna sporgeva e si ritraeva negli sforzi. Poi che Anna -l'aiutò a discendere, la bestia prese ad avanzare sul musco verso un -cespuglio di mirto, con minor lentezza, forse sentendo in sè levarsi -confusamente la gioia della primitiva libertà. E il suo scudo tra il -verde pareva più bello. - -Allora Fra Mansueto fece alcune riflessioni morali e lodò la -Provvidenza che dà alla testuggine una casa e le dà il sonno durante -la stagione dell'inverno. Anna raccontò alcuni fatti che dimostravano -nella testuggine un gran candore e una gran rettitudine. Poi soggiunse; -«Che penserà?» E dopo un poco: «Gli animali che penseranno?» - -Il frate non rispose. Ambedue rimasero perplessi. Scendeva giù per la -corteccia di un pino una fila di formiche e si dilungava pel terreno: -ciascuna formica trascinava un frammento di cibo e tutta l'innumerevole -famiglia compiva il lavoro con ordine diligente. Anna guardava, e le si -svegliavano nella mente le credenze ingenue dell'infanzia. Ella parlò -di abitazioni meravigliose che le formiche scavano sotto la terra. Il -frate disse, con accento di fede intensa: «Dio sia lodato!» E ambedue -rimasero cogitabondi, sotto i verdi alberi, adorando nel loro cuore -Iddio. - -Nella prima ora del pomeriggio arrivarono al paese di Ortona. -Anna battè alla porta del monastero e chiese di vedere l'abadessa. -All'entrare si presentava un piccolo cortile con nel mezzo una cisterna -di pietra bianca e nera. Il parlatorio era una stanza bassa, con poche -sedie intorno: due pareti erano occupate dalle grate, le altre due -da un crocefisso e da imagini. Anna fu subito presa da un senso di -venerazione per la pace solenne che regnava in quel luogo. Quando la -madre Veronica apparve d'improvviso dietro le grate, alta e severa -nell'abito monastico, ella provò un turbamento indicibile come dinanzi -all'apparizione di una forma soprannaturale. Poi, rianimata dal buon -sorriso dell'abadessa, ella compì il messaggio in brevi parole; depose -nel cavo della ruota le scatole, ed attese. La madre Veronica le si -rivolse con benignità, guardandola da que' suoi belli occhi lionati; -le donò un'effigie della Vergine; nel licenziarla le tese la mano -signorile pel bacio, a traverso la grata, e disparve. - -Anna uscì trepidante. Mentre passava il vestibolo, le giunse un coro -di litanie, un canto che veniva forse da una cappella sotterranea, -ugualissimo e dolce. Mentre passava il cortile, vide a sinistra in -cima al muro sporgere un ramo carico di melarance. E, come pose il -piede su la via, le parve di aver lasciato dietro di sè un giardino di -beatitudine. - -Allora si diresse verso la strada Orientale per cercare i parenti. -Su la porta della vecchia casa una donna sconosciuta stava appoggiata -allo stipite. Anna le si avvicinò timidamente e le chiese novelle della -famiglia di Francesca Nobile. La donna l'interruppe: — Perchè? Perchè? -Che voleva? — con una voce dura e uno sguardo investigante. Poi, quando -Anna si palesò, ella le permise di entrare. - -I parenti erano quasi tutti o morti o emigrati. Restava nella casa un -vecchio infermo, zi' Mingo, che aveva sposato in seconde nozze _la -figlia di Sblendore_ e viveva con lei quasi in miseria. Il vecchio -da prima non riconobbe Anna. Egli stava seduto su un'alta sedia -ecclesiastica di cui la stoffa rossastra pendeva a brandelli: le sue -mani posavano su i braccioli, contorte ed enormi per la mostruosità -della chiragra; i suoi piedi con un moto ritmico percotevano il -terreno; un continuo tremore paralitico gli agitava i muscoli del -collo, i gomiti, le ginocchia. Ed egli guardò Anna, tenendo a fatica -dischiuse le palpebre infiammate. Finalmente si risovvenne. - -Come Anna andava esponendo il proprio stato, la figlia di Sblendore -odorando il denaro cominciava a concepire nell'animo speranze di -usurpazione e per virtù delle speranze diveniva in volto più benigna. -Subito che Anna terminò, ella le offerse l'ospitalità per la notte; -le prese il canestro dei panni e lo ripose; promise di aver cura della -testuggine; poi fece alcune querele compassionevoli su la infermità del -vecchio e su la miseria della casa, non senza lacrime. Ed Anna uscì, -con l'animo pieno di riconoscenza e di misericordia; risalì per la -costa, verso lo scampanìo della basilica, provando un'ansia crescente -nell'appressarsi. - -In torno al palazzo Farnese il popolo rigurgitava ondoso; e quella -gran reliquia feudale sovrastava ornata di paramenti, magnificata -dal sole. Anna passò in mezzo alla folla, lungo i banchi degli -argentarii artefici di arredi sacri e di oggetti votivi. A tutto -quel candido scintillare di forme liturgiche il cuore le si dilatava -per allegrezza; ed ella si faceva il segno della croce dinanzi a -ogni banco come dinanzi a un altare. Quando giunse alla porta della -basilica e intravide la luminaria e traudì il cantico del rito, ella -non più contenne la veemenza della gioia; si avanzò fin verso il -pulpito, con passi quasi vacillanti. Le ginocchia le si piegarono: -le lacrime le sgorgarono dagli occhi allucinati. Ella rimase là, in -contemplazione dei candelabri, dell'ostensorio, di tutte le cose che -erano su l'altare, con la testa vacua, poichè dalla mattina non aveva -più mangiato. E le prendeva le vene una debolezza immensa; l'anima le -veniva meno in una specie di annientamento. - -Sopra di lei, lungo la nave centrale le lampade di vetro componevano -una triplice corona di fuochi. In fondo, quattro massicci tronchi di -cera fiammeggiavano ai lati del tabernacolo. - - -XIV. - -I cinque giorni della festa Anna visse così, dentro la chiesa, dall'ora -mattutina fino all'ora in cui le porte si chiudevano, fedelissima, -respirando quell'aria calda che le infondeva nei sensi un torpore -beatifico, nell'anima una felicità piena di umiltà. Le orazioni, le -genuflessioni, le salutazioni, tutte quelle formule, tutti quei gesti -rituali ripetuti incessantemente, la istupidivano. Il fumo dell'incenso -le nascondeva la terra. - -Rosaria, la figlia di Sblendore, intanto ne traeva profitto, movendo -la pietà di lei con false querimonie e con lo spettacolo miserevole del -vecchio paralitico. Ella era una femmina malvagia, esperta nelle frodi, -dedita alla crapula; aveva tutta la faccia sparsa di umori vermigli e -serpiginosi, i capelli canuti, il ventre obeso. Legata al paralitico -dai comuni vizi e dalle nozze, ella insieme con lui aveva disperse in -breve tempo le già scarse sostanze, bevendo e gozzovigliando. Ambedue -nella miseria, inveleniti dalla privazione, arsi da sete di vino e -di liquori ignei, affranti da infermità senili, ora espiavano il loro -lungo peccato. - -Anna, con uno spontaneo moto caritatevole, diede a Rosaria tutto il -denaro tenuto per le elemosine, tutti i panni superflui; si tolse -gli orecchini, due anelli d'oro, la collana di corallo; promise altri -soccorsi. E riprese quindi il cammino di Pescara, in compagnia di Fra -Mansueto, portando nel canestro la testuggine. - -In cammino, come le case di Ortona si allontanavano, una gran tristezza -scendeva su l'animo della donna. Stuoli di pellegrini volgevano per -altre vie, cantando: e i loro canti rimanevano a lungo nell'aria, -monotoni e lenti. Anna li ascoltava; e un desiderio senza fine la -traeva a raggiungerli, a seguirli, a vivere così pellegrinando di -santuario in santuario, di contrada in contrada, per esaltare i -miracoli d'ogni santo, le virtù d'ogni reliquia, le bontà d'ogni Maria. - -«Vanno a Cucullo,» le disse Fra Mansueto, accennando col braccio a -un paese lontano. E ambedue si misero a parlare di san Domenico che -protegge dal morso dei serpenti gli uomini, e le semenze dai bruchi; -poi d'altri patroni. — A Bugnara, sul Ponte del Rivo, più di cento -giumenti, tra cavalli asini e muli, carichi di frumento vanno in -processione alla Madonna della Neve: i devoti cavalcano su le some, -con serti di spighe in capo, con tracolle di pasta; e depongono ai -piedi dell'imagine i doni cereali. A Bisenti, molte giovinette, con -in capo canestre di grano, conducono per le vie un asino che porta -su la groppa una maggiore canestra: ed entrano nella chiesa della -Madonna degli Angeli, per l'offerta, cantando. A Torricella Peligna, -uomini e fanciulli, coronati di rose e di bacche rosee, salgono in -pellegrinaggio alla Madonna delle Rose, sopra una rupe dov'è l'orma di -Sansone. A Loreto Aprutino un bue candido, impinguato durante l'anno -con abbondanza di pastura, va in pompa dietro la statua di san Zopito. -Una gualdrappa vermiglia lo copre, e lo cavalca un fanciullo. Come il -santo rientra nella chiesa, il bue s'inginocchia sul limitare; poi si -rialza lentamente, e segue il santo tra il plauso del popolo. Giunto -nel mezzo della chiesa, manda fuora gli escrementi del cibo; e i devoti -da quella materia fumante traggono gli auspicii per l'agricoltura. - -Di queste usanze religiose Anna e Fra Mansueto parlavano, quando -giunsero alla foce dell'Alento. L'alveo portava le acque di primavera -tra le vitalbe non anche fiorenti. E il cappuccino disse della Madonna -dell'Incoronata, dove per la festa di san Giovanni i devoti si cingono -il capo di vitalbe, e nella notte vanno sul fiume Gizio a _passar -l'acqua_ con grandi allegrezze. - -Anna si scalzò per guadare. Ella sentiva ora nell'animo un'immensa -venerazione d'amore per tutte le cose, per gli alberi, per le erbe, per -gli animali, per tutte le cose che quelle usanze cattoliche avevano -santificato. E dal fondo della sua ignoranza e della sua semplicità -sorgeva l'istinto dell'idolatria. - -Alcuni mesi dopo il ritorno, scoppiò nel paese un'epidemia colerica; -e la mortalità fu grande. Anna prestò le sue cure agli infermi -poveri. Fra Mansueto morì. Anna n'ebbe molto dolore; e nel 1866, -per la ricorrenza della festa, volle prendere congedo e rimpatriare -per sempre, poichè vedeva in sonno tutte le notti san Tommaso che le -comandava di partire. Ella prese la testuggine, le sue robe e i suoi -risparmii; baciò le mani di Donna Cristina, piangendo; e partì questa -volta sopra un carretto, insieme con due monache questuanti. - -A Ortona ella abitò nella casa dello zio paralitico; dormì su un -pagliericcio; non si cibò se non di pane e di legumi. Dedicava tutte le -ore del giorno alle pratiche della chiesa, con un fervore meraviglioso; -e la sua mente vie più perdeva ogni altra facoltà che non fosse quella -di contemplare i misteri cristiani, di adorare i simboli, d'imaginare -il paradiso. Ella era tutta rapita nella carità divina, era tutta -compresa di quella divina passione che i sacerdoti manifestano sempre -con gli stessi segni e con le stesse parole. Ella non comprendeva se -non quell'unico linguaggio; non aveva se non quell'unico ricovero, -tiepido e solenne, dove tutto il cuore le si dilatava in una pia -securtà di pace, e gli occhi le s'inumidivano in un'ineffabile soavità -di lacrime. - -Soffrì, per amor di Gesù, le miserie domestiche; fu dolce e sommessa; -non mai profferì un lamento, o un rimprovero, o una minaccia. Rosaria -le sottrasse a poco a poco tutti i risparmii; e cominciò quindi a -farle patire la fame, ad angariarla, a chiamarla con nomi disonesti, -a perseguitarle la testuggine con insistenza feroce. Il vecchio -paralitico metteva continuamente una specie di mugolìo rauco, aprendo -la bocca ove la lingua tremava, onde colava in abbondanza la saliva -continuamente. Un giorno, poichè la moglie avida beveva innanzi a lui -un liquore e gli negava il bicchiere sfuggendo, egli si levò dalla -sedia con uno sforzo, e si mise a camminare verso di lei: le gambe -gli vacillavano, i piedi si posavano sul terreno con un'involontaria -percussione ritmica. D'un tratto egli si accelerò, col tronco inclinato -in avanti, saltellando a piccoli passi incalzanti, come spinto da -un impulso irresistibile, finchè cadde bocconi su l'orlo delle scale -fulminato. - - -XV. - -Allora Anna, afflitta, prese la testuggine, e andò a chieder soccorso -a Donna Veronica Monteferrante. Come la povera donna già negli ultimi -tempi faceva alcuni servizi pel monastero, l'abadessa misericordiosa le -diede l'ufficio di conversa. - -Anna, se bene non aveva gli ordini, vestì l'abito monacale: la tunica -nera, il soggólo, la cuffia dalle ampie tese candide. Le parve, in -quell'abito, di essere santificata. E, da prima, quando all'aria -le tese le sbattevano in torno al capo con un fremito d'ali, ella -trasaliva per un turbamento improvviso di tutto il suo sangue. E, da -prima, quando le tese percosse dal sole le riflettevano nella faccia -un vivo chiaror di neve, ella d'improvviso credevasi illuminata da un -baleno mistico. - -Con l'andar del tempo, le estasi si fecero più frequenti. La vergine -canuta era colpita a quando a quando da suoni angelici, da echi lontani -d'organo, da romori e voci non percettibili agli orecchi altrui. Figure -luminose le si presentavano dinanzi, nel buio; odori paradisiaci la -rapivano. - -Così pel monastero una specie di sacro orrore cominciò a diffondersi, -come per la presenza di un qualche potere occulto, come per l'imminenza -di un qualche avvenimento soprannaturale. Per cautela, la nuova -conversa fu dispensata da ogni obbligo d'opere servili. Tutte le -attitudini di lei, tutte le parole, tutti gli sguardi furono osservati, -comentati con superstizione. E la leggenda della santità incominciò a -fiorire. - -Su le calende di febbraio dell'anno di Nostro Signore 1873, la voce -della vergine Anna divenne singolarmente rauca e profonda. Poi la virtù -della parola d'un tratto scomparve. - -L'inaspettato ammutolimento sbigottì gli animi delle religiose. E -tutte, stando in torno alla conversa, ne consideravano con mistico -terrore gli atteggiamenti estatici, i movimenti vaghi della bocca -mutola, la immobilità degli occhi, d'onde a tratti sgorgavano profluvii -di lacrime. I lineamenti dell'inferma, estenuati dai lunghi digiuni, -avevano ora assunto una purità quasi eburnea; e tutte le trame delle -vene e delle arterie ora trasparivano così visibili, e sporgevano con -così forti rilievi, e così incessantemente palpitavano, che dinanzi a -quel palesato pálpito del sangue una specie di raccapriccio prendeva le -monache come dinanzi a un corpo spoglio di sua pelle cristiana. - -Quando fu prossimo il Mese di Maria, un'amorosa diligenza sollecitò -le Benedettine al paramento dell'oratorio. Si spargevano elleno -nel verziere claustrale tutto fiorente di rose e fruttificante di -melarance, raccogliendo la messe del maggio novello per deporla ai -piedi dell'altare. Anna, tornata nella calma, discendeva anch'ella ad -aiutare la pia opera; e significava talvolta con i gesti il pensiero -che la perdurante mutezza le toglieva di esprimere. S'indugiavano al -sole tutte quelle spose del Signore, incedenti tra le fonti letifiche -del profumo. Fuggiva lungo un lato del verziere un portico; e come -nell'animo delle vergini i profumi risvegliavano imagini sopite, così -il sole penetrando sotto li archi bassi ravvivava nell'intonico i -residui dell'oro bisantino. - -L'oratorio fu pronto per il giorno del primo ufficio. La cerimonia ebbe -principio dopo il vespro. Una suora salì su l'organo. Subitamente dalle -canne armoniche il fremito della passione si propagò in tutte le cose; -tutte le fronti s'inclinarono; i turiboli diedero fumi di belgiuino; -le fiammelle dei ceri palpitarono tra corone di fiori. Poi sorsero i -cantici, le litanie piene di appellazioni simboliche e di supplichevole -tenerezza. Come le voci salivano con forza crescente, Anna nell'immenso -impeto del fervore gridò. Colpita dal prodigio, cadde supina; agitò -le braccia, volle rialzarsi. Le litanie s'interruppero. Delle suore, -alcune, quasi atterrite, erano rimaste un istante nell'immobilità; -altre davano soccorso all'inferma. Il miracolo appariva inopinato, -fulgidissimo, supremo. - -Allora a poco a poco allo stupore, al murmure incerto, alle titubanze -successe un giubilo senza limiti, un coro di esaltazioni clamorose, -un'alata ebrietà canora. Anna, in ginocchio, ancora assorta nel -rapimento del miracolo, non aveva conoscenza di quel che in torno -avveniva. Ma quando i cantici con una maggior veemenza furono ripresi, -ella cantò. La sua nota su dalla cadente onda del coro ad intervalli -emerse, poichè le divote diminuivano la forza delle voci per ascoltare -quella unica che dalla grazia divina era stata riconcessa. E la Vergine -nei cantici a volta a volta fu l'incensiere d'oro onde esalavano i -balsami più dolci, la lampada che dì e notte rischiarava il santuario, -l'urna che racchiudeva la manna del cielo, il roveto che ardeva senza -consumarsi, lo stelo di Iesse che portava il più bello di tutti i -fiori. - -Dopo, la fama del miracolo si sparse dal monastero in tutto il -paese di Ortona, e dal paese in tutte le terre finitime, aumentando -nel viaggio. E il monastero sorse in grande onore. Donna Blandina -Onofrii, la magnifica, offerse alla Madonna dell'oratorio una veste -di broccato d'argento e una rara collana di turchesi venuta dall'isola -di Smirne. Le altre gentildonne ortonesi offersero altri minori doni. -L'arcivescovo d'Orsogna fece con pompa una visita gratulatoria, in cui -rivolse parole di edificante eloquenza ad Anna che «con la purità della -vita si era resa degna dei doni celesti.» - -Nell'agosto del 1876 sopravvennero nuovi prodigi. L'inferma, quando si -avvicinava il vespro, cadeva in uno stato di estasi con catalessia; -donde sorgeva poi quasi con impeto. E in piedi, conservando sempre -la medesima attitudine, cominciava a parlare, da prima lentamente, e -quindi gradatamente accelerando, come sotto l'urgenza di un'ispirazione -mistica. Il suo eloquio non era se non un miscuglio tumultuario -di parole, di frasi, di interi periodi già innanzi appresi, che -ora nella sua inconsapevolezza si riproducevano, frammentandosi o -combinandosi senza legge. Le native forme dialettali s'innestavano -alle forme auliche, s'insinuavano nelle iperboli del linguaggio -biblico; e mostruosi congiungimenti di sillabe, inauditi accordi di -suoni avvenivano nel disordine. Ma il profondo tremito della voce, -ma i cangiamenti repentini dell'inflessione, l'alterno ascendere e -discendere del tono, la spiritualità della figura estatica, il mistero -dell'ora, tutto concorreva a soggiogare gli animi delle astanti. - -Gli effetti si ripeterono cotidianamente, con una regolarità -periodica. Sul vespro, nell'oratorio si accendevano le lampade; le -monache facevano la cerchia inginocchiandosi; e la rappresentazione -sacra incominciava. Come l'inferma entrava nell'estasi catalettica, -i preludii vaghi dell'organo rapivano gli animi delle religiose in -una sfera superiore. Il lume delle lampade si diffondeva fievole -dall'alto, dando un'incertitudine aerea e quasi una morente dolcezza -all'apparenza delle cose. A un punto l'organo taceva. La respirazione -nell'inferma diveniva più profonda; le braccia le si distendevano così -che nei polsi scarnificati i tendini vibravano simili alle corde di uno -strumento. Poi, d'un tratto, l'inferma balzava in piedi, incrociava le -braccia sul petto, restando nell'atteggiamento mistico delle cariatidi -d'un battistero. E la sua voce risonava nel silenzio, ora dolce, ora -lugubre, ora quasi canora, quasi sempre incomprensibile. - -Su i principii del 1877 questi accessi diminuirono di frequenza; si -presentarono due o tre volte la settimana; poi disparvero totalmente, -lasciando il corpo della donna in uno stato miserevole di debolezza. -E allora alcuni anni passarono, in cui la povera idiota visse tra -sofferenze atroci, con le membra rese inerti dagli spasimi articolari. -Ella non aveva più alcuna cura della nettezza; non si cibava se -non di pane molle e di pochi erbaggi; teneva in torno al collo, sul -petto, una gran quantità di piccole croci, di reliquie, d'imagini, -di corone; parlava balbettando per la mancanza dei denti; e i suoi -capelli cadevano, i suoi occhi erano già torbidi come quelli dei vecchi -giumenti che stanno per morire. - -Una volta, di maggio, mentre ella soffriva deposta sotto il portico -e le suore in torno coglievano per Maria le rose, le passò dinanzi -la testuggine che ancora traeva la sua vita pacifica e innocente nel -verziere claustrale. La vecchia vide quella forma muoversi e a poco a -poco allontanarsi. Nessun ricordo le si destò nell'anima. La testuggine -si perse tra i cespi dei timi. - -Ma le suore consideravano la imbecillità e la infermità della donna -come una di quelle supreme prove di martirio a cui il Signore chiama -gli eletti per santificarli e glorificarli poi nel paradiso; e -circondavano di venerazione e di cure l'idiota. - -Nell'estate del 1881 apparvero i segni della morte prossima. Consunto -e piagato, quel miserabile corpo omai nulla più conservava di umano. -Lente deformazioni avevano viziata la positura delle membra; tumori -grossi come pomi sporgevano sotto un fianco, su una spalla, dietro la -nuca. - -La mattina del 10 settembre, verso l'ottava ora, un sussulto della -terra scosse dalle fondamenta Ortona. Molti edifici precipitarono, -altri furono offesi nei tetti e nelle pareti, altri s'inclinarono -e s'abbassarono. E tutta la buona gente di Ortona, con pianti, con -grida, con invocazioni, con gran chiamare di santi e di madonne, uscì -fuori delle porte, e si raunò sul piano di San Rocco, temendo maggiori -pericoli. Le monache, prese dal pànico, infransero la clausura; -irruppero su la via, scarmigliate, cercando salvezza. Quattro di loro -portavano Anna sopra una tavola. E tutte trassero al piano, verso il -popolo incolume. - -Come esse giunsero in vista del popolo, unanimi clamori si levarono, -poichè la presenza delle religiose parve propizia. In ogni parte, d'in -torno, giacevano infermi, vecchi impediti, fanciulli in fasce, donne -stupide per la paura. Un bellissimo sole mattutino illustrava le teste -tumultuanti, il mare, i vigneti; e accorrevano dalla spiaggia inferiore -i marinai, cercando le mogli, chiamando i figli per nome, ansanti per -la salita, rochi; e da Caldara cominciavano a venire mandre di pecore e -di bovi con i pastori, branchi di gallinacci con le femmine guardiane, -giumenti; poichè tutti temevano la solitudine, e tutti, uomini e -bestie, nel frangente si accomunavano. - -Anna, adagiata sul suolo, sotto un olivo, sentendo prossima la morte, -si rammaricava con un balbettìo fievole, perchè non voleva morire senza -i sacramenti; e le monache d'in torno le davano conforto; e gli astanti -la guardavano con pietà. Ora, d'improvviso, tra il popolo una voce si -sparse, che da Porta-Caldara sarebbe uscito il busto dell'Apostolo. Le -speranze risorgevano; canti di rogazione risorgevano nell'aria. Come da -lungi vibrò un incognito luccichío, le donne s'inginocchiarono; e con i -capelli disciolti, lacrimose, si misero a camminare su le ginocchia, in -contro al luccichío, salmodiando. - -Anna agonizzava. Sostenuta da due suore, udì le preghiere, udì -l'annunzio; e forse in un'ultima illusione travide l'Apostolo veniente, -poichè nella faccia cava le passò quasi un sorriso di gaudio. Alcune -bolle di saliva le apparvero su le labbra; un'ondulazione brusca le -corse e ricorse, visibile, le estremità del corpo; su gli occhi le -palpebre le caddero, rossastre come per sangue stravasato; il capo le -si ritrasse nelle spalle. E la vergine Anna così alfine spirò. Quando -il luccichío si fece più da presso alle donne adoranti, si chiarì -nel sole la forma di un giumento che portava in bilico su la groppa, -secondo il costume, una banderuola di metallo. - - - - -GLI IDOLATRI. - - -I. - -La gran piazza sabbiosa scintillava come sparsa di pomice in polvere. -Tutte le case a torno imbiancate di calce parevano roventi come -muraglie d'una immensa fornace che fosse per estinguersi. In fondo, -i pilastri della chiesa riverberavano l'irradiamento delle nuvole -e si facevano roggi come di granito; le vetrate balenavano quasi -contenessero lo scoppio d'un incendio interno; le figurazioni sacre -prendevano un'aria viva di colori e di attitudini; tutta la mole ora, -sotto lo splendore della meteora crepuscolare, assumeva una più alta -potenza di dominio su le case dei Radusani. - -Volgevano dalle strade alla piazza gruppi d'uomini e di femmine -vociferando e gesticolando. In tutti gli animi il terrore superstizioso -ingigantiva rapidamente; da tutte quelle fantasie incolte mille imagini -terribili di castigo divino si levavano; i commenti, le contestazioni -ardenti, le scongiurazioni lamentevoli, i racconti sconnessi, -le preghiere, le grida si mescevano in un rumorìo cupo d'uragano -imminente. Già da più giorni quei rossori sanguigni indugiavano -nel cielo dopo il tramonto, invadevano la tranquillità della notte, -illuminavano tragicamente i sonni delle campagne, suscitavano gli urli -dei cani. - -— Giacobbe! Giacobbe! — gridavano, agitando le braccia, alcuni che fin -allora avevano parlato a voce bassa, innanzi alla chiesa, stretti in -torno a un pilastro del vestibolo. — Giacobbe! - -Usciva dalla porta madre e si accostava agli appellanti un uomo lungo -e macilento che pareva infermo di febbre etica, calvo su la sommità -del cranio e coronato alle tempie e alla nuca di certi lunghi capelli -rossicci. I suoi piccoli occhi cavi erano animati come dall'ardore di -una passione profonda, un po' convergenti verso la radice del naso, -d'un colore incerto. La mancanza dei due denti d'avanti nella mascella -superiore dava all'atto della sua bocca nel profferire le parole -e al moto del mento aguzzo sparso di peli una singolare apparenza -di senilità faunesca. Tutto il resto del corpo era una miserabile -architettura di ossa mal celata nei panni; e su le mani, su i polsi, -sul riverso delle braccia, sul petto la cute era piena di segni -turchini, di incisioni fatte a punta di spillo e a polvere d'indaco, -in memoria de' santuarii visitati, delle grazie ricevute, dei voti -sciolti. - -Come il fanatico giunse presso al gruppo del pilastro, una confusione -di domande si levò da quelli uomini ansiosi. — Dunque? Che aveva detto -Don Cònsolo? Facevano uscire soltanto il braccio d'argento? E tutto -il busto non era meglio? Quando tornava Pallura con le candele? Erano -cento libbre di cera? Soltanto cento libbre? E quando cominciavano le -campane a suonare? Dunque? Dunque? - -I clamori aumentarono in torno a Giacobbe; i più lontani si strinsero -verso la chiesa; da tutte le strade la gente si riversò su la piazza -e la riempì. E Giacobbe rispondeva agli interroganti, parlava a voce -bassa, come se rivelasse segreti terribili, come se apportasse profezie -da lontano. Egli aveva veduto nell'alto, in mezzo al sangue, una mano -minacciosa, e poi un velo nero, e poi una spada e una tromba... - -«Racconta! racconta!» incitavano gli altri, guardandosi in faccia, -presi da una strana avidità di ascoltare cose meravigliose; mentre la -favola di bocca in bocca si spandeva rapidamente per la moltitudine -assembrata. - - -II. - -La gran plaga vermiglia dall'orizzonte saliva lentamente verso lo -zenit, tendeva ad occupare tutta la cupola del cielo. Un vapore di -fusi metalli pareva ondeggiare su i tetti delle case; e nel chiarore -discendente dal crepuscolo raggi sulfurei e violetti si mescolavano -con un tremolìo d'iridescenza. Una lunga striscia più luminosa fuggiva -verso una strada sboccante su l'argine dei fiume; e s'intravedeva al -fondo il fiammeggiamento delle acque tra i fusti lunghi e smilzi dei -pioppetti; poi un lembo di campagna brulla, dove le vecchie torri -saracene si levavano confusamente come isolotti di pietra fra le -caligini. Le emanazioni affocanti del fieno mietuto si spandevano -nell'aria: era a tratti come un odore di bachi putrefatti tra la -frasca. Stuoli di rondini attraversavano lo spazio con molto schiamazzo -di stridi, trafficando dai greti del fiume alle gronde. - -Nella moltitudine il mormorìo era interrotto da silenzii di -aspettazione. Il nome di Pallura circolava per le bocche; impazienze -irose scoppiavano qua e là. Lungo la strada del fiume non si vedeva -ancora apparire il traino; le candele mancavano; Don Cònsolo indugiava -per questo ad esporre le reliquie, a fare gli esorcismi; e il pericolo -soprastava. Il pànico invadeva tutta quella gente ammassata come una -mandra di bestie, non osante più di sollevare gli occhi al cielo. -Dai petti delle femmine cominciarono a rompere i singhiozzi; e una -costernazione suprema oppresse e istupidì le coscienze al suono di quel -pianto. - -Allora le campane finalmente squillarono Come i bronzi stavano a -poca altezza, il fremito cupo del rintocco sfiorò tutte le teste; e -una specie di ululato continuo si propagava nell'aria tra un colpo e -l'altro. - -— San Pantaleone! San Pantaleone! - -Fu un immenso grido unanime di disperati che chiedevano aiuto. Tutti in -ginocchio, con le mani tese, con la faccia bianca, imploravano. - -— San Pantaleone! - -Apparve su la porta della chiesa, in mezzo al fumo di due turiboli, -Don Cònsolo scintillante in una pianeta violetta a ricami d'oro. -Egli teneva in alto il sacro braccio d'argento, e scongiurava l'aria -gridando le parole latine: - -— _Ut fidelibus tuis aeris serenitatem concedere digneris, Te rogamus, -audi nos._ - -L'apparizione della reliquia eccitò un delirio di tenerezza nella -moltitudine. Scorrevano lagrime da tutti gli occhi; e a traverso il -velo lucido delle lagrime gli occhi vedevano un miracoloso fulgore -celeste emanare dalle tre dita in alto atteggiate a benedire. La -figura del braccio pareva ora più grande nell'aria accesa; i raggi -crepuscolari suscitavano barbagli variissimi nelle pietre preziose; il -balsamo dell'incenso si spargeva rapidamente per le nari devote. - -— _Te rogamus, audi nos!_ - -Ma, quando il braccio rientrò e le campane si arrestarono, nel -momentaneo silenzio un tintinnìo prossimo di sonagli si udì, che veniva -dalla strada del fiume. E avvenne allora un repentino movimento di -concorso verso quella parte e molti dicevano: - -— È Pallura con le candele! È Pallura che arriva! Ecco Pallura! - -Il traino si avanzava scricchiolando su la ghiaia, al passo di una -pesante cavalla grigia a cui il gran corno d'ottone brillava, simile a -una bella mezzaluna, su la groppa. Come Giacobbe e gli altri si fecero -in contro, la pacifica bestia si fermò soffiando forte dalle narici. E -Giacobbe, che s'accostò primo, subito vide disteso in fondo al traino -il corpo di Pallura tutto sanguinante, e si mise a urlare agitando le -braccia verso la folla: - -— È morto! E morto! - - -III. - -La triste novella si propagò in un baleno. La gente si accalcava in -torno al traino, tendeva il collo per vedere qualche cosa, non pensava -più alle minacce dell'alto, colpita dal nuovo caso inaspettato, invasa -da quella natural curiosità feroce che gli uomini hanno in cospetto del -sangue. - -— È morto? Come è morto? - -Pallura giaceva supino su le tavole, con una larga ferita in mezzo -alla fronte, con un orecchio lacerato, con strappi per le braccia, nei -fianchi, in una coscia. Un rivo tiepido gli colava per il cavo degli -occhi giù giù sino al mento ed al collo, gli chiazzava la camicia, gli -formava grumi nerastri e lucenti sul petto, su la cintola di cuoio, fin -su le brache. Giacobbe stava chino sopra quel corpo; tutti gli altri a -torno attendevano; una luce d'aurora illuminava i volti perplessi; e, -in quel momento di silenzio, dalla riva del fiume si levava il cantico -delle rane, e i pipistrelli passavano e ripassavano rasente le teste. - -D'improvviso Giacobbe drizzandosi, con una gota macchiata di sangue, -gridò: - -— Non è morto. Respira ancora. - -Un mormorìo sordo corse per la folla, e i più vicini si protesero -per guardare; e l'inquietudine dei lontani cominciò a rompere in -clamori. Due donne portarono un boccale d'acqua, un'altra portò qualche -brandello di tela; un giovinetto offerse una zucca piena di vino. -Fu lavata la faccia al ferito, fu fermato il flusso del sangue alla -fronte, fu rialzato il capo. Sorsero quindi alte le voci, chiedendo -le cause del fatto. — Le cento libbre di cera mancavano; appena pochi -frantumi di candela rimanevano tra gli interstizi delle tavole nel -fondo del traino. - -I giudizii, in mezzo al sommovimento, di più in più si accendevano e -s'inasprivano e cozzavano. E, come un antico odio ereditario ferveva -contro il paese di Mascálico, posto di contro su l'altra riva del -fiume, Giacobbe disse con la voce rauca, velenosamente: - -— Che i ceri sieno serviti a S. Gonselvo? - -Allora fu come una scintilla d'incendio. Lo spirito di chiesa si -risvegliò d'un tratto in quella gente abbrutita per tanti anni nel -culto cieco e feroce del suo unico idolo. Le parole del fanatico -di bocca in bocca si propagarono. E, sotto il rossore tragico del -crepuscolo, la moltitudine tumultuante aveva apparenza d'una tribù di -negri ammutinati. - -Il nome del santo rompeva da tutte le gole, come un grido di guerra. I -più ardenti gittavano imprecazioni contro la parte del fiume, agitando -le braccia, tendendo i pugni. Poi, tutti quei volti accesi dalla -collera e dalla luce, larghi e possenti, a cui i cerchi d'oro degli -orecchi e il gran ciuffo della fronte davano uno strano aspetto di -barbarie, tutti quei volti si tesero verso il giacente, si addolcirono -di misericordia. Fu in torno al traino una sollecitudine pietosa di -femmine che volevano rianimare l'agonizzante: tante mani amorevoli gli -cambiarono le strisce di tela su le ferite, gli spruzzarono d'acqua -la faccia, gli accostarono alle labbra bianche la zucca del vino, gli -composero una specie di guanciale più molle sotto la testa. - -— Pallura, povero Pallura, non rispondi? - -Egli stava supino, con gli occhi chiusi, con la bocca semiaperta, -con una lanugine bruna su le gote e sul mento, con una mite beltà di -giovinezza ancora trasparente dai tratti tesi nella convulsione del -dolore. Di sotto alla fasciatura della fronte gli colava un fil di -sangue giù per la tempia; agli angoli della bocca apparivano piccole -bolle di schiuma rossigna; e dalla gola gli usciva una specie di sibilo -fioco, interrotto. Intorno a lui le cure, le domande, gli sguardi -febbrili crescevano. La cavalla ogni tanto scoteva la testa e nitriva -verso le case. Un'ansietà come d'uragano imminente pesava su tutto il -paese. - -S'intesero allora grida feminili verso la piazza, grida di madre, -che parvero più alte in mezzo al subitaneo ammutolimento di tutte le -altre voci. E una donna enorme, soffocata dall'adipe, attraversò la -folla, giunse gridando presso al traino. Come ella era grave e non -poteva salirvi, s'abbattè su i piedi del figlio, con parole d'amore -tra i singhiozzi, con laceramenti così acuti di voce rotta e con una -espressione di dolore così terribilmente bestiale che per tutti gli -astanti corse un brivido e tutti rivolsero altrove la faccia. - -— Zaccheo! Zaccheo! cuore mio! gioia mia! — gridava la vedova, senza -finire, baciando i piedi del ferito, attraendolo a sè verso terra. - -Il ferito si rimosse, torse la bocca per lo spasimo, aprì gli occhi in -alto; ma certo non potè vedere, perchè una specie di pellicola umida -gli copriva lo sguardo. Grosse lagrime incominciarono a sgorgargli -dagli angoli delle palpebre e a scorrere giù per le guance e pel collo; -la bocca gli rimase torta; nel sibilo fioco della gola si sentì un vano -sforzo di favella. E in torno incalzavano: - -— Parla, Pallura! Chi t'ha ferito? Chi t'ha ferito? Parla! Parla! - -E sotto la domanda fremevano le ire, si addensavano i furori, un sordo -tumulto di vendicazione si riscoteva, e l'odio ereditario ribolliva -nell'animo di tutti. - -— Parla! Chi t'ha ferito? Dillo a noi! Dillo a noi! - -Il moribondo aprì gli occhi un'altra volta; e come gli tenevano serrate -ambo le mani, forse per quel vivo contatto di calore gli spiriti un -istante gli si ridestarono, lo sguardo si illuminò. Egli ebbe su le -labbra un balbettamento vago, tra la schiuma che sopravveniva più -copiosa e più sanguigna. Non si capivano ancora le parole. Si udì nel -silenzio la respirazione della moltitudine anelante, e gli occhi ebbero -in fondo una sola fiamma, poichè tutti gli animi attendevano una parola -sola. - -— ... Ma... Ma... Ma... scálico... - -— Mascálico! Mascálico! urlò Giacobbe che stava chino, con l'orecchio -teso, ad afferrare le sillabe fievoli da quella bocca morente. - -Un fragore immenso accolse il grido. Nella moltitudine fu dapprima un -mareggiamento confuso di tempesta. Poi, quando una voce soverchiante il -tumulto gittò l'allarme, la moltitudine a furia si sbandò. Un pensiero -solo incalzava quelli uomini, un pensiero che pareva balenato a tutte -le menti in un attimo: armarsi di qualche cosa per colpire. Su tutte -le coscienze instava una specie di fatalità sanguinaria, sotto il gran -chiaror torvo del crepuscolo, in mezzo all'odore elettrico emanante -dalla campagna ansiosa. - - -IV. - -E la falange, armata di falci, di ronche, di scuri, di zappe, di -schioppi, si riunì su la piazza, dinanzi alla chiesa. E gli idolatri -gridavano: - -— San Pantaleone! - -Don Cònsolo, atterrito dallo schiamazzo, s'era rifugiato in fondo -a uno stallo, dietro l'altare. Un manipolo di fanatici, condotto da -Giacobbe, penetrò nella cappella maggiore, forzò le grate di bronzo, -giunse nel sotterraneo, dove il busto del santo si custodiva. Tre -lampade, alimentate d'olio d'oliva, ardevano dolcemente nell'aria umida -del sacrario; dietro un cristallo, l'idolo cristiano scintillava con -la testa bianca in mezzo a un gran disco solare; e le pareti sparivano -sotto la ricchezza dei doni. - -Quando l'idolo, portato su le spalle da quattro ercoli, si mostrò -alfine tra i pilastri del vestibolo, e s'irraggiò alla luce aurorale, -un lungo anelito di passione corse il popolo aspettante, un fremito -come d'un vento di gioia volò sopra tutte le fronti. E la colonna si -mosse. E la testa enorme del santo oscillava in alto, guardando innanzi -a sè dalle due orbite vuote. - -Nel cielo ora, in mezzo all'accensione eguale e cupa, a tratti -passavano solchi di meteore più vive; gruppi di nuvole sottili -si distaccavano dall'orlo della zona, e galleggiavano lentamente -dissolvendosi. Tutto il paese di Radusa appariva in dietro come un -monte di cenere che covasse il fuoco; e, dinanzi, le masse della -campagna si perdevano con un luccichìo indistinto. Un gran cantico di -rane empiva la sonorità della solitudine. - -Su la strada del fiume il traino di Pallura fece ostacolo all'incedere. -Era vuoto, ma conservava tracce di sangue in più parti. Imprecazioni -irose scoppiarono d'improvviso nel silenzio. Giacobbe gridò: - -— Mettiamoci il santo! - -E il busto fu posato su le tavole e tirato a forza di braccia nel -guado. La processione di battaglia così attraversava il confine. Lungo -le file correvano lampi metallici; le acque invase rompevano in sprazzi -luminosi, e tutta una corrente rossa fiammeggiava fra i pioppetti, -nel lontano, verso le torri quadrangolari. Mascálico si scorgeva su -una piccola altura, in mezzo agli olivi, dormente. I cani abbaiavano -qua e là, con una furiosa persistenza di risposte. La colonna, uscita -dal guado, abbandonando la via comune, avanzava a passi rapidi per una -linea diretta che tagliava i campi. Il busto d'argento era portato di -nuovo a spalle, dominava le teste degli uomini tra il grano altissimo, -odorante e tutto stellante di lucciole vive. - -D'improvviso, un pastore, che stava dentro un covile di paglia a -guardare il grano, invaso da un pazzo sbigottimento in cospetto di -tanta gente armata, si diede a fuggire su per la costa, strillando a -squarciagola: - -— Aiuto! aiuto! - -E gli strilli echeggiavano nell'oliveto. - -Allora fu che i Radusani fecero impeto. Fra i tronchi degli alberi, -fra le canne secche, il santo di argento traballava, dava tintinni -sonori agli urti dei rami, s'illuminava di lampi vivissimi ad ogni -accenno di precipizio. Dieci, dodici, venti schioppettate grandinarono -in un balenìo vibrante, una dopo l'altra su la massa delle case. Si -udirono crepiti, poi grida; poi si udì un gran sommovimento clamoroso: -alcune porte si aprirono, altre si chiusero; caddero vetri in frantumi, -caddero vasi di basilico, spezzati su la via. Un fumo bianco si -levava nell'aria placidamente, dietro la corsa degli assalitori, su -per l'incandescenza celeste. Tutti, accecati, in una furia belluina, -gridavano: - -— A morte! a morte! - -Un gruppo di idolatri si manteneva in torno a san Pantaleone. Vituperii -atroci contro san Gonselvo irrompevano tra l'agitazione delle falci e -delle ronche brandite. - -— Ladro! Ladro! Pezzente! Le candele! Le candele! - -Altri gruppi prendevano d'assalto le porte delle case, a colpi -d'accetta. E, come le porte sgangherate e scheggiate cadevano, i -Pantaleonidi saltavano nell'interno urlando, per uccidere. Femmine -seminude si rifugiavano negli angoli, implorando pietà; si difendevano -dai colpi, afferrando le armi e tagliandosi le dita; rotolavano distese -sul pavimento, in mezzo a mucchi di coperte e di lenzuoli da cui -uscivano le loro flosce carni nutrite di rape. - -Giacobbe alto smilzo rossastro, fascio di aride ossa reso formidabile -dalla passione, condottiero della strage, si arrestava ad ogni tratto -per fare un largo gesto imperatorio sopra tutte le teste con una gran -falce fienaia. Andava innanzi, impavido, senza cappello, nel nome di -san Pantaleone. Più di trenta uomini lo seguivano. E tutti avevano la -sensazione confusa e ottusa di camminare in mezzo a un incendio, sopra -un terreno oscillante, sotto una vôlta ardente che fosse per crollare. - -Ma da ogni parte cominciarono ad accorrere i difensori, i Mascalicesi -forti e neri come mulatti, sanguinarii, che si battevano con lunghi -coltelli a scatto, e tiravano al ventre e alla gola, accompagnando di -voci gutturali il colpo. La mischia si ritraeva a poco a poco verso la -chiesa; dai tetti di due o tre case già scoppiavano le fiamme; un'orda -di femmine e di fanciulli fuggiva a precipizio tra gli olivi, presa dal -pánico, senza più lume negli occhi. - -Allora tra i maschi, senza impedimento di lagrime e di lamenti, la -lotta a corpo a corpo si strinse più feroce. Sotto il cielo color di -ruggine, il terreno si copriva di cadaveri. Stridevano vituperii mozzi -tra i denti dei colpiti; e continuo tra i clamori persisteva il grido -dei Radusani: - -— Le candele! Le candele! - -Ma la porta della chiesa restava sbarrata, enorme, tutta di quercia, -stellante di chiodi. I Mascalicesi la difendevano contro gli urti e -contro le scuri. Il santo d'argento, impassibile e bianco, oscillava -nel folto della mischia, ancora sostenuto su le spalle dei quattro -ercoli che sanguinavano tutti dalla testa ai piedi, non volendo cadere. -Ed era nel supremo voto degli assalitori mettere l'idolo su l'altare -del nemico. - -Ora mentre i Mascalicesi si battevano da leoni, prodigiosamente, sul -gradino di pietra, Giacobbe disparve all'improvviso, girò il fianco -dell'edifizio, cercando un varco non difeso per penetrare nel sacrario. -E come vide un'apertura a poca altezza da terra, vi si arrampicò, -vi rimase tenuto ai fianchi dall'angustia, vi si contorse, fin che -non giunse a far passare il suo lungo corpo giù per lo spiraglio. Il -cordiale aroma dell'incenso vaniva nel gelo notturno della casa di Dio. -A tentoni nel buio, guidato dal fragore della pugna esterna, quell'uomo -camminò verso la porta, inciampando nelle sedie, ferendosi alla faccia, -alle mani. Rimbombava già il lavorio furioso delle accette radusane -su la durezza della quercia, quando egli cominciò con un ferro a -forzare le serrature, anelante, soffocato da una violenta palpitazione -di ambascia che gli diminuiva la forza, con la vista attraversata da -bagliori fatui, con le ferite che gli dolevano e gli mettevano un'onda -tiepida giù per la cute. - -— San Pantaleone! San Pantaleone! — gridarono di fuori le voci rauche -de' suoi che sentivano cedere lentamente la porta, raddoppiando gli -urti e i colpi di scure. A traverso il legno giungeva lo schianto grave -dei corpi che stramazzavano, il colpo secco del coltello che inchiodava -là qualcuno per le reni. E pareva a Giacobbe che tutta la navata -rimbombasse al battito del suo selvaggio cuore. - - -V. - -Dopo un ultimo sforzo, la porta si aprì. I Radusani si precipitarono -con un immenso urlo di vittoria, passando su i corpi degli uccisi, -traendo il santo d'argento all'altare. E una viva oscillazione di -riverberi invase d'un tratto l'oscurità della navata, fece brillare -l'oro dei candelabri, le canne dell'organo, in alto. E in quel chiaror -fulvo, che or sì or no dall'incendio delle prossime case vibrava -dentro, una seconda lotta si strinse. I corpi avviluppati rotolavano -su i mattoni, non si distaccavano più, balzavano insieme qua e là nei -divincolamenti della rabbia, urtavano e finivano sotto le panche, su -i gradini delle cappelle, contro gli spigoli dei confessionali. Nella -concavità raccolta della casa di Dio, il suono agghiacciante del ferro -che penetra nelle carni o che scivola su le ossa, quell'unico gemito -rotto dell'uomo che è colpito in una parte vitale, quello scricchiolìo -che dà la cassa del cranio nell'infrangersi al colpo, il ruggito di chi -non vuol morire, l'ilarità atroce di chi è giunto ad uccidere, tutto -distintamente si ripercoteva. E il mite odore dell'incenso vagava sul -conflitto. - -L'idolo d'argento non anche aveva attinto la gloria dell'altare, poichè -un cerchio ostile ne precludeva l'accesso. Giacobbe si batteva con la -falce, ferito in più parti, senza cedere un palmo del gradino che primo -aveva conquistato. Non rimanevano se non due a sorreggere il santo. -L'enorme testa bianca barcollava come ebra sul bulicame del sangue -iroso. I Mascalicesi imperversavano. - -Allora san Pantaleone cadde sul pavimento, dando un tintinno acuto -che penetrò nel cuore di Giacobbe più a dentro che punta di coltello. -Come il rosso falciatore si slanciò per rialzarlo, un gran diavolo -d'uomo con un colpo di ronca stese il nemico su la schiena. Due volte -questi si risollevò, e altri due colpi lo rigettarono. Il sangue gli -inondava tutta la faccia e il petto e le mani; per le spalle e per le -braccia le ossa gli biancicavano scoperte nei tagli profondi; ma pure -egli si ostinava a riavventarsi. Inviperiti da quella feroce tenacità -di vita, tre, quattro, cinque bifolchi insieme gli diedero a furia nel -ventre d'onde le viscere sgorgarono. Il fanatico cadde riverso, battè -la nuca sul busto d'argento, si rivoltò d'un tratto bocconi con la -faccia contro il metallo, con le branche stese innanzi, con le gambe -contratte. E san Pantaleone fu perduto. - - - - -L'EROE. - - -Già i grandi stendardi di San Gonselvo erano usciti su la piazza ed -oscillavano nell'aria pesantemente. Li reggevano in pugno uomini di -statura erculea, rossi in volto e con il collo gonfio di forza, che -facevano giuochi. - -Dopo la vittoria su i Radusani, la gente di Mascalico celebrava la -festa di settembre con magnificenza nuova. Un meraviglioso ardore -di religione teneva gli animi. Tutto il paese sacrificava la recente -ricchezza del fromento a gloria del Patrono. Su le vie, da una finestra -all'altra, le donne avevano tese le coperte nuziali. Gli uomini avevano -inghirlandato di verzura le porte e infiorato le soglie. Come soffiava -il vento, per le vie era un ondeggiamento immenso e abbarbagliante di -cui la turba si inebriava. - -Dalla chiesa la processione seguitava a svolgersi e ad allungarsi su -la piazza. Dinanzi all'altare, dove san Pantaleone era caduto, otto -uomini, i privilegiati, aspettavano il momento di sollevare la statua -di san Gonselvo; e si chiamavano: Giovanni Curo, l'Ummálido, Mattalà, -Vincenzio Guanno, Rocco di Céuzo, Benedetto Galante, Biagio di Clisci, -Giovanni Senzapaura. Essi stavano in silenzio, compresi della dignità -del loro ufficio, con la testa un po' confusa. Parevano assai forti; -avevano l'occhio ardente dei fanatici; portavano agli orecchi, come le -femmine, due cerchi d'oro. Di tanto in tanto si toccavano i bicipiti -e i polsi, come per misurarne la vigoria; o tra loro si sorridevano -fuggevolmente. - -La statua del Patrono era enorme, di bronzo vuoto, nerastra, con la -testa e con le mani di argento, pesantissima. - -Disse Mattalà: - -— Avande! - -In torno, il popolo tumultuava per vedere. Le vetrate della chiesa -romoreggiavano ad ogni colpo di vento. La navata fumigava di incenso -e di belzuino. I suoni degli stromenti giungevano ora sì ora no. Una -specie di febbre religiosa prendeva gli otto uomini, in mezzo a quella -turbolenza. Essi tesero le braccia, pronti. Disse Mattalà: - -— Una!... Dua!... Trea!... - -Concordemente, gli uomini fecero Io sforzo per sollevare la statua -di su l'altare. Ma il peso era soverchiante: la statua barcollò a -sinistra. Gli uomini non avevano potuto ancora bene accomodare le mani -intorno alla base per prendere. Si curvavano tentando di resistere. -Biagio di Clisci e Giovanni Curo, meno abili, lasciarono andare. La -statua piegò tutta da una parte, con violenza. L'Ummálido gittò un -grido. - -— Abbada! Abbada! — vociferavano intorno, vedendo pericolare il -Patrono. Dalla piazza veniva un frastuono grandissimo che copriva le -voci. - -L'Ummálido era caduto in ginocchio; e la sua mano destra era rimasta -sotto il bronzo. Così, in ginocchio, egli teneva gli occhi fissi alla -mano che non poteva liberare, due occhi larghi, pieni di terrore e di -dolore; ma la sua bocca torta non gridava più. Alcune gocce di sangue -rigavano l'altare. - -I compagni, tutt'insieme, fecero forza un'altra volta per sollevare il -peso. L'operazione era difficile. L'Ummálido, nello spasimo, torceva la -bocca. Le femmine spettatrici rabbrividivano. - -Finalmente la statua fu sollevata; e l'Ummálido ritrasse la mano -schiacciata e sanguinolenta che non aveva più forma. - -— Va a la casa, mo! Va a la casa! — gli gridava la gente, sospingendolo -verso la porta della chiesa. - -Una femmina si tolse il grembiule e gliel'offerse per fasciatura. -L'Ummálido rifiutò. Egli non parlava; guardava un gruppo d'uomini che -gesticolavano in torno alla statua e contendevano. - -— Tocca a me! - -— No, no! Tocca a me! - -— No! a me! - -Cicco Ponno, Mattia Scafarola e Tommaso di Clisci gareggiavano per -sostituire nell'ottavo posto di portatore l'Ummálido. - -Costui si avvicinò ai contendenti. Teneva la mano rotta lungo il -fianco, e con l'altra mano si apriva il passo. - -Disse semplicemente: - -— Lu poste è lu mi'. - -E porse la spalla sinistra a sorreggere il Patrono. Egli soffocava il -dolore stringendo i denti, con una volontà feroce. - -Mattalà gli chiese: - -— Tu che vuo' fa'? - -Egli rispose: - -— Quelle che vo' sante Gunzelve. - -E, insieme con gli altri, si mise a camminare. - -La gente lo guardava passare, stupefatta. - -Di tanto in tanto, qualcuno, vedendo la ferita che dava sangue e -diventava nericcia, gli chiedeva al passaggio: - -— L'Ummá, che tieni? - -Egli non rispondeva. Andava innanzi gravemente, misurando il passo -al ritmo delle musiche, con la mente un po' alterata, sotto le vaste -coperte che sbattevano al vento, tra la calca che cresceva. - -All'angolo d'una via cadde, tutt'a un tratto. Il santo si fermò un -istante e barcollò, in mezzo a uno scompiglio momentaneo: poi si rimise -in cammino. Mattia Scafarola subentrò nel posto vuoto. Due parenti -raccolsero il tramortito e lo portarono nella casa più vicina. - -Anna di Céuzo, ch'era una vecchia femmina esperta nel medicare le -ferite, guardò il membro informe e sanguinante; e poi scosse la testa. - -— Che ce pozze fa'? - -Ella non poteva far niente con l'arte sua. - -L'Ummálido, che aveva ripreso gli spiriti, non aprì bocca. Seduto, -contemplava la sua ferita, tranquillamente. La mano pendeva, con le -ossa stritolate, oramai perduta. - -Due o tre vecchi agricoltori vennero a vederla. Ciascuno, con un gesto -o con una parola, espresse lo stesso pensiero. - -L'Ummálido chiese: - -— Chi ha purtate lu Sante? - -Gli risposero: - -— Mattia Scafarola. - -Di nuovo, chiese: - -— Mo che si fa? - -Risposero: - -— Lu vespre 'n múseche. - -Gli agricoltori salutarono. Andarono al vespro. Un grande scampanìo -veniva dalla chiesa madre. - -Uno dei parenti mise accanto al ferito un secchio d'acqua fredda, -dicendo: - -— Ogne tante mitte la mana a qua. Nu mo veniamo. Jame a sentì lu vespre. - -L'Ummálido rimase solo. Lo scampanìo cresceva, mutando metro. La luce -del giorno cominciava a diminuire. Un ulivo, investito dal vento, -batteva i rami contro la finestra bassa. - -L'Ummálido, seduto, si mise a bagnare la mano, a poco a poco. Come il -sangue e i grumi cadevano, il guasto appariva maggiore. - -L'Ummálido pensò: - -— È tutt'inutile! È pirdute. Sante Gunzelve, a te le offre. - -Prese un coltello, e uscì. Le vie erano deserte. Tutti i devoti erano -nella chiesa. Sopra le case correvano le nuvole violacee del tramonto -di settembre, come mandre fuggiasche. - -Nella chiesa la moltitudine agglomerata cantava quasi in coro, al suono -degli stromenti, per intervalli misurati. Un calore intenso emanava -dai corpi umani e dai ceri accesi. La testa argentea di san Gonselvo -scintillava dall'alto come un faro. - -L'Ummálido entrò. Fra la stupefazione di tutti, camminò sino all'altare. - -Egli disse, con voce chiara, tenendo nella sinistra il coltello: - -— Sante Gunzelve, a te le offre. - -E si mise a tagliare in torno al polso destro, pianamente, in cospetto -del popolo che inorridiva. La mano informe si distaccava a poco a poco, -tra il sangue. Penzolò un istante trattenuta dagli ultimi filamenti. -Poi cadde nel bacino di rame che raccoglieva le elargizioni di pecunia, -ai piedi del Patrono. - -L'Ummálido allora sollevò il moncherino sanguinoso; e ripetè con voce -chiara: - -— Sante Gunzelve, a te le offre. - - - - -LA VEGLIA FUNEBRE. - - -Il cadavere del sindaco Biagio Mila, già tutto vestito e con la faccia -coperta d'una pezzuola umida d'acqua e d'aceto, stava disteso nel -letto, quasi in mezzo alla stanza tra quattro ceri. Vegliavano, nella -stanza, la moglie e il fratello del morto ai due lati. - -Rosa Mila poteva avere circa venticinque anni. Era una donna fiorita, -di carnagione chiara, con la fronte un po' bassa, le sopracciglia -lungamente arcuate, gli occhi grigi e larghi e nell'iride variegati -come agate. Possedendo in grande abbondanza capelli, ella quasi -sempre aveva la nuca e le tempie e gli occhi nascosti da molte ciocche -ribelli. In tutta la persona le splendeva la nitidezza della sanità; e -la sua fresca pelle aveva il profumo dei frutti prelibati. - -Emidio Mila, il cherico, poteva avere circa la stessa età. Era magro, -con nel volto il colore bronzino di chi vive nella campagna al pieno -sole. Una molle lanugine rossiccia gli copriva le guance; i denti forti -e bianchi davano al suo sorriso una bellezza virile; e gli occhi suoi -giallognoli lucevano talvolta come due zecchini nuovi. - -Ambedue tacevano: l'una scorrendo con le dita un rosario di vetro, -l'altro guardando il rosario scorrere. Ambedue avevano l'indifferenza -che la nostra gente campestre suole avere dinanzi al mistero della -morte. - -Emidio disse, con un lungo sospiro: - -— Fa caldo, stanotte. - -Rosa sollevò gli occhi per assentire. - -Nella stanza un poco bassa la luce oscillava secondo i moti delle -fiammelle. Le ombre si raccoglievano ora in un angolo ora in una -parete, variando di forme e di intensità. Le vetrate della finestra -erano aperte, ma le persiane restavano chiuse. Di tratto in tratto le -tende di mussolo bianco si movevano come per un fiato. Sul candore del -letto il corpo di Biagio pareva dormire. - -Le parole di Emidio caddero nel silenzio. La donna chinò di nuovo la -testa, e ricominciò a scorrere il rosario lentamente. Alcune stille -di sudore le imperlavano la fronte, e la respirazione le era faticosa. -Emidio, dopo un poco, domandò: - -— A che ora verranno a prenderlo, domani? - -Ella rispose, nel natural suono della sua voce: - -— Alle dieci, con la congregazione del Sacramento. - -Quindi ancora tacquero. Dalla campagna giungeva il gracidare assiduo -delle rane, giungevano a quando a quando gli odori delle erbe. Nella -tranquillità perfetta Rosa udì una specie di gorgoglìo roco escir -dal cadavere, e con un atto di orrore si levò dalla sedia, e fece per -allontanarsi. - -— Non abbiate paura, Rosa. Sono umori — disse il cognato, tendendole la -mano per rassicurarla. - -Ella prese la mano, istintivamente; e la tenne, stando in piedi. -Tendeva gli orecchi per ascoltare, ma guardava altrove. I gorgoglìi -si prolungavano dentro il ventre del morto, e parevano salire verso la -bocca. - -— Non è nulla, Rosa. Quietatevi — soggiunse il cognato, accennandole di -sedere sopra un cassone da nozze coperto d'un lungo cuscino a fiorami. - -Ella sedette, accanto a lui, tenendolo ancora per mano, nel turbamento. -Come il cassone non era molto grande, i gomiti dei seduti si toccavano. - -Il silenzio tornò. Un canto di trebbiatori sorse di fuori in lontananza. - -— Fanno le trebbie di notte, al lume della luna — disse la donna, -volendo parlare per ingannar la paura e la stanchezza. - -Emidio non aprì bocca. E la donna ritrasse la mano, poichè quel -contatto ora cominciava a darle un senso vago d'inquietudine. - -Ambedue ora erano occupati da uno stesso pensiero che li aveva colti -d'improvviso; ambedue ora erano tenuti da uno stesso ricordo, da un -ricordo di amori agresti nel tempo della pubertà. - - -Essi, in quel tempo, vivevano nelle case di Caldore, su la collina -solatìa, al quadrivio. Sul limite d'un campo di fromento sorgeva -un muro alto costruito di sassi e di terra argillosa. Dal lato di -mezzodì, che i parenti di Rosa possedevano, come ivi era più lento e -dolce il calor del sole, una famiglia di alberi fruttiferi prosperava -e moltiplicava. Alla primavera gli alberi fiorivano in comunione di -letizia; e le cupole argentee o rosee o violacee s'incurvavano sul -cielo coronando il muro e dondolavano come per inalzarsi nell'aria e -facevano insieme un ronzío sonnifero come d'api mellificanti. - -Dietro il muro, dalla parte degli alberi Rosa in quel tempo soleva -cantare. - -La voce limpida e fresca zampillava come una fontana, sotto le corone -dei fiori. - -Per una lunga stagione di convalescenza Emidio aveva udito quel canto. -Egli era debole e famelico. Per sfuggire alla dieta, scendeva dalla -casa furtivamente, celando sotto gli abiti un gran pezzo di pane, -e camminava lungo il muro, nell'ultimo solco del grano, fin che non -giungeva al luogo della beatitudine. - -Allora si sedeva, con le spalle contro i sassi riscaldati, e cominciava -a mangiare. Mordeva il pane e sceglieva una spiga tenera: ogni granello -aveva in sè una minuta stilla di succo simile a latte e aveva un -fresco sapor di farina. La voluttà del gusto e la voluttà dell'udito -nel convalescente si confondevano quasi in una sola sensazione -infinitamente dilettosa. Cosicchè in quell'ozio, tra quel calore, -tra quelli odori che davano all'aria quasi la cordial saporità del -vino, anche la voce femminile diveniva per lui un naturale alimento di -rinascenza e come un nutrimento fisico che gli si fondeva nelle vene. - -Il canto di Rosa era dunque una causa di guarigione. E, quando la -guarigione fu compiuta, la voce di Rosa ebbe sempre sul beneficato una -virtù sensuale. - -Dopo d'allora, poichè tra le due famiglie la dimestichezza divenne -grande, sorse in Emidio uno di quei taciturni e timidi e solitarii -amori che divorano le forze dell'adolescenza. - -Di settembre, prima che Emidio partisse pel seminario, le due famiglie -riunite andarono in un pomeriggio a merendare nel bosco, lungo il -fiume. - -La giornata era molle, e i tre carri tirati dai bovi avanzavano lungo i -canneti fioriti. - -Nel bosco la merenda fu fatta su l'erba, in una radura circolare -limitata da fusti di pioppi giganteschi. L'erba corta era tutta piena -di certi piccoli fiori violacei che esalavano un profumo sottile; qua -e là nell'interno discendevano tra il fogliame larghe zone di sole; -e la riviera in basso pareva ferma, aveva una pace lacustre, una pura -trasparenza ove le piante acquatiche dormivano immote. - -Dopo la merenda, alcuni si sparpagliarono per la riva, altri rimasero -distesi supini. - -Rosa ed Emidio si trovarono insieme; si presero a braccio e -cominciarono a camminare per un sentiero segnato tra i cespugli. - -Ella si appoggiava tutta su lui; rideva, strappava le foglie ai -virgulti nel passaggio, morsicchiava gli steli amari, rovesciava la -testa in dietro per guardar le ghiandaie fuggiasche. Nel moto il -pettine di tartaruga le scivolò dai capelli che d'un tratto le si -diffusero su le spalle con una stupenda ricchezza. - -Emidio si chinò insieme a lei per raccogliere il pettine. Nel -rialzarsi, le due teste si urtarono un poco. Rosa, reggendosi la fronte -tra le mani, gridava tra le risa: - -— Ahi! Ahi! - -Il giovinetto la guardava, sentendosi fremere sin nelle midolle e -sentendosi impallidire e temendo di tradirsi. - -Ella distaccò con l'unghie da un tronco una lunga spirale d'edera, -se l'avvolse alle trecce con un attorcigliamento rapido e fermò la -ribellione su la nuca con i denti del pettine. Le foglie verdi, talune -rossastre, mal contenute, rompevano fuori irregolarmente. Ella chiese: - -— Così vi piaccio? - -Ma Emidio non aprì bocca; non seppe che rispondere. - -— Ah, non va bene! Siete forse muto? - -Egli aveva voglia di cadere in ginocchio. E, come Rosa rideva d'un -riso scontento, egli si sentiva quasi salire il pianto agli occhi per -l'angoscia di non poter trovare una parola sola. - -Seguitarono a camminare. In un punto un'alberella abbattuta impediva -il passaggio. Emidio con ambe le mani sollevò il fusto, e Rosa passò di -sotto ai rami verdeggianti che un istante la incoronarono. - -Più in là incontrarono un pozzo ai cui fianchi stavano due bacini di -pietra rettangolari. Gli alberi densi formavano intorno e sopra il -pozzo una chiostra di verdura. Ivi l'ombra era profonda, quasi umida. -La vôlta vegetale si rispecchiava perfettamente nell'acqua che giungeva -a metà dei parapetti di mattone. - -Rosa disse, distendendo le braccia: - -— Come si sta bene qui! - -Poi raccolse l'acqua nel concavo della palma, con un'attitudine di -grazia, e sorseggiò. Le gocciole le cadevano di tra le dita e le -imperlavano la veste. - -Quando fu dissetata, con tutt'e due le palme raccolse altr'acqua, e -l'offerse al compagno lusinghevolmente: - -— Bevete! - -— Non ho sete — balbettò Emidio istupidito. - -Ella gli gettò l'acqua in viso, facendo con il labbro inferiore una -smorfia quasi di dispregio. Poi si distese dentro uno dei bacini -asciutti, come in una culla, tenendo i piedi fuori dell'orlo, e -scotendoli irrequietamente. A un tratto si rialzò, guardò Emidio con -uno sguardo singolare: - -— Dunque? Andiamo. - -Si rimisero in cammino, tornarono al luogo della riunione, sempre in -silenzio. I merli fischiavano su le loro teste; fasci orizzontali di -raggi attraversavano i loro passi; e il profumo del bosco cresceva -intorno a loro. - -Alcuni giorni dopo, Emidio partiva. - -Alcuni mesi dopo, il fratello d'Emidio prendeva in moglie Rosa. - -Nei primi anni di seminario il cherico aveva pensato spesso alla nuova -cognata. Nella scuola, mentre i preti spiegavano l'_Epitome historiæ -sacræ_, egli aveva fantasticato di lei. Nello studio, mentre i suoi -vicini, nascosti dai leggii aperti, si davano fra loro a pratiche -oscene, egli aveva chiuso la faccia tra le mani, e s'era abbandonato -ad immaginazioni impure. Nella chiesa, mentre le litanie alla Vergine -sonavano, egli, dietro l'invocazione alla _Rosa mystica_, era fuggito -lontano. - -E, come aveva appresa dai condiscepoli la corruzione, la scena del -bosco gli era apparsa in una nuova luce. E il sospetto di non avere -indovinato, il rammarico di non aver saputo cogliere un frutto che gli -si offriva, allora lo tormentarono stranamente. - -Dunque era così? Dunque Rosa un giorno lo aveva amato? Dunque egli era -passato inconsapevole accanto a una grande gioia? - -E questo pensiero ogni giorno si faceva più acuto, più insistente, -più incalzante, più angustioso. E ogni giorno egli se ne pasceva con -maggiore intensità di sofferenza; finchè, nella lunga monotonia della -vita sacerdotale, questo pensiero divenne per lui una specie di morbo -immedicabile, e dinanzi alla irrimediabilità della cosa egli fu preso -da uno scoramento immenso, da una melanconia senza fine. - -— Dunque egli non aveva saputo! - -Nella stanza ora i ceri lacrimavano. Di tra le stecche delle persiane -chiuse entravano soffi di vento più forti, e facevano inarcare le -tende. - -Rosa, invasa pianamente dal sopore, chiudeva di tanto in tanto le -palpebre; e come la testa le cadeva sul petto, le riapriva subitamente. - -— Siete stanca? — chiese con molta dolcezza il cherico. - -— Io, no — rispose la donna, riprendendo gli spiriti ed ergendosi su la -vita. - -Ma nel silenzio di nuovo il sopore le occupò i sensi. Ella teneva la -testa appoggiata alla parete: i capelli le empivano tutto il collo, -dalla bocca semiaperta le usciva la respirazione lenta e regolare. Così -ella era bella; e nulla in lei era più voluttuoso che il ritmo del seno -e la visibile forma dei ginocchi sotto la gonna leggiera. Un soffio -repentino fece gemere le tende e spense i due ceri più vicini alla -finestra. - -— S'io la baciassi? — pensò Emidio, per una suggestione improvvisa -della carne guardando l'assopita. - -Ancora i canti umani si propagavano nella notte di giugno, con la -solennità delle cadenze liturgiche; e sorgevano di lontananza in -lontananza le risposte in diversi toni, senza compagnia di stromenti. -Poichè il plenilunio doveva essere alto, il fioco lume interno non -valeva a vincere l'albore che pioveva copioso su le persiane, e si -versava fra gli intervalli del legno. - -Emidio si volse verso il letto mortuario. I suoi occhi, scorrendo la -linea rigida e nera del cadavere, si fermarono involontariamente su -la mano, su una mano gonfia e giallastra, un po' adunca, solcata di -trame livide nel dorso; e prestamente si ritrassero. Piano piano, -nell'inconsapevolezza del sonno, la testa di Rosa, quasi segnando -su la parete un semicerchio, si chinò verso il cherico turbato. La -reclinazione della bella testa muliebre fu in atto dolcissima; e, -poichè il movimento alterò un poco il sonno, tra le palpebre a pena a -pena sollevate apparve un lembo d'iride e scomparve nel bianco, quasi -come una foglia di viola nel latte. - -Emidio rimase immobile, tenendo contro l'omero il peso. Egli frenava -il respiro per tema di destare la dormiente, e un'angoscia enorme -l'opprimeva per il battito del cuore e dei polsi e delle tempie, che -pareva empire tutta la stanza. Ma, come il sonno di Rosa continuava, -a poco a poco egli si sentì illanguidire e mancare in una mollezza -invincibile, guardando quella gola femminea che le collane di Venere -segnavano di voluttà, aspirando quell'alito caldo e l'odor dei capelli. - -Un nuovo soffio, carico di profumo notturno, piegò la terza fiammella e -la spense. - -Allora senza più pensare, senza più temere, abbandonandosi tutto alla -tentazione, il vegliante baciò la donna in bocca. - -Al contatto, ella si destò di soprassalto; aprì gli occhi stupefatti in -faccia al cognato, divenne pallida pallida. - -Poi, lentamente si raccolse i capelli su la nuca; e stette là, con -il busto eretto, tutta vigile, guardando dinanzi a sè nelle ombre -varianti. - -— Chi ha spento i ceri? - -— Il vento. - -Non altro dissero. Ambedue rimanevano sul cassone da nozze, come prima, -seduti a canto, sfiorandosi con i gomiti, in una incertezza penosa, -evitando con una specie di artificio mentale che la loro coscienza -giudicasse il fatto e lo condannasse. Spontaneamente ambedue rivolsero -l'attenzione alle cose esteriori, in quest'operazione dello spirito -mettendo un'intensità fittizia, concorrendovi pure con l'attitudine -della persona. E a poco a poco una specie di ebrietà li conquistava. - -I canti, nella notte, seguitavano e s'indugiavano per l'aria -lunghissimamente, e s'ammollivano lusinghevolmente di risposta in -risposta. Le voci maschili e le voci feminili facevano un componimento -amoroso. Talvolta una sola voce emergeva su le altre altissima, dando -una nota unica, in torno a cui gli accordi concorrevano come onde in -torno al medio filo d'una corrente fluviatile. Ora, ad intervalli, sul -principio di ciascun canto, si udiva la vibrazione metallica di una -chitarra accordata in diapente; e tra una ripresa e l'altra si udivano -gli urti misurati delle trebbie in sul terreno. - -I due ascoltavano. - -Forse per una vicenda del vento, ora gli odori non erano più gli -stessi. Venivano, forse dalla collina d'Orlando, i profumi possenti -dell'agrumeto; forse dai giardini di Scalia i profumi delle rose, così -densi che davano all'aria il sapore delle confetture nuziali; forse -dal padule della Farnia le fragranze umide dei giaggioli, che respirate -deliziavano come un sorso d'acqua. - -I due rimanevano ancora taciturni, sul cassone, immobili, oppressi -dalla voluttà della notte lunare. Dinanzi a loro l'ultima fiammella -oscillava rapidamente, e curvandosi faceva lacrimare il cero consunto. -Ad ogni tratto, pareva sul punto di spegnersi. I due non si movevano. -Stavano là ansiosi, con gli occhi dilatati e fissi, a guardare la -tremula fiammella moritura. D'improvviso il vento inebriante la spense. -Allora, senza temere l'ombra, con un'avidità concorde, nel medesimo -tempo, l'uomo e la donna si strinsero l'uno all'altra, si allacciarono, -si cercarono con la bocca, perdutamente, ciecamente, senza parlare, -soffocandosi di carezze. - - - - -LA CONTESSA D'AMALFI. - - -I. - -Quando, verso le due del pomeriggio, Don Giovanni Ussorio stava per -mettere il piede su la soglia della casa di Violetta Kutufà, Rosa -Catana apparve in cima alle scale e disse a voce bassa, tenendo il capo -chino: - -— Don Giovà, la signora è partita. - -Don Giovanni, alla novella improvvisa, rimase stupefatto; e stette un -momento, con gli occhi spalancati, con la bocca aperta, a guardare in -su, quasi aspettando altre parole esplicative. Poichè Rosa taceva, in -cima alle scale, torcendo fra le mani un lembo del grembiule e un poco -dondolandosi, egli chiese: - -— Ma come? ma come?... - -E salì alcuni gradini, ripetendo con una lieve balbuzie: - -— Ma come? ma come? - -— Don Giovà, che v'ho da dire? È partita. - -— Ma come? - -— Don Giovà, io non saccio, mo. - -E Rosa fece qualche passo nel pianerottolo, verso l'uscio -dell'appartamento vuoto. Ella era una femmina piuttosto magra, con i -capelli rossastri, con la pelle del viso tutta sparsa di lentiggini. I -suoi larghi occhi cinerognoli avevano però una vitalità singolare. La -eccessiva distanza tra il naso e la bocca dava alla parte inferiore del -viso un'apparenza scimmiesca. - -Don Giovanni spinse l'uscio socchiuso ed entrò nella prima stanza, -poi entrò nella seconda, poi nella terza; fece il giro di tutto -l'appartamento, a passi concitati; si fermò nella piccola camera del -bagno. Il silenzio quasi lo sbigottì; un'angoscia enorme gli prese -l'animo. - -— È vero! È vero! — balbettava, guardandosi a torno, smarrito. - -Nella camera i mobili erano al loro posto consueto. Mancavano però -su la tavola, a piè dello specchio rotondo, le fiale di cristallo, -i pettini di tartaruga, le scatole, le spazzole, tutti quei minuti -oggetti che servono alla cura della bellezza muliebre. Stava in un -angolo una specie di gran bacino di zinco in forma di chitarra; e -dentro il bacino l'acqua traluceva, tinta lievemente di roseo da una -essenza. L'acqua esalava un profumo sottile che si mesceva nell'aria -col profumo della cipria. L'esalazione aveva in sè qualche cosa di -carnale. - -— Rosa! Rosa! — chiamò Don Giovanni, con la voce soffocata, sentendosi -invadere da un rammarico immenso. - -La femmina comparve. - -— Racconta com'è stato! Per dove è partita? E quando è partita? E -perchè? — chiedeva Don Giovanni, facendo con la bocca una smorfia -puerile e buffa come per rattenere il pianto o per respingere il -singhiozzo. Egli aveva presi ambedue i polsi di Rosa; e così la -sollecitava a parlare, a rivelare. - -— Io non saccio, signore... Stamattina ha messa la roba nelle valige; -ha mandato a chiamare la carrozza di Leone; e se n'è andata senza dire -niente. Che ci volete fare? Tornerà. - -— Torneràaa? — piagnucolò Don Giovanni, sollevando gli occhi dove già -le lacrime incominciavano a sgorgare. — Te l'ha detto? Parla! - -E quest'ultimo verbo fu uno strillo quasi minaccioso e rabbioso. - -— Eh... veramente a me m'ha detto: «Addio, Rosa. Non ci vediamo più...» -Ma... insomma... chi lo sa!... Tutto può essere. - -Don Giovanni si accasciò sopra una sedia, a queste parole; e si mise -a singhiozzare con tanto impeto di dolore che la femmina ne fu quasi -intenerita. - -— Don Giovà, mo che fate? Non ci stanno altre femmine a questo mondo? -Don Giovà, mo vi pare?... - -Don Giovanni non intendeva. Seguitava a singhiozzare come un bambino, -nascondendo la faccia nel grembiule di Rosa Catana; e tutto il suo -corpo era scosso dai sussulti del pianto. - -— No, no, no... Voglio Violetta! Voglio Violetta! - -A quello stupido pargoleggiare, Rosa non potè tenersi di sorridere. E -si diede a lisciare il cranio calvo di Don Giovanni, mormorando parole -di consolazione: - -— Ve la ritrovo io Violetta; ve la ritrovo io... Zitto! Zitto! Non -piangete più, Don Giovannino. La gente che passa può sentire. Mo vi -pare, mo? - -Don Giovanni, a poco a poco, sotto la carezza amorevole, frenava le -lacrime: si asciugava gli occhi al grembiule. - -— Oh! Oh! che cosa! — esclamò, dopo essere stato un momento con lo -sguardo fisso al bacino di zinco, dove l'acqua scintillava ora sotto un -raggio. — Oh! Oh! che cosa! Oh! - -E si prese la testa fra le mani, e due o tre volte oscillò come fanno -talora gli scimmioni prigionieri. - -— Via, Don Giovannino, via! — diceva Rosa Catana, prendendolo -pianamente per un braccio e tirandolo. - -Nella piccola camera il profumo pareva crescere. Le mosche ronzavano -innumerevoli in torno a una tazza dov'era un residuo di caffè. Il -riflesso dell'acqua nella parete tremolava come una sottil rete di oro. - -— Lascia tutto così! — raccomandò Don Giovanni alla femmina, con una -voce interrotta dai singulti mal repressi. E discese le scale, scotendo -il capo su la sua sorte. Egli aveva gli occhi gonfi e rossi, a fior -di testa, simili a quelli di certi cani imbastarditi. Il suo corpo -rotondo, dal ventre prominente, gravava su due gambette un poco volte -in dentro. In torno al suo cranio calvo girava una corona di lunghi -capelli arricciati, che parevano non crescere dalla cotenna ma dalle -spalle e salire verso la nuca e le tempie. Egli con le mani inanellate, -di tanto in tanto, soleva accomodare qualche ciocca scomposta: gli -anelli preziosi e vistosi gli rilucevano perfino nel pollice, e un -bottone di corniola grosso come una fragola gli fermava lo sparato -della camicia a mezzo il petto. - -Come uscì alla luce viva della piazza, provò di nuovo uno smarrimento -invincibile. Alcuni ciabattini attendevano all'opera loro, lì accanto, -mangiando fichi. Un merlo in gabbia fischiava l'inno di Garibaldi, -continuamente, ricominciando sempre da capo, con una persistenza -accorante. - -— Servo suo, Don Giovanni! — disse Don Domenico Oliva passando e -togliendosi il cappello con quella sua gloriosa cordialità napoletana. -E, mosso a curiosità dall'aspetto sconvolto del signore, dopo poco -ripassò e risalutò con maggior larghezza di gesto e di sorriso. -Egli era un uomo che aveva il busto lunghissimo e le gambe corte e -l'atteggiamento della bocca involontariamente irrisorio. I cittadini di -Pescara lo chiamavano Culinterra. - -— Servo suo! - -Don Giovanni, in cui un'ira velenosa cominciava a fermentare poichè -le risa dei mangiatori di fichi e i sibili del merlo lo irritavano, -al secondo saluto voltò dispettoso le spalle e si mosse, credendo quel -saluto un'irrisione. - -Don Domenico, stupefatto, lo seguiva. - -— Ma... Don Giovà!... sentite... ma... - -Don Giovanni non voleva ascoltare. Camminava innanzi a passi lesti, -verso la sua casa. Le fruttivendole e i maniscalchi lungo la via -guardavano, senza capire, l'inseguimento di quei due uomini affannati e -gocciolanti di sudore sotto il solleone. - -Giunto alla porta, Don Giovanni, che quasi stava per scoppiare, si -voltò come un aspide, giallo e verde per la rabbia. - -— Don Domè, o Don Domè, io ti do in capo! - -Ed entrò, dopo la minaccia; e chiuse la porta dietro di sè con violenza. - -Don Domenico, sbigottito, rimase senza parole in bocca. Poi rifece la -via, pensando quale potesse essere la causa del fatto. Matteo Verdura, -uno dei mangiatori di fichi, chiamò: - -— Venite! venite! Vi debbo dire 'na cosa grande. - -— Che cosa? — chiese l'uomo di schiena lunga, avvicinandosi. - -— Non sapete niente? - -— Che? - -— Ah! Ah! Non sapete niente ancora? - -— Ma che? - -Verdura si mise a ridere; e gli altri ciabattini lo imitarono. Un -momento tutti quelli uomini sussultarono d'uno stesso riso rauco e -incomposto, in diverse attitudini. - -— Pagate tre soldi di fichi se ve lo dico? - -Don Domenico, ch'era tirchio, esitò un poco. Ma la curiosità lo vinse. - -— Be', pago. - -Verdura chiamò una femmina e fece ammonticchiare sul suo desco le -frutta. Poi disse: - -— Quella signora che stava là sopra, Donna Viuletta, sapete?... Quella -del teatro, sapete?... - -— Be'? - -— Se n'è scappata stamattina. Tombola! - -— Da vero? - -— Da vero, Don Domè. - -— Ah, mo capisco! — esclamò Don Domenico, ch'era un uomo fino, -sogghignando crudelissimamente. - -E, come voleva vendicarsi della contumelia di Don Giovanni e rifarsi -dei tre soldi spesi per la notizia, andò subito verso il _casino_ per -divulgare la cosa, per ingrandire la cosa. - -Il _casino_, una specie di bottega del caffè, stava immerso nell'ombra; -e su dal tavolato sparso di acqua saliva un singolare odore di polvere -e di muffa. Il dottore Panzoni russava abbandonato sopra una sedia con -le braccia penzolanti. Il barone Cappa, un vecchio appassionato per -i cani zoppi e per le fanciulle tenerelle, sonnecchiava discretamente -su una gazzetta. Don Ferdinando Giordano moveva le bandierine su una -carta rappresentante il teatro della guerra franco-prussiana. Don -Settimio de Marinis discuteva di Pietro Metastasio col dottor Fiocca, -non senza molti scoppi di voce e non senza una certa eloquenza fiorita -di citazioni poetiche. Il notaro Gaiulli, non sapendo con chi giocare, -maneggiava le carte da giuoco solitariamente e le metteva in fila -sul tavolino. Don Paolo Seccia girava in torno al quadrilatero del -biliardo, con passi misurati per favorire la digestione. - -Don Domenico Oliva entrò con tale impeto che tutti si voltarono verso -di lui, tranne il dottore Panzoni il quale rimase tra le braccia del -sonno. - -— Sapete? sapete? - -Don Domenico era così ansioso di dire la cosa e così affannato che -da prima balbettava senza farsi intendere. Tutti quei galantuomini -in torno a lui pendevano dalle sue labbra, presentivano con gioia un -qualche strano avvenimento che alimentasse alfine le loro chiacchiere -pomeridiane. Don Paolo Seccia, che era un poco sordo da un orecchio, -disse impazientito: - -— Ma che v'hanno legata la lingua, Don Domè? - -Don Domenico ricominciò da capo la narrazione, con più calma e più -chiarezza. Disse tutto; ingrandì i furori di Don Giovanni Ussorio; -aggiunse particolarità fantastiche; s'inebriò delle parole. — Capite? -capite? E poi questo; e poi quest'altro... - -Il dottore Panzoni al clamore aperse le palpebre; volgendo i grossi -globi visivi ancora stupidi di sonno e russando ancora pel naso tutto -vegetante di nèi mostruosi, disse o russò, nasalmente: - -— Che c'è? Che c'è? - -E con fatica puntellandosi al bastone si levò piano piano e venne nel -crocchio per udire. - -Il barone Cappa ora narrava, con alquanta saliva nella bocca, una -storiella grassa, a proposito di Violetta Kutufà. Nelle pupille degli -ascoltatori intenti passavano luccicori, a tratti. Gli occhiolini -verdognoli di Don Paolo Seccia scintillavano come immersi in un umore -esilarante. Alla fine, le risa scoppiarono. - -Ma il dottor Panzoni, così ritto, s'era riaddormentato; poichè a lui -sempre il sonno, grave come un morbo, siedeva dentro le nari. E rimase -a russare, solo nel mezzo, con il capo chino sul petto; mentre gli -altri si disperdevano per tutto il paese a divulgare la novella, di -famiglia in famiglia. - -E la novella, divulgata, mise a rumore Pescara. Verso sera, co 'l -fresco della marina e con la luna crescente, tutti i cittadini uscirono -per le vie e per le piazzette. Il chiacchierío fu infinito. Il nome di -Violetta Kutufà correva su tutte le bocche. Don Giovanni Ussorio non fu -veduto. - - -II. - -Violetta Kutufà era venuta a Pescara nel mese di gennaio, in tempo -di carnevale, con una compagnia di cantatori. Ella diceva d'essere -una Greca dell'Arcipelago, di aver cantato in un teatro di Corfù al -cospetto del re degli Elleni e di aver fatto impazzire d'amore un -ammiraglio d'Inghilterra. Era una donna di forme opulente, di pelle -bianchissima. Aveva due braccia straordinariamente carnose e piene di -piccole fosse che apparivano rosee ad ogni moto; e le piccole fosse -e le anella e tutte le altre grazie proprie di un corpo infantile -rendevano singolarmente piacevole e fresca e quasi ridente la sua -pinguedine. I lineamenti del volto erano un po' volgari: gli occhi -color tané, pieni di pigrizia; le labbra grandi, piatte e come -schiacciate. Il naso non rivelava l'origine greca: era corto, un poco -erto, con le narici larghe e respiranti. I capelli, neri, abbondavano. -Ed ella parlava con un accento molle, esitando ad ogni parola, ridendo -quasi sempre. La sua voce spesso diventava roca, d'improvviso. - -Quando la compagnia giunse, i Pescaresi smaniavano nell'aspettazione. -I cantatori forestieri furono ammirati per le vie, nei loro gesti, -nel loro incedere, nel loro vestire, e in ogni loro attitudine. Ma la -persona su cui tutta l'attenzione converse fu Violetta Kutufà. - -Ella portava una specie di giacca scura orlata di pelliccia e chiusa -da alamari d'oro, e sul capo una specie di tôcco tutto di pelliccia, -chino un po' da una parte. Andava sola, camminando speditamente; -entrava nelle botteghe, trattava con un certo disdegno i bottegai, si -lagnava della mediocrità delle merci, usciva senza aver nulla comprato: -cantarellava, con noncuranza. - -Per le vie, nelle piazzette, su tutti i muri, grandi scritture a mano -annunziavano la rappresentazione della _Contessa d'Amalfi_. Il nome -di Violetta Kutufà risplendeva in lettere vermiglie. Gli animi dei -Pescaresi si accendevano. La sera aspettata giunse. - -Il teatro era in una sala dell'antico Ospedal militare, all'estremità -del paese, verso la marina. La sala era bassa, stretta e lunga come -un corridoio: il palco scenico, tutto di legname e di carta dipinta, -s'inalzava pochi palmi da terra; contro le pareti maggiori stavano le -tribune, costruite d'assi e di tavole, ricoperte di bandiere tricolori, -ornate di festoni. Il sipario, opera insigne di Cucuzzitto figlio di -Cucuzzitto, raffigurava la Tragedia, la Comedia e la Musica allacciate -come le tre Grazie e trasvolanti sul ponte a battelli sotto cui passava -la Pescara turchina. Le sedie, tolte alle chiese, occupavano metà della -platea. Le panche, tolte alle scuole, occupavano il resto. - -Verso le sette la banda comunale prese a sonare in piazza e sonando -fece il giro del paese; e si fermò quindi al teatro. La marcia -fragorosa sollevava gli animi al passaggio. Le signore fremevano -d'impazienza, nei loro belli abiti di seta. La sala rapidamente si -empì. - -Su le tribune raggiava una corona di signore e di signorine -gloriosissima. Teodolinda Pomàrici, la filodrammatica sentimentale e -linfatica, sedeva accanto a Fermina Memma la _mascula_. Le Fusilli, -venute da Castellammare, grandi fanciulle dagli occhi nerissimi, -vestite di una eguale stoffa rosea, tutte con i capelli stretti in -treccia giù per la schiena, ridevano forte e gesticolavano. Emilia -d'Annunzio volgeva attorno i belli occhi lionati con un'aria di tedio -infinito. Mariannina Cortese faceva segni col ventaglio a Donna Rachele -Profeta che stava di fronte. Donna Rachele Bucci con Donna Rachele -Carabba ragionava di tavolini parlanti e di apparizioni. Le maestre -Del Gado, vestite tutt'e due di seta cangiante, con mantellette di -moda antichissime e con certe cuffie luccicanti di pagliuzze d'acciaio, -tacevano, compunte, forse stordite dalla novità del caso, forse pentite -d'esser venute a uno spettacolo profano. Costanza Lesbii tossiva -continuamente, rabbrividendo sotto lo scialle rosso; bianca bianca, -bionda bionda, sottile sottile. - -Nelle prime sedie della platea sedevano gli ottimati. Don Giovanni -Ussorio primeggiava, bene curato nella persona, con magnifici calzoni a -quadri bianchi e neri, con soprabito di castoro lucido, con alle dita -e alla camicia una gran quantità di oreficeria chietina. Don Antonio -Brattella, membro dell'Areopago di Marsiglia, un uomo spirante la -grandezza da tutti i pori e specialmente dal lobo auricolare sinistro -ch'era grosso come un'albicocca acerba, raccontava, a voce alta, il -dramma lirico di Giovanni Peruzzini; e le parole, uscendo dalla sua -bocca, acquistavano una rotondità ciceroniana. Gli altri su le sedie si -agitavano con maggiore o minore importanza. Il dottore Panzoni lottava -in vano contro le lusinghe del sonno e di tanto in tanto faceva un -rumore che si confondeva con il la degli strumenti preludianti. - -— Pss! psss! pssss! - -Nel teatro il silenzio divenne profondo. All'alzarsi della tela, la -scena era vuota. Il suono d'un violoncello veniva di tra le quinte. -Uscì Tilde, e cantò. Poi uscì Sertorio, e cantò. Poi entrò una torma di -allievi e di amici, e intonò un coro. Poi Tilde si avvicinò pianamente -alla finestra. - - Oh! come lente l'ore - Sono al desio!... - -Nel pubblico incominciava la commozione, poichè doveva essere imminente -un duetto di amore. Tilde, in verità, era un _primo soprano_ non molto -giovine; portava un abito azzurro; aveva una capellatura biondastra -che le ricopriva insufficentemente il cranio; e, con la faccia bianca -di cipria, rassomigliava a una costoletta cruda e infarinata che fosse -nascosta dentro una parrucca di canapa. - -Egidio venne. Egli era il tenore giovine. Come aveva il petto -singolarmente incavato, le gambe un po' curve, rassomigliava un -cucchiaio a doppio manico, su 'l quale fosse appiccicata una di quelle -teste di vitello raschiate e pulite che si veggono talvolta nelle -mostre dei beccai. - - Tilde! il tuo labbro è muto, - Abbassi al suol gli sguardi. - Un tuo gentil saluto, - Dimmi, perchè mi tardi? - È la tua man tremante.... - Fanciulla mia, perchè? - -E Tilde, con un impeto di sentimento: - - In sì solenne istante - Tu lo domandi a me? - -Il duetto crebbe in tenerezza. Le melodie del cavaliere Petrella -deliziavano le orecchie degli uditori. Tutte le signore stavano chinate -sul parapetto delle tribune, immobili, attente; e i loro volti, battuti -dal riflesso del verde delle bandiere, impallidivano. - - Un cangiar di paradiso - Il morir ci sembrerà! - -Tilde uscì; ed entrò, cantando, il duca Carnioli ch'era un uomo -corpulento e truculento e zazzeruto come ad un baritono si addice. -Egli cantava fiorentinamente, aspirando le c iniziali, anzi addirittura -sopprimendole talvolta. - - Non sai tu che piombo è a ippiede - La atena oniugale? - -Ma quando nel suo canto nominò alfine _d'Amalfi la contessa_, corse nel -pubblico un fremito lungo. La contessa era desiderata, invocata. - -Chiese Don Giovanni Ussorio a Don Antonio Brattella: - -— Quando viene? - -Rispose Don Antonio, lasciando cadere dall'alto la risposta: - -— Oh, mio Dio, Don Giovà! Non sapete? Nell'atto secondo! Nell'atto -secondo! - -Il sermone di Sertorio fu ascoltato con una certa impazienza. Il -sipario calò fra applausi deboli. Il trionfo di Violetta Kutufà così -incominciava. Un gran susurro correva per la platea, per le tribune, -crescendo, mentre si udivano dietro il sipario i colpi di martello dei -macchinisti. Quel lavorìo invisibile aumentava l'aspettazione. - -Quando il sipario si alzò, una specie di stupore invase gli animi. -L'apparato scenico parve meraviglioso. Tre arcate si prolungavano in -prospettiva, illuminate; e quella di mezzo terminava in un giardino -fantastico. Alcuni paggi stavano sparsi qua e là, e s'inchinavano. La -contessa d'Amalfi, tutta vestita di velluto rosso, con uno strascico -regale, con le braccia e le spalle nude, rosea nella faccia, entrò a -passi concitati. - - Fu una sera d'ebrezza, e l'alma mia - N'è piena ancor.... - -La sua voce era disuguale, talvolta stridula, ma spesso poderosa, -acutissima. Produsse nel pubblico un effetto singolare, dopo il -miagolìo tenero di Tilde. Subitamente il pubblico si divise in due -fazioni: le donne stavano per Tilde; gli uomini, per Leonora. - - A' vezzi miei resistere - Non è sì facil gioco... - -Leonora aveva nelle attitudini, nei gesti, nei passi, una procacità -che inebriava ed accendeva i celibi avvezzi alle flosce Veneri del -vico di Sant'Agostino, e i mariti stanchi delle scipitezze coniugali. -Tutti guardavano, ad ogni volgersi della cantatrice, le spalle grasse -e bianche, dove al gioco delle braccia rotonde due fossette parevano -ridere. - -Alla fine dell'_a solo_ gli applausi scoppiarono con un fragore -immenso. Poi lo svenimento della contessa, le simulazioni dinanzi al -duca Carnioli, il principio del duetto, tutte le scene suscitarono -applausi. Nella sala s'era addensato il calore: per le tribune i -ventagli s'agitavano confusamente, e nello sventolìo le facce feminili -apparivano e sparivano. Quando la contessa si appoggiò a una colonna, -in un'attitudine d'amorosa contemplazione, e fu rischiarata dalla luce -lunare d'un _bengala_, mentre Egidio cantava la romanza soave. Don -Antonio Brattella disse forte: - -— È grande! - -Don Giovanni Ussorio, con un impeto subitaneo, si mise a battere le -mani, solo. Gli altri imposero silenzio, poichè volevano ascoltare. Don -Giovanni rimase confuso. - - Tutto d'amore, tutto ha favella: - La luna, il zeffiro, le stelle, il mar.... - -Le teste degli uditori, al ritmo della melodia petrelliana, -ondeggiavano, se bene la voce di Egidio era ingrata; e gli occhi -si deliziavano, se bene la luce della luna era fumosa e un po' -giallognola. Ma quando, dopo un contrasto di passione e di seduzione, -la contessa d'Amalfi incamminandosi verso il giardino riprese la -romanza, la romanza che ancora vibrava nelle anime, il diletto degli -uditori fu tanto che molti sollevavano il capo e l'abbandonavano un -poco in dietro quasi per gorgheggiare insieme con la sirena perdentesi -tra i fiori. - - La barca è presta.... deh vieni, o bella! - Amor c'invita.... vivere è amar. - -In quel punto Violetta Kutufà conquistò intero Don Giovanni Ussorio -che, fuori di sè, preso da una specie di furore musicale ed erotico, -acclamava senza fine: - -— Brava! Brava! Brava! - -Disse Don Paolo Seccia, forte: - -— 'O vi', 'o vi', s'è 'mpazzito Ussorio! - -Tutte le signore guardavano Ussorio, stordite, smarrite. Le maestre Del -Gado scorrevano il rosario, sotto le mantelline. Teodolinda Pomàrici -rimaneva estatica. Soltanto le Fusilli conservavano la loro vivacità -e cinguettavano, tutte rosee, facendo guizzare nei movimenti le trecce -serpentine. Nel terzo atto, non i morenti sospiri di Tilde che le donne -proteggevano, non le rampogne di Sertorio e Carnioli, non le canzonette -dei popolani, non il monologo del malinconico Egidio, non le allegrezze -delle dame e dei cavalieri ebbero virtù di distrarre il pubblico dalla -voluttà antecedente. — Leonora! Leonora! - -E Leonora ricomparve a braccio del conte di Lara, scendendo da un -padiglione. E toccò il culmine del trionfo. - -Ella aveva ora un abito violetto, ornato di galloni d'argento e di -fermagli enormi. Si volse verso la platea, dando un piccolo colpo -di piede allo strascico e scoprendo nell'atto la caviglia. Poi, -inframmezzando le parole di mille vezzi e di mille lezii, cantò fra -giocosa e beffarda: - - Io son la farfalla che scherza tra i fiori.... - -Quasi un delirio prese il pubblico a quell'aria già nota. La contessa -d'Amalfi, sentendo salire fino a sè l'ammirazione ardente degli uomini -e la cupidigia, s'inebriò, moltiplicò le seduzioni del gesto e del -passo; salì con la voce a supreme altitudini. La sua gola carnosa, -segnata dalla collana di Venere, palpitava ai gorgheggi, scoperta. - - Son l'ape che solo di mèle si pasce; - M'inebrio all'azzurro d'un limpido ciel.... - -Don Giovanni Ussorio, rapito, guardava con tale intensità che gli occhi -parevano volergli uscir fuori delle orbite. Il barone Cappa faceva un -po' di bava, incantato. Don Antonio Brattella, membro dell'Areopago di -Marsiglia, gonfiò, gonfiò, fin che disse, in ultimo: - -— Colossale! - - -III. - -E Violetta Kutufà così conquistò Pescara. - -Per oltre un mese le rappresentazioni dell'opera del cavaliere Petrella -si seguirono con favore crescente. Il teatro era sempre pieno, gremito. -Le acclamazioni a Leonora scoppiavano furiose ad ogni fine di romanza. -Un singolare fenomeno avveniva: tutta la popolazione di Pescara pareva -presa da una specie di manìa musicale; tutta la vita pescarese pareva -chiusa nel circolo magico di una melodia unica, di quella ov'è la -farfalla che scherza tra i fiori. Da per tutto, in tutte le ore, in -tutti i modi, in tutte le possibili variazioni, in tutti gli strumenti, -con una persistenza stupefacente, quella melodia si ripeteva; e -l'imagine di Violetta Kutufà collegavasi alle note cantanti, come, -Dio mi perdoni, agli accordi dell'organo l'imagine del Paradiso. -Le facoltà musiche e liriche, le quali nel popolo aternino sono -nativamente vivissime, ebbero allora una espansione senza limiti. I -monelli fischiavano per le vie; tutti i dilettanti sonatori provavano. -Donna Lisetta Memma sonava l'aria sul gravicembalo, dall'alba al -tramonto; Don Antonio Brattella la sonava sul flauto; Don Domenico -Quaquino sul clarinetto; Don Giacomo Palusci, il prete, su una sua -vecchia spinetta rococò; Don Vincenzo Rapagnetta sul violoncello; Don -Vincenzo Ranieri su la tromba; Don Nicola d'Annunzio sul violino. Dai -bastioni di Sant'Agostino all'Arsenale e dalla Pescheria alla Dogana, i -vari suoni si mescolavano e contrastavano e discordavano. Nelle prime -ore del pomeriggio il paese pareva un qualche grande ospizio di pazzi -incurabili. Perfino gli arrotini, affilando i coltelli alla ruota, -cercavano di seguire con lo stridore del ferro e della cote il ritmo. - -Com'era tempo di carnevale, nella sala del teatro fu dato un festino -pubblico. - -Il giovedì grasso, alle dieci di sera, la sala fiammeggiava di candele -steariche, odorava di mortelle, risplendeva di specchi. Le maschere -entravano a stuoli. I pulcinelli predominavano. Sopra un palco, -fasciato di veli verdi e constellato di stelle di carta argentea, -l'orchestra incominciò a sonare. Don Giovanni Ussorio entrò. - -Egli era vestito da gentiluomo spagnuolo, e pareva un conte di Lara -più grasso. Un berretto azzurro con una lunga piuma bianca gli copriva -la calvizie; un piccolo mantello di velluto rosso gli ondeggiava su le -spalle, gallonato d'oro. L'abito metteva più in vista la prominenza -del ventre e la picciolezza delle gambe. I capelli, lucidi di olii -cosmetici, parevano una frangia artificiale attaccata intorno al -berretto ed erano più neri del consueto. - -Un pulcinella impertinente, passando, strillò con la voce falsa: - -— Mamma mia! - -E fece un gesto di orrore così buffonesco, dinanzi al travestimento di -Don Giovanni, che in torno molte risa scampanellarono. La Ciccarina, -tutta rosea dentro il cappuccio nero della bautta, simile a un bel -fiore di carne, rideva d'un riso luminosissimo, dondolandosi fra due -arlecchini cenciosi. - -Don Giovanni si perse tra la folla, con dispetto. Egli cercava Violetta -Kutufà. I sarcasmi delle altre maschere lo inseguivano e lo ferivano. -D'un tratto egli s'incontrò in un secondo gentiluomo di Spagna, in un -secondo conte di Lara. Riconobbe Don Antonio Brattella, ed ebbe una -fitta al cuore. Già tra quei due uomini la rivalità era scoppiata. - -— Quanto 'sta nespola? — squittì Don Donato Brandimarte, velenosamente, -alludendo all'escrescenza carnosa che il membro dell'Areopago di -Marsiglia aveva nell'orecchio sinistro. - -Don Giovanni esultò di una gioia feroce. I due rivali si guardarono e -si osservarono dal capo alle piante; e si mantennero sempre l'uno poco -discosto dall'altro, pur girando tra la folla. - -Alle undici, nella folla corse una specie di agitazione. Violetta -Kutufà entrava. - -Ella era vestita diabolicamente, con un dominò nero a lungo cappuccio -scarlatto e con una mascherina scarlatta su la faccia. Il mento rotondo -e niveo, la bocca grossa e rossa si vedevano a traverso un sottil velo. -Gli occhi, allungati e resi un po' obliqui dalla maschera, parevano -ridere. - -Tutti la riconobbero, subito; e tutti quasi fecero ala al passaggio -di lei. Don Antonio Brattella si avanzò, leziosamente, da una parte. -Dall'altra si avanzò Don Giovanni. Violetta Kutufà ebbe un rapido -sguardo per gli anelli che brillavano alle dita di quest'ultimo. Indi -prese il braccio dell'Areopagita. Ella rideva, e camminava con un certo -vivace ondeggiare de' lombi. L'Areopagita, parlandole e dicendole le -sue solite gonfie stupidezze, la chiamava contessa, e intercalava nel -discorso i versi lirici di Giovanni Peruzzini. Ella rideva e si piegava -verso di lui e premeva il braccio di lui, ad arte, perchè gli ardori e -gli sdilinquimenti di quel brutto e vano signore la dilettavano. A un -certo punto, l'Areopagita, ripetendo le parole del conte di Lara nel -melodramma petrelliano, disse, anzi sommessamente cantò: - -— Poss'io dunque sperarrr? - -Violetta Kutufà rispose, come Leonora: - -— Chi ve lo vieta?... Addio. - -E, vedendo Don Giovanni poco discosto, si staccò dal cavaliere -affascinato e si attaccò all'altro che già da qualche tempo seguiva con -occhi pieni d'invidia e di dispetto gli avvolgimenti della coppia tra -la folla danzante. - -Don Giovanni tremò, come un giovincello al primo sguardo della -fanciulla adorata. Poi, preso da un impeto glorioso, trasse la -cantatrice nella danza. Egli girava affannosamente, con il naso sul -seno della donna; e il mantello gli svolazzava dietro, la piuma gli si -piegava, rivi di sudore misti ad olii cosmetici gli colavano giù per -le tempie. Non potendo più, si fermò. Traballava per la vertigine. Due -mani lo sorressero; e una voce beffarda gli disse nell'orecchio: - -— Don Giovà, riprendete fiato! - -Era la voce dell'Areopagita, il quale a sua volta trasse la bella nella -danza. - -Egli ballava tenendo il braccio sinistro arcuato sul fianco, battendo -il piede ad ogni cadenza, cercando parer leggiero e molle come una -piuma, con atti di grazia così goffi e con smorfie così scimmiescamente -mobili che intorno a lui le risa e i motti dei pulcinelli cominciarono -a grandinare. - -— Un soldo si paga, signori! - -— Ecco l'orso della Polonia, che balla come un cristiano! Mirate, -signori! - -— Chi vuol nespoleeee? Chi vuol nespoleeee? - -— 'O vi'! 'O vi'! L'urangutango! - -Don Antonio fremeva, dignitosamente, pur seguitando a ballare. - -In torno a lui altre coppie giravano. La sala si era empita di -gente variissima; e nel gran calore le candele ardevano con una -fiamma rossiccia, tra i festoni di mortella. Tutta quella agitazione -multicolore si rifletteva negli specchi. - -La Ciccarina, la figlia di Montagna, la figlia di Suriano, le sorelle -Montanaro apparivano e sparivano, mettendo nella folla l'irraggiamento -della loro fresca bellezza plebea. Donna Teodolinda Pomàrici, alta e -sottile, vestita di raso azzurro, come una madonna, si lasciava portare -trasognata; e i capelli sciolti in anella le fluttuavano su gli omeri. -Costanzella Caffè, la più agile e la più infaticabile fra le danzatrici -e la più bionda, volava da una estremità all'altra in un baleno. -Amalia Solofra, la rossa dai capelli quasi fiammeggianti, vestita da -forosetta, con audacia senza pari, aveva il busto di seta sostenuto -da un solo nastro che contornava l'appiccatura del braccio; e, nella -danza, a tratti le si vedeva una macchia scura sotto le ascelle. Amalia -Gagliano, la bella dagli occhi cisposi, vestita da maga, pareva una -cassa funeraria che camminasse verticalmente. Una specie di ebrietà -teneva tutte quelle fanciulle. Esse erano alterate dall'aria calda e -densa, come da un falso vino. Il lauro e la mortella formavano un odore -singolare, quasi ecclesiastico. - -La musica cessò. Ora tutti salivano i gradini conducenti alla sala dei -rinfreschi. - -Don Giovanni Ussorio venne ad invitare Violetta a cena. L'Areopagita, -per mostrare d'essere in grande intimità con la cantatrice, si chinava -verso di lei e le susurrava qualche cosa all'orecchio e poi si metteva -a ridere. Don Giovanni non si curò del rivale. - -— Venite, contessa? — disse, tutto cerimonioso, porgendo il braccio. - -Violetta accettò. Ambedue salirono i gradini, lentamente, con Don -Antonio dietro. - -— Io vi amo! — avventurò Don Giovanni, tentando di dare alla sua -voce un accento di passione appreso dal _primo amoroso giovine_ d'una -compagnia drammatica di Chieti. - -Violetta Kutufà non rispose. Ella si divertiva a guardare il concorso -della gente verso il banco di Andreuccio che distribuiva rinfreschi -gridando il prezzo ad alta voce, come in una fiera campestre. -Andreuccio aveva una testa enorme, il cranio polito, un naso che -si curvava su la sporgenza del labbro inferiore poderosamente; e -somigliava una di quelle grandi lanterne di carta, che hanno la forma -d'una testa umana. I mascherati mangiavano e bevevano con una cupidigia -bestiale, spargendosi su gli abiti le briciole delle paste dolci e le -gocce dei liquori. - -Vedendo Don Giovanni, Andreuccio gridò: - -— Signò, comandate? - -Don Giovanni aveva molte ricchezze, era vedovo, senza parenti prossimi; -cosicchè tutti si mostravano servizievoli per lui e lo adulavano. - -— Na' cenetta, rispose. Ma!... - -E fece un segno espressivo per indicare che la cosa doveva essere -eccellente e rara. - -Violetta Kutufà sedette e con un gesto pigro si tolse la mascherina dal -volto ed aprì un poco sul seno il dominò. Dentro il cappuccio scarlatto -la sua faccia, animata dal calore, pareva più procace. Per l'apertura -del dominò si vedeva una specie di maglia rosea che dava l'illusione -della carne viva. - -— Salute! — esclamò Don Pompeo Nervi fermandosi dinanzi alla tavola -imbandita e sedendosi, attirato da un piatto di aragoste succulente. - -E allora sopraggiunse Don Tito De Sieri e prese posto, senza -complimenti; sopraggiunse Don Giustino Franco insieme con Don Pasquale -Virgilio e con Don Federico Sicoli. La tavola s'ingrandì. Dopo molto -rigirare tortuoso, venne anche Don Antonio Brattella. Tutti costoro -erano per lo più i convitati ordinari di Don Giovanni; gli formavano -intorno una specie di corte adulatoria; gli davano il voto nelle -elezioni del Comune; ridevano ad ogni sua facezia; lo chiamavano, per -antonomasia, _il principale_. - -Don Giovanni disse i nomi di tutti a Violetta Kutufà. I parassiti si -misero a mangiare, chinando sui piatti le bocche voraci. Ogni parola, -ogni frase di Don Antonio Brattella veniva accolta con un silenzio -ostile. Ogni parola, ogni frase di Don Giovanni veniva applaudita -con sorrisi di compiacenza, con accenni del capo. Don Giovanni, tra -la sua corte, trionfava. Violetta Kutufà gli era benigna, poichè -sentiva l'oro; e, ormai liberata dal cappuccio, con i capelli un po' -in ribellione per la fronte e per la nuca, si abbandonava alla sua -naturale giocondità un po' clamorosa e puerile. - -D'in torno, la gente movevasi variamente. In mezzo alla folla tre -o quattro arlecchini camminavano sul pavimento, con le mani e con i -piedi; e si rotolavano, simili a grandi scarabei. Amalia Solofra, ritta -sopra una sedia, con alte le braccia ignude, rosse ai gomiti, agitava -un tamburello. Sotto di lei una coppia saltava alla maniera rustica, -gittando brevi gridi; e un gruppo di giovani stava a guardare con -gli occhi levati, un poco ebri di desio. Di tanto in tanto dalla sala -inferiore giungeva la voce di Don Ferdinando Giordano che comandava le -quadriglie con gran bravura: - -— _Balanzé! Turdemé! Rondagósce!_ - -A poco a poco la tavola di Violetta Kutufà diveniva amplissima. Don -Nereo Pica, Don Sebastiano Pica, Don Grisostomo Troilo, altri della -corte ussoriana, sopraggiunsero; poi anche Don Cirillo d'Amelio, Don -Camillo D'Angelo, Don Rocco Mattace. Molti estranei d'intorno stavano a -guardar mangiare, con volti stupidi. Le donne invidiavano. Di tanto in -tanto, dalla tavola si levava uno scoppio di risa rauche; e, di tanto -in tanto, saltava un turacciolo e le spume del vino si riversavano. - -Don Giovanni amava spruzzare i convitati, specialmente i calvi, -per far ridere Violetta. I parassiti levavano le facce arrossite; e -sorridevano, ancora masticando, al _principale_, sotto la pioggia -nivea. Ma Don Antonio Brattella s'impermalì e fece per andarsene. -Tutti gli altri, contro di lui, misero un clamore basso che pareva un -abbaiamento. - -Violetta disse: - -— Restate. - -Don Antonio restò. Poi fece un brindisi poetico in quinari. - -Don Federico Sicoli, mezzo ebro, fece anche un brindisi a gloria di -Violetta e di Don Giovanni, in cui si parlava persino di _sacre tede_ e -di _felice imene_. Egli declamò a voce alta. Era un uomo lungo e smilzo -e verdognolo come un cero. Viveva componendo epitalami e strofette -per gli onomastici e laudazioni per le festività ecclesiastiche. Ora, -nell'ebrietà, le rime gli uscivano dalla bocca senza ordine, vecchie -rime e nuove. A un certo punto egli, non reggendosi su le gambe, si -piegò come un cero ammollito dal calore; e tacque. - -Violetta Kutufà si diffondeva in risa. La gente accalcavasi intorno -alla tavola, come ad uno spettacolo. - -— Andiamo, — disse Violetta, a un certo punto, rimettendosi la maschera -e il cappuccio. - -Don Giovanni, al culmine dell'entusiasmo amoroso, tutto invermigliato e -sudante, porse il braccio. I parassiti bevvero l'ultimo bicchiere e si -levarono confusamente, dietro la coppia. - - -IV. - -Pochi giorni dopo, Violetta Kutufà abitava un appartamento in una -casa di Don Giovanni, su la piazza comunale; e una gran diceria -correva Pescara. La compagnia dei cantatori partì, senza la contessa -d'Amalfi, per Brindisi. Nella grave quiete quaresimale, i Pescaresi si -dilettarono della mormorazione e della calunnia, modestamente. Ogni -giorno una novella nuova faceva il giro della città, e ogni giorno -dalla fantasia popolare sorgeva una favola. - -La casa di Violetta Kutufà stava proprio dalla parte di Sant'Agostino, -in contro al palazzo di Brina, accosto al palazzo di Memma. Tutte le -sere le finestre erano illuminate. I curiosi, sotto, si assembravano. - -Violetta riceveva i visitatori in una stanza tappezzata di carta -francese su cui erano francescamente rappresentati taluni fatti -mitologici. Due canterali panciuti del Settecento occupavano i due lati -del caminetto. Un canapè giallo stendevasi lungo la parete opposta, -tra due portiere di stoffa simile. Sul caminetto s'alzava una Venere -di gesso, una piccola Venere de' Medici, tra due candelabri dorati. -Su i canterali posavano vari vasi di porcellana, un gruppo di fiori -artificiali sotto una campana di cristallo, un canestro di frutta -di cera, una casetta svizzera di legno, un blocco d'allume, alcune -conchiglie, una noce di cocco. - -Da prima i signori avevano esitato, per una specie di pudicizia, a -salire le scale della cantatrice. Poi, a poco a poco, avevano vinta -ogni esitazione. Anche gli uomini più gravi facevano di tanto in tanto -la loro comparsa nel salotto di Violetta Kutufà, anche gli uomini -di famiglia; e ci andavano quasi trepidando, con un piacere furtivo, -come se andassero a commettere una piccola infedeltà alle mogli loro, -come se andassero in un luogo di dolce perdizione e di peccato. Si -univano in due, in tre; formavano leghe, per maggior sicurezza e per -giustificarsi; ridevano tra loro e si spingevano i gomiti a vicenda per -incoraggiamento. Poi la luce delle finestre e i suoni del pianoforte -e il canto della contessa d'Amalfi e le voci e gli applausi degli -altri visitatori li inebriavano. Essi erano presi da un entusiasmo -improvviso; ergevano il busto e la testa, con un moto giovanile; -salivano risolutamente, pensavano che infine bisognava godersi la vita -e cogliere le occasioni del piacere. - -Ma i ricevimenti di Violetta avevano un'aria di grande convenienza, -erano quasi cerimoniosi. Violetta accoglieva con gentilezza i nuovi -venuti ed offriva loro sciroppi nell'acqua e rosolii. I nuovi venuti -rimanevano un po' attoniti, non sapevano come muoversi, dove sedere, -che dire. La conversazione si versava sul tempo, su le notizie -politiche, su la materia delle prediche quaresimali, su altri -argomenti volgari e tediosi. Don Giuseppe Postiglione parlava della -candidatura del principe prussiano Hohenzollern al trono di Spagna; -Don Antonio Brattella amava talvolta discutere dell'immortalità -dell'anima e d'altre cose edificanti. La dottrina dell'Areopagita -era grandissima. Egli parlava lento e rotondo, di tanto in tanto -pronunziando rapidamente una parola difficile e mangiandosi qualche -sillaba. Secondo la cronaca veridica, una sera, prendendo una bacchetta -e piegandola, disse: «Com'è _flebile_!» per dire _flessibile_; -un'altra sera, indicando il palato e scusandosi di non potere suonare -il flauto, disse: «Mi s'è infiammata tutta la _platea_!» e un'altra -sera, indicando l'orificio di un vaso, disse che, perchè i fanciulli -prendessero la medicina, bisognava spargere di qualche materia dolce -tutta l'_oreficeria_ del bicchiere. - -Di tratto in tratto, Don Paolo Seccia, spirito incredulo, udendo -raccontare fatti troppo singolari, saltava su: - -— Ma, Don Antò, voi che dite? - -Don Antonio assicurava, con una mano sul cuore: - -— Testimone _oculista!_ Testimone _oculista!_ Una sera egli venne, -camminando a fatica; e piano piano si mise a sedere: aveva un reuma -_lungo il reno_. Un'altra sera venne, con la guancia destra un po' -illividita: era caduto _di soppiatto_, cioè aveva sdrucciolato battendo -la guancia sul suolo. - -— Come mai,. Don Antò? — chiese qualcuno. - -— Eh guardate! Ho perfino un _impegno_ rotto, egli rispose, indicando -il tomaio che nel dialetto nativo si chiama _'mbígna_, come nel -proverbio _Senza 'mbígna nen ze mandé la scarpe_. - -Questi erano i belli ragionari di quella gente. Don Giovanni Ussorio, -presente sempre, aveva delle arie padronali; ogni tanto si avvicinava -a Violetta e le mormorava qualche cosa nell'orecchio, con familiarità, -per ostentazione. Avvenivano lunghi intervalli di silenzio, in cui Don -Grisostomo Troilo si soffiava il naso e Don Federico Sicoli tossiva -come un macacco tisico portando ambo le mani alla bocca ed agitandole. - -La cantatrice ravvivava la conversazione narrando i suoi trionfi -di Corfù, di Ancona, di Bari. Ella a poco a poco si eccitava, si -abbandonava tutta alla fantasia; con reticenze discrete, parlava di -amori principeschi, di favori reali, di avventure romantiche; evocava -tutti i suoi tumultuarii ricordi di letture fatte in altro tempo: -confidava largamente nella credulità degli ascoltatori. Don Giovanni -in quei momenti le teneva addosso gli occhi pieni d'inquietudine, -quasi smarrito, pur provando un orgasmo singolare che aveva una vaga e -confusa apparenza di gelosia. - -Violetta finalmente s'interrompeva, sorridendo d'un sorriso fatuo. - -Di nuovo, la conversazione languiva. - -Allora Violetta si metteva al pianoforte e cantava. Tutti ascoltavano, -con attenzione profonda. Alla fine, applaudivano. - -Poi sorgeva l'Areopagita, col flauto. Una malinconia immensa prendeva -gli uditori, a quel suono, uno sfinimento dell'anima e del corpo. -Tutti stavano col capo basso, quasi chino sul petto, in attitudini di -sofferenza. - -In ultimo, tutti uscivano l'uno dietro l'altro. Come avevano presa la -mano di Violetta, un po' di profumo, d'un forte profumo muschiato, -restava loro nelle dita; e n'erano turbati alquanto. Allora, nella -via, si riunivano in crocchio, tenevano discorsi libertini, si -rinfocolavano, cercavano d'imaginare le occulte forme della cantatrice; -abbassavano la voce o tacevano, se qualcuno s'appressava. Pianamente se -ne andavano sotto il palazzo di Brina, dall'altra parte della piazza. -E si mettevano a spiare le finestre di Violetta ancora illuminate. Su -i vetri passavano ombre indistinte. A un certo punto, il lume spariva, -attraversava due o tre stanze; e si fermava nell'ultima, illuminando -l'ultima finestra. Dopo poco, una figura veniva innanzi a chiudere -le imposte. E i riguardanti credevano riconoscere la figura di Don -Giovanni. Seguitavano ancora a discorrere, sotto le stelle; e di tanto -in tanto ridevano, dandosi piccole spinte a vicenda, gesticolando. -Don Antonio Brattella, forse per effetto della luce d'un lampione -comunale, pareva di color verde. I parassiti, a poco a poco, nel -discorso, cacciavan fuori una certa animosità contro la cantatrice che -spiumava con tanto garbo il loro anfitrione. Essi temevano che i larghi -pasti corressero pericolo. Già Don Giovanni era più parco d'inviti. -«Bisognava aprire gli occhi a quel poveretto. Un'avventuriera!..... -Puah! Ella sarebbe stata capace di farsi sposare. Come no? E poi lo -scandalo....» - -Don Pompeo Nervi, scotendo la grossa testa vitulina, assentiva: - -— È vero! È vero! Bisogna pensarci. - -Don Nereo Pica, la faina, proponeva qualche mezzo, escogitava -stratagemmi, egli uomo pio, abituato alle secrete e laboriose guerre -della sacrestia, scaltro nel seminar le discordie. - -Così quei mormoratori s'intrattenevano a lungo; e i discorsi grassi -ritornavano nelle loro bocche amare. Come era la primavera, gli alberi -del giardino pubblico odoravano e ondeggiavano bianchi di fioriture, -dinanzi a loro: e pei vicoli vicini si vedevano sparire figure di -meretrici discinte. - - -V. - -Quando dunque Don Giovanni Ussorio, dopo aver saputo da Rosa Catana la -partenza di Violetta Kutufà, rientrò nella casa vedovile e sentì il suo -pappagallo modulare l'aria della farfalla e dell'ape, fu preso da un -nuovo e più profondo sgomento. - -Nell'andito, tutto candido, entrava una zona di sole. A traverso -il cancello di ferro si vedeva il giardino tranquillo, pieno di -eliotropii. Un servo dormiva sopra una stuoia, co'l cappello di paglia -su la faccia. - -Don Giovanni non risvegliò il servo. Salì con fatica le scale, tenendo -gli occhi fissi ai gradini, soffermandosi, mormorando: - -— Oh, che cosa! Oh, oh, che cosa! - -Giunto alla sua stanza, si gettò sul letto, con la bocca contro i -guanciali; e ricominciò a singhiozzare. Poi si sollevò. Il silenzio era -grande. Gli alberi del giardino, alti sino alla finestra, ondeggiavano -appena, nella quiete dell'ora. Nulla di straordinario avevano le cose -in torno. Egli quasi n'ebbe meraviglia. - -Si mise a pensare. Stette lungo tempo a rammentarsi le attitudini, i -gesti, le parole, i minimi cenni della fuggitiva. La forma di lei gli -appariva chiara, come se fosse presente. Ad ogni ricordo, il dolore -cresceva; fino a che una specie di ebetudine gli occupò il cervello. - -Egli rimase a sedere sul letto, quasi immobile, con gli occhi rossi, -con le tempie tutte annerite dalla tintura dei capelli mista al sudore, -con la faccia solcata da rughe diventate più profonde all'improvviso, -invecchiato di dieci anni in un'ora; ridevole e miserevole. - -Venne Don Grisostomo Troilo, che aveva saputo la novella; ed entrò. -Era un uomo d'età, di piccola statura, con una faccia rotonda e gonfia, -d'onde uscivan fuori due baffi acuti e sottili, bene incerati, simili a -due aculei. Disse: - -— Be', Giovà, che è questo? - -Don Giovanni non rispose; ma scosse le spalle come per rifiutare ogni -conforto. Don Grisostomo allora si mise a riprenderlo amorevolmente, -con unzione, senza parlare di Violetta Kutufà. - -Sopraggiunse Don Cirillo D'Amelio con Don Nereo Pica. Tutt'e due, -entrando, avevano quasi un'aria trionfante. - -— Hai visto? Hai visto? Giovà? Noi lo dicevaaamo! Noi lo dicevaaamo! - -Essi avevano ambedue una voce nasale e una cadenza acquistata nella -consuetudine del cantare su l'organo, poichè appartenevano alla -Congregazione del Santissimo Sacramento. Cominciarono a imperversare -contro Violetta, senza misericordia. «Ella faceva questo, questo e -quest'altro». - -Don Giovanni, straziato, tentava di tanto in tanto un gesto per -interrompere, per non udire quelle vergogne. Ma i due seguitavano. -Sopraggiunsero anche Don Pasquale Virgilio, Don Pompeo Nervi, Don -Federico Sicoli, Don Tito De Sieri, quasi tutti i parassiti, insieme. -Essi, così collegati, diventavano feroci. «Violetta Kutufà s'era data a -Tizio, a Caio, a Sempronio... Sicuro! Sicuro!» Esponevano particolarità -precise, luoghi precisi. - -Ora Don Giovanni ascoltava, con gli occhi accesi, avido di sapere, -invaso da una curiosità terribile. Quelle rivelazioni, in vece di -disgustarlo, alimentavano in lui la brama. Violetta gli parve più -desiderabile, ancora più bella; ed egli si sentì mordere dentro da una -gelosia furiosa che si confondeva col dolore. Subitamente, la donna gli -apparve nel ricordo atteggiata ad una posa molle. Egli più non la vide -se non in quell'atto. Quell'imagine permanente gli dava le vertigini. -«Oh Dio! Oh Dio! Oh! Oh!» Egli ricominciò a singhiozzare. I presenti -si guardarono in volto e contennero il riso. In verità, il dolore di -quell'uomo pingue calvo e deforme aveva un'espressione così ridicola -che non pareva reale. - -— Andatevene ora! — balbettò tra le lacrime Don Giovanni. - -Don Grisostomo Troilo diede l'esempio. Gli altri seguirono. E per le -scale cicalavano. - -Come venne la sera, l'abbandonato si sollevò, a poco a poco. Una voce -feminile chiese all'uscio: - -— È permesso, Don Giovanni? - -Egli riconobbe Rosa Catana e provò d'un tratto una gioia istintiva. -Corse ad aprire. Rosa Catana apparve, nella penombra della stanza. - -Egli disse: - -— Vieni! Vieni! - -La fece sedere a canto a sè, la fece parlare,, l'interrogò in mille -modi. Gli pareva di soffrir meno, ascoltando quella voce familiare in -cui egli per illusione trovava qualche cosa della voce di Violetta. Le -prese le mani. - -— Tu la pettinavi; è vero? - -Le accarezzò le mani ruvide, chiudendo gli occhi, co 'l cervello un po' -svanito, pensando all'abbondante capellatura disciolta che quelle mani -avevano tante volte toccata. Rosa, da prima, non comprendeva; credeva -a qualche subitaneo desiderio di Don Giovanni, e ritirava le mani -mollemente, dicendo qualche parola ambigua, ridendo. Ma Don Giovanni -mormorò: - -— No, no!... Zitta! Tu la pettinavi; è vero? Tu la mettevi nel bagno; è -vero? - -Egli si mise a baciare le mani di Rosa, quelle mani che pettinavano, -che lavavano, che vestivano Violetta. Tartagliava, baciandole; faceva -versi così strani che Rosa a fatica poteva ritenere le risa. Ma ella -finalmente comprese; e da femmina accorta, sforzandosi di rimanere in -serietà, calcolò tutti i vantaggi ch'ella avrebbe potuto trarre dalla -melensa commedia di Don Giovanni. E fu docile; si lasciò accarezzare; -si lasciò chiamare Violetta; si servì di tutta l'esperienza acquistata -guardando dal buco della chiave ed origliando tante volte all'uscio -della padrona; cercò anche di rendere la voce più dolce. - -Nella stanza ci si vedeva appena. Dalla finestra aperta entrava un -chiarore roseo; e gli alberi del giardino, quasi neri, stormivano. -Dai pantani dell'Arsenale giungeva il gracidare lungo delle rane. Il -romorìo delle strade cittadine era indistinto. - -Don Giovanni attirò la donna su le sue ginocchia; e, tutto smarrito, -come se avesse bevuto qualche liquore troppo ardente, balbettava mille -leziosaggini puerili, pargoleggiava, senza fine, accostando la sua -faccia a quella di lei. - -— Violettuccia bella! Cocò mio! Non te ne vai, Cocò!... Se te ne vai, -Ninì tuo muore. Povero Ninì!... Baubaubaubauuu! - -E seguitava ancora, stupidamente, come faceva prima con la cantatrice. -E Rosa Catana, paziente, gli rendeva le piccole carezze, come a un -bambino malaticcio e viziato; gli prendeva la testa e se la teneva -contro la spalla; gli baciava gli occhi gonfi e lagrimanti; gli palpava -il cranio calvo; gli ravviava i capelli untuosi. - - -VI. - -Così Rosa Catana a poco a poco guadagnò l'eredità di Don Giovanni -Ussorio, che nel marzo del 1871 moriva di paralisía. - - - - -LA MORTE DEL DUCA D'OFENA. - - -I. - -Quando giunse di lontano il primo clamor confuso della ribellione, -Don Filippo Cassàura aprì subitamente le palpebre che per solito gli -pesavano su gli occhi, infiammate agli orli e arrovesciate come quelle -de' piloti che navigano per mari ventosi. - -— Hai sentito? — chiese al Mazzagrogna che gli stava da presso. E il -tremito della voce tradiva lo sbigottimento interiore. - -Rispose il maggiordomo, sorridendo: - -— Non abbiate paura, Eccellenza. Oggi è San Pietro. Cantano i mietitori. - -Il vecchio stette un poco in ascolto, poggiato sul gomito, con -lo sguardo ai balconi. Le cortine ondeggiavano ai soffi caldi del -libeccio. Le rondini a stormi passavano e ripassavano, rapide come -freccie, nell'aria ardentissima. Tutti i tetti delle case sottostanti -fiammeggiavano, quali rossastri, quali grigi. Oltre i tetti si -distendeva la campagna immensa ed opulenta, quasi tutta d'oro in tempo -di mietitura. Di nuovo chiese il vecchio: - -— Ma, Giovanni, hai sentito? - -Giungevano, infatti, clamori che non parevano di gioia. Il vento, -rafforzandoli a intervalli e spegnendoli o mescendoli al suo fischio, -li rendeva più singolari. - -— Non ci badate, Eccellenza — rispose il Mazzagrogna. — Gli orecchi -v'ingannano. State quieto. - -Ed egli si levò per andare verso uno dei balconi. - -Era un uomo tarchiato, con le gambe in arco, con le mani enormi, -coperte di peli sul dorso, bestiali. Aveva gli occhi un poco obliqui, -biancastri come quelli degli albini, tutta la faccia sparsa di -lentiggini, pochi capelli rossi su le tempie, e l'occipite occupato da -certe escrescenze dure e scure in forma di castagne. - -Rimase in piedi alquanto, fra le due cortine che si gonfiavano come -due vele, a investigare il piano sottoposto. Un alto polverìo levavasi -dalla strada della Fara, come per passaggio di greggi numerose; e i -folti nugoli, gonfiati dal vento, crescevano in forma di trombe. Di -tratto in tratto, anche, i nugoli balenavano come se chiudessero gente -armata. - -— Ebbene? — chiese don Filippo, inquieto. - -— Nulla — rispose il Mazzagrogna; ma aveva le sopracciglia corrugate -profondamente. - -Di nuovo, il soffio impetuoso portò un tumulto di grida lontane. Una -cortina, sforzata dall'urto, si mise a sbattere e a garrire nell'aria -come un gonfalone spiegato. Una porta si chiuse d'improvviso, con -violenza e con fragore. I vetri ne tremarono. Le carte, accumulate -sopra una tavola, si sparpagliarono per tutta la stanza. - -— Chiudi! Chiudi! — gridò il vecchio, con un moto di terrore. — Mio -figlio dov'è? - -Egli ansava, sul letto, affogato dalla pinguedine, incapace di -levarsi poichè aveva tutta la inferior parte del corpo impedita dalla -paralisìa. Un continuo tremor paralitico gli agitava i muscoli del -collo, i gomiti, le ginocchia. Le sue mani posavano sul lenzuolo, -contorte e nodose come le ràdiche dei vecchi olivi. Un sudore abondante -gli stillava dalla fronte e dal cranio calvo, rigandogli la larga -faccia che era d'un color roseo disfatto, sottilissimamente venato di -vermiglio come la milza dei buoi. - -— Diavolo! — mormorò fra i denti il Mazzagrogna, mentre chiudeva le -imposte a viva forza. - -— Fanno davvero? - -Ora si scorgeva su la strada della Fara, alle prime case, una -moltitudine d'uomini agitata e ondeggiante, come un rigurgito di -flutti, che dava indizio d'un'altra maggior moltitudine non visibile, -nascosta dalla linea dei tetti e dalle querci di San Pio. La legione -ausiliaria delle campagne veniva dunque ad ingrossar la ribellione. -A poco a poco la folla diminuiva, internandosi nelle vie del paese e -scomparendo come un popolo di formiche nei labirinti d'un formicaio. Le -grida, soffocate dalle mura o ripercosse, giungevano ora come un rombo -continuo, indistinte. A volte mancavano; e allora si udiva il grande -stormire degli elci dinanzi al palazzo che pareva più solo. - -— Mio figlio dov'è? — chiese di nuovo il vecchio, con una voce che lo -sbigottimento rendeva più stridula. — Chiamalo! Lo voglio vedere. - -Tremava forte, sul letto, non soltanto perchè egli era paralitico, -ma perchè aveva paura. Ai primi moti sediziosi del giorno innanzi, -agli urli d'un centinaio di giovinastri venuti a schiamazzare sotto i -balconi contro la più recente angheria del duca d'Ofena, egli era stato -preso da una così pazza paura che aveva pianto come una femminetta -ed aveva passata la notte invocando i santi del Paradiso. Il pensiero -della morte o del pericolo dava un indicibile terrore a quel vecchio -paralitico, già semispento, in cui gli ultimi guizzi della vita eran sì -dolorosi. Egli non voleva morire. - -— Luigi! Luigi! — si mise a gridare, nell'ambascia, chiamando il -figliuolo. - -Tutto il palazzo era pieno dell'acuto tintinnio de' vetri all'urto del -vento. Di tratto in tratto si udiva il rimbombo d'un uscio sbattuto, o -suono di passi precipitati e di voci brevi. - -— Luigi! - - -II. - -Il duca accorse. Egli era un poco pallido e concitato, se bene cercasse -di dominarsi. Alto di statura e robusto, aveva la barba ancor tutta -nera su le mascelle assai grosse; la bocca tumida e imperiosa, piena -d'un soffio veemente; gli occhi torbidi e voraci; il naso grande, -palpitante, sparso di rossore. - -— Ebbene? — chiese Don Filippo, ansando con tal rantolo che pareva -dovesse soffocarlo. - -— Non temete, padre; ci sono io — rispose il duca, appressandosi al -letto, cercando di sorridere. - -Il Mazzagrogna stava in piedi, dinanzi a uno de' balconi, guardando di -fuori, intento. Non giungevano più grida; non si vedeva più alcuno. Il -sole declinava dal cielo puro, simile a un cerchio roseo di fiamma, che -più s'ingrandiva e più s'accendeva nel raggiungere le cime dei colli. -Tutta la campagna pareva ardere; e pareva che il garbino fosse l'alito -dell'incendio. Il primo quarto della luna saliva di tra le macchie -di Lisci. Poggio Rivelli, Ricciano, Rocca di Forca, in lontananza, -mandavano lampi dai vetri delle finestre e a tratti suono di campane. -Qualche fuoco incominciava a brillare qua e là. Il calore toglieva il -respiro. - -— Questo — disse il duca d'Ofena con quella sua voce rauca e dura — ci -viene dagli Scioli. Ma... - -E fece un gran gesto di minaccia. Poi s'accostò al Mazzagrogna. - -Egli era inquieto per Carletto Grua che non si vedeva ancora. Passeggiò -in lungo e in largo nella stanza, con un passo pesante. Staccò da -una panoplia due lunghe pistole d'arcione e le esaminò attentamente. -Il padre seguiva ogni atto di lui con occhi dilatati; ansava come un -giumento in agonia; di tratto in tratto scoteva con le mani deformi il -lenzuolo, per aver refrigerio. Domandò due o tre volte al Mazzagrogna: - -— Che si vede? - -D'improvviso il Mazzagrogna esclamò: - -— Ecco Carletto che vien su correndo, con Gennaro. - -Si udirono, in fatti, colpi furiosi alla porta grande. Poco dopo, -Carletto e il servo entrarono nella stanza, pallidi, sbigottiti, -macchiati di sangue, coperti di polvere. - -Il duca, vedendo Carletto, gettò un grido. Lo prese fra le braccia, si -mise a tastarlo in tutto il corpo per trovare la ferita. - -— Che t'hanno fatto? Di', che t'hanno fatto? - -Il giovine piangeva, come una donna. - -— Qui — disse fra i singhiozzi. Abbassò la testa e mostrò su la nuca -alcune ciocche di capelli attaccate insieme dal sangue rappreso. - -Il duca mise le dita fra i capelli delicatamente, per iscoprir la -ferita. Egli amava d'un tristo amore Carletto Grua; ed aveva per lui le -cure d'un amante. - -— Ti fa dolore? — gli chiese. - -Il giovine singhiozzò più forte. Egli era esile come una fanciulla; -aveva un volto femineo, a pena a pena ombrato d'una lanugine bionda; -i capelli alquanto lunghi, bellissima la bocca, e la voce acuta come -quella degli evirati. Era un orfano, figliuolo d'un confettiere di -Benevento. Faceva da valletto al duca. - -— Ora verranno! — disse, con un tremito per tutta la persona, volgendo -gli occhi pieni di lacrime al balcone d'onde ora di nuovo giungevano i -clamori, più alti e più terribili. - -Il servo, che aveva una ferita profonda su la spalla destra e tutto -il braccio intriso di sangue fino al gomito, raccontava balbettando -come ambedue fossero stati rincorsi dalla folla inferocita; quando il -Mazzagrogna, ch'era rimasto sempre a spiare, gridò: - -— Eccoli! Vengono al palazzo. Sono armati. - -Don Luigi, lasciando Carletto, corse a vedere. - - -III. - -La moltitudine, in fatti, irrompeva su per l'ampia salita, urlando -e scotendo nell'aria armi ed arnesi, con una tal furia concorde che -non pareva un adunamento di singoli uomini ma la coerente massa d'una -qualche cieca materia sospinta da una irresistibile forza. In pochi -minuti fu sotto al palazzo, si allungò intorno come un gran serpente -di molte spire, e chiuse in un denso cerchio tutto l'edifizio. Taluni -dei ribelli portavano alti fasci di canne accesi, come fiaccole, che -gittavano sui volti una luce mobile e rossastra, schizzavano faville -e schegge ardenti, mettevano un crepitìo sonoro. Altri, in un gruppo -compatto, sostenevano un'antenna alla cui cima penzolava un cadavere -umano. Minacciavano la morte coi gesti e con le voci. Tra le contumelie -ripetevano un nome: - -— Cassàura! Cassàura! - -Il duca d'Ofena si morse le mani, quando riconobbe in cima all'antenna -il corpo mutilato di Vincenzio Murro, del messo ch'egli aveva spedito -nella notte a chieder soccorso di gente d'arme. Additò l'impiccato al -Mazzagrogna, il quale disse a bassa voce: - -— È finita! - -Ma l'udì don Filippo, e cominciò a fare un lagno così accorante che -tutti si sentirono stringere il cuore e mancare gli spiriti. - -I servi si accalcavano su le soglie, smorti in faccia, tenuti dalla -viltà. Alcuni lacrimavano, altri invocavano un santo, altri pensavano -al tradimento. — Se, consegnando il padrone al popolo, avessero potuto -aver salva la vita? — Cinque o sei, meno pusillanimi, tenevano perciò -consiglio e si eccitavano a vicenda. - -— Al balcone! Al balcone! — gridava il popolo, tempestando. — Al -balcone! - -Ora il duca d'Ofena parlava sommesso col Mazzagrogna, in disparte. - -Volgendosi a don Filippo, disse: - -— Mettetevi nella sedia, padre. Sarà meglio. Ci fu tra i servi un -leggero mormorìo. Due si fecero innanzi per aiutare il paralitico a -discendere dal letto. Altri due accostarono la sedia che scorreva su -piccole ruote. L'operazione fu penosa. - -Il vecchio corpulento ansava e si lamentava forte, premendo con -le braccia il collo dei servi che lo sostenevano. Egli era tutto -grondante; e la stanza, essendo chiuse le imposte, era omai piena -dell'insoffribile odore. Com'egli fu nella sedia, i suoi piedi con -un moto ritmico presero a percuotere il pavimento. Il gran ventre -tremolava floscio su le ginocchia, simile a un otre mezzo vuoto. - -Allora il duca disse al Mazzagrogna: - -— Giovanni, a te! - -E quegli, con un gesto risoluto, aprì le imposte ed uscì sul balcone. - - -IV. - -Un urlo immenso l'accolse. Cinque, dieci, venti fasci di canne ardenti -vennero lì sotto a radunarsi. Il chiarore illuminava i volti animati -dalla bramosia della strage, l'acciaro degli schioppi, i ferri delle -scuri. I portatori di fiaccole avevano tutta la faccia cospersa di -farina, per difendersi dalle faville; e tra quel bianco i loro occhi -sanguigni brillavano singolarmente. Il fumo nero saliva nell'aria, -disperdendosi rapido. Tutte le fiamme si allungavano da una banda, -spinte dal vento, sibilanti, come capellature infernali. Le canne più -sottili e più secche si accendevano, si torcevano, rosseggiavano, si -spezzavano, scoppiettavano come razzi, in un attimo. Ed era una vista -allegra. - -— Mazzagrogna! Mazzagrogna! A morte il ruffiano! A morte il guercio! — -gridavano tutti, accalcandosi per iscagliar più da vicino l'insulto. - -Il Mazzagrogna stese una mano, come per sedare i clamori; raccolse -tutta la potenza vocale; e incominciò col nome del re, quasi -promulgasse una legge, per incutere al popolo il rispetto. - -— In nome di S. M. Ferdinando II, per la grazia di Dio, re delle Due -Sicilie, di Gerusalemme... - -— A morte il ladro! - -Due, tre schioppettate risonarono fra le grida; e l'arringatore, -colpito al petto e alla fronte, vacillò, agitò in alto le mani e cadde -in avanti. Nel cadere, la testa entrò fra l'un ferro e l'altro della -ringhiera e penzolò di fuori come una zucca. Il sangue gocciolava sul -terreno sottostante. - -Il caso rallegrò il popolo. Lo schiamazzo saliva alle stelle. - -Allora i portatori dell'antenna con l'impiccato vennero sotto il -balcone e accostarono Vincenzio Murro al maggiordomo. Mentre l'antenna -oscillava nell'aria, il popolo stava intento al congiungimento -dei due morti, quasi ammutolito. Un poeta improvviso, alludendo -all'occhio albino del Mazzagrogna e a quello cisposo del messo, gittò a -squarciagola un sospetto: - - — _Affàccet' a 'ssa fenêstre, ùocchie fritte, - Ca t' è mmenut' a ccandà 'lu scacazzate!_ - -Un vasto scroscio di risa accolse lo scherno del poeta; e le risa si -propagarono di bocca in bocca, come un tuono d'acque cadenti giù pe' -sassi d'una china. - -Un poeta rivale gridò: - - — _Vide che ssòrt' ha da 'vé 'ssu cecàte! - S' affranghe de chiude 'l'ùocchie quande se mòre._ - -Le risa si rinnovellarono. - -Un terzo gridò: - - — _O faccia de cecòria mmàle còtte! - Tenète lu chelòre de la mòrte!_ - -Altri distici volarono al Mazzagrogna. Una gioia feroce aveva invaso -gli animi. La vista e l'odore del sangue inebriavano i più vicini. -Tommaso di Beffi e Rocco Furci vennero a contesa di destrezza nel -colpire con una sassata il cranio penzoloni dell'ucciso ancor caldo. -Ad ogni colpo il cranio si moveva e dava sangue. La pietra di Rocco -Furci alla fine colpì nel mezzo, levando un suono secco. Gli spettatori -applaudirono. Ma erano sazii ormai del Mazzagrogna. - -Di nuovo sorse il grido: - -— Cassàura! Cassàura! Il duca! A morte! Fabrizio e Ferdinandino -Scioli s'insinuavano tra la folla ed istigavano i facinorosi. Una -terribile sassaiuola si levò contro le finestre del palazzo, fitta -come una grandine, mista di schioppettate. I vetri cadevano addosso -agli assalitori. Le pietre rimbalzavano. Rimasero feriti non pochi dei -circostanti. - -Terminati i sassi, consumato il piombo, Ferdinandino Scioli gridò: - -— A terra le porte! - -E il grido, ripetuto da tante bocche, tolse al duca d'Ofena ogni -speranza di salvezza. - - -V. - -Nessuno aveva osato di richiudere il balcone dov'era caduto il -Mazzagrogna. Il cadavere giaceva in un'attitudine scomposta. Poichè -i ribelli, per essere liberi, avevan lasciata l'antenna contro la -ringhiera, anche il corpo sanguinoso del messo, a cui qualche membro -era stato reciso con la scure, scorgevasi a traverso le cortine -gonfiate dal vento. La sera era profonda. Le stelle riscintillavano -senza fine. Qualche stoppia bruciava in lontananza. - -Udendo i colpi contro le porte, il duca d'Ofena volle ancora tentare -una prova. Don Filippo, istupidito dal terrore, teneva gli occhi -chiusi; non parlava più. Carletto Grua, con la testa fasciata, si -rannicchiava tutto in un angolo, battendo i denti nella febbre e nella -paura, seguendo con i poveri occhi fuori dell'orbita ogni passo, ogni -gesto, ogni moto del suo signore. I servi erano rifugiati quasi tutti -nelle soffitte. Pochi rimanevano nelle stanze contigue. - -Don Luigi li radunò, li rianimò; li armò di pistole o di fucile; quindi -a ciascuno assegnò un posto dietro il davanzale d'una finestra o tra -le persiane d'un balcone. Ciascuno doveva tirare su la folla, con la -maggior possibile celerità di colpi, in silenzio, senza esporsi. - -— Avanti! - -Il fuoco incominciò. Don Luigi sperava nel pànico. Egli stesso caricava -e scaricava le sue lunghe pistole con un meraviglioso vigore, senza -stancarsi. Come la moltitudine era densa, nessun colpo falliva. -Le grida, che si levavano ad ogni scarica, eccitavano i servi e -n'aumentavano l'ardore. Già lo scompiglio invadeva gli ammutinati. -Molti fuggivano, lasciando a terra i feriti. - -Allora dal servidorame partì un urlo di vittoria: - -— Viva il duca d'Ofena! - -Quelli uomini vili ora s'imbaldanzivano, vedendo le spalle del nemico. -Non rimanevano più nascosti, nè più tiravano alla cieca, ma si erano -alzati in piedi, fieramente, e cercavano di colpire nel segno. Ed ogni -volta che vedevan cadere uno, gittavano l'urlo: - -— Viva il duca! - -In poco, il palazzo fu libero d'assedio. D'intorno i feriti si -lamentavano. I residui delle canne, che ancora ardevano al suolo, -gittavan su' corpi bagliori incerti, suscitavan riflessi da qualche -pozza di sangue, o stridevano spegnendosi. Il vento era cresciuto; -ed investiva gli elci con alto stormire. I latrati dei cani si -rispondevano per tutta la valle. - -Inebriati dalla vittoria, grondanti per la fatica, i servi discesero a -rifocillarsi. Tutti erano incolumi. Bevevano senza misura, e facevano -gazzarra. Alcuni proclamavano i nomi di quelli che essi avevan colpito, -e ne descrivevano il modo della caduta, buffonescamente. I bracchieri -desumevano le similitudini dalla selvaggina. Un cuciniere si vantò -d'aver ucciso il terribile Rocco Furci. Alimentate dal vino, le -millanterie si moltiplicavano. - - -VI. - -Ora, mentre il duca d'Ofena, sicuro d'aver per quella notte -almeno scongiurato ogni pericolo, era solo intento a custodire il -piagnucolante Carletto, improvvisi bagliori si ripercossero in uno -specchio e nuovi clamori si levarono tra il fischiar del libeccio, -sotto il palazzo. Al tempo medesimo apparvero quattro o cinque servi, -che il fumo aveva quasi soffocati mentre dormivano ubriachi nelle -stanze basse. Essi non avevano ancora riacquistati gli spiriti; -barcollavano senza poter parlare poichè si sentivan la lingua torpida. -Altri sopraggiunsero. - -— Il fuoco! Il fuoco! - -Tremavano gli uni addossati agli altri, come una greggia. La viltà -nativa li occupava novamente. Avevano tutti i sensi ottusi, come in -un sogno. Non sapevano quel che dovevano fare. Nè ancora la perfetta -consapevolezza del pericolo li stimolava a cercare uno scampo. - -Sorpreso, il duca dapprima restò perplesso. Ma Carletto Grua, vedendo -entrare il fumo e udendo quel singolare ruggito che fanno le fiamme -nel nutrirsi, si mise a strillare così acutamente e a far gesti così -forsennati che Don Filippo si destò dal grave sopore in cui era caduto -e vide la morte. - -La morte era inevitabile. Il fuoco, sotto il costante soffio del -vento, propagavasi con una stupenda celerità per tutta la vecchia -ossatura dell'edifizio, divorando ogni cosa, suscitando da ogni cosa -vampe mobili, fluide, canore. Le vampe correvano lievi su le pareti, -lambivano le tappezzerie, esitavano un istante a fior del tessuto, si -colorivano di tinte mutevoli e vaghe, penetravano nella trama con mille -lingue sottilissime e vibranti, parevano infondere per un attimo nelle -figure murali uno spirito, accendere per un attimo su la bocca delle -ninfe e delle iddie un riso non mai veduto, muovere per un attimo le -loro attitudini e i loro gesti immobili. Passavan oltre, in fuga sempre -più luminosa; si avvolgevano alle suppellettili di legno, conservando -fino all'ultimo la loro forma, così da farle apparire tutte materiate -di piropi che d'un tratto si disgregavano e s'incenerivano come per -incanti. Le voci delle vampe erano innumerevoli; formavano un vasto -coro, una profonda armonia, come d'una selva dai milioni di foglie, -come d'un organo dai milioni di canne. Già appariva ad intervalli, -nelle aperture fragorose, il cielo puro con le sue corone di stelle. -Omai tutto il palazzo era in potere del fuoco. - -— Salvami! Salvami! — gridò il vecchio, tentando invano di sorgere, -sentendo già sotto di sè sprofondare il pavimento, sentendosi accecare -dall'implacabile rossore. — Salvami! - -Con uno sforzo supremo giunse a levarsi. E si mise a correre, col -tronco inclinato innanzi, saltellando a piccoli passi incalzanti, -come spinto da un irresistibile impulso progressivo, agitando le mani -informi, finchè cadde fulminato, già preda del fuoco, sgonfiandosi e -rappigliandosi come una vescica. - -Ora di tratto in tratto le grida del popolo aumentavano, e salivan -più alto dell'incendio. I servi, pazzi di terrore e di dolore, mezzo -riarsi, si precipitavano dalle finestre e venivano a cadere morti sul -suolo; o mal vivi, ed eran finiti. Ad ogni caduta rispondeva un maggior -clamore. - -— Il duca! Il duca! — gridavano i barbari, malcontenti, perchè volevano -veder precipitare il tirannello col suo bagascione. - -— Eccolo! Eccolo! È lui! - -— Giù! Giù! Ti vogliamo! - -— Muori, cane! Muori! Muori! Muori! - -Su la porta grande, proprio in cospetto del popolo, apparve Don -Luigi con le vesti in fiamme portando su le spalle il corpo inerte di -Carletto Grua. Egli aveva tutto il volto bruciato, irriconoscibile; non -aveva quasi più capelli, nè barba. Ma camminava a traverso l'incendio, -impavido, non anche morto, poichè valeva a sostener gli spiriti quello -stesso atroce dolore. - -Da prima il popolo ammutolì. Poi di nuovo proruppe in urli e in gesti, -aspettando con ferocia che la gran vittima venisse a spirargli dinanzi. - -— Qui, qui, cane! Ti vogliamo veder morire! - -Don Luigi udì, a traverso le fiamme, l'ultime ingiurie. Raccolse tutta -l'anima in un atto di scherno indescrivibile. Quindi voltò le spalle; e -disparve per sempre dove più ruggiva il fuoco. - - - - -IL TRAGHETTATORE. - - -I. - -Donna Laura Albònico stava nel giardino, sotto la pergola, prendendo il -fresco all'ora meridiana. - -La villa taceva, tutta bianca, con le persiane chiuse tra le piante -degli agrumi. Il sole raggiava un calore e un fulgore immensi. Era -la metà di giugno; e i profumi degli aranci e dei limoni fioriti -si mescolavano all'odor delle rose, nell'aria tranquilla. Le rose -crescevano da per tutto, nel giardino, con una forza indomabile. -Le masse magnifiche si movevano, lungo i viali, ad ogni soffio di -vento, coprendo il terreno con l'abbondanza della loro neve odorante. -In certi momenti l'aria, pregna dell'aroma, aveva un sapore dolce e -possente come quello di un vino prelibato. Le fontane, invisibili tra -la verzura, mormoravano. A tratti, la cima mobile scintillante degli -zampilli appariva fuor del fogliame, scompariva, riappariva, con vari -giochi; e alcuni zampilli bassi producevano nei fiori e nelle erbe -un fruscìo e uno scompiglio singolari, sembrando bestie vive che vi -corressero a traverso o vi pascolassero o vi scavassero tane. Gli -uccelli, invisibili, cantavano. - -Donna Laura, seduta sotto la pergola, meditava. - -Ella era una donna già vecchia. Aveva il profilo fine e signorile; -il naso lungo, lievemente aquilino, la fronte un po' troppo ampia, la -bocca perfetta, ancora fresca, piena di benignità. I capelli canuti le -si piegavano su le tempie e le facevano intorno al capo una specie di -corona. Doveva essere stata molto bella, nella gioventù, ed amabile. - -Era venuta da due soli giorni in quella casa solitaria, col marito e -con pochi servi. Aveva rinunziato alla villa magnatizia che sorgeva -sopra un colle del Piemonte, abituale soggiorno estivo; aveva -rinunziato al mare, per quella campagna deserta e quasi arida. - -— Ti prego, andiamo a Penti, — aveva detto al marito. - -Il barone settuagenario era rimasto da prima un po' stupefatto, a -quello strano desiderio della moglie. - -— Perchè a Penti? Che s'andava a fare a Penti? - -— Ti prego, andiamo. Per mutare — aveva insistito Donna Laura. - -Il barone, come sempre, s'era lasciato persuadere. - -— Andiamo. - -Ora, Donna Laura custodiva un segreto. - -Nella giovinezza, la sua vita era stata attraversata dalla passione. -A diciotto anni aveva sposato il barone Albònico, per ragioni di -convenienza familiare. Il barone militava sotto il primo Napoleone, -con molta prodezza; egli stava quasi sempre assente dalla sua casa, -poichè seguiva ovunque il volo delle aquile imperiali. In una di quelle -lunghe assenze, il marchese di Fontanella, un giovine signore che aveva -moglie e figliuoli, fu preso d'amore per Donna Laura; e, come egli era -bellissimo ed ardente, vinse alfine ogni resistenza dell'amata. - -Allora pei due amanti una stagione passò nella felicità più dolce. Essi -vivevano nell'oblio di tutte le cose. - -Ma un giorno Donna Laura s'accorse d'essere incinta; pianse, si -disperò, rimase in una terribile angoscia, non sapendo che risolvere, -come salvarsi. Per consiglio del suo amico, partì alla volta della -Francia; si nascose in un piccolo paese della Provenza, in una di -quelle terre solatíe piene di verzieri, dove le donne parlano l'idioma -dei trovatori. - -Abitava una casa di campagna, circondata da un grande orto. Gli alberi -fiorivano: era la primavera. Fra i terrori e le nere malinconie, ella -aveva intervalli d'una infinita dolcezza. Passava lunghe ore seduta -all'ombra, in una specie d'inconsapevolezza, mentre il sentimento vago -della maternità le dava a tratti a tratti un brivido profondo. I fiori -in torno a lei emanavano un profumo acuto: leggiere nausee le salivano -alla gola e le propagavano per tutte le membra una lassitudine immensa. -Che giorni indimenticabili! - -E, quando il momento solenne si avvicinava, giunse, desiderato, il -suo amico. La povera donna soffriva. Egli le stava accanto, pallido in -viso, parlando poco, baciandole spesso le mani. Ella partorì di notte. -Gridava, fra gli spasimi; si afferrava convulsamente alla lettiera; -credeva di morire. I primi vagiti dell'infante le scossero l'anima -dalle radici. Ella, supina, con la testa un po' arrovesciata oltre i -guanciali, bianca bianca, senza più voce, senza più forza per tenere -aperte le palpebre, agitava dinanzi a sè le mani esangui, debolmente, -in certi piccoli movimenti vaghi, come fanno talvolta i moribondi verso -la luce. - -Il giorno dopo, tutto il giorno, ella tenne seco, nel medesimo letto, -sotto la medesima coperta, il bambino. Era un essere fragile, molle, un -po' rossiccio, che vibrava d'una palpitazione incessante, di una vita -palese, e in cui le forme umane non avevano certezza. Gli occhi stavano -ancora chiusi, un po' gonfi; e dalla bocca usciva un lamento fioco, -quasi un miagolío indistinto. - -La madre, rapita, non si saziava di riguardare, di toccare, di sentirsi -su la guancia l'alito filiale. Dalla finestra entrava una luce bionda e -si vedevano le terre provenzane tutte coperte di mèssi. Il giorno aveva -una specie di santità. I canti dal fromento si avvicendavano, nell'aria -quieta. - -Dopo, il bambino le fu tolto, fu nascosto, fu portato chi sa dove. Ella -non lo rivide più. Ella tornò alla sua casa; e visse col marito la vita -di tutte le donne, senza che nessun altro avvenimento sopraggiungesse a -turbarla. Non ebbe altri figliuoli. - -Ma il ricordo, ma l'adorazione ideale di quella creatura ch'ella non -vedeva più, ch'ella non sapeva più dove fosse, le occuparono l'anima -per sempre. Ella non aveva se non quel pensiero; rammentava tutte le -minime particolarità di quei giorni; rivedeva chiaramente il paese, la -forma di certi alberi che stavano dinanzi alla casa, la linea d'una -collina che chiudeva l'orizzonte, il colore e i disegni del tessuto -che copriva il letto, una macchia nella vòlta della stanza, un piccolo -piatto figurato su cui le portavano il bicchiere, tutto, tutto, -chiaramente, minutamente. Ad ogni momento il fantasma di quelle cose -lontane le sorgeva nella memoria, così, senza ordine, senza legame, -come nei sogni. A volte ella ne rimaneva quasi stupita. Le tornavano -dinanzi, precisi e viventi, i volti di certe persone vedute laggiù, i -loro moti, un loro gesto insignificante, una loro attitudine, un loro -sguardo. Le pareva di avere negli orecchi il vagito della creatura, di -toccare le mani esilissime, rosee, molli, quelle manine che forse erano -la sola parte già tutta formata perfettamente, simile alla miniatura -d'una mano d'uomo, con le vene quasi impercettibili, con le falangi -segnate di pieghe sottili, con le unghie trasparenti, tenere, appena -appena suffuse di viola. Oh, quelle mani! Con che strano brivido la -madre pensava alla loro carezza inconsapevole! Come ne sentiva l'odore, -l'odore singolare che ricorda quello dei colombi nella prima piuma! - -Così Donna Laura, chiusa in questa specie di mondo interiore che ogni -giorno più assumeva le apparenze della vita, passò gli anni, molti -anni, sino alla vecchiezza. Tante volte aveva chiesto all'antico amante -notizie del figliuolo. Ella avrebbe voluto rivederlo, sapere il suo -stato. - -— Ditemi dov'è, almeno. Vi prego. - -Il marchese, temendo un'imprudenza, si rifiutava. «Ella non doveva -vederlo. Ella non avrebbe saputo contenersi. Il figlio avrebbe -indovinato tutto; si sarebbe valso del segreto per i suoi fini; avrebbe -forse rivelato ogni cosa... No, no, ella non doveva vederlo.» - -Donna Laura, dinanzi a queste argomentazioni d'uomo pratico, rimaneva -smarrita. Ella non sapeva imaginarsi che la sua creatura fosse -cresciuta, fosse già adulta, fosse già presso al limitare della -vecchiaia. Oramai erano passati circa quarant'anni dal giorno della -nascita; eppure ella nel suo pensiero non vedeva se non un bambino, -roseo, con gli occhi ancora chiusi. - -Ma il marchese di Fontanella venne a morire. - -Quando Donna Laura seppe la malattia del vecchio, fu presa da -un'angoscia così penosa che una sera, non potendo più resistere allo -spasimo, uscì sola, si diresse verso la casa dell'infermo, perchè un -pensiero tenace la sospingeva, il pensiero del figlio. Prima che il -vecchio morisse, ella voleva conoscere il segreto. - -Camminò lungo i muri, tutta raccolta, come per non farsi vedere. Le -strade erano piene di gente; l'ultimo chiarore del tramonto faceva -rosee le case; tra una casa e l'altra un giardino appariva tutto -violaceo di lilla in fiore. Voli di rondini, rapidi e circolari, -s'intrecciavano nel cielo luminoso. Frotte di bambini passavano a -corsa, con grida e con richiami. Talvolta passava una femmina incinta, -a braccio del marito; e l'ombra della sua gonfiezza si disegnava sul -muro. Donna Laura pareva incalzata da tutta quella gioconda vitalità -delle cose e delle persone. Ella affrettava il passo, fuggiva. Gli -splendori varii delle vetrine, delle botteghe aperte, dei caffè le -davano agli occhi un senso acuto di dolore. A poco a poco una specie -di stordimento le occupava la testa; una specie di sbigottimento le -prendeva lo spirito. — Che faceva? Dove andava? — In quel disordine -della coscienza, le pareva quasi di commettere una colpa; le pareva che -tutti la guardassero, la indagassero, indovinassero il suo pensiero. - -Ora la città s'invermigliava agli ultimi rossori del sole. Qua e là, -dentro le cantine, i cori del vino si levavano. - -Come Donna Laura giunse alla porta, non ebbe forza di entrare. Passò -oltre, fece venti passi; poi ritornò in dietro, ripassò. Finalmente -varcò la soglia, salì le scale; si fermò, sfinita, nell'anticamera. - -Nella casa c'era quell'animazione silenziosa di cui i familiari -circondano il letto dell'infermo. I domestici camminavano in punta -di piedi, portando qualche cosa fra le mani. Avvenivano dialoghi a -bassa voce, nel corridoio. Un signore calvo, tutto vestito di nero, -attraversò la sala, s'inchinò a Donna Laura, ed uscì. - -Donna Laura chiese a un domestico, con la voce omai ferma: - -— La marchesa? - -Il domestico indicò rispettosamente col gesto un'altra stanza a Donna -Laura. Quindi corse ad annunziare la visita. - -La marchesa apparve. Era una signora piuttosto pingue, con i capelli -grigi. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Aperse le braccia all'amica, -senza parlare, soffocata da un singulto. - -Dopo un poco, Donna Laura chiese, non alzando gli occhi: - -— Si può vedere? - -Profferite le parole, strinse le mascelle per reprimere un tremito -violento. - -La marchesa disse: - -— Vieni. - -Le due donne entrarono nella stanza dell'infermo. La luce ivi era mite; -l'odore di un farmaco, empiva l'aria; gli oggetti segnavano grandi e -strane ombre. Il marchese di Fontanella, disteso nel letto, pallido, -pieno di rughe, sorrise a Donna Laura, vedendola. Disse lentamente: - -— Grazie, baronessa. - -E le tese la mano ch'era umidiccia e tiepida. - -Egli pareva aver ripreso gli spiriti d'un tratto, per uno sforzo di -volontà. Parlò di varie cose, curando le parole, come quando stava -sano. - -Ma Donna Laura, all'ombra, lo fissava con uno sguardo così ardente di -supplicazione che egli, indovinando, si volse alla moglie. - -— Giovanna, ti prego, preparami tu la pozione, come stamattina. - -La marchesa chiese licenza, ed uscì senza sospetto. Nel silenzio della -casa si udirono i passi di lei allontanarsi su i tappeti. - -Allora Donna Laura, con un moto indescrivibile, si chinò sul vecchio, -gli prese le mani, gli strappò le parole con gli occhi. - -— A Penti... Luca Marino... ha moglie, figli... una casa... Non lo -vedere! Non lo vedere! — balbettò il vecchio, a fatica, preso da -un terrore subitaneo che gli dilatava le pupille. — A Penti... Luca -Marino... Non ti svelare mai! - -Già la marchesa veniva, con il medicamento. - -Donna Laura sedette; si contenne. L'infermo bevve; e i sorsi scendevano -nella gola con un gorgoglio, a uno a uno, distinti, regolari. - -Poi successe un silenzio. E l'infermo parve preso da sopore: tutta -la faccia gli si fece più cava; ombre più profonde, quasi nere, gli -occuparono le occhiaie, le guance, le narici, la gola. - -Donna Laura si accommiatò dall'amica; se ne andò, trattenendo il -respiro, pianamente. - - -II. - -Tutte queste vicende ripensava la vecchia signora, sotto la pergola, -nel giardino tranquillo. Che cosa ora dunque la tratteneva dal rivedere -il figlio? Ella avrebbe avuto la forza di reprimersi; ella non si -sarebbe svelata, no. Le bastava di rivederlo, il figlio suo, quello -ch'ella aveva tenuto su le braccia un giorno solo, tanti anni a dietro, -tanti, tanti anni! Era cresciuto? Era grande? Era bello? Com'era? - -E mentre così interrogava sè stessa, nel fondo del suo spirito ella non -giungeva a raffigurarsi l'uomo. Sempre in lei l'imagine dell'infante -persisteva, si sovrapponeva ad ogni altra imagine, vinceva con la -nitida chiarezza delle sue forme ogni altra forma fantastica che -tentasse di sorgere. Ella non preparava l'animo, si abbandonava -debolmente al sentimento indeterminato. Il senso della realtà in quel -momento le mancava. - -— Io lo vedrò! Io lo vedrò! — ripeteva in sè stessa, inebriandosi. - -Le cose in torno tacevano. Il vento faceva incurvare i roseti che, -passato il soffio, seguitavano a muoversi pesantemente. Gli zampilli -scintillavano e guizzavano, tra il verde, come stocchi. - -Donna Laura stette un poco in ascolto. Dal silenzio, nell'ora pànica, -sorgeva qualcosa di grande e di inesorabile, che le infuse nell'animo -uno sgomento misterioso. Ella esitò. Poi si mise pel viale, da prima -con passi rapidi; giunse al cancello tutto abbracciato dalle piante -e dai fiori; sostò, per guardarsi in dietro: aprì. Dinanzi a lei la -campagna si stendeva deserta sotto il meriggio. Le case di Penti in -lontananza biancheggiavano su l'azzurro del cielo, con un campanile, -con una cupola, con due o tre pini. Il fiume si svolgeva nella pianura, -tortuoso e lucentissimo, toccando le case. - -Donna Laura pensò: — Egli è là. — E tutte le sue fibre di madre -vibrarono. Animata, riprese a camminare, guardando dinanzi a sè con gli -occhi che il sole fastidiva, non curando il calore. A un certo punto -della strada cominciarono gli alberi, magri pioppetti tutti canori di -cicale. Due femmine scalze, ciascuna con un cesto sul capo, venivano -incontro. - -— Sapete la casa di Luca Marino? — chiese la signora, presa da una -voglia irresistibile di pronunziare quel nome a voce alta, liberamente. - -Le femmine la guardarono, stupefatte, soffermandosi. - -Una rispose con semplicità: - -— Noi non siamo di Penti. - -Donna Laura, malcontenta seguitò la via, provando già un poco di -stanchezza nelle povere membra senili. Gli occhi, offesi dalla luce -intensa, le facevano vedere alcune mobili macchie rosse nell'aria. Un -leggero principio di vertigine le turbava il cervello. - -Penti si avvicinava sempre più. I primi tuguri apparvero tra molte -piante di girasoli. Una femmina, mostruosa per l'adipe, stava seduta -sopra una soglia; ed aveva su quel gran corpo una testa infantile, gli -occhi dolci, i denti schietti, il sorriso placidissimo. - -— O signora, dove andate? — chiese la femmina, con un accento ingenuo -di curiosità. - -Donna Laura si accostò. Aveva il volto tutto infiammato e la -respirazione corta. Le forze erano per mancarle. - -— Mio Dio! Oh mio Dio! — gemeva ella, reggendosi le tempie con le -palme. — Oh mio Dio! - -— Signora, riposatevi — diceva la femmina ospitale, invitandola ad -entrare. - -La casa era bassa ed oscura; ed aveva quell'odor particolare che hanno -tutti i luoghi dove molta gente agglomerata vive. Tre o quattro bambini -nudi, anch'essi col ventre così gonfio che parevano idropici, si -trascinavano sul suolo, borbottando, brancicando, portando alla bocca -per istinto qualunque cosa capitasse loro sotto le mani. - -Mentre Donna Laura seduta riprendeva le forze, la femmina parlava -oziosamente, tenendo fra le braccia un quinto bambino, tutto coperto di -croste nerastre tra mezzo a cui si aprivano due grandi occhi, puri ed -azzurri, come due fiori miracolosi. - -Donna Laura domandò: - -— Qual'è la casa di Luca Marino? - -L'ospite col gesto indicò una casa rossiccia, - -all'estremità del paese, in vicinanza del fiume, circondata quasi da un -colonnato di alti pioppi. - -— È quella, perchè? - -La vecchia signora si sporse per guardare. - -Gli occhi le dolevano, feriti dalla luce solare, e le palpebre le -battevano forte. Ma ella stette qualche minuto in quell'attitudine, -respirando con fatica, senza rispondere, quasi soffocata da una -sollevazione di sentimento materno. — Quella dunque era la casa del suo -figliuolo? — Subitamente, le apparvero l'interno della stanza lontana, -il paese di Provenza, le persone, le cose, come nel bagliore di un -lampo, ma evidenti, nettissimi. Ella si lasciò ricadere su la sedia, -e rimase muta, confusa, in una specie di ottusità fisica proveniente -forse dall'azione del sole. Negli orecchi aveva un ronzío continuo. - -Disse l'ospite: - -— Volete passare il fiume? - -Donna Laura fece un cenno fievole, incantata da un turbinío di circoli -rossi che le si producevano nella retina. - -— Luca Marino porta uomini e bestie da una riva all'altra. Ha una barca -e una chiatta — seguitò l'ospite. — Se no, bisogna andare fino a Prezzi -a cercare il guado. È trent'anni che fa il mestiere! È sicurissimo, -signora. - -Donna Laura ora ascoltava, facendo uno sforzo per raccogliere i suoi -spiriti che si disperdevano. Ma pure, dinanzi a quelle novelle del -figliuolo, restava smarrita; quasi non comprendeva. - -— Luca non è del paese — riprese la femmina grassa, trascinata -dalla nativa loquacità. — L'hanno allevato i Marino che non avevano -figliuoli. E un signore, non di qui, gli ha dotata la moglie. Ora vive -bene; lavora; ma ha il vizio del vino. - -La femmina diceva queste cose ed altre, con semplicità grande, senza -malizia per l'origine sconosciuta di Luca. - -— Addio, addio — fece Donna Laura, levandosi, presa da un vigore -fittizio. — Grazie, buona donna. - -Porse a uno dei bimbi una moneta; ed uscì alla luce. - -— Per quella viottola! — le gridò dietro, indicando, l'ospite. - -Donna Laura seguì la viottola. Un gran silenzio regnava intorno, e nel -silenzio le cicale cantavano a distesa. Alcuni gruppi d'olivi contorti -e nodosi sorgevano dal terreno disseccato. Il fiume, a sinistra, -brillava. - -— Ooh, La Martinaaa! — chiamò una voce, in lontananza, dalla parte del -fiume. - -Quella voce umana d'improvviso fece tremare le vene della vecchia. -Ella guardò. Sul fiume navigava una barca, a pena visibile tra il -vapor luminoso; e un'altra barca, ma a vela, biancheggiava a maggior -distanza. Nella prima barca si scorgevano forme d'animali: erano forse -cavalli. - -— Ooh, La Martinaaa! — richiamò la voce. - -Le due barche si avvicinavano l'una all'altra. Quello era il punto -delle secche, dove i barcaiuoli pericolavano quando il carico pesava. - -Donna Laura, ferma sotto un olivo, appoggiata al tronco, seguiva -con lo sguardo la vicenda. Il cuore le palpitava con tanta violenza -che le pareva i battiti empissero tutta la campagna circostante. Il -fruscío dei rami, il canto delle cicale, il lampeggío delle acque, -tutte le apparenze la turbavano, le si confondevano nello spirito col -disordine della demenza. L'accumulamento lento del sangue nel cervello, -per l'azione del sole, le dava ora una visione leggermente rossa, un -principio di vertigine. - -Le due barche, giunte a un gomito del fiume, non si videro più. - -Allora Donna Laura riprese a camminare, un po' barcollante, come -un'ebra. Le apparve un gruppo di case riunite intorno a una specie di -corte. Sei o sette mendicanti meriggiavano ammucchiati in un angolo: -le loro carni rossastre, maculate dalle malattie della cute, uscivano -di tra i cenci; nei loro volti deformi il sonno aveva una pesantezza -bestiale. Qualcuno dormiva bocconi, con la faccia nascosta tra le -braccia piegate a cerchio. Qualche altro dormiva supino, con le braccia -aperte, nell'attitudine del Cristo crocifisso. Un nuvolo di mosche -turbinava e ronzava su quelle povere carcasse umane, denso e laborioso, -come sopra un cumulo di fimo. Dalle porte socchiuse veniva un rumore di -telai. - -Donna Laura attraversò la piazzetta. Il suono de' suoi passi su le -pietre fece risvegliare un mendicante che si levò su i gomiti e, -tenendo gli occhi ancora chiusi, balbettò macchinalmente: - -— La carità, per l'amore di Dio! - -A quella voce tutti i mendicanti si risvegliarono, e tutti sorsero. - -— La carità, per l'amore di Dio! - -— La carità, per l'amore di Dio! - -La torma cenciosa si mise a seguitare la passante, chiedendo -l'elemosina, tendendo le mani. Uno era storpio e camminava a piccoli -salti, come una scimmia ferita. Un altro si trascinava sul sedere -puntellandosi con ambo le braccia, come fanno con le zampe le locuste, -poichè aveva tutta la parte inferiore del corpo morta. Un altro aveva -un gran gozzo paonazzo e rugoso che ad ogni passo ondeggiava come una -giogaia. Un altro aveva un braccio ritorto come una grossa radice. - -— La carità, per l'amore di Dio! - -Le loro voci erano varie, alcune cavernose e roche, altre acute e -feminine come quelle degli evirati. Ripetevano sempre le stesse parole, -con lo stesso accento, in un modo accorante. - -— La carità, per l'amore di Dio! - -Donna Laura, così inseguita da quella gente mostruosa, provava una -voglia istintiva di fuggire, di salvarsi. Uno sbigottimento cieco la -teneva. Avrebbe forse gridato, se avesse avuta la voce nella gola. I -mendicanti le instavano da presso, le toccavano le braccia, con le mani -tese. Volevano l'elemosina, tutti. - -La vecchia signora si cercò nella veste, prese alcune monete, le lasciò -cadere dietro di sè. Gli affamati si fermarono, si gittarono avidamente -su le monete, lottando, stramazzando sul terreno, dando calci, -calpestandosi. Bestemmiavano. - -Tre rimasero con le mani vuote; e ripresero a seguitare la vecchia -incattiviti. - -— Noi non l'abbiamo avuta! Noi non l'abbiamo avuta! - -Donna Laura, disperata per quella persecuzione, diede altre monete, -senza volgersi. La lotta fu tra lo storpio e il gozzuto. Ambedue -presero. Ma un povero epilettico idiota, che tutti opprimevano e -dileggiavano, non ebbe nulla; e si mise a piagnucolare, leccandosi le -lacrime e il moccio che gli colava dal naso, con un verso ridicolo: - -— Ahu, ahu, ahuuu! - - -III. - -Donna Laura infine era giunta alla casa dei pioppi. - -Ella si sentiva sfinita: le si offuscava la vista, le tempie le -battevano forte, la lingua le ardeva; le gambe sotto le si piegavano. -Dinanzi a lei, un cancello stava aperto. Ella entrò. - -L'aia circolare era limitata da pioppi altissimi. Due degli alberi -sostenevano un cumulo di paglia di fromento, tra mezzo a cui uscivano -i rami fronzuti. Poichè in giro l'erba cresceva, due vacche falbe vi -pascolavano pacificamente battendosi con la coda i fianchi nutriti; e -tra le gambe a loro penzolavano le mammelle gonfie di latte, colorite -come frutti succulenti. Molti arnesi di agricoltura stavano sparsi pel -suolo. Le cicale, in su gli alberi, cantavano. Nel mezzo, tre o quattro -cuccioli ruzzavano abbaiando verso le vacche o inseguendo le galline. - -— O signora, che cerchi? — chiese un vecchio, uscendo dalla casa. — -Vuoi _passare_? - -Il vecchio, calvo, con la barba rasa, teneva tutto il corpo in avanti -su le gambe inarcate. Le sue membra erano deformate dalle rudi fatiche, -dall'opera dell'arare che fa sorgere la spalla sinistra e torcere il -busto, dall'opera del falciare che fa tenere le ginocchia discoste, -dall'opera del potare che curva in due la persona, da tutte le opere -lente e pazienti della coltivazione. Egli, dicendo l'ultima parola, -accennava al fiume. - -— Sì, sì — rispose Donna Laura non sapendo che dire, non sapendo che -fare, smarrita. - -— Allora vieni. Ecco Luca che torna — soggiunse il vecchio, volgendosi -al fiume dove navigava a forza di pertiche una chiatta carica di -pecore. - -Egli condusse la passeggiera, a traverso un orto irrigato, fin sotto -a una pergola dove altri passeggieri attendevano. Camminando innanzi, -egli lodava le verzure e faceva pronostici, per consuetudine di -agricoltore invecchiato tra le cose della terra. - -Volgendosi a un tratto, poichè la signora restava muta come se non -udisse, vide che ella aveva i cigli pieni di lacrime. - -— Perchè piangi, signora? — le chiese con la stessa tranquillità con -cui parlava delle verzure. — Ti senti male? - -— No, no... niente... — mormorò Donna Laura che si sentiva morire. - -Il vecchio non disse altro. Egli era così indurato alla vita, che i -dolori altrui non lo commovevano. Egli vedeva, tutti i giorni, tanta -gente diversa _passare_! - -— Siedi — fece, come giunse alla pergola. - -Là tre uomini della campagna attendevano, uomini giovani, carichi di -fardelli. Tutt'e tre fumavano in grosse pipe, mettendo nel fumare una -attenzione profonda, come per gustarne intera la voluttà, secondo il -costume della gente campestre nei rari diletti. Ad intervalli, dicevano -quelle lunghe cose insignificanti che l'agricoltore ripete senza fine e -che appagano lo spirito di lui tardo ed angusto. - -Guardarono un poco, stupefatti, Donna Laura. Poi ripresero la loro -impassibilità. - -Uno di loro avvertì, tranquillamente: - -— Ecco la chiatta. - -Un altro aggiunse: - -— Porta le pecore di Bidena. - -Il terzo: - -— Saranno quindici. - -E si levarono, insieme, intascando le pipe. - -Donna Laura era caduta in una specie di stupidimento inerte. Le lacrime -le si erano fermate su i cigli. Ella avea perduto il senso della -realità. Dov'era? Che faceva? - -La chiatta urtò leggermente contro la riva. Le pecore, strette le -une contro le altre, belavano intimidite dall'acqua. Il pastore, -il traghettatore ed il figlio le aiutavano a discendere a terra. Le -pecore, appena discese, facevano una piccola corsa; poi si fermavano, -si riunivano e si mettevano a belare ancora. Due o tre agnelli -saltellavano su le gambe lunghe e deformi, tentando i capezzoli -materni. - -Compiuta la bisogna, Luca Marino fermò la chiatta. Poi a grandi passi -lenti salì la riva, verso l'orto. Era un uomo di quarant'anni circa, -alto, magro, con la faccia rossiccia, calvo alle tempie. Aveva baffi -di colore incerto e una manata di peli sparsa disugualmente per il -mento e per le guance; l'occhio un po' torbido, senza alcuna vivacità -d'intelligenza, venato di sanguigno, come quello dei bevitori. La -camicia aperta lasciava vedere il petto velloso, un berretto carico -d'untume copriva la testa. - -— Ahuf! — esclamò egli d'un tratto, in faccia alla pergola, fermandosi -su le gambe aperte e nettandosi con le dita la fronte stillante di -sudore. - -Passò dinanzi ai passeggieri, senza guardarli. In tutti i suoi gesti -e in tutte le sue attitudini era incomposto e quasi brutale. Le mani, -enormi, gonfie di vene sul dorso, le mani avvezze al remo parevano -essergli d'impaccio. Egli le teneva penzoloni lungo i fianchi e le -dondolava camminando. - -— Ahuf! Che sete!... - -Donna Laura stava come impietrita, senza più parole, senza più -conscienza, senza più volontà. - -Quello era il suo figliuolo! Quello era il suo figliuolo! - -Una femmina gravida, che aveva già una figura senile, disfatta dal -lavoro e dalla fecondità, venne a porgere al marito assetato un boccale -di vino. L'uomo bevve d'un fiato. Poi si asciugò le labbra col dorso -della mano e fece schioccare la lingua. Disse, bruscamente, come se la -nuova fatica gli fosse dura: - -— Andiamo. - -Insieme col primogenito, ch'era un grosso fanciullo di quindici anni, -preparò il legno: mise tra il bordo e la riva due tavole per rendere -agevole ai passeggieri l'imbarco. - -— Perchè non monti, signora? — fece il vecchio di dianzi, vedendo che -Donna Laura non si moveva e non parlava. - -Donna Laura si levò, macchinalmente, e seguì il vecchio che le diede -aiuto nel salire. Perchè saliva ella? Perchè passava il fiume? Non -pensò; non giudicò l'atto. Il suo spirito, così colpito, rimaneva ora -inerte, quasi immobile in un punto. — Quello era il figlio. — E a poco -a poco ella sentiva in sè qualche cosa estinguersi, svanire; sentiva -nella mente a poco a poco farsi una gran vacuità. Non comprendeva più -niente. Vedeva, udiva, come in un sogno. - -Quando il primogenito di Luca venne a lei per chiedere la mercè del -traghetto, prima che la barca si staccasse dalla riva, ella non intese. -Il fanciullo scoteva nel concavo delle mani le monete ricevute da uno -dei passeggieri; e ripeteva la domanda a voce più alta, credendo che la -signora fosse sorda per la vecchiezza. - -Ella, come vide gli altri due uomini mettere la mano in tasca e pagare, -imitò quell'atto, risovvenendosi. Ma diede più del dovuto. - -Il fanciullo volle farle intendere ch'egli non poteva renderle -l'avanzo, perchè non l'aveva. Ella non comprese. Il fanciullo prese -tutto il danaro, con una smorfia di malizia. I presenti sorrisero, di -quel sorriso astuto che hanno gli uomini campestri in conspetto di un -inganno. - -Uno disse: - -— Andiamo? - -Luca, che fin allora stava intento a tirar l'áncora, spinse la barca -che si mosse dolcemente su l'acqua gorgogliante. La riva parve fuggire, -con le canne e con i pioppi, ed incurvarsi come una falce. Il sole -incendiava tutto il fiume, appena inclinato verso il cielo occidentale, -dove sorgevano vapori violetti. Si vedeva ora su la riva un gruppo -di gente che gesticolava; ed erano i mendicanti addosso all'idiota. A -tratti, col vento giungevano anche lembi di parole e di risa simili a -un'agitazione di flutti. - -I rematori, nudi il busto, vogavano a gran forza per superare il filo -della corrente. Donna Laura vedeva il dorso di Luca, nero, dove le -costole si disegnavano e colava a rivoli il sudore Teneva gli occhi -fissi, un po' dilatati, pieni di ebetudine. - -Uno dei passeggieri avvertì, prendendo sotto il banco le sue robe: - -— Ci siamo. - -Luca afferrò l'ancora e la gittò alla riva. La barca ridiscese con la -corrente per tutta la lunghezza della corda; quindi si fermò con una -stratta. I passeggieri furono a terra, d'un salto, ed aiutarono la -vecchia signora, tranquillamente. Quindi si rimisero in cammino. - -La campagna da quella parte era coltivata a vigneti. Le viti, piccole -e magre, verdeggiavano in filari. Alcuni alberi interrompevano qua e là -il piano, con forme rotonde. - -Donna Laura si trovò sola, perduta, su quella riva senz'ombra, non -avendo più conoscenza di sè che per il battito continuo delle arterie, -per un romorío cupo ed assordante negli orecchi. Il suolo sotto i piedi -le mancava e pareva affondarsi come fango o arena, ad ogni passo. Tutte -le cose intorno turbinavano e si dileguavano; tutte le cose, ed anche -la sua esistenza, le apparivano vagamente, lontane, dimenticate, finite -per sempre. La follia le prendeva la mente. Ella, d'un tratto, vide -uomini, case, un altro paese, un altro cielo. Urtò in un albero, cadde -su una pietra; si rialzò. E il suo povero corpo sfinito traballava in -moti terribili e insieme ridevoli; ma nessuna cosa intorno splendeva -come i suoi capelli bianchi sotto il sole feroce. - -Ora, i mendicanti dall'altra riva avevano eccitato per dileggio -l'idiota a passare il fiume a nuoto ed a raggiungere la donna per aver -l'elemosina. Essi l'avevano spinto nell'acqua, dopo avergli strappati -i cenci di dosso. E l'idiota nuotava come un cane, tra una pioggia di -sassate che gl'impedivano di tornare addietro. Quegli uomini deformi -fischiavano e urlavano, prendendo diletto nella crudeltà. Essi, come la -corrente traeva l'idiota, arrancavano lungo la sponda e imperversavano. - -— Affoga! Affoga! - -L'idiota, con sforzi disperati, prese terra. E così ignudo, poichè in -lui era morto con l'intelligenza il sentimento del pudore, si mise a -camminare verso la donna, di traverso, com'era suo costume, tendendo la -mano ad ogni tratto. - -La demente, rialzandosi, vide; e con un moto di orrore e con un grido -acutissimo si diede a correre verso il fiume. Sapeva quel che faceva? -Voleva morire? Che pensava ella, in quell'attimo? - -Giunta all'estremo limite, cadde nell'acqua. L'acqua gorgogliò, si -chiuse pienamente; e tanti circoli successivi partirono dal luogo della -caduta e si allargarono in lievi ondulazioni lucide e si dispersero. - -I mendicanti dall'altra riva gridavano verso una barca che si -allontanava: - -— Oh Lucaaa! Oh Luca Marinooo! - -E correvano verso la casa dei pioppi a dare la novella. - -Allora, come seppe il caso, Luca spinse la barca verso il luogo che gli -indicavano, e chiamò La Martina che se ne veniva placidamente con il -suo legno in balía della corrente. - -Disse Luca: - -— C'è un'annegata laggiù. - -Non si curò di raccontare il fatto e di parlare della persona, poichè -non amava le molte parole. - -I due fiumátici misero i legni a paro e remigarono con calma. - -Disse La Martina: - -— Hai tu provato il vino nuovo di Chiachiù? Ti dico!... - -E fece un gesto che rappresentava l'eccellenza della bevanda. - -Luca rispose: - -— Non ancora. - -Disse La Martina: - -— Ne prenderesti una goccia? - -Luca rispose: - -— Io sì. - -La Martina: - -— Dopo. Ci aspetta Iannangelo. - -Luca: - -— Va bene. - -Giunsero al luogo. L'idiota, che poteva meglio indicare il punto, -era fuggito, e in mezzo alle vigne era stato preso da un accesso di -epilessia. All'altra riva i curiosi cominciavano a radunarsi. - -Disse Luca al compagno: - -— Tu ferma la tua barca e salta nella mia. Uno rema e l'altro cerca. - -La Martina così fece. Egli remava su e giù per una ventina di metri, e -Luca tentava il fondo del fiume con una lunga pertica. Ogni tanto Luca, -sentendo qualche resistenza, mormorava: - -— Ecco. - -Ma s'ingannava sempre. Finalmente, dopo molte ricerche, Luca disse: - -— Questa volta c'è. - -E chinandosi e inarcando le gambe per far forza, sollevò piano piano il -peso all'estremità della pertica. I bicipiti gli tremavano. - -La Martina chiese, lasciando il remo: - -— Vuoi che t'aiuti? - -Luca rispose: - -— Non importa. - - - - -AGONIA. - - -I. - -Quando entrò Donna Letizia tenendo l'infermo su le belle braccia -carnose con un'attitudine di misericordia lacrimevole, tutte le figlie -accorsero a torno intenerite ed esalarono la gentil pietà dell'animo -in querele gemebonde. Le voci femminili risonavano così nella stanza -confusamente tra i rumori che dal traffico della strada salivano per -le vetrate aperte; e al compianto delle fanciulle si mescevano in quel -punto le interiezioni d'un cerretano magnificatore d'acque angelicali e -di polveri mirifiche. - -Il cane, su le braccia della signora, ebbe allora un lieve tremito -che gli corse per tutto il dorso fino alla estremità della coda; -tentò di sollevare le palpebre, di volgere alle carezze quei suoi -enormi occhi pieni di gratitudine. Moveva la testa in certi sforzi -penosi, come se le corde del collo gli si fossero irrigidite; aveva -la bocca semiaperta, da cui il lembo della lingua tenuta tra i due -denti sporgenti usciva come una foglia vermiglia solcata di venature -violacee. E una bava molle gl'inumidiva il mento, quella piccola parte -della mandibola inferiore dove la rarezza dei peli lasciava apparire -la pelle rosea. E la fatica del respiro a volte gli s'inaspriva in -una specie di raucedine sibilante, mentre le narici d'ora in ora si -disseccavano e prendevano l'aspetto duro e scabro di un tartufo. - -— Oh, Sancio, povero Sancio, che t'hanno fatto? Povero bibì, eh? Povero -vecchio mio!.. - -Le commiserazioni delle fanciulle sensibili si facevano via via -più tenere, finivano in un balbettío pargoleggiante di parole senza -significato, di suoni lamentevoli, di lezii carezzevoli. Tutte volevano -passar la mano su la testa dell'animale, prendere una delle zampe, -toccare le narici. Donna Letizia sorreggeva il dolce peso maternamente; -e le sue dita grasse e bianche, le cui falangi parevano gonfie quasi -per un morbo, le sue dita vellicavano pianamente il ventre di Sancio, -s'insinuavano tra il pelo. - -Nella stanza entrava la luce del pomeriggio e il fresco della marina, -a traverso le tende verdognole. Otto stampe colorite, chiuse in cornici -nere, adornavano le pareti coperte di una carta a fiorami gialli. Sopra -un vecchio canterale del Settecento, con la lastra di marmo roseo e le -borchie di ottone, posava tra due piccoli specchi retti da sostegni -d'argento un trionfo di fiori di cera in una campana di cristallo. -Sopra il caminetto scintillava una coppia di candelabri dorati, con -le candele intatte. Un automa di cartapesta, raffigurante un macacco -in abito moresco, meditava immobile dall'alto d'uno di quei tavolini -intarsiati che vengono di Sorrento. Molte seggiole con su la spalliera -vignette di favole pastorali, un canapè dell'Impero, due poltrone -moderne, concorrevano alla discordia delle forme e dei colori. - - -II. - -Come l'infermo venne adagiato in grembo a una delle poltrone, ci fu -nella stanza un intervallo di silenzio. Sancio si levò un momento -in piedi tremando, si rigirò più volte cercando una positura meno -dolorosa, nella irrequietudine della sofferenza, tentò di poggiare la -testa su uno dei bracciuoli, si piegò su le gambe di dietro; stette -così alfine con le palpebre socchiuse, respirando a fatica, come preso -da una sonnolenza improvvisa. Sul petto largo la pelle abbondante gli -faceva, con tre o quattro crespe, quasi una piccola giogaia; sopra -la collottola le crespe erano più grandi e più tonde; i lembi delle -labbra ai lati della mandibola superiore pendevano flosciamente; e il -povero animale aveva ora nella malattia quel non so che di ridevole -insieme e di miserevole che hanno gli uomini nani oppressi dall'adipe e -dall'asma. - -Le fanciulle dinanzi a quell'abbattimento restavano mute, invase -da un rammarico immenso, colpite dal presentimento della sventura; -poichè Sancio era stato per molti anni la loro cura amorosa, l'oggetto -delle loro blandizie e dei loro vezzi, lo sfogo innocuo delle loro -mollezze e delle loro tenerezze di adolescenti clorotiche. Sancio -era nato e cresciuto nella casa, con quelle forme tozze e pesanti di -razza imbastardita, con quelle rotondità di bestia eunuca oziosa e -golosa; e a poco a poco eragli apparso negli occhi tondi uno sguardo -pieno di umanità e di devozione. Soleva agitar vivamente il tronco -della coda nelle ore di gioia, reggendosi su tre gambe sole e tutto -raggomitolandosi con un singolar tremolío del pelame e trotterellando -con la grazia d'un porcellino d'India in mezzo all'erbe primaverili. - -I bei ricordi ora travagliavano le animule delle fanciulle. - -— E il medico quando viene? — chiese, con la voce impaziente, -Teodolinda, la figlia minore; che aveva una faccia di giovine -bertuccia, tutta bianca di cipria, e su la fronte una larga frangia di -capelli rossi. - -L'infermo a tratti metteva una specie di gemito fioco aprendo gli -occhi e volgendo in torno lo sguardo supplichevole, uno sguardo lento -e dolce, fatto più umano dall'increspamento nervoso degli angoli delle -palpebre e da due linee brune che gli umori sgorganti avevano segnato -sotto le orbite. E come Donna Letizia tentava di fargli prendere un -cucchiaio di zuppa ristoratrice, egli agitava fuor della bocca la -lingua flessibile in tutti i sensi per lo sforzo dell'inghiottire e non -poteva chiudere le mascelle irrigidite. - -Allora si udì nell'anticamera la voce del dottore Zenzuino che era -finalmente salito. Ed entrò nella stanza un signore dalla bella faccia -lucida di giovialità e di sanità. - -— Oh Don Giovanni, guarite Sancio! Sta per morire — esclamò una voce -flebile. - -Il medico guardò in torno tutta quella dolente famiglia che egli aveva -nutrita d'arsenico, di ferro e d'olio ferruginoso e d'acqua di Levico -per tanti anni in vano ed ebbe un lieve lampo di sorriso negli occhiali -d'oro. Poi, osservando l'infermo con una curiosità d'uomo ricercatore, -disse molto lentamente: - -— Credo sia un caso di paralisi della mandibola e delle glandole -salivari sotto-mascellari. La malattia che ha sede in un'alterazione -nervosa centrale probabilmente delle meningi e che per la sua eziologia -può dipendere da una causa ereditaria o parassitaria, è d'indole -progressiva. Il processo che tende a diffondersi, andrà parzialmente -e progressivamente privando il corpo, organo per organo, della sua -funzionalità; finchè giunto in breve ad agire sul centro di una -delle funzioni vitali, sia della circolazione che della respirazione, -produrrà la morte... - -Le terribili parole barbare misero un'ambascia suprema nelle -animule blandule; e le guance floride di Donna Letizia in un momento -impallidirono. - -— Io credo che abbia influito su lo sviluppo del morbo l'alimentazione -— soggiunse Don Giovanni, senza pietà. - -A quella specie di accusa, il rimorso cominciò a tormentare le -fanciulle che sempre per la golosità di Sancio erano state piene -d'indulgenza colpevole. E Teodolinda, con un atto di sconforto -ineffabile, chiese: - -— Non c'è dunque rimedio? - -— Tentiamo. Io consiglio l'applicazione di un cerotto vescicatorio alla -nuca — rispose il dottore licenziandosi in ultimo amabilmente. - -Sancio voleva discendere dalla poltrona. Esitava su l'orlo, non avendo -la forza di spiccare il salto, implorava l'aiuto con gli occhi fievoli -che già si velavano come due acini d'uva nera suffusi dalla pruina -argentea della maturità. Nella sua pinguedine il dolore a poco a -poco scavava ombre senili; le tinte rosee del muso, dove i peli erano -lunghi e radi, pareva si corrompessero divenendo quasi giallastre; le -orecchie mozze avevano di tratto in tratto un tremolìo leggerissimo; -e nello stesso tempo un brivido passava a traverso il pelame bianco -visibilmente. - -Allora Isabella, la più eterea delle cinque fanciulle, che per crudeltà -della sorte ereditava dal padre il pio naso borbonico e la fronte -leprina, si accostò tutta commossa e prese l'infermo fra le mani -delicate per posarlo a terra. - -Sancio prima rimase fermo un istante, senza poter muovere i passi, -con il dorso arcuato, e la testa in alto, oppresso dall'affanno -del respiro; poi cominciò a trascinarsi, barcollando, con lo stento -doloroso di un animale ferito alle due cosce. Forse aveva sete, perchè -quando gli fu accostata la scodella tentò di lambire con la lingua -il liquido. Ma, come la paralisi crescente già gli impediva anche -quell'atto, dopo sforzi inutili ed irosi egli si volse piegando su -le gambe posteriori e con una delle zampe davanti cominciò a battersi -la mascella, quasi per rimuovere alfine di là quell'ostacolo che gli -faceva tanto dolore. - -E l'attitudine era così vivamente umana e le pupille erano così piene -di supplicazione e di disperazione umana, che d'un tratto Donna Letizia -scoppiò in pianto: - -— Oh, povero bibì! Chi te l'avesse mai detto, povero bibì mio!.. - -In tutte le fanciulle la commozione raggiunse il supremo grado. -Teodolinda raccolse il morituro, lo portò sul canapè, chiese le -forbici. Era necessario un eroismo; bisognava infine esperimentare il -rimedio, ad ogni costo. - -— Isabella, Maria, le forbici! Venite! - -Tutte trepide e pallide, si chinarono intorno a Sancio, che aveva -di nuovo socchiuse le palpebre e alitava il fiato ardente nelle mani -della soccorritrice. E questa, vinta la prima ripugnanza, cominciò a -tagliare il pelo su la nuca dell'animale, pianamente, arrestandosi di -tratto in tratto, mettendo via via un soffio su la parte rasa. Una -specie di chierica irregolare si veniva allargando nella grassezza -della collottola; e il tonsurato assumeva così un nuovo aspetto -miserevolmente buffonesco. - -Le tende del balcone, investite dalla brezza, s'inarcavano come due -vele. I clamori della strada salivano in confuso, vivi e giulivi; -una prospettiva di case plebee s'intravedeva al fondo nella doratura -pallida del tramonto; e un merlo fischiava. - -Allora discese dalle camere superiori Natalia, la bella nuora di Donna -Letizia, con un bimbo su le braccia; ed entrò nella stanza. Ella aveva -la faccia ovale, la pelle fine e rosea, solcata di vene, gli occhi -chiarissimi, le narici diafane, tutta in somma la dolcezza di sangue -della donna bionda, tra una nera ribellione di capelli; e aveva nella -persona, nelle vesti, nell'incedere, quella negligenza semplice, quella -felice placidità quasi direi bovina, quella specie di freschezza lattea -delle giovani madri che nutrono con la propria mammella il figliuolo. - -Appena ella vide il cane tonsurato, un impeto così spontaneo d'ilarità -la invase, che non potè ritenere le risa entro la chiostra dei denti. - -— Ah, ah, ah, ah, ah!.. - -Come? Natalia osava ridere, mentre quel povero Sancio moriva? — Le -innupte sensibili volsero un acre sguardo d'indignazione alla cognata -irriverente e crudele. Ma questa, con una lieta incuranza, si appressò -per tendere il bimbo verso l'animale. E il bimbo seminudo agitava le -piccole mani irrequiete, cercando toccare, tutto vibrando di naturale -gioia e barbugliando suoni incomprensibili nella bocca rorida ancora -della bevanda materna. E l'animale, uso già a sottomettere la testa -mansueta a quei cercamenti, aveva ancora nelle membra inferme una -esitazione di festevolezza e negli occhi un supremo barlume di bontà -conoscente. - -— Povero Sancio Panza! — mormorò alfine Natalia ritraendo il figliuolo -che stava per bagnarsi di bava le dita. E, come il bimbo rincrespava le -labbra per piangere, ella fece due o tre giri nella stanza cullandolo e -palleggiandolo; poi, fermatasi dinanzi all'automa, volse la chiave del -meccanismo. - -Il macacco aprì la bocca, battè le palpebre, attorcigliò la coda, -tutto animandosi internamente al suono d'una gavotta ben nota. Quel -voluttuoso ondeggiamento di danza moveva l'aria e la testa di Natalia -per ritmo. La luce nella stanza era dolce; il profumo dei garofoli -entrava dai vasi del balcone aperto. - -Sancio non udiva forse più. Al bruciore caustico del vescicante su la -nuca, egli scoteva di tratto in tratto il dorso, e piegava la testa -in basso, con un lamentìo fievole. La lingua ritirata fra i denti, -violacea, quasi anzi nerastra, aveva già perduta ogni facoltà di -moto. Gli occhi, ora, coperti da una specie di membrana turchiniccia -e umidiccia, non conservavano altra espressione di spasimo che quella -dell'apparir rapido d'un lembo bianco agli angoli delle orbite. La bava -si produceva più copiosa e più densa. L'asfissia pareva imminente. - -— Oh Natalia, cessa! Ma non vedi che Sancio muore? — proruppe, con la -voce piena d'acredine e di lagrime, Isabella. - -La gavotta non si poteva interrompere prima che la forza data dalla -chiave alla macchina fosse esaurita. Le note continuavano, lente e -molli, a spandersi su l'agonia del cane. Le ombre del crepuscolo, -intanto, cominciavano a penetrare nell'interno e le tende sbattevano -nella frescura. - -Allora, Donna Letizia, soffocata dai singhiozzi, non reggendo più allo -strazio, uscì. Tutte le figlie la seguirono, a una a una, piangendo, -con i teneri petti oppressi dal dolore. Soltanto Natalia per curiosità -si fece da presso al moribondo. - -E, mentre la gavotta era su la ripresa, il buon Sancio spirò in musica, -come l'eroe di un melodramma italiano. - - - - -LA FINE DI CANDIA. - - -I. - -Donna Cristina Lamonica, tre giorni dopo il convito pasquale che -in casa Lamonica soleva essere grande per tradizione e magnifico e -frequente di convitati, numerava la biancheria e l'argenteria delle -mense e con perfetto ordine riponeva ogni cosa nei canterani e nei -forzieri pei conviti futuri. - -Erano presenti, per solito, alla bisogna, e porgevano aiuto, la -cameriera Maria Bisaccia e la lavandaia Candida Marcanda detta -popolarmente Candia. Le vaste canestre ricolme di tele fini giacevano -in fila sul pavimento. I vasellami di argento e gli altri strumenti da -tavola rilucevano sopra una spasa; ed erano massicci, lavorati un po' -rudemente da argentarii rustici, di forme quasi liturgiche, come sono -tutti i vasellami che si trasmettono di generazione in generazione -nelle ricche famiglie provinciali. Una fresca fragranza d bucato -spandevasi nella stanza. - -Candia prendeva dalle canestre i mantili, le tovaglie, le salviette; -faceva esaminare alla signora la tela intatta; e porgeva via via -ciascun capo a Maria che riempiva i tiratoi, mentre la signora spargeva -negli interstizi un aroma e segnava nel libro la cifra. Candia era una -femmina alta, ossuta, segaligna, di cinquant'anni; aveva la schiena un -po' curvata dall'attitudine abituale del suo mestiere, le braccia molto -lunghe, una testa d'uccello rapace sopra un collo di testuggine. Maria -Bisaccia era un'ortonese, un po' pingue di carnagione lattea, d'occhi -chiarissimi; aveva la parlatura molle, e i gesti lenti e delicati -come colei ch'era usa a esercitar le mani quasi sempre tra la pasta -dolce, tra gli sciroppi, tra le conserve e tra le confetture. Donna -Cristina, anche nativa di Ortona, educata nel monastero benedettino, -era piccola di statura, con il busto un po' abbandonato sul davanti; -aveva i capelli tendenti al rosso, la faccia sparsa di lentiggini, il -naso lungo e grosso, i denti cattivi, gli occhi bellissimi e pudichi, -somigliando un cherico vestito d'abiti muliebri. - -Le tre donne attendevano all'opera con molta cura; e spendevano così -gran parte del pomeriggio. - -Ora, una volta, come Candia usciva con le canestre vuote, Donna -Cristina numerando le posate trovò che mancava un cucchiaio. - -— Maria! Maria! — ella gridò, con una specie di spavento. — Conta! -Manca _'na cucchiara_.... Conta tu! - -— Ma come? Non può essere, signó, — rispose Maria. — Mo' vediamo. - -E si mise a riscontrare le posate, dicendo il numero ad alta voce. -Donna Cristina guardava, scotendo il capo. L'argento tintinniva -chiaramente. - -— E vero! — esclamò alla fine Maria, con un atto di disperazione. — E -mo' che facciamo? - -Ella era sicura da ogni sospetto. Aveva dato prove di fedeltà e di -onestà per quindici anni, in quella famiglia. Era venuta da Ortona -insieme con Donna Cristina, all'epoca delle nozze, quasi facendo parte -dell'appannaggio matrimoniale; ed oramai nella casa aveva acquistata -una certa autorità, sotto la protezione della signora. Ella era piena -di superstizioni religiose, devota al suo santo e al suo campanile, -astutissima. Con la signora aveva stretto una specie di alleanza ostile -contro tutte le cose di Pescara, e specialmente contro il santo dei -Pescaresi. Ad ogni occasione nominava il paese natale, le bellezze -e le ricchezze del paese natale, gli splendori della sua basilica, i -tesori di San Tommaso, la magnificenza delle cerimonie ecclesiastiche, -in confronto alle miserie di San Cetteo che possedeva un solo piccolo -braccio d'argento. - -Donna Cristina disse: - -— Guarda bene di là. - -Maria uscì dalla stanza per andare a cercare. Rovistò tutti gli angoli -della cucina e della loggia inutilmente. Tornò a mani vuote. - -— Non c'è! Non c'è! - -Allora ambedue si misero a pensare, a cumular congetture, a investigar -nella loro memoria. Uscirono su la loggia che dava nel cortile, su la -loggia del lavatoio, per fare l'ultima ricerca. Come parlavano a voce -alta, alle finestre delle case in torno si affacciarono le comari. - -— Che v'è successo, Donna Cristí? Dite! Dite! Donna Cristina e Maria -raccontarono il fatto, con molte parole, con molti gesti. - -— Gesù! Gesù! Dunque ci stanno i ladri? - -In un momento il rumore del furto si sparse pel vicinato, per tutta -Pescara. Uomini e donne si misero a discutere, a imaginare chi -potesse essere il ladro. La novella, giungendo alle ultime case -di Sant'Agostino, s'ingrandì: non si trattava più di un semplice -cucchiaio, ma di tutta l'argenteria di casa Lamonica. - -Ora, come il tempo era bello e su la loggia le rose cominciavano a -fiorire e due lucherini in gabbia cantavano, le comari si trattennero -alle finestre per il piacere di ciarlare al bel tempo, con quel dolce -calore. Le teste feminili apparivano tra i vasi di basilico e il -ciaramellio pareva dilettare i gatti in su le gronde. - -Donna Cristina disse, congiungendo le mani: - -— Chi sarà stato? - -Donna Isabella Sertale, detta la Faina, che aveva i movimenti lesti e -furtivi di un animaletto predatore, chiese con la voce stridula: - -— Chi ci stava con voi. Donna Cristí? Mi pare che ho visto ripassare -Candia.... - -— Aaaah! — esclamò donna Felicetta Margasanta, detta la Pica per la sua -continua garrulità. - -— Ah! — ripeterono le altre comari. - -— E non ci pensavate? - -— E non ve n'accorgevate? - -— E non sapete chi è Candia? - -— Ve lo diciamo noi chi è Candia! - -— Sicuro! - -— Ve lo diciamo noi! - -— I panni li lava bene, non c'è che dire. È la meglio lavandaia che sta -a Pescara, non c'è che dire. Ma tiene lu difetto delle cinque dita... -Non lo sapevate, commà? - -— A me 'na volta mi mancò due mantili. - -— A me 'na tovaglia. - -— A me 'na camicia. - -— A me tre paia di calzette. - -— A me due fédere. - -— A me 'na sottana nuova. - -— Io non ho potuto riavere niente. - -— Io manco. - -— Io manco. - -— Io non l'ho cacciata; perchè chi prendo? Silvestra? - -— Ah! Ah! - -— Angelantonia? Babascetta? - -— Una peggio dell'altra! - -— Bisogna ave' pazienza. - -— Ma 'na cucchiara, mo'! - -— È troppo, mo'! - -— Non vi state zitta, Donna Cristí; non vi state zitta! - -— Che zitta e non zitta! — proruppe Maria Bisaccia che, quantunque -avesse l'aspetto placido e benigno, non si lasciava sfuggire nessuna -occasione per opprimere o per mettere in mala vista gli altri serventi -della casa. — Ci penseremo noi, Donn'Isabbé, ci penseremo! - -E le ciarle dalla loggia alle finestre seguitavano. E l'accusa di bocca -in bocca si propalò per tutto il paese. - - -II. - -La mattina vegnente, mentre Candia Marcanda teneva le braccia nella -lisciva, comparve su la soglia la guardia comunale Biagio Pesce -soprannominato _il Caporaletto_. - -Egli disse alla lavatrice: - -— Ti vuole il signor Sindaco sopra il Comune, sùbito. - -— Che dici? — domandò Candia aggrottando le sopracciglia, ma senza -tralasciare la sua bisogna. - -— Ti vuole il signor Sindaco sopra il Comune, sùbito. - -— Mi vuole? E perchè? — seguitò a domandare Candia, con un modo un -po' brusco, non sapendo a che attribuire quella chiamata improvvisa, -inalberandosi come fanno le bestie caparbie dinanzi a un'ombra. - -— Io non posso sapere perchè — rispose il Caporaletto. — Ho ricevuto -l'ordine. - -— Che ordine? - -La donna, per una ostinazione naturale in lei, non cessava dalle -domande. Ella non sapeva persuadersi della cosa. - -— Mi vuole il Sindaco? E perchè? E che ho fatto io? Non ci voglio -venire. Io non ho fatto nulla. - -Il Caporaletto, impazientito, disse: - -— Ah, non ci vuoi venire? Bada a te! - -E se ne andò, con la mano su l'elsa della vecchia daga, mormorando. - -Intanto per il vico alcuni che avevano udito il dialogo uscirono su -gli usci e si misero a guardare Candia che agitava la lisciva con le -braccia. E, poichè sapevano del cucchiaio d'argento, ridevano tra loro -e dicevano motti ambigui che Candia non comprendeva. A quelle risa e a -quei motti, l'inquietudine prese l'animo della donna; e crebbe quando -ricomparve il Caporaletto accompagnato dall'altra guardia. - -— Cammina! — disse il Caporaletto, risolutamente. - -Candia si asciugò le braccia, in silenzio; e andò. Per la piazza la -gente si fermava. Rosa Panara, una nemica, dalla soglia della bottega -gridò con una risata feroce: - -— Posa l'osso! - -La lavandaia, smarrita, non imaginando la causa di quella persecuzione, -non seppe che rispondere. - -Dinanzi al Comune stava un gruppo di persone curiose che la volevano -veder passare. Candia, presa dall'ira, salì le scale rapidamente; -giunse in conspetto del Sindaco, affannata; chiese: - -— Ma che volete da me? - -Don Silla, uomo pacifico, rimase un momento turbato dalla voce aspra -della lavandaia, e volse uno sguardo ai due fedeli custodi della -dignità sindacale. Quindi disse, prendendo il tabacco nella scatola di -corno: - -— Figlia mia, sedetevi. - -Candia rimase in piedi. Il suo naso ricurvo era gonfio di collera, e le -sue guance rugose tremolavano alle contratture delle mascelle mordaci. - -— Dite, Don Sì. - -— Voi siete stata ieri a riporta' la biancheria a Donna Cristina -Lamonica? - -— Be', che c'è? che c'è? Manca qualche cosa? Tutto contato, capo per -capo... Non manca nulla. Che c'è, mo'? - -— Un momento, figlia mia! C'era nella stanza l'argenteria... - -Candia, indovinando, si voltò come un falchetto inviperito che stia per -ghermire. E le labbra sottili le tremavano. - -— C'era nella stanza l'argenteria, e Donna Cristina trova mancante 'na -cucchiara... Capite, figlia mia? L'avete presa voi... pe' sbaglio? - -Candia saltò come una locusta, a quell'accusa immeritata. Ella non -aveva preso nulla, in verità. - -— Ah, io? Ah, io? Chi lo dice? Chi mi ha vista? Mi faccio meraviglia di -voi, Don Sì! Mi faccio meraviglia di voi! Io ladra? io? io?... - -E la sua indignazione non aveva fine. Ella più era ferita dall'ingiusta -accusa perchè si sentiva capace dell'azione che le addebitavano. - -— Dunque voi non l'avete presa? — interruppe Don Silla, ritirandosi in -fondo alla sua grande sedia curule, prudentemente. - -— Mi faccio meraviglia! — garrì di nuovo la donna, agitando le lunghe -braccia come due bastoni. - -— Be', andate. Si vedrà. - -Candia uscì, senza salutare, urtando contro lo stipite della porta. -Ella era diventata verde: era fuori di sè. Mettendo il piede nella -via, vedendo tutta la gente assembrata, comprese che oramai l'opinione -popolare era contro di lei; che nessuno avrebbe creduto alla sua -innocenza. Nondimeno si mise a gridare le sue discolpe. La gente -rideva, dileguandosi. Ella, furibonda, tornò a casa; si disperò; si -mise a singhiozzare su la soglia. - -Don Donato Brandimarte, che abitava a canto, le disse per beffa: - -— Piangi forte, piangi forte, che mo' passa la gente. - -Come i panni ammucchiati aspettavano il ranno, ella finalmente -si acquetò; si nudò le braccia, e si rimise all'opera. Lavorando, -pensava alla discolpa, architettava un metodo di difesa, cercava -nel suo cervello di femmina astuta un mezzo artifizioso per provare -l'innocenza; arzigogolando sottilissimamente, si giovava di tutti gli -spedienti della dialettica plebea per mettere insieme un ragionamento -che persuadesse gli increduli. - -Poi, quando ebbe terminata la bisogna, uscì; volle andare prima da -Donna Cristina. - -Donna Cristina non si fece vedere. Maria Bisaccia ascoltò le molte -parole di Candia scotendo il capo, senza risponder niente; e si -ritrasse con dignità. - -Allora Candia fece il giro di tutte le sue clienti. Ad ognuna raccontò -il fatto, ad ognuna espose la discolpa, aggiungendo sempre un nuovo -argomento, aumentando le parole, accalorandosi, disperandosi dinanzi -alla incredulità e alla diffidenza; e inutilmente. Ella sentiva che -oramai non era più possibile la difesa. Una specie di abbattimento cupo -le prese l'animo. — Che più fare! Che più dire! - - -III. - -Donna Cristina Lamonica intanto mandò a chiamare la Cinigia, una -femmina del volgo, che faceva professione di magia e di medicina -empirica con molta fortuna. La Cinigia già qualche volta aveva scoperta -la roba rubata; e si diceva ch'ella avesse diverse pratiche con i -ladroncelli. - -Donna Cristina le disse: - -— Ritrovami la cucchiara, e ti darò 'na regalía forte. - -La Cinigia rispose: - -— Va bene. Mi bastano ventiquattr'ore. - -E, dopo ventiquattr'ore, ella portò la risposta. — Il cucchiaio si -trova in una buca, nel cortile, vicino al pozzo. - -Donna Cristina e Maria discesero nel cortile, cercarono e trovarono, -con grande meraviglia. - -Rapidamente, la novella si sparse per Pescara. - -Allora, trionfante, Candia Marcanda si diede a percorrere le vie. Ella -pareva più alta; teneva la testa eretta, sorrideva, guardando tutti -negli occhi come per dire: - -— Avete visto? Avete visto? - -La gente su le botteghe, vedendola passare, mormorava qualche parola -e poi rompeva in uno sghignazzìo significativo. Filippo La Selvi, che -stava bevendo un bicchiere d'acquavite fine nel caffè d'Angeladea, -chiamò Candia. - -— 'Nu bicchiere pe' Candia, di questo qua! - -La donna, che amava i liquori ardenti, fece con le labbra un atto di -cupidigia. - -Filippo La Selvi soggiunse: - -— Te lo meriti, non c'è che di'. - -Una torma di oziosi erasi ragunata innanzi al caffè. Tutti avevano su -la faccia un'aria burlevole. - -Filippo La Selvi, rivoltosi all'uditorio, mentre la donna beveva: - -— L'ha saputa fa'; è vero? Volpe vecchia... - -E battè familiarmente la spalla ossuta della lavandaia. - -Tutti risero. - -Magnafave, un piccolo gobbo, scemo e bleso, unendo insieme l'indice -della mano destra con quello della sinistra, e impuntandosi su le -sillabe, disse: - -— Ca... ca... ca... Candia... la... la... Cinigia... - -E seguitò a gesticolare e a balbettare con un'aria furbesca, per -indicare che Candia e la Cinigia erano comari. Tutti, a quella vista, -si contorcevano nell'ilarità. - -Candia rimase un momento smarrita, co 'l bicchiere in mano. Poi, d'un -tratto, comprese. — Non credevano alla sua innocenza. L'accusavano di -aver riportato il cucchiaio d'argento segretamente, d'accordo con la -strega, per non aver guai. - -Un impeto cieco di collera allora la invase. Ella non trovava parole. -Si gittò su 'l più debole, su 'l piccolo gobbo, a tempestarlo di pugni -e di graffi. La gente, con una gioia crudele, in cospetto di quella -lotta, schiamazzava a torno in cerchio, come dinanzi a un combattimento -d'animali; ed aizzava le due parti con le voci e con le gesticolazioni. - -Magnafave, sbigottito da quella furia improvvisa, cercava di fuggire, -sgambettando come uno scimmiotto; e, tenuto dalle mani terribili della -lavandaia, girava con rapidità crescente, come un sasso nella fionda, -sinchè cadde con gran veemenza bocconi. - -Alcuni corsero a rialzarlo. Candia si allontanò tra i sibili; andò -a chiudersi in casa; si gittò a traverso il letto, singhiozzando e -mordendosi le dita, pe 'l gran dolore. La nuova accusa le coceva più -della prima, tanto più ch'ella si sentiva capace di quel sotterfugio. -— Come discolparsi ora? Come chiarire la verità? — Ella si disperava, -pensando di non poter addurre in discolpa difficoltà materiali che -avessero potuto impedire l'esecuzione dell'inganno. L'accesso al -cortile era facilissimo: una porta, non chiusa, corrispondeva al primo -pianerottolo della scalinata grande; per togliere l'immondizie o per -altre bisogne una quantità di gente entrava ed usciva liberamente da -quella porta. Dunque ella non poteva chiudere la bocca agli accusatori -dicendo: — Come avrei fatto ad entrare? — I mezzi per condurre a -termine l'impresa erano molti ed agevoli; e su questa agevolezza si -fondava la credenza popolare. - -Candia allora cercò differenti argomenti di persuasione; aguzzò -l'astuzia; imaginò tre, quattro, cinque casi diversi per spiegare -come mai si trovasse il cucchiaio nella buca del cortile; ricorse ad -artifizi e a cavilli d'ogni genere; sottilizzò con una ingegnosità -singolare. Poi si mise a girare per le botteghe, per le case, cercando -in tutti i modi di vincere l'incredulità delle persone. Le persone -ascoltavano quei ragionamenti capziosi, dilettandosi. In ultimo -dicevano: - -— Va bene! Va bene! - -Ma con tal suono di voce che Candia rimaneva annichilita. — Tutte le -sue fatiche dunque erano inutili! Nessuno credeva! Nessuno credeva! -— Ella, con una pertinacia mirabile, tornava all'assalto. Passava le -notti intere pensando sempre a trovar nuove ragioni, a costruire nuovi -edifizi, a superare nuovi ostacoli. E a poco a poco, in questo continuo -sforzo, la sua mente s'indeboliva, non sosteneva più altro pensiero che -non fosse quello del cucchiaio, non avea quasi più consapevolezza della -vita comune. Più tardi, per la crudeltà della gente, una vera manìa -prese il cervello della povera donna. - -Ella, trascurando le sue bisogne, s'era ridotta quasi alla miseria. -Lavava male i panni, li perdeva, li faceva strappare. Quando scendeva -alla riva del fiume, sotto il ponte di ferro, dove erano raccolte le -altre lavandaie, a volte si lasciava fuggir di mano le tele che rapiva -per sempre la corrente. Parlava continuamente, senza stancarsi mai, -della medesima cosa. Per non udirla, le lavandaie giovani si mettevano -a cantare e la beffavano nei canti con rime improvvise. Ella gridava e -gesticolava, come una pazza. - -Nessuno più le dava lavoro. Per compassione le antiche clienti le -mandavano qualche cosa da mangiare. A poco a poco ella si abituò a -mendicare. Andava per le strade, tutta cenciosa, curva e disfatta. I -monelli le gridavano dietro: - -— Mo' dicci la storia de la cucchiara, che nun la sapemo, zi' Ca'! - -Ella fermava i passanti sconosciuti, talvolta, per raccontare la storia -e per arzigogolare su la discolpa. I giovinastri la chiamavano e per un -soldo le facevano fare tre, quattro volte la narrazione; sollevavano -difficoltà contro gli argomenti; ascoltavano sino alla fine, per poi -ferirla con una sola parola. Ella scoteva il capo; passava oltre; si -univa alle altre femmine mendicanti e ragionava con loro, sempre, -sempre, infaticabile, invincibile. Prediligeva una femmina sorda, -che aveva su la pelle una sorta di lebbra rossastra e zoppicava da un -piede. - -Nell'inverno del 1874 la colse una febbre maligna. Fu assistita dalla -femmina lebbrosa. Donna Cristina Lamonica le mandò un cordiale e un -cassetto di brace. - -L'inferma, distesa su 'l giaciglio, farneticava del cucchiaio; -si levava su i gomiti, tentava di agitar le mani, per secondare -la perorazione. La lebbrosa le prendeva le mani e la riadagiava -pietosamente. - -Nell'agonia, quando già gli occhi ingranditi sì velavano come per -un'acqua torbida che vi salisse dall'interno, Candia balbettava: - -— No so' stata io, signó... vedete... perchè... la cucchiara... - - - - -LA FATTURA. - - -Quando nella piazza comunale strepitavano consecutivamente i sette -starnuti di Mastro Peppe De Sieri, detto La Bravetta, tutti gli -abitanti di Pescara sedevano alle mense e incominciavano il pasto. -Sùbito dopo, la campana vibrava i tocchi del mezzodì. Un'ilarità -unanime propagavasi nelle case. - -Per molti anni La Bravetta diede al popolo pescarese questo giocondo -segnale cotidiano; e la fama delle sue meravigliose starnutazioni si -sparse per il contado in torno e per le terre finitime. Ancora tra -il buon volgo la memoria n'è viva e, fermata in un proverbio, durerà -lungamente nei tempi a venire. - - -I. - -Mastro Peppe La Bravetta era un plebeo di alquanta corpulenza, tozzo, -con la faccia piena di una prospera stupidezza, con gli occhi simili -a quelli d'un vitello poppante, con mani e piedi di straordinaria -espansione. E come aveva un naso molto lungo e carnoso e singolarmente -mobile, e come aveva le mascelle forti, egli nel ridere e nello -starnutire pareva una di quelle foche a proboscide, che in conseguenza -della pinguedine tremano tutte come una gelatina, secondo narrano i -marinai. Anche di quelle foche egli aveva la pigrizia, la lentezza -dei movimenti, la ridicolezza delle attitudini, l'amore del sonno. Non -poteva passare dall'ombra al sole o dal sole all'ombra, senza che un -irresistibile impeto d'aria gli rompesse per la bocca e per le narici. -Lo strepito, in ispecie nelle ore tranquille, udivasi a gran distanza; -e poichè si produceva in periodi determinati, serviva d'orario a quasi -tutti i cittadini. Mastro Peppe nella sua gioventù aveva tenuto negozio -di maccheroni; ed era cresciuto in una dolce balordaggine, tra le belle -frange di pasta, tra il rumore eguale dei buratti e delle ruote, fra -il tepore dell'aria invasa dal polverìo delle farine. Nella maturità -egli s'era legato in nozze con una tal Donna Pelagia, del comune dei -Castelli, e da allora, abbandonato il mestiere alimentario, aveva -preso a rivendere stoviglie di maiolica e di terracotta, orci, piatti, -boccali, tutto lo schietto vasellame fiorito di cui gli artefici -castellesi allietano le mense della terra d'Abruzzi. Tra la rusticità -e quasi direi la religiosità di quelle forme immutate da secoli e -immutabili, egli viveva molto semplicemente, starnutando. E come la -moglie era avara, a poco a poco l'avarizia conquistava e avviluppava -anche l'animo di lui. - -Ora, possedeva egli su la destra riva del fiume un podere con una casa -rurale, proprio in quel punto ove la corrente rivolgesi formando quasi -un verde anfiteatro lacustre. Ivi il terreno irriguo rendeva, più che -uve e cereali, gran copia d'erbaggi; il frutteto si moltiplicava; -e un porco si impinguava annualmente, sotto una quercia ricca di -ghiande. In ogni gennaio La Bravetta andava insieme con la moglie al -podere, trattenendovisi co 'l favore di sant'Antonio, per assistere -all'occisione e alla salatura del porco. - -Avvenne una volta che, essendo la moglie alquanto inferma, La Bravetta -andò solo ad invigilare il supplicio. - -Sopra una tavola ampia l'animale, tenuto da due o tre coloni, fu -scannato con un coltello forbitissimo. Risonarono i grugniti per tutta -la solitudine fluviatile; poi subitamente divennero fiochi, si persero -nel gorgogliare caldo e vermiglio del sangue che sgorgava dalla ferita -slabbrante, mentre il gran corpo dava gli ultimi tratti. Il sole -del novello anno beveva dalla riviera e dalle terre umide la nebbia. -La Bravetta guardava, con una sorta di dilettosa ferocia, l'occisor -Lepruccio bruciare con un ferro rovente gli occhi del porco profondati -nel grasso; e gioiva, udendo stridere i bulbi, al pensiero del molto -lardo e del molto prosciutto futuro. - -L'occiso fu sollevato, a forza di braccia, sino all'uncino d'una -sorta di forca rusticale, e rimase péndulo con la testa in basso. Ivi -con fasci di canne accese i coloni arsero tutte le setole; le fiamme -crepitavano quasi invisibili alla maggior luce del giorno. Lepruccio -in ultimo con una lama lucida si diede a raschiar quel corpo nerastro -che un altr'uomo intanto aspergeva d'acqua bollente. La pelle, a mano -a mano divenendo netta e tutta di un dubbio pallor roseo, fumigava nel -sole. E Lepruccio, che aveva una faccia rugosa e untuosa di vecchia -femmina con le campanelle d'oro agli orecchi, stringeva le labbra nella -bisogna, allungandosi ed accorciandosi, giocando su i ginocchi. - -Quando l'opera fu fornita, Mastro Peppe ordinò che i coloni deponessero -il porco in un luogo coperto. Mai, negli altri anni, più meravigliosa -mole di carni egli aveva veduto; e si rammaricava in cuor suo che la -moglie non ivi fosse a rallegrarsene. - -Allora (cadeva il pomeriggio) sopraggiunsero Matteo Puriello e Biagio -Quaglia, amici, i quali venivano dalla prossima casa di Don Bergamino -Campione, prete dato alla mercatura. Erano costoro gente di gaia vita, -ricchi di consiglio, dediti alla crapula, vaghi d'ogni sollazzo; e, -poichè avean saputo l'occisione del porco e l'assenza di Donna Pelagia, -sperando in una qualche bella avventura venivano a tentar La Bravetta. - -Matteo Puriello, detto Ciávola, era un uomo in su i quarant'anni; -cacciatore clandestino; alto e segaligno, con i capelli biondastri, la -pelle del viso giallognola, i baffi duri e tagliati come una spazzola, -tutta la testa avente l'aspetto di una effige di legno su cui fosse -rimasta una traccia lievissima dell'antica doratura. I suoi occhi, -tondi, vivi e mobili quasi per inquietudine come quelli delle bestie -corritrici, lucevano simili a due monete nuove. In tutta la persona, -vestita quasi sempre di un certo panno di color terrigno, egli aveva -le attitudini, i movimenti, il passo dondolante di quei lunghi cani -barbareschi che pigliano le lepri a corsa per le pianure. - -Biagio Quaglia, detto il Ristabilito, era in vece di statura mediocre, -d'alcuni anni più giovane, rubicondo nella faccia e tutto gemmante -come un mandorlo a primavera. Egli aveva una singolar virtù scimiatica -di muovere indipendentemente gli orecchi e la pelle della fronte -e la pelle del cranio, per non so che vivacità di muscoli: e aveva -una tale versatilità di aspetti e una tal felice potenza vocale di -contraffazioni e così prontamente sapeva cogliere il lato ridevole -degli uomini e delle cose e in un sol gesto o in un sol motto -rappresentarlo che tutte le brigate pescaresi per amor di allegria -lo chiamavano e convitavano. Egli, in questa dolce vita parassitica, -prosperava, sonando la chitarra alle mense nuziali e alle pompe dei -battesimi. I suoi occhi brillavano come quelli d'un furetto. Il suo -cranio era coperto d'una sorta di lanugine simile a quella del corpo -spiumato di un'oca grassa che ancora sia da abbrustolire. - -Or dunque La Bravetta, come vide i due amici, li accolse con cera -festevole, dicendo loro: - -— Qualu vente ve porte? - -E quindi, poi che le accoglienze oneste e liete furono iterate, egli -traendoli nella stanza dove su una tavola giaceva il mirabile porco, -soggiunse: - -— Che dicete de 'sta bellezze? Eh? Mo che ve pare? - -I due amici contemplavano il porco con una silenziosa meraviglia; e il -Ristabilito faceva un cotal suo rumore con la lingua contro il palato. -Ciávola chiese: - -— E che ce ne vuo' fa'? - -— Le vuojie salà — rispose La Bravetta con una voce in cui sentivasi -fremere tutta la ghiotta gioia per le future delizie della gola. - -— Le vuo' salà? — gridò d'improvviso il Ristabilito, — le vuo' salà? — -Ma, o Cià, si viste ma' 'n'ommene chiù stupide di custù? A farse scappa -l'uccasïone! - -La Bravetta, stupito, guardava con i suoi occhi vitulini ora l'uno ora -l'altro degli interlocutori. - -— Donna Pelagge t'ha sempre tenute assuggette — continuò il -Ristabilito. — Sta vote che esse nen te guarde, vínnete lu porche; e -magnémece li quatrine. - -— Ma Pelagge? Ma Pelagge? — balbettava La Bravetta, a cui il fantasma -della moglie irata dava già uno sbigottimento immenso. - -— E tu dijie ca lu porche te se l'hanne arrubbate — fece il biondo -Ciávola, con un vivo gesto d'impazienza. - -La Bravetta inorridì. - -— E coma facce a riì a la case nghe sa nutizie? Pelagge nen me crede; -me cacce, me mene... Vu nen le sapete chi è Pelagge? - -— Uh, Pelagge! Uh, uh, Donna Pelagge! — squittirono in coro -motteggiando i due insidiatori. E il Ristabilito, subito, imitando -la voce piagnucolosa di Peppe e la voce acuta e stridula della donna, -rappresentò una scena di comedia in cui Peppe era garrito e sculacciato -come un bamboletto. - -Ciávola rideva sgambettando in torno al porco, senza potersi reggere. -Il beffato, preso da un violento impeto di starnuti, agitava le braccia -verso l'atto, volendo forse interrompere. Al frastuono i vetri della -finestra tremavano. I fuochi dell'occaso percotevano i tre diversi -volti umani. - -Come il Ristabilito tacque, Ciávola disse: - -— Mbé, jamocénne! - -— Se vulete cenà nghe me... — offerse, a bocca stretta, Mastro Peppe. - -— No, no, bello mio — interruppe Ciávola volgendosi verso l'uscio. — Tu -súghete Pelagge e sálate lu porche. - - -II. - -Camminarono gli amici lungo la riva del fiume. - -In lontananza le barche di Barletta cariche di sale scintillavano come -edifizi di preziosi cristalli; e da Montecorno un serenissimo albore -spandevasi nella rigidità delle aure, ripercotevasi dalla limpidità -delle acque. - -Disse il Ristabilito al Ciávola, soffermandosi: - -— Cumbà, ce vuléme arrubbà sstanotte lu porche? - -Disse il Ciávola: - -— Eccome? - -Disse il Ristabilito: - -— Le sacce i' come, si lu porche arremane addó l'avéme viste. - -Disse Ciávola: - -— Embé, facémele! Ma, dapù? - -Il Ristabilito si soffermò di nuovo. I suoi piccoli occhi brillavano -come due carbuncoli schietti; la sua faccia florida e rubiconda tra le -orecchie faunesche vibrava tutta in una smorfia di gioia. Egli fece, -laconico: - -— Le sacce i'. - -Veniva da lungi in contro ai due Don Bergamino Camplone, nero in tra la -pioppaia ignuda e argentea. Subito che i due lo scorsero, sollecitarono -il passo verso di lui. E il prete, veduta la lor cera giuliva, dimandò -sorridendo: - -— Che me dicéte de bbelle? - -Comunicarono gli amici in brevi parole il lor proposito a Don -Bergamino, il quale assentì con molto rallegramento. E il Ristabilito -soggiunse, a bassa voce: - -— Aqquà avéme da fa' li cose a la furbesca maniere. Vu sapete ca Peppe, -da quande s'ha pijiate chella brutta vijecchie de Donna Pelagge, s'ha -fatte avare; e lu vine je piace assa'. 'Mbè, jémele a pijà e purtémele -a la taverne d'Assaù. Vu, Don Bergamine, détece a beve a tutte e -paghéte sempre vu. Peppe bevarrà quante chiù putarrà, senza caccià -quatrine; e se pijarà 'na bona parrucche. Accuscì nu, dapù, putéme fa' -mejie l'affare nuostre. - -Lodò Ciávola il consiglio del Ristabilito, e il prete s'accordò. -Andarono insieme verso la casa dell'uomo, distante due tiri di fucile; -e quando furono da presso, Ciávola diede la voce: - -— Ohe, La Bravettaa! Vuo' venì a la taverne d'Assaù? Ce sta lu prévete -aqquà che ce paghe na carráfe. Oheee! - -La Bravetta non pose indugio a discendere su 'l sentiero, e tutti e -quattro camminarono in fila, motteggiando, sotto il chiarore della -nuova luna. Nella serenità il miagolío de' gatti presi d'amore saliva -ad intervalli. E il Ristabilito fece: - -— O Pe', nen siente Pelagge che t'archiame? - -In su la sinistra riva splendevano i lumi della taverna d'Assaù -ripercossi dall'acqua. Ora, come il corso del fiume era ivi per -solito assai dolce, Assaù teneva un paliscalmo per traghettare gli -avventori. Alle voci, si mosse infatti il paliscalmo e venne per -l'acqua luminosa a prendere i sopraggiunti. Quando tutti i quattro -salirono, tra amichevoli clamori, Ciávola con le sue lunghe gambe prese -a far traballare e scricchiolare il legno per atterrire La Bravetta -che in mezzo all'umidità fluviale fu assalito da un nuovo impeto di -starnutazioni. - -Ma nella taverna, in torno a un desco di quercia, gli amici -moltiplicarono le risa e i clamori. Ognuno mesceva da bere -all'insidiato, a cui quel buon vermiglio succo delle vigne spoltoresi, -brusco, quasi frizzante, ricco di sapore e di colore, scendeva -agevolmente nel gorgozzúle. - -— 'N'atra carráfe! — ordinava Don Bergamino, battendo il pugno in su 'l -desco. - -Assaù, un uomo tutto bestialmente villoso fin sotto gli occhi e di -gambe storto, recava le caraffe arrubinate. Ciávola canticchiava una -canzone di molta libertà bacchica, percotendo in ritmo il vetro dei -bicchieri. La Bravetta, con la lingua già impedita, con gli occhi già -natanti nella favolosa gioia del vino, balbettava non so che laudi -del suo bel porco e teneva il prete per la manica affinchè ascoltasse. -Sopra di loro pendevano dalla vôlta lunghe corone di poponelle d'acqua -verdegialle; le lucerne mal nutrite d'olio fumigavano. - -Era buona ora di notte quando gli amici ripassarono il fiume, alla luna -occidua. Nel discendere su la riva Mastro Peppe fu lì lì per cadere tra -la melma, tanto egli aveva le gambe malferme e la vista torbida. - -Disse il Ristabilito: - -— Facéme 'n' ópera bbone. Arpurtéme a la case custù. - -E il ricondussero, sorreggendolo alle ascelle, su per la pioppaia. -Balbettava l'ebro, travedendo i tronchi biancicanti nella notte: - -— Uh, quanta frate duminicane!... - -E Ciávola: - -— Vann' a la cerche pe' sant'Antuone. - -E l'ebro, dopo un poco: - -— O Leprucce, Leprucce, sette rótole de sale n'abbaste. Coma facéme? - -Giunti all'uscio di casa, i tre congiurati se ne andarono. Mastro Peppe -salì a grande stento la scaletta, sempre farneticando di Lepruccio e -del sale. Poi, senza rammentarsi d'aver lasciato aperto l'uscio, si -gittò in su 'l letto pesantemente tra le braccia del sonno, e inerte vi -rimase. - -Ciávola e il Ristabilito, come ebbero avuto ristoro alla cena di Don -Bergamino, muniti di certi ordigni ritorti, se ne vennero cautamente -all'impresa. Era il cielo, dopo l'occaso della luna, tutto smagliante -di stelle; e un maestraletto gelido andava soffiando per la solitudine. -I due avanzarono in silenzio, tendendo l'orecchio, soffermandosi ad ora -ad ora; e tutte le virtù venatorie e le agilità di Matteo Puriello in -quell'occorrenza si esercitavano. - -Quando essi giunsero alla mèta, il Ristabilito a pena potè trattenere -una esclamazione di gioia accorgendosi dell'uscio aperto. Una perfetta -quiete regnava nella casa, se non che si udiva il profondo russare del -dormiente. Ciávola salì primo le scale, seguito dall'altro. Ambedue, al -fievolissimo lume che entrava pe' vetri, scorsero subito la forma vaga -del porco in su la tavola. Con infinita cautela sollevarono il peso e -pianamente lo trassero fuori a gran forza di braccia. Stettero quindi -in ascolto. Un gallo d'improvviso cantò e altri galli risposero dalle -aie, consecutivamente. - -Allora i due gai ladroni si misero pe 'l sentiero, con il porco in su -le spalle, ridendo d'un riso lungo e silenzioso; e a Ciávola pareva -d'essere giù per una bandita recando un grosso capo di selvaggina -predata. Come il porco era assai greve, essi giunsero alla casa del -prete alenanti. - - -III. - -La mattina Mastro Peppe, avendo digerito il vino, si risvegliò; e -stette su 'l letto un poco ad allungar le membra e ad ascoltare le -campane che salutavan la vigilia di Sant'Antonio. Egli già, in mezzo -alla confusione del primo risvegliarsi, sentiva nell'animo espandersi -la contentezza del possesso, e pregustava il diletto di veder Lepruccio -mettere in pezzi e coprir con sale le pingui carni suine. - -Spinto da questo pensiero, egli si levò; e con sollecitudine uscì su -'l pianerottolo, stropicciandosi gli occhi per meglio guardare. Su la -tavola non rimaneva se non qualche macchia sanguigna, e sopra vi rideva -il sole virginalmente. - -— Lu porche? Addó sta lu porche? — gridò, con una voce rauca, il -derubato. - -Una furibonda agitazione l'invase. Egli discese le scale, vide l'uscio -aperto, si percosse la fronte, irruppe fuori urlando, chiamando in -torno a sè i lavoratori, chiedendo a tutti se avessero visto il porco, -se l'avessero preso. Egli moltiplicava le querele, sollevava ognora -più le voci; e il doloroso schiamazzo, risonando per tutta la riviera, -giunse fino agli orecchi di Ciávola e del Ristabilito. - -Se ne vennero dunque costoro placidamente, in accordo, per godersi lo -spettacolo e per continuare la beffa. E come furono giunti in vista, -Mastro Peppe, rivolgendosi a loro, tutto dolente e lacrimante, esclamò: - -— Uh, pover'a me! Me l'hann'arrubbate lu porche! Uh, pover'a me! E coma -facce mo? E coma facce? - -Biagio Quaglia stette un poco a considerare l'aspetto -dell'infelicissimo, con socchiusi gli occhi tra la canzonatura e -l'ammirazione, con china la testa verso una spalla, quasi in atto di -giudicare un effetto d'arte mimetica. Poi, accostatosi, fece: - -— Eh, sì, sì.... nen ze po' di' de no.... Tu le fi' bbone la parte. - -Peppe, non comprendendo, levò la faccia tutta solcata di gocciole. - -— E, sì, sì.... sta vote li si fatte proprie da furbe — seguitò il -Ristabilito, con una cert'aria di confidenza amichevole. - -Peppe, non comprendendo ancora, levò di nuovo la faccia; e le lacrime -negli occhi pieni di stupore gli si arrestarono. - -— Ma, pe' di' la verità, accuscì maleziose nen te credeve — riprese a -dire il Ristabilito. — Brave! brave! Me rallegre! - -— Ma tu che dice? — dimandò tra i singhiozzi La Bravetta. — Ma tu che -dice? Uh, pover'a me! E coma facce mo a rijì a la case? - -— Brave! brave! Bena! — incalzava il Ristabilito. — Dajie mo! Strilla -forte! Piagne forte! Tirete li capille! Fatte sentì! Accuscì! Falle -créde'. - -E Peppe, piangendo: - -— Ma i' diche addavére ca me se l'hann'arrubbate. Uh die! Pover'a me! - -— Dajie! Dajie! Nen te fermà. Quante chiù tu strilla, chiù te nome -créde. Dajie! Angóre! Angóre! - -Peppe, fuor di sè pe 'l dispetto e pe 'l dolore, sacramentava ripetendo: - -— I' diche addavére. Che me pozza murì, mo, sùbbite, se lu porche nen -me se l'hann'arrubbate! - -— Uh, povere 'nnucende! — squittì per ischerno Ciávola. — Mettéteje -lu ditucce 'mmocche. Coma putéme fa' a crédete, se jere avéme viste lu -porche a là? Sant'Andonie j'ha date li 'scelle pe' vula? - -— Sant'Andonie bbenedette! È coma diche i'. - -— Ma po' esse? - -— Accuscì è. - -— Ma nen è cuscì. - -— È cuscì. - -— No. - -— Uh, uh, uh! È cuscì! È cuscì! I' so' mmorte. I' nen sacce coma pozze -fa' a rijì a la case. Pelagge nen me crede; e se ppure me crede, nen me -dà chiù pace... I' so' mmorte! - -— 'Mbè, ce vuléme créde — concluse il Ristabilito. — Ma bbade, Pe', -ca Ciávule a jere t'ha 'nzegnate lu juchette. E i' nen vulesse ca tu -gabbísse a Pelagge e a nu, tutte 'na vote. Tu fusse capace... - -Allora La Bravetta ricominciò a piangere, a gridare, a disperarsi -con una così pazza irruzion di dolore, che il Ristabilito per pietà -soggiunse: - -— 'Mbé, statte zitte. Te credéme. Ma, se è vere su fatte, s'ha da truvà -'na maniere pe' armedià. - -— Quala maniere? — dimandò subito, rasserenandosi tra le lacrime, La -Bravetta, nel cui animo la speranza risorgeva. - -— Ecc'a qua — propose Biagio Quaglia. — Certe, une di quille che -stanne pe' qua attorne ha avute da esse; pecchè certe n'hanne vinute -dall'India bbasse a pijarse lu porche a te. No, Pe'? - -— Va bbone, va bbone, — assentì l'uomo, che stava trepido a udire, col -naso in alto tutto ancor pieno d'umor lacrimale. - -— Mo dunque (statte attende), — continuò il Ristabilito che a quella -credula attenzione prendeva diletto, — mo dunque se nisciume ha vinute -dall'India bbasse pe' venirte a rubbà, cert'è che quaccune di quille -che stanne pe' qua attorne ha avute da esse lu latre. No, Pe'? - -— Va bbone, va bbone. - -— Mo che s'ha da fa'? S'ha da raunà tutte sti cafune e s'ha da -sprementà cacche fatture pe' scuprì lu latre. Scuperte lu latre, -scuperte lu porche. - -Gli occhi di mastro Peppe brillarono di desiderio; ed egli si fece più -da presso, poichè l'accenno alla fattura aveva risvegliate in lui le -native superstizioni. - -— Tu le sié; ce stanne tre specie de maggie: la bianche, la rosce e la -nere, e ce stanne, tu le sié, a lu paese tre femmene dell'arte: Rosa -Schiavona, Rusaria Pajara e la Ciniscia. Sta a te a scejie. - -Peppe stette un momento in forse. Poi elesse Rosaria Pajara che aveva -gran fama d'incantatrice e aveva operato in altri tempi cose mirabili. - -— 'Mbé, su, — concluse il Ristabilito, — nen ce sta tembe da pérde. -I' pe' te, propie pe' farte nu piacere, vajie sine a lu paese a pijà -quelle che ce serve. Parle 'nghe Rusarie, me facce dà tutte cose, e me -n'arvenghe, dentr'a sta matine. Damme li quatrine. - -Peppe si tolse dalla tasca del panciotto tre carlini ed esitando li -porse. - -— Tre carline? — gridò l'altro, rifiutandoli. Tre carline? Ma ce ne vo' -pe' lu mene diece. - -A sentir questo il marito di Pelagia ebbe quasi uno sbigottimento. - -— Come? Pe' na fatture, diece carline? — balbettò egli cercandosi con -le dita tremule nella tasca. — Ècchetene otte. Nen ne tenghe chiù. - -Disse il Ristabilito, secco: - -— Va bbone. Quelle che posse fa' facce. Viene pure tu, Cià? - -I due compagni s'incamminarono verso Pescara, di buon passo, pe 'l -sentiero degli alberi, l'uno innanzi, l'altro dietro. E Ciávola -picchiava gran colpi di pugno su la schiena del Ristabilito, per -dimostrare la sua allegrezza. Come essi giunsero al paese, si recarono -nella bottega di un tal Don Daniele Pacentro speziale con cui erano -in familiarità; ed ivi comperarono certi aròmati e droghe, facendone -quindi comporre pallottole a guisa di pillole grosse, come noci, ben -coperte di zucchero, sciloppate e cotte. Subito che lo speziale ebbe -compiuta l'operazione, Biagio Quaglia (il quale nel frattempo era stato -assente) tornò con una carta piena d'escrementi secchi di cane; e di -quelli escrementi volle che lo speziale componesse due belle pillole, -in tutto simili alle altre per la forma, se non che confettate prima in -aloe e poi coperte leggermente di zucchero. Così lo speziale fece; e, -perchè queste dalle altre si riconoscessero, vi mise, per consiglio del -Ristabilito, un piccolo segno. - -I due ciurmadori ripresero la via della campagna, e furono alla casa -di Mastro Peppe in su l'ora di mezzodì. Mastro Peppe stava con molto -affanno aspettando. A pena vide sbucare di tra le alberelle il corpo -lungo e sottile di Ciávola, gridò: - -— Mbé? - -— Tutte è all'ordene — rispose in suon di trionfo il Ristabilito, -mostrando il cofano delle confetture incantate. — Mo tu, già che ogge -è la viggilie de Sant'Andonie e li cafune fanne feste, arhunisce tutte -quante all'are per dajie a beve. Tu hi da tené na certe butticelle de -Montepulciane. Mitte mane a quelle pe' ogge! E quande tutte stanne bene -arhunite, penze i' a fa' e a dice tutte quelle che s'ha da fa' e s'ha -da di'. - - -IV. - -Dopo due ore, come il pomeriggio era tiepido e chiarissimamente sereno, -avendo La Bravetta fatto correre la voce, se ne vennero all'invito i -coltivatori e i massai dei dintorni. Nell'aia si levavano alti mucchi -di paglia, che percossi dal sole ornavansi d'un glorioso colore d'oro; -quivi una torma di oche andava schiamazzando, bianca, lenta, con -larghi becchi aranciati, chiedendo di nuotare; gli odori dello stabbio -giungevano ad intervalli. E tutti quelli uomini rusticani, aspettando -di bere, motteggiavano, tranquilli, su le loro gambe in arco difformate -dalle rudi fatiche: alcuni con volti rugosi e rossastri come vecchi -pomi, con occhi resi miti dalla lunga pazienza o resi vivi dalla lunga -malizia; altri con barbe nascenti, con attitudini di gioventù, con -nelle vesti rinnovate una manifesta cura d'amore. - -Ciávola e il Ristabilito non si fecero molto attendere. Tenendo in -una mano la scatola delle confetture, il Ristabilito ordinò che tutti -si mettessero in cerchio; e, stando egli nel mezzo, fece una breve -concione, non senza una certa gravità di voce e di gesti. - -— Bon'uómmene! — disse — nisciune de vu, certe, sa pecche propie Mastre -Peppe De Siere v'ha chiamate a qua... - -Un moto di stupore, a questo strano preambolo, si propagò in tutte le -bocche degli ascoltanti; e la letizia pe 'l promesso vino si mutò in -una inquietudine di diversa espettazione. Continuava l'oratore: - -— Ma, seccome po' succéde caccosa bbrutte e vu ve putassáte lagnà de -me, ve vojie dice de che se tratte, prima de fa' la spirienze. - -Gli ascoltanti si guardavano l'un l'altro negli occhi, con un'aria -smarrita; e quindi rivolgevano lo sguardo curioso e incerto al -cofanetto che l'oratore teneva in una mano. Un d'essi, poichè il -Ristabilito faceva pausa per considerare l'effetto delle parole, -esclamò impaziente: - -— Ebbè? - -— Mo, mo, bell'uómmene mi'. La notta passate s'hann'arrubbate a Mastre -Peppe nu bbone porche che s'ave' da salà. Chi ha state lu latre, nen -ze sa; ma cert'è ca s'ha da truvà miezze a vu' áutre, pecchè nisciune -venéve dall'India bbasse p' arrubbarse lu porche a Mastre Peppe! - -Fosse un giocondo effetto di questo peregrino argomento dell'India o -fosse l'azione del tiepido sole, La Bravetta cominciò a starnutire. -I villici si fecero in dietro; la tribù delle oche si disperse, -sbigottita; e sette starnutazioni consecutive risonarono liberamente -nell'aria, turbando la pace rurale. L'ilarità risorse negli animi, a -quel fragore. L'adunanza, dopo un poco, si ricompose. Il Ristabilito -continuò, sempre grave: - -— Pe' scuprì lu latre Mastre Peppe ha pensate de darve a magnà certe -bbone cunfette e de darve a bere nu certe Montepulciane viecchie che -j'ha messe mane ogge apposte. Ma pirò v'ajie da dice na cose. Lu latre, -appena se mette mmocche lu cunfette, se sente la vocche accuscì amare, -accuscì amare c'ha da sputà pe' fforze. Vulete sprementà? O pure lu -latre, pe' nen esse sbruvegnate, se vo' cunfessà a lu prévete? Bell'uó, -arspunnéte! - -— Nu vuléme magna e beve — risposero quasi in coro gli adunati. -E un movimento incerto corse fra quella gente semplice. Ognuno, -guardando il compagno, aveva negli occhi una punta d'investigazione. -Ognuno, naturalmente, poneva nel ridere una tal quale ostentazione di -spontaneitá. - -Disse Ciávola: - -— V'avete da mette tutt'a ffile, pe' la sprïenze. Nisciune s'ha da puté -nnascónne. - -Ed egli, quando tutti furono disposti, prese il fiasco e i bicchieri, -apprestandosi a mescere. Il Ristabilito si fece dall'un de' capi, e -cominciò a distribuire pianamente i confetti che sotto le gagliarde -dentature dei villani scricchiolavano e sparivano in un attimo. Come -egli giunse a Mastro Peppe, prese uno dei confetti canini e glielo -porse; e seguitò oltre, senza nulla dare a divedere. - -Mastro Peppe, che fin allora era stato con i grandissimi occhi -intenti a cogliere in fallo qualcuno, si gittò in bocca il confetto -prestamente, quasi con cupidigia di goloso, e prese a masticare. D'un -tratto i pomelli delle gote gli salirono vivamente verso gli occhi, gli -angoli della bocca e le tempie gli si empirono di crespe, la pelle del -naso gli si arricciò, il mento gli si torse un poco, tutti i lineamenti -della sua faccia ebbero una comune mimica involontaria di orrore; e -una specie di brivido visibile gli corse dalla nuca per le spalle. E -subito, poichè la lingua non poteva sostenere l'amaro dell'áloe e una -resistenza invincibile saliva dallo stomaco per la gola ad impedire -l'inghiottimento, il malcapitato fu costretto a sputare. - -— Ohe, Mastre Pè, tu che ccazze fiè? — garrì Tulespre dei Passeri, un -vecchio capraro verdastro e peloso come una tartaruga di palude. - -Si rivolse, a quella voce agra, il Ristabilito che non anche aveva -terminato di distribuire. Però, vedendo La Bravetta tutto contorcersi, -disse con suon di benevolenza: - -— Mbé, quelle forse ere troppe cotte. To'! Ecchene n'áutre. 'Nglutte, -Peppe! - -E con due dita gli cacciò in bocca la seconda pillola canina. - -Il pover'uomo la prese; e, sentendo sopra di sè fissi gli occhi maligni -e acuti del capraro, fece un supremo sforzo per sostener l'amarezza; -non masticò, non inghiottì; stette con la lingua immobile contro i -denti. Ma, come al calore dell'alito e all'umidore della saliva l'áloe -si discioglieva, egli non poteva più reggere: le labbra gli si torsero -come dianzi; il naso gli si empì di lacrime; e certe gocciole grosse -gli cominciarono a sgorgare dal cavo degli occhi e a rimbalzar, come -perle scaramazze, giù per le gote. Alfine, sputò. - -— Ohe, Mastre Pé, e mo che ccazze fiè? — garrì di nuovo il capraro, -mostrando in un suo ghigno le gencive bianchicce e vacue. — Ohe, e -queste mo che signifeche? - -Tutti i villici ruppero l'ordine, e attorniarono La Bravetta; alcuni -con risa di beffa, altri con parole irose. Le ribellioni di orgoglio -subitanee e brutali che ha l'onore della gente campestre, le severità -implacabili della superstizione scoppiarono d'improvviso in una -tempesta di contumelie. - -— Pecché ci si' fatte venì a qua? Pe' jettè la cólepe a une de nu -'nghe 'na fatture fáuze? Pe' cujunà a nu? Pecché? Si' fatte male li -cunde! Latre, bbuciarde, nasó, fijie de cane, fijie de puttane! A nu vu -cujunà? Pezze de fesse! Latre! Nasó! Te vuleme rompe tutte li pignate -'n cocce. Fijie de puttane! Sangue de Criste, tu! - -E si dispersero, dopo aver rotto il fiasco e i bicchieri, gridando le -ultime ingiurie di tra i pioppi. - -Allora rimasero nell'aia Ciávola, il Ristabilito, le oche e La -Bravetta. Questi, pieno di vergogna, di rabbia, di confusione, con il -palato ancora morso dalla perversità dell'áloe, non poteva profferire -parola. Il Ristabilito stette a considerarlo crudelmente, percotendo -il terreno con la punta del piede poggiato in su' l tacco, scotendo -per ironia il capo. Ciávola squittì, con un indescrivibile suon di -dileggio: - -— Ah, ah, ah, ah! Brave! Brave La Bbravette! Dicce nu poche; quante ci -si' fatte? Diece ducate? - - - - -I MARENGHI. - - -Passacantando entrò, sbattendo forte le vetrate malferme. Scosse -rudemente dalle spalle le gocce di pioggia; poi si guardò in torno, -togliendosi dalla bocca la pipa e lasciando andare contro il banco -padronale un lungo getto di saliva, con un atto di noncuranza -sprezzante. - -Nella taverna il fumo del tabacco faceva come una gran nebbia -turchiniccia, di mezzo a cui si intravedevano le facce varie dei -bevitori e delle male femmine. C'era Pachiò, il marinaro invalido, -a cui una untuosa benda verde copriva l'occhio destro infermo d'una -infermità ributtante. C'era Binchi-Banche, il servitore dei finanzieri, -un omiciattolo dal viso giallognolo e rugoso come un limone senza -succo, curvo nella schiena, con le magre gambe sprofondate negli -stivali fino ai ginocchi. C'era Magnasangue, il mezzano dei soldati, -l'amico degli attori comici, dei giocolieri, dei saltimbanchi, delle -sonnambule, dei domatori d'orsi, di tutta la gentaglia famelica e -girovaga che si ferma nel paese per carpire agli oziosi un quattrino. E -c'erano le belle del Fiorentino: tre o quattro femmine affloscite nel -vizio, con le guance tinte d'un color di mattone, gli occhi bestiali, -la bocca flaccida e quasi paonazza come un fico troppo maturo. - -Passacantando attraversò la taverna e andò a sedersi su una panca, tra -la Pica e Peppuccia, contro il muro segnato di figure e di scritture -invereconde. Egli era un giovinastro lungo e smilzo, tutto dinoccolato, -con una faccia pallidissima da cui sporgeva il naso grosso, rapace, -piegato molto da una parte. Le orecchie gli si spandevano ai due -lati come cartocci sinuosi, l'uno più grande dell'altro; le labbra, -sporgenti, vermiglie, e d'una certa mollezza di forma, avevano sempre -agli angoli alcune piccole bolle di saliva bianchicce. Un berretto che -l'untuosità rendeva consistente e malleabile come la cera, gli copriva -i capelli bene curati, di cui una ciocca foggiata ad uncino scendeva -fin su la radice del naso ed un'altra arrotondavasi su la tempia. Una -specie di oscenità e di lascivia naturale emanava da ogni attitudine, -da ogni gesto, da ogni modulazion di voce, da ogni sguardo di costui. - -— Ohe, — gridò egli — l'Africana, una fujetta! — percotendo il tavolo -con la pipa d'argilla che al colpo s'infranse. - -L'Africana, la padrona della taverna, si mosse dal banco verso il -tavolo, barcollando per la sua corpulenza grave; e posò dinanzi a -Passacantando il vaso di vetro colmo di vino. Ella guardava l'uomo con -uno sguardo pieno di supplicazione amorosa. - -Passacantando d'un tratto, dinanzi a lei, cinse co 'l braccio il collo -di Peppuccia costringendola a bere, e quindi attaccò la bocca a quella -bocca che ancora teneva il sorso del vino e fece atto di suggere. -Peppuccia rideva, schermendosi; e per le risa il vino mal tracannato -spruzzava la faccia del provocatore. - -L'Africana divenne livida. Si ritrasse dietro il banco. Di mezzo al -fumo denso del tabacco le giungevano gli schiamazzi e le mozze parole -di Peppuccia e della Pica. - -Ma la vetrata si aprì. E comparve su la soglia il Fiorentino, tutto -avvolto in un pastrano, come uno sbirro. - -— Ehi, ragazze! — fece con la voce rauca. — È ora. - -Peppuccia, la Pica, le altre si levarono di tra gli uomini che le -perseguitavano con le mani e con le parole; se ne uscirono, dietro il -loro padrone, mentre pioveva e tutto il Bagno era un lago melmoso. -Pachiò, Magnasangue, gli altri anche se ne uscirono, a uno a uno. -Binchi-Banche rimase disteso sotto una tavola, immerso nel torpore -dell'ebrietà. Il fumo nella taverna a poco a poco vaniva verso l'alto. -Una tortora spennacchiata andava qua e là beccando le briciole del -pane. - - -Allora, come Passacantando fece per alzarsi, l'Africana gli mosse -in contro, lentamente, con la persona deforme atteggiata a una -lusinghevole mollezza d'amore. Il gran seno le ondeggiava da una -parte all'altra; ed una smorfia grottesca le rincrespava la faccia -plenilunare. Su la faccia ella aveva due o tre piccoli ciuffi di peli -crescenti dai nei; una lanugine densa le copriva il labbro superiore e -le guance; i capelli corti, crespi e duri le formavano su 'l capo una -specie di casco; le sopracciglia le si riunivano alla radice del naso -camuso folte; cosicchè ella pareva non so qual mostruoso ermafrodito -affetto di elefanzia o di idrope. - -Quando fu presso all'uomo, ella gli afferrò la mano per trattenerlo. - -— Oh, Giuvà! - -— Che volete? - -— I' che t'hajie fatte? - -— Voi? Niende. - -— E allora pecchè me dai pene e turmende? - -— Io? Me facce meravijia... Bona sere! Nen tenghe tembe da perde, mo. - -E l'uomo, con un moto brutale, fece per andarsene. Ma l'Africana gli si -gettò alla persona, stringendogli le braccia, e mettendogli il volto -contro il volto, ed opprimendolo con tutta la mole delle carni, per -un impeto di passione e di gelosia così terribilmente incomposto che -Passacantando ne rimase atterrito. - -— Che vuo'? Che vuo'? Dimmele! Che vuo'? Che te serve? Tutte te denghe; -ma statte'nghe me, statte'nghe me. Nen me fa murì di passijone... nen -me fa ì 'n pazzía... Che te serve? Viene! Píjiate tutte quelle che -truove... — Ed ella lo trasse verso il banco; aprì il cassetto; gli -offerse tutto, con un gesto solo. - -Nel cassetto, lucido di untume, erano sparse alcune monete di rame -tra cui luccicavano tre o quattro piccole monete d'argento. Potevano -essere, insieme, cinque lire. - -Passacantando, senza dir nulla, raccolse le monete e si mise a contarle -su 'l banco, lentamente, tenendo la bocca atteggiata al dispregio. -L'africana guardava ora le monete, ora la faccia dell'uomo, ansando -come una bestia stracca. Si udiva il tintinno del rame, il russare -aspro di Binchi-Banche, il saltellare della tortora, in mezzo al -continuo rumore della pioggia e del fiume giù per il Bagno e per la -Bandiera. - -— Nen m'abbaste — disse finalmente Passacantando. — Ce vo' l'autre. -Cacce l'autre, se no i' me ne vajie. - -Egli s'era schiacciato il berretto su la nuca. Il ciuffo rotondo -gli copriva la fronte, e sotto il ciuffo gli occhi bianchicci, -pieni d'impudenza e d'avarizia, guardavano l'Africana intentamente, -involgendo quella femmina in una specie di fascinazione malefica. - -— I' nen tenghe chiù niende. Tu mi siè spujate. Quelle che truove, -píjiatele... — balbettava l'Africana, supplichevole, carezzevole, -mentre la pappagorgia e le labbra le tremavano, e le lagrime le -sgorgavano dagli occhietti porcini. - -— Mbé, — fece Passacantando, a voce bassa, chinandosi verso di lei — -mbé, e t'acride che i' nen sacce che maritete tene li marenghe d'ore? - -— Oh, Giuvanne... E coma facce pover'ammè? - -— Tu, mo, súbbito, vall'a pijà. I' t'aspett'a qua. Maritete dorme. -Quest'è lu momende. Va; se no nen m'arvide chiù, pe' Sant'Andonie. - -— Oh, Giuvanne... I' tenghe pahure. - -— Che pahure e nen pahure! — strillò Passacantando. — Mo ce venghe pure -i'. 'Jame! - -L'Africana si mise a tremare. Indicò Binchi-Banche che stava ancora -disteso sotto la tavola, nel sonno pesante. - -— Chiudème prime la porte — ella consigliò, con sommessione. -Passacantando destò con un calcio Binchi-Banche, che per lo spavento -improvviso cominciò a urlare e a dimenarsi entro i suoi stivali finchè -non fu quasi trascinato fuori, nella mota e nelle pozzanghere. La porta -si chiuse. La lanterna rossa, che stava appiccata ad una delle imposte, -illuminò la taverna d'un rossore sudicio; gli archi massicci si -disegnarono in ombra profonda; la scala nell'angolo divenne misteriosa; -tutta l'architettura prese un'apparenza tetra. - -— 'Jame! — ripetè Passacantando all'Africana che ancora tremava. - - -Ambedue salirono adagio per la scala di mattoni che sorgeva nell'angolo -più oscuro, la femmina innanzi, l'uomo indietro. In cima alla scala -era una stanza bassa, impalcata di travature. Sopra una parete era -incrostata una madonna di maiolica azzurrognola; e davanti le ardeva -in un bicchiere pieno d'acqua e d'olio un lume, per voto. Le altre -pareti copriva, come una lebbra multicolore, una quantità d'imagini di -carta in brandelli. L'odore della miseria, l'odore del calore umano nei -cenci, empiva la stanza. - -I due ladri si avanzavano verso il letto cautamente. - -Stava su 'l letto maritale il vecchio, immerso nel sonno, respirante -con una specie di sibilo fioco a traverso le gengive senza denti, a -traverso il naso umido e dilatato dal tabacco. La testa calva posava di -sbieco sopra un guanciale di cotone rigato; su la bocca cava, simile a -un taglio fatto su una zucca infracidita, si rizzavano i baffi ispidi -e ingialliti dal tabacco; e uno degli orecchi visibile rassomigliava -all'orecchio rovesciato di un cane, essendo pieno di peli, coperto di -bolle, lucido di cerume. Un braccio usciva fuori delle coperte, nudo, -scarno, con grossi rilievi di vene simili alle gonfiezze delle varici. -La mano adunca teneva un lembo del lenzuolo, per abitudine di prendere. - -Ora, questo vecchio ebete possedeva da tempo due marenghi avuti in -lascito non si sa da qual parente usuraio; e li conservava con gelosa -cura dentro una tabacchiera di corno in mezzo al tabacco, come alcuni -fanno di certi insetti muschiati. Erano due marenghi gialli e lucenti; -ed il vecchio vedendoli ad ogni momento e ad ogni momento palpandoli -nel prendere tra l'indice e il pollice l'aroma, sentiva in sè crescere -la passione dell'avarizia e la voluttà del possesso. - -L'Africana si accostò pianamente, trattenendo il respiro, mentre -Passacantando la incitava con i gesti al furto. Si udì per le scale -un rumore Ambedue ristettero. La tortora spennacchiata e zoppa entrò -saltellando nella stanza; trovò il nido in una ciabatta, a piè del -letto maritale. Ma come ancora, nell'accomodarsi, faceva strepito, -l'uomo con un moto rapido la serrò nel pugno, con una stretta la -soffocò. - -— Ci sta? — chiese all'Africana. - -— Sì, ci sta, sott'a lu cuscine... — rispose quella mentre insinuava -sotto il guanciale la mano. - -Il vecchio, nel sonno, si mosse, mettendo un gemito involontario, ed -apparve tra le sue palpebre un po' del bianco degli occhi. Poi ricadde -nell'ottusità del sopore senile. - -L'Africana, per l'immensa paura, divenne audace; spinse la mano d'un -tratto, afferrò la tabacchiera, e, con un moto di fuga, si rivolse -verso le scale; discese seguita da Passacantando. - -— O Die! O Die! Vide che so fatte pe' te!... — balbettava, -abbandonandosi addosso all'uomo. - -Ed ambedue si misero insieme, con le mani malferme, ad aprire la -tabacchiera, a cercare fra il tabacco le monete d'oro. L'acuto aroma -saliva loro per le narici; ed ambedue, come sentivano l'eccitazione -a starnutire, furono invasi d'improvviso da un impeto d'ilarità. E, -soffocando il rumore degli starnuti, barcollavano e si sospingevano. -Al gioco, la lussuria nella pinguedine dell'Africana insorgeva. Ella -amava d'essere amorosamente morsicata e bezzicata e sballottata e qua -e là percossa da Passacantando; fremeva tutta e tutta si ribrezzava -nella sua bestiale orridezza. Ma, a un punto, prima si udì un brontolio -indistinto e poi gridi rauchi proruppero su nella stanza. E il vecchio -comparve in cima alla scala, livido alla luce rossastra della lanterna, -magro, scheletrito, con le gambe nude, con una camicia a brandelli. -Guardava in giù la coppia ladra; ed agitando le braccia gridava come -un'anima dannata: - -— Li marenghe! Li marenghe! Li marenghe! - - - - -LA MADIA. - - -A pena Luca udì il rumore delle grucce, spalancò gli occhi e li volse -ardenti e torbidi verso la porta, aspettando che il fratello comparisse -sul limitare. Tutta la faccia, estenuata dalla sofferenza, divorata -dalla febbre, sparsa di bolle rossastre, gli prese d'improvviso un -aspetto di durezza e quasi d'ira. Egli afferrò le mani della madre, -convulsamente, gridando, con la voce rauca e rotta: - -— Caccialo! Caccialo! Non lo voglio vedere. Capisci? Non lo voglio -vedere; mai più. Capisci? - -Le parole lo soffocarono. Egli stringeva forte le mani della madre, -tossendo con grande affanno, mentre la camicia sul petto gli palpitava -e gli s'apriva un poco ad ogni sforzo. Aveva la bocca gonfia; e -pel mento le bolle riseccate gli formavano come una crosta che si -screpolava e sanguinava ad ogni sforzo. - -La madre cercava di placarlo. - -— Sì, sì, figlio mio. Non lo vedrai più. Farò come tu vuoi. Lo caccerò, -lo caccerò. Questa è la casa tua, figlio, tutta tua. Mi senti? - -Luca le tossiva sul volto. - -— Ora, ora, sùbito — egli diceva, con una persistenza feroce, -sollevandosi di sul letto, spingendo la madre verso la porta. - -— Sì, figlio mio. Ora, sùbito. - -Ciro comparve al limitare, reggendosi su le grucce. Egli era -mingherlino, con una grossa testa pesante. I capelli erano così biondi -che quasi parevan bianchi. Gli occhi eran dolci come quelli d'un -agnello, azzurri fra le lunghe ciglia chiare. - -Entrando, non disse nulla; poichè era muto per una paralisia. Ma vide -gli occhi dell'infermo, che lo guardavano intenti e crudeli; e si -fermò nel mezzo della stanza, appoggiato alle grucce, irresoluto, non -osando avanzare. La gamba destra, torta e raccorciata, aveva un piccolo -tremito visibile. - -Luca disse alla madre: - -— Che viene a fare, questo stroppiato? Caccialo via! Voglio che tu lo -cacci via. Capisci? Sùbito. - -Ciro intese, e guardò la matrigna che già era per levarsi. La guardò -con occhi tanto supplichevoli, ch'ella non ebbe cuore di fargli -violenza. Poi, tenendo sotto l'ascella una gruccia, con la mano libera -fece un gesto disperato. E gittò uno sguardo vorace alla madia ch'era -in un canto. Voleva dire: - -— Ho fame. - -— No, no; non gli dar niente — si mise a gridare Luca, agitandosi tutto -sul letto, imponendo alla donna il suo capriccio malvagio. — Niente! -Mandalo via. - -Ciro aveva chinato sul petto la grossa testa, tremando, con gli occhi -pieni di lacrime. Quando la matrigna gli mise una mano su la spalla -e lo spinse verso l'uscio, egli ruppe in singhiozzi; ma si lasciò -condurre. Poi sentì chiuder l'uscio; e rimase sul pianerottolo, a -singhiozzare. Singhiozzava forte e costante. - -Disse Luca alla madre, con un atto iroso: - -— Lo senti? Fa apposta, per farmi venir male. - -Il singhiozzo del fratello seguitava, interrotto qualche volta da un -mugolìo singolare, accorante come il rantolo d'un giumento che sia per -morire. - -— Ma lo senti? Va. Gettalo per le scale! - -La donna sorse con impeto; corse all'uscio, e levò sul muto le mani -dure, avvezze a percuotere e ad incrudelire. - -Luca, sollevato in su' gomiti, ascoltava i colpi, dicendo: - -— Ancóra! ancóra! - -Sotto le percosse, Ciro tacque. Trattenendo il pianto, discese nella -strada. Egli era famelico; non mangiava da quasi due giorni. A pena -aveva la forza di trascinar le grucce. - -Passò in corsa una schiera di monelli, dietro il volo d'un aquilone che -prendeva vento beccheggiando. Taluni gli diedero un urto, gridandogli: - -— Ehi, lo stroppiatino! - -Altri lo beffarono, gridandogli: - -— Vieni, bàrbero, alla carriera! - -Altri, alludendo alla sua gran testa, gli chiesero per dileggio: - -— Quanto la libbra il cervello, stroppiatino? - -Uno tra questi, più disumano, gli fece cadere una gruccia; e si mise -a fuggire. Il muto barcollò; poi la raccolse a fatica, e si mosse. Gli -strilli e le risa dei monelli si dileguavano verso il fiume. L'aquilone -s'inalzava, come un uccello di paesi strani, in un cielo tutto rosato e -soave. - -Compagnie di soldati cantavano in coro, lungo il Bagno. Era la bella -stagione, sotto la festa di Pasqua. - -Ciro, sentendosi mordere le viscere dalla fame, pensò: - -— Ora chiedo l'elemosina. - -Dal forno veniva col vento primaverile la fragranza del pane recente. -Passò un uomo vestito di bianco, portando in testa una lunga tavola su -cui giacevano in ordine molti pani color d'oro, che ancora fumavano. -Due cani lo seguivano, con il muso all'aria, dimenando la coda. - -Ciro si sentì quasi venir meno, di languore. Pensava: - -— Ora chiedo l'elemosina; se no, muoio. - -Il giorno cadeva lentamente. Il cielo diafano era tutto sparso -d'aquiloni che si ritraevano verso terra ondeggiando. Le campane -propagavano nell'aria sonora un rombo continuo e profondo. - -Ciro pensò: - -— Ora mi metto alla porta della chiesa. - -E si trascinò verso quel luogo. - -La chiesa in fatti era aperta. Si vedeva in fondo l'altare illuminato -di fiammelle tremolanti, come una costellazione. Usciva fuori l'aroma -dell'incenso e del belzuino, svanito. Di tanto in tanto, l'organo -gittava un gran fascio di suoni. - -Ciro, d'improvviso, sentì velarsi gli occhi da nuove lacrime. Egli -pregò nel suo cuor religioso: - -— O Signore, Dio mio, aiutami tu! - -L'organo mise un tuono che fece vibrare i pilastri come stromenti; poi -si rallegrò di note chiare. Sorsero le voci dei cantori. E i devoti -e le devote entravano, a due, a tre, per la porta unica. Ciro non -osava ancora tendere la mano. Un mendicante, poco discosto, chiese -lamentevole: - -— La carità, per l'amore di Dio! - -Allora il muto ebbe onta. Vide entrare nella chiesa la matrigna, tutta -raccolta sotto la mantatura nera. Pensò: - -— Se andassi a casa, mentre la matrigna è fuori? - -La bramosia del cibo lo punse così forte, che egli non indugiò -più oltre. Volava su le grucce, dietro la speranza del pane. Una -femminetta, al passaggio, gli gridò ridendo: — Corri il palio, -stroppiatino? - -Egli giunse alla casa, in un baleno, ansando e palpitando. Salì le -scale con cautela infinita, senza rumore. Cercò la chiave a tentoni, -in una cavità del muro, dove soleva metterla la matrigna uscendo. La -trovò; e prima d'aprire guardò pel buco della serratura. Luca, sul -letto, pareva sopito. - -Ciro pensò: - -— Se potessi prendere il pane senza svegliarlo! - -E girò la chiave, piano piano, trattenendo il respiro, temendo di -svegliare il fratello con palpiti del cuore. Pareva che quei palpiti -empissero tutta la casa, come d'un fragore altissimo. - -— E se si sveglia? — pensò Ciro con un brivido nelle midolle, quando -sentì che la porta era aperta. - -Ma la fame lo rendeva audace. Egli entrò, puntando le grucce -delicatamente, non togliendo mai gli occhi di sul fratello. - -— E se si sveglia? - -Il fratello, supino, respirava con affanno in quel sopore. Di tratto in -tratto gli usciva dalle labbra quasi un fischio lieve. Una sola candela -ardeva su la tavola, gittando alla parete larghe ombre variabili. - -Ciro, come fu presso alla madia, s'arrestò per vincere il tremore; -guardò il dormiente; poi, reggendo ambo le grucce con l'ascelle, si -mise a sollevare il coperchio. La madia scricchiolava forte. - -D'improvviso Luca diede un balzo, svegliandosi. Vide il fratello in -quell'atto, e cominciò a gridargli contro, agitando le braccia, come un -ossesso: - -— Ah, ladro! Ah, ladro! Aiuto! - -Ma il furore lo soffocava. Mentre il fratello, accecato dalla fame, -chino su la madia, cercava con le mani tremanti un pezzo di pane, egli -si gettò giù dal letto e gli corse sopra a impedirgli di prendere. - -— Ladro! Ladro! — gridava, fuori di sè. - -Fuori di sè, trasse il coperchio pesante sul collo di Ciro; che s'agitò -come una vittima alla tagliuola, disperatamente. Resisteva Luca contro -quelli sforzi, avendo perduto ogni coscienza della cosa, premendo con -tutta la sua persona, quasi per decapitare il fratello. Il coperchio -scricchiolava, penetrando nella viva carne della nuca, schiacciando le -canne della gola, pestando le vene e i nervi. Penzolò dalla madia un -corpo inerte, che più non dava alcun tratto. Allora, in conspetto dello -storpio trucidato, uno sbigottimento pazzo invase l'animo del fratello. - -Due o tre volte, barcollando, egli attraversò la stanza che i guizzi -della candela empivano di paure; mise le mani su le coperte, le tirò a -sè, ci si avvoltolò tutto, coprendosi anche la testa; poi si accovacciò -sotto il letto. E nel silenzio i suoi denti stridevano, come fa una -lima sul ferro. - - - - -MUNGIÀ. - - -In tutto il contado pescarese, e a San Silvestro, a Fontanella, a San -Rocco, perfino a Spoltore e nelle fattorie di Vallelonga oltre l'Alento -e più specialmente nei piccoli borghi dei marinai presso la foce del -fiume e in tutte quelle case di creta e di canne, dove si accende il -fuoco con i rifiuti del mare, fiorisce da gran tempo la fama di un -rapsodo cattolico che ha un nome di corsale barbaresco ed è cieco a -simiglianza dell'antico Omero. - -Mungià comincia le sue peregrinazioni su i principii della primavera -e le termina nel mese di ottobre, ai primi rigori. Va per le campagne, -guidato da una femmina o da un fanciullo. Tra la grandezza e la forte -serenità della coltivazione, reca ora i lamentevoli canti cristiani le -antifone, gli invitatorii, i responsorii, i salmi dell'officio per i -defunti. Come la sua figura a tutti è familiare, i cani dell'aia non -latrano contro di lui. Egli dà l'annunzio con un trillo del clarinetto; -ed al segnale ben noto le vecchie madri escono in su la soglia, -accolgono onestamente il cantore, gli pongono una sedia all'ombra di -qualche albero, gli chiedono le nuove della salute. Tutti i coloni -cessano dal lavoro e si dispongono in cerchia, ancora alenanti, -tergendosi il sudore con un gesto semplice della mano. Rimangono fermi, -in attitudini di reverenza, tenendo gli strumenti dell'agricoltura. -Nelle braccia, nelle gambe, nei piedi ignudi essi hanno la deformità -che le fatiche lente e pazienti danno alle membra esercitate. I loro -corpi nodosi, la cui pelle assume il color delle glebe, sorgendo dal -suolo nella luce del giorno paiono quasi avere comuni con gli alberi le -radici. - -Spandesi allora dall'uomo cieco su quella gente e su le cose in torno -una solennità cristiana. Non il sole, non i presenti frutti della -terra, non la letizia dell'opera alimentaria, non le canzoni dei -cori lontani bastano a difendere gli animi dal raccoglimento e dalla -tristezza della religione. Una delle madri indica il nome del parente -morto a cui ella offre i cantici in suffragio. Mungià si scopre il -capo. - -Appare il suo cranio largo e splendente, cinto di canizie; e tutta la -faccia, simigliante nella quiete a una maschera corrosa, si raggrinza -e vive nel movimento del prendere a bocca il clarinetto. Su le tempie, -sotto la cavità degli occhi, lungo gli orecchi, e poi d'in torno alle -narici e agli angoli delle labbra mille grinze sottili e fitte si -compongono e si scompongono a seconda dell'inspirazione ritmica del -fiato nello stromento. Rimangono tesi e lucidi e salienti gli zigomi, -solcati da venature sanguigne simili a quelle che traspariscono in -autunno nelle foglie della vite. E degli occhi, in fondo alle orbite, -non si vede se non il segno rossiccio della palpebra inferiore rivolta. -E su tutte le scabrosità della pelle, su tutta quella meravigliosa -opera d'incisione e di rilievo fatta dalla magrezza e dalla vecchiezza, -e di tra i peli duri e corti d'una barba mal rasa, e nei cavi e nelle -corde del collo lungo e rigido la luce si frange, sfugge, si divide -quasi direi per stille, come una rugiada su una zucca piena di porri e -di muffe, gioca in mille maniere, vibra, si spenge, esita, dà talvolta -a quella umile testa inaspettate arie di nobiltà e di mistero. - -Dal clarino di bossolo, a seconda dei movimenti delle dita su le -chiavette malferme, escono suoni. Lo stromento ha in sè quasi direi una -vita e quella inesprimibile apparenza di umanità che acquistano le cose -per l'assiduo uso in servigio dell'uomo. Il bossolo ha una lucentezza -untuosa; i buchi, che nei mesi d'inverno divengono nidi di piccoli -ragni, sono ancora occupati dalle tele o dalla polvere; le chiavette, -lente, sono macchiate di verderame; e qua e là la cera vergine e la -pece chiudono i guasti; e la carta e il filo stringono le commessure; e -ancora si veggono in torno all'orlo gli ornamenti della gioventù. Ma la -voce è debole e incerta. Le dita del cieco si muovono macchinalmente, -poichè non fanno se non ricercare quel preludio e quell'interludio da -gran tempo. - -Le mani lunghe, deformate, con grossi nodi alla prima falange -dell'anulare e del medio, con l'unghia del pollice depressa e violetta, -somigliano le mani d'una scimmia decrepita; hanno su 'l dorso le -tinte di certi frutti malsani, un misto di roseo, di giallognolo e di -turchiniccio; su la palma hanno una laboriosa rete di solchi, e tra -dito e dito la pelle escoriata. - -Come il preludio finisce, Mungià prende a cantare il _Libera me -Domine_, e il _Ne recorderis_, lentamente, su una modulazione di cinque -sole note. Nel canto, le terminazioni latine si congiungono alle forme -dell'idioma natale; di tratto in tratto, quasi con un ritorno metrico, -passa un avverbio in _ente_ seguito da molte gravi rime; e la voce ha -una momentanea elevazion di tono; poi l'onda si riabbassa e segue a -battere le linee men faticose. Il nome di Gesù ricorre spesso nella -rapsodia; e la passione di Gesù è tutta narrata in strofe irregolari di -settenarii e di quinarii, non senza un certo movimento dramatico. - -I coloni in torno ascoltano con animo devoto, guardando il cantore -nella bocca. Viene talvolta dai campi su 'l vento un coro di -vendemmiatrici o di mietitori, secondo la stagione, a contendere con -la pia laude; e l'albero al vento si fa tutto musicale. Mungià, che -ha fioco l'udito, continua a cantare i misteri della morte. Le labbra -gli stanno aderenti alle gencive deserte, e gli comincia a colar giù -pe 'l mento la saliva. Egli imbocca il clarinetto, suona l'intermezzo; -poi riprende le strofe. Così va sino alla fine. Sua ricompensa è una -piccola misura di frumento, o una caraffa di mosto, o una resta di -cipolle, o anche una gallina. - -Egli s'alza dalla sedia. Ha una figura alta e macilenta, la schiena -curva, i ginocchi volti un poco in dentro. Porta in capo una grande -berretta verde e, in ogni stagione, su le spalle un mantello chiuso -alla gola da due fermagli di ottone e cadente a mezza coscia. Cammina a -fatica, talvolta soffermandosi per tossire. - - -Quando, nell'ottobre, le vigne sono vendemmiate e le strade sono -piene di fango o di ghiaia, egli si ritira in una soffitta; e là vive -insieme con un sartore che ha la moglie paralitica e con uno spazzino -che ha nove figliuoli afflitti dalla scrofola o dalla rachitide. Nei -giorni sereni, egli si fa condurre sotto l'arco di Portanova; siede -al sole, sopra un macigno, e si mette a cantare il _De profundis_, -sommessamente, per esercizio della gola. Quasi sempre i mendicanti -allora gli fanno cerchia. Uomini con le membra slogate, gobbi, -storpi, epilettici, lebbrosi; vecchie piene di piaghe, o di croste, -o di cicatrici, senza denti, senza cigli, senza capelli; fanciulli -verdognoli come locuste, scarni, con gli occhi selvaggi degli uccelli -di rapina, con la bocca già appassita, taciturni, che covano nel -sangue un morbo ereditato; tutti quei mostri della povertà, tutti quei -miserevoli avanzi d'una razza disfatta, quelle cenciose creature di -Gesù, vengono a fermarsi in torno al cantore e gli parlano come a un -eguale. - -Allora Mungià solleva la voce per benignità verso gli ascoltanti. -Giunge, trascinandosi a fatica per terra con l'aiuto delle palme -munite d'un disco di cuoio, Chiachiù, il nativo di Silvi; e si ferma, -tenendosi tra le mani il piede destro ritorto come una radice. Giunge -la Strigia, una figura ambigua, repugnante, di ermafrodito senile, che -ha il collo pieno di foruncoli vermigli, su le tempie alcuni riccioli -grigi di cui ella par vana, e tutto l'occipite coperto di peluria come -quello degli avvoltoi. Giungono i Mammalucchi, i tre fratelli idioti -che paiono essere nati dall'accoppiamento di un uomo con una pecora, -così manifeste ne' loro volti sono le fattezze ovine. Il maggiore ha -i bulbi visivi sgorganti fuor delle orbite, degenerati, molli, d'un -colore azzurrognolo, simili al sacco ovale di un polpo che sia prossimo -a putrefarsi. Il minore ha il lobo di un'orecchia smisuratamente -gonfio, e paonazzo, simile a un fico. Tutti e tre vanno in comune, con -le bisacce di corda dietro la schiena. - -Giunge l'Ossesso, un uomo scarno e serpentino, dalle palpebre -arrovesciate come quelle dei piloti che navigano per mari ventosi, -olivastro nella faccia, camuso, con un singolare aspetto di malizia -e di fraudolenza palesante in lui l'origine zingaresca. Giunge la -Catalana di Gissi, una femmina d'età incognita, con lunghi cernecchi -rossicci, con su la pelle della fronte alcune macchie simili quasi -a monete di rame, sfiancata come una cagna dopo il parto: la Venere -dei mendicanti, l'amorosa fonte a cui va a dissetarsi chi patisce -la sete. E giunge Jacobbe di Campli, il grande vecchio dal pelame -verdastro come quello di certi artefici che lavorano l'ottone. Giunge -l'industre Gargalà su 'l veicolo costrutto con rottami di barche -ancora incatramati. Giunge Costantino di Corrópoli, il cinico, che, -per una crescenza del labbro inferiore, pare tenga sempre fra i denti -uno straccio di carne cruda. Altri giungono. Tutti gli iloti che -hanno emigrato lungo il corso del fiume, dagli altipiani al mare, si -raccolgono in torno al rapsodo, sotto il comun sole. - -Mungià canta allora con una varia ricerca di modi, tentando altitudini -insolite. Una specie di orgoglio, un'aura di gloria gli invade l'animo, -poichè egli allora esercita l'arte liberalmente, senza prender mercede. -Sale dalla turba dei mendicanti, a tratti, un clamore di plauso ch'egli -a pena ode. - -Al termine del canto, come il dolcissimo sole abbandonando quel luogo -ascende su per le colonne corintie dell'Arco, i mendicanti salutano il -cieco e si sbandano per le terre vicine. Rimangono, per consuetudine, -Chiachiù di Silvi, con il piede ritorto fra le mani, e i fratelli -Mammalucchi. Costoro chiedono ad alta voce l'elemosina a chi passa; -mentre Mungià taciturno forse ripensa i trionfi della giovinezza, -quando Lucicappelle, il Golpo di Càsoli e Quattòrece erano vivi. - - -Oh gloriosa _paranzella_ di Mungià! - -La piccola orchestra aveva conquistata, in quasi tutta la valle -inferiore della Pescara, una inclita fama. - -Sonava la viola ad arco il Golpo di Càsoli, un omuncolo tutto -grigiastro come le lucertole dei tetti, con la pelle del volto e del -collo tutta rugosa e membranosa come i tegumenti d'una testuggine cotta -nell'acqua. Egli portava una specie di berretto frigio che per due -ali aderiva agli orecchi; giocava d'arco con gesti rapidi, premendo su -'l piè della viola il mento aguzzo, martellando le corde con le dita -contratte, ostentando un visibile sforzo nell'azione del sonare, come -fanno i macacchi dei saltimbanchi nòmadi. - -Dopo di lui, Quattòrece veniva co 'l violone appeso in su 'l ventre per -mezzo d'una correggia di pelle d'asino. Lungo e smilzo come una candela -di cera, Quattòrece aveva in tutta la persona un singolar predominio -dei colori aranciati. Pareva una di quelle figure monocromatiche -dipinte, su certi rustici vasi castellesi, in attitudini rigide. -Ne' suoi occhi, come in quelli dei cani da pastore, brillava una -trasparenza tra castanea ed aurea; la cartilagine delle sue grandi -orecchie, aperte come quelle dei pipistrelli, contro la luce tingevasi -d'un giallo roseo; le sue vesti erano di quel panno color tabacco -chiaro, che per solito adoperano i cacciatori; e il vecchio violone, -ornato di penne, di fili d'argento, di fiocchi, d'imaginette, di -medaglie, di conterie, aveva l'aspetto di non so quale artifizioso -stromento barbarico d'onde dovessero escire novissimi suoni. - -Ma Lucicappelle, tenendo a traverso il petto la sua immane chitarra a -due corde accordate in diapente, veniva ultimo con un passo di danza -e di baldanza, come un Figaro rusticale. Egli era il giocondo spirito -della _paranzella_, il più verde d'anni e di forze, il più mobile, il -più arguto. Un gran ciuffo di capelli crespi gli sporgeva su la fronte, -di sotto a una specie di tòcco scarlatto; gli brillavano agli orecchi -feminilmente due cerchi d'argento: le linee della sua faccia formavano -un natural componimento di riso. Egli amava il vino, i brindisi in -musica, le serenate in onor della bellezza, le danze all'aperto, i -conviti larghi e clamorosi. - -Ovunque si celebrasse uno sposalizio, un battesimo, una festa votiva, -un funerale, un triduo, correva la _paranzella_ di Mungià, desiderata, -acclamata. Precedeva i cortei nuziali, per le vie tutte sparse di fiori -di giunco e d'erbe odorifere, tra le salve di gioia e le salutazioni. -Cinque mule inghirlandate recavano i doni. Un carro, tratto da due -paia di bovi con le corna avvolte di nastri e con i dorsi coperti -di gualdrappe, recava _la soma_. Le caldaie, le conche, i vasellami -di rame tintinnivano agli scotimenti dell'incedere; gli scanni, le -tavole, le arche, tutte quelle rudi forme antiche delle suppellettili -casalinghe, oscillavano scricchiolando; le coperte di damasco, le gonne -ricche di fiorami, i busti trapunti, i grembiali di seta, tutte quelle -fogge di vestimenta muliebri risplendevano al sole in un miscuglio -di gaiezza; e una conocchia, simbolo delle virtù familiari, eretta su -'l culmine, carica di lino, pareva contra il cielo azzurro una mazza -d'oro. - -Le donne della parentela, con su 'l capo un canestro di grano e su 'l -grano un pane e su 'l pane un fiore, si avanzavano per ordine, tutte in -una stessa attitudine semplice e quasi jeratica, simili alle canèfore -dei bassirilievi ateniesi, cantando. Come giungevano alla casa, presso -il talamo, si toglievano il canestro dal capo, prendevano un pugno -di grano e, a una a una, lo spargevano su la sposa, pronunziando una -formola d'augurio rituale in cui la fecondità e l'abbondanza erano -invocate. Anche la madre compiva la cerimonia frumentaria, fra molte -lacrime; e con un panello toccava alla figlia il petto, la fronte, le -spalle, dicendole parole di dolente amore. - -Poi, nella corte, sotto un'ampia stuoia di canne o sotto un tetto di -rami, incominciava il convito. Mungià, a cui non anche la virtù visiva -era venuta meno nè eran sopraggiunti i mali della vecchiezza, diritto -nella magnificenza di una zimarra verde, e tutto sudante e fiammante e -soffiante entro il clarinetto la maggior forza dei pulmoni, incitava -i compagni con battere di piedi su 'l terreno. Il Golpo di Càsoli -fustigava la viola irosamente; Quattòrece con fatica teneva dietro -alla crescente furia della moresca, sentendosi aspri traverso il -ventre passar gli stridori dell'arco e delle corde. Lucicappelle, erto -la testa in aria, stringendo con la sinistra in alto le chiavi della -chitarra e con la destra pizzicando le due forti corde metalliche, -sogguardava le femmine che ridevano luminose al fondo in tra la letizia -delle fioriture. - -Allora il _Mastro delle cerimonie_ recava le vivande in amplissimi -piatti dipinti; i vapori salivano come una nebbia disperdendosi nel -fogliame; i vasi del vino, dalle anse bene usate, passavano d'uomo -in uomo; le braccia allungandosi e intrecciandosi su la mensa, tra -i pani cosparsi d'anice e i formaggi più tondi che il disco della -luna, prendevano aranci, mandorle, olive; gli odori delle spezie si -mescevano ai freschi effluvi vegetali; e di qua, di là, entro bicchieri -di liquori limpidi i commensali offerivano alla sposa piccoli gioielli -o collane dai grossi acini avvolte come grappoli d'oro. Su 'l finire, -negli animi una gran gioia bacchica si accendeva; i clamori crescevano; -fin che Mungià, avanzandosi, a capo scoperto, con in mano un bicchiere -colmo, cantava il bel distico rituale che nei conviti della terra -d'Abruzzi suol dischiudere ai brindisi le bocche amiche: - - Quistu vino é dòlige e galante; - A la saluta de tutti quante! - - - - -LA GUERRA DEL PONTE. - -FRAMMENTO DI CRONACA PESCARESE. - - - . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . - -Verso gli idi d'agosto (per tutte le campagne il grano lavato -si asciugava felicemente al sole), Antonio Mengarino, un vecchio -agricoltore pieno di probità e di saggezza, stando nel Consiglio del -Comune a giudicare su le cose pubbliche, come udì taluni consiglieri -cittadini discorrere a voce bassa del _cholèra_ che in qualche -provincia d'Italia andavasi ampliando e udì altri proporre ordini a -conservazion della salute ed altri esporre timori, si fece innanzi con -un'aria tra di incredulità e di curiosità ad ascoltare. - -Erano con lui nel Consiglio, agricoltori, Giulio Citrullo della pianura -e Achille di Russo dei colli; e il vecchio, mentre ascoltava, volgevasi -di tratto in tratto a quei due con cenni delle palpebre e delle labbra -come per avvertirli dell'inganno ch'egli credeva si celasse nelle -parole dei consiglieri signori e del sindaco. - -Finalmente, non più potendo trattenersi, disse, con la sicurtà di un -uomo che sa e vede molto: - -— Mbé, leváme ssti chiacchiere in tra di nu áutre. Le vuleme fa' veni -nu poche de culere, u ne le vuleme fa' veni? Dicémecele 'n segrete, mo. - -A queste inaspettate parole, tutti i consiglieri furono da prima presi -dalla meraviglia, e quindi dal riso. - -— Vatténne, Mengarì! Che ti mitte a dice, sangue de Crimie! — esclamò -don Aiace, il grande assessore, spingendo con la mano una spalla del -vecchio. E gli altri, scotendo il capo o battendo il pugno in sul -tavolo sindacale, commentavano la pertinace ignoranza dei cafoni. - -— Mbè, ma ve pare mo ca nu credeme a ssi chiacchiera quisse? — -fece Antonio Mengarino, con un gesto vivo, poichè sentivasi punto -dall'ilarità che le sue parole avevano suscitata. Nell'animo di lui -e in quello degli altri due agricoltori la diffidenza e la nativa -ostilità contro _la signoria_ insorgevano. — Dunque essi erano esclusi -dai segreti del Consiglio? Dunque ancora erano considerati come cafoni? -Ah, brutte cose, per la Majella!... - -— Facéte vu. Nu ce ne jame — concluse il vecchio, acre, coprendosi -il capo. E i tre villici uscirono dalla sala, con un passo pieno di -dignità, in silenzio. - -Come furono fuori del paese nella campagna opulenta di vigne e di -gran ciciliano, Giulio Citrullo, soffermatosi per accendere la pipa, -sentenziò: - -— Ocche bádene a isse! Ca ssta vote sa coma va sgrizzenne li cocce, pe' -la Majelle!... I nin vulesse esse' lu sìnnache. - - -Intanto nel territorio contadino il timore del morbo imminente -sconvolgeva tutti gli animi. In torno agli alberi fruttiferi, in torno -alle viti, in torno alle cisterne, in torno ai pozzi, gli agricoltori -vigilavano, sospettosi e minacciosi, con una costanza instancabile. -Nella notte colpi di fucile frequenti turbavano il silenzio; i cani, -aizzati, latravano fino all'alba. Le imprecazioni contro i Governanti -scoppiavano di giorno in giorno con maggior violenza d'ira. Tutte -le pacifiche ed auguste fatiche agresti erano intraprese con una -sorta d'incuria e d'insofferenza. Sorgevano dai campi le canzoni di -ribellione rimate all'improvviso. - -Poi, i vecchi rinnovavano i ricordi delle passate mortalità, -confermando la credenza nei veleni. Un giorno, nel 54, alcuni -vendemmiatori di Fontanella, avendo colto un uomo in cima a un albero -di fico e avendolo costretto a discendere, videro che questi nascondeva -una fiala piena di un unguento gialliccio. Con minacce essi gli fecero -inghiottire tutto l'unguento; e d'un tratto l'uomo (ch'era uno dei -Paduani) stramazzò, torcendo le membra su le zolle, livido, con gli -occhi fissi, con il collo teso, con ai denti una schiuma verde. A -Spoltore, nel 37, Zinicche, un fabbro, uccise in mezzo alla piazza il -cancelliere Don Antonio Rapino; e le morti cessarono subitamente, il -paese fu salvo. - -Poi, a poco a poco, le leggende si formavano e di bocca in bocca -variavano, e, se bene recenti, divenivano meravigliose. Una diceva che -al Palazzo del Comune erano giunte sette casse di veleno distribuito -dai _Governanti_ perchè fosse sparso nelle campagne e mescolato nel -sale. Le casse erano verdi, cerchiate di ferro, con tre serrature. Il -sindaco aveva dovuto pagare settemila ducati per sotterrar le casse e -liberare il paese. Un'altra voce recava che al sindaco i _Governanti_ -davano cinque ducati per ogni morto. La popolazione era troppo grande: -toccava ai poveri morire. Il sindaco stava facendo le liste. Ah, si -arricchiva, il _figlio di Sciore_, questa volta! - - -Così il fermento cresceva. Gli agricoltori al mercato di Pescara nulla -compravano, nè portavano mercanzia in traffico. I fichi dagli alberi, -giunti a maturità, cadevano e si corrompevano su 'l suolo. I grappoli -rimanevano intatti fra i pampini. I ladroneggi notturni più non -seguivano, poichè i ladri temevano di cogliere frutti attossicati. Il -sale, l'unica merce presa nelle botteghe della città, era prima offerto -ai cani e ai gatti, per esperimento. - -Giunse quindi un giorno la novella che a Napoli i cristiani morivano -in gran numero. E al nome di Napoli, di quel gran reame lontano -dove _Ggiuanne senza pahure_ un dì trovò fortuna, le imaginazioni si -accendevano. - -Sopravvennero le vendemmie. Ma, come i mercanti di Lombardia compravano -le uve nostrali e le portavano nei paesi del settentrione per trarne -vini artifiziosi, la letizia del rinato mosto fu scarsa e poco le -gambe dei vendemmiatori si esercitarono a danzare nel tino e poco si -esercitarono al canto le bocche feminili. - -Ma, quando tutte le opere della raccolta furono terminate e tutti gli -alberi furono spogliati dei loro frutti, cominciarono i timori e i -sospetti a dileguarsi; poichè oramai eran diminuite pe' i Governanti le -opportunità di spargere il veleno. - -Grandi piogge beneficatrici caddero su le campagne. Il terreno ora, -nutrito d'acqua, andavasi temperando pe 'l lavoro dell'aratro e per la -seminagione, co 'l favore dei dolci soli autunnali; e la luna nel primo -quarto influiva su la virtù dei semi. - - -Una mattina, per tutto il territorio si sparse d'improvviso la voce -che a Villareale, presso le querci di Don Settimio, su la riva destra -del fiume, tre femmine erano morte dopo aver mangiato in comune una -minestra di pasta comprata nella città. L'indignazione irruppe da -tutti gli animi; e con maggior veemenza, poichè tutti oramai s'erano -pacificati in una securtá fiduciosa. - -— Ah, va bbone; lu fije de Sciore nen ci ha vulute arnunzià a lì -ducate... Ma a nu nen ce po fa' niente mo, pecché frutte nen ce ne sta, -e a Piscare nen ci jeme. - -— Lu fije de Sciore joca na mala carte. - -— A nu ce vo fa' murì? Mbé, esse ha sbajate lu tembe, povere -Sciurione... - -— Addó le po mette la pruvelette? A la paste, a lu sale... Ma la paste -nu ne la magneme; e lu sale le deme prime a pruvà a li hatte e a li -cane. - -— Ah, Signure birbune! Ch'aveme fatte nu, puveritte? Mannajia Crimie, -ha da venì chilu journe... - -Così le mormorazioni si levavano da ogni parte, miste ai dileggi e alle -contumelie contro gli uomini del Comune e contro i Governanti. - -A Pescara, d'un tratto, tre, quattro, cinque persone del volgo furono -prese dal male. Cadeva la sera; e su tutte le case discendeva una -grande paura funerea, insieme con l'umidità del fiume. Per le vie la -gente si agitava correndo verso il Palazzo comunale; dove il sindaco -e i consiglieri e i gendarmi, avvolti in una confusion miserevole, -salivano e scendevano le scale parlando tutti insieme ad alta voce, -dando contrari ordini, non sapendo che risolvere, dove andare, come -provvedere. Per un natural fenomeno, il commovimento dell'animo si -propagava al ventre. - -Tutti, sentendo dentro le viscere romorii cupi, si mettevano a -tremare e a battere i denti; si guardavano in volto l'un l'altro; -si allontanavano a rapidi passi; si chiudevano nelle case. Le cene -rimasero intatte. - -Poi, a tarda ora, quando il primo tumulto del pánico fu sedato, le -guardie cominciarono ad accendere su i canti delle vie fuochi di zolfo -e di catrame. Il rossore delle fiamme illustrava i muri e le finestre; -e l'inutile odore del bitume spandevasi per la città sbigottita. Da -lontano, come la luna era serena, pareva che i calafati verso il mare -spalmassero carene allegramente. - - -Tale fu in Pescara l'entrata dell'Asiatico. - -E il male, serpeggiando lungo il fiume, s'insinuò nei borghi della -Marina, in quelli adunamenti di casupole basse dove vivono i marinai e -alcuni vecchi dediti a piccole industrie. - -Gli infermi morirono quasi tutti, poichè non volevano prendere i -rimedi. Nessuna ragione e nessuna esperienza valse a persuaderli. -Anisafine, un gobbo che vendeva ai soldati acqua mista a spirito di -ánace, quando vide il bicchiere del medicamento, strinse forte le -labbra e cominciò a scuotere il capo in segno di rifiuto. Il dottore -prese ad eccitarlo con parole di persuasione; bevve egli pel primo la -metà del liquido; e, dopo, quasi tutti gli assistenti accostarono la -bocca all'orlo del bicchiere. Anisafine seguitava a scuotere il capo. - -— Ma vedi, — esclamò il dottore, — abbiamo bevuto prima noi... - -Anisafine si mise e ridere per beffa. - -— Ah, ah, ah! Ma vu, mo che arreuscite, ve pijate lu contravvelene, — -disse. E, poco dopo, morì. - -Cianchine, un macellaio idiota, fece la stessa cosa. Il dottore, per -ultima prova, gli versò a forza tra i denti il medicinale. Cianchine -sputò tutto, con ira e con orrore. Poi si mise a scagliar vituperii -contro gli astanti; tentò due o tre volte di levarsi per fuggire; e -morì rabbiosamente, dinanzi a due gendarmi esterrefatti. - -Le cucine pubbliche, instituite per concorso spontaneo d'uomini -caritatevoli, furono in su 'l principio credute dal volgo un -laboratorio di tossici. I mendicanti pativano la fame più tosto che -mangiare la carne cotta in quelle pentole. Costantino di Corròpoli, il -cinico, andava spargendo i dubbi tra la sua tribù. Egli vagava in torno -alle cucine, dicendo a voce alta, con un gesto indescrivibile: - -— A me nen mi ci acchiappe! - -La Catalana di Gissi fu la prima a vincere il timore. Ella, un poco -esitante, entrò; mangiò a piccoli bocconi, esaminando in sè stessa -l'effetto del cibo; bevve il vino a piccoli sorsi. Poi, sentendosi -tutta ristorata e fortificata, sorrise di meraviglia e di piacere. -Tutti i mendicanti attendevano ch'ella uscisse. Quando la rividero -incolume si precipitarono per la porta; vollero anch'essi bere e -mangiare. - -Le cucine sono in un vecchio teatro scoperto, nelle vicinanze di -Portanova. Le caldaie bollono nel luogo dell'orchestra, il fumo invade -il palco scenico: tra il fumo si vedono al fondo le scene raffiguranti -un castel feudale illuminato dal plenilunio. Quivi, su 'l mezzodì, si -raccoglie intorno a una mensa rustica la tribù dei poveri. Prima che -l'ora scocchi, nella platea s'agita un brulichìo multicolore di cenci e -si leva un mormorìo di voci roche. Alcune figure nuove appaiono tra le -figure già cognite. Notabile una tal Liberata Lotta di Montenerodòmo, -che ha una stupenda maschera di Minerva ottuagenaria, piena di regalità -e di austerità nella fronte, con i capelli tutti tesi in su 'l cranio -come un casco aderente. Ella tiene fra le mani un vaso di vetro verde, -che par colmo di misteri; e resta in disparte, taciturna, aspettando -d'essere chiamata. - - -Ma il grande episodio epico di questa cronaca del _choléra_ è la Guerra -del Ponte. - -Un'antica discordia dura tra Pescara e Castellammare Adriatico, tra i -due comuni che il bel fiume divide. - -Le parti nemiche si esercitano assiduamente in offese e in -rappresaglie, l'una osteggiando con tutte le forze il fiorire -dell'altra. E poichè oggi è prima fonte di prosperità la mercatura, -e poichè Pescara ha già molta dovizia d'industrie, i Castellammaresi -da tempo mirano a trarre i mercanti su la loro riva con ogni sorta di -astuzie e di allettamenti. - -Ora, un vecchio ponte di legname cavalca il fiume su grossi battelli -tutti incatramati e incatenati e trattenuti da ormeggi. I canapi e -le gómene s'intrecciano nell'aria artifiziosamente, scendendo dalle -antenne alte dell'argine ai parapetti bassissimi; e dànno imagine -di un qualche barbarico attrezzo ossidionale. Le tavole mal connesse -scricchiolano al peso dei carri. Al passaggio delle schiere militari, -tutta la mostruosa macchina acquatica oscilla e balza da un capo -all'altro e risuona come un tamburo. - -Sorse un dì da questo ponte la popolar leggenda di san Cetteo -liberatore; e il santo annualmente vi si ferma nel mezzo, con gran -pompa cattolica, a ricevere le salutazioni che dalle barche ancorate -mandano i marinai. - -Così, tra la vista di Montecorno e la vista del mare, l'umile -costruzione sta quasi come un monumento della patria, ha quasi in sè -la santità delle cose antiche e dà agli estranei indizio di genti che -ancora vivano in una semplicità primordiale. - -Gli odii tra i Pescaresi e i Castellammaresi cozzano su quelle tavole -che si consumano sotto i laboriosi traffici cotidiani. E, come per di -là le industrie cittadine si riversano su la provincia teramana e vi si -spandono felicemente, oh con qual gioia la parte avversa taglierebbe i -canapi e respingerebbe i sette rei battelli a naufragare! - -Sopraggiunta dunque la bella opportunità, il gonfaloniere nemico con -molto apparato di forze campestri impedì ai Pescaresi il passaggio -nell'ampia strada che dal ponte si dilunga per gran tratto congiungendo -innumerevoli paesi. - -Era nell'intendimento di colui chiudere la città rivale in una specie -d'assedio, toglierle ogni modo di traffico ed interno ed esterno, -attrarre al suo mercato i venditori e i compratori che per consuetudine -praticavano su la destra riva; e, quindi, dopo avere ivi oppressa in -una forzosa inerzia ogni arte dì lucro, sorgere trionfatore. Offerse -egli ai padroni delle paranze pescaresi venti carlini per ogni cento -libbre di pesce, mettendo come patto che tutte le paranze approdassero -e scaricassero alla sua riva e che la convenzion del prezzo durasse -fino al giorno della Natività di Cristo. - -Ora, nella settimana precedente la Natività, il prezzo del pesce suol -salire a più che quindici ducati per ogni cento libbre. Manifesta -appariva dunque l'insidia. - -I padroni rifiutarono ogni offerta, preferendo tenere inoperose le reti. - -Lo scaltro nemico fece ad arte spargere voce che una mortalità grande -affliggeva Pescara. Si adoperò per via d'amicizia a sollevare tutti gli -animi della provincia teramana e gli animi anche dei Chietini contro la -pacifica città dove il morbo già era scomparso. - -Respinse con violenza o ritenne prigionieri alcuni onesti viandanti -che, usando d'un comun diritto, prendevano la strada provinciale per -recarsi altrove. Lasciò che su la linea di confine un branco di suoi -lanzichenecchi stesse dall'alba al tramonto schiamazzando contro -chiunque si avvicinava. - -La ribellione cominciò allora a fermentare nei Pescaresi, contro -gli ingiusti arbitrii; poichè sopraggiungeva la miseria e tutta la -numerosa classe dei lavoratori languiva nell'inerzia e tutti i mercanti -incorrevano in gravissimi danni. Il _cholèra_, scomparso dalla città, -accennava a scomparire anche dalla marina dove soltanto alcuni vecchi -invalidi erano morti. Tutti i cittadini, fiorenti di salute, amavano -riprendere le consuete fatiche. - -I tribuni sorsero: Francesco Pomárice, Antonio Sorrentino, Pietro -D'Amico. Per le vie la gente si divideva in gruppi, ascoltava la -parola tribunizia, applaudiva, proponeva, gittava gridi. Un gran -tumulto andavasi preparando fra il popolo. Per eccezione, taluni -raccontavano il fatto eroico del Moretto di Claudia. Il quale, preso -dai lanzichenecchi a forza e imprigionato nel lazzeretto ed ivi -trattenuto per cinque giorni senz'altro cibo che pane, riuscì a fuggire -dalla finestra; passò a nuoto il fiume, e giunse tra i suoi grondante -di acqua, alenante, famelico, raggiante di gloria e di gioia. - -Il sindaco, nel frattempo, sentendo il mugolio precursore della -tempesta, si accinse a parlamentare co 'l Gran Nimico castellammarese. -È il sindaco un piccolo dottor di legge cavaliere, tutto untuosamente -ricciutello, con omeri sparsi di forfora, con chiari occhietti -esercitati alle dolci simulazioni. E il Gran Nimico un degenere nepote -del buon Gargantuasso; enorme, sbuffante, tonante, divorante. Il -colloquio avvenne in terra neutrale; e presenti vi furono gli illustri -prefetti di Teramo e di Chieti. - -Ma, verso il tramonto, un lanzichenecco, entrato in Pescara per recare -un messaggio a un consiglier del Comune, si mise in cantina con altri -bravi a bevere; e quindi prese bravamente a girovagare. Come lo videro -i tribuni, gli corsero sopra. Tra le grida e le acclamazioni della -plebe lo spinsero lungo la riva, sino al lazzeretto. Era il tramonto -su le acque luminosissimo; e il bèllico rossore dell'aria inebriava gli -animi plebei. - -Allora dall'opposta riva ecco una torma di Castellammaresi, uscente di -tra i salici ed i vimini darsi con molta veemenza di gesti ad inveire -contro l'oltraggio. - -Rispondevano i nostri con eguale furia. E il lanzichenecco imprigionato -percoteva con tutta la forza dei piedi e delle mani la porta della -prigione, gridando: - -— Apríteme! Apríteme! - -— Tu adduòrmete a esse, e nen te n'incaricà, — gli gridavano per beffa -i popolani. E qualcuno crudelmente aggiungevagli: - -— Ah, si sapisse quante se n'hanne muorte a esse dendre! Siente -l'uddore? Nen te s'ha cumenzate a smove nu poche la panze? - -— Urrà! Urrà! - -Verso la Bandiera scorgevasi un luccichío di canne di fucile. Il -sindachetto veniva a capo di un manipolo militare per liberar dal -carcere il lanzichenecco, a fin di non incorrere nelle ire del Gran -Nimico. - -Subitamente la plebe, irritata, tumultuò; grida altissime si levarono -contro quel vil liberatore di Castellammaresi. - -Per tutta la via, dal lazzeretto alla città, fu un clamoroso -accompagnamento di sibili e di contumelie. Al lume delle torce, la -gazzarra durò fin che le voci non furon roche. - -Dopo quel primo impeto, la rivolta si andò svolgendo a mano a mano con -nuove peripezie. Tutte le botteghe si chiusero. Tutti i cittadini si -raccolsero su la strada, ricchi e poveri, in familiarità, presi da una -furiosa smania di parlare, di gridare, di gesticolare, di manifestare -in mille diversi modi un unico pensiero. - -Ad ogni tratto giungeva un tribuno recando una notizia. I gruppi si -scioglievano, si ricomponevano, variavano, secondo le correnti delle -opinioni. E, poichè su tutte le teste la libertà del giorno era vitale -e i sorsi dell'aria letificavano come sorsi di vino, si ridestò nei -Pescaresi la nativa giocondità beffarda; ed essi seguitarono a far -ribellione in una maniera gaia ed ironica, così, per il diletto, per il -dispetto, per l'amore delle cose nuove. - -Gli stratagemmi del Gran Nimico si moltiplicavano. Qualunque accordo -rimaneva inosservato a causa di abili temporeggiamenti che la debolezza -del piccolo sindaco favoriva. - - -Il mattino d'Ognissanti, verso la settima ora, mentre nelle chiese si -celebravano i primi uffici festivi, i tribuni si misero in giro per la -città, seguiti da una turba che ad ogni passo accrescevasi e diveniva -più clamorosa. Quando l'intero popolo fu raccolto, Antonio Sorrentino -arringò. La processione, in ordine, quindi si diresse al Palazzo -comunale. Le strade erano ancora azzurre nell'ombra e le case erano -coronate dal sole. - -In vista del Palazzo un immenso grido scoppiò. Tutte le bocche -scagliavano vituperii contro il leguleio; tutti i pugni si levavano -in attitudine di minaccia; tra un grido e l'altro, certe lunghe -oscillazioni sonore rimanevano nell'aria, come prodotte da uno -strumento; e su la confusion delle teste e delle vesti i lembi vermigli -delle bandiere sbattevano, come agitati dal largo soffio popolare. - -Su 'l comunal balcone non appariva alcuno. Il sole discendeva a poco -a poco dal tetto verso la gran meridiana tutta nera di cifre e di -linee su cui lo gnomone vibrava l'ombra indicatrice. Dalla Torretta -dei D'Annunzio al campanil badiale torme di colombe svolazzavano -nell'azzurro superiore. - -Le grida si moltiplicarono. Una mano di animosi diede l'assalto alle -scale del Palazzo. Il piccolo sindaco, pallido e pavido, si arrese al -volere del popolo; lasciò il seggio; rinunziò all'ufficio; discese su -la strada, tra i gendarmi, seguito dai consiglieri. Uscì quindi dalla -città; si ritrasse su 'l colle di Spoltore. - -Le porte del Palazzo furono chiuse. Un'anarchia provvisoria si -stabilì nella città. Le milizie, per impedire l'imminente lotta tra i -Castellammaresi e i Pescaresi, fecero argine su l'estremità sinistra -del ponte. La turba, deposte le bandiere, si avviò alla strada di -Chieti; poichè di là era per giungere il Prefetto chiamato in furia da -un Commissario reale. I proponimenti parevano feroci. - -Ma la mite virtù del sole a poco a poco pacificò le ire. Nell'ampia -strada venivano, uscenti dalla chiesa, le femmine del contado tutte -in vesti di seta multicolori e coperte di gioielli giganteschi, -di filigrane d'argento, di collane d'oro. Lo spettacolo di quelle -facce, rubiconde e gioconde come grandi pomi, rasserenava ogni animo. -I motti e le risa nacquero spontaneamente; ed il non breve tempo -dell'aspettazione parve quasi dilettevole. - -Su 'l mezzodì la vettura prefettizia giunse in vista. Il popolo -si dispose in semicerchio per chiuderle la via. Antonio Sorrentino -arringò, non senza un certo sfoggio di eloquenza fiorita. Gli altri, -fra le pause dell'arringa, chiedevano in vari modi giustizia contro -gli abusi, sollecitudine e validità di provvedimenti nuovi. Due grandi -scheletri equini, ancora animati, scotevano di tratto in tratto le -sonagliere, mostrando ai ribelli le gencive pallidicce, con una smorfia -di derisione. E il delegato di polizia, simile non so a qual vecchio -cantator di teatro che ancora portasse per divozione in torno al volto -una finta barba di druido, moderava dall'altitudine del serpe l'ardor -del tribuno, con cenni gravi della mano. - -Come il perorante nella foga saliva a culmini di eloquenza troppo -audaci, il Prefetto, sorgendo su 'l predellino, colse il momento per -interrompere. Proferì una frase ambigua e timida che le grida del -popolo copersero. - -— A Pescara! A Pescara! - -La vettura camminò quasi sospinta dall'onda popolare ed entrò in città; -e, poichè il Palazzo era chiuso, si fermò dinanzi alla Delegazione. -Dieci nominati a voce dal popolo salirono insieme col Prefetto, -per parlamentare. La turba occupò tutta la via. Impazienze qua e là -scoppiavano. - -La via era angusta. Le case riscaldate dal sole irraggiavano un tepor -dilettoso; e non so qual lenta mollezza emanava dal cielo oltremarino, -dall'erbe fluttuanti lungo le gronde, dalle rose delle finestre, dalle -mura bianche, dalla fama stessa del luogo. Ha il luogo fama d'albergare -le più belle popolane pescaresi: vive e di generazione in generazione -nella contrada si va perpetuando una tradizion di beltà. La immensa -casa decrepita di Don Fiore Ussorio è un vivaio di bimbi floridi e -di fanciulle leggiadre; ed è tutta coperta di piccole logge che sono -esuberanti di garofani e che si reggono su rozze mènsole scolpite di -mascheroni procaci. - -A poco a poco, le impazienze della folla si placavano. I parlari oziosi -propagavansi da un capo all'altro; dall'uno all'altro bivio. - -Domenico di Matteo, una specie di Rodomonte villereccio, motteggiava -ad alta voce sull'asinità e l'avidità dei dottori che facevano morire -gli infermi per prendere dal Comune una maggior mercede. Egli narrava -certe sue cure mirabili. Una volta egli aveva un gran dolore al petto -ed era quasi prossimo all'agonia. Poichè il medico gli proibì di bere -acqua, egli ardeva di sete. Una notte, mentre tutti dormivano, si levò -piano piano, cercò a tentoni la conca, vi tuffò la testa e rimase lì -a bevere come un giumento, fin che la conca non fu vuota. La mattina -dopo egli era guarito. Un'altra volta egli ed un suo compare, avendo -da lungo tempo la febbre terzana contro cui ogni virtù di chinino -pareva inutile, deliberarono di fare una esperienza. Si trovavano su -la riva del fiume, ed alla riva opposta una vigna solatia li allettava -con i grappoli. Si spogliarono, si gittarono nelle fredde acque, -tagliarono la corrente, toccarono l'altra riva, si saziarono d'uva; -poi di nuovo attraversarono. La terzana disparve. Un'altra volta, -essendo egli infermo di mal francioso ed avendo speso più di quindici -ducati vanamente in opere di medici e di medicine, come vide la madre -attendere al bucato, fu colto da un pensiero felice. Tracannò, l'un -dopo l'altro, cinque bicchieri di lisciva; e si liberò. - -Ma ai balconi, alle finestre, alle logge il bello sciame muliebre -si affacciava tumultuariamente. Tutti gli uomini dalla via levavano -gli occhi a quelle apparizioni e restavano con la faccia al sole per -guardare; e tutti, poichè la consueta ora del pasto era già trascorsa, -si sentivano la testa un poco vacua e nello stomaco un languore -infinito. Brevi dialoghi dalla via alle finestre si intrecciavano. -I giovini gittarono motti salaci alle belle. Le belle risposero con -gesti schivi, con scuotere di capo; o si ritrassero, o forte risero. -Le fresche risa di quelle bocche si sgranellavano come collane di -cristallo, cadendo su gli uomini che già il desio incominciava a -pungere. Dalle mura il calore s'irradiava più largo e mescevasi al -calor dei corpi agglomerati. I riverberi bianchissimi abbarbagliavano. -Qualche cosa di snervante e di stupefacente discendeva su quella turba -digiuna. - -Apparve su una loggia, d'improvviso, la Ciccarina, la bella delle -belle, la rosa delle rose, l'amorosa pèsca, colei che tutti han -desiato. Per un moto unanime, gli sguardi si volsero verso di lei. -Ella, nel trionfo, stava semplicemente sorridendo, come una dogaressa -dinanzi al suo popolo. Il sole le illuminava la piena faccia carnosa, -che è simile alla polpa di un frutto succulento. I capelli, di quel -color lionato di sotto a cui par trasparisca una fiamma d'oro, le -invadevano la fronte, le tempie, il collo, mal frenati. Un natural -fàscino venereo le emanava da tutta la persona. Ed ella stava -semplicemente, tra due gabbie di merli, sorridendo, non sentendosi -offesa dalle brame che lucevano in tutti quelli occhi intenti a lei. - -I merli fischiarono. I madrigali rustici batterono l'ali verso la -loggia. La Ciccarina si ritrasse, sorridendo. La turba rimase nella -via, quasi abbacinata dai riverberi, dalla vista di quella femmina, -dalle prime vertigini della fame. - -Allora uno dei parlamentari, affacciatosi a una finestra della -Delegazione, disse con voce squillante: - -— Cittadini, si risolverà la cosa fra tre ore! - - . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . - - - - -TURLENDANA RITORNA. - - -La compagnia camminava lungo il mare. - -Già per i chiari poggi litorali ricominciava la primavera; l'umile -catena era verde, e il verde di varie verdure distinto; e ciascuna -cima aveva una corona d'alberi fioriti. Allo spirar del maestro quelli -alberi si movevano; e nel moto forse si spogliavano di molti fiori, -poichè alla breve distanza le alture parevano coprirsi d'un colore tra -il roseo e il violaceo, e tutta la veduta un istante pareva tremare -e impallidire come un'imagine a traverso il vel dell'acqua o come una -pittura che lavata si stinge. - -Il mare si distendeva in una serenità quasi verginale, lungo la costa -lievemente lunata verso austro, avendo nello splendore la vivezza d'una -turchese della Persia. Qua e là, segnando il passaggio delle correnti, -alcune zone di più cupa tinta serpeggiavano. - -Turlendana, in cui la conoscenza dei luoghi per i molti anni d'assenza -era quasi intieramente smarrita e in cui per le lunghe peregrinazioni -il sentimento della patria era quasi estinto, andava innanzi senza -volgersi a riguardare, con quel suo passo affaticato e claudicante. - -Come il camello indugiava ad ogni cespo d'erbe selvatiche, egli gittava -un breve grido rauco d'incitamento. E il gran quadrupede rossastro -risollevava il collo lentamente, triturando fra le mandibole laboriose -il cibo. - -— Hu, Barbarà! - -L'asina, la piccola e nivea Susanna, di tratto in tratto, sotto -gli assidui tormenti del macacco si metteva a ragliare in suono -lamentevole, chiedendo d'esser liberata dal cavaliere. Ma Zavalì, -instancabile, senza tregua, con una specie di frenesia, con gesti -rapidi e corti ora di collera e ora di gioco, percorreva tutta la -schiena dell'animale, saltava su la testa afferrandosi alle grandi -orecchie, prendeva fra le due mani la coda sollevandola e scotendone -il ciuffo dei crini, cercava tra il pelo grattando con l'unghie -ostinatamente e recandosi quindi l'unghie alla bocca e masticando con -mille vari moti di tutti i muscoli della faccia. Poi, d'improvviso, si -raccoglieva su 'l sedere, tenendosi in una delle mani il piede ritorto -simile a una radice d'arbusto, immobile, grave, fissando verso le acque -i tondi occhi color d'arancio che gli si empivano di meraviglia, mentre -la fronte gli si corrugava e le orecchie fini e rosee gli tremavano -quasi per inquietudine. Poi, d'improvviso, con un gesto di malizia -ricominciava la giostra. - -— Hu, Barbarà! - -Il camello udiva; e si rimetteva in cammino. - -Quando la compagnia giunse al bosco dei salci, presso la foce della -Pescara, su la riva sinistra (già si scorgevano i galli sopra le -antenne delle paranze ancorate allo scalo della Bandiera), Turlendana -si arrestò, poichè voleva dissetarsi al fiume. - -Il patrio fiume recava l'onda perenne della sua pace al mare. Le rive, -coperte di piante fluviatili, tacevano e si riposavano, come affaticate -dalla recente opera della fecondazione. Il silenzio era profondo su -tutte le cose. Gli estuarii risplendevano al sole tranquilli, come -spere, chiusi in una cornice di cristalli salini. Secondo le vicende -del vento, i salci verdeggiavano o biancheggiavano. - -— La Pescara! — disse Turlendana soffermandosi, con un accento di -curiosità e di riconoscimento istintivo. E stette a riguardare. - -Poi discese al margine, dove la ghiaia era polita; e si mise in -ginocchio per attingere l'acqua con il concavo delle palme. Il camello -curvò il collo, e bevve a sorsi lenti e regolari. L'asina anche bevve. -E la scimmia imitò l'attitudine dell'uomo, facendo conca con le esili -mani ch'erano violette come i fichi d'India acerbi. - -— Hu, Barbarà! - -Il camello udì e cessò di bere. Dalle labbra molli gli gocciolava -l'acqua abbondantemente su le callosità del petto, e gli si vedevano le -gencive pallidicce e i grossi denti giallognoli. - -Per il sentiero, segnato nel bosco dalla gente di mare, la compagnia -riprese il viaggio. Cadeva il sole, quando giunse all'Arsenale di -Rampigna. - -A un marinaio, che camminava lungo il parapetto di mattone, Turlendana -domandò: - -— Quella è Pescara? - -Il marinaio, stupefatto alla vista delle bestie, rispose: - -— È quella. - -E tralasciò la sua faccenda per seguire il forestiero. - -Altri marinai si unirono al primo. In breve una torma di curiosi si -raccolse dietro Turlendana che andava innanzi tranquillamente, non -curandosi dei diversi comenti popolari. Al ponte delle barche il -camello si rifiutò di passare. - -— Hu, Barbarà! Hu, hu! - -Turlendana prese ad incitarlo con le voci, pazientemente, scotendo -la corda della cavezza con cui ora egli lo conduceva. Ma l'animale -ostinato si coricò a terra e posò la testa nella polvere, come per -rimanere ivi lungo tempo. - -I plebei d'in torno, riavutisi dalla prima stupefazione, schiamazzavano -gridando in coro: - -— Barbarà! Barbarà! - -E, come avevano dimestichezza con le scimmie perchè talvolta i marinai -dalle lunghe navigazioni le riportavano in patria insieme ai pappagalli -e ai cacatua, provocavano Zavalì in mille modi e gli porgevano certe -grosse mandorle verdi che il macacco apriva per mangiarne il seme -fresco e dolce golosamente. - -Dopo molta persistenza di urti e di urli, alla fine Turlendana riuscì a -vincere la tenacità del camello. E quella mostruosa architettura d'ossa -e di pelle si risollevò barcollante, in mezzo alla folla che incalzava. - -Da tutte le parti i soldati e i cittadini accorrevano allo spettacolo, -sopra il ponte delle barche. Dietro il Gran Sasso il sole cadendo -irradiava per tutto il cielo primaverile una viva luce rosea: e, come -dalle campagne umide e dalle acque del fiume e del mare e dagli stagni -durante il giorno erano sorti molti vapori, le case e le vele e le -antenne e le piante e tutte le cose apparivano rosee; e le forme, -acquistando una specie di trasparenza, perdevano la certezza dei -contorni e quasi fluttuavano sommerse in quella luce. - -Il ponte, sotto il peso, scricchiolava su le barche incatramate, simile -ad una vastissima zattera galleggiante. La popolazione tumultuava -giocondamente. Per la ressa, Turlendana con le sue bestie rimase fermo -a mezzo il ponte. E il camello, enorme, sovrastante a tutte le teste, -respirava contro il vento, movendo tardi il collo simile a un qualche -favoloso serpente coperto di peli. - -Poichè già nella curiosità degli accorsi s'era sparso il nome -dell'animale, tutti, per un nativo amore degli schiamazzi e per una -concorde letizia che sorgeva a quella dolcezza del tramonto e della -stagione, tutti gridavano: - -— Barbarà! Barbarà! - -Al clamore plaudente, Turlendana, che stava stretto contro il petto del -camello, si sentiva invadere da un compiacimento quasi paterno. - -Ma l'asina d'un tratto prese a ragliare con sì alte ed ingrate -variazioni di voci e con tanta sospirevole passione che un'ilarità -unanime corse il popolo. E le schiette risa plebee si propagavano da un -capo all'altro del ponte, come uno scroscio di scaturigine cadente giù -pe' i sassi d'una china. - -Allora Turlendana ricominciò a muoversi attraverso la folla, non -conosciuto da alcuno. - -Quando fu su la porta della città, dove le femmine vendevano la pesca -recente dentro ampi canestri di giunco, Binchi-Banche, l'omiciattolo -dal viso giallognolo e rugoso come un limone senza succo, gli si fece -innanzi, e, secondo soleva con tutti i forestieri che capitavano nel -paese, gli offerse i suoi servigi per l'alloggiamento. - -Prima chiese, accennando a Barbarà: - -— È feroce? - -Turlendana rispose che no, sorridendo. - -— Be'! — riprese Binchi-Banche, rassicurato — ci sta la casa di Rosa -Schiavona. - -Ambedue volsero per la Pesceria e quindi per Sant'Agostino, seguiti -dal popolo. Alle finestre e ai balconi le donne e i fanciulli -si affacciavano guardando con stupore il passaggio del camello e -ammiravano le minute grazie dell'asinetta bianca e ridevano ai lezii di -Zavalì. - -A un punto Barbarà, vedendo pendere da una loggia bassa un'erba mezzo -secca, tese il collo e sporse le labbra per giungerla, e la strappò. Un -grido di terrore ruppe dalle donne che stavano su la loggia chine; e il -grido si propagò nelle logge prossime. La gente dalla via rideva forte, -gridando come in carnovale dietro le maschere: - -— Viva! Viva! - -Tutti erano inebriati dalla novità dello spettacolo e dall'aria della -primavera. - -Dinanzi alla casa di Rosa Schiavona, in vicinanza di Portasale, -Binchi-Banche accennò di sostare. - -— È qua — disse. - -La casa, molto umile, a un solo ordine di finestre, aveva le mura -inferiori tutte segnate d'iscrizioni e di figurazioni oscene. Una fila -di pipistrelli crocifissi ornava l'architrave; e una lanterna coperta -di carta rossa pendeva sotto la finestra media. - -Ivi alloggiava ogni sorta di gente avveniticcia e girovaga: dormivano -mescolati i carrettieri di Letto Manoppello grandi e panciuti; gli -zingari di Sulmona, mercanti di giumenti e restauratori di caldaie; i -fusari di Bucchianico; le femmine di Città Sant'Angelo venute a far -pubblica professione d'impudicizia tra i soldati; gli zampognari di -Atina; i montagnuoli domatori d'orsi, i cerretani, i falsi mendicanti, -i ladri, le fattucchiere. - -Gran mezzano della marmaglia era Binchi-Banche. Giustissima -proteggitrice, Rosa Schiavona. - -Come udì i rumori, la femmina venne su 'l limitare. Ella pareva in -verità un essere generato da un uomo nano e da una scrofa. - -Chiese, da prima, con un'aria di diffidenza: - -— Che c'è? - -— C'è qua 'stu cristiano che vuo' alloggio co' le bestie, Donna Rosa. - -— Quante bestie? - -— Tre, vedete, Donna Rosa: 'na scimmia, 'n'asina e 'nu camelo. - -Il popolo non badava al dialogo. Alcuni incitavano Zavalì. Altri -palpavano le gambe di Barbarà, osservando su le ginocchia e su 'l petto -i duri dischi callosi. Due guardie del sale, che avevano viaggiato sino -ai porti dell'Asia Minore, dicevano ad alta voce le varie virtù dei -camelli e narravano confusamente d'averne visti taluni fare un passo di -danza portando il lungo collo carico di musici e di femmine seminude. - -Gli ascoltatori, avidi di udire cose meravigliose, pregavano: - -— Dite! dite! - -Tutti stavano a torno, in silenzio, con gli occhi un po' dilatati, -bramando quel diletto. - -Allora una delle guardie, un uomo vecchio che aveva le palpebre -arrovesciate dai venti del mare, cominciò a favoleggiare dei paesi -asiatici. E a poco a poco le parole sue stesse lo trascinavano e lo -inebriavano. - -Una specie di mollezza esotica pareva spargersi nel tramonto. -Sorgevano, nella fantasia popolare, le rive favoleggiate e luminavano. -A traverso l'arco della Porta, già occupato dall'ombra, si vedevano le -tanecche coperte di sale ondeggiar su 'l fiume; e, come il minerale -assorbiva tutta la luce del crepuscolo, le tanecche sembravano -materiate di cristalli preziosi. Nel cielo un po' verde saliva il primo -quarto della luna. - -— Dite! dite! — ancora chiedevano i più giovini. - -Turlendana intanto aveva ricoverate le bestie e le aveva provviste -di cibo; e quindi era uscito in compagnia di Binchi-Banche, mentre la -gente rimaneva accolta innanzi all'uscio della stalla, dove la testa -del camello appariva e spariva dietro le alte grate di corda. - -Per la via, Turlendana domandò: - -— Ci stanno cantine? - -Binchi-Banche rispose: - -— Sì, segnore; ci stanno. - -Poi, sollevando le grosse mani nerastre e prendendosi co 'l pollice -e l'indice della destra successivamente la punta d'ogni dito della -sinistra, enumerava: - -— La candina di Speranza, la candina di Buono, la candina di Assaù, la -candina di Zarricante, la candina della cecata di Turlendana... - -— Ah — fece tranquillamente l'uomo. - -Binchi-Banche sollevò i suoi acuti occhiolini verdognoli. - -— Ci sei stato 'n'altra volta a qua, segnore? - -E, non aspettando la risposta, con la nativa loquacità della gente -pescarese, seguitava: - -— La candina della cecata è grande e ci si vende lu meglio vino. La -cecata è la femmina delli quattro mariti... - -Si mise a ridere, con un sorriso che gli increspava tutta la faccia -gialliccia come il centopelle d'un ruminante. - -— Lu primo marito fu Turlendana, ch'era marinaro e andava su li -bastimenti del re di Napoli, all'Indie basse e alla Francia e alla -Spagna e infino all'America. Quello si perse in mare, e chi sa a dove, -con tutto il legno; e non s'è trovato più. So' trent'anni. Teneva la -forza di Sansone: tirava l'áncore co' un dito... Povero giovane! Eh, -chi va pe' mare quella fine fa. - -Turlendana ascoltava, tranquillamente. - -— Lu secondo marito, dopo cinqu'anni di vedovanza, fu 'n'ortonese, -lu figlio di Ferrante, 'n'anima dannata, che s'er'unito co' li -contrabbandieri, a tempo che Napolione stava contro l'Inglesi. -Facevano contrabbando da Francavilla infino a Silvi e a Montesilvano, -di zucchero e di cafè, co' li legni inglesi. C'era, vicino a Silvi, -'na torre delli Saracini, sotto il bosco, da dove si facevano -li segnali. Come passava la pattuglia, plon plon, plon plon, noi -'scivamo dall'alberi.... — Ora il parlatore accendevasi al ricordo; -ed obliandosi descriveva con prolissità di parole tutta l'operazion -clandestina, ed aiutava di gesti e di interiezioni vive il racconto. La -sua piccola persona coriacea si raccorciava e si distendeva nell'atto. -— In fine, il figlio di Ferrante era morto d'una schioppettata nelle -reni, per mano de' soldati di Gioacchino Murat, di notte, su la -costiera. - -— Lu terzo marito fu Titino Passacantando che morì nel letto suo, di -male cattivo. Lu quarto vive. Ed è Verdura, bonomo, che no' mestura li -vini. Sentarai, segnore. - -Quando giunsero alla cantina lodata, si separarono. - -— F'lice sera, segnore! - -— F'lice sera. - -Turlendana entrò, tranquillamente, fra la curiosità dei bevitori che -sedevano a certe lunghe tavole in giro. - -Avendo chiesto da mangiare, egli fu da Verdura invitato a salire in una -stanza superiore ove i deschi erano già pronti per le cene. - -Nessun cliente ancora stava nella stanza. Turlendana sedette e -incominciò a mangiare a grandi bocconi, con la testa su 'l piatto, -senza intervalli, come un uomo famelico. Egli era quasi intieramente -calvo: una profonda cicatrice rossiccia gli solcava per lungo la -fronte e gli scendeva fino a mezzo la guancia; la barba folta e grigia -gli saliva fino ai pomelli emergenti; la pelle, bruna, secca, piena -di asperità, corrosa dalle intemperie, riarsa dal sole, incavata -dalle sofferenze, pareva non conservare più alcuna vivezza umana; -gli occhi e tutti i lineamenti erano, da tempo, come pietrificati -nell'impassibilità. - -Verdura, curioso, sedette di contro; e stette a riguardare il -forestiero. Egli era piuttosto pingue, con la faccia d'un color roseo -sottilissimamente venato di vermiglio come la milza dei buoi. - -Alla fine, domandò: - -— Da che paese venite? - -Turlendana, senza levar la faccia, rispose semplicemente: - -— Vengo di lontano. - -— E dove andate? — ridomandò Verdura. - -— Sto qua. - -Verdura, stupefatto, tacque. Turlendana levava ai pesci la testa e la -coda; e li mangiava così a uno a uno, triturando le lische. Ad ogni due -o tre pesci, beveva un sorso di vino. - -— Qua ci conoscete qualcuno? — riprese Verdura, bramoso di sapere. - -— Forse — rispose l'altro semplicemente. - -Sconfitto dalla brevità dell'interlocutore, il vinattiere una -seconda volta ammutolì. Udivasi la masticazione lenta ed elaborata di -Turlendana tra l'inferior clamore dei bevitori. - -Dopo un poco, Verdura riaprì la bocca. - -— Il camello in che siti nasce? Quelle due gobbe sono naturali? Una -bestia così grande e forte come può essere mai addomesticata? - -Turlendana lasciava parlare, senza rimuoversi. - -— Il vostro nome, signor forestiere? - -L'interrogato sollevò il capo dal piatto; e rispose, semplicemente: - -— Io mi chiamo Turlendana. - -— Che? - -— Turlendana. - -— Ah! - -La stupefazione dell'oste non ebbe più limiti. E insieme una specie di -vago sbigottimento cominciava a ondeggiare in fondo all'animo di lui. - -— Turlendana!... Di qua? - -— Di qua. - -Verdura dilatò i grossi occhi azzurri in faccia all'uomo. - -— Dunque non siete morto? - -— Non sono morto. - -— Dunque voi siete il marito di Rosalba Catena? - -— Sono il marito di Rosalba Catena. - -— E ora? — esclamò Verdura, con un gesto di perplessità. — Siamo due. - -— Siamo due. - -Un istante rimasero in silenzio. Turlendana masticava l'ultima crosta -d'un pane, tranquillamente; e si udiva nel silenzio lo scricchiolío -leggero. Per una naturale benigna incuranza dell'animo e per -una fatuità gloriosa, Verdura non era compreso d'altro che della -singolarità dell'avvenimento. Un improvviso impeto d'allegrezza lo -prese, salendo spontaneo dai precordii. - -— Andiamo da Rosalba! andiamo! andiamo! andiamo! - -Egli traeva il reduce per un braccio, a traverso il fondaco dei -bevitori, agitandosi, gridando: - -— Ecc'a qua Turlendana, Turlendana marinaro, lu marito de mógliema, -Turlendana che s'era morto! Ecc'a qua Turlendana! Ecc'a qua Turlendana! - - - - -TURLENDANA EBRO. - - -Quando egli bevve l'ultimo bicchiere, all'orologio del Comune stavano -per iscoccare due ore dopo la mezzanotte. - -Disse Biagio Quaglia, con la voce intorbidata dal vino, come i tocchi -squillarono nel silenzio della luna chiarissimi: - -— Mannaggia! Ce ne vulemo i'? - -Ciávola, quasi disteso sotto la panca, agitando di tratto in tratto -le lunghe gambe corritrici, farneticava di cacce clandestine nelle -bandite del marchese di Pescara, poichè il sapor selvatico della lepre -gli risaliva su per la gola e il vento recava l'odor resinoso dei pini -dalla boscaglia marittima. - -Disse Biagio Quaglia, percotendo con i piedi il cacciatore biondo, e -facendo atto di levarsi: - -— 'Jamo, Purié. - -E Ciávola con molto sforzo si rizzò dondolandosi, smilzo e lungo come -un cane levriere. - -— 'Jamo; ca mo fanne lu passo — rispose, levando la mano verso -l'alto quasi in atto di auspicio, poichè forse pensava a una qualche -migrazione di uccelli. - -Turlendana anche si mosse; e, vedendo dietro di sè la vinattiera -Zarricante che aveva fresche le gote e acerbe le poma del petto, volle -abbracciarla. Ma Zarricante gli sfuggì di tra le braccia, gridandogli -una contumelia. - -Su la porta, Turlendana chiese ai due amici un po' di compagnia e -di sostegno per un tratto di cammino. Ma Biagio Quaglia e Ciávola, -che facevano un bel paio, gli volsero le spalle sghignazzando e si -allontanarono sotto la luna. - -Allora Turlendana si fermò a guardare la luna che era tonda e rossa -come una faccia canonicale. I luoghi intorno tacevano. Le case -biancicavano in fila. Un gatto miagolava alla notte di maggio, su i -gradini della porta. - -L'uomo, avendo nell'ebrietà una singolare inclinazione alla tenerezza, -tese la mano pianamente per accarezzare l'animale Ma l'animale, essendo -di natura forastico, diede un balzo e disparve. - -Vedendo un cane errante avvicinarsi, l'uomo tentò di versare su quello -la piena della sua benevolenza amorevole. Ma il cane passò oltre, senza -rispondere al richiamo, e si mise in un canto del trivio a rosicare -certe ossa. Il rumore dei denti laboriosi udivasi distintamente nel -silenzio. - -Come dopo poco la porta della cantina si chiuse, Turlendana rimase solo -nel gran plenilunio popolato di ombre e di nuvole in viaggio. E la sua -mente rimase colpita da quel rapido allontanarsi di tutti gli esseri -circostanti. Tutti dunque fuggivano? Che aveva egli fatto perchè tutti -fuggissero? - -Cominciò a muovere i passi incertamente, verso il fiume. Il pensiero -di quella fuga universale, a mano a mano ch'egli andava innanzi, gli -occupava con maggior profondità il cervello alterato dai fumi bacchici. -Avendo incontrato altri due cani spersi, si fermò presso di loro quasi -per esperimentare e li chiamò. Le due bestie ignobili seguitarono a -strisciarsi lungo i muri, con la coda fra le gambe; e scantonarono. -Poi, quando furono più lontani, si misero a latrare; e subitamente da -tutti i punti del paese, dal Bagno, da Sant'Agostino, dall'Arsenale, -dalla Pescheria, da tutti i luoghi luridi e oscuri i cani erranti -accorsero, come a un suon di battaglia. E il coro ostile di quella -tribù famelica saliva fino alla luna. - -Turlendana stupefatto, mentre una specie d'inquietudine gli si -svegliava nell'animo vagamente, riprese il cammino con passi più -spediti, di tratto in tratto incespicando su le asperità del terreno. -Quando giunse al canto dei bottari, dove le ampie botti di Zazzetta -formavano cumuli biancastri simili a monumenti, egli sentì un -interrotto respirar bestiale. E, poichè il pensiero fisso dell'ostilità -delle bestie omai lo teneva, egli si accostò da quella parte, con una -ostinazione di ebro, per esperimentare di nuovo. - -Dentro una stalla bassa i tre vecchi cavalli di Michelangelo ansavano -faticosamente su la mangiatoia. Erano bestie decrepite che avevano -logorata la vita trascinando su per la strada di Chieti due volte -al giorno la gran carcassa d'una diligenza piena di mercanti e di -mercanzie. Sotto i loro peli bruni, qua e là rasati dalle bardature, le -coste sporgevano come tante canne secche di una tettoia in rovina; le -gambe anteriori piegate non avevano quasi più ginocchia; la schiena era -dentata come una sega; e il collo spelato, dove a pena rimaneva qualche -vestigio della criniera, si curvava verso terra così che talvolta le -froge senza più soffio toccavano quasi le ugne consunte. - -Un cancello di legno, malfermo, sbarrava la porta. - -Turlendana cominciò a fare: - -— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush! - -I cavalli non si movevano; ma respiravano insieme, umanamente. E le -forme dei loro corpi apparivano confuse nell'ombra turchiniccia; e il -fetore dei loro aliti si mesceva al fetore dello strame. - -— Ush, ush, ush! — seguitava Turlendana, in suono lamentevole, come -quando spingeva Barbará ad abbeverarsi. - -I cavalli non si movevano - -— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush! - -Uno dei cavalli si volse e venne a mettere la grossa testa deforme -su 'l cancello, guardando dagli occhi che rilucevano alla luna come -ripieni d'un'acqua torbida. Il labbro inferiore gli penzolava simile -a un lembo di pelle flaccida, scoprendo la genciva. Le froge ad ogni -soffio ripalpitavano nel tenerume umidiccio del muso, e si chiudevano -talvolta con la stessa mollezza d'una bolla d'aria in una massa di -lievito che fermenta, e si richiudevano. - -Alla vista di quella testa senile, l'ebro si risovvenne. Perchè dunque -s'era empito di vino, egli così sobrio per consuetudine? Un momento, in -mezzo all'ebrietà obliosa, la forma di Barbarà moribondo gli ricomparve -dinanzi, la forma del camello che giaceva su 'l terreno e teneva su -la paglia il lungo collo inerte e tossiva come un uomo e si agitava -debolmente di tratto in tratto, mentre ad ogni moto il ventre gonfio -produceva il rumore d'un barile a metà pieno d'acqua. - -Una gran tenerezza pietosa lo invase; e l'agonia del camello, con -quelle scosse improvvise e quegli strani singhiozzi rauchi che facevano -sussultare e vibrare sonoramente tutto l'enorme carcame semivivo, e -con quegli sfarzi affannosi del collo che si sollevava un istante per -ricadere su la paglia dando un romor sordo e grave mentre le gambe si -movevano quasi in atto di correre, e con quel tremore continuo degli -orecchi e quell'immobilità del globo oculare che pareva già spento -prima d'ogni altra parte sensibile, l'agonia del camello gli ritornò -nella memoria lucidamente in tutta la sua miseria umana. Ed egli, -appoggiato al cancello, per un moto macchinale della bocca seguitava a -fare verso il cavallo di Michelangelo: - -— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush! - -Con la persistenza inconscia degli ebri, con una ebetudine crescente, -seguitava, seguitava; ed era una lamentazione monotona accorante, quasi -lugubre come il canto degli uccelli notturni. - -— Ush, ush, ush! - -Allora Michelangelo, che dal suo letto udiva, d'improviso si affacciò -alla finestra soprastante; e in furia si diede a caricar di contumelie -e di imprecazioni il disturbatore. - -— Fijie di puttane, vatt'a jettà a la Piscare! Vatténne da ecche! -Vatténne, ca mo pijie na varre. Fijie di puttane a turmendà li -cristiani vuo' venì? 'Mbriache 'vrette! Vatténne! - -Turlendana si rimise a camminare, verso il fiume, barcollando. Al -trivio dei fruttaiuoli una torma di cani stava in conciliabolo amoroso. -Come l'uomo si appressò, la torma si disperse correndo verso il Bagno. -Dal vicolo di Gesidio un'altra torma sbucò e prese la via dei Bastioni. -Tutto il paese di Pescara, nel dolce plenilunio primaverile, era pieno -di amori e di combattimenti canini. Il mastino di Madrigale, incatenato -a guardia d'un bove ucciso, di tratto in tratto faceva sentire la sua -voce profonda che dominava tutte le altre voci. Di tratto in tratto, -qualche cane sbandato passava di gran corsa, solo, dirigendosi al luogo -della mischia. Nelle case, i cani prigionieri ululavano. - -Ora, un turbamento più strano prendeva il cervello dell'ebro. -Dinanzi a lui, dietro a lui, in torno a lui, la fuga imaginaria delle -cose ricominciava più rapida. Egli si avanzava, e tutte le cose si -allontanavano: le nuvole, gli alberi, le pietre, le rive del fiume, -le antenne delle barche, le case. Questa specie di repulsione e di -reprobazione universale lo empì di terrore. Si fermò. Un gorgoglio -prolungato gli moveva le viscere. Subito, nella mente scomposta, gli -balenò un pensiero. — Il lepre! Anche il lepre di Ciávola non voleva -più restar con lui! — Il terrore gli crebbe; un tremito gli prese le -gambe e le braccia. Ma, incalzato, discese fra i salici teneri e le -alte erbe su la riva. - -La luna piena, radiante, spandeva per tutto il cielo una dolce -serenità nivale. Gli alberi s'inclinavano in attitudini pacifiche alla -contemplazione delle acque fuggitive. Quasi un respiro lento e solenne -emanava dal sonno del fiume sotto la luna. Le rane cantavano. - -Turlendana stava quasi nascosto tra le piante. Le mani gli tremavano -su i ginocchi. D'improvviso, egli sentì sotto di sè muoversi qualche -cosa di vivo: una rana! Gittò un grido, si levò, si diede a correre -traballando, in mezzo ai salici che lo fustigavano. Pel disordine de' -suoi spiriti, egli era atterrito come da un fatto soprannaturale. - -A un avvallamento del terreno cadde, bocconi, con la faccia su l'erba. -Si rialzò a gran fatica, e stette un momento a riguardare in torno gli -alberi. - -Le forme argentee dei pioppi sorgevano immobili nell'aria, taciturne; -e parevano inalzarsi fino alla luna, per un prolungamento ingannevole -delle loro cime. Le rive del fiume si dileguavano indefinite, -quasi immateriali, come le imagini dei paesi nei sogni. Su la parte -destra gli estuari risplendevano d'una bianchezza abbagliante, d'una -bianchezza salina, su cui ad intervalli le ombre gittate dalle nuvole -migratrici passavano mollemente come veli azzurri. Più lungi la selva -chiudeva l'orizzonte. Il profumo della selva e il profumo del mare si -mescolavano. - -— Oh Turlendana! ooooh! — gridò una voce, chiarissima. - -Turlendana, stupefatto, si volse. - -— Oh Turlendanaaaaa! - -E Binchi-Banche apparve in compagnia di un finanziere, su 'l principio -di un sentiero praticato dai marinai tra il folto dei salci. - -— Addó vai a 'st'ora? A piagne lu camelo? — chiese Binchi-Banche -avvicinandosi. - -Turlendana non rispose subito. Si reggeva con le mani le brache, -teneva le ginocchia un po' piegate innanzi; e nella faccia aveva una -così strana espression di stupidezza e balbettava così miseramente che -Binchi-Banche e il finanziere scoppiarono in grasse risa. - -— Va, va — disse l'omiciattolo grinzoso, prendendo l'ebro per le spalle -e incamminandola verso la marina. - -Turlendana andò innanzi. Binchi-Banche ed il finanziere seguitavano a -distanza, ridendo e parlando a voce bassa. - -Ora la verdura terminava e incominciavano la sabbie. Si udiva mormorare -la maretta alla foce della Pescara. - -In una specie di bassura arenosa, tra le dune, Turlendana si incontrò -con la carogna di Barbarà non ancora sepolta. Il gran corpo, tutto -spellato, era sanguinolento; le masse adipose della schiena anche -erano scoperte ed apparivano d'un colore giallognolo; su le gambe e su -le cosce la pelle rimaneva con tutti i peli e i dischi callosi; nella -bocca si vedevano i due denti enormi, angolosi, ricurvi della mandibola -superiore e la lingua bianchiccia; il labbro di sotto era, chi sa -perchè, reciso; e il collo somigliava ad un tronco di serpente. - -Turlendana, in conspetto di quello strazio, si mise a gridare scotendo -la testa. Faceva un verso singolare, che non pareva umano. - -— Ahò! Ahò! Ahò! - -Poi, volendo chinarsi su 'l camello, stramazzò; si agitò invano per -rialzarsi; e, vinto dal torpore del vino, rimase senza conoscenza. - -Binchi-Banche e il finanziere, come lo videro cadere, sopraggiunsero. -Lo presero, l'uno da capo e l'altro da piedi; lo sollevarono, e -lo adagiarono lungo su 'l corpo di Barbarà, atteggiandolo a un -abbracciamento d'amore. Sghignazzavano i due operando. - -E così Turlendana giacque co 'l camello, sino all'aurora. - - - - -IL CERUSICO DI MARE. - - -Il trabaccolo _Trinità_, carico di fromento, salpò alla volta della -Dalmazia, verso sera. Navigò lungo il fiume tranquillo, fra le paranze -di Ortona ancorate in fila, mentre su la riva si accendevano fuochi e -i marinai reduci cantavano. Passando quindi pianamente la foce angusta, -uscì nel mare. - -Il tempo era benigno. Nel cielo di ottobre, quasi a fior delle acque, -la luna piena pendeva come una dolce lampada rosea. Le montagne e le -colline, dietro, avevano forma di donne adagiate. In alto, passavano le -oche selvatiche, senza gridare, e si dileguavano. - -I sei uomini e il mozzo prima manovrarono d'accordo per prendere il -vento. Poi, come le vele si gonfiarono nell'aria tutte colorate in -rosso e segnate di figure rudi, i sei uomini si misero a sedere e -cominciarono a fumare tranquillamente. - -Il mozzo prese a cantarellare una canzone della patria, a cavalcioni su -la prua. - -Disse Talamonte maggiore, gittando un lungo sprazzo di saliva su -l'acqua e rimettendosi in bocca la pipa gloriosa: - -— Lu tembe n'n ze mandéne. - -Alla profezia, tutti guardarono verso il largo; e non parlarono. Erano -marinai forti e indurati alle vicende del mare. Avevano altre volte -navigato alle isole dàlmate, e a Zara, a Trieste, a Spàlato; sapevano -la via. Alcuni anche rammentavano con dolcezza il vino di Dignano, che -ha il profumo delle rose, e i frutti delle isole. - -Comandava il trabaccolo Ferrante La Selvi. I due fratelli Talamonte, -Cirù, Massacese e Gialluca formavano l'equipaggio, tutti nativi di -Pescara. Nazareno era il mozzo. - -Essendo il plenilunio, indugiarono su'l ponte. Il mare era sparso di -paranze che pescavano. Ogni tanto una coppia di paranze passava accanto -al trabaccolo; e i marinai si scambiavano voci, familiarmente. La -pesca pareva fortunata. Quando le barche si allontanarono e le acque -ridivennero deserte, Ferrante e i Talamonte discesero sotto coperta -per riposare. Massacese e Gialluca, poi ch'ebbero finito di fumare, -seguirono l'esempio. Cirù rimase di guardia. - -Prima di scendere, Gialluca, mostrando al compagno una parte del collo, -disse: - -— Guarda che tenghe a qua. - -Massacese guardò e disse: - -— Na cosa da niente. N'n ce penzà. - -C'era un rossore simile a quello che produce la puntura di un insetto, -e in mezzo al rossore un piccolo nodo. - -Gialluca soggiunse: - -— Me dole. - -Nella notte si mutò il vento; e il mare cominciò ad ingrossare. Il -trabaccolo si mise a ballare sopra le onde, trascinato a levante, -perdendo cammino. Gialluca, nella manovra, gittava ogni tanto un -piccolo grido, perchè ad ogni movimento brusco del capo sentiva dolore. - -Ferrante La Scivi gli domandò: - -— Che tieni? - -Gialluca, alla luce dell'alba, mostrò il suo male. Su la cute il -rossore era cresciuto, ed un piccolo tumore aguzzo appariva nel mezzo. - -Ferrante, dopo avere osservato, disse anche lui: - -— Na cosa da niente. N'n ce penzà. - -Gialluca prese un fazzoletto e si fasciò il collo. Poi si mise a fumare. - -Il trabaccolo, scosso dai cavalloni e trascinato dal vento contrario, -fuggiva ancora verso levante. Il rumore del mare copriva le voci. -Qualche ondata si spezzava sul ponte, ad intervalli, con un suono -sordo. - -Verso sera la burrasca si placò; e la luna emerse come una cupola di -fuoco. Ma poichè il vento cadde, il trabaccolo rimase quasi fermo nella -bonaccia; le vele si afflosciarono. Di tanto in tanto sopravveniva un -soffio passeggiero. - -Gialluca si lamentava del dolore. Nell'ozio, i compagni cominciarono -ad occuparsi del suo male. Ciascuno suggeriva un rimedio differente. -Cirù, ch'era il più anziano, si fece innanzi e suggerì un empiastro di -mele e di farina. Egli aveva qualche vaga cognizione medica, perchè la -moglie sua in terra esercitava la medicina insieme con l'arte magica e -guariva i mali con i farmachi e con le cabale. Ma la farina e le mele -mancavano. La galletta non poteva essere efficace. - -Allora Cirù prese una cipolla e un pugno di grano: pestò il grano, -tagliuzzò la cipolla, e compose l'empiastro. Al contatto di quella -materia, Gialluca sentì crescere il dolore. Dopo un'ora si strappò dal -collo la fasciatura e gittò ogni cosa in mare, invaso da un'impazienza -irosa. Per vincere il fastidio, si mise al timone e resse la sbarra -lungo tempo. S'era levato il vento, e le vele palpitavano gioiosamente. -Nella chiara notte un'isoletta, che doveva essere Pelagosa, apparve in -lontananza come una nuvola posata su l'acqua. - -Alla mattina Cirù, che omai aveva impreso a curare il male, volle -osservare il tumore. La gonfiezza erasi dilatata occupando gran parte -del collo ed aveva assunta una nuova forma e un colore più cupo che su -l'apice diveniva violetto. - -— E che è quesse? — egli esclamò, perplesso, con un suono di voce -che fece trasalire l'infermo. E chiamò Ferrante, i due Talamonte, gli -altri. - -Le opinioni furono varie. Ferrante imaginò un male terribile da cui -Gialluca poteva rimanere soffocato. Gialluca, con gli occhi aperti -straordinariamente, un po' pallido, ascoltava i prognostici. Come -il cielo era coperto di vapori, e il mare appariva cupo e stormi -di gabbiani si precipitavano verso la costa gridando, una specie di -terrore scese nell'animo di lui. - -Alla fine Talamonte minore sentenziò: - -— È 'na fava maligna. - -Gli altri assentirono: - -— Eh, po èsse'. - -Infatti, il giorno dopo, la cuticola del tumore fu sollevata da un -siero sanguigno e si lacerò. E tutta la parte prese l'apparenza d'un -nido di vespe, d'onde sgorgavano materie purulente in abbondanza. -L'infiammazione e la suppurazione si approfondivano e si estendevano -rapidamente. - -Gialluca, atterrito, invocò san Rocco che guarisce le piaghe. Promise -dieci libbre di cera, venti libbre. Egli s'inginocchiava in mezzo al -ponte, tendeva le braccia verso il cielo, faceva i voti con un gesto -solenne, nominava il padre, la madre, la moglie, i figliuoli. D'in -torno, i compagni si facevano il segno della croce, gravemente, ad ogni -invocazione. - -Ferrante La Selvi, che sentì giungere un gran colpo di vento, gridò con -la voce rauca un comando, in mezzo al romorìo del mare. Il trabaccolo -si piegò tutto sopra un fianco. Massacese, i Talamonte, Cirù si -gittarono alla manovra. Nazareno strisciò lungo un albero. Le vele in -un momento furono ammainate: rimasero i due fiocchi. E il trabaccolo, -barcollando da banda a banda, si mise a correre a precipizio su la cima -dei flutti. - -— Sante Rocche! Sante Rocche! — gridava con più fervore Gialluca, -eccitato anche dal tumulto circostante, curvo su le ginocchia e su le -mani per resistere al rullìo. - -Di tratto in tratto un'ondata più forte si rovesciava su la prua: -l'acqua salsa invadeva il ponte da un capo all'altro. - -— Va a basse! — gridò Ferrante a Gialluca. - -Gialluca discese nella stiva. Egli sentiva un calore molesto e -un'aridezza febrile per tutta la pelle: e la paura del male gli -chiudeva lo stomaco. Là sotto, nella luce fievole, le forme delle cose -assumevano apparenze singolari. Si udivano i colpi profondi del flutto -contro i fianchi del naviglio e gli scricchiolii di tutta quanta la -compagine. - -Dopo mezz'ora, Gialluca riapparve su 'l ponte, smorto come se uscisse -da un sepolcro. Egli amava meglio stare all'aperto, esporsi all'ondata, -vedere gli uomini, respirare il vento. - -Ferrante, sorpreso da quel pallore, gli domandò: - -— E mo' che tieni? - -Gli altri marinai, dai loro posti, si misero a discutere i rimedii; -ad alta voce, quasi gridando, per superare il fragore della burrasca. -Si animavano. Ciascuno aveva un metodo suo. Ragionavano con sicurezza -di dottori. Dimenticavano il pericolo, nella disputa. Massacese aveva -visto, due anni avanti, un vero medico operare sul fianco di Giovanni -Margadonna, in un caso simile. Il medico tagliò, poi strofinò con pezzi -di legno intinti in un liquido fumante, bruciò così la piaga. Levò -con una specie di cucchiaio la carne arsa che somigliava fondiglio di -caffè. E Margadonna fu salvo. - -Massacese ripeteva, quasi esaltato, come un cerusico feroce: - -— S'ha da tajià! S'ha da tajià! - -E faceva l'atto del taglio, con la mano, verso l'infermo. - -Cirù fu del parere di Massacese. I due Talamonte anche convennero. -Ferrante La Selvi scoteva il capo. - -Allora Cirù fece a Gialluca la proposta. Gialluca si rifiutò. - -Cirù, in un impeto brutale ch'egli non potè trattenere gridò: - -— Muòrete! - -Gialluca divenne più pallido e guardò il compagno con due larghi occhi -pieni di terrore - -Cadeva la notte. Il mare nell'ombra pareva che urlasse più forte. Le -onde luccicavano, passando nella luce gittata dal fanale di prua. -La terra era lontana. I marinai stavano afferrati a una corda per -resistere contro i marosi. Ferrante governava il timone, gettando di -tratto in tratto una voce nella tempesta: - -— Va a basse, Giallù! - -Gialluca, per una strana ripugnanza a trovarsi solo, non voleva -discendere quantunque il male lo travagliasse. Anch'egli si teneva -alla corda, stringendo i denti nel dolore. Quando veniva una ondata, -i marinai abbassavano la testa e mettevano un grido concorde, simile a -quello con cui sogliono accompagnare un comune sforzo nella fatica. - -Uscì la luna da una nuvola, diminuendo l'orrore. Ma il mare si mantenne -grosso tutta la notte. - -La mattina Gialluca, smarrito, disse ai compagni: - -— Tajiáte. - -I compagni prima s'accordarono gravemente; tennero una specie di -consulto decisivo. Poi osservarono il tumore ch'era eguale al pugno -di un uomo. Tutte le aperture, che dianzi gli davano l'apparenza di un -nido di vespe o di un crivello, ora ne formavano una sola. - -Disse Massacese: - -— Curagge! Avande! - -Egli doveva essere il cerusico. Provò su l'unghia la tempra delle lame. -Scelse infine il coltello di Talamonte maggiore, ch'era affilato di -fresco. Ripetè: - -— Curagge! Avande! - -Quasi un fremito d'impazienza scoteva lui e gli altri. - -L'infermo ora pareva preso da uno stupidimento cupo. Teneva gli occhi -fissi su 'l coltello, senza dire niente, con la bocca semiaperta, con -le mani penzoloni lungo i fianchi, come un idiota. - -Cirù lo fece sedere, gli tolse la fasciatura, mettendo con le labbra -quei suoni istintivi che indicano il ribrezzo. Un momento, tutti si -chinarono su la piaga, in silenzio, a guardare. Massacese disse: - -— Cusì e cusì, — indicando con la punta del coltello la direzione dei -tagli. - -Allora, d'un tratto, Gialluca ruppe in un gran pianto. Tutto il suo -corpo veniva scosso dai singhiozzi. - -— Curagge! Curagge! — gli ripetevano i marinai, prendendolo per le -braccia. - -Massacese incominciò l'opera. Al primo contatto della lama, Gialluca -gittò un urlo; poi stringendo i denti, metteva quasi un muggito -soffocato. - -Massacese tagliava lentamente, ma con sicurezza; tenendo fuori la -punta della lingua, per una abitudine ch'egli aveva nel condur le cose -con attenzione. Come il trabaccolo barcollava, il taglio riusciva -ineguale; il coltello ora penetrava più, ora meno. Un colpo di mare -fece affondare la lama dentro i tessuti sani. Gialluca gittò un altro -urlo, dibattendosi, tutto sanguinante, come una bestia tra le mani dei -beccai. Egli non voleva più sottomettersi. - -— No, no, no! - -— Vien' a qua! Vien' a qua! — gli gridava Massacese, dietro, volendo -seguitare la sua opera perchè temeva che il taglio interrotto fosse più -pericoloso. - -Il mare, ancora grosso, romoreggiava in torno, senza fine. Nuvole in -forma di trombe sorgevano dall'ultimo termine ed abbracciavano il -cielo deserto d'uccelli. Oramai, in mezzo a quel frastuono, sotto -quella luce, una eccitazione singolare prendeva quegli uomini. -Involontariamente, essi nel lottare col ferito per tenerlo fermo, -s'adiravano. - -— Vien' a qua! - -Massacese fece altre quattro o cinque incisioni, rapidamente, a -caso. Sangue misto a materie biancastre sgorgava dalle aperture. -Tutti n'erano macchiati, tranne Nazareno che stava a prua, tremante, -sbigottito dinanzi all'atrocità della cosa. - -Ferrante La Selvi, che vedeva la barca pericolare, diede un comando a -squarciagola: - -— Molla le scòtteee! Butta 'l timone a l'ôrsa! - -I due Talamonte, Massacese, Cirù manovrarono. Il trabaccolo riprese -a correre beccheggiando. Si scorgeva Lissa in lontananza. Lunghe zone -di sole battevano su le acque, sfuggendo di tra le nuvole; e variavano -secondo le vicende celesti. - -Ferrante rimase alla sbarra. Gli altri marinai tornarono a Gialluca. -Bisognava nettare le aperture, bruciare, mettere le filacce. - -Ora il ferito era in una prostrazione profonda. Pareva che non capisse -più nulla. Guardava i compagni, con due occhi smorti, già torbidi come -quelli degli animali che stanno per morire. Ripeteva ad intervalli, -quasi fra sè: - -— So' morto! So' morto! - -Cirù, con un po' di stoppa grezza, cercava di pulire; ma aveva la mano -rude, irritava la piaga. Massacese, volendo fino all'ultimo seguire -l'esempio del cerusico di Margadonna, aguzzava certi pezzi di legno -d'abete, con attenzione. I due Talamonte si occupavano del catrame, -poichè il catrame bollente era stato scelto per bruciare la piaga. -Ma era impossibile accendere il fuoco su 'l ponte che ad ogni momento -veniva allagato. I due Talamonte discesero sotto coperta. - -Massacese gridò a Cirù: - -— Lava nghe l'acqua de mare! - -Cirù seguì il consiglio. Gialluca si sottometteva a tutto, facendo un -lagno continuo, battendo i denti. Il collo gli era diventato enorme, -tutto rosso, in alcuni punti quasi violaceo. In torno alle incisioni -cominciavano ad apparire alcune chiazze brunastre. L'infermo provava -difficoltà a respirare, a inghiottire; e lo tormentava la sete. - -— Arcummánnete a sante Rocche — gli disse Massacese che aveva finito di -aguzzare i pezzi di legno e che aspettava il catrame. - -Spinto dal vento, il trabaccolo ora deviava in su, verso Sebenico, -perdendo di vista l'isola. Ma quantunque le onde fossero ancora forti, -la burrasca accennava a diminuire. Il sole era a mezzo del cielo, tra -nuvole color di ruggine. - -I due Talamonte vennero con un vaso di terra pieno di catrame fumante. - -Gialluca s'inginocchiò, per rinnovare il voto al santo. Tutti si fecero -il segno della croce. - -— Oh sante Rocche, sálveme! Te 'mprumette 'na lampa d'argente e -l'uoglie pe' tutte l'anne e trenta libbre de ciere. Oh sante Rocche, -sálveme tu! Tenghe la mojie e li fijie... Pietà! Misericordie, sante -Rocche mi'! - -Gialluca teneva congiunte le mani; parlava con voce che pareva non -fosse più la sua. Poi si rimise a sedere, dicendo semplicemente a -Massacese: - -— Fa. - -Massacese avvolse in torno ai pezzi di legno un po' di stoppa; e a mano -a mano ne tuffava uno nel catrame bollente e con quello strofinava la -piaga. Per rendere più efficace e profonda la bruciatura, versò anche -il liquido nelle ferite. Gialluca non mosse un lamento. Gli altri -rabbrividivano, in conspetto di quello strazio. - -Disse Ferrante La Selvi, dal suo posto, scotendo il capo: - -— L'avet'accise! - -Gli altri portarono sotto coperta Gialluca semivivo; e l'adagiarono -sopra una branda. Nazareno rimase a guardia, presso l'infermo. Si -udivano di là le voci gutturali di Ferrante che comandava la manovra e -i passi precipitati dei marinai. La _Trinità_ virava, scricchiolando. A -un tratto Nazareno si accorse d'una falla in cui entrava acqua; chiamò. -I marinai discesero, in tumulto. Gridavano tutti insieme, provvedendo -in furia a riparare. Pareva un naufragio. - -Gialluca, benchè prostrato di forze e d'animo, si rizzò su la branda, -imaginando che la barca andasse a picco; e s'aggrappò disperatamente a -uno dei Talamonte. Supplicava, come una femmina: - -— Nen me lasciate! Nen me lasciate! - -Lo calmarono; lo riadagiarono. Egli ora aveva paura; balbettava -parole insensate; piangeva; non voleva morire. Poichè l'infiammazione -crescendo gli occupava tutto tutto il collo e la cervice e si -diffondeva anche pe 'l tronco a poco a poco, e la gonfiezza diveniva -ancor più mostruosa, egli si sentiva strozzare. Spalancava ogni tanto -la bocca per bevere l'aria. - -— Portateme sopra! A qua me manghe l'arie; a qua me more.... - -Ferrante richiamò gli uomini sul ponte. Il trabaccolo ora bordeggiando -cercava di acquistare cammino. La manovra era complicata. Ferrante -spiava il vento e dava il comando utile, stando al timone. Come più il -vespro si avvicinava, le onde si placavano. - -Dopo qualche tempo, Nazareno venne sopra, tutto sbigottito, gridando: - -— Gialluca se more! Gialluca se more! - -I marinai corsero; e trovarono il compagno già morto su la branda, in -un'attitudine scomposta, con gli occhi aperti, con la faccia tumida, -come un uomo strangolato. - -Disse Talamonte maggiore: - -— È mo'? - -Gli altri tacquero, un po' smarriti, dinanzi al cadavere. - -Risalirono su 'l ponte, in silenzio. Talamonte ripeteva: - -— È mo'? - -Il giorno si ritirava lentamente dalle acque. Nell'aria veniva la -calma. Un'altra volta le vele si afflosciavano e il naviglio rimaneva -senza avanzare. Si scorgeva l'isola di Solta. - -I marinai, riuniti a poppa, ragionavano del fatto. Un'inquietudine -viva occupava tutti gli animi: Massacese era pallido e pensieroso. Egli -osservò: - -— Avéssene da dice che l'avéme fatte murì nu áutre? Avasséme da passà -guai? - -Questo timore già tormentava lo spirito di quegli uomini superstiziosi -e diffidenti. Essi risposero: - -— È lu vere. - -Massacese incalzò: - -— Mbé? Che facéme? - -Talamonte maggiore disse, semplicemente: - -— È morte? Jettámele a lu mare. Facéme vedé ca l'avéme pirdute 'n -mezz'a lu furtunale... Certe, n'arrièsce. - -Gli altri assentirono. Chiamarono Nazareno. - -— Oh, tu... mute come nu pesce. - -E gli suggellarono il segreto nell'animo, con un segno minaccioso. - -Poi discesero a prendere il cadavere. Già le carni del collo davano -odore malsano; le materie della suppurazione gocciolavano, ad ogni -scossa. - -Massacese disse: - -— Mettémele dentr'a nu sacche. - -Presero un sacco; ma il cadavere ci entrava per metà. Legarono il sacco -alle ginocchia, e le gambe rimasero fuori. Si guardavano d'in torno, -istintivamente, facendo l'operazione mortuaria. Non si vedevano vele; -il mare aveva un ondeggiamento largo e piano, dopo la burrasca; l'isola -di Solta appariva tutt'azzurra, in fondo. - -Massacese disse: - -— Mettémece pure 'na preta. - -Presero una pietra fra la zavorra, e la legarono ai piedi di Gialluca. - -Massacese disse: - -— Avande! - -Sollevarono il cadavere fuori del bordo e lo lasciarono scivolare nel -mare. L'acqua si richiuse gorgogliando; il corpo discese da prima con -una oscillazione lenta; poi si dileguò. - -I marinai tornarono a poppa, ed aspettarono il vento. Fumavano, senza -parlare. Massacese ogni tanto faceva un gesto involontario, come fanno -talora gli uomini cogitabondi. - -Il vento si levò. Le vele si gonfiarono, dopo avere palpitato un -istante. La _Trinità_ si mosse nella direzione di Solta. Dopo due ore -di buona rotta, passò lo stretto. - -La luna illuminava le rive. Il mare aveva quasi una tranquillità -lacustre. Dal porto di Spálato uscivano due navigli, e venivano -incontro alla _Trinità_. Le due ciurme cantavano. - -Udendo la canzone, Cirù disse: - -— Toh! So' di Piscare. - -Vedendo le figure e le cifre delle vele, Ferrante disse: - -— So' li trabaccule di Raimonde Callare. - -E gittò la voce. - -I marinai paesani risposero con grandi clamori. Uno dei navigli era -carico di fichi secchi, e l'altro di asinelli. - -Come il secondo dei navigli passò a dieci metri dalla _Trinità_, varii -saluti corsero. Una voce gridò: - -— Oh Giallù! Addó sta Gialluche? - -Massacese rispose: - -— L'avéme pirdute a mare, 'n mezz'a lu furtunale. Dicétele a la mamme. - -Alcune esclamazioni allora sorsero dal trabaccolo degli asinelli; poi -gli addii. - -— Addie! Addie! A Piscare! A Piscare! - -E allontanandosi le ciurme ripresero la canzone, sotto la luna. - - - - -INDICE. - - - Pag. - - La vergine Orsola 1 - La vergine Anna 86 - Gli idolatri 165 - L'eroe 186 - La veglia funebre 194 - La contessa d'Amalfi 209 - La morte del duca d'Ofena 255 - Il traghettatore 276 - Agonia 307 - La fine di Candia 319 - La fattura 337 - I marenghi 364 - La madia 374 - Mungià 383 - La guerra del Ponte 397 - Turlendana ritorna 421 - Turlendana ebro 437 - Il cerusico di mare 448 - - - - - _OPERE di GABRIELE D'ANNUNZIO_ - - I ROMANZI DELLA ROSA: - - Il Piacere L. 5 — - L'Innocente 4 — - Trionfo della Morte 5 — - - I ROMANZI DEL GIGLIO: - - Le Vergini delle Rocce 5 — - La Grazia *. - L'Annunziazione *. - - I ROMANZI DEL MELAGRANO: - - Il Fuoco 5 — - La Vittoria dell'Uomo *. - Trionfo della Vita *. - - Le Novelle della Pescara 4 — - - POESIE: - - Canto novo; Intermezzo 4 — - L'Isottéo; la Chimera 4 — - Poema paradisiaco; Odi navali 4 — - La Canzone di Garibaldi: La Notte di Caprera 1 50 - In morte di Giuseppe Verdi. Canzone preceduta da una - Orazione ai giovani 1 — - Nel primo centenario della nascita di Vittor - Hugo — MDCCCII-MCMII — ode 1 — - Laudi del Cielo, del Mare, della Terra e degli Eroi - _Vol. I:_ Laus Vitæ. Legato in finta pergamena 8 — - — Legato in vera pergamena 12 — - _Vol. II:_ Elettra — Alcione. Legato in finta - pergamena 10 — - — Legato in vera pergamena 14 — - L'Allegoria dell'Autunno 1 — - - DRAMI: - - Francesca da Rimini, tragedia in 5 atti 7 50 - — Legata in vera pergamena con fregi e nastri di - stile antico 12 — - Francesca da Rimini. Edizione econom. 4 — - La Città morta, tragedia in 5 atti 4 — - La Gioconda, tragedia in 4 atti 4 — - La Gloria, tragedia in 5 atti 4 — - La Figlia di Iorio, tragedia in 3 atti 4 — - - I Sogni delle Stagioni - Sogno d'un mattino di primavera 2 — - * Sogno d'un meriggio d'estate. - Sogno d'un tramonto d'autunno 2 — - * Sogno d'una notte d'inverno. - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. - - - - - -End of Project Gutenberg's Le Novelle della Pescara, by Gabriele D'Annunzio - -*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LE NOVELLE DELLA PESCARA *** - -***** This file should be named 53184-0.txt or 53184-0.zip ***** -This and all associated files of various formats will be found in: - http://www.gutenberg.org/5/3/1/8/53184/ - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - -Updated editions will replace the previous one--the old editions -will be renamed. - -Creating the works from public domain print editions means that no -one owns a United States copyright in these works, so the Foundation -(and you!) can copy and distribute it in the United States without -permission and without paying copyright royalties. Special rules, -set forth in the General Terms of Use part of this license, apply to -copying and distributing Project Gutenberg-tm electronic works to -protect the PROJECT GUTENBERG-tm concept and trademark. Project -Gutenberg is a registered trademark, and may not be used if you -charge for the eBooks, unless you receive specific permission. If you -do not charge anything for copies of this eBook, complying with the -rules is very easy. You may use this eBook for nearly any purpose -such as creation of derivative works, reports, performances and -research. They may be modified and printed and given away--you may do -practically ANYTHING with public domain eBooks. Redistribution is -subject to the trademark license, especially commercial -redistribution. - - - -*** START: FULL LICENSE *** - -THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK - -To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase "Project -Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full Project -Gutenberg-tm License (available with this file or online at -http://gutenberg.org/license). - - -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg-tm -electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. 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It exists -because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from -people in all walks of life. - -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's -goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations. -To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 -and the Foundation web page at http://www.pglaf.org. - - -Section 3. 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Email contact links and up to date contact -information can be found at the Foundation's web site and official -page at http://pglaf.org - -For additional contact information: - Dr. Gregory B. Newby - Chief Executive and Director - gbnewby@pglaf.org - - -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg -Literary Archive Foundation - -Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide -spread public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. - -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. 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Thus, we do not necessarily -keep eBooks in compliance with any particular paper edition. - - -Most people start at our Web site which has the main PG search facility: - - http://www.gutenberg.org - -This Web site includes information about Project Gutenberg-tm, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. diff --git a/old/53184-0.zip b/old/53184-0.zip Binary files differdeleted file mode 100644 index 281250d..0000000 --- a/old/53184-0.zip +++ /dev/null diff --git a/old/53184-h.zip b/old/53184-h.zip Binary files differdeleted file mode 100644 index a659cb9..0000000 --- a/old/53184-h.zip +++ /dev/null diff --git a/old/53184-h/53184-h.htm b/old/53184-h/53184-h.htm deleted file mode 100644 index efce9e3..0000000 --- a/old/53184-h/53184-h.htm +++ /dev/null @@ -1,19327 +0,0 @@ -<!DOCTYPE html PUBLIC "-//W3C//DTD XHTML 1.1//EN" -"http://www.w3.org/TR/xhtml11/DTD/xhtml11.dtd"> - -<html xmlns="http://www.w3.org/1999/xhtml" xml:lang="it"> -<head> - <meta http-equiv="content-type" content="text/html; charset=utf-8" /> - <title> - Le Novelle della Pescara, di Gabriele d'Annunzio - </title> - <link rel="coverpage" href="images/cover.jpg" /> - <style type="text/css"> -body {margin-left: 10%; margin-right: 10%;} - -p {margin-top: .5em; margin-bottom: 0em; line-height: 1.2; text-align: justify;} -.center {text-align: center; text-indent: 0;} -.title {text-align: center; font-size: 110%; margin-top: 1em; margin-bottom: 1em;} - -div.booktitle {page-break-before: always; padding: 3em;} -div.titlepage {text-align: center; margin: 0 5%; padding: 2em 0; page-break-before: always; page-break-after: always;} -div.titlepage p {text-align: inherit;} -div.verso {text-align: center; padding-top: 2em; font-size: 95%; margin: 0 15%;} -div.verso p {text-align: inherit;} -div.somm {page-break-before: always; padding-top: 3em;} -div.chapter {page-break-before: always; padding-top: 3em;} -div.chapter h2 {page-break-before: avoid;} - -div.opere {padding: 1em; margin: 4em 10%; page-break-before: always;} - -h1,h2,h3 {text-align: center; font-style: normal; -font-weight: normal; line-height: 1.5;} -h1 {font-size: 150%;} -h2 {font-size: 140%; margin-top: 1em; margin-bottom: 2em; page-break-before: avoid;} -h3 {font-size: 120%; margin-top: 2em;} - -span.smaller {display: block; font-size: 70%; margin: .5em 5%; line-height: 1.2em;} - -hr {width: 70%; margin-top: 1em; margin-bottom: 1em; margin-left: 15%; margin-right: 15%; clear: both;} -hr.mid {width: 50%; margin-left: 25%; margin-right: 25%;} -hr.tbs {width: 20%; margin: 1.5em 40%; visibility: hidden;} -hr.silver {width: 90%; margin-left: 5%; margin-right: 5%; border-top: none; border-right: none; border-bottom: thin solid silver; border-left: none;} -@media handheld { -hr.silver {display: none;} -} - -.pagenum {position: absolute; right: 2%; font-style: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; font-size: 65%; text-align: right; color: #999999; background-color: #ffffff; clear: left;} - -.spaced1 {margin-left: 1em;} - -.pad6 {margin-top: 6em;} -.pad4 {margin-top: 4em;} -.pad2 {margin-top: 2em;} - -.dots {text-align: center; letter-spacing: .5em; margin-top: 1.5em; margin-bottom: 1.5em;} - -.small {font-size: 85%;} -.x-large {font-size: 130%;} -.main-t {font-size: 200%;} -.smcap {font-variant: small-caps;} -.lowercase {text-transform: lowercase;} - -table {margin: auto; border-collapse: collapse;} -.indice {width: 75%; line-height: 1em; margin-top: 2em;} -.indice td {vertical-align: top; padding-left: 1.5em; text-indent: -1em;} -.indice td.pag {text-align: right; vertical-align: bottom; white-space: nowrap;} -.pubb {width: 80%; line-height: 1em; font-size: 95%;} -.pubb td {vertical-align: top; padding-left: 1.5em; text-indent: -1em;} -.pubb td.prezzo {text-align: right; vertical-align: bottom; white-space: nowrap; padding-left: 1.5em;} - -.tnote {background-color: #f7f1e3; color: #000; padding: 1em 1em 2em 1em; - margin: 3em 10%; font-family: sans-serif; font-size: 90%; page-break-before: always;} -.tntitle {text-align: center; text-indent: 0; padding: 1em; font-size: 120%; margin-bottom: 1em;} -.tnote p {padding: 0 1em;} -.covernote {visibility: hidden; display: none;} -@media handheld { - .covernote {visibility: visible; display: block;} -} - -.poem {text-align: left; font-size: 95%; margin: 1.5em 10%;} -.poem p {margin: 0; padding-left: 3em; text-indent: -3em;} - - </style> - </head> -<body> - - -<pre> - -Project Gutenberg's Le Novelle della Pescara, by Gabriele D'Annunzio - -This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with -almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or -re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included -with this eBook or online at www.gutenberg.org/license - - -Title: Le Novelle della Pescara - -Author: Gabriele D'Annunzio - -Release Date: October 1, 2016 [EBook #53184] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LE NOVELLE DELLA PESCARA *** - - - - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - - - - - -</pre> - - -<div class="booktitle"> -<h1> -Le Novelle della Pescara. -</h1> -</div> - -<hr class="silver" /> - -<div class="titlepage"> -<p class="x-large"> -Gabriele d'Annunzio -</p> - -<p class="pad2 main-t"> -Le Novelle -della Pescara -</p> - -<p class="pad4 small"> -LA VERGINE ORSOLA. — LA VERGINE ANNA.<br /> -GLI IDOLATRI. — L'EROE. — LA VEGLIA FUNEBRE.<br /> -LA CONTESSA D'AMALFI. — LA MORTE DEL DUCA D'OFENA.<br /> -IL TRAGHETTATORE. — L'AGONIA. — LA FINE DI CANDIA. — LA FATTURA.<br /> -I MARENGHI. — LA MADIA. — MUNGIÀ. — LA GUERRA DEL PONTE.<br /> -TURLENDANA RITORNA. — TURLENDANA EBRO.<br /> -IL CERUSICO DI MARE. -</p> - -<p class="pad6"> -MILANO<br /> -<span class="small">FRATELLI TREVES, EDITORI.<br /> -1904</span><br /> -—<br /> -<span class="small"><b>Settimo migliaio.</b></span> -</p> -</div> - -<div class="verso"> -<hr class="mid" /> -<p> -PROPRIETÀ LETTERARIA -</p> - -<p> -<i>I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati -per tutti i paesi, compreso il Regno di Svezia e di Norvegia</i> -</p> - -<p> -Tip. Fratelli Treves. -</p> -<hr class="mid" /> -</div> - -<div class="somm"> -<hr /> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span></p> - -<h2 id="orsola">LA VERGINE ORSOLA.</h2> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Il viatico uscì dalla porta della chiesa a mezzogiorno. -Su tutte le strade era la primizia della -neve, su tutte le case la neve. Ma in alto grandi -isole azzurre apparivano tra le nuvole nevose, -si dilatavano sul palazzo di Brina lentamente, -s'illuminavano verso la Bandiera. E nell'aria -bianca, sul paese bianco appariva ora subitamente -il miracolo del sole. -</p> - -<p> -Il viatico s'incamminava alla casa di Orsola -dell'Arca. La gente si fermava a veder passare -il prete incedente a capo nudo, con la stola violacea, -sotto l'ampio ombrello scarlatto, tra le -lanterne portate dai clerici accese. La campanella -squillava limpidamente accompagnando i -salmi susurrati dal prete. I cani vagabondi si -scansavano nei vicoli al passaggio. Mazzanti -<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span> -cessò di ammucchiare la neve all'angolo della -piazza e si scoprì la zucca inchinandosi. Si spandeva -in quel punto dal forno di Flaiano nell'aria -l'odore caldo e sano del pane recente. -</p> - -<p> -Nella casa dell'inferma gli astanti udirono gli -squilli, e udirono su per le scale il salire dei -vegnenti. La vergine Orsola era sul letto, supina, -tenuta dallo stupore della febbre, da una -sonnolenza inerte, con la respirazione frequente -rotta da i rantoli. Posava sul guanciale la testa -quasi nuda di capelli, la faccia d'un colore quasi -ceruleo ove le palpebre erano semichiuse sopra -gli occhi vischiosi e le narici parevano annerite -dal fumo. Ella faceva con le mani scarne piccoli -gesti incerti, vaghi conati di prendere qualche -cosa nel vuoto, strani segni improvvisi che -davano quasi un senso di terrore a chi stava da -presso; e nelle braccia pallide le passavano le -contrazioni dei fasci muscolari, i sussulti dei tendini; -e a volte un balbettamento inintelligibile -le usciva dalle labbra, come se le parole le si -impigliassero nella fuliggine della lingua, nel -muco tenace delle gengive. -</p> - -<p> -Nella stanza si faceva quel silenzio tragico che -suole precedere gli avvenimenti supremi, un silenzio -dove il respiro dell'inferma e i gesticolamenti -<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> -incerti e le irruzioni rauche della tosse -aggravavano l'attesa della morte. Dalle finestre -aperte entrava l'aria pura ed uscivano le esalazioni -della malattia. Un vivo baglior bianco si -rifrangeva dalla neve coprente i cornicioni e i -capitelli corintii dell'arco di Portanova: il fiore -cristallino dei ghiaccioli scintillava d'iridi all'altezza -della stanza. Nell'interno, su le pareti, pendevano -grandi medaglie sacre d'ottone, imagini -di santi. Sotto un vetro una Madonna di Loreto -tutta nera il volto il seno le braccia, come un -idolo barbarico, luceva nella sua veste adorna -di mezze lune d'oro. In un angolo, un piccolo -altare candido portava un vecchio crocifisso di -madreperla, tra due boccali turchini di Castelli -pieni d'erbe aromatiche. -</p> - -<p> -Camilla, la sorella, l'unica parente, presso al -letto, pallidissima, tergeva le labbra nerastre e -i denti incrostati dell'inferma con un lino umido -di aceto. Don Vincenzo Bucci, il medico, seduto, -guardava il pomo d'argento della bella mazza, -le belle corniole incise ch'egli aveva negli anelli -delle dita, aspettando. Teodora La Jece, una -tessitrice vicina, stava ritta, in silenzio, tutta intenta -nell'atteggiare a dolore la faccia bianca e -lentigginosa, gli occhi d'acciaio, la bocca crudele. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span> -</p> - -<p> -— <i>Pax huic domui</i> — disse il prete entrando. -Apparve all'uscio Don Gennaro Tierno, lunghissimo -e smilzo su piedi enormi, con i movimenti -di un bruco che si snodi. Veniva dietro di lui -Rosa Catena, una femmina che avea fatto pubblica -professione d'impudicizia al suo tempo -verde e che ora si salvava l'anima assistendo i -moribondi, lavando i cadaveri, vestendoli e accomodandoli -nella bara, senza prender mercede. -</p> - -<p> -Nella stanza di Orsola tutti erano in ginocchio, -chini la faccia. L'inferma non udiva; una -stupefazione intensa le teneva ancora i sensi. -E l'aspersorio si levò su di lei, lucido nell'aria, -aspergendo il letto. -</p> - -<p> -— <i>Asperges me, Domine, hyssopo, et mundabor...</i> -Ma Orsola non sentì l'onda purificatrice che -la rendeva più bianca della neve innanzi al suo -Signore. -</p> - -<p> -Ella stirava davanti a sè con le dita fragili -le coperte, aveva un moto tremulo nelle labbra, -nella gola il gorgoglio della parola che ella non -poteva profferire. -</p> - -<p> -— <i>Exaudi nos, Domine sancte...</i> -</p> - -<p> -Allora uno scoppio di pianto risonò fra le parole -latine, e Camilla nascose nella sponda del -letto la faccia rigata di lacrime. Il medico s'era -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -accostato e teneva fra le dita inanellate il polso -di Orsola. Egli voleva scuoterla, apprestarla a -ricevere il Sacramento dalle mani del sacerdote -di Gesù Cristo, fare che ella porgesse la -lingua all'ostia. -</p> - -<p> -Orsola balbettò, gesticolò ancora vagamente -nel vuoto, mentre la sollevavano su i guanciali. -Ella non udiva se non un tintinno nei nervi dell'orecchio -perturbati, a tratti un gridìo, a tratti -una musica. Come fu sollevata, subitamente il -rossore livido della faccia si mutò in un pallore -di cadavere; la vescica di ghiaccio cadde dalla -testa sul lenzuolo. -</p> - -<p> -— <i>Misereatur...</i> -</p> - -<p> -Porse ella finalmente la lingua tremante, coperta -d'una crosta mista di muco e di sangue -nerastro, dove l'ostia vergine si posò. -</p> - -<p> -— <i>Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccata -mundi...</i> -</p> - -<p> -Ma ella non ritirò la lingua a quel contatto, -perchè non aveva conscienza di quel che faceva: -lo stupidimento non era rotto dal lume dell'Eucaristia. -Camilla guardava con gli occhi rossi -pieni di terrore e di dolore quella faccia terrea -dove ogni segno di vita mancava a poco a -poco, quella bocca aperta che pareva la bocca -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -di uno strangolato. Il prete seguitava, nella solennità -del suo ministerio, le preghiere latine -lentamente. Tutti gli altri rimanevano genuflessi, -sotto il diffuso albore che fuori dalla neve suscitava -il meriggio. L'odore del pane caldo salì -col vento e fece fremere le papille del naso ai -clerici. -</p> - -<p> -— <i>Oremus!...</i> -</p> - -<p> -Agli eccitamenti del medico Orsola richiuse -le labbra. La riadagiarono supina; poichè il -prete entrava nel sacramento dell'Estrema Unzione. -I clerici genuflessi ripetevano sommessamente -l'antifona dei sette Salmi penitenziali. -</p> - -<p> -— <i>Ne reminiscaris.</i> -</p> - -<p> -Teodora La Jece metteva di tratto in tratto -un singulto soffocato, coperta il volto con le -palme, a' piedi del letto. Rosa Catena stava ritta, -accanto, con un occhio semichiuso da cui le colava -di continuo un liquido giallognolo e con -l'altro occhio cieco e bianco per un'albùgine; -scorreva un rosario, mormorando. E mentre i -Salmi sommessamente dal pavimento si elevavano, -su quel mormorio confuso dominava la -formula sacra del prete ungente in croce gli occhi, -gli orecchi, le narici, la bocca, le mani dell'inferma -inerte. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -</p> - -<p> -— <i>... indulgeat tibi Dominus quidquid per gressum -deliquisti. Amen.</i> -</p> - -<p> -Fu Camilla che scoperse i piedi della sorella: -apparvero tra le coperte due piedi gialli, squamosi, -lividi nelle unghie, che al tatto davano -un ribrezzo di membra morte. E su quella pelle -secca le lacrime caddero, si mescolarono con -l'unzione estrema. -</p> - -<p> -— <i>Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrie eleison. -Pater noster...</i> -</p> - -<p> -L'unta del Signore stava ora immobile, respirando, -con gli occhi chiusi dinanzi alla luce, con -le ginocchia sollevate e le mani strette fra le -cosce, nell'atteggiamento abituale dei tifosi. E -il prete, poi ch'ebbe premuto su le labbra di -lei per l'ultima volta il crocefisso, fatto il segno -della croce alto in mezzo alla stanza con la gran -mano, uscì seguito dai clerici. Vagava ancora -nella stanza quell'odore svanito d'incenso e di -cera che hanno le vesti sacerdotali. Fuori, sotto -le finestre, Matteo Puriello martellava le suola, -canticchiando. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -I segni del male declinavano lentamente in -favore: succedeva ora il quarto settenario, succedeva -ora al sopore stupido la quiete naturale -del sonno, una quiete durevole in cui a poco a -poco tutte le perturbazioni della conscienza si -sedavano e le facoltà del senso si facevano -meno torbide e la frequenza della respirazione -diminuiva. Ma una tosse aspra scoppiava a -tratti nel petto dell'inferma, facendo sussultare -le vertebre; una distruzione dolorosa della pelle -e dei tessuti molli si compiva ai gomiti, alle -ginocchia, all'estremità della schiena, di giorno -in giorno. Quando Camilla si chinava sul letto -chiamando: — Orsola! — la sorella tentava -d'aprire gli occhi, di volgersi verso la voce. Ma -la debolezza la opprimeva; lo stupore torpido -le occupava di nuovo il senso. -</p> - -<p> -Ella aveva fame, aveva fame. Una bramosìa -bestiale di cibo le torturava le viscere vuote, -le dava alla bocca quel movimento vago delle -mandibole chiedenti qualche cosa da masticare, -le dava talvolta alle povere ossa delle mani -quelle contrazioni prensili che hanno le dita -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -delle scimmie golose alla vista del pomo. Era -la fame canina nella convalescenza del tifo, -quella terribile avidità di nutrimento vitale in -tutte le cellule del corpo impoverite dal lungo -malore. Una scarsa onda di sangue restava a -pena circolante pei tessuti; nel cervello debolmente -irrigato ogni attività ristagnava come in -una macchina a cui la forza motrice del liquido -difetti. Soltanto, in quella materia disordinatamente -ora si producevano certe vibrazioni determinanti -certi atti che nella vita anteriore -erano abituali; nè di quel lavorìo meccanico -aveva la convalescente conscienza. Ella per lo -più diceva ad alta voce le letanie; divideva in -sillabe parole senza nesso; minacciava punizioni -a discepoli; cantava le strofe quinarie di un inno -a Gesù. Aveva per lo più nell'indice della mano -sinistra un moto di indicazione scorrente su -l'orlo del lenzuolo, come se ella con quel segno -guidasse l'occhio dei discepoli su le righe del -libro. Poi, talvolta, la sua voce si sollevava, -prendeva una solennità quasi minacciosa, pronunciando -le ammonizioni delle <i>sette trombe</i>, ricordando -confusamente le parole di fra Bartolomeo -da Saluzzo ai peccatori, avendo forse -negli occhi stupefatti la visione di quelle vecchie -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -stampe impresse dal legno piene di deformi angeli -tubanti e di demonii debellati. Ma negli occhi -non mai aveva uno sguardo. Le palpebre -pesanti coprivano l'iride a metà, quell'iride senza -colore spersa nella sclerotica che pareva come -velata da un muco giallastro. Ella stava nel suo -letto distesa, con il capo su due guanciali. Quasi -tutti i capelli le erano caduti nella malattia; un -pallor terreo, di quei pallori sotto cui pare non -anche possa rimanere la vita, le occupava la -faccia, le cavità della faccia; e il teschio ne -traspariva, e da tutta la restante aridezza della -pelle lo scheletro traspariva, e intorno a tutto -quell'ossame nei punti di pressione sul letto i -tessuti aderenti degeneravano. Solo, un'immensa -fame animava quella rovina, torturava gl'intestini -ove le ulceri tifose si cicatrizzavano lentamente. -</p> - -<p> -Fuori, era la novena di Natale, la bella festività -de' vecchi e de' fanciulli. Erano certi vespri -chiari e rigidi, sotto cui tutto il paese di -Pescara si popolava di marinari e si empiva -dei suoni delle zampogne. L'odore acuto delle -zuppe di pesce si propagava nell'aria dalle cantine -aperte. Lentamente alle finestre, alle porte, -nelle vie i lumi apparivano. Il sole indugiava -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -roseo su i terrazzi di pietra della casa di Farina, -sui comignoli della casa di Memma, sul -campanile di San Giacomo. Le altezze illustri -dominavano come fari sul paese occupato dall'ombra. -Poi, d'un tratto, la notte cominciava a -constellare i firmamenti; sopra le case di Sant'Agostino -una mezza luna si affacciava dal bastione -tra il fanale rosso e il pino del telegrafo, -crescendo. -</p> - -<p> -Alla stanza di Orsola tutta quell'animazione -di vita saliva in un romorìo confuso di alveare -che si sveglia. -</p> - -<p> -Le pastorali delle zampogne si avvicinavano, -di casa in casa, di porta in porta. Avevano una -religiosa e familiare letizia quei suoni che i ciociari -di Atina traevano da un otre di pecora -e da un gruppo di canne forate. La convalescente -udiva, si sollevava sul letto; poichè quella -sensazione le ridestava i fantasmi di altre sensazioni -trascorse, e gli occhi le si empivano tutti -di visione sacra, di presepi raggianti e di bianchi -peregrinaggi d'angeli in azzurri immacolati. -Ella si metteva a cantare le laudi, tendendo le -braccia, restando talvolta con la bocca aperta -mentre la voce negli organi le mancava; si -metteva a laudare Gesù con una elevazione ardente -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -e dolce di amore, trasportata dai suoni -delle pastorali appressantisi, allucinata dalle imagini -sante delle pareti. Ascendeva ai cieli, tra -le musiche dei cherubini, tra i vapori della mirra -e dell'incenso. -</p> - -<p> -— <i>Hosanna!</i> -</p> - -<p> -La voce le mancava. Ella tendeva le braccia. -Camilla, da presso, voleva riadagiarla su i guanciali; -si sentiva come soggiogare da quel cieco -entusiasmo di fede: le tremavano le mani, le -labbra. Orsola ricadeva stesa, con il capo abbandonato, -scoperta la gola e il petto, mostrando -degli occhi solo il bianco nel gran pallore, sorridente -a qualche cosa invisibile, in un atteggiamento -di vergine martire. Le zampogne passavano; -tardi passavano le canzoni del vino -urlate dai marinari nella notte tornanti alle barche -della Pescara. -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -L'istinto della fame si ridestava vivissimo, -come più chiara si faceva la coscienza. Quando -dal forno di Flaiano saliva nell'aria l'odore -caldo del pane, Orsola chiedeva; chiedeva con -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -un accento di mendicante famelica, tendeva la -mano, supplicando, alla sorella. Divorava rapidamente, -con un godimento brutale di tutto -l'essere, guardando d'intorno se qualcuno tentasse -strapparle di tra le mani il cibo, in sospetto. -</p> - -<p> -La convalescenza era lunga e lenta; ma -già un senso mite di sollievo cominciava a -spargersi per le membra, a liberare il capo. -Per quella sana nutrizione di albume e di carne -muscolare un sangue novello si produceva: i -polmoni dilatati ora largamente dall'aria vivificavano -il sangue carico di sostanze; e i -tessuti irrigati dall'onda tiepida e rapida si colorivano -ricomponendosi, si rinnovellavano nelle -piaghe di decubito, si ricoprivano di cute a -poco a poco; e le attività cerebrali a quell'affluire -operavano sicure; e le innervazioni -negli organi sensorii non più perturbate rendevano -limpida la sensazione; e sul cranio i -bulbi capilliferi rigermogliavano densi; e da -quel riordinamento delle leggi meccaniche della -vita, da quel dispiegarsi di energie prima -latenti che la malattia aveva provocate, da -quella intensa brama che la convalescente -aveva di vivere e di sentirsi vivere, da tutto, -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -lentamente, quasi in una seconda nascita, una -creatura migliore sorgeva. -</p> - -<p> -Erano i giorni primi di febbraio. -</p> - -<p> -Dal suo letto Orsola vedeva la sommità dell'arco -di Portanova, i mattoni rossicci tra cui -crescevano l'erbe, i capitelli sgretolati dove le -rondini avrebbero appeso i nidi. Le viole di -Sant'Anna nelle screpolature del fastigio non -anche fiorivano. Il cielo sopra si apriva in una -gentile beatitudine; e per l'aria a tratti giungevano -dall'arsenale gli squilli delle fanfare. -</p> - -<p> -Fu allora che, quasi con un senso di meraviglia, -ella riandò l'esistenza trascorsa. Le pareva -quasi che quel passato non le appartenesse, -non fosse suo: una lontananza smisurata -ora la divideva da quei ricordi, una lontananza -come di sogno. Ella non aveva più -la valutazione sicura del tempo; ella doveva -guardare gli oggetti che la circondavano, fare -uno sforzo della mente, raccogliersi a lungo, -per ricordare. Si toccava con le dita le tempie -dove i capelli rigerminavano tenui, e un sorriso -vago di smemorata le sfiorava le labbra -pallide, le fuggiva negli occhi. -</p> - -<p> -— Ah! — susurrò fioca; e il gesto delle -dita alle tempie le ritornava, gentilmente. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -</p> - -<p> -Era stata una vita triste ed uguale, in quelle -tre stanze, fra tutte quelle piccole statue deformi -di Santi, fra tutte quelle imagini di Madonne, -fra tutti quei bimbi compitanti in coro -ad alta voce per cinque ore del giorno le -medesime parole scritte col gesso su la lavagna. -Come le martiri gloriose della leggenda, -come Santa Tecla di Licaonia e Santa Eufemia -di Calcedonia, le due sorelle avevano -consacrata la loro verginità allo Sposo celeste, -al talamo di Gesù. Avevano mortificata la -carne a furia di privazioni e di preghiere, respirando -l'aria della chiesa, l'incenso e l'odore -delle candele ardenti, cibandosi di legumi. -</p> - -<p> -Avevano stupefatto lo spirito in quell'esercizio -arido e lungo di sillabazione, in quel freddo -distillìo di parole, in quell'opera macchinale -dell'ago e del filo su le eterne tele bianche -odoranti di spigo e di santità. Mai le loro mani -cercarono la dolcezza delle chiome infantili, -il tepore di quel biondo angelico; mai le loro -labbra cercarono la fronte dei discepoli, in una -effusione di tenerezza improvvisa. Insegnavano -la piccola dottrina, i piccoli canti della religione; -facevano prostrare tutte quelle teste gioconde -lungamente sotto le ammonizioni quaresimali; -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -parlavano del peccato, degli orrori del peccato, -delle pene eterne, con la voce grave, mentre -tutti quei grandi occhi si empivano di meraviglia -e tutte quelle bocche rosee si aprivano allo -stupore. Intorno, per le fantasie vive dei fanciulli -le cose si animavano: dal fondo dei vecchi -quadri uscivano certi profili giallognoli di santi -misteriosi; e il Nazareno cinto di spine e di stille -sanguigne guardava da ogni parte con gli -occhi agonizzanti, perseguitando; e su per la -gran cappa del camino ogni macchia di fumo -prendeva una forma atroce. Così infondevano -esse la fede in quelle anime inconsapevoli. -</p> - -<p> -Ora il ricordo di quella sterilità si destò in -Orsola torbidamente. Ella risaliva, risaliva agli -anni più lontani, per una naturale tendenza dello -spirito, si rifugiava alle fonti; e una pienezza -improvvisa di giubilo la inondò come se in -un momento tutta la sua infanzia le rifluisse -al cuore. -</p> - -<p> -— Camilla! Camilla! — chiamò. — Dove -sei? — La sorella non rispose, non era nell'altra -stanza; era forse andata giù, nella chiesa, -al vespro. Allora la convalescente fu presa dalla -tentazione di mettere i piedi a terra, di provare -i passi sul pavimento, così, sola. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -</p> - -<p> -Rideva d'un riso timido di bambina che -esiti in un'impresa difficile; socchiudeva gli occhi -soffermandosi nel nuovo diletto di quel -pensiero: palpava con le dita le ginocchia, le -caviglie esili, raccogliendosi, come per misurare -la forza; e rideva, rideva poichè il riso -le insinuava uno sfinimento dolce, una sottile -delizia vibrante, in tutto l'essere. -</p> - -<p> -Una freccia di sole strisciava sul davanzale -e feriva l'acqua di un bacile in un angolo: -il riflesso mobile tremolava nella parete, come -una fine trama di oro. Uno stuolo di colombi -attraversò lo spazio e venne a posarsi su -l'arco; parve un augurio. Ella pianamente -scansò le coperte, esitò ancora: seduta su la -sponda del letto cercava con la punta del piede -scarno e giallo la pianella di lana. La trovò, -trovò l'altra; ma ora una tenerezza subitanea -l'assaliva e le si empivano di lacrime gli occhi, -e tutto tremolava dinanzi a lei in un albore -indistinto come se le cose in torno si facessero -aeree ed evanissero. Le lacrime le rigavano -le guance, le si fermavano alla bocca -tiepide e salse: ella ne bevve alcune, ne sentì -il sapore. Fuori, dall'arco i colombi a uno a -due si rialzavano, frullando. Orsola con un -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -moto delle fauci respinse il groppo del pianto; -poi si poggiò su la sponda, premette, si alzò finalmente -in piedi; sorrise dagli occhi umidi, guardandosi. -Non sapeva di essere così debole, di -non potersi così reggere diritta su le gambe; -aveva una strana sensazione di formicolìo negli -stinchi, di vellicamento nei muscoli, quasi la -sensazione d'un ferito che si levi quando l'osso -infranto non anche è bene saldato. Tentò di -muovere un passo, avanzò il piede, timidamente; -ebbe paura, sedette di nuovo su la sponda, guardandosi -in torno come per assicurarsi che non -la spiava alcuno. Poi cercò un punto di meta, -la finestra; e ricominciò, pianamente, con gli occhi -fissi sul piede che avanzava, in equilibrio, -stringendosi lo scialle verde al petto, invasa -un poco dal freddo. Un subitaneo spavento la -prese, a mezzo: ella barcollò, agitò le mani, si -rivolse verso il letto, mise tre o quattro passi -precipitosi, ricadde su la sponda. Stette un momento -là, in affanno; rientrò sotto le coperte -dove ancora restava il tepore, s'avvolse e si -raccolse rabbrividendo. -</p> - -<p> -— Come sono debole, Signore! -</p> - -<p> -E guardava curiosa sul pavimento il luogo dove -ella aveva fatto i passi, quasi vi cercasse le orme. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Di questo primo tentativo non disse nulla -alla sorella. Quando sentì Camilla rientrare, -chiuse gli occhi, stette immobile come una dormiente, -provando uno strano piacere in sè di -quell'inganno, ricacciando a forza indietro il -riso che la vellicava a sommo del petto e le -saliva alle labbra. Ella gioiva di quel piccolo -segreto: tutti i giorni aspettava con un desiderio -inquieto l'ora in cui Camilla scendeva le -scale; restava un momento in ascolto, seduta -sul letto, fin che giungeva il rumore del lento -discendere; poi si levava, soffocando gli scoppi -di riso, appoggiandosi alle pareti, ai mobili, -mettendo gridi di paura sommessi ogni volta -che le ginocchia minacciavano di piegarsi, ogni -volta che l'equilibrio mancava. -</p> - -<p> -Dal forno di Flaiano a quell'ora saliva quasi -sempre l'odore del pane ad irritarla. Ella si avvicinava -alla finestra per cercare il vento; provava -una tortura mista di voluttà nell'aspirare quella -emanazione sana, con la lingua nuotante nell'acquolina -e gli occhi vivi di cupidigia. Allora -la prendeva una furia di frugare da per tutto, -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -di mettere da per tutto le mani, traendosi di -quà di là con minore lentezza, facendo sforzi -inutili e irosi su le serrature di cui Camilla -aveva portato seco le chiavi. Una volta, in fondo -al repostiglio di un tavolino trovò una mela e -ci ficcò i denti golosamente. Da tempo nel regime -severo della convalescenza, ella non assaporava -un frutto. In quello era un fresco profumo -di rosa, il profumo che in certe mele aggrinzite -e scolorite si accoglie. Cercò di nuovo -nel repostiglio, sperando; ma non trovò se non -una specie di siliqua verdognola, chiusa, che -doveva contenere forse un gruppo di semi; e -la prese, la guardò curiosamente, la nascose -sotto il guanciale. -</p> - -<p> -Passava così quell'ora, in segreto, con il godimento -acre che danno ai fanciulli in guarigione -le cose proibite, le infrazioni degli ordini -dottorali, i piccoli furti. Solo testimone era un -micio, tutto maculato come una pelle di serpente, -che girava talvolta intorno a Orsola con -un miagolìo familiare o si fermava teso invano -a ghermire se fuori volavano su l'arco -i colombi. A poco a poco Orsola prendeva -amore a quel compagno discreto. Ella lo accoglieva -nel tepore del letto, gli sussurrava parole -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -senza nesso, lo guardava lungamente leccarsi -con la lingua rosea la zampa, porgere la -gola di lucertola alla blandizia, una gola gialliccia -che palpitava d'un suono rauco e dolce -simile al tubare delle tortore nei boschi. Ella, -forse per un naturale ricorso di quel suo misticismo -anteriore, amava i bagliori tralucenti -dagli occhi dell'animale nella penombra, quegli -sprazzi di fosforo, che emanavano da una forma -misteriosa e silenziosa nella tenebra. -</p> - -<p> -Camilla vedeva tutte queste strane predilezioni -della sorella, con una specie di diffidenza -ed anche di rammarico sordo, ma taceva. E -lentamente, quasi insensibilmente, quelle due -anime si distaccavano, si allontanavano per repulsa. -</p> - -<p> -Erano prima vissute in una comunione di -abitudini e di sentimenti continua, perchè in -loro ogni diversità d'indole e ogni insorgimento -si agguagliava e placava nell'unica fede, nel -culto infrangibile della deità di Cristo, in quel -contemplamento ch'era divenuto lo scopo della -vita loro. Ma come il culto le assorbiva intere, -in loro i legami della consanguineità a poco a -poco erano stati coperti e sopraffatti da quelli -della comune religione; quindi non mai una -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -espansione di tenerezza le aveva ricongiunte, -non mai un abbandono di confidenza e di ricordi -o di speranze, come sorelle. Erano correligionarie, -erano membri della grande famiglia -di Gesù spersi su la terra e agognanti il Cielo. -</p> - -<p> -Così che a pena, per la rinnovazione operata -prima dalla malattia e dopo dal regime, in Orsola -si manifestarono inaspettati atteggiamenti -d'indole e modi inconsueti, la repulsa avvenne -inevitabile e la voce del comun sangue sopita -non si potè levare a contrasto. -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -I discepoli tornarono: fu la prima volta una -mattina del marzo nascente. Orsola s'era levata -dal letto; stava seduta su la sponda, col -calore del sole alla nuca ed agli omeri. Nella -stanza si sentiva l'odore agro dell'aceto che -Camilla aveva versato nei calamai muffiti; e -dalle finestre raramente il vento recava gli effluvii -delle viole già fiorite su l'arco. -</p> - -<p> -L'infanzia alitò nella stanza come un fiato di -quel vento marzolino. Fu prima su l'uscio un -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -sospingersi tumultuoso di piccole teste che volevano -sollevarsi le une su le altre per vedere; -poi l'esitazione, la timidità, una specie di meraviglia -ingenua dinanzi alla maestra pallida pallida -e scarna che i discepoli riconoscevano a -pena. -</p> - -<p> -Ma la vergine sorrideva, sotto un turbamento -improvviso di tutto il suo sangue; li chiamava -a sè, confondeva i loro nomi che le si affollavano -alle labbra, tendeva loro le mani. A uno, -a due, a tre, i bimbi si avanzavano, volevano -prenderle le mani per metterci la bocca sopra, -ridicevano le parole di augurio imparate a casa, -ingoiando per la furia le sillabe. -</p> - -<p> -— No, no, non più! — esclamava Orsola, sopraffatta, -ma abbandonando le mani a quelle -bocche tiepide e molli. Si sentiva quasi mancare. -</p> - -<p> -— Camilla, tienili, tienili. -</p> - -<p> -Ogni bimbo recava un dono: erano fiori, -erano frutta. Le violette avevano subito sparso -il profumo nell'aria, e in quel profumo, in quella -luce tutte quelle facce infantili invermigliate dal -buon sangue plebeo sorridevano. -</p> - -<p> -Poi la lezione, nell'altra stanza, cominciò. La -prima classe diceva a voce alta le vocali e i -dittonghi, la seconda sillabava; e su quel coro -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -chiarissimo a tratti si levava l'ammonimento di -Camilla. -</p> - -<p> -— <i>La, le, li, lo, lu...</i> -</p> - -<p> -Negli intervalli di silenzio, si udiva Matteo -Puriello picchiare su le suola o il telaio della -Jece sbattere. -</p> - -<p> -— <i>Va, ve, vi, vo, vu...</i> -</p> - -<p> -Allora Orsola s'infastidì. La monotonia de' rumori -e delle voci le dava al capo una pesantezza -ingrata, le conciliava il sonno, mentre ella -voleva essere desta, mentre ella sentiva ancora -intorno a sè la respirazione dei fanciulli, il soffio -giocondo di quelle vite. -</p> - -<p> -— <i>Bal, bel, bil, bol, bul...</i> -</p> - -<p> -Prese i fiori, li mise in un bicchiere pieno -d'acqua per conservarli. Li fiutò poi lungamente, -stette con le narici tra quel fresco, chiudendo -gli occhi, raccogliendosi tutta in quel peccato -d'olfatto. -</p> - -<p> -— <i>Gra, gre, gri, gro, gru...</i> -</p> - -<p> -Una gran nuvola bianca velò il sole. Orsola -si accostò alla finestra, si porse al davanzale -per guardar giù nella piazza. Di fronte, Donna -Fermina Memma in una roba rosata stava sul -balcone, tra i vasi dei garofani; e un gruppo -di ufficiali passava sotto a lei ridendo e facendo -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -un tintinnìo di sciabole sul lastrico. Più in là, -nel giardino pubblico le piante di lilla erano sul -fiorire, la punta del gigantesco pino si piegava -al vento. Dalla cantina di Lucitino usciva Verdura, -l'eterno ubriaco, barcollando e vociferando. -</p> - -<p> -Orsola si ritrasse: era la prima volta, dopo -tanto, che si affacciava su la piazza. Le parve -di essere in alto in alto, guardando in giù; la -prese una leggera vertigine. -</p> - -<p> -— <i>Nar, ner, nir, nor, nur...</i> -</p> - -<p> -Il coro dentro seguitava, ancora, ancora, ancora. -</p> - -<p> -— <i>Pla, ple, pli, plo, plu...</i> -</p> - -<p> -Orsola si sentiva soffocare, venir meno, a -quella tortura: i suoi poveri nervi indeboliti cedevano. -Il coro seguitava, al ritmo della bacchetta -di Camilla battuta sul tavolino, implacabile. -</p> - -<p> -— <i>Ram, rem, rim, rom, rum...</i> -</p> - -<p> -— <i>Sat, set, sit, sot, sut...</i> -</p> - -<p> -Allora un impeto subitaneo di singhiozzi -squassò la convalescente, l'abbattè sul letto. Ella -singhiozzava, così, bocconi, a braccia aperte, -premendo la faccia su i guanciali, scossa dai -sussulti, senza potersi frenare. -</p> - -<p> -— <i>Tal, tel, til, tol, tul...</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -</p> - -<h3>VI.</h3> - -<p> -Le erano ricresciuti tutti i capelli, crespi e castanei, -come prima. Ella aveva ora una curiosità -grande di guardarsi nello specchio; perchè Rosa -Catena, con uno di quei lezii che sempre svelavano -in lei l'antica femmina impudica, passandole -la mano sul corpo le aveva detto: — Bellezza! -</p> - -<p> -Aspettò dunque che Camilla uscisse; poi scese -dal letto, staccò dalla parete uno di quelli specchi -<i>rococò</i> a cornice d'oro appannati di macchie -verdi; con un lembo della coperta tolse la polvere -e si guardò dentro, sorridendo. Ella aveva -tutto il collo nudo e pe 'l collo certe vene azzurrognole -quasi in rilievo, e nella testa piccola -e lunga qualche cosa di caprino, la bocca fine, -il mento acuto, gli occhi castanei come i capelli, -ma più tendenti al giallo. Il pallore trasparente -e il sorriso davano una grazia nuova, una nuova -giovinezza ai suoi ventisette anni. -</p> - -<p> -Ella restò a guardarsi a lungo; e si piaceva di -allontanare lentamente lo specchio e di veder -sparire l'imagine in quella luce un po' glauca come -in un velo d'acqua marina e quindi riemergere. -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -La vanità la conquistava, la occupava. Ella si -accorse di tante piccole cose a cui prima non -aveva badato mai; per esempio, di un neo simile -a una lenticchia, che le macchiava la pelle -su la tempia sinistra, e di una cicatrice leggera -che le attraversava l'arco di un sopracciglio. -Restò così, a lungo. Poi, assalita da una gioia -repentina cercò in torno un qualche diletto. -</p> - -<p> -Quella capsula vegetale, ch'ella aveva trovato -in fondo a un repostiglio, s'era aperta come in -due valve scoprendo un grappolo denso di semi -nerastri. Ogni seme pareva legato a filamenti -sottilissimi d'una lucidità argentea; e il grappolo -si manteneva compatto. Ma a pena la -Vergine vi mise un soffio, un nuvolo di piumoline -bianche si levò nell'aria e si sparpagliò qua e -là brillando: erano le <i>spie</i>. I semi parevano alati, -parevano insetti ésili ed evanescenti che si dissolvessero -incontrando i raggi del sole o parevano -lanugini di cigno a pena visibili; ondeggiavano, -ricadevano, si mescolavano ai capelli -di Orsola, le sfioravano la faccia, la coprivano -tutta. Ella rideva, difendendosi da quell'invasione, -cercando di scacciare quella pelurie che -le vellicava la pelle e le si attaccava alle mani, -ma le risa le impedivano i soffii. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -</p> - -<p> -Alla fine si distese lunga sul letto, lasciò -che tutta quella molle nevicata le scendesse sopra -lentamente. Teneva gli occhi semichiusi per -prolungare la dolcezza; e a mano a mano che -il sopore la invadeva, si sentiva come sommergere -in un giaciglio alto di piume. La luce che -entrava nella stanza era una di quelle pallide -chiarità pomeridiane del mese di marzo, ove il -sole ride modestamente estinguendosi come un -indizio di aurora in un gran cielo albeggiante. -</p> - -<p> -Camilla trovò la sorella ancora addormentata -con accanto lo specchio, con ne' capelli le <i>spie</i>. -</p> - -<p> -— Oh, Signore Gesù! oh Signore Gesù! — mormorò -tra i denti, congiungendo le mani, in -atto di compassione amara. -</p> - -<p> -La cristiana veniva dalla chiesa, dove aveva -cantate le litanie per l'Annunciazione e aveva -ascoltata la predica sul messaggio dell'Arcangelo -all'ancella di Dio. <i>Ecce ancilla Domini</i>. L'eloquenza -sonora del frate predicante l'aveva -inebriata; le restavano ancora negli orecchi certe -parole ammonitrici. -</p> - -<p> -Orsola si destava in quel momento con un -lungo sbadiglio voluttuoso, e stirava le membra. -</p> - -<p> -— Ah! sei tu, Camilla? — disse ella un po' -confusa da quella presenza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -</p> - -<p> -— Sono io, sono io! Tu ti perderai, sciagurata, -tu ti perderai — irruppe la devota, additando -lo specchio sul letto. — Tu hai tra le -mani lo strumento del demonio... -</p> - -<p> -Ed eccitata dalla prima invettiva, ella seguitava, -sollevava la voce, gittava le frasi ardenti -della predica con grandi gesti nell'aria, incalzava -nelle minacce dei castighi eterni, non si -rivolgeva soltanto alla pericolante, assorgeva ad -ammonire l'universo dei peccatori. -</p> - -<p> -— <i>Memento! Memento!</i> -</p> - -<p> -Orsola non intendeva più nulla, poichè tutta -quella vociferazione l'aveva stordita. -</p> - -<p> -D'un tratto dall'angolo della piazza scoppiò la -fanfara militare con uno squillo di venti trombe. -</p> - -<h3>VII.</h3> - -<p> -L'ultima stanza della casa era stretta e -bassa, con le travi del soffitto annerite dal fumo, -piena d'un lezzo di cipolle, di rigovernatura e -di carbone spento. I vasi di rame pendevano -alla parete in ordine, senza luccichìo; i piatti -di Castelli stavano in ordine su la mensola con -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -le loro gioconde pitture di fiori, di uccelli e di -teste ridenti; le antiche lucerne di ottone, le -bottiglie vuote, le foglie di erbaggio non più -fresche erano sparpagliate per le tavole; e su -tutto dominava proteggitore San Vincenzo effigiato -con il gran libro in una mano e la fiamma -rossa in mezzo al cranio. -</p> - -<p> -Là, un tempo, Orsola stando in mezzo ai vapori -dell'acqua bollente e alle esalazioni dei cibi -vegetali, spesso aveva sentito giungersi sul capo -dalla piccola finestra alta i ritornelli d'una canzone -libertina e certi larghi schiamazzi di risa -che s'inseguivano. I canti e le risa crescevano -nelle sere di estate, tra i passagalli delle chitarre, -fra gli urti della danza sul terreno. Tutti -i romori della vita d'una suburra infima salivano, -in certe ore, a quella altezza e facevano -tremare d'orrore le povere spose di Gesù -chine in umiltà su i tegami d'argilla pieni dell'eremitica -innocenza dei legumi e delle verdure. -Ma ora, al novel tempo e gaio, come un giorno -udì Orsola le voci, una voglia nell'animo le -corse di spinger la vista fuori. -</p> - -<p> -Camilla non stava nella casa; era la domenica -quinta di Lazzaro. Urgeva nell'aria, dopo -le brevi piogge, con un più dolce alito di -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -calore l'imminenza dell'aprile; e in quell'aria -la pulzella più aveva pieno e chiaro il senso -del suo rinascimento. E, in ozio, girando per -le stanze, ebbe ella naturalmente la curiosità -di guardare, presa al fascino malsano che gli -spettacoli di lascivia esercitano anche sugli animi -verecondi. -</p> - -<p> -Ella salì su una sedia all'altezza dell'apertura; -ma prima di spingere lo sguardo innanzi, fu -invasa da un turbamento di tremiti, e ritta su -la sedia si volse intorno temente se non qualcuno -la sorprendesse nell'atto. -</p> - -<p> -Intorno tutto era quieto; ogni tanto una gocciola -d'acqua cadeva dall'alto in un bacile, sonando. -Di fuori salivano le voci ed allettavano. -</p> - -<p> -La vergine rassicurata, guardò. Nel vicolo, -sotto la pioggia il fradiciume aveva fermentato -come un lievito; una melma nera copriva il lastrico, -ove spoglie di frutta, residui di erbe, -stracci, ciabatte marce, falde di cappello, tutto il -ciarpame sfatto che la miseria gitta nella strada, -si mescolavano. Su quella cloaca, in cui il sole -suscitava insetti e miasmi, una fila di case nane -pareva ansare addossata alla Caserma. Da tutte -le finestre però, da tutti gli spiragli si riversavano -le piante dei garofani non più contenute nei -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -vasi; e i grandi fiori rosei e rossi penzolavano -al sole aperti magnificamente. E tra quei fiori -apparivano le facce flosce e dipinte delle meretrici, -passavano le oscenità delle canzonette, -le risa gutturali; e giù sul lastrico, sotto le inferriate -della caserma, altre femmine si tendevano -verso i soldati parlando a voce alta, provocandoli. -E i soldati, che sentivano nel sangue -alla primavera rifiorire i mali di Venere, allungavano -le mani di tra le sbarre pur di brancicare -qualcosa, divoravano con gli occhi in fiamme -quelle femmine disfatte già per anni dalla lascivia -di tante ciurme briache e di tanti facchini fradici. -</p> - -<p> -Orsola stette lì stupidita allo spettacolo di tutta -quella corruzione fermentante pe'l buon sole -di quaresima e saliente fino a lei. Non si ritraeva -ancora; ma come alzò gli occhi, vide in -un abbaino sul tetto della caserma un uomo -biondo che la guardava e sorrideva. Ella scese -dalla sedia a precipizio, più pallida di prima, -credendo di sentire la voce di Camilla. Corse -nella sua stanza, e si gettò sul letto, sbigottita, -senza respiro, come se l'avesse perseguitata -qualcuno minacciandola. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -</p> - -<h3>VIII.</h3> - -<p> -Da quel giorno, tutte l'ore, tutti i momenti in -cui Camilla non era nella casa, la tentazione -diabolica la trascinava a quello spettacolo. Ella -prima pugnava, vanamente, senza forze, lasciandosi -vincere. Andava là con l'ansia sospettosa di -chi va a un ritrovo di amore; ci restava lungo -tempo, dietro la persiana quasi cadente, mentre -i miasmi del lupanare la turbavano e la corrompevano. -</p> - -<p> -Ella spiava tutto, acuendo lo sguardo, cercando -di penetrare negli interni, cercando di -scoprire qualche cosa tra i garofani che chiudevano -le finestre. Il sole era caldo e pesante: -sciami d'insetti turbinavano nell'aria. Ad intervalli, -quando entrava nel vicolo qualche uomo, -venivano dalle finestre i richiami delle aspettanti: -femmine discinte, con il seno scoperto, -uscivano fuori ad offerirsi. L'uomo spariva in -una delle porte oscure con l'eletta. Le deluse -gittavano scherni e risa dietro la coppia, e si -rimettevano all'agguato tra i garofani. -</p> - -<p> -Così nella vergine si accendeva la brama. Il -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -bisogno dell'amore, prima latente, si levava ora -da tutto il suo essere, diventava una tortura, -un supplizio incessante e feroce da cui ella non -sapeva difendersi. -</p> - -<p> -Un fiotto di sanità caldo la riempiva; certe -sùbite allegrezze le muovevano il sangue, le -suscitavan nel petto quasi battimenti d'ale, le -inspiravano canti nella bocca. A volte un soffio, -uno di quei piccoli fremiti dell'aria che si -dilata sotto il sole, una canzone di mendicante, -un odore, un nulla bastava a darle smarrimenti -vaghi, abbandoni in cui le pareva di sentire -su tutte le membra come il passaggio carezzevole -del velluto d'un frutto maturo. Ella era -così librata e perduta in abissi ignoti di dolcezza. -L'irritazione della continenza, la sovrabbondanza -insolita de' succhi, quel distendersi -continuo dei nervi sotto gli stimoli la tenevano -in una specie di stordimento simile al primo -stadio dell'ebrezza. Il passato si dileguava, si -assopiva in fondo alla memoria, non risorgeva -più. E in ogni ora, in ogni luogo il desiderio le -tendeva insidie: i santi delle mura, le madonne, -i cristi crocefissi ignudi, le piccole figure di cera -deformi, tutte le cose in torno, prendevano per -lei apparenze impure. Da tutte le cose l'impurità -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -emanava e le alitava su la persona, affocantemente. -</p> - -<p> -— Ecco, ora scendo nella strada — diceva -ella a sè stessa, non reggendo più. -</p> - -<p> -Poi le mani le tremavano su la porta, nell'aprire. -Lo stridore del chiavistello scorrente negli -anelli la sbigottiva. Ella tornava in dietro, si -gettava sul letto quasi svenendosi, livida, sotto -una larva d'uomo. -</p> - -<h3>IX.</h3> - -<p> -La domenica delle Palme ella uscì dopo tanti -mesi, per la prima volta; poichè Camilla voleva -condurla a render grazie della guarigione al -Signore. Quando le campane si misero a squillare, -Orsola s'affacciò. Tutto il paese era ridente -nel grande riso pasquale del sole d'aprile. -Tutto il contado invadeva le vie con il segno -pacifico dei rami di olivo. -</p> - -<p> -Ella ora doveva vestirsi in festa: la gente -nelle vie l'avrebbe guardata passare. Una furia -di vanità sùbito la prese: si chiuse nella stanza, -cercò in fondo alla cassa le vesti più chiare. -Un odore acuto di canfora saliva da quei vecchi -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -tessuti conservati là dentro per anni: erano -grandi gonne di seta a fiorami, verdi e violette -e cangianti, che un tempo la crinolina avea forse -gonfiate in torno alle anche di una sposa novella; -erano lunghi busti con màniche ampie, -mantelline color di tortora orlate di merletti -bianchi, veli intrecciati di fili d'argento, collari -di tela fina ricamati a giorno; tutte cose morte -per l'uso, goffe, macchiate dall'umido. -</p> - -<p> -Orsola sceglieva, come guidata da un nuovo -istinto, profumandosi di canfora le mani nel cercare. -Tutta quella seta inutile e quei veli la irritavano. -Non trovava alfine nulla che le andasse -alla persona! Chiuse la cassa irosamente, -la respinse sotto il letto con un urto del piede. -Le campane sonavano per la terza volta. Ella -si mise in furia il consueto abito triste color di -cenere, in conspetto di Camilla, mordendosi le -labbra per ricacciare in giù le lacrime. -</p> - -<p> -Le campane chiamavano. Per le vie i fasci -delle palme mettevano un mobile luccicore argenteo; -da ogni gruppo di villici sorgeva una -selva di ramoscelli; e la candida clemenza della -benedizione cristiana si diffondeva per tutta -l'aria da quelle selve, come se si appressasse il -Galileo, il re povero e dolce sedente su l'asina -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -fra la turba dei discepoli, in contro agli osanna -del popolo redento. <i>Benedictus qui venit in nomine -Domini. Hosanna in excelsis!</i> -</p> - -<p> -Nella chiesa la folla era immensa, sotto la -selva delle palme. Per una di quelle correnti -che si formano irresistibili nelle masse di popolo, -Orsola fu divisa da Camilla; restò sola in quel -rigurgito, in mezzo a tutti quei contatti, in mezzo -a tutti quegli urti e quegli aliti. Ella tentava -d'aprirsi un varco: le sue mani incontravano la -schiena d'un uomo, altre mani tiepide il cui tocco -la turbava. Ella si sentiva sfiorare il volto da -una foglia d'olivo, contrastare il passo da un -ginocchio, spingere il fianco da un gomito, offendere -il petto, offendere le spalle da pressioni -incognite. Sotto l'odore dell'incenso, sotto le -palme benedette, nella penombra mistica, in -tutto quell'ammasso di cristiani e di cristiane, -piccole scintille erotiche scoccavano per attrito -e si propagavano; amori segreti si ritrovavano -e si congiungevano. Passavano accanto a Orsola -fanciulle della campagna con palme sul petto, -con un riso fuggente nel bianco degli occhi -vòlto ad amatori che dietro le insidiavano; ed -ella sentiva in torno a sè così passare l'amore, -poneva il suo corpo tra quei corpi che si cercavano, -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -era un ostacolo a quei gesti che tentavano -toccarsi, separava le strette di quelle -mani, i legami di quelle braccia. Ma qualche -cosa di quelle carezze interrotte le penetrava nel -sangue. In un punto ella s'incontrò a faccia a -faccia con un soldato biondo; quasi gli posò il -capo su la tunica, perchè una colonna di gente -dietro la spingeva. Ella levò gli occhi; e il giovine -sorrise come aveva sorriso un giorno dall'abbaino -della caserma. Dietro, l'urto seguitava: -il vapore dell'incenso si spandeva più denso, e -il Diacono dal fondo cantò: -</p> - -<p> -— <i>Procedamus in pace.</i> -</p> - -<p> -E il coro rispose: -</p> - -<p> -— <i>In nomine Christi. Amen.</i> -</p> - -<p> -Era l'annunzio della processione, che mise un -sommovimento enorme in tutto il popolo. Per -istinto, senza pensare, Orsola si attaccò all'uomo, -come se già gli appartenesse; si lasciò quasi -sollevare da quelle braccia che la prendevano -ai fianchi, si sentì ne' capelli quel fiato virile -che sapeva lievemente di tabacco. Ella andava -così, indebolita, sfinita, oppressa da quella voluttà -che l'aveva colta d'improvviso, non vedendo -se non un barbaglio dinanzi a sè. -</p> - -<p> -Allora dall'altare maggiore si mosse il turiferario -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -spargendo nuvoli di fumo cerulo e dolce -sul popolo; e una processione candida si svolse -nel mezzo della chiesa. I celebranti portavano -in mano rami d'olivo e cantavano. -</p> - -<h3>X.</h3> - -<p> -Tutta la settimana santa protesse delle sue -complici ombre l'amore della vergine Orsola. -Le chiese erano immerse nel crepuscolo della -Passione, i crocifissi sugli altari erano coperti di -drappi violacei; i sepolcri del Nazareno erano -circondati di grandi erbe bianche cresciute nei -sotterranei; un profumo di fiori e di belzuino -pesava nell'aria. -</p> - -<p> -Là Orsola, inginocchiata, attendeva, fin che -un passo leggero dietro di lei la faceva trasalire. -Ella non poteva volgersi, perchè Camilla la vigilava; -ma si sentiva tutta abbracciare dallo -sguardo di quell'uomo, come da un fuoco sottile, -e una tenerezza torbida le scendeva nella -carne. Allora fissava i ceri digradanti su un -triangolo di legno presso l'altare. I preti cantavano -dinanzi a un gran libro; e ad uno ad -uno i ceri venivano spenti. Non ne rimanevano -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -che cinque, non ne rimanevano che due; l'oscurità -si avanzava dal fondo delle cappelle su la -gente in preghiera. L'ultima fiammella finalmente -spariva; tutte le panche risonavano sotto -le battiture delle verghe. Orsola nel buio, a -pena si sentiva toccare da due mani cercanti, -scattava dal pavimento, con un sussulto, smarrita. -Poi, quando usciva dalla chiesa, il pensiero -d'aver violato un luogo sacro la empiva di rimorso: -subitamente, la paura del castigo risorgeva. -Ella s'inabissava poi come in un sogno -dove la figura livida di Gesù morto e lo scroscio -delle battiture e i brividi della carne sollecitata -e l'odor grave dei fiori e gli aliti di quell'uomo -biondo si mescolavano in un senso dubbio -di dolore e di piacere. -</p> - -<h3>XI.</h3> - -<p> -Ma come Gesù trionfante risalì alla gloria dei -cieli, gli aromi pasquali non più confortarono -l'amore della vergine Orsola. Scena dell'amore -fu allora il dominio dei gatti randagi e dei colombi -torraioli. Dall'abbaino alla finestra i dolci -segni correvano: tra mezzo, il lupanare si sprofondava -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -come un fossato d'acque limacciose a' cui -cigli crescessero fiori alimentati dalla putredine. -I colombi sorvolavano con il luccichio verde e -grigio delle loro piume. -</p> - -<p> -L'amadore aveva un bel nome antico, si chiamava -Marcello, e aveva un bel fregio rosso e -d'argento su le maniche della tunica. Scriveva -epistole piene di fuoco eterno, con frasi impetuose -che davano all'amatrice deliquii di tenerezza -e fremiti di voluttà mal contenuta. Orsola -leggeva quei fogli in segreto, li teneva notte e -giorno nel seno: pe 'l calore la scrittura violetta -le s'imprimeva su la pelle, ed era come -un gentile tatuaggio d'amore, di cui ella gioiva. -Le risposte di lei non finivano mai: tutta la sapienza -grammaticale di una maestra, tutto il tesoro -delle apostrofi psalmistiche di una devota, -tutta la fluente sentimentalità di una pulzella -tardiva si riversava su la carta de' quaderni -scolastici rigati di turchino. Ella scrivendo si -obliava, si sentiva trascinare in un'onda di verbosità -sonore. Pareva quasi che una facoltà novella -si esplicasse in lei e prendesse forme maniache, -d'improvviso. Quel gran sedimento di -lirismo mistico accumulato per la lettura de' -libri di preghiera in tanti anni di fedeltà allo -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -Sposo Celeste, ora, scosso dal tumulto dell'amore -terreno, si levava su confusamente per -assumere sapori di profanità nuovi. Così le lacrimose -implorazioni a Gesù si mutavano in sospiri -di speranza verso letizie d'amplessi non -eterei, le offerte del fior dell'anima al Sommo -Bene si mutavano in tenere dedizioni della carne -al disio del biondo amante, e il lume afrodisiaco -della luna si cingeva di tutti gli epiteti per cui -va radioso lo Spirito Santo, nè gli zefiri della -primavera mancavan di rapire gli aromi alle -mense del Paradiso. -</p> - -<h3>XII.</h3> - -<p> -Era messaggero uno di quegli uomini che -paion cresciuti su, come funghi, dall'umidità -della strada immonda ed hanno in tutta la figura -quasi una nativa tinta di fango; di quelli -uomini bigi, che s'insinuano per tutto, che si -trovano per tutto ov'è un centesimo da guadagnare, -un po' di untume da leccare, uno straccio -da sottrarre, oggi rigattieri e domani procaccianti -in atto di serve o di male femmine, -oggi falsi sensali di mercatanzia e domani accalappiatori -di cani erratici. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -</p> - -<p> -Costui aveva un nome melodrammatico, si -chiamava Lindoro: dal quartiere dell'Ospedale -al bastione di Sant'Agostino una popolarità -grande s'era fatta in torno a questo nome. Nasceva -costui dall'accoppiamento d'un sonatore -ambulante di clarinetto con una piazzaiuola rivenditrice -di fruttaglia, ereditando l'istinto nomade -del padre e la naturale avarizia della madre. -S'era prima strascicato per gli immondezzai -di tutte le case, con la scopa o il canestro; -aveva poi fatto il guattero in una bettola, -dove soldati e marinai gli gettavano sul -viso gli sgoccioli del bicchiere e le spine del -pesce mal fritto. Dalla bettola era caduto in un -forno, dove spingeva i pani con la lunga pala -dentro le fiamme, tutta la notte, in sudore, accecandosi. -Dal forno era passato all'uffizio di -accenditore pubblico de' fanali, logorandosi una -spalla sotto il peso della scala portatile. Scacciato -da quell'uffizio perchè sottraeva il petrolio -dalle grandi casse di zinco bianco, si mise alla -ventura della strada, comprando e rivendendo -abiti vecchi, facendo in tutte le case popolane -i servigi più vili, offrendo ai soldati e ai forestieri -i suoi ruffianesimi, lottando così per il -tozzo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -</p> - -<p> -Nel suo corpo e nella sua anima ogni mestiere -aveva impresso una traccia, aveva lasciato un -gesto abituale, uno sviluppo di singoli muscoli, -l'indebolimento di un organo, una callosità, una -cadenza di voce, una frase del gergo. Egli era -di piccola statura, magro, con una testa enorme -e quasi calva, con chiazze di peli radi su le -guance, con pustole tra i peli. Il suo vestito -era ibrido e mutevole; tutte le fogge passavano -su la sua persona, si sovrapponevano a -contrasto: nobili zimarrine verdognole e calzoni -carichi di toppe, cappelli di feltro arrossenti -e ciabatte servili, bottoni di metallo lucido, -formelle d'osso bianco, galloni militari, trine, -quel miscuglio di ricchezza sfatta e di miseria -ignobile, che ingombra la bottega di un rigattiere -ebreo. -</p> - -<h3>XIII.</h3> - -<p> -Ora costui fu il galeotto. Portava le epistole -di Marcello con le conche piene d'acqua della -Pescara su alla casa di Orsola e tornava giù -con le conche vuote e con epistole di risposta. -Orsola, quando lo sentiva salir le scale, -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -si faceva pallida; cercava pretesti per allontanare -Camilla, per essere sola con l'uomo portatore -d'acqua e di gioia. Avvenivano allora contatti -rapidi, nel sotterfugio; passavano allora tra -lei e il galeotto quegli sguardi obliqui d'intesa, -quei fuggevoli accenni dei muscoli faciali, quei -monosillabi sommessi, che son gli aiuti dell'astuzia -umana e che a lungo andare stringono -legami tra gli ingannatori. A poco a poco nell'amore -di Orsola penetrava qualche cosa della -viltà di Lindoro; una specie di domestichezza -a poco a poco si stabiliva tra l'amatrice e l'ambasciatore. -Ella, se costui giungeva nell'assenza -di Camilla, lo incalzava di domande, gli parlava -da presso facendogli sentire l'alito, qualche -volta inavvedutamente gli posava su la spalla -una mano. Lindoro scioglieva i freni della sua -loquacità, intramezzando parole di gergo, reticenze -impudiche, furbi sorrisi rivelatori, gesti -ambigui, piccoli schiocchi di lingua e di labbra. -</p> - -<p> -Egli ruffianeggiava con arte, sapeva insinuare -sottilmente la corruzione nell'animo di Orsola, -sapeva trascinare lentamente all'insidia di Marcello -quella preda. E la vergine stava ad ascoltarlo -intenta, con in fondo agli occhi una fiamma -che cresceva, con in bocca l'aridezza prodotta -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -dall'orgasmo lascivo, senza più interrompere. -Lindoro s'accorgeva subito di aver suscitato -nella femmina la brama; e dinanzi a quella figura -tutta protesa e tutta sconvolta si risvegliava -in lui il maschio d'un tratto e l'assaliva -la tentazione di cogliere quel fiore ch'egli apprestava -al piacere di un altro. Ma la paura sorgente -dal fondo della sua viltà lo tratteneva e -gli ghiacciava l'ardore. -</p> - -<p> -Così Orsola al fine aveva concesso a Marcello -un ritrovo. Si sarebbero ritrovati in una -casa remota del sobborgo, in fondo a un vico -deserto, dove nessuno li avrebbe spiati, una domenica -di giugno, stando Camilla nella chiesa -più lungo tempo, facendo buona guardia Lindoro. -</p> - -<p> -Nei giorni precedenti quel gran fatto, Orsola -era tenuta da una eccitazione amara, da -una specie di febbre che a volte le dava il battito -dei denti e le vampe alla faccia e i brividi -alla radice dei capelli, alla nuca. Ella non poteva -più star ferma, non poteva più star seduta; -poichè una furia di mobilità le sollecitava tutte -le membra. Nella scuola, in mezzo al coro eguale -dei discepoli, in mezzo a quello stillicidio continuo -di sillabe, uno spirito di ribellione le abbagliava -la vista all'improvviso, ed ella avrebbe -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -voluto balzare tra i fanciulli, sconvolgere con le -mani tutte quelle capigliature, rovesciare la lavagna, -le tabelle, le panche, rompere in grida, -spezzare qualche cosa, stordirsi. Sotto lo sguardo -freddo e scrutatore di Camilla, poco mancava -che ella non svenisse per lo spasimo, per la bile, -per l'immenso sforzo interiore di dissimulazione. -</p> - -<p> -Poi, quando Camilla usciva, ella si agitava -per tutte le stanze, moveva le sedie, morsicchiava -un fiore, beveva d'un fiato un gran bicchier -d'acqua, si guardava nello specchio, si affacciava -alla finestra, si abbatteva a traverso -il letto, sfogava in mille modi l'irrequietudine, -l'esuberanza della vitalità sensuale. Tutto il suo -corpo, nel tardivo fermento della verginità, si -era arricchito ed espanto. La sua testa non era -bella, non aveva la quadratura vigorosa, lo splendore -olivastro di certe razze d'Abruzzo, quelle -pure linee del naso e del mento svolgentisi grecamente -nella latina ampiezza della faccia. Ma -ella, inconsapevole, sotto la goffaggine delle -vesti grige, sotto la cascaggine delle pieghe incomposte, -celava un bel corpo delicato. -</p> - -<p> -Erano i giorni primi di giugno: sorgeva l'estate -dalla primavera, come da un campo d'erbe -un àloe. Tra il mare e il fiume tutto il paese -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -di Pescara godeva nella ventilazione salina e -nel refrigerio fluviale, come distendendo le braccia -verso quei naturali confini d'acqua amara e -d'acqua dolce. Salivano alla stanza di Orsola -allora le blandizie della temperie; insetti lucidi -urtavano ai vetri e rimbalzavano, come una -grandine d'oro. -</p> - -<p> -La vergine, se era sola, provava un bisogno di -distendersi, di gettare lungi le vesti, di giacere, -e di raccogliere su la pelle quella blandizia -ignota che fluttuava nell'aria. -</p> - -<p> -Cominciava lentamente a spogliarsi, con gesti -pigri, indugiando con le dita in torno alle allacciature -e ai fermagli, facendo piccoli sforzi -svogliati nel cacciar fuori le braccia dalle maniche, -fermandosi a mezzo e abbandonando in -dietro la testa dai capelli crespi e corti, quella -sua testa di giovincello. Lentamente, sotto l'amorosa -fatica, dalla informità delle vesti, come -dalla scoria del tempo una statua diseppellita, -il corpo ignudo si rivelava. Un mucchio di lana -e di tela vile era ai piedi della pulzella così purificata, -e da quel mucchio ella come da un piedestallo -sorgeva nella luce coronandosi con le -braccia, mentre al contatto dell'aria una vibrazione -a pena visibile le correva a fior della pelle. -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -In quell'attitudine momentanea tutte le linee del -torso si distendevano e salivano verso il capo -ricinto: si appianava la leggera onda del ventre -non anche deturpato dalla concezione; gli archi -delle coste si disegnavano in rilievo. Poi, se un -insetto entrava nella stanza, il ronzìo aliante in -torno ed accennante ad attingere la nudità, il -ronzìo sbigottiva Orsola; ed era allora un difendersi -dalla puntura mal temuta, erano movimenti -serpentini, scatti di muscoli sotto la cute, -paurosi raggruppamenti di membra, falli dei malleoli -non bene forti al gioco. -</p> - -<p> -Poi, così eccitata dal moto e calda, ella aveva -voglie nuove. Apriva l'uscio, cauta in sospetto; -e metteva fuori il capo guardando nell'altra stanza. -C'era un odore di chiuso, quello squallore -inanimato che hanno le scuole senza fanciulli. -Nelle tabelle quadrate l'alfabeto cubitale e i -gruppi dei dittonghi e delle sillabe stavano muti -dominatori del luogo. Orsola si avanzava evitando -co' piedi nudi gli interstizii del pavimento -smosso, provando la titubanza di chi cammina -scalzo per la prima volta su un piano aspro e -la confusione di una donna che non sente più -in torno al suo passo l'impedimento abituale della -veste. Andava così fino alla terza stanza, dov'era -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -l'acqua. Intingeva le mani, si spruzzava tutta, coraggiosamente, -sussultando se una gocciola più -grossa le rigava l'epidermide. Usciva di là, tutta -sparsa di rugiada: andava verso lo specchio di -un antico canterano. -</p> - -<p> -Restavano in quel canterano ancora frammenti -d'intarsio qua e là. Lo specchio, che celava un -armario sovrastante, aveva in torno fregi misti -d'oro e di colori e in alto due puttini decapitati. -Orsola saliva fin là, attratta da una irresistibile -curiosità di vedersi nuda. La sua persona tutta -ancora fresca di gocciole sorgeva nell'offuscamento -dello specchio come in un verdazzurro -fondo marino. Ella si guardava sorridendo. Il -sorriso, ogni movimento dei muscoli pareva far -tremolare tutte le linee della nudità nello specchio -come quelle di una imagine dentro le acque. Allora -ella cominciava una specie di mimica vanitosa, -guardando riprodursi tutti i suoi gesti nella lastra, -aprendo le labbra per mostrare i denti, alzando le -braccia per mostrare le ascelle, presentando la -schiena arcata e forzando il capo a volgersi in -dietro; fin che un pazzo impeto di ilarità, dinanzi -a quello spettacolo di sè, le scuoteva tutta la persona. -In fondo in fondo, dietro la donna, si rifletteva -dalla parete avversa la tabella dell'alfabeto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -</p> - -<h3>XIV.</h3> - -<p> -Ora avvenne che in uno di quei momenti -battesse alla porta della scala Lindoro venuto -su con le conche. Orsola gridò: -</p> - -<p> -— Aspetta! -</p> - -<p> -E raccolse da terra le vesti, in furia; se le -mise addosso, in furia; andò ad aprire. -</p> - -<p> -Erano le sei di sera: il riverbero bianco del -palazzo di Brina entrava nella stanza; tutto il -paese di Pescara, grande ospizio di rondini, -cantava. -</p> - -<p> -I due, in mezzo, ritti, parlarono del ritrovo -imminente. Lindoro con la sua loquacità cercava -di vincere le estreme esitazioni della pulzella; -poichè egli già teneva una parte della mercede, -e l'adescava il resto. L'artifizio persuasore gli avvivava -le parole, gli occhi, i gesti. Egli aveva -nel fiato l'odore del vino, e nella faccia, su le -tempie, pe 'l passaggio recente del rasoio, piccole -macchie rosee e violacee. Mentre parlava -gli si scopriva la fila dei denti eguale e schietta, -una di quelle forti chiostre che spesso armano -le bocche plebee; e la singolarità emergeva vivacemente -dalla generale turpitudine dell'uomo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -</p> - -<p> -Orsola opponeva dubbii, paure, ad interrompere; -ma già, poi che l'impudicizia a mano a -mano sorgendo più calda dal fòmite del vino -bevuto si insinuò nelle persuasioni del galeotto, -ella cominciava a turbarsi. S'era ritirata a poco -a poco verso il muro, appoggiandovisi. Dalle -aperture, lasciate qua e là nell'abito per la furia -del rivestirsi, si intravedevano i lembi del lino. -La gola era tutta scoperta, i piedi senza calze -nascondevano nelle pianelle soltanto le dita. -</p> - -<p> -Ma ella, a un punto, involontariamente, per -quel cieco istinto da cui una donna è avvertita -d'essere innanzi a un uomo bramoso, corse con -la mano a chiudere sotto la gola, sul petto gli -uncinelli. Quell'atto, col quale Orsola così riconosceva -nel mezzano l'uomo, quell'improvviso -atto fece scattare dall'abbiezione di Lindoro un -impeto di orgoglio maschile. — Ah, egli dunque -aveva potuto per sè stesso turbare una -donna! — E si fece più da presso; e, come il -coraggio del vino lo animava, quella volta nessun -ritegno di viltà trattenne il bruto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -</p> - -<h3>XV.</h3> - -<p> -Orsola rimase inerte, lunga su i mattoni, con -nelle vesti, con in tutta la figura lo scompiglio -della donna violata. -</p> - -<p> -Ma, quando udì i passi di Camilla nella scala, -dal fondo della sua languidezza si levò su un -gomito; rapidamente passò le mani su le vesti -sconvolte; ritrovò le parole per dire alla sorella -che una sùbita mancanza di forze l'aveva fatta -cadere nel mezzo della stanza. -</p> - -<p> -Fuori, annottava. Sul paese si spandeva la -grande frescura glauca della sera di giugno, -originante dall'Adriatico. Voci e risa empivano -la piazza; giù pe 'l casamento cantava la gioia -sabatina degli abitanti sollevati. Dal secondo pianerottolo -Teodora La Jece gridò: -</p> - -<p> -— Comare Camilla, comare Orsola, venite? -</p> - -<p> -Orsola seguì la sorella, senza parlare, senza -pensare. Durava fatica a ricordarsi: una specie -di ebetudine le teneva ancora la memoria. Teodora -le empiva gli orecchi del suo chiacchierio di -femmina maldicente e petulante. -</p> - -<p> -— Sapete, comare, la figlia di Rachela Catena -si marita. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -</p> - -<p> -— Ah. -</p> - -<p> -— Sapete, piglia Giovannino Speranza, quel -rosso che tiene locanda alla Pesceria e ha il -mal di San Donato, liberanosdòmine. -</p> - -<p> -— Ah. -</p> - -<p> -— Sapete, comare; Checchina Madrigale se -n'è scappata un'altra volta a Francavilla. Voi la -conoscete: quella grassa che sta di casa a Gloria, -nera, col naso a becco.... quella. -</p> - -<p> -Teodora seguitando aveva preso il passo di -Orsola. Camilla veniva un poco in dietro, a capo -chino, senza badare ai peccati di mormorazione -che la lingua della tessitrice commetteva contro -il prossimo. Per le vie tutta la gente godeva -l'aria; gruppi di donne passavano, in vesti di -tela, con braccia nude sino al gómito. -</p> - -<p> -— Comare, guardate Graziella Potavigna che -falbalà s'è messo! Guardate Rosa Zazzetta, con -un sergente avanti e uno dietro.... Ah, voi non -sapete? -</p> - -<p> -E qui una storia d'amorazzi piena d'indiscrezioni -salaci, susurrata quasi all'orecchio. Per -obliare, Orsola si immerse nel pettegolezzo intieramente, -con una specie di furia convulsa, non -dando a sè stessa il tempo di ripensare, interrogando, -eccitando Teodora alla chiacchiera, temendo -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -gli intervalli di silenzio, riempiendoli con -sussulti di riso. Ella aveva quasi un godimento -amaro a sentire i vituperii degli altri. -</p> - -<p> -— Oh! ecco Don Paolo! -</p> - -<p> -Veniva in contro con la sua bella placidezza -Don Paolo Seccia, un ottuagenario ancora aspro -e verde come un ginepro. -</p> - -<p> -— Venite con noi, Don Paolo: usciamo -fuori. -</p> - -<p> -Tutti i macelli per la via di qua, di là, avevano -i loro manzi freschi penzolanti in mezzo -alla porta: l'odore della carne bovina si spandeva -dalle ventraie aperte e assaliva le nari. -Più in su, lunghe file di maccheroni stavano -attelate al lume della luna che le guardava dalla -cima di un'antenna soperchiante la caserma. -Gruppi di soldati si affollavano in torno alle -rivenditrici di frutta, vociferando. -</p> - -<p> -— Andiamo alla Bandiera — disse Teodora, -dando la precedenza a Don Paolo ed a Camilla. -</p> - -<p> -Orsola passò in mezzo a tutti quei romori e -quegli odori forti, stordita. Cominciava alfine -uno sbigottimento vago a sommuoversi dal fondo, -a torcerle la bocca nel riso, nelle parole, a -impedirle la lingua. Anche certi piccoli tormenti -fisici la molestavano e la richiamavano alla realità -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -delle cose. Ella non sapeva più sfuggire a -sè stessa: le moriva la voce fra i denti, l'angoscia -le serrava la gola, il fantasma del peccato -enorme e irrimediabile le si drizzava dinanzi. -Ella ora si sentiva morire dalla fatica di -reggersi in piedi, di mettere i passi: si sentiva -percossa dalla spietata animazione della vita -nella strada che è di tutti. -</p> - -<p> -— Dunque, comare mia, quel guercio del marito -senza saper nulla di nulla... — diceva Teodora -riannodando la maldicenza interrotta. -</p> - -<p> -Andavano per la Bandiera. Il ponte a battelli, -su la sinistra, cavalcava il fiume. Dall'altro -lato, la mole cupa e grave del bastione si disegnava -nel chiarore. I vecchi cannoni di ferro, -piantati con la bocca nel terreno, si dilungavano -in fila trattenendo le gómene; grandi áncore -di ferro ingombravano lo scalo. Nelle tolde, a -riva, i marinari sotto le tende mangiavano e -fumavano: le tende illuminate contrastavano con -un rossore sanguigno l'albore della luna. Intorno -alle proe, su l'acqua larghe chiazze come -di materia liquefatta fluttuavano lentamente. -</p> - -<p> -— ... mandò a chiamare Don Nereo Memma, -figuratevi! — seguitava Teodora, implacabile. -</p> - -<p> -— Chi parla del dottor Dulcamara? — fece -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -Don Paolo, a cui era giunto quel nome, ridendo -dalla franca bocca ancora armata di avorii. -</p> - -<p> -Orsola non sentiva più: ella era pallida come -la faccia della luna. Da prima, tutta quella gran -pace luminosa piovente dal cielo sul fiume e -tutte quelle lunghe vene di odore marino correnti -pe 'l fresco le avevano dato sollievo; poichè -dinanzi a quello spettacolo di dolcezza i fantasmi -vagheggiati dell'amore in fondo a lei si -risollevavano e le sommità del sentimento al -raggio lunare riscintillavano. Fu, súbito dopo, -un tumulto confuso in cui ella udiva battere le -arterie con un susurrìo assordante che parve -dilatarsi e riempire tutta l'aria d'un tratto. Le -mancava sotto i piedi il suolo fermo. Il limite -delle acque si confuse, per la vertigine; il fiume -invase la strada; acque acque acque si spársero -in torno. Poi, d'un tratto, uno scintillìo -di bagliori si accese dentro gli occhi di lei, un -tremolìo crescente di fiammelle fatue che rompevano, -si intrecciavano, si allontanavano, e si -fondevano e perdevano serpentinamente nell'ombra. -In quella illuminazione la figura di Marcello -compariva e spariva, con una rapidità e -una mutabilità di sogno. La vertigine cessò. Orsola -riconobbe i riflessi della luna nel fiume placido; -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -continuò a camminare, stupefatta, indebolita, -quasi in punto di venir meno. -</p> - -<p> -— Stanca, eh? comare; voi non siete abituata, -si sa. Appoggiatevi a me, appoggiatevi — diceva -Teodora. — La figlia di Donna Mentina -Ussoria, quella più piccola, butterata, stava proprio -innanzi alla bottega, sapete, su la piazzetta... -</p> - -<p> -Erano alla caserma dei finanzieri. Grandi mucchi -di carrùbe mandavano un odore forte come -di pelli conciate; e la strada seminata di scaglie -d'ostriche scricchiolava sotto i passi. Due sciàbiche, -presso la riva, facevano pesca d'anguille, -in silenzio, con la luna propizia. Ma la sonorità -del mare empiva di grandezza il silenzio. Annunziavano -la foce gli ondeggiamenti del sale -superanti il lieve fiore dell'acqua dolce. -</p> - -<p> -— Torniamo in dietro, belle figliuole — disse -Don Paolo, prendendo una carruba dal mucchio -vicino. -</p> - -<p> -Orsola si lasciava condurre. Ella durava fatica -a rattenere l'ansia del respiro; poichè ora -il suo stato, con una terribilità incalzante, le si -ripresentava dinanzi e schiacciava tutti gli aneliti -e i tumulti del sentimento suscitati dalla voluttà -della notte lunare. Ella vedeva, nella fissazione -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -del suo pensiero, la figura di Lindoro levarsi -e vivere; si sentiva un'altra volta afferrare e -palpare da quelle mani aspre, soffocare da quel -fiato caldo di vino e di libidine, violare su i -mattoni della stanza. Ma in quel momento, pensava, -ella non aveva resistito, non aveva gridato, -non aveva fatto nessun moto per opporsi; -ella aveva soggiaciuto, senza forze, non distinguendo -più nulla, non sentendo se non una gran -gioia mista di dolore inondarle le fibre. Allora -il ribrezzo e il languore si avvicendarono nella -sua carne, agghiacciandola, affocandola. Inconsapevole, -guardava innanzi a sè, pallida e con gli -occhi ingranditi e più neri. -</p> - -<p> -— Sentite come il vino canta! — disse Don -Paolo, soffermandosi. -</p> - -<p> -Nelle barche i marinai stavano distesi tra i -cordami, in mezzo al fumo del tabacco di Dalmazia, -e cantavano di femmine belle, in gran -coro. -</p> - -<h3>XVI.</h3> - -<p> -Camilla, su l'inginocchiatoio, pregò a voce -bassa, co 'l capo prostrato, con giunte le mani, -lungamente; poi accese la lampada votiva a -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -Maria Vergine, per la notte; piegò poi nel sonno -tenendo il dolce cuore di Gesù tra i fiori vizzi -del seno. Il suo respiro di dormiente era religioso -come se sfiorasse l'ostia sacra su la paténa -d'argento. Nella volta le ombre seguivano -le oscillazioni della fiammella alimentata dall'olio. -I rumori del legno che si dilata e dei tarli -che ródono, le voci misteriose dei vecchi mobili -nella calma notturna, rompevano il silenzio. -</p> - -<p> -Orsola stava nello stesso letto, a fianco di -Camilla, distesa, senza muoversi, senza chiudere -gli occhi, poichè una grande stanchezza insonne -le occupava le membra e la vigilanza assidua -dell'angoscia le martoriava l'anima tapina. Ella -ascoltava il silenzio; spiava sè stessa con una -curiosità ansiosa, come per sentire qual mutamento -si fosse compiuto nell'essere suo. -</p> - -<p> -A un tratto, Camilla nel sonno cominciò a -mormorare parole confuse, frammenti di parole -incomprensibili, movendo appena le labbra, mettendo -lunghi respiri. La testa di lei, scarna, affilata, -scolpita rigidamente dalla penitenza e dal -digiuno, ingiallita dal lume della lampada, posava -su la bianchezza del guanciale come una -effigie mal dorata di santa sopra una raggiera. -Piccole ombre violacee segnavano l'interno delle -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -narici, i solchi del collo teso e pieno di corde, le -fosse delle gote, le occhiaie d'onde sporgeva -grande il globo coperto dalla pelle molle della -pálpebra. Ella pareva così il cadavere di una -martire, dentro cui scendesse lo spirito di Dio. -</p> - -<p> -Benchè quello dei soliloquii notturni non fosse -il primo, Orsola sentì freddo in mezzo ai capelli: -un terrore improvviso l'assalì e la oppresse. Ella -istintivamente si rannicchiò, cercò di allontanarsi -dal corpo della sorella ritraendosi su l'orlo della -sponda; stette immobile, sospesa negli intervalli -di silenzio, con gli occhi fissi su la bocca della -dormiente, provando un sordo sussulto in mezzo -al petto se quelle labbra si movevano a profferire -nuove parole. Ella non comprendeva; ma -qualche cosa di lontanamente profondo e di solenne -era in quel mormorìo interrotto, un mistero -soprannaturale si levava da quel corpo -inerte e inconsapevole che parlava senza udire -la propria voce. Nella stanza passava l'alito del -sepolcro; per la fantasia sconvolta dell'insonne -le ombre oscillanti prendevano forme spaventose -e minacciose di spettri; l'aria pareva solcata da -romori ignoti. Tutte le cose su cui l'allucinata si -rifugiava con lo sguardo, tutte le cose si trasformavano -e si animavano ed andavano verso di lei. -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -Allora l'idea del castigo e della pena eterna ancora -una volta le risorse nella conscienza e la -incalzò. Ella si abbattè sotto l'incubo del suo -peccato, mettendo in croce le braccia sul petto -per difendersi dalle minacce dei demoni, tentando -pregare con la lingua impedita dal terrore, -aggrappandosi con un supremo slancio all'áncora -del pentimento, all'ultima salvezza. Ella si -sentiva perduta, chiedeva misericordia dall'intimo -del suo cuore al divino Sposo tradito, a -Gesù buono e grande, a Colui che perdona. -</p> - -<p> -La voce di Camilla si esalava in sospiri, si -confondeva in un borboglìo tremulo, si spegneva -nella respirazione lenta ed eguale, a mano a -mano che l'entusiasmo del sogno mistico si andava -placando. Le ombre seguitavano ad oscillare. -Non ancora il Crocefisso discendeva dalla -parete a raccogliere con le dolcissime braccia -la pecorella tornante all'ovile. -</p> - -<h3>XVII.</h3> - -<p> -— Ha detto il Signore per bocca del profeta -Gioele, figlio di Petuel: «Avverrà che io spanderò -il mio Spirito sopra ogni carne, e i vostri -figliuoli e le vostre figliuole profetizzeranno; i -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -vostri vecchi sogneranno sogni, i vostri giovani -vedranno visioni.» -</p> - -<p> -Questo Spirito di cui gli Apostoli ebbero le -primizie e la beatitudine, fu per essi e per noi -uno Spirito di verità, uno Spirito di santità e -uno Spirito di forza... O divino amore, o sacro -legame che unisci il Padre e il Figlio, Spirito -onnipotente, fedele consolatore degli afflitti, pénetra -negli abissi profondi del nostro cuore e -infondici la tua gran luce! — -</p> - -<p> -Così predicava Don Gennaro Tierno nella -Pentecoste, dall'altare maggiore, volto al popolo -ascoltante. Sopra di lui, in alto, la terza persona -della SS. Trinità apriva l'arco radioso delle ali -d'oro, e nella chiesa l'illuminazione dei ceri spandeva -un rossore simile a un riflesso d'incendio. -Gli enormi pilastri di pietra sostenenti le due -navate, coperti di barbare sculture cristiane, -cavalcavano verso l'altare pesantemente; su le -pareti gli avanzi dei mosaici rilucevano: qualche -testa di Apostolo, qualche braccio rigido di santa, -qualche ala d'angelo emergeva ancora nell'offuscamento -e nello scrostamento operato dai secoli. -Tra i mosaici pendevano piccole navi ex-voto dedicate -al tempio dai naufraghi supérstiti. E in -mezzo alle pietre rudi e alle croste fosche si elevava -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -agile un gruppo di colonne rosee a spira -sorreggenti il pergamo anche marmoreo fiorito -di acanti e animato di bassirilievi. -</p> - -<p> -— Spandi la tua dolce rugiada su questa terra -deserta, a fin che cessi la sua lunga aridità. -Manda i raggi celesti del tuo amore fino al -santuario dell'anima nostra, a fin che penetrandoci -accendano fiamme consumatrici delle nostre -debolezze, delle nostre negligenze, dei nostri -languori! — seguitava il prete, salendo ai supremi -culmini della sua eloquenza e della sua -potenza vocale. -</p> - -<p> -Orsola, da presso, ascoltava, tutta raccolta. -Ella si era rifugiata nella casa del Signore, era -tornata al talamo; voleva che il Signore la purificasse -e la ricevesse un'altra volta nella benignità -del suo grande abbracciamento. Quel -barbaglio subitaneo di fede la abbacinava, le -faceva quasi dimenticare ogni fallo anteriore. -Le pareva che subitamente dalla sua anima le -macchie si cancellassero e dalla sua carne cadessero -le scorie della impurità terrena. Giammai -ella si era accostata all'altare di Dio con -un più profondo tremito di speranza; giammai -aveva ascoltato la parola di Dio con una più -lunga ebrezza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -</p> - -<p> -Dall'istante in cui l'orrore della dannazione -le si levò nella conoscenza, ella si compresse in -una specie di raccoglimento cupo, sorvegliando -sè stessa, sorvegliando i propri atti, i propri -pensieri, i minimi moti pe 'l timore che quella -veemenza di pentimento si esalasse, per l'ansia -di conservare intatto dentro di sè quel fiore di -fede rigermogliato d'improvviso. Fu una specie -d'assunzione verso Gesù, con un ripudio di ogni -legame umano. Ella si esaltò nella lettura dei -libri sacri; si gettò nella contemplazione delle -imagini e dei misteri; lottò contro le molli viltà -della carne, contro i calori della giornata, contro -l'insidie della notte, contro i profumi che le portava -il vento, contro il soffio che saliva dai suoi -ricordi impuri, contro le voci che parevano vellicarle -l'udito e susurrarle segreti nuovi di piacere. -</p> - -<p> -Dopo quella settimana solitaria di passione, -ella ora deponeva il sacrificio ai piedi dell'altare; -beveva il balsamo della parola di Dio, fissando -gli occhi in alto alla colomba radiosa e -sentendosi a poco a poco naufragare nel pèlago -dell'estasi. -</p> - -<p> -— Vieni dunque, vieni, dolce consolatore delle -anime desolate, rifugio nei pericoli, protettore -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -nella sventura. Vieni, o tu che purifichi l'anime -da ogni macchia e ne guarisci le piaghe. Vieni, -forza del debole, appoggio di quegli che cade. -Vieni, stella dei naviganti, speranza dei poveri, -salute di chi è per morire — incalzava Don -Gennaro Tierno, alto nella pianeta d'argento, -vermiglio in volto, con occhi forzanti le órbite, -con gesti che parevano toccare il cielo. -</p> - -<p> -Nella chiesa una calura grave si era addensata -su i cristiani. Le navate si schiacciavano -su i pilastri; in una vetrata la testa di S. Luca -evangelista raggiava percossa dal sole e il gran -manto metteva nell'aria una zona di crepuscolo -verde. L'ambone marmoreo si levava come un -miracoloso fiore mistico, in quel vapore di luce. -</p> - -<p> -— Vieni, o Spirito, vieni ed abbi misericordia -di noi! -</p> - -<p> -Orsola teneva gli occhi all'alto: su l'onda di -tutte quelle invocazioni ella ascendeva verso il -nimbo, penetrata dalla ineffabile soavità che attira -l'anime all'odore degli aromi spirituali. Le -parve un istante di vedere la colomba d'oro -balenarle un lampo di assentimento, e il cuore -le balzò di giubilo nel seno come San Giovanni -nelle viscere d'Elisabetta alla visita della Vergine -Maria. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -</p> - -<p> -— Per nostro signore Gesù Cristo. Amen. -</p> - -<p> -Il prete, tutto d'argento, si volse verso la custodia, -dicendo a bassa voce un credo. Due turiferarii -bianchi ai lati cominciarono a scuotere -i turiboli fumanti e odoranti. Un nuvolo di incenso -avvolse la vergine violata che stava da -presso; e subitamente un invincibile fiotto di -náusea dal fondo della maternità le salì alla gola -e le fece torcere la bocca. -</p> - -<h3>XVIII.</h3> - -<p> -Non c'era dunque scampo? — Più giorni ancora -ella oscillò nel dubbio, aspettando l'ultima -prova. Vertigini la prendevano al levarsi, quando -ella metteva a terra i piedi; sfinimenti vaghi -la invadevano su la sera, fievolezze in cui il -pensiero, la volontà, i ricordi parevano quasi -avere la confusione, la sonnolenza fluttuante -delle prime ore mattutine. Ella faceva le cose -per abitudine, con gesti di sonnambula, stancamente. -Nella scuola, se veniva sul vento l'odore -del pane caldo dal forno, ella si sentiva -morire, sentiva tutte le viscere montarle d'un -tratto alla bocca; e un sapore di lisciva le si spandeva -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -nella lingua. Un giorno, mentre un bimbo -succhiava una ciliegia, una voglia violenta di quel -frutto la fece contorcere su la sedia, impallidire e -sudare. Poi, ella, dopo il pasto, tutta amara di -nausea, si metteva lunga sul letto, si lasciava -occupare dal sopore: il caldo era pesante, le mosche -ronzavano, le grida d'un venditore di occhiali -passavano sotto la finestra, rauche nel silenzio. -</p> - -<p> -Sfiduciata, ella non cercò più la chiesa: l'incenso -anche la ributtava. -</p> - -<p> -Ella non pensò più a Marcello; non lo vide più, -non ebbe di lui se non un ricordo incerto, come -d'un sogno remoto. L'ansia presente la teneva -tutta. -</p> - -<p> -Lindoro saliva a portar acqua, come prima. -Egli giungeva su, rosso e stillante di sudore; -posava le conche, lanciando sguardi di sbieco -alla vittima. Orsola si ritirava nell'altra stanza -o si curvava sul lavoro stringendo i denti nella -collera repressa. Lindoro se ne andava, come un -cane frustato; ma il pensiero di aver posseduto -quella donna gli turbava il sangue: avrebbe voluto -ora trascinarsela con sè, tenersela, esserne -il padrone come di una merce da usare e da vendere. -Cupidigia sensuale e avidità di guadagno -in lui si mescevano. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -</p> - -<p> -Una sera egli aspettò che Camilla uscisse, -alla porta di strada; poi salì a precipizio per -sorprendere Orsola, per trovarla sola nella casa. -Quando egli battè all'uscio Orsola lo riconobbe -e si sentì rimescolare. -</p> - -<p> -— Che vuoi da me, che vuoi? — chiese ella -con la voce soffocata, senza aprire. -</p> - -<p> -— Sentimi un momento, sentimi! Non aver -paura; non ti faccio male... -</p> - -<p> -— Vattene, cane, infame, assassino... — proruppe -la donna, con una veemenza stridula di -vituperii, togliendo il freno a tutto l'odio accumulato -contro colui. — Vattene, vattene! -</p> - -<p> -E, sfinita, si ritrasse nella sua stanza, si gettò -su i guanciali mordendoli fra le lagrime. -</p> - -<h3>XIX.</h3> - -<p> -Non c'era più scampo. — La figlia di Maria -Camastra aveva bevuto il vetriolo ed era morta -così, con un bimbo di tre mesi nel ventre. La figlia -di Clemenza Iorio s'era precipitata dal ponte, -ed era morta così, nella fanga della Pescarina. -Bisognava dunque morire. -</p> - -<p> -Quando questo pensiero balenò alla mente di -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -Orsola, cadeva il pomeriggio. Tutte le campane -sonavano a gloria, nella vigilia del <i>Corpus -Domini</i>; grandi tribù di rondini schiamazzavano -e turbinavano sul palazzo di Brina, si -assembravano a parlamento su l'Arco. Una nuvola -rossa sovrastava le case, simile forse a -quella che versò bitume ardente su l'empietà di -Sodoma. -</p> - -<p> -Orsola al baleno di quel pensiero si smarrì, -ebbe paura. Poi a mano a mano che il sentimento -della vergogna la persuadeva al passo, -in fondo a lei una sorda ribellione di vitalità -cominciava a levitare, le viscere fremevano. Ella -d'un tratto sentì il rossore e il calore del suo -sangue chiazzarle la fronte, le guance. Si levò -dalla sedia, torcendosi le braccia nell'agitazione -della lotta. E, con un impeto di forza nervosa, finalmente -uscì dalla stanza, entrò nella cucina, -cercò su le tavole un bicchiere e il mazzo degli -zolfanelli. L'odore forte del carbone le turbava -lo stomaco; la vertigine le prendeva il cervello. -Ella trovò tutto: mise gli zolfanelli a disciogliersi -nell'acqua; rientrò nella sua stanza e nascose -in un angolo, sotto un mobile, il bicchiere -letale. -</p> - -<p> -— Dio mio! Dio mio! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -</p> - -<p> -Ella aveva ora paura di trovarsi così, sola, -dinanzi al suo proponimento. Le tornò subitamente -nella fantasia il cadavere di Cristina Iorio -intraveduto quel giorno mentre lo portavano su -la barella alla casa della madre: un corpo gonfio -come un otre, con la melma ne' capelli, nel -cavo degli occhi, nella bocca, tra le dita de' piedi -violetti... -</p> - -<p> -— Dio mio, Dio mio, morire! -</p> - -<p> -E sussultò come se una mano fredda e rigida -le si fosse posata sul capo: un brivido le corse -tutte le membra, le durò un momento sul cranio -con l'impressione di una lama che vi penetrasse -per distaccarne la pelle. -</p> - -<p> -— No, no, no! — disse con la voce alterata, -come se volesse scacciare da sè il contatto di -qualche cosa orribile. E andò alla finestra, sporse -il capo fuori, cercando un rifugio. -</p> - -<p> -Ella rimase là, inchiodata, attònita dinanzi a -quella visione d'incendio biblico e a quella tregenda -di uccelli neri. Quando si volse un poco, -intravide nell'ombra della stanza un bagliore -strano: il luccichìo delle mezzelune d'oro su la -veste della Madonna di Loreto e il luccichìo -delle medaglie. Ebbe ancora paura; si schiacciò -sul davanzale, si sporse di più; stette là, -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -senza avere il coraggio di muoversi. Allora, in -quella immobilità, l'indebolimento serale cominciò -ad invaderla; ed ella si strinse la testa grave -tra le palme, socchiuse le pàlpebre. -</p> - -<p> -— Ah! -</p> - -<p> -D'improvviso le si era aperto nell'animo uno -spiràcolo. — Sì, sì, ella se ne rammentava! Spacone, -il mago, quel vecchio con la barba lunga, -quello che faceva i miracoli e aveva le medicine -per ogni male... Era venuto al paese qualche -volta a cavalcioni di una muletta bianca, -con due triangoli d'oro agli orecchi, con una -fila di bottoni larghi come cucchiai d'argento -senza mànico. Tante donne uscivano su gli usci -e lo chiamavano, e lo benedicevano. Egli aveva -guarito ogni sorta di malattie con certe erbe -e certe acque e certi segni del dito pollice e -certe parole magiche. Egli doveva avere i rimedii -pure per quella cosa... sì, sì, li doveva avere! -</p> - -<p> -E Orsola rivisse in un barlume di speranza, -mentre il languore saliva saliva. Dinanzi a lei, -le cose annegavano nel crepuscolo; il giorno -vermiglio, penetrato dalle ceneri della notte vicina, -mancava in un lento scoloramento, senza -contrasti. Una rondine, come un pipistrello, passò -radendole il capo. Il sùbito alito dell'estate le -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -soffiò nella faccia, le toccò ogni vena, le scosse -fin le radici infime della vita. -</p> - -<p> -Ella, con un moto involontario e inconsapevole, -mise le mani sul ventre e le tenne così -un istante. L'indefinito sentimento della maternità -le attraversava l'anima. E dal fondo, misteriosamente, -un ricordo della convalescenza lontana -si svegliò. — Ah, era di marzo... una gran -bianchezza ridente... e sopra di lei le <i>spie</i>, le lanugini -molli piovevano. -</p> - -<h3>XX.</h3> - -<p> -Così fu che la mattina dopo ella uscì dalla -casa, di sotterfugio; e s'incamminò sola fuori -del paese, per la strada nuova di Chieti. -</p> - -<p> -Nelle vicinanze di San Rocco abitava Spacone. -Sotto la maestà di una quercia druidica, egli -compiva i miracoli e formulava i responsi. Tutto -il contado, in venti miglia di circuito, ricorreva -a lui, come a un apostolo della Providenza. -Nelle epidemie del bestiame indigeno, mandre -di bovi e di cavalli si raccoglievano in torno -alla quercia per ricevere il talismano preservante -dal morbo: le orme delle unghie equine -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -e bovine facevano come un circolo d'incanti su -l'erbe semplici del terreno. -</p> - -<p> -Quando Orsola s'incamminò, era nella terra -pescarese un gran giuoco d'ombre e di luci. Le -nuvole nòmadi trasmigravano dalla marina alla -montagna, come carovane con buone salmerìe -d'acqua, per quel cielo arabico del mese di -giugno. A intervalli, larghe zone di terra si -sommergevano nell'ombra, altre zone emergevano -illustrate; e, come l'ombra era turchina e -mobile, la campagna così dava apparenza di -un arcipelago che galleggiasse copioso d'alberi -e di fromento. Il canto degli uccelli lodava la -maturità delle biade. -</p> - -<p> -Al primo spettacolo Orsola ebbe un insolito -ristoro; poichè la libertà della campagna, la felicità -della luce sul fogliame, gli odori cordiali -dell'aria circondandole d'un tratto la persona le -mossero il sangue, e la nuova speranza in lei -al dispiegarsi dell'orizzonte si fortificò ed esultò. -Ella si alleggeriva di tutte le angosce, vivendo -per due sentimenti soli, per la speranza della -salvazione corporea e pel desiderio di raggiungere -la meta. In fondo, alla meta, ella vedeva -nella sua fantasia sorgere il vecchio benefico e -illuminarsi misticamente. Per una nativa tendenza -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -superstiziosa, ella trasformava quella figura, la -ingigantiva e la vestiva di una dolcezza cristiana, -la cingeva di nimbo. Allora tutte le dicerie -che correvano tra il volgo le tornarono alla -memoria confusamente e gittarono sprazzi di luce -meravigliosa su la fronte di Spacone. Allora ella -si rammentò che Rosa Catena, in un giorno lontano -della malattia, aveva parlato del Vecchio -con una reverenza devota citando miracoli. — Un -cieco di Torre de' Passeri era andato a San Rocco -ed era tornato dopo tre dì con gli occhi che ci vedevano -e con una cifra turchina su la tempia. -Una femmina di Spoltore, invasa dagli spiriti -maligni, era tornata mansueta come un'agnella, -dopo aver bevuto due sorsi d'un'acqua custodita -in una piccola zucca secca. -</p> - -<p> -Così a poco a poco, lungo il cammino, pel -concorso di tanti elementi sparsi si venne formando -nella mente di Orsola una specie di leggenda. -E a poco a poco, giacchè nulla possono -gli uomini senza l'assistenza di Dio, sorse anche -la persuasione che il vecchio fosse un inviato -del cielo, un redentore delle anime dalla dipendenza -corporale, un distributore di grazie celesti -su la terra ai caduti. — La speranza estrema -non era discesa su la peccatrice improvvisamente, -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -quasi per influsso divino, fra i segnali -accesi nell'aria? E nella Pentecoste la colomba -non aveva balenato dall'alto, agli occhi della -pregante, un lampo di buona promessa? -</p> - -<p> -La promessa ora si compiva nel santo giorno -del <i>Corpus Domini</i>. Orsola dunque, tutta calda -di fede e di giubilo, andava su la polvere della -via nuova, non curando la fatica dei passi. Ai -due lati, le siepi biancheggiavano come coperte -di escrementi d'uccelli. Gruppi di pioppi sonori -stavano su i limiti; e i tronchi inargentati riverberavano -le variazioni della luce. Le contadine -della Villa del Fuoco, nane, co 'l naso -camuso, con le labbra schiacciate, femmine cafre -dalla pelle bianca, venivano incontro a due, a -tre. Le vicende delle nuvole occupavano l'immenso -teatro della campagna. -</p> - -<p> -Orsola passò il Mulino, passò la Villa. Una -energìa nervosa le animava il passo. Ella si -sentiva battere il vento su la nuca e sentiva -sul capo a intervalli stormire i pioppi. Ma -l'oscillare delle ombre e la polvere cominciavano -a turbarle un poco la visione; il calore del -moto le affluiva alla testa; la volontà era tutta -occupata nell'insolito sforzo materiale dell'incedere. -Ella così andò innanzi in una specie di -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -stordimento crescente che si mutava in malessere; -e, vinta dalla fatica e dal caldo, si lasciò -allettare da un mucchio di olivi messi in salita -a sinistra. -</p> - -<p> -Passavano quattro o cinque zingari seminudi, -bronzini, con amuleti luccicanti sul petto, a cavalcioni -di certi asini rossastri. Uno di loro fischiava -urtando con le calcagna il ventre della -sua bestia. Tutti avevano in mano canne e portavano -bisacce di pelle su le cosce. Guardarono -la donna rifugiata sotto gli olivi e mormorarono -ridendo. -</p> - -<p> -Orsola ebbe paura di quegli occhi che mostravano -il bianco nello sguardo, e stette sbigottita -finchè il gruppo non si allontanò. Lo -scoraggiamento incominciava a impadronirsi di -lei; la solitudine cominciava ad esserle paventosa, -poichè nella campagna correva per lunghi -brividi l'annunzio della pioggia e un silenzio -quasi lugubre scendeva nell'aria dalle nuvole -raccolte. Ella s'era appoggiata ad un tronco: -freschi soffi intermessi le investivano la persona -e le gelavano il sudore nei pori, soffi che accorrevano -a lei co 'l fruscìo di un animale furtivo -nell'erba; mentre in torno il tremolìo del sole -pareva un riverbero d'acque lontane. Pallidi -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -fiori d'un giallo sulfureo facevano onda a pie' -degli olivi. -</p> - -<p> -Un ricordo scese allora dai buoni alberi su -l'animo della donna. — La chiesa era tutta -piena di palme benedette e di aromi, quel -giorno; ed ella andava tra il popolo sorretta -dalle braccia di Marcello, in un gran tremore... -Ma, come ella si soffermò in quel pensiero, le si -smarrì la memoria; tutto le sfuggì in una incertezza -di sogno. Soltanto, colpi sordi le batterono -il cuore, sussulti d'angoscia le affannarono -il respiro. Ella aveva ora la sensazione -ottusa di un sopore che le cadesse sul cervello -con la pesantezza d'un colpo di maglio. -Un resto di volontà vigile le bastò a scuotersi -debolmente e a discendere nella strada. -</p> - -<p> -Le nuvole raccolte verso la Maiella avevano -preso il colore diafano e grigio di una massa -pendula d'acque. Larghe trombe si avvicinavano -dalla marina più cariche; e ancora qualche -azzurro campo si dilatava nell'alto. Un odore -di umidità già saliva dalla polvere, da tutta la -campagna ansante nell'aspettazione. Gli alberi -immobili parevano assorbire la luce, si levavano -anneriti in mezzo alla fumea dell'aria, popolavano -di forme incerte la lontananza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -</p> - -<p> -Orsola camminava con una fatica immensa, -sentendo che le forze stavano per abbandonarla. — Ecco, -pensava, arriverò a quell'albero -e poi cadrò. — Ma non cadeva. Si scorgevano -a destra le case di San Rocco. Un contadino veniva -in contro a corsa. -</p> - -<p> -— Buon uomo, è quello San Rocco? -</p> - -<p> -— Sì, sì, voltate alla prima scorciatoia. -</p> - -<p> -Grosse gocce sonanti cominciarono a cadere; -poi d'un tratto la pioggia crescente rigò l'aria -di lunghe frecce bianche, di lunghe sferze che -percotendo schioccavano. Un sommovimento -mostruoso agitò allora le nuvole: sprazzi di -raggi eruppero di qua, di là. Tutte le colline, -in fondo, a traverso le liste della pioggia si -accesero un attimo e si rispensero. Una fievole -serenità d'argento si levò su la Maiella, parve -acuirsi come una spada sottile. -</p> - -<p> -Orsola tentava di correre verso la quercia distante -un tiro di schioppo. Le gocce le battevano -su la nuca, le scivolavano per la schiena, -le colpivano la faccia; e già le vesti erano tutte -molli sino alla pelle. I passi le mancavano sul -terreno sdrucciolevole. Ella cadde e si rialzò, -due volte. Poi, quasi folle, si mise a gridare -verso la casa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -</p> - -<p> -— Aiuto! aiuto! -</p> - -<p> -Una femmina uscì dalla porta e venne a sorreggerla, -seguita da due cani che abbaiavano. -</p> - -<p> -Orsola si lasciò condurre senza poter più proferire -una parola a traverso i denti serrati, livida, -con la faccia stravolta. Non si riscosse se -non dopo qualche tempo, per le domande che -l'ospite le faceva. E allora, repentinamente, all'udire -il nome di Spacone, si ricordò di tutto. -</p> - -<p> -— Ah, dov'è Spacone? — chiese. -</p> - -<p> -— È a Popoli, donna santa: l'hanno chiamato. -</p> - -<p> -Orsola non resse più: cominciò a singhiozzare -e a strapparsi i capelli. -</p> - -<p> -— Che volete, donna santa? che volete? Io -sono la moglie; ci son qua io... — miagolava -la strega, trattenendole i polsi, incitandola a -parlare. -</p> - -<p> -Orsola esitò un momento; poi disse tutto, a -precipizio, tra i singulti, coprendosi la faccia. -</p> - -<p> -— Aspettate. Il rimedio c'è; ma costa cinquanta -soldi, donna santa — fece la strega in -quel suo idioma tutto molle di vocali, cantando -quel bello appellativo per intercalare. -</p> - -<p> -Orsola sciolse un nodo nel fazzoletto e offerse -cinque piccole monete d'argento. Poi aspettò, -più calma. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -</p> - -<p> -La stanza era vasta, ma bassa. Le pareti, su -cui qua e là il salnitro fioriva, apparivano scagliose -e verdastre. Rozzi idoli cristiani di maiolica -popolavano quel fondo di spelonca; forme -strane di utensili e di stromenti ingombravano -le tavole. Era come un aspro santuario custodito -da un semplicista monaco. -</p> - -<p> -La moglie di Spacone, dinanzi al camino, -componeva il suo filtro, in silenzio. Era una -femmina alta e ossuta, bianchissima in faccia, -co 'l naso guasto, violetto come un fico, con i capelli -rossi e lisci su le tempie, con due piccoli -occhi di albina, tatuata nel mento, nella fronte, -nel dorso delle mani. -</p> - -<p> -— Ecco, donna santa! Coraggio! -</p> - -<p> -Orsola ingoiò il liquido, d'un fiato; ma si -sentì, subito dopo, da un'amarezza atroce mordere -il palato e le viscere. Restò con la bocca -aperta, premendosi il ventre con le mani, battendo -rapidamente un piede sul pavimento, nello -spasimo della prima contrazione uterina. -</p> - -<p> -— Coraggio, donna santa, coraggio! — le -ripeteva la strega, fissandola con quegli occhi -bianchicci, soffregandole le reni. Avete tempo di -arrivare a Pescara... Via! via! -</p> - -<p> -Orsola non poteva rispondere: alla bocca non -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -le venivano che urli. I crampi le serravano lo -stomaco, le irrigidivano i muscoli respiratorii, -le eccitavano il vomito. I bulbi visivi le ruotavano -in alto, come se ella fosse entrata ne' sintomi -di una convulsione epilettica. In tutto il suo -debole organismo la potenza eccessiva della bevanda -operava ora effetti inaspettati. Il parto -falso si produsse quasi d'improvviso, con una di -quelle terribili perdite per ove le forze della -vita se ne vanno mollemente, insensibilmente, -fluendo. -</p> - -<p> -— Gesù, Gesù, Gesù! — mormorava la strega, -inquieta, presa da una sùbita paura dinanzi a -quel povero corpo riverso — Gesù, aiutatemi! -</p> - -<p> -Alle sollecitazioni di lei, Orsola rinvenne. E -come dopo qualche tempo il profluvio parve arrestarsi, -la meschina si potè levare in piedi; sospinta -dalla femmina, uscire; giungere fino alla -strada nuova, barcollando, pallida come se non -le fosse rimasta sotto la pelle una goccia di -sangue, ma tenuta viva dalla speranza che il -maggior pericolo fosse omai superato. -</p> - -<p> -Ora la campagna era tutta frescamente luminosa -dopo la pioggia. Passava una fila di carretti -carichi di gesso, e i grossi carrettieri di -Letto Manoppello, pieni di vino, sdraiati sui sacchi -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -fumavano. Come Orsola si mise dietro la fila, -uno di quelli, l'estremo, gridò: -</p> - -<p> -— Ohè, volete che vi porti, bella figliuola? -</p> - -<p> -Quasi inconscia Orsola si lasciò tirar su dalle -forti braccia dell'uomo, e stette così seduta sopra -i sacchi. Non intendeva le grosse risa e i motti -osceni che di carro in carro si propagavano. -</p> - -<p> -Con l'energia dell'istinto teneva le ginocchia -serrate per impedire al flusso la via. Sentiva -a poco a poco una specie di ottusità occuparle -i sensi, così che gli sbalzi frequenti delle ruote -su la ghiaia le davano appena un dolor sordo e -il lezzo delle pipe le feriva appena le nari. Poi -cominciò un susurro lontano agli orecchi, un -tremante bagliore alla vista. Più volte ella sarebbe -caduta se non l'avessero sorretta le mani -del carrettiere, che incoraggiato dalla muta docilità -di lei tentava qualche brutale carezza. -</p> - -<p> -Il paese di Pescara apparve in cima alla strada, -in mezzo al sole, mandando suoni sul vento. -</p> - -<p> -— Fanno la processione — disse uno degli -uomini. Tutti gli altri sferzarono; e la strada -risonò sotto il trotto pesante, al tintinnìo de' -sonagli, allo schiocco delle fruste. -</p> - -<p> -Quella violenza di scosse e di fragore richiamò -per un momento Orsola al senso della -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -realtà circostante. Ma, poichè l'uomo le cingeva -i fianchi con un braccio e le soffiava il fiato -vinoso nella guancia, ella per un cieco impeto -si mise a gridare e a gesticolare quasi l'avesse -presa il delirio. E il fantasma di Lindoro subitamente -le si rizzò dinanzi agli occhi offuscati e -potè anco suscitarle il ribrezzo dell'orrore in -quel poco di sensibilità che le restava nei nervi. -Appena il carro si fermò, discese a terra dai -sacchi scivolando; tentò di muovere i passi, con -la furia affannosa di chi cerchi raggiungere un -luogo sicuro per cadere. -</p> - -<p> -Venivano in contro nella strada le verginelle -coperte di veli candidi, con in mano i cèrei -dipinti, e cantavano. Dietro la torma angelica, -un grande sventolìo di drappi e di baldacchini -ampliava l'aria beneficata dalla pioggia recente. -E cantavano: -</p> - -<div class="poem"> -<p><i>Tantum ergo sacramentum</i></p> -<p><i>Veneremur cernui...</i></p> -</div> - -<p> -Orsola, intravedendo, voltò nel vicolo; giunse -alla casa di Rosa Catena, entrò; presa dalla -vertigine, cadde in mezzo al pavimento. E, come -il profluvio del sangue ricominciava, la paralisi -le occupò la metà inferiore del corpo, ogni facoltà -di moto volontario in lei si spense. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -</p> - -<p> -Rosa non era nella casa: la processione -aveva attirato tutto il paese, quel giorno. In un -angolo della stanza Muà, il padre, un mostro -di vecchiaia umana, un cieco inchiodato per -anni sul legname di una sedia dall'artrite deformante, -tentava vagamente con la punta del -bastone i mattoni intorno a sè per scoprire la -causa del rumore improvviso; e un borbottìo -bavoso gli esciva dalla bocca sdentata. -</p> - -<p> -Allora, ai piedi del mostro orrendo, in mezzo -al sangue del peccato, con i pollici stretti nei -pugni, senza grida, la sposa violata del Signore -per alcuni attimi si agitò nella convulsione mortale. -</p> - -<p> -— Via! Via! Passa via! Via di qua! -</p> - -<p> -Il vecchio, credendo che fosse entrato il mastino -del beccaio, allungava il bastone per scacciarlo; -e percoteva la moribonda. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span></p> - -<h2 id="anna">LA VERGINE ANNA.</h2> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Luca Minella, nato nel 1789 a Ortona in una -delle case di Porta Caldara, fu marinaio. Nella -prima giovinezza navigò per qualche tempo -sul trabaccolo <i>Santa Liberata</i>, dalla rada di Ortona -ai porti della Dalmazia, caricando legnami, -frumento e frutta secche. Poi, per vaghezza -di cambiar padrone, si mise al servizio di Don -Rocco Panzavacante, e su una tanecca nuova -fece molti viaggi in commercio d'agrumi al -promontorio di Roto, che è una grande e -dilettosa altura su la costa italica, tutta coperta -da una selva di aranci e di limoni. -</p> - -<p> -Su i ventisette anni egli si accese d'amore -per Francesca Nobile; e dopo alcuni mesi -strinse le nozze. -</p> - -<p> -Luca, uomo di statura bassa e fortissimo, -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -aveva una dolce barba bionda intorno al viso -colorito; e, come le femmine, agli orecchi portava -due cerchietti d'oro. Amava il vino ed -il tabacco; professava una devozione ardente -per il santo apostolo Tommaso; e, poichè era -di natura superstizioso e inchinevole allo stupore, -raccontava singolari avventure e meraviglie -dei paesi d'oltremare e novellava delle -genti dálmate e delle isole adriatiche come di -tribù e di terre prossime al polo. -</p> - -<p> -Francesca, donna di gioventù già schiusa, -aveva della razza ortonese la floridissima carne -e i lineamenti molli. Ella amava la chiesa, le -funzioni religiose, le pompe sacre, le musiche -dei tridui; viveva in gran semplicità di costumi; -e, poichè la sua intelligenza era fievole, -credeva le più incredibili cose e lodava in -ogni suo atto il Signore. -</p> - -<p> -Dal congiungimento nacque Anna; e fu nel -mese di giugno del 1817. Siccome il parto -veniva difficile e si temeva di qualche sventura, -il sacramento del battesimo fu amministrato -sul ventre della madre, prima che uscisse -alla luce l'infante. Dopo molto travaglio -il parto si compì. La creatura bevve il latte -dalle mammelle materne e crebbe in salute e -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -in letizia. Francesca scendeva verso sera alla -marina, con la poppante su le braccia, quando -la tanecca doveva tornare carica da Roto; e -Luca sbarcando aveva la camicia tutta odorosa -dei frutti meridionali. Risalendo insieme -verso le case alte, si fermavano allora un momento -alla chiesa e s'inginocchiavano. Nelle -cappelle già ardevano le lampade votive; e -in fondo, a traverso i sette cancelli di bronzo, -il busto dell'Apostolo luccicava come un tesoro. -Le preghiere invocavano la benedizione -celeste sul capo della figliuola. Nell'uscire, -quando la madre bagnava la fronte di Anna -con l'acqua della pila, gli strilli infantili echeggiavano -a lungo per quelle navate sonanti -come grandi conche di metallo puro. -</p> - -<p> -L'infanzia di Anna passava pianamente, senza -alcuno avvenimento notevole. Nel maggio del -1823 ella fu vestita da cherubino, con una -corona di rose e un velo bianco; e, confusa -in mezzo allo stuolo angelico, seguì la processione -tenendo in mano un cero sottile. La -madre nella chiesa volle sollevarla su le braccia -per farle baciare il santo protettore. Ma, come -le altre madri sorreggenti gli altri cherubini spingevano -in folla, uno dei ceri appiccò il fuoco -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -al velo d'Anna e d'improvviso la fiamma avvolse -il corpo tenerello. Un moto di paura si -propagò allora nella moltitudine, e ciascuno tentava -d'essere primo ad uscire. Francesca, se -bene aveva le mani quasi impedite dal terrore, -riuscì a strappare la veste ardente; si -strinse contro il petto la figliuola nuda e tramortita; -gittandosi dietro ai fuggenti, invocava -Gesù con alte grida. -</p> - -<p> -Per le ustioni Anna stette inferma lungo -tempo in pericolo. Ella giaceva nel letto, con -l'esile faccia esangue, senza parlare, come fosse -diventata muta; e aveva negli occhi aperti e -fissi un'espressione di stupore immemore più -che di dolore. Nell'autunno guarì: e andò ad -appendere un voto. -</p> - -<p> -Quando la temperie era dolce, la famiglia -scendeva nella barca pel pasto della sera. Sotto -la tenda, Francesca accendeva il fuoco e sul -fuoco metteva i pesci: l'odor cordiale degli alimenti -si spandeva lungo il Molo mescendosi -al profumo derivante dai verzieri della Villa -Onofria. Il mare dinanzi era così tranquillo -che si udiva a pena tra gli scogli il risucchio, -e l'aria così limpida che la punta di -San Vito si vedeva in lontananza emergere -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -con tutto il cumulo delle case. Luca si metteva -a cantare, insieme con gli altri uomini; -Anna faceva atto di aiutare la madre. Dopo -il pasto, come la luna saliva il cielo, i marinai -apprestavano la tanecca per salpare. Intanto -Luca, nel calore del vino e del cibo, preso -da quella sua naturale avidità di narrazioni -mirabili, cominciava a parlare dei litorali lontani. — C'era, -più in là di Roto, una montagna -tutta abitata dalle scimmie e da <i>uomini -dell'India</i>, altissima, con piante che producevano -le pietre preziose.... — La moglie e la -figlia ascoltavano, in silenzio, attonite. Poi le -vele si spiegavano lungo gli alberi lentamente, -tutte segnate di figure nere e di simboli cattolici, -come vecchi gonfaloni della patria. E -Luca partiva. -</p> - -<p> -Nel febbraio del 1826 Francesca si sgravò -d'un bimbo morto. Nella primavera del 1830 -Luca volle condurre Anna al promontorio. Anna -era allora su l'adolescenza. Il viaggio fu felice. -Nell'alto mare incontrarono una nave di mercanti, -una gran nave che faceva cammino per -forza di immense vele bianche. I delfini nuotavano -nella scia; l'acqua si moveva dolcemente -intorno, scintillando, come se sopra vi galleggiassero -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -tappeti di penne di paone. Anna seguì -a lungo con gli occhi mai sazii la nave in lontananza. -Poi una specie di nuvola azzurra sorse -su la linea dell'orizzonte; ed era la montagna -fruttifera. Le coste della Puglia si designavano -a poco a poco sotto il sole. Il profumo degli -agrumi veniva spandendosi nell'aria gioviale. -Quando Anna discese su la riva, fu presa da -un senso di letizia; e stette curiosa a guardare -le piantagioni e gli uomini nativi del luogo. Il -padre la condusse nella casa di una donna non -giovane che parlava con una lieve balbuzie. -Restarono là due giorni. Anna vide una volta -il padre baciare la donna ospite su la bocca; -ma non comprese. Al ritorno la tanecca era carica -di aranci; e il mare era ancora mite. -</p> - -<p> -Anna conservò di quel viaggio un ricordo -come di sogno; e, poichè per natura era taciturna, -raccontò non molte cose alle coetanee -che la incalzavano di interrogazioni. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Nel maggio seguente, alle feste dell'Apostolo -intervenne l'arcivescovo di Orsogna. La chiesa -era tutta parata di drappi rossi e di fogliami -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -d'oro; dinanzi ai cancelli di bronzo ardevano -undici lampade d'argento lavorate dagli orefici -per religione; e tutte le sere l'orchestra sonava -un oratorio solenne con un bel coro di -voci bianche. Il sabato si doveva esporre il -busto dell'Apostolo. I devoti peregrinavano da -tutti i paesi marittimi e interni; salivano la costa -cantando e portando in mano i voti, nel -conspetto del mare. -</p> - -<p> -Anna il venerdì fece la prima comunione. -L'arcivescovo era un vecchio venerando e mite: -quando sollevava la mano per benedire, la gemma -dell'anello risplendeva simile ad un occhio divino. -Anna, appena sentì su la lingua l'ostia -eucaristica, smarrì la vista per un'improvvisa -onda di gaudio che le irrigò i capelli con la -dolcezza d'un bagno tiepido e odoroso. Dietro -di lei un susurro correva nella moltitudine; -allato, altre verginelle prendevano il sacramento -e chinavano la faccia sul gradino, in gran compunzione. -</p> - -<p> -La sera Francesca volle dormire, com'è costume -dei fedeli, sul pavimento della basilica, -aspettando l'ostensione mattutina del santo. Ella -era incinta da sette mesi, e molto l'affaticava -il peso del ventre. Sul pavimento i pellegrini -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -giacevano accumulati; dai loro corpi esalava il -calore e montava nell'aria. Alcune voci confuse -uscivano a tratti da qualche bocca inconscia nel -sonno; le fiammelle tremolavano e si riflettevano -su l'olio nei bicchieri sospesi tra gli archi; -e nei vani delle larghe porte aperte scintillavano -le stelle alla notte primaverile. -</p> - -<p> -Francesca vegliò per due ore in travaglio, -poichè l'esalazione dei dormienti le dava la -nausea. Ma, determinata a resistere e a soffrire -pel bene dell'anima, vinta dalla stanchezza, -piegò alfine il capo. Su l'alba si destò. L'aspettazione -cresceva negli animi degli astanti e altra -gente sopraggiungeva: in ciascuno ardeva il -desiderio d'essere primo a vedere l'Apostolo. -Fu aperto il cancello esterno; e il romore dei -cardini risonò nitidamente nel silenzio, si ripercosse -in tutti i cuori. Fu aperto il secondo -cancello, poi il terzo, poi il quarto, il quinto, il -sesto, l'ultimo. Parve allora come una tromba -d'uragano investisse la moltitudine. La massa -degli uomini si precipitò verso il tabernacolo; -grida acute squillarono nell'aria mossa da quell'impeto; -dieci, quindici persone rimasero schiacciate -e soffocate; una preghiera tumultuaria -si levò. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -</p> - -<p> -I morti furono tratti fuori all'aperto. Il corpo -di Francesca, tutto contuso e livido, fu portato -alla famiglia. Molti curiosi in torno si accalcarono; -e i parenti gemevano compassionevolmente. -</p> - -<p> -Anna, quando vide la madre distesa sul letto -tutta violacea nella faccia e macchiata di sangue, -cadde a terra senza conoscenza. Poi, per molti -mesi fu tormentata dal mal caduco. -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Nell'estate del 1835 Luca partiva per un -porto della Grecia sul trabaccolo <i>Trinità</i> di -Don Giovanni Camaccione. Siccome egli aveva -nell'animo un segreto pensiero, prima di navigare -vendè le masserizie e pregò i parenti -d'accogliere Anna nella casa fin che egli non -tornasse. Di là a qualche tempo il trabaccolo -tornò carico di fichi secchi e d'uva di Corinto, -dopo aver toccata la spiaggia di Roto. Luca -non era tra la ciurma; e si vociferò poi ch'egli -fosse rimasto nel <i>paese dei portogalli</i> con una -femmina amorosa. -</p> - -<p> -Anna si ricordava dell'antica ospite balbuziente. -Una gran tristezza allora discese nella -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -sua vita. La casa dei parenti era sotto la strada -orientale, in vicinanza del Molo. I marinai venivano -a bere il vino in una stanza bassa, ove -quasi tutto il giorno le canzoni sonavano tra -il fumo delle pipe. Anna passava in mezzo ai -bevitori portando i boccali colmi; e il primo -istinto de' suoi pudori si risvegliava a quel -contatto assiduo, a quell'assidua comunione di -vita con uomini bestiali. Ad ogni momento ella -doveva soffrire i motti inverecondi, le risa crudeli, -i gesti ambigui, la malvagità delle ciurme -inasprite dalle fatiche della navigazione. Ella -non osava lamentarsi, poichè mangiava il pane -nella casa degli altri. Ma quel supplizio di tutte -le ore la rendeva ebete: una imbecillità grave -le opprimeva a poco a poco l'intelligenza indebolita. -</p> - -<p> -Per una naturale inclinazione affettiva dell'animo, -ella poneva amore agli animali. Un -asino di molta età era ricoverato sotto una -tettoia di paglia e di argilla, dietro la casa. -Il quadrupede mansueto portava cotidianamente -some di vino da Sant'Apollinare alla tavernella; -e, se bene i suoi denti cominciavano a ingiallire -e le sue unghie a sfaldarsi, se bene il -suo cuoio era già secco e non aveva quasi -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -più pelo, talvolta al conspetto di una fiorita di -cardi ridirizzava le orecchie e si metteva a -ragliare vivacemente in un'attitudine giovenile. -</p> - -<p> -Anna empiva di profenda la greppia e di -acqua l'abbeveratoio. Quando il calore era -grande, ella veniva sotto la tettoia a meriggiare. -L'asino triturava i fili di paglia tra le mandibole -laboriose, ed ella con un ramo fronzuto -faceva opera di pietà liberandogli la schiena -dalla molestia degli insetti. Di tanto in tanto -l'asino volgeva la testa orecchiuta, per un -increspamento delle labbra flosce mostrando le -gencive quasi in un rossastro riso animalesco -di gratitudine e mostrando per un moto obliquo -dell'occhio nell'orbita il globo giallognolo e -venato di paonazzo come una vescica di fiele. -Gli insetti turbinavano con un ronzìo pesante, -su 'l fimo; non dalla terra nè dal mare venivano -romori o voci; e un senso infinito di -pace occupava allora l'animo della donna. -</p> - -<p> -Nell'aprile del 1842 Pantaleo, l'uomo che -guidava il somiere al viaggio cotidiano, morì -di coltello. Da quel tempo ad Anna fu commesso -l'ufficio. Ed ella partiva su l'alba e -tornava sul mezzogiorno o partiva sul mezzogiorno -e tornava su la sera. La strada volgeva -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -per una collina solatia piantata d'olivi, -discendeva per una terra irrigua messa a pasture, -e risalendo tra i vigneti giungeva alle -fattorie di Sant'Apollinare. L'asino camminava -innanzi, con le orecchie basse, a fatica: una -frangia verde tutta logora e stinta gli batteva -le coste e i lombi; nel basto luccicavano alcuni -frammenti di làmine d'ottone. -</p> - -<p> -Quando l'animale si soffermava per riprender -fiato, Anna gli dava qualche piccolo urto -carezzevole sul collo e l'eccitava con la voce; -poichè ella aveva misericordia di quella decrepitezza. -Ogni tanto strappando dalle siepi -un pugno di foglie, le porgeva in ristoro; e -s'inteneriva sentendo su la palma il movimento -molle delle labbra che ricevevano l'offerta. Le -siepi erano fiorite; e i fiori del bianco spino -avevano un sapore di mandorle amare. -</p> - -<p> -Sul confine dell'oliveto stava una gran cisterna, -e accanto alla cisterna un lungo canale -di pietra dove le vacche venivano ad abbeverarsi. -Tutti i giorni Anna faceva sosta in quel -luogo; ed ella e l'asino si dissetavano prima -di seguire il cammino. Una volta ella s'incontrò -col custode dell'armento, che era nativo -di Tollo e aveva la guardatura un poco -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -losca e il labbro leporino. L'uomo le volse -il saluto; e ambedue cominciarono a ragionare -dei pascoli e dell'acqua, e poi dei santuarii -e dei miracoli. Anna ascoltava con benignità -e con frequenza di sorriso. Ella era -macilente e bianca; aveva gli occhi chiarissimi -e la bocca stragrande, e i capelli castanei pieganti -indietro tutti senza spartizione. Nel collo -le si vedevano le cicatrici rossicce delle bruciature -e le si vedevano le arterie battere d'un -palpito incessante. -</p> - -<p> -Da allora i colloquii si reiterarono. Per l'erba -le vacche stavano sparse; e giacevano ruminando -o pascolavano in piedi. Quelle moventi -forme pacifiche aumentavano la tranquillità della -solitudine pastorale. Anna, seduta su l'orlo della -cisterna, ragionava semplicemente; e l'uomo -dal labbro fesso pareva preso d'amore. Un -giorno ella, per un improvviso spontaneo rifiorir -del ricordo, narrò la navigazione alla -montagna di Roto. E, poichè la lontananza -del tempo le ingannava la memoria, ella diceva -con accento di verità cose meravigliose. L'uomo -stupefatto ascoltava senza batter le palpebre. -Quando Anna tacque, ad ambedue il silenzio -e la solitudine d'intorno parvero più grandi; -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -ed ambedue restarono in pensiero. Venivano -le vacche, tratte dalla consuetudine, all'abbeveratoio; -e a tutte penzolava fra le gambe -il gruppo delle mammelle rifornite di latte dalla -pastura. Come esse avanzavano il muso nel -canale, l'acqua diminuiva ai loro sorsi lenti e -regolari. -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Su gli ultimi giorni di giugno l'asino infermò. -Non prendeva cibo nè bevanda da quasi una -settimana. I viaggi s'interruppero. Una mattina -che Anna discese alla tettoia, scorse la bestia -tutta ripiegata su lo strame in un avvilimento -miserevole. Una specie di tosse roca e tenace -scoteva di tratto in tratto la gran carcassa malcoperta -di cuoio; sopra gli occhi s'erano formate -due cavità profonde, come due orbite vacue; e -gli occhi parevano due grosse bolle gonfie di -siero. Quando l'asino udì le voci di Anna, tentò -di levarsi: il corpo gli traballava su le zampe e -il collo gli si abbatteva giù dalle spalle acute e -le orecchie gli penzolavano con i movimenti involontari -e incomposti di un enorme giocattolo -che avesse guaste le commessure. Un liquido -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -mucoso gli colava dalle nari, talvolta allungandosi -in filamenti sino ai ginocchi. Le chiazze -nude nel pelame avevano il colore azzurrognolo -e quasi cangiante della lavagna. I guidaleschi -qua e là sanguinavano. -</p> - -<p> -Anna, allo spettacolo, si sentì stringere da -una angoscia pietosa; e, poichè ella per natura -e per uso non provava alcuna ripugnanza fisica -in contatto della materia immonda, si accostò a -toccare l'animale. Con una mano gli sorreggeva -la mascella inferiore, con l'altra una spalla; e -così cercava di fargli muovere i passi, sperando -in qualche virtù dell'esercizio. L'animale prima -esitava, squassato da nuovi sussulti di tosse; -poi finalmente prese a camminare per la china -dolce che scendeva al lido. Le acque, dinanzi, -nella natività del giorno biancheggiavano; e i -calafati verso la Penna spalmavano una carena. -Come Anna levò il sostegno delle mani e trasse -la corda della cavezza, l'asino per un fallo de' -piedi anteriori stramazzò d'improvviso. La gran -macchina delle ossa ebbe un scricchiolío interno -di rotture, e la pelle del ventre e dei fianchi -risonò sordamente e palpitò. Le gambe fecero -l'atto di correre; per l'urto, dalla gengiva uscì -un poco di sangue e tra i denti si diffuse. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -</p> - -<p> -Allora la donna si mise a gridare andando -verso la casa. Ma i calafati, sopraggiunti, in cospetto -dell'asino giacente ridevano e motteggiavano. -Uno di loro percosse col piede il ventre -del moribondo. Un altro gli afferrò le orecchie -e gli sollevò il capo che ricadde pesantemente -a terra. Gli occhi si chiusero; qualche brivido -corse fra il pelame bianco del ventre aprendone -le spighe, come un soffio; una delle gambe di -dietro battè due o tre volte nell'aria. Poi tutto -fu immobile; se non che nella spalla ov'era -un'ulcera, si produsse un lieve tremolìo, simile -a quello che per la molestia d'un insetto avveniva -dianzi volontario nella carne vivente. -Quando Anna tornò sul luogo, trovò i calafati -che tiravano per la coda la carogna, e cantavano -un <i>Requiem</i> con false voci asinine. -</p> - -<p> -Così Anna rimase in solitudine; e per lungo -tempo ancora visse nella casa dei parenti ed -ivi appassì, adempiendo umili uffici, e sopportando -con molta pazienza cristiana le vessazioni. -Nel 1845 il mal caduco riapparve con violenza; -sparve dopo alcuni mesi. La fede religiosa in -quell'epoca divenne in lei più profonda e più -calda. Ella saliva alla basilica tutte le mattine e -tutte le sere; e s'inginocchiava abitualmente -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -in un angolo oscuro protetto da una gran pila -di marmo dov'era figurata con rozza opera di -bassorilievo la fuga della Sacra Famiglia in -Egitto. Da prima scelse ella forse quell'angolo -attratta dal docile asinello trasportante il pargolo -Gesù e la Madre alla terra dell'idolatria? Una -gran quietudine d'amore le discendeva su lo -spirito, quando aveva piegate le ginocchia nell'ombra; -e la preghiera le sgorgava puramente -dal petto come da una fonte naturale, poichè -ella pregava soltanto per la voluttà cieca dell'adorazione, -non per la speranza d'ottener grazia -di beni nella vita terrena. Ella pregava, con la -testa china su la sedia; e come i cristiani nell'accedere -e nell'uscire attingevano con le dita -l'acqua della pila, e si segnavano, ella a quando -a quando trasaliva sentendo su' capelli qualche -stilla benedetta cadere. -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -Quando nel 1851 Anna venne la prima -volta al paese di Pescara, era prossima la -festa del Rosario, che si celebra nella prima -domenica di ottobre. La donna si mosse da -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -Ortona a piedi, per sciogliere un voto; e, portando -chiuso in un fazzoletto di seta un piccolo -cuore d'argento, camminò religiosamente -lungo la riva del mare; poichè la strada provinciale -non ancora in quel tempo era praticata, -e un bosco di pini occupava molta -estensione di terreno vergine. La giornata pareva -dolce, se non che nel mare le onde andavano -crescendo, ed all'estremo limite andavano -crescendo in forma di trombe i vapori. -Anna avanzava tutta assorta in pensieri -di santità. Nel far della sera, come ella fu -sul luogo delle Saline, cadde d'improvviso -la pioggia, da prima pianamente e dopo in -grande abbondanza; così che, non essendovi -in torno riparo alcuno, ella n'ebbe le vesti -tutte molli. Più in qua, la foce dell'Alento -portava acqua; ed ella si scalzò per guadare. -In vicinanza di Vallelonga la pioggia restò: -ed il bosco dei pini rinasceva serenante nell'aria -con odor quasi d'incenso. Anna, rendendo -grazie nell'animo al Signore, seguì il -cammino del litorale ma con più rapidi passi, -poichè sentiva penetrarsi nelle ossa l'umidità -malsana, e cominciava a battere i denti pel -ribrezzo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -</p> - -<p> -A Pescara, ella fu subito presa dalla febbre -palustre, e ricoverata per misericordia nella -casa di Donna Cristina Basile. Dal letto, udendo -i cantici della pompa sacra, e vedendo -le cime degli stendardi ondeggiare all'altezza -della finestra, ella si mise a dire le preghiere -e a invocare la guarigione. Quando passò la -Vergine, ella scorse soltanto la corona gemmata, -e fece atto di mettersi in ginocchio su -i guanciali per adorare. -</p> - -<p> -Dopo tre settimane guarì; e, avendole Donna -Cristina offerto di rimanere, ella rimase in -qualità di domestica. Ebbe allora una piccola -stanza guardante sul cortile. Le pareti erano -imbiancate di calce; un vecchio paravento coperto -di figure profane chiudeva un angolo; -e fra i travicelli del soffitto molti ragni tendevano -in pace le tele laboriose. Sotto la finestra -sporgeva un tetto breve, e più giù s'apriva -il cortile pieno di volatili mansueti. Sul -tetto vegetava, da un mucchio di terra chiuso -fra cinque tegole, una pianta di tabacco. Il sole -vi s'indugiava dalle prime ore antimeridiane -alle prime ore del pomeriggio. Ogni estate la -pianta dava fiori. -</p> - -<p> -Anna, nella nuova vita, nella nuova casa, a -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -poco a poco si sentì sollevare e rivivere. La sua -naturale inclinazione all'ordine si dispiegò. Ella -attendeva a tutti i suoi uffici tranquillamente, -senza far parole. Anche, in lei la credenza nelle -cose soprannaturali ingigantì. Due o tre leggende -s'erano per antico formate su due o tre luoghi -della casa Basile, e di generazione in generazione -si tramandavano. Nella <i>camera gialla</i> del -secondo piano abbandonato viveva l'anima di -Donna Isabella. In un ricettacolo ingombro, dove -una scala discendeva a gomito sino a una porta -che non s'apriva da tempo, viveva l'anima di Don -Samuele. Quei due nomi esercitavano un singolar -fàscino sui nuovi abitatori, e diffondevano -per tutto il vecchio edificio una specie di solennità -conventuale. Come poi il cortile interno -era circondato di molti tetti, i gatti su la loggia -si riunivano in conciliaboli e miagolavano con -una dolcezza misteriosa, chiedendo ad Anna gli -avanzi del pasto familiare. -</p> - -<p> -Nel marzo del 1853 il marito di Donna Cristina -morì d'una malattia urinaria, dopo lunghe -settimane di spasimi. Egli era un uomo timorato -di Dio, casalingo e caritatevole; era capo -d'una congrega di possidenti religiosi; leggeva -le opere dei teologi, e sapeva sonare sul gravicembalo -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -alcune semplici arie di antichi maestri -napolitani. Quando venne il viatico, magnifico -per numero di ministri e per ricchezza di -arnesi, Anna s'inginocchiò su la porta, e si mise -a pregare ad alta voce. La stanza si empì d'un -vapor d'incenso, in mezzo a cui il ciborio raggiava -e raggiavano i turiboli, oscillando come -lampade accese. Si udirono singhiozzi; poi le -voci dei ministri, raccomandando l'anima all'Altissimo, -si sollevarono. Anna, rapita dalla solennità -di quel sacramento, perdè ogni orrore -della morte, e da allora pensò che la morte dei -cristiani fosse un trapasso dolce e gaudioso. -</p> - -<p> -Donna Cristina tenne chiuse tutte le finestre -della casa durante un mese intero. Continuava -a piangere il marito nell'ora del pranzo e nell'ora -della cena; faceva in nome di lui le elemosine -ai mendicanti; e, più volte nel giorno, -con una coda di volpe levava la polvere dal -gravicembalo come da una reliquia, emettendo -sospiri. Ella era una donna di quarant'anni, tendente -alla pinguedine, ancora fresca nelle sue -forme che la sterilità aveva conservate. E poichè -ereditava dal defunto una dovizia considerevole, -i cinque più maturi celibi del paese cominciarono -a tenderle insidie e ad allettarla alle -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -nuove nozze con arti lusingatrici. I campioni -furono: Don Ignazio Cespa, persona dolcigna, -di sesso ambiguo, con una faccia di vecchia -pettegola butterata dal vaiuolo e una capellatura -impregnata di olii cosmetici, con le dita -cariche di anelli e gli orecchi forati da due minuscoli -cerchi d'oro; Don Paolo Nervegna, dottor -di legge, uomo parlatore e accorto, che -aveva le labbra sempre increspate come se -masticasse l'erba sardonica e su la fronte una -specie di crescimento rossastro innascondibile; -Don Fileno D'Amelio, nuovo capo della congrega, -uomo pieno d'unzione e di compunzione, -un po' calvo, con la fronte sfuggente indietro -e l'occhio pecorinamente opaco; Don Pompeo -Pepe, uomo giocondo, amante del vino e delle -donne e dell'ozio, ubertoso in tutta la corporatura -e più nella faccia, sonoro nelle risa e nelle -parole; Don Fiore Ussorio, uomo di spiriti pugnaci, -gran leggitore di opere politiche e citator -trionfante di esempi storici in ogni disputa, -pallido d'un pallor terrigno, con una sottil corona -di barba intorno agli zigomi e una bocca -singolarmente atteggiata in linea obliqua. A costoro -si aggiungeva, ausiliare della resistenza -di Donna Cristina, l'abate Egidio Cennamele -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -che, volendo trarre l'erede ai benefizi della -chiesa, osteggiava con ben coperta astuzia di -impedimenti le lusinghe. -</p> - -<p> -La gran contesa, che sarà un giorno narrata -dal cronista per diffuso, durò molto tempo ed -ebbe molta varietà di vicende. E principal teatro -della prima azione fu il cenacolo, sala rettangolare -dove su la carta francesca delle pareti -erano francescamente rappresentati i fatti di -Ulisse naufragante all'isola di Calipso. Quasi -tutte le sere i campioni si riunivano intorno -all'inclita vedova; e facevano il giuoco della -briscola e il giuoco dell'amore alternativamente. -</p> - -<h3>VI.</h3> - -<p> -Anna fu candida testimone. Introduceva i visitatori, -tendeva il tappeto su la tavola, e a -mezzo della veglia portava i bicchierini pieni -d'un rosolio verdognolo composto dalle monache -con droghe speciali. Una volta ella sentì -su per le scale Don Fiore Ussorio gridare nel -calore della disputa un'ingiuria contro l'abate -Cennamele che parlava sommesso; e poichè -l'irriverenza le parve mostruosa, ella da allora -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -in poi tenne Don Fiore per un uomo diabolico -e al comparir di lui si faceva rapidamente il -segno della croce e mormorava un <i>Pater</i>. -</p> - -<p> -Nella primavera del 1856, un giorno, mentre -sul greto della Pescara ella sbatteva i panni -lavati, vide una torma di barche passare la foce -e navigar lentamente contro la forza dell'acqua. -Il sole era sereno; le due rive si rispecchiavano -in fondo abbracciandosi; alcuni ramoscelli verdi -e alcune ceste di giunchi natavano nel mezzo -della corrente, come simboli pacifici, verso il -mare; e le barche, aventi quasi tutte la mitria -di san Tommaso dipinta per insegna in un angolo -della vela, avanzavano così nel bel fiume -santificato dalla leggenda di san Cetteo Liberatore. -I ricordi del paese natale si svegliarono -nell'animo della donna con un tumulto improvviso, -a quello spettacolo; ed ella, pensando al -padre, fu invasa da una gran tenerezza. -</p> - -<p> -Le barche erano tanecche ortonesi e venivano -dal promontorio di Roto con un carico di -agrumi. Anna, come le ancore furono gettate, -si avvicinò ai marinai; e li guardava con una -curiosità benevola e trepidante, senza far parole. -Uno di loro, colpito dalla insistenza, la -ravvisò e la interrogò famigliarmente. — Chi -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -cercava? Cosa voleva? — Allora Anna, tratto -in disparte l'uomo, gli chiese se non per caso -egli avesse veduto al <i>paese dei portogalli</i> Luca -Minella, il padre. — Non l'aveva veduto? Non -stava ancora con <i>quella femmina</i>? — L'uomo rispose -che Luca era morto da qualche tempo. — Era -vecchio. Poteva campar di più? — Allora -Anna contenne le lagrime; volle sapere molte -cose. L'uomo le disse molte cose. — Luca -aveva strette le nozze con <i>quella femmina</i>; -ne aveva avuti due figliuoli. Il maggiore dei -due navigava sopra un trabaccolo e veniva -qualche volta a Pescara per negozii. — Anna -trasalì. Un turbamento indeterminato, una specie -di smarrimento confuso le occupava l'animo. -Ella non giungeva a ritrovar l'equilibrio e la -lucidità del giudizio dinanzi a quel fatto troppo -complesso. Ella aveva ora due fratelli dunque? -Doveva amarli? Doveva cercare di vederli? -Ora che doveva dunque fare? -</p> - -<p> -Così, titubante, tornò a casa. E dopo, per -molte sere, quando entravano nel fiume le -barche, ella andava lungo lo scalo a guardare -i marinai. Qualche trabaccolo portava dalla -Dalmazia un carico di asini e di cavalli nani. -Le bestie prendendo terra scalpitavano; l'aria -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -sonava di ragli e di nitriti. Anna, nel passare, -batteva con la mano le grosse teste degli asinelli. -</p> - -<h3>VII.</h3> - -<p> -Verso quel tempo ebbe in dono dal fattore -di campagna una testuggine. Il nuovo ospite -tardo e taciturno fu diletto e cura della donna -nelle ore d'ozio. Camminava da un punto all'altro -della stanza sollevando a stento dal -suolo il grave peso del corpo su le zampe simili -a moncherini olivastri, e, come era giovine, -le piastre del suo scudo dorsale, gialle -maculate di nero, tralucevano talvolta al sole -con un nitor d'ambra. La testa coperta di -scaglie, compressa nel muso, giallognola, sporgeva -tentennando con una mansuetudine timorosa; -e pareva talvolta la testa di un vecchio -serpe estenuato che uscisse dal guscio -di un crostaceo. Anna prediligeva nell'animale -i costumi: il silenzio, la frugalità, la modestia, -l'amor della casa. Gli dava per cibo foglie di -verdura, radici e vermi, restando estatica ad -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -osservare il moto delle piccole mandibole cornee -dentellate nel lor duplice margine. Ella, in quell'atto, -provava quasi un sentimento di maternità; -eccitava pianamente l'animale con le -voci e sceglieva per lui le erbe più tenere e -più dolci. -</p> - -<p> -Fu la testuggine allora auspice d'un idillio. -Il fattore, venendo più volte al giorno nella -casa, s'intratteneva su la loggia a ragionare -con Anna. Ed essendo egli uomo d'umili spiriti, -divoto, prudente e giusto, godeva veder -riflesse le sue pie virtù nell'animo della donna. -Per la consuetudine sorse quindi tra i due a -poco a poco una famigliarità amorevole. Ella -aveva già qualche capello bianco su le tempie, -ed in tutta la faccia diffuso un placido candore. -Egli, Zacchiele, superava di alcuni anni -l'età di lei; aveva una gran testa dalla fronte -sporgente e due miti e rotondi occhi di coniglio. -Tutt'e due, nei colloquii, sedevano per -lo più su la loggia. Sopra di loro, fra i tetti, -il cielo pareva una cupola luminosa; e ad intervalli -i voli dei colombi domestici, bianchi -come il Paraclito, traversavano la quiete celestiale. -I colloquii volgevano su le raccolte, -su la bontà dei terreni, su le semplici norme -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -della coltivazione; ed erano pieni di esperienza -e di rettitudine. -</p> - -<p> -Poichè Zacchiele amava talvolta, per una -ingenua vanità naturale, di far pompa del suo -sapere, in conspetto della donna ignorante e -credula, questa concepì per lui una stima e -un'ammirazione senza limiti. Ella imparò che -la terra è divisa in cinque parti e che cinque -sono le razze degli uomini: la bianca, la gialla, -la rossa, la nera e la bruna. Imparò che la terra -è di forma rotonda, che Romolo e Remo furono -nutricati da una lupa, e che le rondini -su l'autunno vanno oltremare nell'Egitto dove -anticamente regnavano i Faraoni. — Ma gli -uomini non avevano tutti un colore, a imagine -e somiglianza di Dio? Potevamo noi camminare -sopra una palla? Chi erano i re Faraoni? — Ella -non riusciva a comprendere, e rimaneva -così tutta smarrita. Però da allora ella -considerò le rondini con reverenza e le tenne -per uccelli dotati di saggezza umana. -</p> - -<p> -Un giorno Zacchiele le mostrò una Storia -sacra dell'antico Testamento, illustrata di figure. -Anna guardava con lentezza, ascoltando -le spiegazioni. Ed ella vide Adamo ed Eva -tra le lepri ed i cervi, Noè seminudo inginocchiato -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -innanzi a un altare, i tre angeli di -Abramo, Mosè salvato dalle acque; vide con -gioia finalmente un Faraone nel conspetto della -verga di Mosè cangiata in serpe, e la regina -di Saba, la festa dei Tabernacoli, il martirio -dei Maccabei. Il fatto dell'asina di Balaam la -empì di meraviglia e di tenerezza. Il fatto della -coppa di Giuseppe nel sacco di Beniamino la -fece rompere in lacrime. Ed ella imaginava gli -Israeliti camminanti per un deserto tutto coperto -di quaglie, sotto una rugiada che si chiamava -la manna ed era bianca come la neve e più dolce -del pane. -</p> - -<p> -Dopo la Storia sacra, preso da una singolare -ambizione, Zacchiele cominciò a leggerle le imprese -dei Reali di Francia da Costantino imperatore -sino ad Orlando conte d'Anglante. Un -gran tumulto sconvolse allora la mente della -donna: le battaglie dei Filistei e dei Siriaci si -confusero con le battaglie dei Saraceni, Oloferne -si confuse con Rizieri, il re Saul col re -Mambrino, Eleazaro con Balante, Noemi con -Galeana. Ed ella, affaticata, non seguiva più il -filo delle narrazioni, ma si riscoteva soltanto -ad intervalli quando udiva passare nella voce -di Zacchiele i suoni di qualche nome prediletto. -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -E predilesse Dusolina e il duca Bovetto -che prese tutta l'Inghilterra innamorandosi della -figliuola del re di Frisia. -</p> - -<p> -Erano le calende di settembre. Nell'aria -temperata dalla pioggia recente, si andava diffondendo -una placida chiarità autunnale. La -stanza di Anna divenne il luogo delle letture. -Un giorno Zacchiele, seduto, leggeva <i>come -Galeana, figliuola del re Galafro, s'innamorò di -Mainetto e volle da lui la ghirlanda dell'erba</i>. -Anna, poichè la favola pareva semplice e campestre, -e poichè la voce del lettore pareva -addolcirsi di accenti novelli, ascoltava con visibile -assiduità. La testuggine si traeva in -mezzo ad alcune foglie di lattuga, pianamente; -il sole su la finestra illuminava una gran tela -di ragno, e gli ultimi fiori rosei del tabacco -si vedevano a traverso la sottile opera di filo -d'oro. -</p> - -<p> -Quando il capitolo fu finito, Zacchiele depose -il libro; e, guardando la donna, sorrise -d'uno di quei sorrisi fatui che solevano increspargli -le tempie e gli angoli della bocca. -Poi cominciò a parlarle vagamente, con la peritanza -di colui che non sa in qual modo giungere -al punto desiderato. Finalmente ardì. — Ella -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -non aveva pensato mai al matrimonio? — Anna -alla domanda non rispose. Stettero ambedue -in silenzio ed ambedue sentivano nell'animo -una dolcezza confusa, quasi un risveglio -attonito della giovinezza sepolta e un -umano richiamo dell'amore. E n'erano turbati -come dal fumo d'un vino troppo forte che -montasse al loro cervello indebolito. -</p> - -<h3>VIII.</h3> - -<p> -Ma una tacita promessa di nozze fu data -molti giorni dopo, in ottobre, nella prima natività -dell'olio d'oliva e nell'ultima migrazione -delle rondini. Con licenza di Donna Cristina, un -lunedì Zacchiele condusse Anna alla fattoria dei -colli, dov'era il frantoio. Uscirono da Portasale, -a piedi, e presero la via Salaria, volgendo -le spalle al fiume. Dal giorno della favola di -Galeana e di Mainetto, essi provavano l'un -verso l'altra una specie di trepidazione, un -misto di temenza vergogna e rispetto. Avevano -perduta quella bella famigliarità d'una -volta; parlavano poco insieme e sempre con -un tal riserbo esitante, senza mai guardarsi -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -nel volto, con incerti sorrisi, confondendosi -talora per un subitaneo rossore, indugiando così -in questi timidi bamboleggiamenti d'innocenza. -</p> - -<p> -Camminarono in silenzio, da prima, ciascuno -seguendo lo stretto sentiero asciutto che i passi -dei viandanti avevano praticato sui due margini -della via; e li divideva il mezzo della -via fangoso e segnato di solchi profondi dalle -ruote dei veicoli. Una libera gioia vendemmiale -occupava le campagne: i canti del mosto -per la pianura si avvicendavano. Zacchiele si -teneva un poco indietro, rompendo a tratti -a tratti il silenzio con qualche parola su la -temperie, su le vigne, su la raccolta delle olive. -Anna guardava curiosa tutti i cespugli rosseggianti -di bacche, i campi lavorati, le acque -dei fossi; e a poco a poco le nasceva nell'animo -una letizia vaga, quale di chi dopo -lungo tempo sia dilettato da sensazioni già -innanzi conosciute. Come il cammino prese a -volgere su pel declivio tra i ricchi oliveti di -Cardirusso, chiaramente le sorse nell'animo il -ricordo di Sant'Apollinare e dell'asino e del -custode degli armenti. Ed ella sentì quasi rifluirsi -al cuore tutto il sangue, d'improvviso. -Quell'episodio obliato della sua giovinezza le si -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -coordinò nella memoria con una perspicuità -meravigliosa; l'imagine dei luoghi le si formò -dinanzi; e nella scena illusoria ella rivide -l'uomo dal labbro leporino, ne riudì la voce, -provando un turbamento nuovo senza sapere -perchè. -</p> - -<p> -La fattoria si avvicinava; fra gli alberi soffiava -il vento facendo cadere le ulive mature; -una zona di mare sereno si scopriva dall'altitudine. -Zacchiele s'era messo a fianco della -donna e la guardava di tratto in tratto con -una pia supplicazione di tenerezza. — A che -pensava ella dunque? — Anna si volse, con -un'aria quasi di sbigottimento, come fosse -stata colta in fallo. — A niente pensava. — -</p> - -<p> -Giunsero al frantoio, dove i coloni macinavano -la prima raccolta delle olive cadute -precocemente dall'albero. La stanza delle macine -era bassa e oscura; dalla vôlta luccicante -di salnitro pendevano lucerne di ottone -e fumigavano; un giumento bendato girava -una mola gigantesca, con passo regolare; e i -coloni, vestiti di certe lunghe tuniche simili -a sacchi, nudi le gambe e le braccia, muscolosi, -oleosi, versavano il liquido nelle giare, -nelle conche, negli orci. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -</p> - -<p> -Anna si mise a considerare l'opera, attentamente; -e, come Zacchiele impartiva ordini -ai faticatori, e girava tra le macine, osservando -la qualità delle olive con una grande -sicurezza di giudice, ella sentì per lui in quel -momento crescere l'ammirazione. Poi, come -Zacchiele dinanzi a lei prese un gran boccale -colmo e versando nell'orcio quell'olio purissimo -e luminoso nominò la grazia di Dio, ella -si fece il segno della croce, tutta compresa -di venerazione per l'opulenza della terra. -</p> - -<p> -Venivano intanto su la porta le due femmine -della fattoria; e ciascuna teneva contro -il seno un poppante, e si traeva un bel grappolo -di figliuoli dietro le gonne. Si misero -a conversare placidamente; e, poichè Anna -tentava di accarezzare i fanciulli, ciascuna si -compiaceva della propria fecondità, e con una -ridente onestà di parole ragionava dei parti. -La prima aveva avuti sette figliuoli; la seconda -undici. — Era la volontà di Gesù Cristo; e -per la campagna poi ci volevano braccia. -</p> - -<p> -Allora la conversazione volse in materie famigliari. -Albarosa, una delle madri, fece molte -domande ad Anna. — Ella non aveva avuto -mai figliuoli? — Anna, nel rispondere che non -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -s'era maritata, provò per la prima volta una -specie di umiliazione e di rammarico, dinanzi a -quella possente e casta maternità. Poi, cambiando -discorso, ella tese la mano sul più vicino -dei bimbi. Gli altri guardavano con occhi vasti -che pareva avessero assunto un limpido color -vegetale dallo spettacolo continuo delle cose -verdi. L'odore delle olive infrante si spandeva -nell'aria, ed entrava nelle fauci ad eccitare il -palato. I gruppi dei faticatori apparivano e sparivano -sotto il rossore delle lucerne. -</p> - -<p> -Zacchiele, che fino a quel momento aveva invigilato -su la misura dell'olio, si accostò alle -donne. Albarosa lo accolse con un volto festevole. — Quanto -voleva aspettare Don Zacchiele -a prender moglie? — Zacchiele sorrise -con un po' di confusione, a quella domanda; e -diede un'occhiata sfuggente ad Anna che accarezzava -ancora il bimbo selvatico e fingeva -di non aver inteso. Albarosa, per una benevola -arguzia contadinesca, riunendo visibilmente con -l'ammiccar degli occhi bovini il capo d'Anna -e quello di Zacchiele, seguitò le incitazioni. — Erano -una coppia benedetta da Dio. Che aspettavano? — I -coloni, avendo sospesa l'opera per -attendere al pasto, facevano in torno cerchia. E -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -la coppia, anche più confusa per quella testimonianza, -restava muta in un'attitudine tra di -sorriso tremulo e di pudica modestia. Qualcuno -dei giovini fra i testimoni, esilarato dalla faccia -amorosamente compunta di Don Zacchiele, sospingeva -con urti di gomiti i compagni. Il giumento -nitrì, per fame. -</p> - -<p> -Fu apprestato il pasto. Un 'attività diligente -invase la gran famiglia rustica. Su lo spiazzo, -all'aperto, tra gli olivi pacifici e in conspetto del -sottostante mare, gli uomini sedevano alla mensa. -I piatti dei legumi conditi d'olio novello fumavano; -il vino scintillava nelle semplici forme liturgiche -dei vasi; e il cibo frugale dispariva rapidamente -entro gli stomachi dei faticatori. -</p> - -<p> -Anna ora si sentiva come assalire da un tumulto -di giubilo, e si sentiva d'un tratto quasi -legata da una specie di dimestichezza amichevole -con le due donne. Queste la condussero -nell'interno della casa, dove le stanze erano -larghe e luminose benchè antichissime. Su le -pareti le imagini sacre si alternavano con le -palme pasquali; provvigioni di carni suine pendevano -dai soffitti; i talami dal pavimento si elevavano -ampi ed altissimi con a canto le culle; -da tutto emanava la serenità della concordia familiare. -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -Anna, considerando quell'ordine, sorrideva -timidamente a una dolcezza interiore; e -in un punto fu presa da una strana commozione -quasi che tutte le sue latenti virtù di madre casalinga -e i suoi istinti di allevatrice fremessero -e insorgessero d'improvviso. -</p> - -<p> -Quando le donne ridiscesero su lo spiazzo, gli -uomini stavano ancora in torno alla tavola; Zacchiele -parlava con loro. Albarosa prese un piccolo -pane di frumento, lo divise nel mezzo, lo -consperse d'olio e di sale, e l'offerì ad Anna. -L'olio novello, allora allora gemuto dal frutto, -spandeva nella bocca un saporoso aroma asprino; -ed Anna allettata mangiò tutto il pane. -Bevve anche il vino. Poi, come il vespro cadeva, -ella e Zacchiele ripresero il cammino del declivio. -</p> - -<p> -Dietro di loro i coloni cantarono. Molti altri -canti sorsero dalla campagna, e si dispiegarono -nella sera con la piana larghezza di un salmo -gregoriano. Il vento soffiava fra gli oliveti più -umido; un chiarore moriente tra roseo e violaceo -indugiava effuso pel cielo. -</p> - -<p> -Anna camminò innanzi, con passo celere, rasente -i tronchi. Zacchiele la seguì, pensando alle -parole ch'egli voleva dire. Ambedue, da poi che -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -si sentivano soli, provavano una trepidazione infantile. -A un punto Zacchiele chiamò la donna -per nome; ed ella si volse umile e palpitante. — Che -voleva? — Zacchiele non disse più altro; -fece due passi, giunse al fianco di lei. E così -continuarono il cammino, in silenzio, finchè la -via Salaria non li divise. Come nell'andare, essi -presero ciascuno il sentiero del margine, a destra -e a manca. E rientrarono a Portasale. -</p> - -<h3>IX.</h3> - -<p> -Per una nativa irresolutezza, Anna differiva -continuamente il matrimonio. Dubbii religiosi la -tormentavano. Ella aveva sentito dire che soltanto -le vergini sarebbero ammesse a far corona -in torno alla Madre di Dio, nel paradiso. -Dunque? Doveva ella rinunciare a quella dolcezza -celeste per un bene terreno? Un più vivo -ardore di divozione allora la invase. In tutte le -ore libere ella andava alla chiesa del Rosario; -s'inginocchiava innanzi al gran confessionale di -quercia, e rimaneva immobile in quell'attitudine -di preghiera. La chiesa era semplice e povera; -il pavimento era coperto di lapidi mortuarie; -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -una sola lampada di metallo vile ardeva innanzi -all'altare. E la donna rimpiangeva nell'animo il -fasto della sua basilica, la solennità delle cerimonie, -le undici lampade d'argento, i tre altari -di marmo prezioso. -</p> - -<p> -Ma nella Settimana Santa del 1857, sorse un -grande avvenimento. Tra la Confraternita capitanata -da Don Fileno d'Amelio e l'abate Cennamele, -coadiuvato dai satelliti parrocchiali, scoppiò -la guerra; e ne fu causa un contrasto per -la processione di Gesù morto. Don Fileno voleva -che la pompa, fornita dai congregati, uscisse -dalla chiesa della Confraternita; l'abate -voleva che la pompa uscisse dalla chiesa parrocchiale. -La guerra attrasse e avviluppò tutti -i cittadini e le milizie del Re di Napoli, residenti -nel forte. Nacquero tumulti popolari; le -vie furono occupate da assembramenti di gente -fanatica; pattuglie armigere andarono in volta -per impedire i disordini; il conte arcivescovo di -Chieti fu assediato da innumerevoli messi d'ambo -le parti; corse molta pecunia per corruzioni; -un mormorio di congiure misteriose si sparse -nella città. Focolare degli odii la casa di Donna -Cristina Basile. Don Fiore Ussorio sfolgorò per -mirabili stratagemmi e per audacie novissime, -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -in quei giorni di lotta. Don Paolo Nervegna -ebbe un grave spargimento di bile. Don Ignazio -Cespa adoperò in vano tutte le sue blande arti -conciliative e i suoi sorrisi melliflui. La vittoria -fu contrastata con un accanimento implacabile, -fino all'ora rituale della pompa funeraria. Il popolo -fremeva nell'aspettazione; il comandante -de le milizie, partigiano dell'abbadia, minacciava -castighi ai facinorosi della Confraternita. La rivolta -stava per irrompere. Quand'ecco giungere -su la piazza un soldato a cavallo latore di un -messaggio episcopale che dava la vittoria ai -congregati. -</p> - -<p> -L'ordine della pompa si dispiegò allora con -insolita magnificenza per le vie sparse di fiori. -Un coro di cinquanta voci bianche cantò gli inni -della Passione; e dieci turiferarii incensarono -tutta la città. I baldacchini, gli stendardi, i ceri -per la nuova ricchezza empirono gli astanti -di meraviglia. L'abate sconfitto non intervenne; -ed in sua vece Don Pasquale Carabba, il Gran -Coadiutore, vestito dei paramenti badiali, seguì -con molta solennità d'incesso il feretro di Gesù. -</p> - -<p> -Anna, nel frangente, aveva fatto voti per la -vittoria dell'abate. Ma la suntuosità della cerimonia -la abbagliò; una specie di rapimento la invase, -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -allo spettacolo; ed ella sentì gratitudine -anche per Don Fiore Ussorio che passava reggendo -nel pugno un cero immane. Poi, come -l'ultima schiera dei celebranti le giunse dinanzi, -ella si mescolò alla turba fanatica degli uomini, -delle donne e de' fanciulli; e andò così, quasi -senza toccar terra, tenendo sempre gli occhi fissi -al serto culminante della <i>Mater dolorosa</i>. In alto, -dall'uno all'altro balcone, stavano tesi i drappi -signorili consecutivamente; dalle case dei panettieri -pendevano rustiche forme d'agnelli materiate -di fromento; ad intervalli, nei trivii, nei -quadrivii, un braciere acceso spandeva fumo di -aròmati. -</p> - -<p> -La processione non passò sotto le finestre -dell'abate. Di tratto in tratto una specie di movimento -irregolare correva lungo le file, come -se la schiera antesignana incontrasse un ostacolo. -E n'era causa il contrasto tra il crocifero della -Confraternita e il luogotenente delle milizie, i -quali ambedue avevano ricevuto il comando di -seguire un itinerario diverso. Poichè il luogotenente -non poteva usar violenza senza commetter -sacrilegio, vinse il crocifero. I congregati -esultavano; il comandante generale ardeva -d'ira; il popolo s'empiva di curiosità. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -</p> - -<p> -Quando la pompa, in vicinanza dell'arsenale, -si rivolse per rientrare nella chiesa di San Giacomo, -Anna prese un vicolo obliquo e in pochi -passi fu su la porta madre. S'inginocchiò. Giungeva -primo verso di lei l'uomo portante il crocifisso -gigantesco; seguivano gli stendardieri che -tenevano l'altissima asta in equilibrio su la fronte -o sul mento, atteggiandosi con dotto giuoco -di muscoli. Poi, quasi in mezzo a una nuvola -d'incenso, venivano le altre schiere, i cori angelici, -gli incappati, le vergini, i signori, il clero, -le milizie. Lo spettacolo era grande. Una specie -di terrore mistico teneva l'animo della donna. -</p> - -<p> -Si avanzò sul vestibolo, secondo la consuetudine, -un accolito munito d'un largo piatto -d'argento per ricevere i ceri. Anna guardava. -Allora fu che il comandante, spezzando tra i -denti aspre parole contro la Confraternita, gittò -violentemente il suo cero nel piatto e voltò -le spalle con piglio minaccioso. Tutti rimasero -allibiti. E nel momentaneo silenzio si udì tintinnare -la spada di colui che si allontanava. -Solo Don Fiore Ussorio ebbe la temerità di -sorridere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -</p> - -<h3>X.</h3> - -<p> -I fatti per moltissimo tempo incitarono l'attività -vocale dei cittadini e furono causa di turbolenze. -Come Anna era stata testimone dell'ultima -scena, alcuni vennero a lei per ragguagli. -Ella raccontava sempre con le stesse parole, -pazientemente. La sua vita da allora fu tutta -spesa tra le pratiche religiose, gli uffici domestici -e l'amore della testuggine. Ai primi tepori d'aprile -la testuggine uscì dal letargo. Un giorno, -d'improvviso, sbucò di sotto allo scudo la testa -serpentina e tentennò debolmente mentre i piedi -erano ancora immersi nel torpore. I piccoli occhi -rimasero coperti a mezzo dalla palpebra. E -l'animale, forse non più consapevole d'essere -captivo, si mosse finalmente con un moto pigro -e incerto, tastando co' piedi il suolo, spinto -dal bisogno di trovarsi il cibo come nella sabbia -del suo bosco natale. -</p> - -<p> -Anna, innanzi a quel risveglio, fu invasa da -una tenerezza ineffabile e stette a guardare -con occhi umidi di lacrime. Poi prese la testuggine, -la mise sul letto, le offerì alcune foglie -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -verdi. La testuggine esitava a toccare le foglie, -e nell'aprire le mandibole mostrava la lingua -carnosa come quella dei pappagalli. Gli indumenti -del collo e delle zampe parevano membrane -flosce e giallognole di un corpo estinto. -La donna a quella vista si sentiva stringere da -una gran misericordia; ed eccitava al ristoro il -bene amato, con le blandizie di una madre -pel figliuolo convalescente. Unse d'olio dolce -lo scudo osseo; e, come il sole vi percoteva -sopra, le piastre pulite risplendevano più belle. -</p> - -<p> -In queste cure passarono i mesi della primavera. -Ma Zacchiele, consigliato dalla stagione -novella a maggiori impeti di amore, incalzò la -donna con così tenere supplicazioni che n'ebbe -alfine una promessa solenne. Le nozze si sarebbero -celebrate il giorno precedente la Natività -di Gesù Cristo. -</p> - -<p> -Allora l'idillio rifiorì. Mentre Anna attendeva -alle opere dell'ago pel corredo nuziale, -Zacchiele leggeva ad alta voce la storia del -Nuovo Testamento. Le nozze di Cana, i prodigi -del Redentore in Cafarnao, il morto di -Naim, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, -la liberazione della figliuola della Cananea, i -dieci lebbrosi, il cieco nato, la risurrezione di -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -Lazzaro, tutte quelle narrazioni miracolose rapirono -l'animo della donna. Ed ella pensò lungamente -a Gesù che entrava in Gerusalemme -cavalcando un'asina, mentre i popoli stendevano -su la sua via le vesti e spargevano fronde. -</p> - -<p> -Nella stanza l'erbe di timo odoravano in un -vaso di terra. La testuggine veniva talvolta -alla cucitrice e le tentava con la bocca il lembo -delle tele o le morsicchiava il cuoio sporgente -delle scarpe. Un giorno Zacchiele, nel leggere -la parabola del Figliuol Prodigo, sentendosi -d'improvviso qualche cosa di mobile tra i piedi, -per un involontario moto di ribrezzo diede co' -piedi un urto; e la testuggine urtata andò a -battere contro la parete e rimase capovolta. Il -guscio dorsale si scheggiò in più parti; un po' -di sangue apparve da una delle zampe che -l'animale agitava inutilmente per riprendere la -posizione primitiva. -</p> - -<p> -Se bene l'infelice amante si mostrò atterrito -del fatto e inconsolabile, Anna dopo quel giorno -si chiuse in una specie di severità diffidente, -non parlò più, non volle più ascoltare la lettura. -E così il figliuol prodigo rimase per sempre -sotto gli alberi delle ghiande a guardare i -porci del suo signore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -</p> - -<h3>XI.</h3> - -<p> -Nella grande alluvione dell'ottobre (1857) Zacchiele -morì. La cascina dov'egli abitava, nei -dintorni dei Cappuccini, fuori di Porta-Giulia, fu -invasa dalle acque. Le acque inondarono tutta -la campagna, dal colle d'Orlando fino al Colle -di Castellammare; e, poichè avevano attraversato -vastissimi sedimenti d'argilla, erano sanguigne -come nella favola antica. Le cime degli -alberi emergevano qua e là su quel sangue -melmoso ed estuoso. Per intervalli, dinanzi al -forte passavano in precipizio tronchi enormi -con tutte le radici, masserizie, materie di forme -irriconoscibili, gruppi di bestiami non ancora -morti che urlavano e sparivano e riapparivano -e si perdevano in lontananza. I branchi dei -bovi, in ispecie, davano uno spettacolo mirabile: -i grossi corpi biancastri s'incalzavano l'un -l'altro, le teste si ergevano disperatamente fuori -dell'acqua, furiosi intrecciamenti di corna avvenivano -nell'impeto del terrore. Come il mare -era di levante, le onde alla foce rigurgitavano. -Il lago salso della Palata e gli estuarii si riunirono -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -col fiume. Il forte divenne un'isola perduta. -</p> - -<p> -Nell'interno le vie si sommersero; la casa di -Donna Cristina ebbe la linea delle acque sino -a metà della scala. Il fragore cresceva di continuo, -mentre le campane sonavano a distesa. -I forzati, dentro le carceri, urlavano. -</p> - -<p> -Anna, credendo a qualche supremo castigo -dell'Altissimo, ricorse alla salvezza delle preghiere. -Il secondo giorno, come salì su la sommità -della colombaia, non vide che acque e -acque in torno sotto le nuvole, e scorse poi -cavalli sbigottiti che galoppavano in furia su -le troniere di San Vitale. Discese, stupida, -con la mente sconvolta; e la persistenza del -fragore e l'oscurità dell'aria le fecero smarrire -ogni nozione del luogo e del tempo. -</p> - -<p> -Quando l'alluvione cominciò a decrescere, la -gente del contado entrò nella città per mezzo -di palischermi. Uomini, donne e fanciulli, avevano -su la faccia e negli occhi la stupefazione -dolorosa. Tutti narravano fatti tristi. E un bifolco -dei Cappuccini venne alla casa Basile per -annunziare che Don Zacchiele se n'era andato -<i>a marina</i>. Il bifolco parlava semplicemente, narrando -la morte. Disse che in vicinanza dei Cappuccini -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -certe femmine avevano legato i figliuoli -lattanti su la cima di un grande albero per salvarli -dall'acqua e che i vortici avevano sradicato -l'albero trascinandosi le cinque creature. -Don Zacchiele stava sul tetto con altri cristiani -in un mucchio compatto, urlando; e il -tetto stava già per sommergersi; e cadaveri -d'animali e rami rotti venivano già a urtare -contro i disperati. Quando finalmente l'albero -dei lattanti passò di là sopra, la violenza fu -così terribile che dopo il suo passaggio non si -vide più traccia di tetto nè di cristiani. -</p> - -<p> -Anna ascoltò senza piangere; e nella sua -mente percossa il racconto di quella morte, -con quell'albero dei cinque pargoli e con quelli -uomini ammucchiati tutti sopra un tetto e con -quei cadaveri di bestie che andavano a urtar -contro, suscitò una specie di meraviglia superstiziosa -simile a quella suscitatale da certe narrazioni -del Vecchio Testamento. Ella salì con -lentezza alla sua stanza, e cercò di raccogliersi. -Il sole modesto splendeva sul davanzale; la -testuggine in un angolo dormiva ricoverata -sotto il suo scudo; un cinguettío di passeri veniva -dagli émbrici. Tutte queste cose naturali, -questa usuale tranquillità della vita circonstante, -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -a poco a poco la rasserenarono. Dal fondo di -quella momentanea calma alfine sorse chiaro il -dolore; ed ella chinò la testa sul petto, in un -grande sconforto. -</p> - -<p> -Allora le punse l'animo il rimorso d'aver serbato -contro Zacchiele quella specie di muto -rancore per tanto tempo; e i ricordi a uno a -uno vennero ad assalirla; e le virtù del defunto -le rifulgevano ora alla memoria più religiosamente. -Poichè l'onda del dolore cresceva, ella -si alzò, andò verso il letto, vi si distese bocconi. -E i suoi singhiozzi risonavano tra il cinguettío -degli uccelli. -</p> - -<p> -Dopo, quando le lacrime si arrestarono, la -quiete della rassegnazione cominciò a discenderle -nell'animo; ed ella pensò che tutte le -cose della terra sono caduche, e che noi dobbiamo -conformarci alla volontà del Signore. -L'unzione di questo semplice atto d'abbandono -le sparse sul cuore un'abbondanza di dolcezza. -Ella si sentì libera da ogni inquietudine, -e trovò il riposo in quell'umile e ferma confidenza. -Da allora nella sua regola non fu che -questa clausola: — La soprana volontà di Dio, -sempre giusta, sempre adorabile, sia fatta in tutte -le cose, sia lodata ed esaltata per tutta l'eternità. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -</p> - -<h3>XII.</h3> - -<p> -Così alla figlia di Luca fu aperta la vera -strada del paradiso. E il giro del tempo per lei -non fu determinato se non dalle ricorrenze ecclesiastiche. -Quando il fiume rientrò nell'alveo, -uscirono per ordine consecutivo di giorni molte -processioni nella città e nelle campagne. Ella -le seguì tutte, insieme con il popolo, cantando -il <i>Te Deum</i>. Le vigne in torno erano devastate; -il terreno era molle e l'aria pregna di vapori -biondi, singolarmente luminosa, come nelle primavere -palustri. -</p> - -<p> -Poi venne la festa d'Ognissanti; poi, la solennità -dei Morti. Grandi messe furono celebrate -in suffragio delle vittime dell'alluvione. -Nel Natale Anna volle fare il presepe; comprò -un bambino di cera, Maria, san Giuseppe, il -bove, l'asino, i re Magi e i pastori. Accompagnata -dalla figlia del sagrestano, ella andò per -i fossati della via Salaria a cercare il musco. -Sotto la vitrea serenità iemale i latifondi riposavano -pingui di limo; la fattoria d'Albarosa si -scorgeva sul colle tra gli olivi; nessuna voce turbava -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -il silenzio. Anna, come scopriva il musco, -si chinava e con un coltello tagliava la zolla. -Al contatto delle fredde erbe le sue mani divenivano -lievemente violacee. Di tratto in tratto, -alla vista di una zolla più verde, le sfuggiva -una esclamazione di contentezza. Quando il -canestro fu pieno, ella sedette sul ciglio del -fossato, con la fanciulla. I suoi occhi salirono -pel sentiero dell'oliveto, lentamente, e si fermarono -alle mura bianche della fattoria che -pareva un edifizio claustrale. Allora ella chinò -la fronte, assalita da un pensiero. Poi d'un -tratto si volse alla compagna. — Non aveva -mai veduto macinare le olive? — E cominciò -a figurar l'opera delle macine con molta prolissità -di parole; e, come parlava, a poco a -poco le salivano dall'animo altri ricordi, le venivano -su la bocca spontaneamente a uno a -uno, e le passavano nella voce con un piccolo -tremito. -</p> - -<p> -Quella fu l'ultima debolezza. Nell'aprile -del 1858, poco dopo la Pasqua maggiore, ella -infermò. Stette nel letto quasi durante un mese, -tormentata dall'infiammazione pulmonare. Donna -Cristina veniva la mattina e la sera nella stanza -a visitarla. Una vecchia fantesca, che faceva -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -pubblica professione d'assistere i malati, le somministrava -i medicamenti. Poi la testuggine le -rallegrò i giorni della convalescenza. E come -l'animale era estenuato dal digiuno, ed era -tutto aridamente pelloso, Anna vedendosi macilente, -e sentendosi anch'essa affievolita, provava -quella specie di appagamento interiore -che noi proviamo quando una stessa sofferenza -ci accomuna alla persona diletta. Un tepore -molle saliva dagli émbrici coperti di licheni, -verso i convalescenti; nel cortile i galli cantavano: -e una mattina due rondini entrarono -d'improvviso, batterono l'ali in torno alla stanza -e fuggirono. -</p> - -<p> -Quando Anna tornò la prima volta nella -chiesa, dopo la guarigione, era la Pasqua delle -rose. Ella, nell'entrare, aspirò il profumo dell'incenso -cupidamente. Camminò piano, lungo -la navata, per ritrovare il posto dove soleva -prima inginocchiarsi; e si sentì prendere da -una sùbita gioia, quando scorse finalmente tra -le lapidi mortuarie quella che portava nel mezzo -un bassorilievo tutto consunto. Vi piegò i ginocchi -sopra, e si mise a pregare. La gente -aumentava. A un certo punto della cerimonia -due accoliti scesero dal coro con due bacini -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -d'argento colmi di rose, e cominciarono a spargere -i fiori su le teste dei prostrati, mentre -l'organo sonava un inno giocondo. Anna era -rimasta china, in una specie di estasi che le -davano la beatitudine del misterio celebrato e -il senso vagamente voluttuoso della guarigione. -Come alcune rose vennero a caderle su la persona, -ella n'ebbe un fremito lungo. E la povera -donna nulla aveva provato nella sua vita di -più dolce che quel fremito di delizia mistica e -il susseguito languore. -</p> - -<p> -La Pasqua rosata rimase perciò la festività -prediletta di Anna, e ritornò periodicamente -senza alcun episodio notevole. Nel 1860 la città -fu turbata da gravi agitazioni. Si udivano spesso -nella notte i rulli dei tamburi, gli allarmi delle -sentinelle, i colpi della moschetteria. Nella casa -di Donna Cristina si manifestò un più vivo fervore -di azione tra i cinque proci. Anna non si -sbigottì; ma visse in un raccoglimento profondo, -non prendendo conoscenza degli avvenimenti -pubblici nè di quelli domestici, adempiendo ai -suoi uffici con un'esattezza macchinale. -</p> - -<p> -Nel mese di settembre la fortezza di Pescara -fu evacuata; le milizie borboniche si sbandarono, -gittando armi e bagagli nelle acque del -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -fiume; stuoli di cittadini corsero le vie con liberali -acclamazioni di gioia. Anna, come seppe -che l'abate Cennamele era fuggito precipitosamente, -pensò che i nemici della Chiesa di Dio -avessero ottenuto il trionfo; e n'ebbe molto -dolore. -</p> - -<p> -Dopo, la sua vita si svolse in pace, lungo -tempo. Lo scudo della testuggine crebbe in latitudine -e divenne più opaco; la pianta del tabacco -annualmente sorse, fiorì e cadde; le -sagge rondini in ogni autunno partirono per la -terra dei Faraoni. Nel 1865 alfine la gran contesa -dei proci terminò con la vittoria di Don -Fileno d'Amelio. Le nozze si celebrarono nel -mese di marzo, con solenne giocondità di conviti. -E vennero allora ad ammannire vivande -preziose due padri cappuccini, Fra Vittorio e -Fra Mansueto. -</p> - -<p> -Erano costoro i due che di tutta la compagnia -rimanevano, dopo la soppressione, a -custodire il cenobio. Fra Vittorio era un sessagenario -invermigliato fortificato e letificato dal -succo dell'uva. Una piccola benda verde gli -copriva l'infermità dell'occhio destro, e il sinistro -gli scintillava pieno di vivezza penetrante. Egli -esercitava fin dalla gioventù l'arte farmaceutica; -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -e, come aveva pratica molta di cucina, i signori -solevano chiamarlo in occasione di festeggiamenti. -Nell'opere aveva gesti rudi che gli scoprivano -fuor delle ampie maniche le braccia -villose; la sua barba si moveva tutta ad ogni -moto della bocca; la sua voce si frangeva in -stridori. Fra Mansueto in vece era un vecchio -macilente, con una testa caprina da cui pendeva -una barbicola candida, con due occhi giallognoli -pieni di sommissione. Egli coltivava -l'orto, e questuando portava l'erbe mangerecce -per le case. Nell'aiutare il compagno prendeva -attitudini modeste, zoppicava da un piede; parlava -nel molle idioma patrio di Ortona, e, forse -in memoria della leggenda di san Tommaso, -esclamava: — <i>Pe' li Turchi!</i> — ad ogni momento, -lisciandosi con una mano il cranio polito. -</p> - -<p> -Anna attendeva a porgere i piatti, gli arnesi, -i vasellami di rame. Le pareva ora che la cucina -assumesse una sorta di solennità sacra -per la presenza dei frati. Ella restava intenta -a guardare tutti gli atti di Fra Vittorio, presa -da quella trepidazione che le persone semplici -provano in cospetto degli uomini dotati di qualche -virtù superiore. Ammirava ella in ispecie -il gesto infallibile con cui il gran cappuccino -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -spargeva su gli intingoli certe sue droghe segrete, -certi suoi aromi particolari. Ma l'umiltà, -la mitezza, la modesta arguzia di Fra Mansueto -a poco a poco la conquistarono. E i legami -della comune patria e quelli più sensibili del -comune idioma strinsero l'una e l'altro d'amicizia. -</p> - -<p> -Come essi conversavano, i ricordi del passato -pullulavano nelle loro parole. Fra Mansueto -aveva conosciuto Luca Minella e si -trovava nella basilica quando accadde la morte -di Francesca Nobile tra i pellegrini. — <i>Pe' -li Turchi!</i> — Egli aveva anzi dato aiuto a -trasportare il cadavere fino alle case di Porta -Caldara; e si ricordava che la morta aveva -addosso una veste di seta gialla e tante collane -d'oro... -</p> - -<p> -Anna divenne triste. Nella sua memoria il -fatto fino a quel momento era rimasto confuso, -vago, quasi incerto, attenuato dal lunghissimo -stupore inerte che aveva seguito i primi accessi -del mal caduco. Ma quando Fra Mansueto disse -che la morta stava in paradiso, perchè chi -muore per causa di religione va fra i santi, -Anna provò una dolcezza indicibile e si sentì -d'un tratto crescere nell'animo una immensa -adorazione per la santità della madre. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -</p> - -<p> -Allora, per rammentare i luoghi del paese nativo, -ella si mise a discorrere su la basilica dell'Apostolo, -minutamente, determinando le forme -degli altari, la positura delle cappelle, il numero -degli arredi, le figurazioni della cupola, le attitudini -delle immagini, le divisioni del pavimento, i -colori delle vetrate. Fra Mansueto la secondava -con benignità; e, poichè egli era stato ad Ortona -alcuni mesi innanzi, raccontò le nuove cose -vedute. — L'Arcivescovo di Orsogna aveva -donato alla basilica un ciborio d'oro con incrostature -di pietre preziose. La Confraternita del -SS. Sacramento aveva rinnovato tutti i legnami -e i corami degli stalli. Donna Blandina -Onofrii aveva fornita una intera muta di parati -consistente in pianete dalmatiche stole piviali -cotte. -</p> - -<p> -Anna ascoltava avidamente; e il desiderio -di vedere le nuove cose e di riveder le antiche -cominciò a tormentarla. Ella, quando il -cappuccino tacque, si rivolse a lui con un'aria -tra di letizia e di timidezza. — La festa di -maggio si avvicinava. Se andassero? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -</p> - -<h3>XIII.</h3> - -<p> -Alle calende di maggio la donna, avuta licenza -da Donna Cristina, fece gli apparecchi. -Inquietudine le nacque nell'animo per la testuggine. — Doveva -lasciarla? o portarla seco? — Stette -lungamente in forse; e infine deliberò -di portarla, per sicurezza. La pose dentro -un canestro, tra i panni suoi e le scatole -di confetture che Donna Cristina inviava a -Donna Veronica Monteferrante, abadessa del -monastero di Santa Caterina. -</p> - -<p> -Su l'alba Anna e Fra Mansueto si misero in -cammino. Anna aveva in principio il passo -spedito, l'aspetto gaio: i capelli, già quasi tutti -canuti, le si piegavano lucidi sotto il fazzoletto. -Il frate zoppicava reggendosi a una mazza, e -le bisacce vuote gli penzolavano dalle spalle. -Come essi giunsero al bosco dei pini, fecero -la prima sosta. -</p> - -<p> -Il bosco, al mattino di maggio, ondeggiava -immerso nel suo profumo natale, voluttuosamente, -tra il sereno del cielo e il sereno del -mare. I tronchi gemevano la ragia. I merli -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -fischiavano. Tutte le fonti della vita parevano -aperte su la trasfigurazione della terra. -</p> - -<p> -Anna sedette sopra l'erba; offerse al cappuccino -pane e frutta; e si mise a discorrere -della festività, ad intervalli, mangiando. La -testuggine tentava con le zampe anteriori l'orlo -del canestro, e la sua timida testa serpigna -sporgeva e si ritraeva negli sforzi. Poi che -Anna l'aiutò a discendere, la bestia prese ad -avanzare sul musco verso un cespuglio di -mirto, con minor lentezza, forse sentendo in -sè levarsi confusamente la gioia della primitiva -libertà. E il suo scudo tra il verde pareva più -bello. -</p> - -<p> -Allora Fra Mansueto fece alcune riflessioni -morali e lodò la Provvidenza che dà alla testuggine -una casa e le dà il sonno durante la -stagione dell'inverno. Anna raccontò alcuni -fatti che dimostravano nella testuggine un gran -candore e una gran rettitudine. Poi soggiunse; -«Che penserà?» E dopo un poco: «Gli animali -che penseranno?» -</p> - -<p> -Il frate non rispose. Ambedue rimasero perplessi. -Scendeva giù per la corteccia di un -pino una fila di formiche e si dilungava pel -terreno: ciascuna formica trascinava un frammento -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -di cibo e tutta l'innumerevole famiglia -compiva il lavoro con ordine diligente. Anna -guardava, e le si svegliavano nella mente le -credenze ingenue dell'infanzia. Ella parlò di -abitazioni meravigliose che le formiche scavano -sotto la terra. Il frate disse, con accento -di fede intensa: «Dio sia lodato!» E ambedue -rimasero cogitabondi, sotto i verdi alberi, -adorando nel loro cuore Iddio. -</p> - -<p> -Nella prima ora del pomeriggio arrivarono -al paese di Ortona. Anna battè alla porta del -monastero e chiese di vedere l'abadessa. All'entrare -si presentava un piccolo cortile con -nel mezzo una cisterna di pietra bianca e nera. -Il parlatorio era una stanza bassa, con poche -sedie intorno: due pareti erano occupate dalle -grate, le altre due da un crocefisso e da imagini. -Anna fu subito presa da un senso di venerazione -per la pace solenne che regnava in -quel luogo. Quando la madre Veronica apparve -d'improvviso dietro le grate, alta e severa nell'abito -monastico, ella provò un turbamento indicibile -come dinanzi all'apparizione di una -forma soprannaturale. Poi, rianimata dal buon -sorriso dell'abadessa, ella compì il messaggio -in brevi parole; depose nel cavo della ruota -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -le scatole, ed attese. La madre Veronica le si -rivolse con benignità, guardandola da que' suoi -belli occhi lionati; le donò un'effigie della Vergine; -nel licenziarla le tese la mano signorile -pel bacio, a traverso la grata, e disparve. -</p> - -<p> -Anna uscì trepidante. Mentre passava il vestibolo, -le giunse un coro di litanie, un canto -che veniva forse da una cappella sotterranea, -ugualissimo e dolce. Mentre passava il cortile, -vide a sinistra in cima al muro sporgere un -ramo carico di melarance. E, come pose il piede -su la via, le parve di aver lasciato dietro di sè -un giardino di beatitudine. -</p> - -<p> -Allora si diresse verso la strada Orientale per -cercare i parenti. Su la porta della vecchia -casa una donna sconosciuta stava appoggiata -allo stipite. Anna le si avvicinò timidamente e -le chiese novelle della famiglia di Francesca -Nobile. La donna l'interruppe: — Perchè? -Perchè? Che voleva? — con una voce dura e -uno sguardo investigante. Poi, quando Anna si -palesò, ella le permise di entrare. -</p> - -<p> -I parenti erano quasi tutti o morti o emigrati. -Restava nella casa un vecchio infermo, zi' -Mingo, che aveva sposato in seconde nozze <i>la -figlia di Sblendore</i> e viveva con lei quasi in miseria. -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -Il vecchio da prima non riconobbe Anna. -Egli stava seduto su un'alta sedia ecclesiastica -di cui la stoffa rossastra pendeva a brandelli: -le sue mani posavano su i braccioli, contorte ed -enormi per la mostruosità della chiragra; i suoi -piedi con un moto ritmico percotevano il terreno; -un continuo tremore paralitico gli agitava -i muscoli del collo, i gomiti, le ginocchia. Ed -egli guardò Anna, tenendo a fatica dischiuse le -palpebre infiammate. Finalmente si risovvenne. -</p> - -<p> -Come Anna andava esponendo il proprio -stato, la figlia di Sblendore odorando il denaro -cominciava a concepire nell'animo speranze di -usurpazione e per virtù delle speranze diveniva -in volto più benigna. Subito che Anna terminò, -ella le offerse l'ospitalità per la notte; le prese -il canestro dei panni e lo ripose; promise di -aver cura della testuggine; poi fece alcune -querele compassionevoli su la infermità del -vecchio e su la miseria della casa, non senza -lacrime. Ed Anna uscì, con l'animo pieno di riconoscenza -e di misericordia; risalì per la costa, -verso lo scampanìo della basilica, provando -un'ansia crescente nell'appressarsi. -</p> - -<p> -In torno al palazzo Farnese il popolo rigurgitava -ondoso; e quella gran reliquia feudale -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -sovrastava ornata di paramenti, magnificata -dal sole. Anna passò in mezzo alla folla, lungo -i banchi degli argentarii artefici di arredi sacri -e di oggetti votivi. A tutto quel candido scintillare -di forme liturgiche il cuore le si dilatava -per allegrezza; ed ella si faceva il segno -della croce dinanzi a ogni banco come dinanzi -a un altare. Quando giunse alla porta della basilica -e intravide la luminaria e traudì il cantico -del rito, ella non più contenne la veemenza -della gioia; si avanzò fin verso il pulpito, con -passi quasi vacillanti. Le ginocchia le si piegarono: -le lacrime le sgorgarono dagli occhi allucinati. -Ella rimase là, in contemplazione dei -candelabri, dell'ostensorio, di tutte le cose che -erano su l'altare, con la testa vacua, poichè -dalla mattina non aveva più mangiato. E le -prendeva le vene una debolezza immensa; l'anima -le veniva meno in una specie di annientamento. -</p> - -<p> -Sopra di lei, lungo la nave centrale le lampade -di vetro componevano una triplice corona -di fuochi. In fondo, quattro massicci tronchi di -cera fiammeggiavano ai lati del tabernacolo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -</p> - -<h3>XIV.</h3> - -<p> -I cinque giorni della festa Anna visse così, -dentro la chiesa, dall'ora mattutina fino all'ora -in cui le porte si chiudevano, fedelissima, respirando -quell'aria calda che le infondeva nei -sensi un torpore beatifico, nell'anima una felicità -piena di umiltà. Le orazioni, le genuflessioni, -le salutazioni, tutte quelle formule, tutti -quei gesti rituali ripetuti incessantemente, la -istupidivano. Il fumo dell'incenso le nascondeva -la terra. -</p> - -<p> -Rosaria, la figlia di Sblendore, intanto ne -traeva profitto, movendo la pietà di lei con -false querimonie e con lo spettacolo miserevole -del vecchio paralitico. Ella era una femmina -malvagia, esperta nelle frodi, dedita alla crapula; -aveva tutta la faccia sparsa di umori -vermigli e serpiginosi, i capelli canuti, il ventre -obeso. Legata al paralitico dai comuni vizi e -dalle nozze, ella insieme con lui aveva disperse -in breve tempo le già scarse sostanze, bevendo -e gozzovigliando. Ambedue nella miseria, inveleniti -dalla privazione, arsi da sete di vino -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -e di liquori ignei, affranti da infermità senili, -ora espiavano il loro lungo peccato. -</p> - -<p> -Anna, con uno spontaneo moto caritatevole, -diede a Rosaria tutto il denaro tenuto per le -elemosine, tutti i panni superflui; si tolse gli -orecchini, due anelli d'oro, la collana di corallo; -promise altri soccorsi. E riprese quindi il cammino -di Pescara, in compagnia di Fra Mansueto, -portando nel canestro la testuggine. -</p> - -<p> -In cammino, come le case di Ortona si allontanavano, -una gran tristezza scendeva su -l'animo della donna. Stuoli di pellegrini volgevano -per altre vie, cantando: e i loro canti -rimanevano a lungo nell'aria, monotoni e lenti. -Anna li ascoltava; e un desiderio senza fine -la traeva a raggiungerli, a seguirli, a vivere -così pellegrinando di santuario in santuario, di -contrada in contrada, per esaltare i miracoli -d'ogni santo, le virtù d'ogni reliquia, le bontà -d'ogni Maria. -</p> - -<p> -«Vanno a Cucullo,» le disse Fra Mansueto, -accennando col braccio a un paese lontano. -E ambedue si misero a parlare di san Domenico -che protegge dal morso dei serpenti gli -uomini, e le semenze dai bruchi; poi d'altri -patroni. — A Bugnara, sul Ponte del Rivo, -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -più di cento giumenti, tra cavalli asini e muli, -carichi di frumento vanno in processione alla -Madonna della Neve: i devoti cavalcano su le -some, con serti di spighe in capo, con tracolle -di pasta; e depongono ai piedi dell'imagine -i doni cereali. A Bisenti, molte giovinette, con -in capo canestre di grano, conducono per le -vie un asino che porta su la groppa una maggiore -canestra: ed entrano nella chiesa della -Madonna degli Angeli, per l'offerta, cantando. -A Torricella Peligna, uomini e fanciulli, coronati -di rose e di bacche rosee, salgono in pellegrinaggio -alla Madonna delle Rose, sopra una -rupe dov'è l'orma di Sansone. A Loreto Aprutino -un bue candido, impinguato durante l'anno -con abbondanza di pastura, va in pompa dietro -la statua di san Zopito. Una gualdrappa vermiglia -lo copre, e lo cavalca un fanciullo. Come -il santo rientra nella chiesa, il bue s'inginocchia -sul limitare; poi si rialza lentamente, e -segue il santo tra il plauso del popolo. Giunto -nel mezzo della chiesa, manda fuora gli escrementi -del cibo; e i devoti da quella materia -fumante traggono gli auspicii per l'agricoltura. -</p> - -<p> -Di queste usanze religiose Anna e Fra Mansueto -parlavano, quando giunsero alla foce dell'Alento. -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -L'alveo portava le acque di primavera -tra le vitalbe non anche fiorenti. E il cappuccino -disse della Madonna dell'Incoronata, dove -per la festa di san Giovanni i devoti si cingono -il capo di vitalbe, e nella notte vanno sul -fiume Gizio a <i>passar l'acqua</i> con grandi allegrezze. -</p> - -<p> -Anna si scalzò per guadare. Ella sentiva ora -nell'animo un'immensa venerazione d'amore per -tutte le cose, per gli alberi, per le erbe, per gli -animali, per tutte le cose che quelle usanze cattoliche -avevano santificato. E dal fondo della -sua ignoranza e della sua semplicità sorgeva -l'istinto dell'idolatria. -</p> - -<p> -Alcuni mesi dopo il ritorno, scoppiò nel paese -un'epidemia colerica; e la mortalità fu grande. -Anna prestò le sue cure agli infermi poveri. Fra -Mansueto morì. Anna n'ebbe molto dolore; e -nel 1866, per la ricorrenza della festa, volle -prendere congedo e rimpatriare per sempre, -poichè vedeva in sonno tutte le notti san Tommaso -che le comandava di partire. Ella prese -la testuggine, le sue robe e i suoi risparmii; -baciò le mani di Donna Cristina, piangendo; e -partì questa volta sopra un carretto, insieme -con due monache questuanti. -</p> - -<p> -A Ortona ella abitò nella casa dello zio paralitico; -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -dormì su un pagliericcio; non si cibò -se non di pane e di legumi. Dedicava tutte le ore -del giorno alle pratiche della chiesa, con un -fervore meraviglioso; e la sua mente vie più -perdeva ogni altra facoltà che non fosse quella -di contemplare i misteri cristiani, di adorare i -simboli, d'imaginare il paradiso. Ella era tutta -rapita nella carità divina, era tutta compresa di -quella divina passione che i sacerdoti manifestano -sempre con gli stessi segni e con le stesse -parole. Ella non comprendeva se non quell'unico -linguaggio; non aveva se non quell'unico ricovero, -tiepido e solenne, dove tutto il cuore le -si dilatava in una pia securtà di pace, e gli -occhi le s'inumidivano in un'ineffabile soavità di -lacrime. -</p> - -<p> -Soffrì, per amor di Gesù, le miserie domestiche; -fu dolce e sommessa; non mai profferì -un lamento, o un rimprovero, o una minaccia. -Rosaria le sottrasse a poco a poco tutti i risparmii; -e cominciò quindi a farle patire la fame, -ad angariarla, a chiamarla con nomi disonesti, -a perseguitarle la testuggine con insistenza feroce. -Il vecchio paralitico metteva continuamente -una specie di mugolìo rauco, aprendo la bocca -ove la lingua tremava, onde colava in abbondanza -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -la saliva continuamente. Un giorno, poichè -la moglie avida beveva innanzi a lui un -liquore e gli negava il bicchiere sfuggendo, egli -si levò dalla sedia con uno sforzo, e si mise a -camminare verso di lei: le gambe gli vacillavano, -i piedi si posavano sul terreno con un'involontaria -percussione ritmica. D'un tratto egli -si accelerò, col tronco inclinato in avanti, saltellando -a piccoli passi incalzanti, come spinto -da un impulso irresistibile, finchè cadde bocconi -su l'orlo delle scale fulminato. -</p> - -<h3>XV.</h3> - -<p> -Allora Anna, afflitta, prese la testuggine, e -andò a chieder soccorso a Donna Veronica -Monteferrante. Come la povera donna già negli -ultimi tempi faceva alcuni servizi pel monastero, -l'abadessa misericordiosa le diede l'ufficio -di conversa. -</p> - -<p> -Anna, se bene non aveva gli ordini, vestì l'abito -monacale: la tunica nera, il soggólo, la -cuffia dalle ampie tese candide. Le parve, in -quell'abito, di essere santificata. E, da prima, -quando all'aria le tese le sbattevano in torno -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -al capo con un fremito d'ali, ella trasaliva per -un turbamento improvviso di tutto il suo sangue. -E, da prima, quando le tese percosse dal -sole le riflettevano nella faccia un vivo chiaror -di neve, ella d'improvviso credevasi illuminata -da un baleno mistico. -</p> - -<p> -Con l'andar del tempo, le estasi si fecero più -frequenti. La vergine canuta era colpita a quando -a quando da suoni angelici, da echi lontani -d'organo, da romori e voci non percettibili agli -orecchi altrui. Figure luminose le si presentavano -dinanzi, nel buio; odori paradisiaci la rapivano. -</p> - -<p> -Così pel monastero una specie di sacro orrore -cominciò a diffondersi, come per la presenza -di un qualche potere occulto, come per l'imminenza -di un qualche avvenimento soprannaturale. -Per cautela, la nuova conversa fu dispensata -da ogni obbligo d'opere servili. Tutte le -attitudini di lei, tutte le parole, tutti gli sguardi -furono osservati, comentati con superstizione. -E la leggenda della santità incominciò a fiorire. -</p> - -<p> -Su le calende di febbraio dell'anno di Nostro -Signore 1873, la voce della vergine Anna divenne -singolarmente rauca e profonda. Poi la -virtù della parola d'un tratto scomparve. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -</p> - -<p> -L'inaspettato ammutolimento sbigottì gli animi -delle religiose. E tutte, stando in torno alla -conversa, ne consideravano con mistico terrore -gli atteggiamenti estatici, i movimenti vaghi -della bocca mutola, la immobilità degli occhi, -d'onde a tratti sgorgavano profluvii di lacrime. I -lineamenti dell'inferma, estenuati dai lunghi digiuni, -avevano ora assunto una purità quasi -eburnea; e tutte le trame delle vene e delle -arterie ora trasparivano così visibili, e sporgevano -con così forti rilievi, e così incessantemente -palpitavano, che dinanzi a quel palesato -pálpito del sangue una specie di raccapriccio -prendeva le monache come dinanzi a un corpo -spoglio di sua pelle cristiana. -</p> - -<p> -Quando fu prossimo il Mese di Maria, un'amorosa -diligenza sollecitò le Benedettine al paramento -dell'oratorio. Si spargevano elleno nel verziere -claustrale tutto fiorente di rose e fruttificante -di melarance, raccogliendo la messe del -maggio novello per deporla ai piedi dell'altare. -Anna, tornata nella calma, discendeva anch'ella -ad aiutare la pia opera; e significava talvolta -con i gesti il pensiero che la perdurante mutezza -le toglieva di esprimere. S'indugiavano -al sole tutte quelle spose del Signore, incedenti -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -tra le fonti letifiche del profumo. Fuggiva -lungo un lato del verziere un portico; e -come nell'animo delle vergini i profumi risvegliavano -imagini sopite, così il sole penetrando -sotto li archi bassi ravvivava nell'intonico i residui -dell'oro bisantino. -</p> - -<p> -L'oratorio fu pronto per il giorno del primo -ufficio. La cerimonia ebbe principio dopo il vespro. -Una suora salì su l'organo. Subitamente -dalle canne armoniche il fremito della passione -si propagò in tutte le cose; tutte le fronti s'inclinarono; -i turiboli diedero fumi di belgiuino; -le fiammelle dei ceri palpitarono tra corone di -fiori. Poi sorsero i cantici, le litanie piene di -appellazioni simboliche e di supplichevole tenerezza. -Come le voci salivano con forza crescente, -Anna nell'immenso impeto del fervore -gridò. Colpita dal prodigio, cadde supina; agitò -le braccia, volle rialzarsi. Le litanie s'interruppero. -Delle suore, alcune, quasi atterrite, erano -rimaste un istante nell'immobilità; altre davano -soccorso all'inferma. Il miracolo appariva inopinato, -fulgidissimo, supremo. -</p> - -<p> -Allora a poco a poco allo stupore, al murmure -incerto, alle titubanze successe un giubilo -senza limiti, un coro di esaltazioni clamorose, -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -un'alata ebrietà canora. Anna, in ginocchio, -ancora assorta nel rapimento del miracolo, non -aveva conoscenza di quel che in torno avveniva. -Ma quando i cantici con una maggior -veemenza furono ripresi, ella cantò. La sua nota -su dalla cadente onda del coro ad intervalli emerse, -poichè le divote diminuivano la forza -delle voci per ascoltare quella unica che dalla -grazia divina era stata riconcessa. E la Vergine -nei cantici a volta a volta fu l'incensiere -d'oro onde esalavano i balsami più dolci, la -lampada che dì e notte rischiarava il santuario, -l'urna che racchiudeva la manna del cielo, il roveto -che ardeva senza consumarsi, lo stelo di -Iesse che portava il più bello di tutti i fiori. -</p> - -<p> -Dopo, la fama del miracolo si sparse dal monastero -in tutto il paese di Ortona, e dal paese -in tutte le terre finitime, aumentando nel viaggio. -E il monastero sorse in grande onore. Donna -Blandina Onofrii, la magnifica, offerse alla Madonna -dell'oratorio una veste di broccato d'argento -e una rara collana di turchesi venuta -dall'isola di Smirne. Le altre gentildonne ortonesi -offersero altri minori doni. L'arcivescovo -d'Orsogna fece con pompa una visita gratulatoria, -in cui rivolse parole di edificante eloquenza -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -ad Anna che «con la purità della vita -si era resa degna dei doni celesti.» -</p> - -<p> -Nell'agosto del 1876 sopravvennero nuovi prodigi. -L'inferma, quando si avvicinava il vespro, -cadeva in uno stato di estasi con catalessia; donde -sorgeva poi quasi con impeto. E in piedi, conservando -sempre la medesima attitudine, cominciava -a parlare, da prima lentamente, e quindi -gradatamente accelerando, come sotto l'urgenza -di un'ispirazione mistica. Il suo eloquio non era -se non un miscuglio tumultuario di parole, di -frasi, di interi periodi già innanzi appresi, che ora -nella sua inconsapevolezza si riproducevano, -frammentandosi o combinandosi senza legge. -Le native forme dialettali s'innestavano alle -forme auliche, s'insinuavano nelle iperboli del -linguaggio biblico; e mostruosi congiungimenti -di sillabe, inauditi accordi di suoni avvenivano -nel disordine. Ma il profondo tremito della voce, -ma i cangiamenti repentini dell'inflessione, l'alterno -ascendere e discendere del tono, la spiritualità -della figura estatica, il mistero dell'ora, -tutto concorreva a soggiogare gli animi delle -astanti. -</p> - -<p> -Gli effetti si ripeterono cotidianamente, con -una regolarità periodica. Sul vespro, nell'oratorio -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -si accendevano le lampade; le monache -facevano la cerchia inginocchiandosi; e la rappresentazione -sacra incominciava. Come l'inferma -entrava nell'estasi catalettica, i preludii -vaghi dell'organo rapivano gli animi delle religiose -in una sfera superiore. Il lume delle lampade -si diffondeva fievole dall'alto, dando un'incertitudine -aerea e quasi una morente dolcezza -all'apparenza delle cose. A un punto l'organo taceva. -La respirazione nell'inferma diveniva più -profonda; le braccia le si distendevano così che -nei polsi scarnificati i tendini vibravano simili -alle corde di uno strumento. Poi, d'un tratto, -l'inferma balzava in piedi, incrociava le braccia -sul petto, restando nell'atteggiamento mistico -delle cariatidi d'un battistero. E la sua voce risonava -nel silenzio, ora dolce, ora lugubre, ora -quasi canora, quasi sempre incomprensibile. -</p> - -<p> -Su i principii del 1877 questi accessi diminuirono -di frequenza; si presentarono due o tre -volte la settimana; poi disparvero totalmente, -lasciando il corpo della donna in uno stato miserevole -di debolezza. E allora alcuni anni passarono, -in cui la povera idiota visse tra sofferenze -atroci, con le membra rese inerti dagli -spasimi articolari. Ella non aveva più alcuna -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -cura della nettezza; non si cibava se non di pane -molle e di pochi erbaggi; teneva in torno al -collo, sul petto, una gran quantità di piccole -croci, di reliquie, d'imagini, di corone; parlava -balbettando per la mancanza dei denti; e i suoi -capelli cadevano, i suoi occhi erano già torbidi -come quelli dei vecchi giumenti che stanno per -morire. -</p> - -<p> -Una volta, di maggio, mentre ella soffriva deposta -sotto il portico e le suore in torno coglievano -per Maria le rose, le passò dinanzi la -testuggine che ancora traeva la sua vita pacifica -e innocente nel verziere claustrale. La -vecchia vide quella forma muoversi e a poco -a poco allontanarsi. Nessun ricordo le si destò -nell'anima. La testuggine si perse tra i cespi -dei timi. -</p> - -<p> -Ma le suore consideravano la imbecillità e la -infermità della donna come una di quelle supreme -prove di martirio a cui il Signore chiama -gli eletti per santificarli e glorificarli poi nel paradiso; -e circondavano di venerazione e di cure -l'idiota. -</p> - -<p> -Nell'estate del 1881 apparvero i segni della -morte prossima. Consunto e piagato, quel miserabile -corpo omai nulla più conservava di umano. -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -Lente deformazioni avevano viziata la -positura delle membra; tumori grossi come -pomi sporgevano sotto un fianco, su una spalla, -dietro la nuca. -</p> - -<p> -La mattina del 10 settembre, verso l'ottava -ora, un sussulto della terra scosse dalle fondamenta -Ortona. Molti edifici precipitarono, altri -furono offesi nei tetti e nelle pareti, altri s'inclinarono -e s'abbassarono. E tutta la buona -gente di Ortona, con pianti, con grida, con invocazioni, -con gran chiamare di santi e di madonne, -uscì fuori delle porte, e si raunò sul -piano di San Rocco, temendo maggiori pericoli. -Le monache, prese dal pànico, infransero la -clausura; irruppero su la via, scarmigliate, cercando -salvezza. Quattro di loro portavano Anna -sopra una tavola. E tutte trassero al piano, verso -il popolo incolume. -</p> - -<p> -Come esse giunsero in vista del popolo, unanimi -clamori si levarono, poichè la presenza -delle religiose parve propizia. In ogni parte, -d'in torno, giacevano infermi, vecchi impediti, -fanciulli in fasce, donne stupide per la paura. -Un bellissimo sole mattutino illustrava le teste -tumultuanti, il mare, i vigneti; e accorrevano -dalla spiaggia inferiore i marinai, cercando le -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -mogli, chiamando i figli per nome, ansanti per -la salita, rochi; e da Caldara cominciavano a -venire mandre di pecore e di bovi con i pastori, -branchi di gallinacci con le femmine guardiane, -giumenti; poichè tutti temevano la solitudine, -e tutti, uomini e bestie, nel frangente si -accomunavano. -</p> - -<p> -Anna, adagiata sul suolo, sotto un olivo, sentendo -prossima la morte, si rammaricava con -un balbettìo fievole, perchè non voleva morire -senza i sacramenti; e le monache d'in torno le -davano conforto; e gli astanti la guardavano con -pietà. Ora, d'improvviso, tra il popolo una voce -si sparse, che da Porta-Caldara sarebbe uscito -il busto dell'Apostolo. Le speranze risorgevano; -canti di rogazione risorgevano nell'aria. Come -da lungi vibrò un incognito luccichío, le donne -s'inginocchiarono; e con i capelli disciolti, lacrimose, -si misero a camminare su le ginocchia, -in contro al luccichío, salmodiando. -</p> - -<p> -Anna agonizzava. Sostenuta da due suore, -udì le preghiere, udì l'annunzio; e forse in -un'ultima illusione travide l'Apostolo veniente, -poichè nella faccia cava le passò quasi un sorriso -di gaudio. Alcune bolle di saliva le apparvero -su le labbra; un'ondulazione brusca le -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -corse e ricorse, visibile, le estremità del corpo; -su gli occhi le palpebre le caddero, rossastre -come per sangue stravasato; il capo le si ritrasse -nelle spalle. E la vergine Anna così alfine spirò. -Quando il luccichío si fece più da presso alle -donne adoranti, si chiarì nel sole la forma di -un giumento che portava in bilico su la groppa, -secondo il costume, una banderuola di metallo. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span></p> - -<h2 id="idolatri">GLI IDOLATRI.</h2> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -La gran piazza sabbiosa scintillava come sparsa -di pomice in polvere. Tutte le case a torno imbiancate -di calce parevano roventi come muraglie -d'una immensa fornace che fosse per estinguersi. -In fondo, i pilastri della chiesa riverberavano l'irradiamento -delle nuvole e si facevano roggi -come di granito; le vetrate balenavano quasi -contenessero lo scoppio d'un incendio interno; -le figurazioni sacre prendevano un'aria viva -di colori e di attitudini; tutta la mole ora, sotto -lo splendore della meteora crepuscolare, assumeva -una più alta potenza di dominio su le -case dei Radusani. -</p> - -<p> -Volgevano dalle strade alla piazza gruppi -d'uomini e di femmine vociferando e gesticolando. -In tutti gli animi il terrore superstizioso -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -ingigantiva rapidamente; da tutte quelle fantasie -incolte mille imagini terribili di castigo -divino si levavano; i commenti, le contestazioni -ardenti, le scongiurazioni lamentevoli, i racconti -sconnessi, le preghiere, le grida si mescevano -in un rumorìo cupo d'uragano imminente. -Già da più giorni quei rossori sanguigni -indugiavano nel cielo dopo il tramonto, invadevano -la tranquillità della notte, illuminavano -tragicamente i sonni delle campagne, suscitavano -gli urli dei cani. -</p> - -<p> -— Giacobbe! Giacobbe! — gridavano, agitando -le braccia, alcuni che fin allora avevano -parlato a voce bassa, innanzi alla chiesa, stretti -in torno a un pilastro del vestibolo. — Giacobbe! -</p> - -<p> -Usciva dalla porta madre e si accostava agli -appellanti un uomo lungo e macilento che pareva -infermo di febbre etica, calvo su la sommità -del cranio e coronato alle tempie e alla -nuca di certi lunghi capelli rossicci. I suoi piccoli -occhi cavi erano animati come dall'ardore -di una passione profonda, un po' convergenti -verso la radice del naso, d'un colore incerto. -La mancanza dei due denti d'avanti nella mascella -superiore dava all'atto della sua bocca -nel profferire le parole e al moto del mento -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -aguzzo sparso di peli una singolare apparenza -di senilità faunesca. Tutto il resto del corpo -era una miserabile architettura di ossa mal celata -nei panni; e su le mani, su i polsi, sul riverso -delle braccia, sul petto la cute era piena -di segni turchini, di incisioni fatte a punta di -spillo e a polvere d'indaco, in memoria de' santuarii -visitati, delle grazie ricevute, dei voti sciolti. -</p> - -<p> -Come il fanatico giunse presso al gruppo del -pilastro, una confusione di domande si levò da -quelli uomini ansiosi. — Dunque? Che aveva -detto Don Cònsolo? Facevano uscire soltanto -il braccio d'argento? E tutto il busto non era -meglio? Quando tornava Pallura con le candele? -Erano cento libbre di cera? Soltanto -cento libbre? E quando cominciavano le campane -a suonare? Dunque? Dunque? -</p> - -<p> -I clamori aumentarono in torno a Giacobbe; -i più lontani si strinsero verso la chiesa; da tutte -le strade la gente si riversò su la piazza e la -riempì. E Giacobbe rispondeva agli interroganti, -parlava a voce bassa, come se rivelasse segreti -terribili, come se apportasse profezie da -lontano. Egli aveva veduto nell'alto, in mezzo -al sangue, una mano minacciosa, e poi un velo -nero, e poi una spada e una tromba... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -</p> - -<p> -«Racconta! racconta!» incitavano gli altri, -guardandosi in faccia, presi da una strana avidità -di ascoltare cose meravigliose; mentre la -favola di bocca in bocca si spandeva rapidamente -per la moltitudine assembrata. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -La gran plaga vermiglia dall'orizzonte saliva -lentamente verso lo zenit, tendeva ad occupare -tutta la cupola del cielo. Un vapore di fusi metalli -pareva ondeggiare su i tetti delle case; -e nel chiarore discendente dal crepuscolo raggi -sulfurei e violetti si mescolavano con un tremolìo -d'iridescenza. Una lunga striscia più luminosa -fuggiva verso una strada sboccante su -l'argine dei fiume; e s'intravedeva al fondo il -fiammeggiamento delle acque tra i fusti lunghi e -smilzi dei pioppetti; poi un lembo di campagna -brulla, dove le vecchie torri saracene si levavano -confusamente come isolotti di pietra fra le -caligini. Le emanazioni affocanti del fieno mietuto -si spandevano nell'aria: era a tratti come -un odore di bachi putrefatti tra la frasca. Stuoli -di rondini attraversavano lo spazio con molto -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -schiamazzo di stridi, trafficando dai greti del -fiume alle gronde. -</p> - -<p> -Nella moltitudine il mormorìo era interrotto -da silenzii di aspettazione. Il nome di Pallura circolava -per le bocche; impazienze irose scoppiavano -qua e là. Lungo la strada del fiume non -si vedeva ancora apparire il traino; le candele -mancavano; Don Cònsolo indugiava per questo -ad esporre le reliquie, a fare gli esorcismi; e -il pericolo soprastava. Il pànico invadeva tutta -quella gente ammassata come una mandra di -bestie, non osante più di sollevare gli occhi al -cielo. Dai petti delle femmine cominciarono a -rompere i singhiozzi; e una costernazione suprema -oppresse e istupidì le coscienze al suono -di quel pianto. -</p> - -<p> -Allora le campane finalmente squillarono -Come i bronzi stavano a poca altezza, il fremito -cupo del rintocco sfiorò tutte le teste; e una -specie di ululato continuo si propagava nell'aria -tra un colpo e l'altro. -</p> - -<p> -— San Pantaleone! San Pantaleone! -</p> - -<p> -Fu un immenso grido unanime di disperati -che chiedevano aiuto. Tutti in ginocchio, con le -mani tese, con la faccia bianca, imploravano. -</p> - -<p> -— San Pantaleone! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -</p> - -<p> -Apparve su la porta della chiesa, in mezzo al -fumo di due turiboli, Don Cònsolo scintillante in -una pianeta violetta a ricami d'oro. Egli teneva -in alto il sacro braccio d'argento, e scongiurava -l'aria gridando le parole latine: -</p> - -<p> -— <i>Ut fidelibus tuis aeris serenitatem concedere -digneris, Te rogamus, audi nos.</i> -</p> - -<p> -L'apparizione della reliquia eccitò un delirio di -tenerezza nella moltitudine. Scorrevano lagrime -da tutti gli occhi; e a traverso il velo lucido delle -lagrime gli occhi vedevano un miracoloso fulgore -celeste emanare dalle tre dita in alto atteggiate -a benedire. La figura del braccio pareva ora più -grande nell'aria accesa; i raggi crepuscolari suscitavano -barbagli variissimi nelle pietre preziose; -il balsamo dell'incenso si spargeva rapidamente -per le nari devote. -</p> - -<p> -— <i>Te rogamus, audi nos!</i> -</p> - -<p> -Ma, quando il braccio rientrò e le campane -si arrestarono, nel momentaneo silenzio un tintinnìo -prossimo di sonagli si udì, che veniva -dalla strada del fiume. E avvenne allora un repentino -movimento di concorso verso quella -parte e molti dicevano: -</p> - -<p> -— È Pallura con le candele! È Pallura che arriva! -Ecco Pallura! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -</p> - -<p> -Il traino si avanzava scricchiolando su la -ghiaia, al passo di una pesante cavalla grigia a -cui il gran corno d'ottone brillava, simile a una -bella mezzaluna, su la groppa. Come Giacobbe -e gli altri si fecero in contro, la pacifica bestia -si fermò soffiando forte dalle narici. E Giacobbe, -che s'accostò primo, subito vide disteso in fondo -al traino il corpo di Pallura tutto sanguinante, -e si mise a urlare agitando le braccia verso la -folla: -</p> - -<p> -— È morto! E morto! -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -La triste novella si propagò in un baleno. La -gente si accalcava in torno al traino, tendeva il -collo per vedere qualche cosa, non pensava più -alle minacce dell'alto, colpita dal nuovo caso -inaspettato, invasa da quella natural curiosità feroce -che gli uomini hanno in cospetto del sangue. -</p> - -<p> -— È morto? Come è morto? -</p> - -<p> -Pallura giaceva supino su le tavole, con una -larga ferita in mezzo alla fronte, con un orecchio -lacerato, con strappi per le braccia, nei fianchi, -in una coscia. Un rivo tiepido gli colava per -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -il cavo degli occhi giù giù sino al mento ed -al collo, gli chiazzava la camicia, gli formava -grumi nerastri e lucenti sul petto, su la cintola -di cuoio, fin su le brache. Giacobbe stava chino -sopra quel corpo; tutti gli altri a torno attendevano; -una luce d'aurora illuminava i volti perplessi; -e, in quel momento di silenzio, dalla riva -del fiume si levava il cantico delle rane, e i pipistrelli -passavano e ripassavano rasente le -teste. -</p> - -<p> -D'improvviso Giacobbe drizzandosi, con una -gota macchiata di sangue, gridò: -</p> - -<p> -— Non è morto. Respira ancora. -</p> - -<p> -Un mormorìo sordo corse per la folla, e i più -vicini si protesero per guardare; e l'inquietudine -dei lontani cominciò a rompere in clamori. Due -donne portarono un boccale d'acqua, un'altra -portò qualche brandello di tela; un giovinetto -offerse una zucca piena di vino. Fu lavata la faccia -al ferito, fu fermato il flusso del sangue alla -fronte, fu rialzato il capo. Sorsero quindi alte le -voci, chiedendo le cause del fatto. — Le cento -libbre di cera mancavano; appena pochi frantumi -di candela rimanevano tra gli interstizi delle tavole -nel fondo del traino. -</p> - -<p> -I giudizii, in mezzo al sommovimento, di più -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -in più si accendevano e s'inasprivano e cozzavano. -E, come un antico odio ereditario ferveva -contro il paese di Mascálico, posto di contro su -l'altra riva del fiume, Giacobbe disse con la voce -rauca, velenosamente: -</p> - -<p> -— Che i ceri sieno serviti a S. Gonselvo? -</p> - -<p> -Allora fu come una scintilla d'incendio. Lo spirito -di chiesa si risvegliò d'un tratto in quella -gente abbrutita per tanti anni nel culto cieco e -feroce del suo unico idolo. Le parole del fanatico -di bocca in bocca si propagarono. E, sotto -il rossore tragico del crepuscolo, la moltitudine -tumultuante aveva apparenza d'una tribù di negri -ammutinati. -</p> - -<p> -Il nome del santo rompeva da tutte le gole, -come un grido di guerra. I più ardenti gittavano -imprecazioni contro la parte del fiume, -agitando le braccia, tendendo i pugni. Poi, tutti -quei volti accesi dalla collera e dalla luce, larghi -e possenti, a cui i cerchi d'oro degli orecchi e -il gran ciuffo della fronte davano uno strano -aspetto di barbarie, tutti quei volti si tesero -verso il giacente, si addolcirono di misericordia. -Fu in torno al traino una sollecitudine pietosa -di femmine che volevano rianimare l'agonizzante: -tante mani amorevoli gli cambiarono le -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -strisce di tela su le ferite, gli spruzzarono -d'acqua la faccia, gli accostarono alle labbra -bianche la zucca del vino, gli composero una -specie di guanciale più molle sotto la testa. -</p> - -<p> -— Pallura, povero Pallura, non rispondi? -</p> - -<p> -Egli stava supino, con gli occhi chiusi, con -la bocca semiaperta, con una lanugine bruna -su le gote e sul mento, con una mite beltà di -giovinezza ancora trasparente dai tratti tesi -nella convulsione del dolore. Di sotto alla fasciatura -della fronte gli colava un fil di sangue -giù per la tempia; agli angoli della bocca apparivano -piccole bolle di schiuma rossigna; e dalla -gola gli usciva una specie di sibilo fioco, interrotto. -Intorno a lui le cure, le domande, gli -sguardi febbrili crescevano. La cavalla ogni tanto -scoteva la testa e nitriva verso le case. Un'ansietà -come d'uragano imminente pesava su -tutto il paese. -</p> - -<p> -S'intesero allora grida feminili verso la piazza, -grida di madre, che parvero più alte in mezzo -al subitaneo ammutolimento di tutte le altre -voci. E una donna enorme, soffocata dall'adipe, -attraversò la folla, giunse gridando presso al -traino. Come ella era grave e non poteva salirvi, -s'abbattè su i piedi del figlio, con parole -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -d'amore tra i singhiozzi, con laceramenti così -acuti di voce rotta e con una espressione di -dolore così terribilmente bestiale che per tutti -gli astanti corse un brivido e tutti rivolsero altrove -la faccia. -</p> - -<p> -— Zaccheo! Zaccheo! cuore mio! gioia mia! — gridava -la vedova, senza finire, baciando i piedi -del ferito, attraendolo a sè verso terra. -</p> - -<p> -Il ferito si rimosse, torse la bocca per lo spasimo, -aprì gli occhi in alto; ma certo non potè -vedere, perchè una specie di pellicola umida -gli copriva lo sguardo. Grosse lagrime incominciarono -a sgorgargli dagli angoli delle palpebre -e a scorrere giù per le guance e pel -collo; la bocca gli rimase torta; nel sibilo fioco -della gola si sentì un vano sforzo di favella. E -in torno incalzavano: -</p> - -<p> -— Parla, Pallura! Chi t'ha ferito? Chi t'ha -ferito? Parla! Parla! -</p> - -<p> -E sotto la domanda fremevano le ire, si addensavano -i furori, un sordo tumulto di vendicazione -si riscoteva, e l'odio ereditario ribolliva -nell'animo di tutti. -</p> - -<p> -— Parla! Chi t'ha ferito? Dillo a noi! Dillo -a noi! -</p> - -<p> -Il moribondo aprì gli occhi un'altra volta; e -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -come gli tenevano serrate ambo le mani, forse -per quel vivo contatto di calore gli spiriti un -istante gli si ridestarono, lo sguardo si illuminò. -Egli ebbe su le labbra un balbettamento vago, -tra la schiuma che sopravveniva più copiosa e -più sanguigna. Non si capivano ancora le parole. -Si udì nel silenzio la respirazione della -moltitudine anelante, e gli occhi ebbero in fondo -una sola fiamma, poichè tutti gli animi attendevano -una parola sola. -</p> - -<p> -— ... Ma... Ma... Ma... scálico... -</p> - -<p> -— Mascálico! Mascálico! urlò Giacobbe che -stava chino, con l'orecchio teso, ad afferrare le -sillabe fievoli da quella bocca morente. -</p> - -<p> -Un fragore immenso accolse il grido. Nella -moltitudine fu dapprima un mareggiamento confuso -di tempesta. Poi, quando una voce soverchiante -il tumulto gittò l'allarme, la moltitudine -a furia si sbandò. Un pensiero solo incalzava -quelli uomini, un pensiero che pareva balenato -a tutte le menti in un attimo: armarsi di qualche -cosa per colpire. Su tutte le coscienze instava -una specie di fatalità sanguinaria, sotto il gran -chiaror torvo del crepuscolo, in mezzo all'odore -elettrico emanante dalla campagna ansiosa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -E la falange, armata di falci, di ronche, di -scuri, di zappe, di schioppi, si riunì su la piazza, -dinanzi alla chiesa. E gli idolatri gridavano: -</p> - -<p> -— San Pantaleone! -</p> - -<p> -Don Cònsolo, atterrito dallo schiamazzo, s'era -rifugiato in fondo a uno stallo, dietro l'altare. -Un manipolo di fanatici, condotto da Giacobbe, -penetrò nella cappella maggiore, forzò le grate -di bronzo, giunse nel sotterraneo, dove il busto -del santo si custodiva. Tre lampade, alimentate -d'olio d'oliva, ardevano dolcemente nell'aria -umida del sacrario; dietro un cristallo, l'idolo -cristiano scintillava con la testa bianca in mezzo -a un gran disco solare; e le pareti sparivano -sotto la ricchezza dei doni. -</p> - -<p> -Quando l'idolo, portato su le spalle da quattro -ercoli, si mostrò alfine tra i pilastri del -vestibolo, e s'irraggiò alla luce aurorale, un -lungo anelito di passione corse il popolo aspettante, -un fremito come d'un vento di gioia volò -sopra tutte le fronti. E la colonna si mosse. E -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -la testa enorme del santo oscillava in alto, -guardando innanzi a sè dalle due orbite vuote. -</p> - -<p> -Nel cielo ora, in mezzo all'accensione eguale -e cupa, a tratti passavano solchi di meteore -più vive; gruppi di nuvole sottili si distaccavano -dall'orlo della zona, e galleggiavano lentamente -dissolvendosi. Tutto il paese di Radusa -appariva in dietro come un monte di cenere -che covasse il fuoco; e, dinanzi, le masse -della campagna si perdevano con un luccichìo -indistinto. Un gran cantico di rane empiva la -sonorità della solitudine. -</p> - -<p> -Su la strada del fiume il traino di Pallura -fece ostacolo all'incedere. Era vuoto, ma conservava -tracce di sangue in più parti. Imprecazioni -irose scoppiarono d'improvviso nel silenzio. -Giacobbe gridò: -</p> - -<p> -— Mettiamoci il santo! -</p> - -<p> -E il busto fu posato su le tavole e tirato a -forza di braccia nel guado. La processione di -battaglia così attraversava il confine. Lungo le -file correvano lampi metallici; le acque invase -rompevano in sprazzi luminosi, e tutta una corrente -rossa fiammeggiava fra i pioppetti, nel -lontano, verso le torri quadrangolari. Mascálico -si scorgeva su una piccola altura, in mezzo agli -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -olivi, dormente. I cani abbaiavano qua e là, -con una furiosa persistenza di risposte. La colonna, -uscita dal guado, abbandonando la via -comune, avanzava a passi rapidi per una linea -diretta che tagliava i campi. Il busto d'argento -era portato di nuovo a spalle, dominava le teste -degli uomini tra il grano altissimo, odorante -e tutto stellante di lucciole vive. -</p> - -<p> -D'improvviso, un pastore, che stava dentro -un covile di paglia a guardare il grano, invaso -da un pazzo sbigottimento in cospetto di tanta -gente armata, si diede a fuggire su per la costa, -strillando a squarciagola: -</p> - -<p> -— Aiuto! aiuto! -</p> - -<p> -E gli strilli echeggiavano nell'oliveto. -</p> - -<p> -Allora fu che i Radusani fecero impeto. Fra -i tronchi degli alberi, fra le canne secche, il -santo di argento traballava, dava tintinni sonori -agli urti dei rami, s'illuminava di lampi -vivissimi ad ogni accenno di precipizio. Dieci, -dodici, venti schioppettate grandinarono in un -balenìo vibrante, una dopo l'altra su la massa -delle case. Si udirono crepiti, poi grida; poi -si udì un gran sommovimento clamoroso: alcune -porte si aprirono, altre si chiusero; caddero -vetri in frantumi, caddero vasi di basilico, -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -spezzati su la via. Un fumo bianco si levava -nell'aria placidamente, dietro la corsa degli assalitori, -su per l'incandescenza celeste. Tutti, -accecati, in una furia belluina, gridavano: -</p> - -<p> -— A morte! a morte! -</p> - -<p> -Un gruppo di idolatri si manteneva in torno a -san Pantaleone. Vituperii atroci contro san Gonselvo -irrompevano tra l'agitazione delle falci -e delle ronche brandite. -</p> - -<p> -— Ladro! Ladro! Pezzente! Le candele! Le -candele! -</p> - -<p> -Altri gruppi prendevano d'assalto le porte -delle case, a colpi d'accetta. E, come le porte -sgangherate e scheggiate cadevano, i Pantaleonidi -saltavano nell'interno urlando, per uccidere. -Femmine seminude si rifugiavano negli -angoli, implorando pietà; si difendevano dai -colpi, afferrando le armi e tagliandosi le dita; -rotolavano distese sul pavimento, in mezzo a -mucchi di coperte e di lenzuoli da cui uscivano -le loro flosce carni nutrite di rape. -</p> - -<p> -Giacobbe alto smilzo rossastro, fascio di -aride ossa reso formidabile dalla passione, condottiero -della strage, si arrestava ad ogni tratto -per fare un largo gesto imperatorio sopra tutte -le teste con una gran falce fienaia. Andava innanzi, -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -impavido, senza cappello, nel nome di -san Pantaleone. Più di trenta uomini lo seguivano. -E tutti avevano la sensazione confusa e -ottusa di camminare in mezzo a un incendio, -sopra un terreno oscillante, sotto una vôlta ardente -che fosse per crollare. -</p> - -<p> -Ma da ogni parte cominciarono ad accorrere -i difensori, i Mascalicesi forti e neri come mulatti, -sanguinarii, che si battevano con lunghi -coltelli a scatto, e tiravano al ventre e alla -gola, accompagnando di voci gutturali il colpo. -La mischia si ritraeva a poco a poco verso la -chiesa; dai tetti di due o tre case già scoppiavano -le fiamme; un'orda di femmine e di -fanciulli fuggiva a precipizio tra gli olivi, presa -dal pánico, senza più lume negli occhi. -</p> - -<p> -Allora tra i maschi, senza impedimento di -lagrime e di lamenti, la lotta a corpo a corpo -si strinse più feroce. Sotto il cielo color di ruggine, -il terreno si copriva di cadaveri. Stridevano -vituperii mozzi tra i denti dei colpiti; e -continuo tra i clamori persisteva il grido dei -Radusani: -</p> - -<p> -— Le candele! Le candele! -</p> - -<p> -Ma la porta della chiesa restava sbarrata, -enorme, tutta di quercia, stellante di chiodi. I -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -Mascalicesi la difendevano contro gli urti e contro -le scuri. Il santo d'argento, impassibile e bianco, -oscillava nel folto della mischia, ancora sostenuto -su le spalle dei quattro ercoli che sanguinavano -tutti dalla testa ai piedi, non volendo -cadere. Ed era nel supremo voto degli assalitori -mettere l'idolo su l'altare del nemico. -</p> - -<p> -Ora mentre i Mascalicesi si battevano da -leoni, prodigiosamente, sul gradino di pietra, -Giacobbe disparve all'improvviso, girò il fianco -dell'edifizio, cercando un varco non difeso per -penetrare nel sacrario. E come vide un'apertura -a poca altezza da terra, vi si arrampicò, -vi rimase tenuto ai fianchi dall'angustia, vi si -contorse, fin che non giunse a far passare il -suo lungo corpo giù per lo spiraglio. Il cordiale -aroma dell'incenso vaniva nel gelo notturno -della casa di Dio. A tentoni nel buio, guidato -dal fragore della pugna esterna, quell'uomo -camminò verso la porta, inciampando nelle sedie, -ferendosi alla faccia, alle mani. Rimbombava -già il lavorio furioso delle accette radusane -su la durezza della quercia, quando egli -cominciò con un ferro a forzare le serrature, -anelante, soffocato da una violenta palpitazione -di ambascia che gli diminuiva la forza, con -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -la vista attraversata da bagliori fatui, con le ferite -che gli dolevano e gli mettevano un'onda -tiepida giù per la cute. -</p> - -<p> -— San Pantaleone! San Pantaleone! — gridarono -di fuori le voci rauche de' suoi che -sentivano cedere lentamente la porta, raddoppiando -gli urti e i colpi di scure. A traverso il -legno giungeva lo schianto grave dei corpi -che stramazzavano, il colpo secco del coltello -che inchiodava là qualcuno per le reni. E pareva -a Giacobbe che tutta la navata rimbombasse -al battito del suo selvaggio cuore. -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -Dopo un ultimo sforzo, la porta si aprì. I Radusani -si precipitarono con un immenso urlo -di vittoria, passando su i corpi degli uccisi, -traendo il santo d'argento all'altare. E una -viva oscillazione di riverberi invase d'un tratto -l'oscurità della navata, fece brillare l'oro dei -candelabri, le canne dell'organo, in alto. E in -quel chiaror fulvo, che or sì or no dall'incendio -delle prossime case vibrava dentro, una seconda -lotta si strinse. I corpi avviluppati rotolavano -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -su i mattoni, non si distaccavano più, -balzavano insieme qua e là nei divincolamenti -della rabbia, urtavano e finivano sotto le panche, -su i gradini delle cappelle, contro gli spigoli dei -confessionali. Nella concavità raccolta della casa -di Dio, il suono agghiacciante del ferro che -penetra nelle carni o che scivola su le ossa, -quell'unico gemito rotto dell'uomo che è colpito -in una parte vitale, quello scricchiolìo che -dà la cassa del cranio nell'infrangersi al colpo, -il ruggito di chi non vuol morire, l'ilarità atroce -di chi è giunto ad uccidere, tutto distintamente -si ripercoteva. E il mite odore dell'incenso vagava -sul conflitto. -</p> - -<p> -L'idolo d'argento non anche aveva attinto -la gloria dell'altare, poichè un cerchio ostile -ne precludeva l'accesso. Giacobbe si batteva -con la falce, ferito in più parti, senza cedere -un palmo del gradino che primo aveva conquistato. -Non rimanevano se non due a sorreggere -il santo. L'enorme testa bianca barcollava -come ebra sul bulicame del sangue iroso. -I Mascalicesi imperversavano. -</p> - -<p> -Allora san Pantaleone cadde sul pavimento, -dando un tintinno acuto che penetrò nel cuore -di Giacobbe più a dentro che punta di coltello. -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -Come il rosso falciatore si slanciò per rialzarlo, -un gran diavolo d'uomo con un colpo di ronca -stese il nemico su la schiena. Due volte questi -si risollevò, e altri due colpi lo rigettarono. Il -sangue gli inondava tutta la faccia e il petto -e le mani; per le spalle e per le braccia le ossa -gli biancicavano scoperte nei tagli profondi; ma -pure egli si ostinava a riavventarsi. Inviperiti -da quella feroce tenacità di vita, tre, quattro, -cinque bifolchi insieme gli diedero a furia nel -ventre d'onde le viscere sgorgarono. Il fanatico -cadde riverso, battè la nuca sul busto -d'argento, si rivoltò d'un tratto bocconi con -la faccia contro il metallo, con le branche stese -innanzi, con le gambe contratte. E san Pantaleone -fu perduto. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span></p> - -<h2 id="eroe">L'EROE.</h2> -</div> - -<p> -Già i grandi stendardi di San Gonselvo erano -usciti su la piazza ed oscillavano nell'aria pesantemente. -Li reggevano in pugno uomini di -statura erculea, rossi in volto e con il collo gonfio -di forza, che facevano giuochi. -</p> - -<p> -Dopo la vittoria su i Radusani, la gente di -Mascalico celebrava la festa di settembre con -magnificenza nuova. Un meraviglioso ardore di -religione teneva gli animi. Tutto il paese sacrificava -la recente ricchezza del fromento a gloria -del Patrono. Su le vie, da una finestra all'altra, -le donne avevano tese le coperte nuziali. -Gli uomini avevano inghirlandato di verzura le -porte e infiorato le soglie. Come soffiava il -vento, per le vie era un ondeggiamento immenso -e abbarbagliante di cui la turba si inebriava. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -</p> - -<p> -Dalla chiesa la processione seguitava a svolgersi -e ad allungarsi su la piazza. Dinanzi all'altare, -dove san Pantaleone era caduto, otto -uomini, i privilegiati, aspettavano il momento di -sollevare la statua di san Gonselvo; e si chiamavano: -Giovanni Curo, l'Ummálido, Mattalà, -Vincenzio Guanno, Rocco di Céuzo, Benedetto -Galante, Biagio di Clisci, Giovanni Senzapaura. -Essi stavano in silenzio, compresi della dignità -del loro ufficio, con la testa un po' confusa. -Parevano assai forti; avevano l'occhio ardente -dei fanatici; portavano agli orecchi, come le femmine, -due cerchi d'oro. Di tanto in tanto si toccavano -i bicipiti e i polsi, come per misurarne -la vigoria; o tra loro si sorridevano fuggevolmente. -</p> - -<p> -La statua del Patrono era enorme, di bronzo -vuoto, nerastra, con la testa e con le mani di -argento, pesantissima. -</p> - -<p> -Disse Mattalà: -</p> - -<p> -— Avande! -</p> - -<p> -In torno, il popolo tumultuava per vedere. -Le vetrate della chiesa romoreggiavano ad ogni -colpo di vento. La navata fumigava di incenso -e di belzuino. I suoni degli stromenti giungevano -ora sì ora no. Una specie di febbre religiosa -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -prendeva gli otto uomini, in mezzo a -quella turbolenza. Essi tesero le braccia, pronti. -Disse Mattalà: -</p> - -<p> -— Una!... Dua!... Trea!... -</p> - -<p> -Concordemente, gli uomini fecero Io sforzo per -sollevare la statua di su l'altare. Ma il peso era -soverchiante: la statua barcollò a sinistra. Gli -uomini non avevano potuto ancora bene accomodare -le mani intorno alla base per prendere. -Si curvavano tentando di resistere. Biagio di -Clisci e Giovanni Curo, meno abili, lasciarono -andare. La statua piegò tutta da una parte, con -violenza. L'Ummálido gittò un grido. -</p> - -<p> -— Abbada! Abbada! — vociferavano intorno, -vedendo pericolare il Patrono. Dalla piazza veniva -un frastuono grandissimo che copriva le -voci. -</p> - -<p> -L'Ummálido era caduto in ginocchio; e la -sua mano destra era rimasta sotto il bronzo. -Così, in ginocchio, egli teneva gli occhi fissi alla -mano che non poteva liberare, due occhi larghi, -pieni di terrore e di dolore; ma la sua -bocca torta non gridava più. Alcune gocce di -sangue rigavano l'altare. -</p> - -<p> -I compagni, tutt'insieme, fecero forza un'altra -volta per sollevare il peso. L'operazione era -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -difficile. L'Ummálido, nello spasimo, torceva la -bocca. Le femmine spettatrici rabbrividivano. -</p> - -<p> -Finalmente la statua fu sollevata; e l'Ummálido -ritrasse la mano schiacciata e sanguinolenta -che non aveva più forma. -</p> - -<p> -— Va a la casa, mo! Va a la casa! — gli -gridava la gente, sospingendolo verso la porta -della chiesa. -</p> - -<p> -Una femmina si tolse il grembiule e gliel'offerse -per fasciatura. L'Ummálido rifiutò. Egli -non parlava; guardava un gruppo d'uomini che -gesticolavano in torno alla statua e contendevano. -</p> - -<p> -— Tocca a me! -</p> - -<p> -— No, no! Tocca a me! -</p> - -<p> -— No! a me! -</p> - -<p> -Cicco Ponno, Mattia Scafarola e Tommaso -di Clisci gareggiavano per sostituire nell'ottavo -posto di portatore l'Ummálido. -</p> - -<p> -Costui si avvicinò ai contendenti. Teneva la -mano rotta lungo il fianco, e con l'altra mano -si apriva il passo. -</p> - -<p> -Disse semplicemente: -</p> - -<p> -— Lu poste è lu mi'. -</p> - -<p> -E porse la spalla sinistra a sorreggere il Patrono. -Egli soffocava il dolore stringendo i denti, -con una volontà feroce. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -</p> - -<p> -Mattalà gli chiese: -</p> - -<p> -— Tu che vuo' fa'? -</p> - -<p> -Egli rispose: -</p> - -<p> -— Quelle che vo' sante Gunzelve. -</p> - -<p> -E, insieme con gli altri, si mise a camminare. -</p> - -<p> -La gente lo guardava passare, stupefatta. -</p> - -<p> -Di tanto in tanto, qualcuno, vedendo la ferita -che dava sangue e diventava nericcia, gli chiedeva -al passaggio: -</p> - -<p> -— L'Ummá, che tieni? -</p> - -<p> -Egli non rispondeva. Andava innanzi gravemente, -misurando il passo al ritmo delle musiche, -con la mente un po' alterata, sotto le vaste -coperte che sbattevano al vento, tra la calca che -cresceva. -</p> - -<p> -All'angolo d'una via cadde, tutt'a un tratto. -Il santo si fermò un istante e barcollò, in mezzo -a uno scompiglio momentaneo: poi si rimise in -cammino. Mattia Scafarola subentrò nel posto -vuoto. Due parenti raccolsero il tramortito e lo -portarono nella casa più vicina. -</p> - -<p> -Anna di Céuzo, ch'era una vecchia femmina -esperta nel medicare le ferite, guardò il membro -informe e sanguinante; e poi scosse la -testa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -</p> - -<p> -— Che ce pozze fa'? -</p> - -<p> -Ella non poteva far niente con l'arte sua. -</p> - -<p> -L'Ummálido, che aveva ripreso gli spiriti, non -aprì bocca. Seduto, contemplava la sua ferita, -tranquillamente. La mano pendeva, con le ossa -stritolate, oramai perduta. -</p> - -<p> -Due o tre vecchi agricoltori vennero a vederla. -Ciascuno, con un gesto o con una parola, -espresse lo stesso pensiero. -</p> - -<p> -L'Ummálido chiese: -</p> - -<p> -— Chi ha purtate lu Sante? -</p> - -<p> -Gli risposero: -</p> - -<p> -— Mattia Scafarola. -</p> - -<p> -Di nuovo, chiese: -</p> - -<p> -— Mo che si fa? -</p> - -<p> -Risposero: -</p> - -<p> -— Lu vespre 'n múseche. -</p> - -<p> -Gli agricoltori salutarono. Andarono al vespro. -Un grande scampanìo veniva dalla chiesa -madre. -</p> - -<p> -Uno dei parenti mise accanto al ferito un secchio -d'acqua fredda, dicendo: -</p> - -<p> -— Ogne tante mitte la mana a qua. Nu mo -veniamo. Jame a sentì lu vespre. -</p> - -<p> -L'Ummálido rimase solo. Lo scampanìo cresceva, -mutando metro. La luce del giorno cominciava -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -a diminuire. Un ulivo, investito dal -vento, batteva i rami contro la finestra bassa. -</p> - -<p> -L'Ummálido, seduto, si mise a bagnare la -mano, a poco a poco. Come il sangue e i grumi -cadevano, il guasto appariva maggiore. -</p> - -<p> -L'Ummálido pensò: -</p> - -<p> -— È tutt'inutile! È pirdute. Sante Gunzelve, -a te le offre. -</p> - -<p> -Prese un coltello, e uscì. Le vie erano deserte. -Tutti i devoti erano nella chiesa. Sopra -le case correvano le nuvole violacee del tramonto -di settembre, come mandre fuggiasche. -</p> - -<p> -Nella chiesa la moltitudine agglomerata cantava -quasi in coro, al suono degli stromenti, per -intervalli misurati. Un calore intenso emanava -dai corpi umani e dai ceri accesi. La testa argentea -di san Gonselvo scintillava dall'alto -come un faro. -</p> - -<p> -L'Ummálido entrò. Fra la stupefazione di tutti, -camminò sino all'altare. -</p> - -<p> -Egli disse, con voce chiara, tenendo nella sinistra -il coltello: -</p> - -<p> -— Sante Gunzelve, a te le offre. -</p> - -<p> -E si mise a tagliare in torno al polso destro, -pianamente, in cospetto del popolo che inorridiva. -La mano informe si distaccava a poco a -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -poco, tra il sangue. Penzolò un istante trattenuta -dagli ultimi filamenti. Poi cadde nel bacino -di rame che raccoglieva le elargizioni di pecunia, -ai piedi del Patrono. -</p> - -<p> -L'Ummálido allora sollevò il moncherino sanguinoso; -e ripetè con voce chiara: -</p> - -<p> -— Sante Gunzelve, a te le offre. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span></p> - -<h2 id="veglia">LA VEGLIA FUNEBRE.</h2> -</div> - -<p> -Il cadavere del sindaco Biagio Mila, già tutto -vestito e con la faccia coperta d'una pezzuola -umida d'acqua e d'aceto, stava disteso nel letto, -quasi in mezzo alla stanza tra quattro ceri. -Vegliavano, nella stanza, la moglie e il fratello -del morto ai due lati. -</p> - -<p> -Rosa Mila poteva avere circa venticinque anni. -Era una donna fiorita, di carnagione chiara, con -la fronte un po' bassa, le sopracciglia lungamente -arcuate, gli occhi grigi e larghi e nell'iride variegati -come agate. Possedendo in grande abbondanza -capelli, ella quasi sempre aveva la -nuca e le tempie e gli occhi nascosti da molte -ciocche ribelli. In tutta la persona le splendeva -la nitidezza della sanità; e la sua fresca pelle -aveva il profumo dei frutti prelibati. -</p> - -<p> -Emidio Mila, il cherico, poteva avere circa la -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -stessa età. Era magro, con nel volto il colore -bronzino di chi vive nella campagna al pieno -sole. Una molle lanugine rossiccia gli copriva -le guance; i denti forti e bianchi davano al suo -sorriso una bellezza virile; e gli occhi suoi giallognoli -lucevano talvolta come due zecchini -nuovi. -</p> - -<p> -Ambedue tacevano: l'una scorrendo con le -dita un rosario di vetro, l'altro guardando il -rosario scorrere. Ambedue avevano l'indifferenza -che la nostra gente campestre suole avere dinanzi -al mistero della morte. -</p> - -<p> -Emidio disse, con un lungo sospiro: -</p> - -<p> -— Fa caldo, stanotte. -</p> - -<p> -Rosa sollevò gli occhi per assentire. -</p> - -<p> -Nella stanza un poco bassa la luce oscillava -secondo i moti delle fiammelle. Le ombre si raccoglievano -ora in un angolo ora in una parete, -variando di forme e di intensità. Le vetrate -della finestra erano aperte, ma le persiane restavano -chiuse. Di tratto in tratto le tende di -mussolo bianco si movevano come per un fiato. -Sul candore del letto il corpo di Biagio pareva -dormire. -</p> - -<p> -Le parole di Emidio caddero nel silenzio. La -donna chinò di nuovo la testa, e ricominciò a -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -scorrere il rosario lentamente. Alcune stille di -sudore le imperlavano la fronte, e la respirazione -le era faticosa. -Emidio, dopo un poco, domandò: -</p> - -<p> -— A che ora verranno a prenderlo, domani? -</p> - -<p> -Ella rispose, nel natural suono della sua voce: -</p> - -<p> -— Alle dieci, con la congregazione del Sacramento. -</p> - -<p> -Quindi ancora tacquero. Dalla campagna giungeva -il gracidare assiduo delle rane, giungevano -a quando a quando gli odori delle erbe. -Nella tranquillità perfetta Rosa udì una specie -di gorgoglìo roco escir dal cadavere, e con un -atto di orrore si levò dalla sedia, e fece per -allontanarsi. -</p> - -<p> -— Non abbiate paura, Rosa. Sono umori — disse -il cognato, tendendole la mano per rassicurarla. -</p> - -<p> -Ella prese la mano, istintivamente; e la tenne, -stando in piedi. Tendeva gli orecchi per ascoltare, -ma guardava altrove. I gorgoglìi si prolungavano -dentro il ventre del morto, e parevano -salire verso la bocca. -</p> - -<p> -— Non è nulla, Rosa. Quietatevi — soggiunse -il cognato, accennandole di sedere sopra un cassone -da nozze coperto d'un lungo cuscino a fiorami. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -</p> - -<p> -Ella sedette, accanto a lui, tenendolo ancora -per mano, nel turbamento. Come il cassone non -era molto grande, i gomiti dei seduti si toccavano. -</p> - -<p> -Il silenzio tornò. Un canto di trebbiatori sorse -di fuori in lontananza. -</p> - -<p> -— Fanno le trebbie di notte, al lume della -luna — disse la donna, volendo parlare per ingannar -la paura e la stanchezza. -</p> - -<p> -Emidio non aprì bocca. E la donna ritrasse -la mano, poichè quel contatto ora cominciava a -darle un senso vago d'inquietudine. -</p> - -<p> -Ambedue ora erano occupati da uno stesso -pensiero che li aveva colti d'improvviso; ambedue -ora erano tenuti da uno stesso ricordo, -da un ricordo di amori agresti nel tempo della -pubertà. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Essi, in quel tempo, vivevano nelle case di -Caldore, su la collina solatìa, al quadrivio. Sul -limite d'un campo di fromento sorgeva un muro -alto costruito di sassi e di terra argillosa. Dal -lato di mezzodì, che i parenti di Rosa possedevano, -come ivi era più lento e dolce il calor -del sole, una famiglia di alberi fruttiferi prosperava -e moltiplicava. Alla primavera gli alberi fiorivano -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -in comunione di letizia; e le cupole argentee -o rosee o violacee s'incurvavano sul -cielo coronando il muro e dondolavano come -per inalzarsi nell'aria e facevano insieme un -ronzío sonnifero come d'api mellificanti. -</p> - -<p> -Dietro il muro, dalla parte degli alberi Rosa -in quel tempo soleva cantare. -</p> - -<p> -La voce limpida e fresca zampillava come -una fontana, sotto le corone dei fiori. -</p> - -<p> -Per una lunga stagione di convalescenza Emidio -aveva udito quel canto. Egli era debole e -famelico. Per sfuggire alla dieta, scendeva dalla -casa furtivamente, celando sotto gli abiti un gran -pezzo di pane, e camminava lungo il muro, nell'ultimo -solco del grano, fin che non giungeva -al luogo della beatitudine. -</p> - -<p> -Allora si sedeva, con le spalle contro i sassi -riscaldati, e cominciava a mangiare. Mordeva -il pane e sceglieva una spiga tenera: ogni granello -aveva in sè una minuta stilla di succo simile -a latte e aveva un fresco sapor di farina. -La voluttà del gusto e la voluttà dell'udito -nel convalescente si confondevano quasi in una -sola sensazione infinitamente dilettosa. Cosicchè -in quell'ozio, tra quel calore, tra quelli odori -che davano all'aria quasi la cordial saporità del -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -vino, anche la voce femminile diveniva per lui -un naturale alimento di rinascenza e come un -nutrimento fisico che gli si fondeva nelle vene. -</p> - -<p> -Il canto di Rosa era dunque una causa di -guarigione. E, quando la guarigione fu compiuta, -la voce di Rosa ebbe sempre sul beneficato -una virtù sensuale. -</p> - -<p> -Dopo d'allora, poichè tra le due famiglie la -dimestichezza divenne grande, sorse in Emidio -uno di quei taciturni e timidi e solitarii amori -che divorano le forze dell'adolescenza. -</p> - -<p> -Di settembre, prima che Emidio partisse pel -seminario, le due famiglie riunite andarono in -un pomeriggio a merendare nel bosco, lungo -il fiume. -</p> - -<p> -La giornata era molle, e i tre carri tirati dai -bovi avanzavano lungo i canneti fioriti. -</p> - -<p> -Nel bosco la merenda fu fatta su l'erba, in -una radura circolare limitata da fusti di pioppi -giganteschi. L'erba corta era tutta piena di certi -piccoli fiori violacei che esalavano un profumo -sottile; qua e là nell'interno discendevano tra -il fogliame larghe zone di sole; e la riviera -in basso pareva ferma, aveva una pace lacustre, -una pura trasparenza ove le piante acquatiche -dormivano immote. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -</p> - -<p> -Dopo la merenda, alcuni si sparpagliarono -per la riva, altri rimasero distesi supini. -</p> - -<p> -Rosa ed Emidio si trovarono insieme; si presero -a braccio e cominciarono a camminare per -un sentiero segnato tra i cespugli. -</p> - -<p> -Ella si appoggiava tutta su lui; rideva, strappava -le foglie ai virgulti nel passaggio, morsicchiava -gli steli amari, rovesciava la testa in dietro -per guardar le ghiandaie fuggiasche. Nel -moto il pettine di tartaruga le scivolò dai capelli -che d'un tratto le si diffusero su le spalle con -una stupenda ricchezza. -</p> - -<p> -Emidio si chinò insieme a lei per raccogliere -il pettine. Nel rialzarsi, le due teste si urtarono -un poco. Rosa, reggendosi la fronte tra le mani, -gridava tra le risa: -</p> - -<p> -— Ahi! Ahi! -</p> - -<p> -Il giovinetto la guardava, sentendosi fremere -sin nelle midolle e sentendosi impallidire e temendo -di tradirsi. -</p> - -<p> -Ella distaccò con l'unghie da un tronco una -lunga spirale d'edera, se l'avvolse alle trecce con -un attorcigliamento rapido e fermò la ribellione -su la nuca con i denti del pettine. Le foglie -verdi, talune rossastre, mal contenute, rompevano -fuori irregolarmente. Ella chiese: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -</p> - -<p> -— Così vi piaccio? -</p> - -<p> -Ma Emidio non aprì bocca; non seppe che -rispondere. -</p> - -<p> -— Ah, non va bene! Siete forse muto? -</p> - -<p> -Egli aveva voglia di cadere in ginocchio. -E, come Rosa rideva d'un riso scontento, egli -si sentiva quasi salire il pianto agli occhi per -l'angoscia di non poter trovare una parola sola. -</p> - -<p> -Seguitarono a camminare. In un punto un'alberella -abbattuta impediva il passaggio. Emidio -con ambe le mani sollevò il fusto, e Rosa passò -di sotto ai rami verdeggianti che un istante la -incoronarono. -</p> - -<p> -Più in là incontrarono un pozzo ai cui fianchi -stavano due bacini di pietra rettangolari. Gli alberi -densi formavano intorno e sopra il pozzo -una chiostra di verdura. Ivi l'ombra era profonda, -quasi umida. La vôlta vegetale si rispecchiava -perfettamente nell'acqua che giungeva a -metà dei parapetti di mattone. -</p> - -<p> -Rosa disse, distendendo le braccia: -</p> - -<p> -— Come si sta bene qui! -</p> - -<p> -Poi raccolse l'acqua nel concavo della palma, -con un'attitudine di grazia, e sorseggiò. Le gocciole -le cadevano di tra le dita e le imperlavano -la veste. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -</p> - -<p> -Quando fu dissetata, con tutt'e due le palme -raccolse altr'acqua, e l'offerse al compagno lusinghevolmente: -</p> - -<p> -— Bevete! -</p> - -<p> -— Non ho sete — balbettò Emidio istupidito. -</p> - -<p> -Ella gli gettò l'acqua in viso, facendo con il -labbro inferiore una smorfia quasi di dispregio. -Poi si distese dentro uno dei bacini asciutti, -come in una culla, tenendo i piedi fuori dell'orlo, -e scotendoli irrequietamente. A un tratto -si rialzò, guardò Emidio con uno sguardo singolare: -</p> - -<p> -— Dunque? Andiamo. -</p> - -<p> -Si rimisero in cammino, tornarono al luogo -della riunione, sempre in silenzio. I merli fischiavano -su le loro teste; fasci orizzontali di raggi -attraversavano i loro passi; e il profumo del bosco -cresceva intorno a loro. -</p> - -<p> -Alcuni giorni dopo, Emidio partiva. -</p> - -<p> -Alcuni mesi dopo, il fratello d'Emidio prendeva -in moglie Rosa. -</p> - -<p> -Nei primi anni di seminario il cherico aveva -pensato spesso alla nuova cognata. Nella scuola, -mentre i preti spiegavano l'<i>Epitome historiæ sacræ</i>, -egli aveva fantasticato di lei. Nello studio, -mentre i suoi vicini, nascosti dai leggii aperti, si -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -davano fra loro a pratiche oscene, egli aveva -chiuso la faccia tra le mani, e s'era abbandonato -ad immaginazioni impure. Nella chiesa, -mentre le litanie alla Vergine sonavano, egli, -dietro l'invocazione alla <i>Rosa mystica</i>, era fuggito -lontano. -</p> - -<p> -E, come aveva appresa dai condiscepoli la corruzione, -la scena del bosco gli era apparsa in -una nuova luce. E il sospetto di non avere indovinato, -il rammarico di non aver saputo cogliere -un frutto che gli si offriva, allora lo tormentarono -stranamente. -</p> - -<p> -Dunque era così? Dunque Rosa un giorno lo -aveva amato? Dunque egli era passato inconsapevole -accanto a una grande gioia? -</p> - -<p> -E questo pensiero ogni giorno si faceva più -acuto, più insistente, più incalzante, più angustioso. -E ogni giorno egli se ne pasceva con -maggiore intensità di sofferenza; finchè, nella -lunga monotonia della vita sacerdotale, questo -pensiero divenne per lui una specie di morbo -immedicabile, e dinanzi alla irrimediabilità della -cosa egli fu preso da uno scoramento immenso, -da una melanconia senza fine. -</p> - -<p> -— Dunque egli non aveva saputo! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -</p> - -<p> -Nella stanza ora i ceri lacrimavano. Di tra -le stecche delle persiane chiuse entravano soffi -di vento più forti, e facevano inarcare le tende. -</p> - -<p> -Rosa, invasa pianamente dal sopore, chiudeva -di tanto in tanto le palpebre; e come la -testa le cadeva sul petto, le riapriva subitamente. -</p> - -<p> -— Siete stanca? — chiese con molta dolcezza -il cherico. -</p> - -<p> -— Io, no — rispose la donna, riprendendo gli -spiriti ed ergendosi su la vita. -</p> - -<p> -Ma nel silenzio di nuovo il sopore le occupò -i sensi. Ella teneva la testa appoggiata alla parete: -i capelli le empivano tutto il collo, dalla -bocca semiaperta le usciva la respirazione lenta -e regolare. Così ella era bella; e nulla in lei -era più voluttuoso che il ritmo del seno e la -visibile forma dei ginocchi sotto la gonna leggiera. -Un soffio repentino fece gemere le tende -e spense i due ceri più vicini alla finestra. -</p> - -<p> -— S'io la baciassi? — pensò Emidio, per una -suggestione improvvisa della carne guardando -l'assopita. -</p> - -<p> -Ancora i canti umani si propagavano nella -notte di giugno, con la solennità delle cadenze -liturgiche; e sorgevano di lontananza in lontananza -le risposte in diversi toni, senza compagnia -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -di stromenti. Poichè il plenilunio doveva -essere alto, il fioco lume interno non valeva a -vincere l'albore che pioveva copioso su le persiane, -e si versava fra gli intervalli del legno. -</p> - -<p> -Emidio si volse verso il letto mortuario. I suoi -occhi, scorrendo la linea rigida e nera del cadavere, -si fermarono involontariamente su la -mano, su una mano gonfia e giallastra, un po' -adunca, solcata di trame livide nel dorso; e prestamente -si ritrassero. Piano piano, nell'inconsapevolezza -del sonno, la testa di Rosa, quasi -segnando su la parete un semicerchio, si chinò -verso il cherico turbato. La reclinazione della -bella testa muliebre fu in atto dolcissima; e, poichè -il movimento alterò un poco il sonno, tra -le palpebre a pena a pena sollevate apparve un -lembo d'iride e scomparve nel bianco, quasi come -una foglia di viola nel latte. -</p> - -<p> -Emidio rimase immobile, tenendo contro l'omero -il peso. Egli frenava il respiro per tema -di destare la dormiente, e un'angoscia enorme -l'opprimeva per il battito del cuore e dei polsi -e delle tempie, che pareva empire tutta la stanza. -Ma, come il sonno di Rosa continuava, a poco -a poco egli si sentì illanguidire e mancare in -una mollezza invincibile, guardando quella gola -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -femminea che le collane di Venere segnavano -di voluttà, aspirando quell'alito caldo e l'odor -dei capelli. -</p> - -<p> -Un nuovo soffio, carico di profumo notturno, -piegò la terza fiammella e la spense. -</p> - -<p> -Allora senza più pensare, senza più temere, -abbandonandosi tutto alla tentazione, il vegliante -baciò la donna in bocca. -</p> - -<p> -Al contatto, ella si destò di soprassalto; aprì -gli occhi stupefatti in faccia al cognato, divenne -pallida pallida. -</p> - -<p> -Poi, lentamente si raccolse i capelli su la nuca; -e stette là, con il busto eretto, tutta vigile, guardando -dinanzi a sè nelle ombre varianti. -</p> - -<p> -— Chi ha spento i ceri? -</p> - -<p> -— Il vento. -</p> - -<p> -Non altro dissero. Ambedue rimanevano sul -cassone da nozze, come prima, seduti a canto, -sfiorandosi con i gomiti, in una incertezza penosa, -evitando con una specie di artificio mentale -che la loro coscienza giudicasse il fatto e lo -condannasse. Spontaneamente ambedue rivolsero -l'attenzione alle cose esteriori, in quest'operazione -dello spirito mettendo un'intensità fittizia, concorrendovi -pure con l'attitudine della persona. E a -poco a poco una specie di ebrietà li conquistava. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -</p> - -<p> -I canti, nella notte, seguitavano e s'indugiavano -per l'aria lunghissimamente, e s'ammollivano -lusinghevolmente di risposta in risposta. -Le voci maschili e le voci feminili facevano -un componimento amoroso. Talvolta una sola -voce emergeva su le altre altissima, dando una -nota unica, in torno a cui gli accordi concorrevano -come onde in torno al medio filo d'una -corrente fluviatile. Ora, ad intervalli, sul principio -di ciascun canto, si udiva la vibrazione metallica -di una chitarra accordata in diapente; e -tra una ripresa e l'altra si udivano gli urti misurati -delle trebbie in sul terreno. -</p> - -<p> -I due ascoltavano. -</p> - -<p> -Forse per una vicenda del vento, ora gli odori -non erano più gli stessi. Venivano, forse dalla -collina d'Orlando, i profumi possenti dell'agrumeto; -forse dai giardini di Scalia i profumi delle -rose, così densi che davano all'aria il sapore -delle confetture nuziali; forse dal padule della -Farnia le fragranze umide dei giaggioli, che respirate -deliziavano come un sorso d'acqua. -</p> - -<p> -I due rimanevano ancora taciturni, sul cassone, -immobili, oppressi dalla voluttà della notte -lunare. Dinanzi a loro l'ultima fiammella oscillava -rapidamente, e curvandosi faceva lacrimare -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -il cero consunto. Ad ogni tratto, pareva sul punto -di spegnersi. I due non si movevano. Stavano -là ansiosi, con gli occhi dilatati e fissi, a guardare -la tremula fiammella moritura. D'improvviso -il vento inebriante la spense. Allora, senza -temere l'ombra, con un'avidità concorde, nel medesimo -tempo, l'uomo e la donna si strinsero -l'uno all'altra, si allacciarono, si cercarono con la -bocca, perdutamente, ciecamente, senza parlare, -soffocandosi di carezze. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span></p> - -<h2 id="contessa">LA CONTESSA D'AMALFI.</h2> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Quando, verso le due del pomeriggio, Don Giovanni -Ussorio stava per mettere il piede su la -soglia della casa di Violetta Kutufà, Rosa Catana -apparve in cima alle scale e disse a voce -bassa, tenendo il capo chino: -</p> - -<p> -— Don Giovà, la signora è partita. -</p> - -<p> -Don Giovanni, alla novella improvvisa, rimase -stupefatto; e stette un momento, con gli occhi -spalancati, con la bocca aperta, a guardare in -su, quasi aspettando altre parole esplicative. Poichè -Rosa taceva, in cima alle scale, torcendo -fra le mani un lembo del grembiule e un poco -dondolandosi, egli chiese: -</p> - -<p> -— Ma come? ma come?... -</p> - -<p> -E salì alcuni gradini, ripetendo con una lieve -balbuzie: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -</p> - -<p> -— Ma come? ma come? -</p> - -<p> -— Don Giovà, che v'ho da dire? È partita. -</p> - -<p> -— Ma come? -</p> - -<p> -— Don Giovà, io non saccio, mo. -</p> - -<p> -E Rosa fece qualche passo nel pianerottolo, -verso l'uscio dell'appartamento vuoto. Ella era -una femmina piuttosto magra, con i capelli rossastri, -con la pelle del viso tutta sparsa di lentiggini. -I suoi larghi occhi cinerognoli avevano -però una vitalità singolare. La eccessiva distanza -tra il naso e la bocca dava alla parte inferiore -del viso un'apparenza scimmiesca. -</p> - -<p> -Don Giovanni spinse l'uscio socchiuso ed entrò -nella prima stanza, poi entrò nella seconda, poi -nella terza; fece il giro di tutto l'appartamento, -a passi concitati; si fermò nella piccola camera -del bagno. Il silenzio quasi lo sbigottì; un'angoscia -enorme gli prese l'animo. -</p> - -<p> -— È vero! È vero! — balbettava, guardandosi -a torno, smarrito. -</p> - -<p> -Nella camera i mobili erano al loro posto consueto. -Mancavano però su la tavola, a piè dello -specchio rotondo, le fiale di cristallo, i pettini -di tartaruga, le scatole, le spazzole, tutti quei -minuti oggetti che servono alla cura della bellezza -muliebre. Stava in un angolo una specie -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -di gran bacino di zinco in forma di chitarra; e -dentro il bacino l'acqua traluceva, tinta lievemente -di roseo da una essenza. L'acqua esalava -un profumo sottile che si mesceva nell'aria col -profumo della cipria. L'esalazione aveva in sè -qualche cosa di carnale. -</p> - -<p> -— Rosa! Rosa! — chiamò Don Giovanni, con -la voce soffocata, sentendosi invadere da un rammarico -immenso. -</p> - -<p> -La femmina comparve. -</p> - -<p> -— Racconta com'è stato! Per dove è partita? -E quando è partita? E perchè? — chiedeva Don -Giovanni, facendo con la bocca una smorfia puerile -e buffa come per rattenere il pianto o per -respingere il singhiozzo. Egli aveva presi ambedue -i polsi di Rosa; e così la sollecitava a -parlare, a rivelare. -</p> - -<p> -— Io non saccio, signore... Stamattina ha messa -la roba nelle valige; ha mandato a chiamare la -carrozza di Leone; e se n'è andata senza dire -niente. Che ci volete fare? Tornerà. -</p> - -<p> -— Torneràaa? — piagnucolò Don Giovanni, -sollevando gli occhi dove già le lacrime incominciavano -a sgorgare. — Te l'ha detto? Parla! -</p> - -<p> -E quest'ultimo verbo fu uno strillo quasi minaccioso -e rabbioso. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -</p> - -<p> -— Eh... veramente a me m'ha detto: «Addio, -Rosa. Non ci vediamo più...» Ma... insomma... -chi lo sa!... Tutto può essere. -</p> - -<p> -Don Giovanni si accasciò sopra una sedia, a -queste parole; e si mise a singhiozzare con tanto -impeto di dolore che la femmina ne fu quasi intenerita. -</p> - -<p> -— Don Giovà, mo che fate? Non ci stanno -altre femmine a questo mondo? Don Giovà, mo -vi pare?... -</p> - -<p> -Don Giovanni non intendeva. Seguitava a singhiozzare -come un bambino, nascondendo la -faccia nel grembiule di Rosa Catana; e tutto il -suo corpo era scosso dai sussulti del pianto. -</p> - -<p> -— No, no, no... Voglio Violetta! Voglio Violetta! -</p> - -<p> -A quello stupido pargoleggiare, Rosa non potè -tenersi di sorridere. E si diede a lisciare il cranio -calvo di Don Giovanni, mormorando parole di -consolazione: -</p> - -<p> -— Ve la ritrovo io Violetta; ve la ritrovo io... -Zitto! Zitto! Non piangete più, Don Giovannino. -La gente che passa può sentire. Mo vi pare, mo? -</p> - -<p> -Don Giovanni, a poco a poco, sotto la carezza -amorevole, frenava le lacrime: si asciugava gli -occhi al grembiule. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -</p> - -<p> -— Oh! Oh! che cosa! — esclamò, dopo essere -stato un momento con lo sguardo fisso al bacino -di zinco, dove l'acqua scintillava ora sotto un -raggio. — Oh! Oh! che cosa! Oh! -</p> - -<p> -E si prese la testa fra le mani, e due o tre -volte oscillò come fanno talora gli scimmioni prigionieri. -</p> - -<p> -— Via, Don Giovannino, via! — diceva Rosa -Catana, prendendolo pianamente per un braccio -e tirandolo. -</p> - -<p> -Nella piccola camera il profumo pareva crescere. -Le mosche ronzavano innumerevoli in -torno a una tazza dov'era un residuo di caffè. -Il riflesso dell'acqua nella parete tremolava come -una sottil rete di oro. -</p> - -<p> -— Lascia tutto così! — raccomandò Don Giovanni -alla femmina, con una voce interrotta dai -singulti mal repressi. E discese le scale, scotendo -il capo su la sua sorte. Egli aveva gli occhi gonfi -e rossi, a fior di testa, simili a quelli di certi -cani imbastarditi. Il suo corpo rotondo, dal -ventre prominente, gravava su due gambette un -poco volte in dentro. In torno al suo cranio calvo -girava una corona di lunghi capelli arricciati, che -parevano non crescere dalla cotenna ma dalle -spalle e salire verso la nuca e le tempie. Egli -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -con le mani inanellate, di tanto in tanto, soleva -accomodare qualche ciocca scomposta: gli anelli -preziosi e vistosi gli rilucevano perfino nel pollice, -e un bottone di corniola grosso come una -fragola gli fermava lo sparato della camicia a -mezzo il petto. -</p> - -<p> -Come uscì alla luce viva della piazza, provò -di nuovo uno smarrimento invincibile. Alcuni -ciabattini attendevano all'opera loro, lì accanto, -mangiando fichi. Un merlo in gabbia fischiava -l'inno di Garibaldi, continuamente, ricominciando -sempre da capo, con una persistenza accorante. -</p> - -<p> -— Servo suo, Don Giovanni! — disse Don -Domenico Oliva passando e togliendosi il cappello -con quella sua gloriosa cordialità napoletana. -E, mosso a curiosità dall'aspetto sconvolto -del signore, dopo poco ripassò e risalutò con -maggior larghezza di gesto e di sorriso. Egli -era un uomo che aveva il busto lunghissimo e -le gambe corte e l'atteggiamento della bocca -involontariamente irrisorio. I cittadini di Pescara -lo chiamavano Culinterra. -</p> - -<p> -— Servo suo! -</p> - -<p> -Don Giovanni, in cui un'ira velenosa cominciava -a fermentare poichè le risa dei mangiatori -di fichi e i sibili del merlo lo irritavano, al secondo -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -saluto voltò dispettoso le spalle e si mosse, -credendo quel saluto un'irrisione. -</p> - -<p> -Don Domenico, stupefatto, lo seguiva. -</p> - -<p> -— Ma... Don Giovà!... sentite... ma... -</p> - -<p> -Don Giovanni non voleva ascoltare. Camminava -innanzi a passi lesti, verso la sua casa. Le -fruttivendole e i maniscalchi lungo la via guardavano, -senza capire, l'inseguimento di quei due -uomini affannati e gocciolanti di sudore sotto il -solleone. -</p> - -<p> -Giunto alla porta, Don Giovanni, che quasi -stava per scoppiare, si voltò come un aspide, -giallo e verde per la rabbia. -</p> - -<p> -— Don Domè, o Don Domè, io ti do in capo! -</p> - -<p> -Ed entrò, dopo la minaccia; e chiuse la -porta dietro di sè con violenza. -</p> - -<p> -Don Domenico, sbigottito, rimase senza parole -in bocca. Poi rifece la via, pensando quale potesse -essere la causa del fatto. Matteo Verdura, -uno dei mangiatori di fichi, chiamò: -</p> - -<p> -— Venite! venite! Vi debbo dire 'na cosa -grande. -</p> - -<p> -— Che cosa? — chiese l'uomo di schiena -lunga, avvicinandosi. -</p> - -<p> -— Non sapete niente? -</p> - -<p> -— Che? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -</p> - -<p> -— Ah! Ah! Non sapete niente ancora? -</p> - -<p> -— Ma che? -</p> - -<p> -Verdura si mise a ridere; e gli altri ciabattini -lo imitarono. Un momento tutti quelli uomini sussultarono -d'uno stesso riso rauco e incomposto, -in diverse attitudini. -</p> - -<p> -— Pagate tre soldi di fichi se ve lo dico? -</p> - -<p> -Don Domenico, ch'era tirchio, esitò un poco. -Ma la curiosità lo vinse. -</p> - -<p> -— Be', pago. -</p> - -<p> -Verdura chiamò una femmina e fece ammonticchiare -sul suo desco le frutta. Poi disse: -</p> - -<p> -— Quella signora che stava là sopra, Donna -Viuletta, sapete?... Quella del teatro, sapete?... -</p> - -<p> -— Be'? -</p> - -<p> -— Se n'è scappata stamattina. Tombola! -</p> - -<p> -— Da vero? -</p> - -<p> -— Da vero, Don Domè. -</p> - -<p> -— Ah, mo capisco! — esclamò Don Domenico, -ch'era un uomo fino, sogghignando crudelissimamente. -</p> - -<p> -E, come voleva vendicarsi della contumelia di -Don Giovanni e rifarsi dei tre soldi spesi per la -notizia, andò subito verso il <i>casino</i> per divulgare -la cosa, per ingrandire la cosa. -</p> - -<p> -Il <i>casino</i>, una specie di bottega del caffè, stava -<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> -immerso nell'ombra; e su dal tavolato sparso di -acqua saliva un singolare odore di polvere e di -muffa. Il dottore Panzoni russava abbandonato -sopra una sedia con le braccia penzolanti. Il barone -Cappa, un vecchio appassionato per i cani -zoppi e per le fanciulle tenerelle, sonnecchiava -discretamente su una gazzetta. Don Ferdinando -Giordano moveva le bandierine su una carta -rappresentante il teatro della guerra franco-prussiana. -Don Settimio de Marinis discuteva di -Pietro Metastasio col dottor Fiocca, non senza -molti scoppi di voce e non senza una certa eloquenza -fiorita di citazioni poetiche. Il notaro -Gaiulli, non sapendo con chi giocare, maneggiava -le carte da giuoco solitariamente e le metteva -in fila sul tavolino. Don Paolo Seccia girava in -torno al quadrilatero del biliardo, con passi misurati -per favorire la digestione. -</p> - -<p> -Don Domenico Oliva entrò con tale impeto che -tutti si voltarono verso di lui, tranne il dottore -Panzoni il quale rimase tra le braccia del sonno. -</p> - -<p> -— Sapete? sapete? -</p> - -<p> -Don Domenico era così ansioso di dire la cosa -e così affannato che da prima balbettava senza -farsi intendere. Tutti quei galantuomini in torno -a lui pendevano dalle sue labbra, presentivano -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -con gioia un qualche strano avvenimento che -alimentasse alfine le loro chiacchiere pomeridiane. -Don Paolo Seccia, che era un poco sordo da -un orecchio, disse impazientito: -</p> - -<p> -— Ma che v'hanno legata la lingua, Don Domè? -</p> - -<p> -Don Domenico ricominciò da capo la narrazione, -con più calma e più chiarezza. Disse tutto; -ingrandì i furori di Don Giovanni Ussorio; aggiunse -particolarità fantastiche; s'inebriò delle parole. — Capite? -capite? E poi questo; e poi -quest'altro... -</p> - -<p> -Il dottore Panzoni al clamore aperse le palpebre; -volgendo i grossi globi visivi ancora -stupidi di sonno e russando ancora pel naso -tutto vegetante di nèi mostruosi, disse o russò, -nasalmente: -</p> - -<p> -— Che c'è? Che c'è? -</p> - -<p> -E con fatica puntellandosi al bastone si levò -piano piano e venne nel crocchio per udire. -</p> - -<p> -Il barone Cappa ora narrava, con alquanta -saliva nella bocca, una storiella grassa, a proposito -di Violetta Kutufà. Nelle pupille degli ascoltatori -intenti passavano luccicori, a tratti. Gli -occhiolini verdognoli di Don Paolo Seccia scintillavano -come immersi in un umore esilarante. -Alla fine, le risa scoppiarono. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -</p> - -<p> -Ma il dottor Panzoni, così ritto, s'era riaddormentato; -poichè a lui sempre il sonno, grave come un -morbo, siedeva dentro le nari. E rimase a russare, -solo nel mezzo, con il capo chino sul petto; -mentre gli altri si disperdevano per tutto il paese -a divulgare la novella, di famiglia in famiglia. -</p> - -<p> -E la novella, divulgata, mise a rumore Pescara. -Verso sera, co 'l fresco della marina e -con la luna crescente, tutti i cittadini uscirono -per le vie e per le piazzette. Il chiacchierío fu -infinito. Il nome di Violetta Kutufà correva su -tutte le bocche. Don Giovanni Ussorio non fu -veduto. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Violetta Kutufà era venuta a Pescara nel mese -di gennaio, in tempo di carnevale, con una compagnia -di cantatori. Ella diceva d'essere una Greca -dell'Arcipelago, di aver cantato in un teatro -di Corfù al cospetto del re degli Elleni e di -aver fatto impazzire d'amore un ammiraglio d'Inghilterra. -Era una donna di forme opulente, di -pelle bianchissima. Aveva due braccia straordinariamente -carnose e piene di piccole fosse che -apparivano rosee ad ogni moto; e le piccole fosse -e le anella e tutte le altre grazie proprie di un -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -corpo infantile rendevano singolarmente piacevole -e fresca e quasi ridente la sua pinguedine. -I lineamenti del volto erano un po' volgari: gli -occhi color tané, pieni di pigrizia; le labbra grandi, -piatte e come schiacciate. Il naso non rivelava -l'origine greca: era corto, un poco erto, con le -narici larghe e respiranti. I capelli, neri, abbondavano. -Ed ella parlava con un accento molle, -esitando ad ogni parola, ridendo quasi sempre. -La sua voce spesso diventava roca, d'improvviso. -</p> - -<p> -Quando la compagnia giunse, i Pescaresi smaniavano -nell'aspettazione. I cantatori forestieri -furono ammirati per le vie, nei loro gesti, nel -loro incedere, nel loro vestire, e in ogni loro -attitudine. Ma la persona su cui tutta l'attenzione -converse fu Violetta Kutufà. -</p> - -<p> -Ella portava una specie di giacca scura orlata -di pelliccia e chiusa da alamari d'oro, e sul -capo una specie di tôcco tutto di pelliccia, chino -un po' da una parte. Andava sola, camminando -speditamente; entrava nelle botteghe, trattava -con un certo disdegno i bottegai, si lagnava -della mediocrità delle merci, usciva senza aver -nulla comprato: cantarellava, con noncuranza. -</p> - -<p> -Per le vie, nelle piazzette, su tutti i muri, -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -grandi scritture a mano annunziavano la rappresentazione -della <i>Contessa d'Amalfi</i>. Il nome -di Violetta Kutufà risplendeva in lettere vermiglie. -Gli animi dei Pescaresi si accendevano. La -sera aspettata giunse. -</p> - -<p> -Il teatro era in una sala dell'antico Ospedal -militare, all'estremità del paese, verso la marina. -La sala era bassa, stretta e lunga come un -corridoio: il palco scenico, tutto di legname e -di carta dipinta, s'inalzava pochi palmi da terra; -contro le pareti maggiori stavano le tribune, -costruite d'assi e di tavole, ricoperte di bandiere -tricolori, ornate di festoni. Il sipario, opera insigne -di Cucuzzitto figlio di Cucuzzitto, raffigurava -la Tragedia, la Comedia e la Musica allacciate -come le tre Grazie e trasvolanti sul -ponte a battelli sotto cui passava la Pescara -turchina. Le sedie, tolte alle chiese, occupavano -metà della platea. Le panche, tolte alle scuole, -occupavano il resto. -</p> - -<p> -Verso le sette la banda comunale prese a sonare -in piazza e sonando fece il giro del paese; -e si fermò quindi al teatro. La marcia fragorosa -sollevava gli animi al passaggio. Le signore -fremevano d'impazienza, nei loro belli abiti di -seta. La sala rapidamente si empì. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -</p> - -<p> -Su le tribune raggiava una corona di signore -e di signorine gloriosissima. Teodolinda Pomàrici, -la filodrammatica sentimentale e linfatica, -sedeva accanto a Fermina Memma la <i>mascula</i>. -Le Fusilli, venute da Castellammare, grandi fanciulle -dagli occhi nerissimi, vestite di una eguale -stoffa rosea, tutte con i capelli stretti in treccia -giù per la schiena, ridevano forte e gesticolavano. -Emilia d'Annunzio volgeva attorno i belli -occhi lionati con un'aria di tedio infinito. Mariannina -Cortese faceva segni col ventaglio a -Donna Rachele Profeta che stava di fronte. -Donna Rachele Bucci con Donna Rachele Carabba -ragionava di tavolini parlanti e di apparizioni. -Le maestre Del Gado, vestite tutt'e due -di seta cangiante, con mantellette di moda antichissime -e con certe cuffie luccicanti di pagliuzze -d'acciaio, tacevano, compunte, forse -stordite dalla novità del caso, forse pentite d'esser -venute a uno spettacolo profano. Costanza -Lesbii tossiva continuamente, rabbrividendo sotto -lo scialle rosso; bianca bianca, bionda bionda, sottile -sottile. -</p> - -<p> -Nelle prime sedie della platea sedevano gli ottimati. -Don Giovanni Ussorio primeggiava, bene -curato nella persona, con magnifici calzoni a -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -quadri bianchi e neri, con soprabito di castoro -lucido, con alle dita e alla camicia una gran -quantità di oreficeria chietina. Don Antonio Brattella, -membro dell'Areopago di Marsiglia, un -uomo spirante la grandezza da tutti i pori e -specialmente dal lobo auricolare sinistro ch'era -grosso come un'albicocca acerba, raccontava, a -voce alta, il dramma lirico di Giovanni Peruzzini; -e le parole, uscendo dalla sua bocca, acquistavano -una rotondità ciceroniana. Gli altri -su le sedie si agitavano con maggiore o minore -importanza. Il dottore Panzoni lottava in vano -contro le lusinghe del sonno e di tanto in tanto -faceva un rumore che si confondeva con il la -degli strumenti preludianti. -</p> - -<p> -— Pss! psss! pssss! -</p> - -<p> -Nel teatro il silenzio divenne profondo. All'alzarsi -della tela, la scena era vuota. Il suono -d'un violoncello veniva di tra le quinte. Uscì -Tilde, e cantò. Poi uscì Sertorio, e cantò. Poi entrò -una torma di allievi e di amici, e intonò un coro. -Poi Tilde si avvicinò pianamente alla finestra. -</p> - -<div class="poem"> -<p>Oh! come lente l'ore</p> -<p>Sono al desio!...</p> -</div> - -<p> -Nel pubblico incominciava la commozione, poichè -doveva essere imminente un duetto di amore. -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -Tilde, in verità, era un <i>primo soprano</i> non molto -giovine; portava un abito azzurro; aveva una -capellatura biondastra che le ricopriva insufficentemente -il cranio; e, con la faccia bianca di -cipria, rassomigliava a una costoletta cruda e -infarinata che fosse nascosta dentro una parrucca -di canapa. -</p> - -<p> -Egidio venne. Egli era il tenore giovine. Come -aveva il petto singolarmente incavato, le gambe -un po' curve, rassomigliava un cucchiaio a doppio -manico, su 'l quale fosse appiccicata una di quelle -teste di vitello raschiate e pulite che si veggono -talvolta nelle mostre dei beccai. -</p> - -<div class="poem"> -<p>Tilde! il tuo labbro è muto,</p> -<p>Abbassi al suol gli sguardi.</p> -<p>Un tuo gentil saluto,</p> -<p>Dimmi, perchè mi tardi?</p> -<p>È la tua man tremante....</p> -<p>Fanciulla mia, perchè?</p> -</div> - -<p> -E Tilde, con un impeto di sentimento: -</p> - -<div class="poem"> -<p>In sì solenne istante</p> -<p>Tu lo domandi a me?</p> -</div> - -<p> -Il duetto crebbe in tenerezza. Le melodie del -cavaliere Petrella deliziavano le orecchie degli uditori. -Tutte le signore stavano chinate sul parapetto -delle tribune, immobili, attente; e i loro -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -volti, battuti dal riflesso del verde delle bandiere, -impallidivano. -</p> - -<div class="poem"> -<p>Un cangiar di paradiso</p> -<p>Il morir ci sembrerà!</p> -</div> - -<p> -Tilde uscì; ed entrò, cantando, il duca Carnioli -ch'era un uomo corpulento e truculento e -zazzeruto come ad un baritono si addice. Egli -cantava fiorentinamente, aspirando le c iniziali, -anzi addirittura sopprimendole talvolta. -</p> - -<div class="poem"> -<p>Non sai tu che piombo è a ippiede</p> -<p>La atena oniugale?</p> -</div> - -<p> -Ma quando nel suo canto nominò alfine <i>d'Amalfi -la contessa</i>, corse nel pubblico un fremito lungo. -La contessa era desiderata, invocata. -</p> - -<p> -Chiese Don Giovanni Ussorio a Don Antonio -Brattella: -</p> - -<p> -— Quando viene? -</p> - -<p> -Rispose Don Antonio, lasciando cadere dall'alto -la risposta: -</p> - -<p> -— Oh, mio Dio, Don Giovà! Non sapete? Nell'atto -secondo! Nell'atto secondo! -</p> - -<p> -Il sermone di Sertorio fu ascoltato con una -certa impazienza. Il sipario calò fra applausi deboli. -Il trionfo di Violetta Kutufà così incominciava. -Un gran susurro correva per la platea, per -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -le tribune, crescendo, mentre si udivano dietro il -sipario i colpi di martello dei macchinisti. Quel lavorìo -invisibile aumentava l'aspettazione. -</p> - -<p> -Quando il sipario si alzò, una specie di stupore -invase gli animi. L'apparato scenico parve meraviglioso. -Tre arcate si prolungavano in prospettiva, -illuminate; e quella di mezzo terminava in -un giardino fantastico. Alcuni paggi stavano sparsi -qua e là, e s'inchinavano. La contessa d'Amalfi, -tutta vestita di velluto rosso, con uno strascico -regale, con le braccia e le spalle nude, rosea nella -faccia, entrò a passi concitati. -</p> - -<div class="poem"> -<p>Fu una sera d'ebrezza, e l'alma mia</p> -<p>N'è piena ancor....</p> -</div> - -<p> -La sua voce era disuguale, talvolta stridula, -ma spesso poderosa, acutissima. Produsse nel pubblico -un effetto singolare, dopo il miagolìo tenero -di Tilde. Subitamente il pubblico si divise in due -fazioni: le donne stavano per Tilde; gli uomini, -per Leonora. -</p> - -<div class="poem"> -<p>A' vezzi miei resistere</p> -<p>Non è sì facil gioco...</p> -</div> - -<p> -Leonora aveva nelle attitudini, nei gesti, nei -passi, una procacità che inebriava ed accendeva -i celibi avvezzi alle flosce Veneri del vico di -Sant'Agostino, e i mariti stanchi delle scipitezze -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -coniugali. Tutti guardavano, ad ogni volgersi della -cantatrice, le spalle grasse e bianche, dove al gioco -delle braccia rotonde due fossette parevano ridere. -</p> - -<p> -Alla fine dell'<i>a solo</i> gli applausi scoppiarono -con un fragore immenso. Poi lo svenimento della -contessa, le simulazioni dinanzi al duca Carnioli, -il principio del duetto, tutte le scene suscitarono -applausi. Nella sala s'era addensato il calore: per -le tribune i ventagli s'agitavano confusamente, -e nello sventolìo le facce feminili apparivano e -sparivano. Quando la contessa si appoggiò a una -colonna, in un'attitudine d'amorosa contemplazione, -e fu rischiarata dalla luce lunare d'un <i>bengala</i>, -mentre Egidio cantava la romanza soave. -Don Antonio Brattella disse forte: -</p> - -<p> -— È grande! -</p> - -<p> -Don Giovanni Ussorio, con un impeto subitaneo, -si mise a battere le mani, solo. Gli altri imposero -silenzio, poichè volevano ascoltare. Don Giovanni -rimase confuso. -</p> - -<div class="poem"> -<p>Tutto d'amore, tutto ha favella:</p> -<p>La luna, il zeffiro, le stelle, il mar....</p> -</div> - -<p> -Le teste degli uditori, al ritmo della melodia -petrelliana, ondeggiavano, se bene la voce di Egidio -era ingrata; e gli occhi si deliziavano, se bene -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -la luce della luna era fumosa e un po' giallognola. -Ma quando, dopo un contrasto di passione e di -seduzione, la contessa d'Amalfi incamminandosi -verso il giardino riprese la romanza, la romanza -che ancora vibrava nelle anime, il diletto degli uditori -fu tanto che molti sollevavano il capo e l'abbandonavano -un poco in dietro quasi per gorgheggiare -insieme con la sirena perdentesi tra i fiori. -</p> - -<div class="poem"> -<p>La barca è presta.... deh vieni, o bella!</p> -<p>Amor c'invita.... vivere è amar.</p> -</div> - -<p> -In quel punto Violetta Kutufà conquistò intero -Don Giovanni Ussorio che, fuori di sè, preso da -una specie di furore musicale ed erotico, acclamava -senza fine: -</p> - -<p> -— Brava! Brava! Brava! -</p> - -<p> -Disse Don Paolo Seccia, forte: -</p> - -<p> -— 'O vi', 'o vi', s'è 'mpazzito Ussorio! -</p> - -<p> -Tutte le signore guardavano Ussorio, stordite, -smarrite. Le maestre Del Gado scorrevano il rosario, -sotto le mantelline. Teodolinda Pomàrici rimaneva -estatica. Soltanto le Fusilli conservavano -la loro vivacità e cinguettavano, tutte rosee, facendo -guizzare nei movimenti le trecce serpentine. -Nel terzo atto, non i morenti sospiri di Tilde -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -che le donne proteggevano, non le rampogne di -Sertorio e Carnioli, non le canzonette dei popolani, -non il monologo del malinconico Egidio, non -le allegrezze delle dame e dei cavalieri ebbero -virtù di distrarre il pubblico dalla voluttà antecedente. — Leonora! -Leonora! -</p> - -<p> -E Leonora ricomparve a braccio del conte di -Lara, scendendo da un padiglione. E toccò il culmine -del trionfo. -</p> - -<p> -Ella aveva ora un abito violetto, ornato di galloni -d'argento e di fermagli enormi. Si volse verso -la platea, dando un piccolo colpo di piede allo strascico -e scoprendo nell'atto la caviglia. Poi, inframmezzando -le parole di mille vezzi e di mille -lezii, cantò fra giocosa e beffarda: -</p> - -<div class="poem"> -<p>Io son la farfalla che scherza tra i fiori....</p> -</div> - -<p> -Quasi un delirio prese il pubblico a quell'aria -già nota. La contessa d'Amalfi, sentendo salire -fino a sè l'ammirazione ardente degli uomini e la -cupidigia, s'inebriò, moltiplicò le seduzioni del -gesto e del passo; salì con la voce a supreme altitudini. -La sua gola carnosa, segnata dalla collana -di Venere, palpitava ai gorgheggi, scoperta. -</p> - -<div class="poem"> -<p>Son l'ape che solo di mèle si pasce;</p> -<p>M'inebrio all'azzurro d'un limpido ciel....</p> -</div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -</p> - -<p> -Don Giovanni Ussorio, rapito, guardava con -tale intensità che gli occhi parevano volergli uscir -fuori delle orbite. Il barone Cappa faceva un po' di -bava, incantato. Don Antonio Brattella, membro -dell'Areopago di Marsiglia, gonfiò, gonfiò, fin che -disse, in ultimo: -</p> - -<p> -— Colossale! -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -E Violetta Kutufà così conquistò Pescara. -</p> - -<p> -Per oltre un mese le rappresentazioni dell'opera -del cavaliere Petrella si seguirono con favore -crescente. Il teatro era sempre pieno, gremito. -Le acclamazioni a Leonora scoppiavano -furiose ad ogni fine di romanza. Un singolare -fenomeno avveniva: tutta la popolazione di Pescara -pareva presa da una specie di manìa musicale; -tutta la vita pescarese pareva chiusa nel -circolo magico di una melodia unica, di quella -ov'è la farfalla che scherza tra i fiori. Da per -tutto, in tutte le ore, in tutti i modi, in tutte le -possibili variazioni, in tutti gli strumenti, con una -persistenza stupefacente, quella melodia si ripeteva; -e l'imagine di Violetta Kutufà collegavasi -alle note cantanti, come, Dio mi perdoni, -agli accordi dell'organo l'imagine del Paradiso. -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -Le facoltà musiche e liriche, le quali nel popolo -aternino sono nativamente vivissime, ebbero allora -una espansione senza limiti. I monelli fischiavano -per le vie; tutti i dilettanti sonatori -provavano. Donna Lisetta Memma sonava l'aria -sul gravicembalo, dall'alba al tramonto; Don -Antonio Brattella la sonava sul flauto; Don Domenico -Quaquino sul clarinetto; Don Giacomo -Palusci, il prete, su una sua vecchia spinetta rococò; -Don Vincenzo Rapagnetta sul violoncello; -Don Vincenzo Ranieri su la tromba; Don Nicola -d'Annunzio sul violino. Dai bastioni di -Sant'Agostino all'Arsenale e dalla Pescheria alla -Dogana, i vari suoni si mescolavano e contrastavano -e discordavano. Nelle prime ore del -pomeriggio il paese pareva un qualche grande -ospizio di pazzi incurabili. Perfino gli arrotini, -affilando i coltelli alla ruota, cercavano di seguire -con lo stridore del ferro e della cote il -ritmo. -</p> - -<p> -Com'era tempo di carnevale, nella sala del -teatro fu dato un festino pubblico. -</p> - -<p> -Il giovedì grasso, alle dieci di sera, la sala -fiammeggiava di candele steariche, odorava di -mortelle, risplendeva di specchi. Le maschere -entravano a stuoli. I pulcinelli predominavano. -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -Sopra un palco, fasciato di veli verdi e constellato -di stelle di carta argentea, l'orchestra incominciò -a sonare. Don Giovanni Ussorio entrò. -</p> - -<p> -Egli era vestito da gentiluomo spagnuolo, e -pareva un conte di Lara più grasso. Un berretto -azzurro con una lunga piuma bianca gli -copriva la calvizie; un piccolo mantello di velluto -rosso gli ondeggiava su le spalle, gallonato -d'oro. L'abito metteva più in vista la prominenza -del ventre e la picciolezza delle gambe. -I capelli, lucidi di olii cosmetici, parevano una -frangia artificiale attaccata intorno al berretto -ed erano più neri del consueto. -</p> - -<p> -Un pulcinella impertinente, passando, strillò -con la voce falsa: -</p> - -<p> -— Mamma mia! -</p> - -<p> -E fece un gesto di orrore così buffonesco, dinanzi -al travestimento di Don Giovanni, che in -torno molte risa scampanellarono. La Ciccarina, -tutta rosea dentro il cappuccio nero della bautta, -simile a un bel fiore di carne, rideva d'un riso -luminosissimo, dondolandosi fra due arlecchini -cenciosi. -</p> - -<p> -Don Giovanni si perse tra la folla, con dispetto. -Egli cercava Violetta Kutufà. I sarcasmi -delle altre maschere lo inseguivano e lo ferivano. -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -D'un tratto egli s'incontrò in un secondo -gentiluomo di Spagna, in un secondo conte di -Lara. Riconobbe Don Antonio Brattella, ed ebbe -una fitta al cuore. Già tra quei due uomini la -rivalità era scoppiata. -</p> - -<p> -— Quanto 'sta nespola? — squittì Don Donato -Brandimarte, velenosamente, alludendo all'escrescenza -carnosa che il membro dell'Areopago di -Marsiglia aveva nell'orecchio sinistro. -</p> - -<p> -Don Giovanni esultò di una gioia feroce. I -due rivali si guardarono e si osservarono dal -capo alle piante; e si mantennero sempre l'uno -poco discosto dall'altro, pur girando tra la folla. -</p> - -<p> -Alle undici, nella folla corse una specie di -agitazione. Violetta Kutufà entrava. -</p> - -<p> -Ella era vestita diabolicamente, con un dominò -nero a lungo cappuccio scarlatto e con -una mascherina scarlatta su la faccia. Il mento -rotondo e niveo, la bocca grossa e rossa si -vedevano a traverso un sottil velo. Gli occhi, -allungati e resi un po' obliqui dalla maschera, -parevano ridere. -</p> - -<p> -Tutti la riconobbero, subito; e tutti quasi fecero -ala al passaggio di lei. Don Antonio Brattella -si avanzò, leziosamente, da una parte. Dall'altra -si avanzò Don Giovanni. Violetta Kutufà -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -ebbe un rapido sguardo per gli anelli che -brillavano alle dita di quest'ultimo. Indi prese -il braccio dell'Areopagita. Ella rideva, e camminava -con un certo vivace ondeggiare de' -lombi. L'Areopagita, parlandole e dicendole le -sue solite gonfie stupidezze, la chiamava contessa, -e intercalava nel discorso i versi lirici di -Giovanni Peruzzini. Ella rideva e si piegava -verso di lui e premeva il braccio di lui, ad -arte, perchè gli ardori e gli sdilinquimenti di quel -brutto e vano signore la dilettavano. A un -certo punto, l'Areopagita, ripetendo le parole -del conte di Lara nel melodramma petrelliano, -disse, anzi sommessamente cantò: -</p> - -<p> -— Poss'io dunque sperarrr? -</p> - -<p> -Violetta Kutufà rispose, come Leonora: -</p> - -<p> -— Chi ve lo vieta?... Addio. -</p> - -<p> -E, vedendo Don Giovanni poco discosto, si -staccò dal cavaliere affascinato e si attaccò all'altro -che già da qualche tempo seguiva con -occhi pieni d'invidia e di dispetto gli avvolgimenti -della coppia tra la folla danzante. -</p> - -<p> -Don Giovanni tremò, come un giovincello al -primo sguardo della fanciulla adorata. Poi, preso -da un impeto glorioso, trasse la cantatrice nella -danza. Egli girava affannosamente, con il naso -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -sul seno della donna; e il mantello gli svolazzava -dietro, la piuma gli si piegava, rivi di -sudore misti ad olii cosmetici gli colavano giù -per le tempie. Non potendo più, si fermò. Traballava -per la vertigine. Due mani lo sorressero; -e una voce beffarda gli disse nell'orecchio: -</p> - -<p> -— Don Giovà, riprendete fiato! -</p> - -<p> -Era la voce dell'Areopagita, il quale a sua -volta trasse la bella nella danza. -</p> - -<p> -Egli ballava tenendo il braccio sinistro arcuato -sul fianco, battendo il piede ad ogni cadenza, -cercando parer leggiero e molle come -una piuma, con atti di grazia così goffi e con -smorfie così scimmiescamente mobili che intorno -a lui le risa e i motti dei pulcinelli cominciarono -a grandinare. -</p> - -<p> -— Un soldo si paga, signori! -</p> - -<p> -— Ecco l'orso della Polonia, che balla come -un cristiano! Mirate, signori! -</p> - -<p> -— Chi vuol nespoleeee? Chi vuol nespoleeee? -</p> - -<p> -— 'O vi'! 'O vi'! L'urangutango! -</p> - -<p> -Don Antonio fremeva, dignitosamente, pur -seguitando a ballare. -</p> - -<p> -In torno a lui altre coppie giravano. La sala -si era empita di gente variissima; e nel gran -calore le candele ardevano con una fiamma -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -rossiccia, tra i festoni di mortella. Tutta quella -agitazione multicolore si rifletteva negli specchi. -</p> - -<p> -La Ciccarina, la figlia di Montagna, la figlia -di Suriano, le sorelle Montanaro apparivano e -sparivano, mettendo nella folla l'irraggiamento -della loro fresca bellezza plebea. Donna Teodolinda -Pomàrici, alta e sottile, vestita di raso -azzurro, come una madonna, si lasciava portare -trasognata; e i capelli sciolti in anella le fluttuavano -su gli omeri. Costanzella Caffè, la più agile e -la più infaticabile fra le danzatrici e la più bionda, -volava da una estremità all'altra in un baleno. -Amalia Solofra, la rossa dai capelli quasi fiammeggianti, -vestita da forosetta, con audacia senza pari, -aveva il busto di seta sostenuto da un solo nastro -che contornava l'appiccatura del braccio; e, nella -danza, a tratti le si vedeva una macchia scura -sotto le ascelle. Amalia Gagliano, la bella dagli -occhi cisposi, vestita da maga, pareva una cassa -funeraria che camminasse verticalmente. Una -specie di ebrietà teneva tutte quelle fanciulle. Esse -erano alterate dall'aria calda e densa, come da un -falso vino. Il lauro e la mortella formavano un -odore singolare, quasi ecclesiastico. -</p> - -<p> -La musica cessò. Ora tutti salivano i gradini -conducenti alla sala dei rinfreschi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -</p> - -<p> -Don Giovanni Ussorio venne ad invitare Violetta -a cena. L'Areopagita, per mostrare d'essere -in grande intimità con la cantatrice, si -chinava verso di lei e le susurrava qualche cosa -all'orecchio e poi si metteva a ridere. Don Giovanni -non si curò del rivale. -</p> - -<p> -— Venite, contessa? — disse, tutto cerimonioso, -porgendo il braccio. -</p> - -<p> -Violetta accettò. Ambedue salirono i gradini, -lentamente, con Don Antonio dietro. -</p> - -<p> -— Io vi amo! — avventurò Don Giovanni, tentando -di dare alla sua voce un accento di passione -appreso dal <i>primo amoroso giovine</i> d'una -compagnia drammatica di Chieti. -</p> - -<p> -Violetta Kutufà non rispose. Ella si divertiva -a guardare il concorso della gente verso il -banco di Andreuccio che distribuiva rinfreschi -gridando il prezzo ad alta voce, come in una -fiera campestre. Andreuccio aveva una testa -enorme, il cranio polito, un naso che si curvava -su la sporgenza del labbro inferiore poderosamente; -e somigliava una di quelle grandi lanterne -di carta, che hanno la forma d'una testa -umana. I mascherati mangiavano e bevevano con -una cupidigia bestiale, spargendosi su gli abiti le -briciole delle paste dolci e le gocce dei liquori. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -</p> - -<p> -Vedendo Don Giovanni, Andreuccio gridò: -</p> - -<p> -— Signò, comandate? -</p> - -<p> -Don Giovanni aveva molte ricchezze, era vedovo, -senza parenti prossimi; cosicchè tutti si -mostravano servizievoli per lui e lo adulavano. -</p> - -<p> -— Na' cenetta, rispose. Ma!... -</p> - -<p> -E fece un segno espressivo per indicare che -la cosa doveva essere eccellente e rara. -</p> - -<p> -Violetta Kutufà sedette e con un gesto pigro -si tolse la mascherina dal volto ed aprì un poco -sul seno il dominò. Dentro il cappuccio scarlatto -la sua faccia, animata dal calore, pareva -più procace. Per l'apertura del dominò si vedeva -una specie di maglia rosea che dava l'illusione -della carne viva. -</p> - -<p> -— Salute! — esclamò Don Pompeo Nervi fermandosi -dinanzi alla tavola imbandita e sedendosi, -attirato da un piatto di aragoste succulente. -</p> - -<p> -E allora sopraggiunse Don Tito De Sieri e -prese posto, senza complimenti; sopraggiunse -Don Giustino Franco insieme con Don Pasquale -Virgilio e con Don Federico Sicoli. La tavola -s'ingrandì. Dopo molto rigirare tortuoso, venne -anche Don Antonio Brattella. Tutti costoro erano -per lo più i convitati ordinari di Don Giovanni; -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -gli formavano intorno una specie di corte adulatoria; -gli davano il voto nelle elezioni del Comune; -ridevano ad ogni sua facezia; lo chiamavano, -per antonomasia, <i>il principale</i>. -</p> - -<p> -Don Giovanni disse i nomi di tutti a Violetta -Kutufà. I parassiti si misero a mangiare, chinando -sui piatti le bocche voraci. Ogni parola, -ogni frase di Don Antonio Brattella veniva accolta -con un silenzio ostile. Ogni parola, ogni -frase di Don Giovanni veniva applaudita con -sorrisi di compiacenza, con accenni del capo. -Don Giovanni, tra la sua corte, trionfava. Violetta -Kutufà gli era benigna, poichè sentiva -l'oro; e, ormai liberata dal cappuccio, con i capelli -un po' in ribellione per la fronte e per la -nuca, si abbandonava alla sua naturale giocondità -un po' clamorosa e puerile. -</p> - -<p> -D'in torno, la gente movevasi variamente. In -mezzo alla folla tre o quattro arlecchini camminavano -sul pavimento, con le mani e con i -piedi; e si rotolavano, simili a grandi scarabei. -Amalia Solofra, ritta sopra una sedia, con alte -le braccia ignude, rosse ai gomiti, agitava un -tamburello. Sotto di lei una coppia saltava alla -maniera rustica, gittando brevi gridi; e un -gruppo di giovani stava a guardare con gli occhi -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -levati, un poco ebri di desio. Di tanto in -tanto dalla sala inferiore giungeva la voce di -Don Ferdinando Giordano che comandava le -quadriglie con gran bravura: -</p> - -<p> -— <i>Balanzé! Turdemé! Rondagósce!</i> -</p> - -<p> -A poco a poco la tavola di Violetta Kutufà -diveniva amplissima. Don Nereo Pica, Don Sebastiano -Pica, Don Grisostomo Troilo, altri della -corte ussoriana, sopraggiunsero; poi anche Don -Cirillo d'Amelio, Don Camillo D'Angelo, Don -Rocco Mattace. Molti estranei d'intorno stavano -a guardar mangiare, con volti stupidi. Le donne -invidiavano. Di tanto in tanto, dalla tavola si -levava uno scoppio di risa rauche; e, di tanto -in tanto, saltava un turacciolo e le spume del -vino si riversavano. -</p> - -<p> -Don Giovanni amava spruzzare i convitati, -specialmente i calvi, per far ridere Violetta. I -parassiti levavano le facce arrossite; e sorridevano, -ancora masticando, al <i>principale</i>, sotto la -pioggia nivea. Ma Don Antonio Brattella s'impermalì -e fece per andarsene. Tutti gli altri, contro -di lui, misero un clamore basso che pareva -un abbaiamento. -</p> - -<p> -Violetta disse: -</p> - -<p> -— Restate. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -</p> - -<p> -Don Antonio restò. Poi fece un brindisi poetico -in quinari. -</p> - -<p> -Don Federico Sicoli, mezzo ebro, fece anche -un brindisi a gloria di Violetta e di Don Giovanni, -in cui si parlava persino di <i>sacre tede</i> e -di <i>felice imene</i>. Egli declamò a voce alta. Era -un uomo lungo e smilzo e verdognolo come -un cero. Viveva componendo epitalami e strofette -per gli onomastici e laudazioni per le festività -ecclesiastiche. Ora, nell'ebrietà, le rime gli -uscivano dalla bocca senza ordine, vecchie rime -e nuove. A un certo punto egli, non reggendosi -su le gambe, si piegò come un cero ammollito -dal calore; e tacque. -</p> - -<p> -Violetta Kutufà si diffondeva in risa. La gente -accalcavasi intorno alla tavola, come ad uno -spettacolo. -</p> - -<p> -— Andiamo, — disse Violetta, a un certo punto, -rimettendosi la maschera e il cappuccio. -</p> - -<p> -Don Giovanni, al culmine dell'entusiasmo amoroso, -tutto invermigliato e sudante, porse il braccio. -I parassiti bevvero l'ultimo bicchiere e si -levarono confusamente, dietro la coppia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Pochi giorni dopo, Violetta Kutufà abitava -un appartamento in una casa di Don Giovanni, -su la piazza comunale; e una gran diceria correva -Pescara. La compagnia dei cantatori partì, -senza la contessa d'Amalfi, per Brindisi. Nella -grave quiete quaresimale, i Pescaresi si dilettarono -della mormorazione e della calunnia, modestamente. -Ogni giorno una novella nuova faceva -il giro della città, e ogni giorno dalla fantasia -popolare sorgeva una favola. -</p> - -<p> -La casa di Violetta Kutufà stava proprio dalla -parte di Sant'Agostino, in contro al palazzo di -Brina, accosto al palazzo di Memma. Tutte le -sere le finestre erano illuminate. I curiosi, sotto, -si assembravano. -</p> - -<p> -Violetta riceveva i visitatori in una stanza -tappezzata di carta francese su cui erano francescamente -rappresentati taluni fatti mitologici. -Due canterali panciuti del Settecento occupavano -i due lati del caminetto. Un canapè giallo stendevasi -lungo la parete opposta, tra due portiere -di stoffa simile. Sul caminetto s'alzava una Venere -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -di gesso, una piccola Venere de' Medici, tra -due candelabri dorati. Su i canterali posavano -vari vasi di porcellana, un gruppo di fiori artificiali -sotto una campana di cristallo, un canestro -di frutta di cera, una casetta svizzera di legno, -un blocco d'allume, alcune conchiglie, una noce -di cocco. -</p> - -<p> -Da prima i signori avevano esitato, per una -specie di pudicizia, a salire le scale della cantatrice. -Poi, a poco a poco, avevano vinta ogni -esitazione. Anche gli uomini più gravi facevano -di tanto in tanto la loro comparsa nel salotto di -Violetta Kutufà, anche gli uomini di famiglia; e ci -andavano quasi trepidando, con un piacere furtivo, -come se andassero a commettere una piccola -infedeltà alle mogli loro, come se andassero -in un luogo di dolce perdizione e di peccato. Si -univano in due, in tre; formavano leghe, per -maggior sicurezza e per giustificarsi; ridevano tra -loro e si spingevano i gomiti a vicenda per -incoraggiamento. Poi la luce delle finestre e i -suoni del pianoforte e il canto della contessa -d'Amalfi e le voci e gli applausi degli altri visitatori -li inebriavano. Essi erano presi da un entusiasmo -improvviso; ergevano il busto e la testa, con un -moto giovanile; salivano risolutamente, pensavano -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -che infine bisognava godersi la vita e cogliere -le occasioni del piacere. -</p> - -<p> -Ma i ricevimenti di Violetta avevano un'aria -di grande convenienza, erano quasi cerimoniosi. -Violetta accoglieva con gentilezza i nuovi venuti -ed offriva loro sciroppi nell'acqua e rosolii. I -nuovi venuti rimanevano un po' attoniti, non sapevano -come muoversi, dove sedere, che dire. -La conversazione si versava sul tempo, su le -notizie politiche, su la materia delle prediche -quaresimali, su altri argomenti volgari e tediosi. -Don Giuseppe Postiglione parlava della candidatura -del principe prussiano Hohenzollern al -trono di Spagna; Don Antonio Brattella amava talvolta -discutere dell'immortalità dell'anima e d'altre -cose edificanti. La dottrina dell'Areopagita era -grandissima. Egli parlava lento e rotondo, di -tanto in tanto pronunziando rapidamente una parola -difficile e mangiandosi qualche sillaba. Secondo -la cronaca veridica, una sera, prendendo -una bacchetta e piegandola, disse: «Com'è <i>flebile</i>!» -per dire <i>flessibile</i>; un'altra sera, indicando il -palato e scusandosi di non potere suonare il flauto, -disse: «Mi s'è infiammata tutta la <i>platea</i>!» e un'altra -sera, indicando l'orificio di un vaso, disse -che, perchè i fanciulli prendessero la medicina, -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -bisognava spargere di qualche materia dolce -tutta l'<i>oreficeria</i> del bicchiere. -</p> - -<p> -Di tratto in tratto, Don Paolo Seccia, spirito -incredulo, udendo raccontare fatti troppo singolari, -saltava su: -</p> - -<p> -— Ma, Don Antò, voi che dite? -</p> - -<p> -Don Antonio assicurava, con una mano sul -cuore: -</p> - -<p> -— Testimone <i>oculista!</i> Testimone <i>oculista!</i> -Una sera egli venne, camminando a fatica; e -piano piano si mise a sedere: aveva un reuma -<i>lungo il reno</i>. Un'altra sera venne, con la guancia -destra un po' illividita: era caduto <i>di soppiatto</i>, -cioè aveva sdrucciolato battendo la guancia sul -suolo. -</p> - -<p> -— Come mai,. Don Antò? — chiese qualcuno. -</p> - -<p> -— Eh guardate! Ho perfino un <i>impegno</i> rotto, -egli rispose, indicando il tomaio che nel dialetto -nativo si chiama <i>'mbígna</i>, come nel proverbio -<i>Senza 'mbígna nen ze mandé la scarpe</i>. -</p> - -<p> -Questi erano i belli ragionari di quella gente. -Don Giovanni Ussorio, presente sempre, aveva -delle arie padronali; ogni tanto si avvicinava a -Violetta e le mormorava qualche cosa nell'orecchio, -con familiarità, per ostentazione. Avvenivano -lunghi intervalli di silenzio, in cui Don Grisostomo -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -Troilo si soffiava il naso e Don Federico -Sicoli tossiva come un macacco tisico portando -ambo le mani alla bocca ed agitandole. -</p> - -<p> -La cantatrice ravvivava la conversazione narrando -i suoi trionfi di Corfù, di Ancona, di Bari. -Ella a poco a poco si eccitava, si abbandonava -tutta alla fantasia; con reticenze discrete, parlava -di amori principeschi, di favori reali, di avventure -romantiche; evocava tutti i suoi tumultuarii -ricordi di letture fatte in altro tempo: confidava -largamente nella credulità degli ascoltatori. Don -Giovanni in quei momenti le teneva addosso gli -occhi pieni d'inquietudine, quasi smarrito, pur -provando un orgasmo singolare che aveva una -vaga e confusa apparenza di gelosia. -</p> - -<p> -Violetta finalmente s'interrompeva, sorridendo -d'un sorriso fatuo. -</p> - -<p> -Di nuovo, la conversazione languiva. -</p> - -<p> -Allora Violetta si metteva al pianoforte e cantava. -Tutti ascoltavano, con attenzione profonda. -Alla fine, applaudivano. -</p> - -<p> -Poi sorgeva l'Areopagita, col flauto. Una malinconia -immensa prendeva gli uditori, a quel -suono, uno sfinimento dell'anima e del corpo. -Tutti stavano col capo basso, quasi chino sul -petto, in attitudini di sofferenza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -</p> - -<p> -In ultimo, tutti uscivano l'uno dietro l'altro. -Come avevano presa la mano di Violetta, un -po' di profumo, d'un forte profumo muschiato, -restava loro nelle dita; e n'erano turbati alquanto. -Allora, nella via, si riunivano in crocchio, -tenevano discorsi libertini, si rinfocolavano, -cercavano d'imaginare le occulte forme della -cantatrice; abbassavano la voce o tacevano, se -qualcuno s'appressava. Pianamente se ne andavano -sotto il palazzo di Brina, dall'altra parte -della piazza. E si mettevano a spiare le finestre -di Violetta ancora illuminate. Su i vetri passavano -ombre indistinte. A un certo punto, il -lume spariva, attraversava due o tre stanze; -e si fermava nell'ultima, illuminando l'ultima finestra. -Dopo poco, una figura veniva innanzi -a chiudere le imposte. E i riguardanti credevano -riconoscere la figura di Don Giovanni. -Seguitavano ancora a discorrere, sotto le stelle; -e di tanto in tanto ridevano, dandosi piccole -spinte a vicenda, gesticolando. Don Antonio -Brattella, forse per effetto della luce d'un lampione -comunale, pareva di color verde. I parassiti, -a poco a poco, nel discorso, cacciavan -fuori una certa animosità contro la cantatrice -che spiumava con tanto garbo il loro anfitrione. -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -Essi temevano che i larghi pasti corressero pericolo. -Già Don Giovanni era più parco d'inviti. -«Bisognava aprire gli occhi a quel poveretto. -Un'avventuriera!..... Puah! Ella sarebbe stata -capace di farsi sposare. Come no? E poi lo -scandalo....» -</p> - -<p> -Don Pompeo Nervi, scotendo la grossa testa -vitulina, assentiva: -</p> - -<p> -— È vero! È vero! Bisogna pensarci. -</p> - -<p> -Don Nereo Pica, la faina, proponeva qualche -mezzo, escogitava stratagemmi, egli uomo pio, -abituato alle secrete e laboriose guerre della -sacrestia, scaltro nel seminar le discordie. -</p> - -<p> -Così quei mormoratori s'intrattenevano a -lungo; e i discorsi grassi ritornavano nelle -loro bocche amare. Come era la primavera, gli -alberi del giardino pubblico odoravano e ondeggiavano -bianchi di fioriture, dinanzi a loro: -e pei vicoli vicini si vedevano sparire figure di -meretrici discinte. -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -Quando dunque Don Giovanni Ussorio, dopo -aver saputo da Rosa Catana la partenza di -Violetta Kutufà, rientrò nella casa vedovile e -sentì il suo pappagallo modulare l'aria della -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -farfalla e dell'ape, fu preso da un nuovo e più -profondo sgomento. -</p> - -<p> -Nell'andito, tutto candido, entrava una zona -di sole. A traverso il cancello di ferro si vedeva -il giardino tranquillo, pieno di eliotropii. -Un servo dormiva sopra una stuoia, co'l cappello -di paglia su la faccia. -</p> - -<p> -Don Giovanni non risvegliò il servo. Salì con -fatica le scale, tenendo gli occhi fissi ai gradini, -soffermandosi, mormorando: -</p> - -<p> -— Oh, che cosa! Oh, oh, che cosa! -</p> - -<p> -Giunto alla sua stanza, si gettò sul letto, con -la bocca contro i guanciali; e ricominciò a singhiozzare. -Poi si sollevò. Il silenzio era grande. -Gli alberi del giardino, alti sino alla finestra, -ondeggiavano appena, nella quiete dell'ora. -Nulla di straordinario avevano le cose in torno. -Egli quasi n'ebbe meraviglia. -</p> - -<p> -Si mise a pensare. Stette lungo tempo a rammentarsi -le attitudini, i gesti, le parole, i minimi -cenni della fuggitiva. La forma di lei gli -appariva chiara, come se fosse presente. Ad -ogni ricordo, il dolore cresceva; fino a che una -specie di ebetudine gli occupò il cervello. -</p> - -<p> -Egli rimase a sedere sul letto, quasi immobile, -con gli occhi rossi, con le tempie tutte annerite -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -dalla tintura dei capelli mista al sudore, -con la faccia solcata da rughe diventate più -profonde all'improvviso, invecchiato di dieci -anni in un'ora; ridevole e miserevole. -</p> - -<p> -Venne Don Grisostomo Troilo, che aveva saputo -la novella; ed entrò. Era un uomo d'età, -di piccola statura, con una faccia rotonda e -gonfia, d'onde uscivan fuori due baffi acuti e -sottili, bene incerati, simili a due aculei. Disse: -</p> - -<p> -— Be', Giovà, che è questo? -</p> - -<p> -Don Giovanni non rispose; ma scosse le spalle -come per rifiutare ogni conforto. Don Grisostomo -allora si mise a riprenderlo amorevolmente, -con unzione, senza parlare di Violetta Kutufà. -</p> - -<p> -Sopraggiunse Don Cirillo D'Amelio con Don -Nereo Pica. Tutt'e due, entrando, avevano quasi -un'aria trionfante. -</p> - -<p> -— Hai visto? Hai visto? Giovà? Noi lo dicevaaamo! -Noi lo dicevaaamo! -</p> - -<p> -Essi avevano ambedue una voce nasale e una -cadenza acquistata nella consuetudine del cantare -su l'organo, poichè appartenevano alla Congregazione -del Santissimo Sacramento. Cominciarono -a imperversare contro Violetta, senza -misericordia. «Ella faceva questo, questo e quest'altro». -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> -</p> - -<p> -Don Giovanni, straziato, tentava di tanto in -tanto un gesto per interrompere, per non udire -quelle vergogne. Ma i due seguitavano. Sopraggiunsero -anche Don Pasquale Virgilio, Don Pompeo -Nervi, Don Federico Sicoli, Don Tito De -Sieri, quasi tutti i parassiti, insieme. Essi, così -collegati, diventavano feroci. «Violetta Kutufà -s'era data a Tizio, a Caio, a Sempronio... Sicuro! -Sicuro!» Esponevano particolarità precise, luoghi -precisi. -</p> - -<p> -Ora Don Giovanni ascoltava, con gli occhi accesi, -avido di sapere, invaso da una curiosità -terribile. Quelle rivelazioni, in vece di disgustarlo, -alimentavano in lui la brama. Violetta gli parve -più desiderabile, ancora più bella; ed egli si -sentì mordere dentro da una gelosia furiosa che -si confondeva col dolore. Subitamente, la donna -gli apparve nel ricordo atteggiata ad una posa -molle. Egli più non la vide se non in quell'atto. -Quell'imagine permanente gli dava le vertigini. -«Oh Dio! Oh Dio! Oh! Oh!» Egli ricominciò -a singhiozzare. I presenti si guardarono in -volto e contennero il riso. In verità, il dolore di -quell'uomo pingue calvo e deforme aveva -un'espressione così ridicola che non pareva -reale. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> -</p> - -<p> -— Andatevene ora! — balbettò tra le lacrime -Don Giovanni. -</p> - -<p> -Don Grisostomo Troilo diede l'esempio. Gli -altri seguirono. E per le scale cicalavano. -</p> - -<p> -Come venne la sera, l'abbandonato si sollevò, a -poco a poco. Una voce feminile chiese all'uscio: -</p> - -<p> -— È permesso, Don Giovanni? -</p> - -<p> -Egli riconobbe Rosa Catana e provò d'un -tratto una gioia istintiva. Corse ad aprire. Rosa -Catana apparve, nella penombra della stanza. -</p> - -<p> -Egli disse: -</p> - -<p> -— Vieni! Vieni! -</p> - -<p> -La fece sedere a canto a sè, la fece parlare,, -l'interrogò in mille modi. Gli pareva di soffrir -meno, ascoltando quella voce familiare in cui -egli per illusione trovava qualche cosa della -voce di Violetta. Le prese le mani. -</p> - -<p> -— Tu la pettinavi; è vero? -</p> - -<p> -Le accarezzò le mani ruvide, chiudendo gli -occhi, co 'l cervello un po' svanito, pensando -all'abbondante capellatura disciolta che quelle -mani avevano tante volte toccata. Rosa, da prima, -non comprendeva; credeva a qualche subitaneo -desiderio di Don Giovanni, e ritirava le -mani mollemente, dicendo qualche parola ambigua, -ridendo. Ma Don Giovanni mormorò: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> -</p> - -<p> -— No, no!... Zitta! Tu la pettinavi; è vero? -Tu la mettevi nel bagno; è vero? -</p> - -<p> -Egli si mise a baciare le mani di Rosa, quelle -mani che pettinavano, che lavavano, che vestivano -Violetta. Tartagliava, baciandole; faceva -versi così strani che Rosa a fatica poteva ritenere -le risa. Ma ella finalmente comprese; e da -femmina accorta, sforzandosi di rimanere in serietà, -calcolò tutti i vantaggi ch'ella avrebbe -potuto trarre dalla melensa commedia di Don -Giovanni. E fu docile; si lasciò accarezzare; -si lasciò chiamare Violetta; si servì di tutta -l'esperienza acquistata guardando dal buco della -chiave ed origliando tante volte all'uscio della -padrona; cercò anche di rendere la voce più dolce. -</p> - -<p> -Nella stanza ci si vedeva appena. Dalla finestra -aperta entrava un chiarore roseo; e gli alberi -del giardino, quasi neri, stormivano. Dai -pantani dell'Arsenale giungeva il gracidare lungo -delle rane. Il romorìo delle strade cittadine era -indistinto. -</p> - -<p> -Don Giovanni attirò la donna su le sue ginocchia; -e, tutto smarrito, come se avesse bevuto -qualche liquore troppo ardente, balbettava -mille leziosaggini puerili, pargoleggiava, senza -fine, accostando la sua faccia a quella di lei. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -</p> - -<p> -— Violettuccia bella! Cocò mio! Non te ne -vai, Cocò!... Se te ne vai, Ninì tuo muore. Povero -Ninì!... Baubaubaubauuu! -</p> - -<p> -E seguitava ancora, stupidamente, come faceva -prima con la cantatrice. E Rosa Catana, -paziente, gli rendeva le piccole carezze, come -a un bambino malaticcio e viziato; gli prendeva -la testa e se la teneva contro la spalla; gli baciava -gli occhi gonfi e lagrimanti; gli palpava -il cranio calvo; gli ravviava i capelli untuosi. -</p> - -<h3>VI.</h3> - -<p> -Così Rosa Catana a poco a poco guadagnò -l'eredità di Don Giovanni Ussorio, che nel -marzo del 1871 moriva di paralisía. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span></p> - -<h2 id="duca">LA MORTE DEL DUCA D'OFENA.</h2> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Quando giunse di lontano il primo clamor -confuso della ribellione, Don Filippo Cassàura -aprì subitamente le palpebre che per solito gli -pesavano su gli occhi, infiammate agli orli e -arrovesciate come quelle de' piloti che navigano -per mari ventosi. -</p> - -<p> -— Hai sentito? — chiese al Mazzagrogna -che gli stava da presso. E il tremito della voce -tradiva lo sbigottimento interiore. -</p> - -<p> -Rispose il maggiordomo, sorridendo: -</p> - -<p> -— Non abbiate paura, Eccellenza. Oggi è -San Pietro. Cantano i mietitori. -</p> - -<p> -Il vecchio stette un poco in ascolto, poggiato -sul gomito, con lo sguardo ai balconi. Le cortine -ondeggiavano ai soffi caldi del libeccio. -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -Le rondini a stormi passavano e ripassavano, -rapide come freccie, nell'aria ardentissima. Tutti -i tetti delle case sottostanti fiammeggiavano, -quali rossastri, quali grigi. Oltre i tetti si distendeva -la campagna immensa ed opulenta, -quasi tutta d'oro in tempo di mietitura. -Di nuovo chiese il vecchio: -</p> - -<p> -— Ma, Giovanni, hai sentito? -</p> - -<p> -Giungevano, infatti, clamori che non parevano -di gioia. Il vento, rafforzandoli a intervalli -e spegnendoli o mescendoli al suo fischio, -li rendeva più singolari. -</p> - -<p> -— Non ci badate, Eccellenza — rispose il -Mazzagrogna. — Gli orecchi v'ingannano. State -quieto. -</p> - -<p> -Ed egli si levò per andare verso uno dei -balconi. -</p> - -<p> -Era un uomo tarchiato, con le gambe in arco, -con le mani enormi, coperte di peli sul dorso, -bestiali. Aveva gli occhi un poco obliqui, biancastri -come quelli degli albini, tutta la faccia -sparsa di lentiggini, pochi capelli rossi su le -tempie, e l'occipite occupato da certe escrescenze -dure e scure in forma di castagne. -</p> - -<p> -Rimase in piedi alquanto, fra le due cortine -che si gonfiavano come due vele, a investigare -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -il piano sottoposto. Un alto polverìo levavasi -dalla strada della Fara, come per passaggio di -greggi numerose; e i folti nugoli, gonfiati dal -vento, crescevano in forma di trombe. Di tratto -in tratto, anche, i nugoli balenavano come se -chiudessero gente armata. -</p> - -<p> -— Ebbene? — chiese don Filippo, inquieto. -</p> - -<p> -— Nulla — rispose il Mazzagrogna; ma -aveva le sopracciglia corrugate profondamente. -</p> - -<p> -Di nuovo, il soffio impetuoso portò un tumulto -di grida lontane. Una cortina, sforzata -dall'urto, si mise a sbattere e a garrire nell'aria -come un gonfalone spiegato. Una porta -si chiuse d'improvviso, con violenza e con fragore. -I vetri ne tremarono. Le carte, accumulate -sopra una tavola, si sparpagliarono per tutta -la stanza. -</p> - -<p> -— Chiudi! Chiudi! — gridò il vecchio, con -un moto di terrore. — Mio figlio dov'è? -</p> - -<p> -Egli ansava, sul letto, affogato dalla pinguedine, -incapace di levarsi poichè aveva tutta la -inferior parte del corpo impedita dalla paralisìa. -Un continuo tremor paralitico gli agitava i muscoli -del collo, i gomiti, le ginocchia. Le sue -mani posavano sul lenzuolo, contorte e nodose -come le ràdiche dei vecchi olivi. Un sudore -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -abondante gli stillava dalla fronte e dal cranio -calvo, rigandogli la larga faccia che era d'un -color roseo disfatto, sottilissimamente venato di -vermiglio come la milza dei buoi. -</p> - -<p> -— Diavolo! — mormorò fra i denti il Mazzagrogna, -mentre chiudeva le imposte a viva forza. -</p> - -<p> -— Fanno davvero? -</p> - -<p> -Ora si scorgeva su la strada della Fara, alle -prime case, una moltitudine d'uomini agitata e -ondeggiante, come un rigurgito di flutti, che -dava indizio d'un'altra maggior moltitudine -non visibile, nascosta dalla linea dei tetti e -dalle querci di San Pio. La legione ausiliaria -delle campagne veniva dunque ad ingrossar la -ribellione. A poco a poco la folla diminuiva, -internandosi nelle vie del paese e scomparendo -come un popolo di formiche nei labirinti d'un -formicaio. Le grida, soffocate dalle mura o ripercosse, -giungevano ora come un rombo continuo, -indistinte. A volte mancavano; e allora -si udiva il grande stormire degli elci dinanzi -al palazzo che pareva più solo. -</p> - -<p> -— Mio figlio dov'è? — chiese di nuovo il -vecchio, con una voce che lo sbigottimento -rendeva più stridula. — Chiamalo! Lo voglio -vedere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> -</p> - -<p> -Tremava forte, sul letto, non soltanto perchè -egli era paralitico, ma perchè aveva paura. Ai -primi moti sediziosi del giorno innanzi, agli urli -d'un centinaio di giovinastri venuti a schiamazzare -sotto i balconi contro la più recente -angheria del duca d'Ofena, egli era stato preso -da una così pazza paura che aveva pianto come -una femminetta ed aveva passata la notte -invocando i santi del Paradiso. Il pensiero della -morte o del pericolo dava un indicibile terrore -a quel vecchio paralitico, già semispento, in cui -gli ultimi guizzi della vita eran sì dolorosi. Egli -non voleva morire. -</p> - -<p> -— Luigi! Luigi! — si mise a gridare, nell'ambascia, -chiamando il figliuolo. -</p> - -<p> -Tutto il palazzo era pieno dell'acuto tintinnio -de' vetri all'urto del vento. Di tratto in tratto -si udiva il rimbombo d'un uscio sbattuto, o -suono di passi precipitati e di voci brevi. -</p> - -<p> -— Luigi! -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Il duca accorse. Egli era un poco pallido e -concitato, se bene cercasse di dominarsi. Alto -di statura e robusto, aveva la barba ancor tutta -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -nera su le mascelle assai grosse; la bocca tumida -e imperiosa, piena d'un soffio veemente; -gli occhi torbidi e voraci; il naso grande, palpitante, -sparso di rossore. -</p> - -<p> -— Ebbene? — chiese Don Filippo, ansando -con tal rantolo che pareva dovesse soffocarlo. -</p> - -<p> -— Non temete, padre; ci sono io — rispose -il duca, appressandosi al letto, cercando di sorridere. -</p> - -<p> -Il Mazzagrogna stava in piedi, dinanzi a -uno de' balconi, guardando di fuori, intento. -Non giungevano più grida; non si vedeva più -alcuno. Il sole declinava dal cielo puro, simile -a un cerchio roseo di fiamma, che più s'ingrandiva -e più s'accendeva nel raggiungere le -cime dei colli. Tutta la campagna pareva ardere; -e pareva che il garbino fosse l'alito dell'incendio. -Il primo quarto della luna saliva di -tra le macchie di Lisci. Poggio Rivelli, Ricciano, -Rocca di Forca, in lontananza, mandavano -lampi dai vetri delle finestre e a tratti -suono di campane. Qualche fuoco incominciava -a brillare qua e là. Il calore toglieva il respiro. -</p> - -<p> -— Questo — disse il duca d'Ofena con quella -sua voce rauca e dura — ci viene dagli Scioli. -Ma... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -</p> - -<p> -E fece un gran gesto di minaccia. Poi s'accostò -al Mazzagrogna. -</p> - -<p> -Egli era inquieto per Carletto Grua che non -si vedeva ancora. Passeggiò in lungo e in largo -nella stanza, con un passo pesante. Staccò da -una panoplia due lunghe pistole d'arcione e -le esaminò attentamente. Il padre seguiva ogni -atto di lui con occhi dilatati; ansava come un -giumento in agonia; di tratto in tratto scoteva -con le mani deformi il lenzuolo, per aver -refrigerio. Domandò due o tre volte al Mazzagrogna: -</p> - -<p> -— Che si vede? -</p> - -<p> -D'improvviso il Mazzagrogna esclamò: -</p> - -<p> -— Ecco Carletto che vien su correndo, con -Gennaro. -</p> - -<p> -Si udirono, in fatti, colpi furiosi alla porta -grande. Poco dopo, Carletto e il servo entrarono -nella stanza, pallidi, sbigottiti, macchiati -di sangue, coperti di polvere. -</p> - -<p> -Il duca, vedendo Carletto, gettò un grido. Lo -prese fra le braccia, si mise a tastarlo in tutto -il corpo per trovare la ferita. -</p> - -<p> -— Che t'hanno fatto? Di', che t'hanno fatto? -</p> - -<p> -Il giovine piangeva, come una donna. -</p> - -<p> -— Qui — disse fra i singhiozzi. Abbassò la -<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span> -testa e mostrò su la nuca alcune ciocche di capelli -attaccate insieme dal sangue rappreso. -</p> - -<p> -Il duca mise le dita fra i capelli delicatamente, -per iscoprir la ferita. Egli amava d'un tristo -amore Carletto Grua; ed aveva per lui le cure -d'un amante. -</p> - -<p> -— Ti fa dolore? — gli chiese. -</p> - -<p> -Il giovine singhiozzò più forte. Egli era esile -come una fanciulla; aveva un volto femineo, a -pena a pena ombrato d'una lanugine bionda; -i capelli alquanto lunghi, bellissima la bocca, e -la voce acuta come quella degli evirati. Era un -orfano, figliuolo d'un confettiere di Benevento. -Faceva da valletto al duca. -</p> - -<p> -— Ora verranno! — disse, con un tremito -per tutta la persona, volgendo gli occhi pieni -di lacrime al balcone d'onde ora di nuovo giungevano -i clamori, più alti e più terribili. -</p> - -<p> -Il servo, che aveva una ferita profonda su la -spalla destra e tutto il braccio intriso di sangue -fino al gomito, raccontava balbettando come ambedue -fossero stati rincorsi dalla folla inferocita; -quando il Mazzagrogna, ch'era rimasto sempre -a spiare, gridò: -</p> - -<p> -— Eccoli! Vengono al palazzo. Sono armati. -</p> - -<p> -Don Luigi, lasciando Carletto, corse a vedere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -La moltitudine, in fatti, irrompeva su per -l'ampia salita, urlando e scotendo nell'aria -armi ed arnesi, con una tal furia concorde che -non pareva un adunamento di singoli uomini -ma la coerente massa d'una qualche cieca materia -sospinta da una irresistibile forza. In pochi -minuti fu sotto al palazzo, si allungò intorno -come un gran serpente di molte spire, e chiuse -in un denso cerchio tutto l'edifizio. Taluni dei -ribelli portavano alti fasci di canne accesi, come -fiaccole, che gittavano sui volti una luce mobile -e rossastra, schizzavano faville e schegge -ardenti, mettevano un crepitìo sonoro. Altri, in -un gruppo compatto, sostenevano un'antenna -alla cui cima penzolava un cadavere umano. -Minacciavano la morte coi gesti e con le voci. -Tra le contumelie ripetevano un nome: -</p> - -<p> -— Cassàura! Cassàura! -</p> - -<p> -Il duca d'Ofena si morse le mani, quando riconobbe -in cima all'antenna il corpo mutilato -di Vincenzio Murro, del messo ch'egli aveva -spedito nella notte a chieder soccorso di gente -<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> -d'arme. Additò l'impiccato al Mazzagrogna, il -quale disse a bassa voce: -</p> - -<p> -— È finita! -</p> - -<p> -Ma l'udì don Filippo, e cominciò a fare un -lagno così accorante che tutti si sentirono stringere -il cuore e mancare gli spiriti. -</p> - -<p> -I servi si accalcavano su le soglie, smorti in -faccia, tenuti dalla viltà. Alcuni lacrimavano, -altri invocavano un santo, altri pensavano al -tradimento. — Se, consegnando il padrone al -popolo, avessero potuto aver salva la vita? — Cinque -o sei, meno pusillanimi, tenevano perciò -consiglio e si eccitavano a vicenda. -</p> - -<p> -— Al balcone! Al balcone! — gridava il popolo, -tempestando. — Al balcone! -</p> - -<p> -Ora il duca d'Ofena parlava sommesso col -Mazzagrogna, in disparte. -</p> - -<p> -Volgendosi a don Filippo, disse: -</p> - -<p> -— Mettetevi nella sedia, padre. Sarà meglio. -Ci fu tra i servi un leggero mormorìo. Due -si fecero innanzi per aiutare il paralitico a discendere -dal letto. Altri due accostarono la sedia -che scorreva su piccole ruote. L'operazione -fu penosa. -</p> - -<p> -Il vecchio corpulento ansava e si lamentava -forte, premendo con le braccia il collo dei servi -<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span> -che lo sostenevano. Egli era tutto grondante; -e la stanza, essendo chiuse le imposte, era omai -piena dell'insoffribile odore. Com'egli fu nella -sedia, i suoi piedi con un moto ritmico presero -a percuotere il pavimento. Il gran ventre tremolava -floscio su le ginocchia, simile a un otre -mezzo vuoto. -</p> - -<p> -Allora il duca disse al Mazzagrogna: -</p> - -<p> -— Giovanni, a te! -</p> - -<p> -E quegli, con un gesto risoluto, aprì le imposte -ed uscì sul balcone. -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Un urlo immenso l'accolse. Cinque, dieci, -venti fasci di canne ardenti vennero lì sotto a -radunarsi. Il chiarore illuminava i volti animati -dalla bramosia della strage, l'acciaro degli -schioppi, i ferri delle scuri. I portatori di fiaccole -avevano tutta la faccia cospersa di farina, -per difendersi dalle faville; e tra quel bianco i -loro occhi sanguigni brillavano singolarmente. -Il fumo nero saliva nell'aria, disperdendosi rapido. -Tutte le fiamme si allungavano da una -banda, spinte dal vento, sibilanti, come capellature -<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> -infernali. Le canne più sottili e più secche -si accendevano, si torcevano, rosseggiavano, -si spezzavano, scoppiettavano come razzi, in un -attimo. Ed era una vista allegra. -</p> - -<p> -— Mazzagrogna! Mazzagrogna! A morte il -ruffiano! A morte il guercio! — gridavano -tutti, accalcandosi per iscagliar più da vicino -l'insulto. -</p> - -<p> -Il Mazzagrogna stese una mano, come per -sedare i clamori; raccolse tutta la potenza vocale; -e incominciò col nome del re, quasi promulgasse -una legge, per incutere al popolo il -rispetto. -</p> - -<p> -— In nome di S. M. Ferdinando II, per la -grazia di Dio, re delle Due Sicilie, di Gerusalemme... -</p> - -<p> -— A morte il ladro! -</p> - -<p> -Due, tre schioppettate risonarono fra le grida; -e l'arringatore, colpito al petto e alla fronte, -vacillò, agitò in alto le mani e cadde in avanti. -Nel cadere, la testa entrò fra l'un ferro e l'altro -della ringhiera e penzolò di fuori come -una zucca. Il sangue gocciolava sul terreno sottostante. -</p> - -<p> -Il caso rallegrò il popolo. Lo schiamazzo saliva -alle stelle. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> -</p> - -<p> -Allora i portatori dell'antenna con l'impiccato -vennero sotto il balcone e accostarono -Vincenzio Murro al maggiordomo. Mentre l'antenna -oscillava nell'aria, il popolo stava intento -al congiungimento dei due morti, quasi ammutolito. -Un poeta improvviso, alludendo all'occhio -albino del Mazzagrogna e a quello -cisposo del messo, gittò a squarciagola un sospetto: -</p> - -<p> -— <i>Affàccet' a 'ssa fenêstre, ùocchie fritte,<br /> -Ca t' è mmenut' a ccandà 'lu scacazzate!</i> -</p> - -<p> -Un vasto scroscio di risa accolse lo scherno -del poeta; e le risa si propagarono di bocca in -bocca, come un tuono d'acque cadenti giù pe' -sassi d'una china. -</p> - -<p> -Un poeta rivale gridò: -</p> - -<p> -— <i>Vide che ssòrt' ha da 'vé 'ssu cecàte!<br /> -S' affranghe de chiude 'l'ùocchie quande se mòre.</i> -</p> - -<p> -Le risa si rinnovellarono. -</p> - -<p> -Un terzo gridò: -</p> - -<p> -— <i>O faccia de cecòria mmàle còtte!<br /> -Tenète lu chelòre de la mòrte!</i> -</p> - -<p> -Altri distici volarono al Mazzagrogna. Una -gioia feroce aveva invaso gli animi. La vista -e l'odore del sangue inebriavano i più vicini. -<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> -Tommaso di Beffi e Rocco Furci vennero a -contesa di destrezza nel colpire con una sassata -il cranio penzoloni dell'ucciso ancor caldo. -Ad ogni colpo il cranio si moveva e dava sangue. -La pietra di Rocco Furci alla fine colpì -nel mezzo, levando un suono secco. Gli spettatori -applaudirono. Ma erano sazii ormai del -Mazzagrogna. -</p> - -<p> -Di nuovo sorse il grido: -</p> - -<p> -— Cassàura! Cassàura! Il duca! A morte! -Fabrizio e Ferdinandino Scioli s'insinuavano -tra la folla ed istigavano i facinorosi. Una terribile -sassaiuola si levò contro le finestre del -palazzo, fitta come una grandine, mista di schioppettate. -I vetri cadevano addosso agli assalitori. -Le pietre rimbalzavano. Rimasero feriti non -pochi dei circostanti. -</p> - -<p> -Terminati i sassi, consumato il piombo, Ferdinandino -Scioli gridò: -</p> - -<p> -— A terra le porte! -</p> - -<p> -E il grido, ripetuto da tante bocche, tolse al -duca d'Ofena ogni speranza di salvezza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -Nessuno aveva osato di richiudere il balcone -dov'era caduto il Mazzagrogna. Il cadavere -giaceva in un'attitudine scomposta. Poichè i ribelli, -per essere liberi, avevan lasciata l'antenna -contro la ringhiera, anche il corpo sanguinoso -del messo, a cui qualche membro era stato reciso -con la scure, scorgevasi a traverso le cortine -gonfiate dal vento. La sera era profonda. -Le stelle riscintillavano senza fine. Qualche -stoppia bruciava in lontananza. -</p> - -<p> -Udendo i colpi contro le porte, il duca d'Ofena -volle ancora tentare una prova. Don Filippo, -istupidito dal terrore, teneva gli occhi -chiusi; non parlava più. Carletto Grua, con la -testa fasciata, si rannicchiava tutto in un angolo, -battendo i denti nella febbre e nella paura, seguendo -con i poveri occhi fuori dell'orbita ogni -passo, ogni gesto, ogni moto del suo signore. -I servi erano rifugiati quasi tutti nelle soffitte. -Pochi rimanevano nelle stanze contigue. -</p> - -<p> -Don Luigi li radunò, li rianimò; li armò di -pistole o di fucile; quindi a ciascuno assegnò -un posto dietro il davanzale d'una finestra o -<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> -tra le persiane d'un balcone. Ciascuno doveva -tirare su la folla, con la maggior possibile celerità -di colpi, in silenzio, senza esporsi. -</p> - -<p> -— Avanti! -</p> - -<p> -Il fuoco incominciò. Don Luigi sperava nel -pànico. Egli stesso caricava e scaricava le sue -lunghe pistole con un meraviglioso vigore, -senza stancarsi. Come la moltitudine era densa, -nessun colpo falliva. Le grida, che si levavano -ad ogni scarica, eccitavano i servi e n'aumentavano -l'ardore. Già lo scompiglio invadeva gli -ammutinati. Molti fuggivano, lasciando a terra -i feriti. -</p> - -<p> -Allora dal servidorame partì un urlo di vittoria: -</p> - -<p> -— Viva il duca d'Ofena! -</p> - -<p> -Quelli uomini vili ora s'imbaldanzivano, vedendo -le spalle del nemico. Non rimanevano -più nascosti, nè più tiravano alla cieca, ma si -erano alzati in piedi, fieramente, e cercavano -di colpire nel segno. Ed ogni volta che vedevan -cadere uno, gittavano l'urlo: -</p> - -<p> -— Viva il duca! -</p> - -<p> -In poco, il palazzo fu libero d'assedio. D'intorno -i feriti si lamentavano. I residui delle -canne, che ancora ardevano al suolo, gittavan -<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> -su' corpi bagliori incerti, suscitavan riflessi da -qualche pozza di sangue, o stridevano spegnendosi. -Il vento era cresciuto; ed investiva gli -elci con alto stormire. I latrati dei cani si rispondevano -per tutta la valle. -</p> - -<p> -Inebriati dalla vittoria, grondanti per la fatica, -i servi discesero a rifocillarsi. Tutti erano incolumi. -Bevevano senza misura, e facevano gazzarra. -Alcuni proclamavano i nomi di quelli che -essi avevan colpito, e ne descrivevano il modo -della caduta, buffonescamente. I bracchieri desumevano -le similitudini dalla selvaggina. Un -cuciniere si vantò d'aver ucciso il terribile -Rocco Furci. Alimentate dal vino, le millanterie -si moltiplicavano. -</p> - -<h3>VI.</h3> - -<p> -Ora, mentre il duca d'Ofena, sicuro d'aver -per quella notte almeno scongiurato ogni pericolo, -era solo intento a custodire il piagnucolante -Carletto, improvvisi bagliori si ripercossero -in uno specchio e nuovi clamori si levarono -tra il fischiar del libeccio, sotto il palazzo. -Al tempo medesimo apparvero quattro o cinque -<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span> -servi, che il fumo aveva quasi soffocati mentre -dormivano ubriachi nelle stanze basse. Essi -non avevano ancora riacquistati gli spiriti; barcollavano -senza poter parlare poichè si sentivan -la lingua torpida. Altri sopraggiunsero. -</p> - -<p> -— Il fuoco! Il fuoco! -</p> - -<p> -Tremavano gli uni addossati agli altri, come -una greggia. La viltà nativa li occupava novamente. -Avevano tutti i sensi ottusi, come in -un sogno. Non sapevano quel che dovevano -fare. Nè ancora la perfetta consapevolezza del -pericolo li stimolava a cercare uno scampo. -</p> - -<p> -Sorpreso, il duca dapprima restò perplesso. -Ma Carletto Grua, vedendo entrare il fumo e -udendo quel singolare ruggito che fanno le -fiamme nel nutrirsi, si mise a strillare così acutamente -e a far gesti così forsennati che Don -Filippo si destò dal grave sopore in cui era -caduto e vide la morte. -</p> - -<p> -La morte era inevitabile. Il fuoco, sotto il costante -soffio del vento, propagavasi con una -stupenda celerità per tutta la vecchia ossatura -dell'edifizio, divorando ogni cosa, suscitando da -ogni cosa vampe mobili, fluide, canore. Le -vampe correvano lievi su le pareti, lambivano -le tappezzerie, esitavano un istante a fior del -<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span> -tessuto, si colorivano di tinte mutevoli e vaghe, -penetravano nella trama con mille lingue sottilissime -e vibranti, parevano infondere per un -attimo nelle figure murali uno spirito, accendere -per un attimo su la bocca delle ninfe e -delle iddie un riso non mai veduto, muovere -per un attimo le loro attitudini e i loro gesti -immobili. Passavan oltre, in fuga sempre più -luminosa; si avvolgevano alle suppellettili di -legno, conservando fino all'ultimo la loro forma, -così da farle apparire tutte materiate di piropi -che d'un tratto si disgregavano e s'incenerivano -come per incanti. Le voci delle vampe -erano innumerevoli; formavano un vasto coro, -una profonda armonia, come d'una selva dai -milioni di foglie, come d'un organo dai milioni di -canne. Già appariva ad intervalli, nelle aperture -fragorose, il cielo puro con le sue corone di -stelle. Omai tutto il palazzo era in potere del -fuoco. -</p> - -<p> -— Salvami! Salvami! — gridò il vecchio, tentando -invano di sorgere, sentendo già sotto di -sè sprofondare il pavimento, sentendosi accecare -dall'implacabile rossore. — Salvami! -</p> - -<p> -Con uno sforzo supremo giunse a levarsi. E -si mise a correre, col tronco inclinato innanzi, -<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span> -saltellando a piccoli passi incalzanti, come spinto -da un irresistibile impulso progressivo, agitando -le mani informi, finchè cadde fulminato, già -preda del fuoco, sgonfiandosi e rappigliandosi -come una vescica. -</p> - -<p> -Ora di tratto in tratto le grida del popolo -aumentavano, e salivan più alto dell'incendio. -I servi, pazzi di terrore e di dolore, mezzo -riarsi, si precipitavano dalle finestre e venivano -a cadere morti sul suolo; o mal vivi, ed eran -finiti. Ad ogni caduta rispondeva un maggior -clamore. -</p> - -<p> -— Il duca! Il duca! — gridavano i barbari, -malcontenti, perchè volevano veder precipitare -il tirannello col suo bagascione. -</p> - -<p> -— Eccolo! Eccolo! È lui! -</p> - -<p> -— Giù! Giù! Ti vogliamo! -</p> - -<p> -— Muori, cane! Muori! Muori! Muori! -</p> - -<p> -Su la porta grande, proprio in cospetto del -popolo, apparve Don Luigi con le vesti in fiamme -portando su le spalle il corpo inerte di Carletto -Grua. Egli aveva tutto il volto bruciato, irriconoscibile; -non aveva quasi più capelli, nè barba. -Ma camminava a traverso l'incendio, impavido, -non anche morto, poichè valeva a sostener gli -spiriti quello stesso atroce dolore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> -</p> - -<p> -Da prima il popolo ammutolì. Poi di nuovo -proruppe in urli e in gesti, aspettando con ferocia -che la gran vittima venisse a spirargli -dinanzi. -</p> - -<p> -— Qui, qui, cane! Ti vogliamo veder morire! -</p> - -<p> -Don Luigi udì, a traverso le fiamme, l'ultime -ingiurie. Raccolse tutta l'anima in un atto di -scherno indescrivibile. Quindi voltò le spalle; e -disparve per sempre dove più ruggiva il fuoco. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span></p> - -<h2 id="traghettatore">IL TRAGHETTATORE.</h2> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Donna Laura Albònico stava nel giardino, sotto -la pergola, prendendo il fresco all'ora meridiana. -</p> - -<p> -La villa taceva, tutta bianca, con le persiane -chiuse tra le piante degli agrumi. Il sole raggiava -un calore e un fulgore immensi. Era la -metà di giugno; e i profumi degli aranci e dei -limoni fioriti si mescolavano all'odor delle rose, -nell'aria tranquilla. Le rose crescevano da per -tutto, nel giardino, con una forza indomabile. -Le masse magnifiche si movevano, lungo i viali, -ad ogni soffio di vento, coprendo il terreno con -l'abbondanza della loro neve odorante. In certi -momenti l'aria, pregna dell'aroma, aveva un -sapore dolce e possente come quello di un vino -prelibato. Le fontane, invisibili tra la verzura, -mormoravano. A tratti, la cima mobile scintillante -<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span> -degli zampilli appariva fuor del fogliame, -scompariva, riappariva, con vari giochi; e alcuni -zampilli bassi producevano nei fiori e nelle erbe -un fruscìo e uno scompiglio singolari, sembrando -bestie vive che vi corressero a traverso -o vi pascolassero o vi scavassero tane. Gli uccelli, -invisibili, cantavano. -</p> - -<p> -Donna Laura, seduta sotto la pergola, meditava. -</p> - -<p> -Ella era una donna già vecchia. Aveva il profilo -fine e signorile; il naso lungo, lievemente -aquilino, la fronte un po' troppo ampia, la bocca -perfetta, ancora fresca, piena di benignità. I capelli -canuti le si piegavano su le tempie e le -facevano intorno al capo una specie di corona. -Doveva essere stata molto bella, nella gioventù, -ed amabile. -</p> - -<p> -Era venuta da due soli giorni in quella casa -solitaria, col marito e con pochi servi. Aveva -rinunziato alla villa magnatizia che sorgeva sopra -un colle del Piemonte, abituale soggiorno estivo; -aveva rinunziato al mare, per quella campagna -deserta e quasi arida. -</p> - -<p> -— Ti prego, andiamo a Penti, — aveva detto -al marito. -</p> - -<p> -Il barone settuagenario era rimasto da prima -<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span> -un po' stupefatto, a quello strano desiderio della -moglie. -</p> - -<p> -— Perchè a Penti? Che s'andava a fare a -Penti? -</p> - -<p> -— Ti prego, andiamo. Per mutare — aveva -insistito Donna Laura. -</p> - -<p> -Il barone, come sempre, s'era lasciato persuadere. -</p> - -<p> -— Andiamo. -</p> - -<p> -Ora, Donna Laura custodiva un segreto. -</p> - -<p> -Nella giovinezza, la sua vita era stata attraversata -dalla passione. A diciotto anni aveva -sposato il barone Albònico, per ragioni di convenienza -familiare. Il barone militava sotto il -primo Napoleone, con molta prodezza; egli stava -quasi sempre assente dalla sua casa, poichè seguiva -ovunque il volo delle aquile imperiali. In -una di quelle lunghe assenze, il marchese di -Fontanella, un giovine signore che aveva moglie -e figliuoli, fu preso d'amore per Donna Laura; -e, come egli era bellissimo ed ardente, vinse -alfine ogni resistenza dell'amata. -</p> - -<p> -Allora pei due amanti una stagione passò -nella felicità più dolce. Essi vivevano nell'oblio -di tutte le cose. -</p> - -<p> -Ma un giorno Donna Laura s'accorse d'essere -<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span> -incinta; pianse, si disperò, rimase in una -terribile angoscia, non sapendo che risolvere, -come salvarsi. Per consiglio del suo amico, -partì alla volta della Francia; si nascose in un -piccolo paese della Provenza, in una di quelle -terre solatíe piene di verzieri, dove le donne -parlano l'idioma dei trovatori. -</p> - -<p> -Abitava una casa di campagna, circondata da -un grande orto. Gli alberi fiorivano: era la primavera. -Fra i terrori e le nere malinconie, ella -aveva intervalli d'una infinita dolcezza. Passava -lunghe ore seduta all'ombra, in una specie d'inconsapevolezza, -mentre il sentimento vago della -maternità le dava a tratti a tratti un brivido profondo. -I fiori in torno a lei emanavano un profumo -acuto: leggiere nausee le salivano alla gola -e le propagavano per tutte le membra una lassitudine -immensa. Che giorni indimenticabili! -</p> - -<p> -E, quando il momento solenne si avvicinava, -giunse, desiderato, il suo amico. La povera donna -soffriva. Egli le stava accanto, pallido in viso, -parlando poco, baciandole spesso le mani. Ella -partorì di notte. Gridava, fra gli spasimi; si afferrava -convulsamente alla lettiera; credeva di -morire. I primi vagiti dell'infante le scossero -l'anima dalle radici. Ella, supina, con la testa -<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span> -un po' arrovesciata oltre i guanciali, bianca -bianca, senza più voce, senza più forza per tenere -aperte le palpebre, agitava dinanzi a sè le -mani esangui, debolmente, in certi piccoli movimenti -vaghi, come fanno talvolta i moribondi -verso la luce. -</p> - -<p> -Il giorno dopo, tutto il giorno, ella tenne seco, -nel medesimo letto, sotto la medesima coperta, -il bambino. Era un essere fragile, molle, un po' -rossiccio, che vibrava d'una palpitazione incessante, -di una vita palese, e in cui le forme umane -non avevano certezza. Gli occhi stavano ancora -chiusi, un po' gonfi; e dalla bocca usciva un lamento -fioco, quasi un miagolío indistinto. -</p> - -<p> -La madre, rapita, non si saziava di riguardare, -di toccare, di sentirsi su la guancia l'alito filiale. -Dalla finestra entrava una luce bionda e si vedevano -le terre provenzane tutte coperte di mèssi. -Il giorno aveva una specie di santità. I canti dal -fromento si avvicendavano, nell'aria quieta. -</p> - -<p> -Dopo, il bambino le fu tolto, fu nascosto, fu -portato chi sa dove. Ella non lo rivide più. Ella -tornò alla sua casa; e visse col marito la vita -di tutte le donne, senza che nessun altro avvenimento -sopraggiungesse a turbarla. Non ebbe -altri figliuoli. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span> -</p> - -<p> -Ma il ricordo, ma l'adorazione ideale di quella -creatura ch'ella non vedeva più, ch'ella non sapeva -più dove fosse, le occuparono l'anima per -sempre. Ella non aveva se non quel pensiero; -rammentava tutte le minime particolarità di quei -giorni; rivedeva chiaramente il paese, la forma -di certi alberi che stavano dinanzi alla casa, la -linea d'una collina che chiudeva l'orizzonte, il -colore e i disegni del tessuto che copriva il -letto, una macchia nella vòlta della stanza, un -piccolo piatto figurato su cui le portavano il -bicchiere, tutto, tutto, chiaramente, minutamente. -Ad ogni momento il fantasma di quelle cose -lontane le sorgeva nella memoria, così, senza -ordine, senza legame, come nei sogni. A volte -ella ne rimaneva quasi stupita. Le tornavano -dinanzi, precisi e viventi, i volti di certe persone -vedute laggiù, i loro moti, un loro gesto -insignificante, una loro attitudine, un loro sguardo. -Le pareva di avere negli orecchi il vagito della -creatura, di toccare le mani esilissime, rosee, -molli, quelle manine che forse erano la sola parte -già tutta formata perfettamente, simile alla miniatura -d'una mano d'uomo, con le vene quasi -impercettibili, con le falangi segnate di pieghe -sottili, con le unghie trasparenti, tenere, appena -<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span> -appena suffuse di viola. Oh, quelle mani! Con -che strano brivido la madre pensava alla loro -carezza inconsapevole! Come ne sentiva l'odore, -l'odore singolare che ricorda quello dei colombi -nella prima piuma! -</p> - -<p> -Così Donna Laura, chiusa in questa specie di -mondo interiore che ogni giorno più assumeva -le apparenze della vita, passò gli anni, molti anni, -sino alla vecchiezza. Tante volte aveva chiesto all'antico -amante notizie del figliuolo. Ella avrebbe -voluto rivederlo, sapere il suo stato. -</p> - -<p> -— Ditemi dov'è, almeno. Vi prego. -</p> - -<p> -Il marchese, temendo un'imprudenza, si rifiutava. -«Ella non doveva vederlo. Ella non avrebbe -saputo contenersi. Il figlio avrebbe indovinato -tutto; si sarebbe valso del segreto per -i suoi fini; avrebbe forse rivelato ogni cosa... -No, no, ella non doveva vederlo.» -</p> - -<p> -Donna Laura, dinanzi a queste argomentazioni -d'uomo pratico, rimaneva smarrita. Ella non sapeva -imaginarsi che la sua creatura fosse cresciuta, -fosse già adulta, fosse già presso al limitare -della vecchiaia. Oramai erano passati circa -quarant'anni dal giorno della nascita; eppure ella -nel suo pensiero non vedeva se non un bambino, -roseo, con gli occhi ancora chiusi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> -</p> - -<p> -Ma il marchese di Fontanella venne a morire. -</p> - -<p> -Quando Donna Laura seppe la malattia del -vecchio, fu presa da un'angoscia così penosa che -una sera, non potendo più resistere allo spasimo, -uscì sola, si diresse verso la casa dell'infermo, -perchè un pensiero tenace la sospingeva, il pensiero -del figlio. Prima che il vecchio morisse, -ella voleva conoscere il segreto. -</p> - -<p> -Camminò lungo i muri, tutta raccolta, come -per non farsi vedere. Le strade erano piene di -gente; l'ultimo chiarore del tramonto faceva rosee -le case; tra una casa e l'altra un giardino appariva -tutto violaceo di lilla in fiore. Voli di rondini, -rapidi e circolari, s'intrecciavano nel cielo -luminoso. Frotte di bambini passavano a corsa, -con grida e con richiami. Talvolta passava una -femmina incinta, a braccio del marito; e l'ombra -della sua gonfiezza si disegnava sul muro. -Donna Laura pareva incalzata da tutta quella -gioconda vitalità delle cose e delle persone. Ella -affrettava il passo, fuggiva. Gli splendori varii delle -vetrine, delle botteghe aperte, dei caffè le davano -agli occhi un senso acuto di dolore. A poco -a poco una specie di stordimento le occupava -la testa; una specie di sbigottimento le prendeva -lo spirito. — Che faceva? Dove andava? — In -<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> -quel disordine della coscienza, le pareva quasi -di commettere una colpa; le pareva che tutti la -guardassero, la indagassero, indovinassero il suo -pensiero. -</p> - -<p> -Ora la città s'invermigliava agli ultimi rossori -del sole. Qua e là, dentro le cantine, i cori del -vino si levavano. -</p> - -<p> -Come Donna Laura giunse alla porta, non ebbe -forza di entrare. Passò oltre, fece venti passi; -poi ritornò in dietro, ripassò. Finalmente varcò -la soglia, salì le scale; si fermò, sfinita, nell'anticamera. -</p> - -<p> -Nella casa c'era quell'animazione silenziosa di -cui i familiari circondano il letto dell'infermo. -I domestici camminavano in punta di piedi, portando -qualche cosa fra le mani. Avvenivano dialoghi -a bassa voce, nel corridoio. Un signore -calvo, tutto vestito di nero, attraversò la sala, -s'inchinò a Donna Laura, ed uscì. -</p> - -<p> -Donna Laura chiese a un domestico, con la -voce omai ferma: -</p> - -<p> -— La marchesa? -</p> - -<p> -Il domestico indicò rispettosamente col gesto -un'altra stanza a Donna Laura. Quindi corse ad -annunziare la visita. -</p> - -<p> -La marchesa apparve. Era una signora piuttosto -<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span> -pingue, con i capelli grigi. Aveva gli occhi -pieni di lacrime. Aperse le braccia all'amica, -senza parlare, soffocata da un singulto. -</p> - -<p> -Dopo un poco, Donna Laura chiese, non alzando -gli occhi: -</p> - -<p> -— Si può vedere? -</p> - -<p> -Profferite le parole, strinse le mascelle per reprimere -un tremito violento. -</p> - -<p> -La marchesa disse: -</p> - -<p> -— Vieni. -</p> - -<p> -Le due donne entrarono nella stanza dell'infermo. -La luce ivi era mite; l'odore di un farmaco, -empiva l'aria; gli oggetti segnavano -grandi e strane ombre. Il marchese di Fontanella, -disteso nel letto, pallido, pieno di rughe, sorrise -a Donna Laura, vedendola. Disse lentamente: -</p> - -<p> -— Grazie, baronessa. -</p> - -<p> -E le tese la mano ch'era umidiccia e tiepida. -</p> - -<p> -Egli pareva aver ripreso gli spiriti d'un tratto, -per uno sforzo di volontà. Parlò di varie cose, curando -le parole, come quando stava sano. -</p> - -<p> -Ma Donna Laura, all'ombra, lo fissava con -uno sguardo così ardente di supplicazione che -egli, indovinando, si volse alla moglie. -</p> - -<p> -— Giovanna, ti prego, preparami tu la pozione, -come stamattina. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> -</p> - -<p> -La marchesa chiese licenza, ed uscì senza -sospetto. Nel silenzio della casa si udirono i passi -di lei allontanarsi su i tappeti. -</p> - -<p> -Allora Donna Laura, con un moto indescrivibile, -si chinò sul vecchio, gli prese le mani, -gli strappò le parole con gli occhi. -</p> - -<p> -— A Penti... Luca Marino... ha moglie, figli... -una casa... Non lo vedere! Non lo vedere! — balbettò -il vecchio, a fatica, preso da un terrore -subitaneo che gli dilatava le pupille. — A Penti... -Luca Marino... Non ti svelare mai! -</p> - -<p> -Già la marchesa veniva, con il medicamento. -</p> - -<p> -Donna Laura sedette; si contenne. L'infermo -bevve; e i sorsi scendevano nella gola con un gorgoglio, -a uno a uno, distinti, regolari. -</p> - -<p> -Poi successe un silenzio. E l'infermo parve -preso da sopore: tutta la faccia gli si fece più -cava; ombre più profonde, quasi nere, gli occuparono -le occhiaie, le guance, le narici, la -gola. -</p> - -<p> -Donna Laura si accommiatò dall'amica; se ne -andò, trattenendo il respiro, pianamente. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Tutte queste vicende ripensava la vecchia signora, -sotto la pergola, nel giardino tranquillo. -Che cosa ora dunque la tratteneva dal rivedere -il figlio? Ella avrebbe avuto la forza di reprimersi; -ella non si sarebbe svelata, no. Le bastava -di rivederlo, il figlio suo, quello ch'ella aveva -tenuto su le braccia un giorno solo, tanti anni -a dietro, tanti, tanti anni! Era cresciuto? Era -grande? Era bello? Com'era? -</p> - -<p> -E mentre così interrogava sè stessa, nel fondo -del suo spirito ella non giungeva a raffigurarsi -l'uomo. Sempre in lei l'imagine dell'infante persisteva, -si sovrapponeva ad ogni altra imagine, -vinceva con la nitida chiarezza delle sue forme -ogni altra forma fantastica che tentasse di sorgere. -Ella non preparava l'animo, si abbandonava -debolmente al sentimento indeterminato. Il -senso della realtà in quel momento le mancava. -</p> - -<p> -— Io lo vedrò! Io lo vedrò! — ripeteva in sè -stessa, inebriandosi. -</p> - -<p> -Le cose in torno tacevano. Il vento faceva incurvare -i roseti che, passato il soffio, seguitavano -<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> -a muoversi pesantemente. Gli zampilli scintillavano -e guizzavano, tra il verde, come stocchi. -</p> - -<p> -Donna Laura stette un poco in ascolto. Dal silenzio, -nell'ora pànica, sorgeva qualcosa di grande -e di inesorabile, che le infuse nell'animo uno -sgomento misterioso. Ella esitò. Poi si mise pel -viale, da prima con passi rapidi; giunse al cancello -tutto abbracciato dalle piante e dai fiori; -sostò, per guardarsi in dietro: aprì. Dinanzi a lei -la campagna si stendeva deserta sotto il meriggio. -Le case di Penti in lontananza biancheggiavano -su l'azzurro del cielo, con un campanile, -con una cupola, con due o tre pini. Il fiume si -svolgeva nella pianura, tortuoso e lucentissimo, -toccando le case. -</p> - -<p> -Donna Laura pensò: — Egli è là. — E tutte -le sue fibre di madre vibrarono. Animata, riprese -a camminare, guardando dinanzi a sè con -gli occhi che il sole fastidiva, non curando il calore. -A un certo punto della strada cominciarono -gli alberi, magri pioppetti tutti canori di cicale. -Due femmine scalze, ciascuna con un cesto sul -capo, venivano incontro. -</p> - -<p> -— Sapete la casa di Luca Marino? — chiese la -signora, presa da una voglia irresistibile di pronunziare -quel nome a voce alta, liberamente. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span> -</p> - -<p> -Le femmine la guardarono, stupefatte, soffermandosi. -</p> - -<p> -Una rispose con semplicità: -</p> - -<p> -— Noi non siamo di Penti. -</p> - -<p> -Donna Laura, malcontenta seguitò la via, provando -già un poco di stanchezza nelle povere -membra senili. Gli occhi, offesi dalla luce intensa, -le facevano vedere alcune mobili macchie rosse -nell'aria. Un leggero principio di vertigine le -turbava il cervello. -</p> - -<p> -Penti si avvicinava sempre più. I primi tuguri -apparvero tra molte piante di girasoli. Una femmina, -mostruosa per l'adipe, stava seduta sopra -una soglia; ed aveva su quel gran corpo una -testa infantile, gli occhi dolci, i denti schietti, il -sorriso placidissimo. -</p> - -<p> -— O signora, dove andate? — chiese la femmina, -con un accento ingenuo di curiosità. -</p> - -<p> -Donna Laura si accostò. Aveva il volto tutto -infiammato e la respirazione corta. Le forze -erano per mancarle. -</p> - -<p> -— Mio Dio! Oh mio Dio! — gemeva ella, reggendosi -le tempie con le palme. — Oh mio Dio! -</p> - -<p> -— Signora, riposatevi — diceva la femmina -ospitale, invitandola ad entrare. -</p> - -<p> -La casa era bassa ed oscura; ed aveva quell'odor -<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span> -particolare che hanno tutti i luoghi dove -molta gente agglomerata vive. Tre o quattro -bambini nudi, anch'essi col ventre così gonfio -che parevano idropici, si trascinavano sul suolo, -borbottando, brancicando, portando alla bocca -per istinto qualunque cosa capitasse loro sotto -le mani. -</p> - -<p> -Mentre Donna Laura seduta riprendeva le -forze, la femmina parlava oziosamente, tenendo -fra le braccia un quinto bambino, tutto coperto -di croste nerastre tra mezzo a cui si aprivano -due grandi occhi, puri ed azzurri, come due fiori -miracolosi. -</p> - -<p> -Donna Laura domandò: -</p> - -<p> -— Qual'è la casa di Luca Marino? -</p> - -<p> -L'ospite col gesto indicò una casa rossiccia, -</p> - -<p> -all'estremità del paese, in vicinanza del fiume, -circondata quasi da un colonnato di alti pioppi. -</p> - -<p> -— È quella, perchè? -</p> - -<p> -La vecchia signora si sporse per guardare. -</p> - -<p> -Gli occhi le dolevano, feriti dalla luce solare, -e le palpebre le battevano forte. Ma ella stette -qualche minuto in quell'attitudine, respirando con -fatica, senza rispondere, quasi soffocata da una -sollevazione di sentimento materno. — Quella -dunque era la casa del suo figliuolo? — Subitamente, -<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> -le apparvero l'interno della stanza lontana, -il paese di Provenza, le persone, le cose, come -nel bagliore di un lampo, ma evidenti, nettissimi. -Ella si lasciò ricadere su la sedia, e rimase -muta, confusa, in una specie di ottusità -fisica proveniente forse dall'azione del sole. Negli -orecchi aveva un ronzío continuo. -</p> - -<p> -Disse l'ospite: -</p> - -<p> -— Volete passare il fiume? -</p> - -<p> -Donna Laura fece un cenno fievole, incantata -da un turbinío di circoli rossi che le si producevano -nella retina. -</p> - -<p> -— Luca Marino porta uomini e bestie da una -riva all'altra. Ha una barca e una chiatta — seguitò -l'ospite. — Se no, bisogna andare fino a -Prezzi a cercare il guado. È trent'anni che fa -il mestiere! È sicurissimo, signora. -</p> - -<p> -Donna Laura ora ascoltava, facendo uno sforzo -per raccogliere i suoi spiriti che si disperdevano. -Ma pure, dinanzi a quelle novelle del figliuolo, -restava smarrita; quasi non comprendeva. -</p> - -<p> -— Luca non è del paese — riprese la femmina -grassa, trascinata dalla nativa loquacità. — L'hanno -allevato i Marino che non avevano figliuoli. -E un signore, non di qui, gli ha dotata -<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span> -la moglie. Ora vive bene; lavora; ma ha il vizio -del vino. -</p> - -<p> -La femmina diceva queste cose ed altre, con -semplicità grande, senza malizia per l'origine -sconosciuta di Luca. -</p> - -<p> -— Addio, addio — fece Donna Laura, levandosi, -presa da un vigore fittizio. — Grazie, buona -donna. -</p> - -<p> -Porse a uno dei bimbi una moneta; ed uscì -alla luce. -</p> - -<p> -— Per quella viottola! — le gridò dietro, indicando, -l'ospite. -</p> - -<p> -Donna Laura seguì la viottola. Un gran silenzio -regnava intorno, e nel silenzio le cicale -cantavano a distesa. Alcuni gruppi d'olivi contorti -e nodosi sorgevano dal terreno disseccato. -Il fiume, a sinistra, brillava. -</p> - -<p> -— Ooh, La Martinaaa! — chiamò una voce, in -lontananza, dalla parte del fiume. -</p> - -<p> -Quella voce umana d'improvviso fece tremare -le vene della vecchia. Ella guardò. Sul fiume -navigava una barca, a pena visibile tra il vapor -luminoso; e un'altra barca, ma a vela, biancheggiava -a maggior distanza. Nella prima barca -si scorgevano forme d'animali: erano forse cavalli. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span> -</p> - -<p> -— Ooh, La Martinaaa! — richiamò la voce. -</p> - -<p> -Le due barche si avvicinavano l'una all'altra. -Quello era il punto delle secche, dove i barcaiuoli -pericolavano quando il carico pesava. -</p> - -<p> -Donna Laura, ferma sotto un olivo, appoggiata -al tronco, seguiva con lo sguardo la vicenda. -Il cuore le palpitava con tanta violenza -che le pareva i battiti empissero tutta la campagna -circostante. Il fruscío dei rami, il canto -delle cicale, il lampeggío delle acque, tutte le -apparenze la turbavano, le si confondevano -nello spirito col disordine della demenza. L'accumulamento -lento del sangue nel cervello, per -l'azione del sole, le dava ora una visione leggermente -rossa, un principio di vertigine. -</p> - -<p> -Le due barche, giunte a un gomito del fiume, -non si videro più. -</p> - -<p> -Allora Donna Laura riprese a camminare, un -po' barcollante, come un'ebra. Le apparve un -gruppo di case riunite intorno a una specie di -corte. Sei o sette mendicanti meriggiavano ammucchiati -in un angolo: le loro carni rossastre, -maculate dalle malattie della cute, uscivano -di tra i cenci; nei loro volti deformi il sonno -aveva una pesantezza bestiale. Qualcuno dormiva -bocconi, con la faccia nascosta tra le -<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span> -braccia piegate a cerchio. Qualche altro dormiva -supino, con le braccia aperte, nell'attitudine del -Cristo crocifisso. Un nuvolo di mosche turbinava -e ronzava su quelle povere carcasse umane, -denso e laborioso, come sopra un cumulo di fimo. -Dalle porte socchiuse veniva un rumore di telai. -</p> - -<p> -Donna Laura attraversò la piazzetta. Il suono -de' suoi passi su le pietre fece risvegliare un -mendicante che si levò su i gomiti e, tenendo -gli occhi ancora chiusi, balbettò macchinalmente: -</p> - -<p> -— La carità, per l'amore di Dio! -</p> - -<p> -A quella voce tutti i mendicanti si risvegliarono, -e tutti sorsero. -</p> - -<p> -— La carità, per l'amore di Dio! -</p> - -<p> -— La carità, per l'amore di Dio! -</p> - -<p> -La torma cenciosa si mise a seguitare la passante, -chiedendo l'elemosina, tendendo le mani. -Uno era storpio e camminava a piccoli salti, -come una scimmia ferita. Un altro si trascinava -sul sedere puntellandosi con ambo le braccia, -come fanno con le zampe le locuste, poichè -aveva tutta la parte inferiore del corpo morta. -Un altro aveva un gran gozzo paonazzo e rugoso -che ad ogni passo ondeggiava come una giogaia. -Un altro aveva un braccio ritorto come -una grossa radice. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span> -</p> - -<p> -— La carità, per l'amore di Dio! -</p> - -<p> -Le loro voci erano varie, alcune cavernose -e roche, altre acute e feminine come -quelle degli evirati. Ripetevano sempre le stesse -parole, con lo stesso accento, in un modo accorante. -</p> - -<p> -— La carità, per l'amore di Dio! -</p> - -<p> -Donna Laura, così inseguita da quella gente -mostruosa, provava una voglia istintiva di fuggire, -di salvarsi. Uno sbigottimento cieco la teneva. -Avrebbe forse gridato, se avesse avuta -la voce nella gola. I mendicanti le instavano da -presso, le toccavano le braccia, con le mani tese. -Volevano l'elemosina, tutti. -</p> - -<p> -La vecchia signora si cercò nella veste, prese -alcune monete, le lasciò cadere dietro di sè. Gli -affamati si fermarono, si gittarono avidamente -su le monete, lottando, stramazzando sul terreno, -dando calci, calpestandosi. Bestemmiavano. -</p> - -<p> -Tre rimasero con le mani vuote; e ripresero -a seguitare la vecchia incattiviti. -</p> - -<p> -— Noi non l'abbiamo avuta! Noi non l'abbiamo -avuta! -</p> - -<p> -Donna Laura, disperata per quella persecuzione, -diede altre monete, senza volgersi. La -lotta fu tra lo storpio e il gozzuto. Ambedue -<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span> -presero. Ma un povero epilettico idiota, che -tutti opprimevano e dileggiavano, non ebbe nulla; -e si mise a piagnucolare, leccandosi le lacrime -e il moccio che gli colava dal naso, con un verso -ridicolo: -</p> - -<p> -— Ahu, ahu, ahuuu! -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Donna Laura infine era giunta alla casa dei -pioppi. -</p> - -<p> -Ella si sentiva sfinita: le si offuscava la vista, -le tempie le battevano forte, la lingua le ardeva; -le gambe sotto le si piegavano. Dinanzi a lei, -un cancello stava aperto. Ella entrò. -</p> - -<p> -L'aia circolare era limitata da pioppi altissimi. -Due degli alberi sostenevano un cumulo di paglia -di fromento, tra mezzo a cui uscivano i rami -fronzuti. Poichè in giro l'erba cresceva, due -vacche falbe vi pascolavano pacificamente battendosi -con la coda i fianchi nutriti; e tra le -gambe a loro penzolavano le mammelle gonfie -di latte, colorite come frutti succulenti. Molti -arnesi di agricoltura stavano sparsi pel suolo. -Le cicale, in su gli alberi, cantavano. Nel mezzo, -<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span> -tre o quattro cuccioli ruzzavano abbaiando verso -le vacche o inseguendo le galline. -</p> - -<p> -— O signora, che cerchi? — chiese un vecchio, -uscendo dalla casa. — Vuoi <i>passare</i>? -</p> - -<p> -Il vecchio, calvo, con la barba rasa, teneva -tutto il corpo in avanti su le gambe inarcate. Le -sue membra erano deformate dalle rudi fatiche, -dall'opera dell'arare che fa sorgere la spalla sinistra -e torcere il busto, dall'opera del falciare -che fa tenere le ginocchia discoste, dall'opera -del potare che curva in due la persona, da tutte le -opere lente e pazienti della coltivazione. Egli, dicendo -l'ultima parola, accennava al fiume. -</p> - -<p> -— Sì, sì — rispose Donna Laura non sapendo -che dire, non sapendo che fare, smarrita. -</p> - -<p> -— Allora vieni. Ecco Luca che torna — soggiunse -il vecchio, volgendosi al fiume dove navigava -a forza di pertiche una chiatta carica di -pecore. -</p> - -<p> -Egli condusse la passeggiera, a traverso un -orto irrigato, fin sotto a una pergola dove altri -passeggieri attendevano. Camminando innanzi, -egli lodava le verzure e faceva pronostici, per -consuetudine di agricoltore invecchiato tra le -cose della terra. -</p> - -<p> -Volgendosi a un tratto, poichè la signora restava -<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span> -muta come se non udisse, vide che ella -aveva i cigli pieni di lacrime. -</p> - -<p> -— Perchè piangi, signora? — le chiese con la -stessa tranquillità con cui parlava delle verzure. — Ti -senti male? -</p> - -<p> -— No, no... niente... — mormorò Donna Laura -che si sentiva morire. -</p> - -<p> -Il vecchio non disse altro. Egli era così indurato -alla vita, che i dolori altrui non lo commovevano. -Egli vedeva, tutti i giorni, tanta gente -diversa <i>passare</i>! -</p> - -<p> -— Siedi — fece, come giunse alla pergola. -</p> - -<p> -Là tre uomini della campagna attendevano, -uomini giovani, carichi di fardelli. Tutt'e tre -fumavano in grosse pipe, mettendo nel fumare -una attenzione profonda, come per gustarne intera -la voluttà, secondo il costume della gente -campestre nei rari diletti. Ad intervalli, dicevano -quelle lunghe cose insignificanti che l'agricoltore -ripete senza fine e che appagano lo spirito di -lui tardo ed angusto. -</p> - -<p> -Guardarono un poco, stupefatti, Donna Laura. -Poi ripresero la loro impassibilità. -</p> - -<p> -Uno di loro avvertì, tranquillamente: -</p> - -<p> -— Ecco la chiatta. -</p> - -<p> -Un altro aggiunse: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span> -</p> - -<p> -— Porta le pecore di Bidena. -</p> - -<p> -Il terzo: -</p> - -<p> -— Saranno quindici. -</p> - -<p> -E si levarono, insieme, intascando le pipe. -</p> - -<p> -Donna Laura era caduta in una specie di stupidimento -inerte. Le lacrime le si erano fermate -su i cigli. Ella avea perduto il senso della realità. -Dov'era? Che faceva? -</p> - -<p> -La chiatta urtò leggermente contro la riva. -Le pecore, strette le une contro le altre, belavano -intimidite dall'acqua. Il pastore, il traghettatore -ed il figlio le aiutavano a discendere a -terra. Le pecore, appena discese, facevano -una piccola corsa; poi si fermavano, si riunivano -e si mettevano a belare ancora. Due o tre agnelli -saltellavano su le gambe lunghe e deformi, tentando -i capezzoli materni. -</p> - -<p> -Compiuta la bisogna, Luca Marino fermò la -chiatta. Poi a grandi passi lenti salì la riva, verso -l'orto. Era un uomo di quarant'anni circa, alto, -magro, con la faccia rossiccia, calvo alle tempie. -Aveva baffi di colore incerto e una manata di -peli sparsa disugualmente per il mento e per le -guance; l'occhio un po' torbido, senza alcuna vivacità -d'intelligenza, venato di sanguigno, come -quello dei bevitori. La camicia aperta lasciava -<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span> -vedere il petto velloso, un berretto carico d'untume -copriva la testa. -</p> - -<p> -— Ahuf! — esclamò egli d'un tratto, in faccia -alla pergola, fermandosi su le gambe aperte e -nettandosi con le dita la fronte stillante di sudore. -</p> - -<p> -Passò dinanzi ai passeggieri, senza guardarli. -In tutti i suoi gesti e in tutte le sue attitudini -era incomposto e quasi brutale. Le mani, enormi, -gonfie di vene sul dorso, le mani avvezze al remo -parevano essergli d'impaccio. Egli le teneva penzoloni -lungo i fianchi e le dondolava camminando. -</p> - -<p> -— Ahuf! Che sete!... -</p> - -<p> -Donna Laura stava come impietrita, senza più -parole, senza più conscienza, senza più volontà. -</p> - -<p> -Quello era il suo figliuolo! Quello era il suo -figliuolo! -</p> - -<p> -Una femmina gravida, che aveva già una figura -senile, disfatta dal lavoro e dalla fecondità, -venne a porgere al marito assetato un boccale -di vino. L'uomo bevve d'un fiato. Poi si asciugò -le labbra col dorso della mano e fece schioccare -la lingua. Disse, bruscamente, come se la nuova -fatica gli fosse dura: -</p> - -<p> -— Andiamo. -</p> - -<p> -Insieme col primogenito, ch'era un grosso fanciullo -di quindici anni, preparò il legno: mise tra -<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span> -il bordo e la riva due tavole per rendere agevole -ai passeggieri l'imbarco. -</p> - -<p> -— Perchè non monti, signora? — fece il vecchio -di dianzi, vedendo che Donna Laura non si moveva -e non parlava. -</p> - -<p> -Donna Laura si levò, macchinalmente, e seguì -il vecchio che le diede aiuto nel salire. Perchè -saliva ella? Perchè passava il fiume? Non pensò; -non giudicò l'atto. Il suo spirito, così colpito, rimaneva -ora inerte, quasi immobile in un punto. — Quello -era il figlio. — E a poco a poco ella sentiva -in sè qualche cosa estinguersi, svanire; sentiva -nella mente a poco a poco farsi una gran -vacuità. Non comprendeva più niente. Vedeva, -udiva, come in un sogno. -</p> - -<p> -Quando il primogenito di Luca venne a lei per -chiedere la mercè del traghetto, prima che la -barca si staccasse dalla riva, ella non intese. Il -fanciullo scoteva nel concavo delle mani le monete -ricevute da uno dei passeggieri; e ripeteva -la domanda a voce più alta, credendo che la signora -fosse sorda per la vecchiezza. -</p> - -<p> -Ella, come vide gli altri due uomini mettere -la mano in tasca e pagare, imitò quell'atto, risovvenendosi. -Ma diede più del dovuto. -</p> - -<p> -Il fanciullo volle farle intendere ch'egli non -<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span> -poteva renderle l'avanzo, perchè non l'aveva. -Ella non comprese. Il fanciullo prese tutto il danaro, -con una smorfia di malizia. I presenti sorrisero, -di quel sorriso astuto che hanno gli uomini -campestri in conspetto di un inganno. -</p> - -<p> -Uno disse: -</p> - -<p> -— Andiamo? -</p> - -<p> -Luca, che fin allora stava intento a tirar l'áncora, -spinse la barca che si mosse dolcemente -su l'acqua gorgogliante. La riva parve fuggire, -con le canne e con i pioppi, ed incurvarsi come -una falce. Il sole incendiava tutto il fiume, appena -inclinato verso il cielo occidentale, dove sorgevano -vapori violetti. Si vedeva ora su la riva -un gruppo di gente che gesticolava; ed erano -i mendicanti addosso all'idiota. A tratti, col vento -giungevano anche lembi di parole e di risa simili -a un'agitazione di flutti. -</p> - -<p> -I rematori, nudi il busto, vogavano a gran -forza per superare il filo della corrente. Donna -Laura vedeva il dorso di Luca, nero, dove le -costole si disegnavano e colava a rivoli il sudore -Teneva gli occhi fissi, un po' dilatati, pieni -di ebetudine. -</p> - -<p> -Uno dei passeggieri avvertì, prendendo sotto -il banco le sue robe: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span> -</p> - -<p> -— Ci siamo. -</p> - -<p> -Luca afferrò l'ancora e la gittò alla riva. La -barca ridiscese con la corrente per tutta la lunghezza -della corda; quindi si fermò con una -stratta. I passeggieri furono a terra, d'un salto, -ed aiutarono la vecchia signora, tranquillamente. -Quindi si rimisero in cammino. -</p> - -<p> -La campagna da quella parte era coltivata a -vigneti. Le viti, piccole e magre, verdeggiavano -in filari. Alcuni alberi interrompevano qua e là -il piano, con forme rotonde. -</p> - -<p> -Donna Laura si trovò sola, perduta, su quella -riva senz'ombra, non avendo più conoscenza di -sè che per il battito continuo delle arterie, per un -romorío cupo ed assordante negli orecchi. Il suolo -sotto i piedi le mancava e pareva affondarsi come -fango o arena, ad ogni passo. Tutte le cose intorno -turbinavano e si dileguavano; tutte le cose, -ed anche la sua esistenza, le apparivano vagamente, -lontane, dimenticate, finite per sempre. La -follia le prendeva la mente. Ella, d'un tratto, vide -uomini, case, un altro paese, un altro cielo. Urtò in -un albero, cadde su una pietra; si rialzò. E il suo -povero corpo sfinito traballava in moti terribili e -insieme ridevoli; ma nessuna cosa intorno splendeva -come i suoi capelli bianchi sotto il sole feroce. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span> -</p> - -<p> -Ora, i mendicanti dall'altra riva avevano eccitato -per dileggio l'idiota a passare il fiume a -nuoto ed a raggiungere la donna per aver l'elemosina. -Essi l'avevano spinto nell'acqua, dopo -avergli strappati i cenci di dosso. E l'idiota nuotava -come un cane, tra una pioggia di sassate -che gl'impedivano di tornare addietro. Quegli uomini -deformi fischiavano e urlavano, prendendo -diletto nella crudeltà. Essi, come la corrente -traeva l'idiota, arrancavano lungo la sponda e -imperversavano. -</p> - -<p> -— Affoga! Affoga! -</p> - -<p> -L'idiota, con sforzi disperati, prese terra. E -così ignudo, poichè in lui era morto con l'intelligenza -il sentimento del pudore, si mise a camminare -verso la donna, di traverso, com'era suo -costume, tendendo la mano ad ogni tratto. -</p> - -<p> -La demente, rialzandosi, vide; e con un moto -di orrore e con un grido acutissimo si diede a -correre verso il fiume. Sapeva quel che faceva? -Voleva morire? Che pensava ella, in quell'attimo? -</p> - -<p> -Giunta all'estremo limite, cadde nell'acqua. -L'acqua gorgogliò, si chiuse pienamente; e tanti -circoli successivi partirono dal luogo della caduta -e si allargarono in lievi ondulazioni lucide -e si dispersero. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span> -</p> - -<p> -I mendicanti dall'altra riva gridavano verso -una barca che si allontanava: -</p> - -<p> -— Oh Lucaaa! Oh Luca Marinooo! -</p> - -<p> -E correvano verso la casa dei pioppi a dare -la novella. -</p> - -<p> -Allora, come seppe il caso, Luca spinse la barca -verso il luogo che gli indicavano, e chiamò La -Martina che se ne veniva placidamente con il -suo legno in balía della corrente. -</p> - -<p> -Disse Luca: -</p> - -<p> -— C'è un'annegata laggiù. -</p> - -<p> -Non si curò di raccontare il fatto e di parlare -della persona, poichè non amava le molte parole. -</p> - -<p> -I due fiumátici misero i legni a paro e remigarono -con calma. -</p> - -<p> -Disse La Martina: -</p> - -<p> -— Hai tu provato il vino nuovo di Chiachiù? -Ti dico!... -</p> - -<p> -E fece un gesto che rappresentava l'eccellenza -della bevanda. -</p> - -<p> -Luca rispose: -</p> - -<p> -— Non ancora. -</p> - -<p> -Disse La Martina: -</p> - -<p> -— Ne prenderesti una goccia? -</p> - -<p> -Luca rispose: -</p> - -<p> -— Io sì. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span> -</p> - -<p> -La Martina: -</p> - -<p> -— Dopo. Ci aspetta Iannangelo. -</p> - -<p> -Luca: -</p> - -<p> -— Va bene. -</p> - -<p> -Giunsero al luogo. L'idiota, che poteva meglio -indicare il punto, era fuggito, e in mezzo alle -vigne era stato preso da un accesso di epilessia. -All'altra riva i curiosi cominciavano a radunarsi. -</p> - -<p> -Disse Luca al compagno: -</p> - -<p> -— Tu ferma la tua barca e salta nella mia. Uno -rema e l'altro cerca. -</p> - -<p> -La Martina così fece. Egli remava su e giù -per una ventina di metri, e Luca tentava il fondo -del fiume con una lunga pertica. Ogni tanto Luca, -sentendo qualche resistenza, mormorava: -</p> - -<p> -— Ecco. -</p> - -<p> -Ma s'ingannava sempre. Finalmente, dopo -molte ricerche, Luca disse: -</p> - -<p> -— Questa volta c'è. -</p> - -<p> -E chinandosi e inarcando le gambe per far -forza, sollevò piano piano il peso all'estremità -della pertica. I bicipiti gli tremavano. -</p> - -<p> -La Martina chiese, lasciando il remo: -</p> - -<p> -— Vuoi che t'aiuti? -</p> - -<p> -Luca rispose: -</p> - -<p> -— Non importa. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span></p> - -<h2 id="agonia">AGONIA.</h2> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Quando entrò Donna Letizia tenendo l'infermo -su le belle braccia carnose con un'attitudine di -misericordia lacrimevole, tutte le figlie accorsero -a torno intenerite ed esalarono la gentil pietà -dell'animo in querele gemebonde. Le voci femminili -risonavano così nella stanza confusamente -tra i rumori che dal traffico della strada salivano -per le vetrate aperte; e al compianto delle -fanciulle si mescevano in quel punto le interiezioni -d'un cerretano magnificatore d'acque angelicali -e di polveri mirifiche. -</p> - -<p> -Il cane, su le braccia della signora, ebbe allora -un lieve tremito che gli corse per tutto il -dorso fino alla estremità della coda; tentò di sollevare -le palpebre, di volgere alle carezze quei -suoi enormi occhi pieni di gratitudine. Moveva -<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span> -la testa in certi sforzi penosi, come se le corde -del collo gli si fossero irrigidite; aveva la bocca -semiaperta, da cui il lembo della lingua tenuta -tra i due denti sporgenti usciva come una foglia -vermiglia solcata di venature violacee. E una -bava molle gl'inumidiva il mento, quella piccola -parte della mandibola inferiore dove la rarezza -dei peli lasciava apparire la pelle rosea. E la -fatica del respiro a volte gli s'inaspriva in una -specie di raucedine sibilante, mentre le narici -d'ora in ora si disseccavano e prendevano l'aspetto -duro e scabro di un tartufo. -</p> - -<p> -— Oh, Sancio, povero Sancio, che t'hanno fatto? -Povero bibì, eh? Povero vecchio mio!.. -</p> - -<p> -Le commiserazioni delle fanciulle sensibili si -facevano via via più tenere, finivano in un balbettío -pargoleggiante di parole senza significato, -di suoni lamentevoli, di lezii carezzevoli. Tutte -volevano passar la mano su la testa dell'animale, -prendere una delle zampe, toccare le narici. -Donna Letizia sorreggeva il dolce peso maternamente; -e le sue dita grasse e bianche, le cui -falangi parevano gonfie quasi per un morbo, le -sue dita vellicavano pianamente il ventre di -Sancio, s'insinuavano tra il pelo. -</p> - -<p> -Nella stanza entrava la luce del pomeriggio -<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span> -e il fresco della marina, a traverso le tende verdognole. -Otto stampe colorite, chiuse in cornici -nere, adornavano le pareti coperte di una carta -a fiorami gialli. Sopra un vecchio canterale del -Settecento, con la lastra di marmo roseo e le -borchie di ottone, posava tra due piccoli specchi -retti da sostegni d'argento un trionfo di fiori di -cera in una campana di cristallo. Sopra il caminetto -scintillava una coppia di candelabri dorati, -con le candele intatte. Un automa di cartapesta, -raffigurante un macacco in abito moresco, meditava -immobile dall'alto d'uno di quei tavolini -intarsiati che vengono di Sorrento. Molte seggiole -con su la spalliera vignette di favole pastorali, -un canapè dell'Impero, due poltrone -moderne, concorrevano alla discordia delle forme -e dei colori. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Come l'infermo venne adagiato in grembo a -una delle poltrone, ci fu nella stanza un intervallo -di silenzio. Sancio si levò un momento in -piedi tremando, si rigirò più volte cercando una -positura meno dolorosa, nella irrequietudine della -sofferenza, tentò di poggiare la testa su uno dei -<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span> -bracciuoli, si piegò su le gambe di dietro; stette -così alfine con le palpebre socchiuse, respirando -a fatica, come preso da una sonnolenza improvvisa. -Sul petto largo la pelle abbondante gli -faceva, con tre o quattro crespe, quasi una piccola -giogaia; sopra la collottola le crespe erano -più grandi e più tonde; i lembi delle labbra ai -lati della mandibola superiore pendevano flosciamente; -e il povero animale aveva ora nella malattia -quel non so che di ridevole insieme e di -miserevole che hanno gli uomini nani oppressi -dall'adipe e dall'asma. -</p> - -<p> -Le fanciulle dinanzi a quell'abbattimento restavano -mute, invase da un rammarico immenso, -colpite dal presentimento della sventura; poichè -Sancio era stato per molti anni la loro cura -amorosa, l'oggetto delle loro blandizie e dei loro -vezzi, lo sfogo innocuo delle loro mollezze e delle -loro tenerezze di adolescenti clorotiche. Sancio -era nato e cresciuto nella casa, con quelle -forme tozze e pesanti di razza imbastardita, con -quelle rotondità di bestia eunuca oziosa e golosa; -e a poco a poco eragli apparso negli occhi -tondi uno sguardo pieno di umanità e di devozione. -Soleva agitar vivamente il tronco della -coda nelle ore di gioia, reggendosi su tre gambe -<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span> -sole e tutto raggomitolandosi con un singolar -tremolío del pelame e trotterellando con la grazia -d'un porcellino d'India in mezzo all'erbe primaverili. -</p> - -<p> -I bei ricordi ora travagliavano le animule delle -fanciulle. -</p> - -<p> -— E il medico quando viene? — chiese, con la -voce impaziente, Teodolinda, la figlia minore; che -aveva una faccia di giovine bertuccia, tutta bianca -di cipria, e su la fronte una larga frangia di capelli -rossi. -</p> - -<p> -L'infermo a tratti metteva una specie di gemito -fioco aprendo gli occhi e volgendo in torno -lo sguardo supplichevole, uno sguardo lento e -dolce, fatto più umano dall'increspamento nervoso -degli angoli delle palpebre e da due linee -brune che gli umori sgorganti avevano segnato -sotto le orbite. E come Donna Letizia tentava -di fargli prendere un cucchiaio di zuppa ristoratrice, -egli agitava fuor della bocca la lingua -flessibile in tutti i sensi per lo sforzo dell'inghiottire -e non poteva chiudere le mascelle irrigidite. -</p> - -<p> -Allora si udì nell'anticamera la voce del dottore -Zenzuino che era finalmente salito. Ed entrò -nella stanza un signore dalla bella faccia lucida -di giovialità e di sanità. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span> -</p> - -<p> -— Oh Don Giovanni, guarite Sancio! Sta per -morire — esclamò una voce flebile. -</p> - -<p> -Il medico guardò in torno tutta quella dolente -famiglia che egli aveva nutrita d'arsenico, di ferro -e d'olio ferruginoso e d'acqua di Levico per tanti -anni in vano ed ebbe un lieve lampo di sorriso -negli occhiali d'oro. Poi, osservando l'infermo -con una curiosità d'uomo ricercatore, disse molto lentamente: -</p> - -<p> -— Credo sia un caso di paralisi della mandibola -e delle glandole salivari sotto-mascellari. La -malattia che ha sede in un'alterazione nervosa -centrale probabilmente delle meningi e che per -la sua eziologia può dipendere da una causa ereditaria -o parassitaria, è d'indole progressiva. Il -processo che tende a diffondersi, andrà parzialmente -e progressivamente privando il corpo, organo -per organo, della sua funzionalità; finchè -giunto in breve ad agire sul centro di una delle -funzioni vitali, sia della circolazione che della respirazione, -produrrà la morte... -</p> - -<p> - Le terribili parole barbare misero un'ambascia -suprema nelle animule blandule; e le guance -floride di Donna Letizia in un momento impallidirono. -</p> - -<p> -— Io credo che abbia influito su lo sviluppo del -<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span> -morbo l'alimentazione — soggiunse Don Giovanni, -senza pietà. -</p> - -<p> -A quella specie di accusa, il rimorso cominciò -a tormentare le fanciulle che sempre per la golosità -di Sancio erano state piene d'indulgenza -colpevole. E Teodolinda, con un atto di sconforto -ineffabile, chiese: -</p> - -<p> -— Non c'è dunque rimedio? -</p> - -<p> -— Tentiamo. Io consiglio l'applicazione di un -cerotto vescicatorio alla nuca — rispose il dottore -licenziandosi in ultimo amabilmente. -</p> - -<p> -Sancio voleva discendere dalla poltrona. Esitava -su l'orlo, non avendo la forza di spiccare -il salto, implorava l'aiuto con gli occhi fievoli che -già si velavano come due acini d'uva nera suffusi -dalla pruina argentea della maturità. Nella -sua pinguedine il dolore a poco a poco scavava -ombre senili; le tinte rosee del muso, dove i -peli erano lunghi e radi, pareva si corrompessero -divenendo quasi giallastre; le orecchie -mozze avevano di tratto in tratto un tremolìo -leggerissimo; e nello stesso tempo un brivido -passava a traverso il pelame bianco visibilmente. -</p> - -<p> -Allora Isabella, la più eterea delle cinque fanciulle, -che per crudeltà della sorte ereditava dal -padre il pio naso borbonico e la fronte leprina, -<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span> -si accostò tutta commossa e prese l'infermo fra -le mani delicate per posarlo a terra. -</p> - -<p> -Sancio prima rimase fermo un istante, senza -poter muovere i passi, con il dorso arcuato, e -la testa in alto, oppresso dall'affanno del respiro; -poi cominciò a trascinarsi, barcollando, con lo -stento doloroso di un animale ferito alle due cosce. -Forse aveva sete, perchè quando gli fu accostata -la scodella tentò di lambire con la lingua -il liquido. Ma, come la paralisi crescente già -gli impediva anche quell'atto, dopo sforzi inutili -ed irosi egli si volse piegando su le gambe posteriori -e con una delle zampe davanti cominciò a -battersi la mascella, quasi per rimuovere alfine -di là quell'ostacolo che gli faceva tanto dolore. -</p> - -<p> -E l'attitudine era così vivamente umana e le -pupille erano così piene di supplicazione e di disperazione -umana, che d'un tratto Donna Letizia -scoppiò in pianto: -</p> - -<p> -— Oh, povero bibì! Chi te l'avesse mai detto, -povero bibì mio!.. -</p> - -<p> -In tutte le fanciulle la commozione raggiunse il -supremo grado. Teodolinda raccolse il morituro, -lo portò sul canapè, chiese le forbici. Era necessario -un eroismo; bisognava infine esperimentare -il rimedio, ad ogni costo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span> -</p> - -<p> -— Isabella, Maria, le forbici! Venite! -</p> - -<p> -Tutte trepide e pallide, si chinarono intorno -a Sancio, che aveva di nuovo socchiuse le palpebre -e alitava il fiato ardente nelle mani della -soccorritrice. E questa, vinta la prima ripugnanza, -cominciò a tagliare il pelo su la nuca dell'animale, -pianamente, arrestandosi di tratto in tratto, -mettendo via via un soffio su la parte rasa. Una -specie di chierica irregolare si veniva allargando -nella grassezza della collottola; e il tonsurato assumeva -così un nuovo aspetto miserevolmente -buffonesco. -</p> - -<p> -Le tende del balcone, investite dalla brezza, -s'inarcavano come due vele. I clamori della -strada salivano in confuso, vivi e giulivi; una -prospettiva di case plebee s'intravedeva al fondo -nella doratura pallida del tramonto; e un merlo -fischiava. -</p> - -<p> -Allora discese dalle camere superiori Natalia, -la bella nuora di Donna Letizia, con un bimbo -su le braccia; ed entrò nella stanza. Ella aveva -la faccia ovale, la pelle fine e rosea, solcata di -vene, gli occhi chiarissimi, le narici diafane, tutta -in somma la dolcezza di sangue della donna -bionda, tra una nera ribellione di capelli; e aveva -nella persona, nelle vesti, nell'incedere, quella -<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span> -negligenza semplice, quella felice placidità quasi -direi bovina, quella specie di freschezza lattea -delle giovani madri che nutrono con la propria -mammella il figliuolo. -</p> - -<p> -Appena ella vide il cane tonsurato, un impeto -così spontaneo d'ilarità la invase, che non potè -ritenere le risa entro la chiostra dei denti. -</p> - -<p> -— Ah, ah, ah, ah, ah!.. -</p> - -<p> -Come? Natalia osava ridere, mentre quel povero -Sancio moriva? — Le innupte sensibili volsero -un acre sguardo d'indignazione alla cognata -irriverente e crudele. Ma questa, con una lieta -incuranza, si appressò per tendere il bimbo verso -l'animale. E il bimbo seminudo agitava le piccole -mani irrequiete, cercando toccare, tutto vibrando -di naturale gioia e barbugliando suoni -incomprensibili nella bocca rorida ancora della -bevanda materna. E l'animale, uso già a sottomettere -la testa mansueta a quei cercamenti, -aveva ancora nelle membra inferme una esitazione -di festevolezza e negli occhi un supremo -barlume di bontà conoscente. -</p> - -<p> -— Povero Sancio Panza! — mormorò alfine -Natalia ritraendo il figliuolo che stava per bagnarsi -di bava le dita. E, come il bimbo rincrespava -le labbra per piangere, ella fece due -<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span> -o tre giri nella stanza cullandolo e palleggiandolo; -poi, fermatasi dinanzi all'automa, volse -la chiave del meccanismo. -</p> - -<p> -Il macacco aprì la bocca, battè le palpebre, -attorcigliò la coda, tutto animandosi internamente -al suono d'una gavotta ben nota. Quel voluttuoso -ondeggiamento di danza moveva l'aria e la -testa di Natalia per ritmo. La luce nella stanza -era dolce; il profumo dei garofoli entrava dai vasi -del balcone aperto. -</p> - -<p> -Sancio non udiva forse più. Al bruciore caustico -del vescicante su la nuca, egli scoteva di -tratto in tratto il dorso, e piegava la testa in -basso, con un lamentìo fievole. La lingua ritirata -fra i denti, violacea, quasi anzi nerastra, -aveva già perduta ogni facoltà di moto. Gli occhi, -ora, coperti da una specie di membrana turchiniccia -e umidiccia, non conservavano altra -espressione di spasimo che quella dell'apparir -rapido d'un lembo bianco agli angoli delle orbite. -La bava si produceva più copiosa e più -densa. L'asfissia pareva imminente. -</p> - -<p> -— Oh Natalia, cessa! Ma non vedi che Sancio -muore? — proruppe, con la voce piena d'acredine -e di lagrime, Isabella. -</p> - -<p> -La gavotta non si poteva interrompere prima -<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span> -che la forza data dalla chiave alla macchina fosse -esaurita. Le note continuavano, lente e molli, a -spandersi su l'agonia del cane. Le ombre del -crepuscolo, intanto, cominciavano a penetrare -nell'interno e le tende sbattevano nella frescura. -</p> - -<p> -Allora, Donna Letizia, soffocata dai singhiozzi, -non reggendo più allo strazio, uscì. Tutte le figlie -la seguirono, a una a una, piangendo, con -i teneri petti oppressi dal dolore. Soltanto Natalia -per curiosità si fece da presso al moribondo. -</p> - -<p> -E, mentre la gavotta era su la ripresa, il buon -Sancio spirò in musica, come l'eroe di un melodramma -italiano. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span></p> - -<h2 id="candia">LA FINE DI CANDIA.</h2> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Donna Cristina Lamonica, tre giorni dopo il -convito pasquale che in casa Lamonica soleva -essere grande per tradizione e magnifico e frequente -di convitati, numerava la biancheria e l'argenteria -delle mense e con perfetto ordine riponeva -ogni cosa nei canterani e nei forzieri pei -conviti futuri. -</p> - -<p> -Erano presenti, per solito, alla bisogna, e porgevano -aiuto, la cameriera Maria Bisaccia e la -lavandaia Candida Marcanda detta popolarmente -Candia. Le vaste canestre ricolme di tele fini giacevano -in fila sul pavimento. I vasellami di argento -e gli altri strumenti da tavola rilucevano -sopra una spasa; ed erano massicci, lavorati un -po' rudemente da argentarii rustici, di forme quasi -liturgiche, come sono tutti i vasellami che si trasmettono -<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span> -di generazione in generazione nelle ricche -famiglie provinciali. Una fresca fragranza d -bucato spandevasi nella stanza. -</p> - -<p> -Candia prendeva dalle canestre i mantili, le -tovaglie, le salviette; faceva esaminare alla signora -la tela intatta; e porgeva via via ciascun -capo a Maria che riempiva i tiratoi, mentre la -signora spargeva negli interstizi un aroma e segnava -nel libro la cifra. Candia era una femmina -alta, ossuta, segaligna, di cinquant'anni; aveva la -schiena un po' curvata dall'attitudine abituale del -suo mestiere, le braccia molto lunghe, una testa -d'uccello rapace sopra un collo di testuggine. -Maria Bisaccia era un'ortonese, un po' pingue -di carnagione lattea, d'occhi chiarissimi; aveva -la parlatura molle, e i gesti lenti e delicati come -colei ch'era usa a esercitar le mani quasi sempre -tra la pasta dolce, tra gli sciroppi, tra le conserve -e tra le confetture. Donna Cristina, anche -nativa di Ortona, educata nel monastero benedettino, -era piccola di statura, con il busto un -po' abbandonato sul davanti; aveva i capelli tendenti -al rosso, la faccia sparsa di lentiggini, il -naso lungo e grosso, i denti cattivi, gli occhi -bellissimi e pudichi, somigliando un cherico vestito -d'abiti muliebri. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span> -</p> - -<p> -Le tre donne attendevano all'opera con molta -cura; e spendevano così gran parte del pomeriggio. -</p> - -<p> -Ora, una volta, come Candia usciva con le canestre -vuote, Donna Cristina numerando le posate -trovò che mancava un cucchiaio. -</p> - -<p> -— Maria! Maria! — ella gridò, con una specie -di spavento. — Conta! Manca <i>'na cucchiara</i>.... -Conta tu! -</p> - -<p> -— Ma come? Non può essere, signó, — rispose -Maria. — Mo' vediamo. -</p> - -<p> -E si mise a riscontrare le posate, dicendo il -numero ad alta voce. Donna Cristina guardava, -scotendo il capo. L'argento tintinniva chiaramente. -</p> - -<p> -— E vero! — esclamò alla fine Maria, con un -atto di disperazione. — E mo' che facciamo? -</p> - -<p> -Ella era sicura da ogni sospetto. Aveva dato -prove di fedeltà e di onestà per quindici anni, in -quella famiglia. Era venuta da Ortona insieme con -Donna Cristina, all'epoca delle nozze, quasi facendo -parte dell'appannaggio matrimoniale; ed -oramai nella casa aveva acquistata una certa autorità, -sotto la protezione della signora. Ella era -piena di superstizioni religiose, devota al suo -santo e al suo campanile, astutissima. Con la signora -<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span> -aveva stretto una specie di alleanza ostile -contro tutte le cose di Pescara, e specialmente -contro il santo dei Pescaresi. Ad ogni occasione -nominava il paese natale, le bellezze e le ricchezze -del paese natale, gli splendori della sua -basilica, i tesori di San Tommaso, la magnificenza -delle cerimonie ecclesiastiche, in confronto -alle miserie di San Cetteo che possedeva un solo -piccolo braccio d'argento. -</p> - -<p> -Donna Cristina disse: -</p> - -<p> -— Guarda bene di là. -</p> - -<p> -Maria uscì dalla stanza per andare a cercare. -Rovistò tutti gli angoli della cucina e della loggia -inutilmente. Tornò a mani vuote. -</p> - -<p> -— Non c'è! Non c'è! -</p> - -<p> -Allora ambedue si misero a pensare, a cumular -congetture, a investigar nella loro memoria. Uscirono -su la loggia che dava nel cortile, su la loggia -del lavatoio, per fare l'ultima ricerca. Come parlavano -a voce alta, alle finestre delle case in torno -si affacciarono le comari. -</p> - -<p> -— Che v'è successo, Donna Cristí? Dite! Dite! -Donna Cristina e Maria raccontarono il fatto, -con molte parole, con molti gesti. -</p> - -<p> -— Gesù! Gesù! Dunque ci stanno i ladri? -</p> - -<p> -In un momento il rumore del furto si sparse -<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span> -pel vicinato, per tutta Pescara. Uomini e donne -si misero a discutere, a imaginare chi potesse essere -il ladro. La novella, giungendo alle ultime -case di Sant'Agostino, s'ingrandì: non si trattava -più di un semplice cucchiaio, ma di tutta l'argenteria -di casa Lamonica. -</p> - -<p> -Ora, come il tempo era bello e su la loggia -le rose cominciavano a fiorire e due lucherini in -gabbia cantavano, le comari si trattennero alle -finestre per il piacere di ciarlare al bel tempo, -con quel dolce calore. Le teste feminili apparivano -tra i vasi di basilico e il ciaramellio pareva -dilettare i gatti in su le gronde. -</p> - -<p> -Donna Cristina disse, congiungendo le mani: -</p> - -<p> -— Chi sarà stato? -</p> - -<p> -Donna Isabella Sertale, detta la Faina, che -aveva i movimenti lesti e furtivi di un animaletto -predatore, chiese con la voce stridula: -</p> - -<p> -— Chi ci stava con voi. Donna Cristí? Mi pare -che ho visto ripassare Candia.... -</p> - -<p> -— Aaaah! — esclamò donna Felicetta Margasanta, -detta la Pica per la sua continua garrulità. -</p> - -<p> -— Ah! — ripeterono le altre comari. -</p> - -<p> -— E non ci pensavate? -</p> - -<p> -— E non ve n'accorgevate? -</p> - -<p> -— E non sapete chi è Candia? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span> -</p> - -<p> -— Ve lo diciamo noi chi è Candia! -</p> - -<p> -— Sicuro! -</p> - -<p> -— Ve lo diciamo noi! -</p> - -<p> -— I panni li lava bene, non c'è che dire. È -la meglio lavandaia che sta a Pescara, non c'è -che dire. Ma tiene lu difetto delle cinque dita... -Non lo sapevate, commà? -</p> - -<p> -— A me 'na volta mi mancò due mantili. -</p> - -<p> -— A me 'na tovaglia. -</p> - -<p> -— A me 'na camicia. -</p> - -<p> -— A me tre paia di calzette. -</p> - -<p> -— A me due fédere. -</p> - -<p> -— A me 'na sottana nuova. -</p> - -<p> -— Io non ho potuto riavere niente. -</p> - -<p> -— Io manco. -</p> - -<p> -— Io manco. -</p> - -<p> -— Io non l'ho cacciata; perchè chi prendo? -Silvestra? -</p> - -<p> -— Ah! Ah! -</p> - -<p> -— Angelantonia? Babascetta? -</p> - -<p> -— Una peggio dell'altra! -</p> - -<p> -— Bisogna ave' pazienza. -</p> - -<p> -— Ma 'na cucchiara, mo'! -</p> - -<p> -— È troppo, mo'! -</p> - -<p> -— Non vi state zitta, Donna Cristí; non vi -state zitta! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span> -</p> - -<p> -— Che zitta e non zitta! — proruppe Maria -Bisaccia che, quantunque avesse l'aspetto placido -e benigno, non si lasciava sfuggire nessuna occasione -per opprimere o per mettere in mala vista -gli altri serventi della casa. — Ci penseremo noi, -Donn'Isabbé, ci penseremo! -</p> - -<p> -E le ciarle dalla loggia alle finestre seguitavano. -E l'accusa di bocca in bocca si propalò -per tutto il paese. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -La mattina vegnente, mentre Candia Marcanda -teneva le braccia nella lisciva, comparve su la -soglia la guardia comunale Biagio Pesce soprannominato -<i>il Caporaletto</i>. -</p> - -<p> -Egli disse alla lavatrice: -</p> - -<p> -— Ti vuole il signor Sindaco sopra il Comune, -sùbito. -</p> - -<p> -— Che dici? — domandò Candia aggrottando -le sopracciglia, ma senza tralasciare la sua -bisogna. -</p> - -<p> -— Ti vuole il signor Sindaco sopra il Comune, -sùbito. -</p> - -<p> -— Mi vuole? E perchè? — seguitò a domandare -Candia, con un modo un po' brusco, non sapendo -a che attribuire quella chiamata improvvisa, inalberandosi -<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span> -come fanno le bestie caparbie dinanzi -a un'ombra. -</p> - -<p> -— Io non posso sapere perchè — rispose il -Caporaletto. — Ho ricevuto l'ordine. -</p> - -<p> -— Che ordine? -</p> - -<p> -La donna, per una ostinazione naturale in lei, -non cessava dalle domande. Ella non sapeva -persuadersi della cosa. -</p> - -<p> -— Mi vuole il Sindaco? E perchè? E che ho -fatto io? Non ci voglio venire. Io non ho fatto -nulla. -</p> - -<p> -Il Caporaletto, impazientito, disse: -</p> - -<p> -— Ah, non ci vuoi venire? Bada a te! -</p> - -<p> -E se ne andò, con la mano su l'elsa della -vecchia daga, mormorando. -</p> - -<p> -Intanto per il vico alcuni che avevano udito -il dialogo uscirono su gli usci e si misero a guardare -Candia che agitava la lisciva con le braccia. -E, poichè sapevano del cucchiaio d'argento, ridevano -tra loro e dicevano motti ambigui che -Candia non comprendeva. A quelle risa e a quei -motti, l'inquietudine prese l'animo della donna; -e crebbe quando ricomparve il Caporaletto accompagnato -dall'altra guardia. -</p> - -<p> -— Cammina! — disse il Caporaletto, risolutamente. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span> -</p> - -<p> -Candia si asciugò le braccia, in silenzio; e andò. -Per la piazza la gente si fermava. Rosa Panara, -una nemica, dalla soglia della bottega gridò con -una risata feroce: -</p> - -<p> -— Posa l'osso! -</p> - -<p> -La lavandaia, smarrita, non imaginando la -causa di quella persecuzione, non seppe che rispondere. -</p> - -<p> -Dinanzi al Comune stava un gruppo di persone -curiose che la volevano veder passare. Candia, -presa dall'ira, salì le scale rapidamente; -giunse in conspetto del Sindaco, affannata; chiese: -</p> - -<p> -— Ma che volete da me? -</p> - -<p> -Don Silla, uomo pacifico, rimase un momento -turbato dalla voce aspra della lavandaia, e volse -uno sguardo ai due fedeli custodi della dignità -sindacale. Quindi disse, prendendo il tabacco nella -scatola di corno: -</p> - -<p> -— Figlia mia, sedetevi. -</p> - -<p> -Candia rimase in piedi. Il suo naso ricurvo -era gonfio di collera, e le sue guance rugose -tremolavano alle contratture delle mascelle mordaci. -</p> - -<p> -— Dite, Don Sì. -</p> - -<p> -— Voi siete stata ieri a riporta' la biancheria -a Donna Cristina Lamonica? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span> -</p> - -<p> -— Be', che c'è? che c'è? Manca qualche cosa? -Tutto contato, capo per capo... Non manca nulla. -Che c'è, mo'? -</p> - -<p> -— Un momento, figlia mia! C'era nella stanza -l'argenteria... -</p> - -<p> -Candia, indovinando, si voltò come un falchetto -inviperito che stia per ghermire. E le labbra -sottili le tremavano. -</p> - -<p> -— C'era nella stanza l'argenteria, e Donna Cristina -trova mancante 'na cucchiara... Capite, figlia -mia? L'avete presa voi... pe' sbaglio? -</p> - -<p> -Candia saltò come una locusta, a quell'accusa -immeritata. Ella non aveva preso nulla, in verità. -</p> - -<p> -— Ah, io? Ah, io? Chi lo dice? Chi mi ha -vista? Mi faccio meraviglia di voi, Don Sì! Mi -faccio meraviglia di voi! Io ladra? io? io?... -</p> - -<p> -E la sua indignazione non aveva fine. Ella più -era ferita dall'ingiusta accusa perchè si sentiva -capace dell'azione che le addebitavano. -</p> - -<p> -— Dunque voi non l'avete presa? — interruppe -Don Silla, ritirandosi in fondo alla sua grande -sedia curule, prudentemente. -</p> - -<p> -— Mi faccio meraviglia! — garrì di nuovo -la donna, agitando le lunghe braccia come due -bastoni. -</p> - -<p> -— Be', andate. Si vedrà. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span> -</p> - -<p> -Candia uscì, senza salutare, urtando contro lo -stipite della porta. Ella era diventata verde: era -fuori di sè. Mettendo il piede nella via, vedendo -tutta la gente assembrata, comprese che oramai -l'opinione popolare era contro di lei; che nessuno -avrebbe creduto alla sua innocenza. Nondimeno -si mise a gridare le sue discolpe. La gente rideva, -dileguandosi. Ella, furibonda, tornò a casa; -si disperò; si mise a singhiozzare su la soglia. -</p> - -<p> -Don Donato Brandimarte, che abitava a canto, -le disse per beffa: -</p> - -<p> -— Piangi forte, piangi forte, che mo' passa -la gente. -</p> - -<p> -Come i panni ammucchiati aspettavano il ranno, -ella finalmente si acquetò; si nudò le braccia, e -si rimise all'opera. Lavorando, pensava alla discolpa, -architettava un metodo di difesa, cercava -nel suo cervello di femmina astuta un mezzo artifizioso -per provare l'innocenza; arzigogolando sottilissimamente, -si giovava di tutti gli spedienti -della dialettica plebea per mettere insieme un -ragionamento che persuadesse gli increduli. -</p> - -<p> -Poi, quando ebbe terminata la bisogna, uscì; -volle andare prima da Donna Cristina. -</p> - -<p> -Donna Cristina non si fece vedere. Maria Bisaccia -ascoltò le molte parole di Candia scotendo -<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span> -il capo, senza risponder niente; e si ritrasse con -dignità. -</p> - -<p> -Allora Candia fece il giro di tutte le sue clienti. -Ad ognuna raccontò il fatto, ad ognuna espose -la discolpa, aggiungendo sempre un nuovo argomento, -aumentando le parole, accalorandosi, disperandosi -dinanzi alla incredulità e alla diffidenza; -e inutilmente. Ella sentiva che oramai -non era più possibile la difesa. Una specie di -abbattimento cupo le prese l'animo. — Che più -fare! Che più dire! -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Donna Cristina Lamonica intanto mandò a -chiamare la Cinigia, una femmina del volgo, che -faceva professione di magia e di medicina empirica -con molta fortuna. La Cinigia già qualche -volta aveva scoperta la roba rubata; e si diceva -ch'ella avesse diverse pratiche con i ladroncelli. -</p> - -<p> -Donna Cristina le disse: -</p> - -<p> -— Ritrovami la cucchiara, e ti darò 'na regalía -forte. -</p> - -<p> -La Cinigia rispose: -</p> - -<p> -— Va bene. Mi bastano ventiquattr'ore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span> -</p> - -<p> -E, dopo ventiquattr'ore, ella portò la risposta. — Il -cucchiaio si trova in una buca, nel cortile, -vicino al pozzo. -</p> - -<p> -Donna Cristina e Maria discesero nel cortile, -cercarono e trovarono, con grande meraviglia. -</p> - -<p> -Rapidamente, la novella si sparse per Pescara. -</p> - -<p> -Allora, trionfante, Candia Marcanda si diede -a percorrere le vie. Ella pareva più alta; teneva -la testa eretta, sorrideva, guardando tutti negli -occhi come per dire: -</p> - -<p> -— Avete visto? Avete visto? -</p> - -<p> -La gente su le botteghe, vedendola passare, -mormorava qualche parola e poi rompeva in uno -sghignazzìo significativo. Filippo La Selvi, che -stava bevendo un bicchiere d'acquavite fine nel -caffè d'Angeladea, chiamò Candia. -</p> - -<p> -— 'Nu bicchiere pe' Candia, di questo qua! -</p> - -<p> -La donna, che amava i liquori ardenti, fece -con le labbra un atto di cupidigia. -</p> - -<p> -Filippo La Selvi soggiunse: -</p> - -<p> -— Te lo meriti, non c'è che di'. -</p> - -<p> -Una torma di oziosi erasi ragunata innanzi al -caffè. Tutti avevano su la faccia un'aria burlevole. -</p> - -<p> -Filippo La Selvi, rivoltosi all'uditorio, mentre -la donna beveva: -</p> - -<p> -— L'ha saputa fa'; è vero? Volpe vecchia... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span> -</p> - -<p> -E battè familiarmente la spalla ossuta della -lavandaia. -</p> - -<p> -Tutti risero. -</p> - -<p> -Magnafave, un piccolo gobbo, scemo e bleso, -unendo insieme l'indice della mano destra con -quello della sinistra, e impuntandosi su le sillabe, -disse: -</p> - -<p> -— Ca... ca... ca... Candia... la... la... Cinigia... -</p> - -<p> -E seguitò a gesticolare e a balbettare con -un'aria furbesca, per indicare che Candia e la -Cinigia erano comari. Tutti, a quella vista, si -contorcevano nell'ilarità. -</p> - -<p> -Candia rimase un momento smarrita, co 'l bicchiere -in mano. Poi, d'un tratto, comprese. — Non -credevano alla sua innocenza. L'accusavano -di aver riportato il cucchiaio d'argento segretamente, -d'accordo con la strega, per non aver guai. -</p> - -<p> -Un impeto cieco di collera allora la invase. -Ella non trovava parole. Si gittò su 'l più debole, -su 'l piccolo gobbo, a tempestarlo di pugni -e di graffi. La gente, con una gioia crudele, in -cospetto di quella lotta, schiamazzava a torno in -cerchio, come dinanzi a un combattimento d'animali; -ed aizzava le due parti con le voci e con -le gesticolazioni. -</p> - -<p> -Magnafave, sbigottito da quella furia improvvisa, -<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span> -cercava di fuggire, sgambettando come uno -scimmiotto; e, tenuto dalle mani terribili della -lavandaia, girava con rapidità crescente, come -un sasso nella fionda, sinchè cadde con gran veemenza -bocconi. -</p> - -<p> -Alcuni corsero a rialzarlo. Candia si allontanò -tra i sibili; andò a chiudersi in casa; si gittò a -traverso il letto, singhiozzando e mordendosi le -dita, pe 'l gran dolore. La nuova accusa le coceva -più della prima, tanto più ch'ella si sentiva -capace di quel sotterfugio. — Come discolparsi -ora? Come chiarire la verità? — Ella si disperava, -pensando di non poter addurre in discolpa -difficoltà materiali che avessero potuto impedire -l'esecuzione dell'inganno. L'accesso al cortile era -facilissimo: una porta, non chiusa, corrispondeva -al primo pianerottolo della scalinata grande; per -togliere l'immondizie o per altre bisogne una -quantità di gente entrava ed usciva liberamente -da quella porta. Dunque ella non poteva chiudere -la bocca agli accusatori dicendo: — Come avrei -fatto ad entrare? — I mezzi per condurre a termine -l'impresa erano molti ed agevoli; e su questa -agevolezza si fondava la credenza popolare. -</p> - -<p> -Candia allora cercò differenti argomenti di persuasione; -aguzzò l'astuzia; imaginò tre, quattro, -<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span> -cinque casi diversi per spiegare come mai si -trovasse il cucchiaio nella buca del cortile; ricorse -ad artifizi e a cavilli d'ogni genere; sottilizzò -con una ingegnosità singolare. Poi si mise -a girare per le botteghe, per le case, cercando -in tutti i modi di vincere l'incredulità delle persone. -Le persone ascoltavano quei ragionamenti -capziosi, dilettandosi. In ultimo dicevano: -</p> - -<p> -— Va bene! Va bene! -</p> - -<p> -Ma con tal suono di voce che Candia rimaneva -annichilita. — Tutte le sue fatiche dunque -erano inutili! Nessuno credeva! Nessuno credeva! — Ella, -con una pertinacia mirabile, tornava -all'assalto. Passava le notti intere pensando -sempre a trovar nuove ragioni, a costruire nuovi -edifizi, a superare nuovi ostacoli. E a poco a poco, -in questo continuo sforzo, la sua mente s'indeboliva, -non sosteneva più altro pensiero che non -fosse quello del cucchiaio, non avea quasi più -consapevolezza della vita comune. Più tardi, -per la crudeltà della gente, una vera manìa prese -il cervello della povera donna. -</p> - -<p> -Ella, trascurando le sue bisogne, s'era ridotta -quasi alla miseria. Lavava male i panni, li perdeva, -li faceva strappare. Quando scendeva alla -riva del fiume, sotto il ponte di ferro, dove erano -<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span> -raccolte le altre lavandaie, a volte si lasciava -fuggir di mano le tele che rapiva per sempre -la corrente. Parlava continuamente, senza stancarsi -mai, della medesima cosa. Per non udirla, -le lavandaie giovani si mettevano a cantare e la -beffavano nei canti con rime improvvise. Ella -gridava e gesticolava, come una pazza. -</p> - -<p> -Nessuno più le dava lavoro. Per compassione -le antiche clienti le mandavano qualche cosa da -mangiare. A poco a poco ella si abituò a mendicare. -Andava per le strade, tutta cenciosa, curva -e disfatta. I monelli le gridavano dietro: -</p> - -<p> -— Mo' dicci la storia de la cucchiara, che nun -la sapemo, zi' Ca'! -</p> - -<p> -Ella fermava i passanti sconosciuti, talvolta, -per raccontare la storia e per arzigogolare su -la discolpa. I giovinastri la chiamavano e per un -soldo le facevano fare tre, quattro volte la narrazione; -sollevavano difficoltà contro gli argomenti; -ascoltavano sino alla fine, per poi ferirla con una -sola parola. Ella scoteva il capo; passava oltre; -si univa alle altre femmine mendicanti e ragionava -con loro, sempre, sempre, infaticabile, invincibile. -Prediligeva una femmina sorda, che -aveva su la pelle una sorta di lebbra rossastra -e zoppicava da un piede. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span> -</p> - -<p> -Nell'inverno del 1874 la colse una febbre maligna. -Fu assistita dalla femmina lebbrosa. Donna -Cristina Lamonica le mandò un cordiale e un -cassetto di brace. -</p> - -<p> -L'inferma, distesa su 'l giaciglio, farneticava -del cucchiaio; si levava su i gomiti, tentava di -agitar le mani, per secondare la perorazione. -La lebbrosa le prendeva le mani e la riadagiava -pietosamente. -</p> - -<p> -Nell'agonia, quando già gli occhi ingranditi sì -velavano come per un'acqua torbida che vi salisse -dall'interno, Candia balbettava: -</p> - -<p> -— No so' stata io, signó... vedete... perchè... -la cucchiara... -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span></p> - -<h2 id="fattura">LA FATTURA.</h2> -</div> - -<p> -Quando nella piazza comunale strepitavano -consecutivamente i sette starnuti di Mastro Peppe -De Sieri, detto La Bravetta, tutti gli abitanti di -Pescara sedevano alle mense e incominciavano -il pasto. Sùbito dopo, la campana vibrava i tocchi -del mezzodì. Un'ilarità unanime propagavasi -nelle case. -</p> - -<p> -Per molti anni La Bravetta diede al popolo -pescarese questo giocondo segnale cotidiano; e -la fama delle sue meravigliose starnutazioni si -sparse per il contado in torno e per le terre finitime. -Ancora tra il buon volgo la memoria n'è -viva e, fermata in un proverbio, durerà lungamente -nei tempi a venire. -</p> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Mastro Peppe La Bravetta era un plebeo di -alquanta corpulenza, tozzo, con la faccia piena di -una prospera stupidezza, con gli occhi simili a -<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span> -quelli d'un vitello poppante, con mani e piedi di -straordinaria espansione. E come aveva un naso -molto lungo e carnoso e singolarmente mobile, -e come aveva le mascelle forti, egli nel ridere -e nello starnutire pareva una di quelle foche a -proboscide, che in conseguenza della pinguedine -tremano tutte come una gelatina, secondo narrano -i marinai. Anche di quelle foche egli aveva -la pigrizia, la lentezza dei movimenti, la ridicolezza -delle attitudini, l'amore del sonno. Non poteva -passare dall'ombra al sole o dal sole all'ombra, -senza che un irresistibile impeto d'aria gli -rompesse per la bocca e per le narici. Lo strepito, -in ispecie nelle ore tranquille, udivasi a -gran distanza; e poichè si produceva in periodi determinati, -serviva d'orario a quasi tutti i cittadini. -Mastro Peppe nella sua gioventù aveva tenuto -negozio di maccheroni; ed era cresciuto in una -dolce balordaggine, tra le belle frange di pasta, -tra il rumore eguale dei buratti e delle ruote, -fra il tepore dell'aria invasa dal polverìo delle -farine. Nella maturità egli s'era legato in nozze -con una tal Donna Pelagia, del comune dei Castelli, -e da allora, abbandonato il mestiere alimentario, -aveva preso a rivendere stoviglie di -maiolica e di terracotta, orci, piatti, boccali, tutto -<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span> -lo schietto vasellame fiorito di cui gli artefici castellesi -allietano le mense della terra d'Abruzzi. -Tra la rusticità e quasi direi la religiosità di -quelle forme immutate da secoli e immutabili, -egli viveva molto semplicemente, starnutando. E -come la moglie era avara, a poco a poco l'avarizia -conquistava e avviluppava anche l'animo -di lui. -</p> - -<p> -Ora, possedeva egli su la destra riva del fiume -un podere con una casa rurale, proprio in quel -punto ove la corrente rivolgesi formando quasi -un verde anfiteatro lacustre. Ivi il terreno irriguo -rendeva, più che uve e cereali, gran copia d'erbaggi; -il frutteto si moltiplicava; e un porco si -impinguava annualmente, sotto una quercia ricca -di ghiande. In ogni gennaio La Bravetta andava -insieme con la moglie al podere, trattenendovisi -co 'l favore di sant'Antonio, per assistere all'occisione -e alla salatura del porco. -</p> - -<p> -Avvenne una volta che, essendo la moglie -alquanto inferma, La Bravetta andò solo ad invigilare -il supplicio. -</p> - -<p> -Sopra una tavola ampia l'animale, tenuto da -due o tre coloni, fu scannato con un coltello -forbitissimo. Risonarono i grugniti per tutta la -solitudine fluviatile; poi subitamente divennero -<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span> -fiochi, si persero nel gorgogliare caldo e vermiglio -del sangue che sgorgava dalla ferita slabbrante, -mentre il gran corpo dava gli ultimi tratti. -Il sole del novello anno beveva dalla riviera e -dalle terre umide la nebbia. La Bravetta guardava, -con una sorta di dilettosa ferocia, l'occisor -Lepruccio bruciare con un ferro rovente gli occhi -del porco profondati nel grasso; e gioiva, udendo -stridere i bulbi, al pensiero del molto lardo e del -molto prosciutto futuro. -</p> - -<p> -L'occiso fu sollevato, a forza di braccia, sino -all'uncino d'una sorta di forca rusticale, e rimase -péndulo con la testa in basso. Ivi con fasci di -canne accese i coloni arsero tutte le setole; le -fiamme crepitavano quasi invisibili alla maggior -luce del giorno. Lepruccio in ultimo con una lama -lucida si diede a raschiar quel corpo nerastro -che un altr'uomo intanto aspergeva d'acqua bollente. -La pelle, a mano a mano divenendo netta -e tutta di un dubbio pallor roseo, fumigava nel -sole. E Lepruccio, che aveva una faccia rugosa -e untuosa di vecchia femmina con le campanelle -d'oro agli orecchi, stringeva le labbra nella bisogna, -allungandosi ed accorciandosi, giocando -su i ginocchi. -</p> - -<p> -Quando l'opera fu fornita, Mastro Peppe ordinò -<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span> -che i coloni deponessero il porco in un -luogo coperto. Mai, negli altri anni, più meravigliosa -mole di carni egli aveva veduto; e si -rammaricava in cuor suo che la moglie non ivi -fosse a rallegrarsene. -</p> - -<p> -Allora (cadeva il pomeriggio) sopraggiunsero -Matteo Puriello e Biagio Quaglia, amici, i quali -venivano dalla prossima casa di Don Bergamino -Campione, prete dato alla mercatura. Erano costoro -gente di gaia vita, ricchi di consiglio, dediti -alla crapula, vaghi d'ogni sollazzo; e, poichè -avean saputo l'occisione del porco e l'assenza -di Donna Pelagia, sperando in una qualche bella -avventura venivano a tentar La Bravetta. -</p> - -<p> -Matteo Puriello, detto Ciávola, era un uomo -in su i quarant'anni; cacciatore clandestino; -alto e segaligno, con i capelli biondastri, la pelle -del viso giallognola, i baffi duri e tagliati come -una spazzola, tutta la testa avente l'aspetto di -una effige di legno su cui fosse rimasta una -traccia lievissima dell'antica doratura. I suoi -occhi, tondi, vivi e mobili quasi per inquietudine -come quelli delle bestie corritrici, lucevano simili -a due monete nuove. In tutta la persona, vestita -quasi sempre di un certo panno di color -terrigno, egli aveva le attitudini, i movimenti, -<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span> -il passo dondolante di quei lunghi cani barbareschi -che pigliano le lepri a corsa per le pianure. -</p> - -<p> -Biagio Quaglia, detto il Ristabilito, era in vece -di statura mediocre, d'alcuni anni più giovane, -rubicondo nella faccia e tutto gemmante come -un mandorlo a primavera. Egli aveva una singolar -virtù scimiatica di muovere indipendentemente -gli orecchi e la pelle della fronte e la -pelle del cranio, per non so che vivacità di muscoli: -e aveva una tale versatilità di aspetti e -una tal felice potenza vocale di contraffazioni e -così prontamente sapeva cogliere il lato ridevole -degli uomini e delle cose e in un sol gesto -o in un sol motto rappresentarlo che tutte le brigate -pescaresi per amor di allegria lo chiamavano -e convitavano. Egli, in questa dolce vita -parassitica, prosperava, sonando la chitarra alle -mense nuziali e alle pompe dei battesimi. I suoi -occhi brillavano come quelli d'un furetto. Il suo -cranio era coperto d'una sorta di lanugine simile -a quella del corpo spiumato di un'oca grassa che -ancora sia da abbrustolire. -</p> - -<p> -Or dunque La Bravetta, come vide i due amici, -li accolse con cera festevole, dicendo loro: -</p> - -<p> -— Qualu vente ve porte? -</p> - -<p> -E quindi, poi che le accoglienze oneste e liete -<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span> -furono iterate, egli traendoli nella stanza dove -su una tavola giaceva il mirabile porco, soggiunse: -</p> - -<p> -— Che dicete de 'sta bellezze? Eh? Mo che -ve pare? -</p> - -<p> -I due amici contemplavano il porco con una -silenziosa meraviglia; e il Ristabilito faceva un -cotal suo rumore con la lingua contro il palato. -Ciávola chiese: -</p> - -<p> -— E che ce ne vuo' fa'? -</p> - -<p> -— Le vuojie salà — rispose La Bravetta con -una voce in cui sentivasi fremere tutta la ghiotta -gioia per le future delizie della gola. -</p> - -<p> -— Le vuo' salà? — gridò d'improvviso il Ristabilito, — le -vuo' salà? — Ma, o Cià, si viste -ma' 'n'ommene chiù stupide di custù? A farse -scappa l'uccasïone! -</p> - -<p> -La Bravetta, stupito, guardava con i suoi occhi -vitulini ora l'uno ora l'altro degli interlocutori. -</p> - -<p> -— Donna Pelagge t'ha sempre tenute assuggette — continuò -il Ristabilito. — Sta vote che -esse nen te guarde, vínnete lu porche; e magnémece -li quatrine. -</p> - -<p> -— Ma Pelagge? Ma Pelagge? — balbettava -La Bravetta, a cui il fantasma della moglie irata -dava già uno sbigottimento immenso. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span> -</p> - -<p> -— E tu dijie ca lu porche te se l'hanne arrubbate — fece -il biondo Ciávola, con un vivo gesto -d'impazienza. -</p> - -<p> -La Bravetta inorridì. -</p> - -<p> -— E coma facce a riì a la case nghe sa nutizie? -Pelagge nen me crede; me cacce, me mene... -Vu nen le sapete chi è Pelagge? -</p> - -<p> -— Uh, Pelagge! Uh, uh, Donna Pelagge! — squittirono -in coro motteggiando i due insidiatori. -E il Ristabilito, subito, imitando la voce -piagnucolosa di Peppe e la voce acuta e stridula -della donna, rappresentò una scena di comedia -in cui Peppe era garrito e sculacciato come un -bamboletto. -</p> - -<p> -Ciávola rideva sgambettando in torno al porco, -senza potersi reggere. Il beffato, preso da un -violento impeto di starnuti, agitava le braccia -verso l'atto, volendo forse interrompere. Al -frastuono i vetri della finestra tremavano. I -fuochi dell'occaso percotevano i tre diversi volti -umani. -</p> - -<p> -Come il Ristabilito tacque, Ciávola disse: -</p> - -<p> -— Mbé, jamocénne! -</p> - -<p> -— Se vulete cenà nghe me... — offerse, a bocca -stretta, Mastro Peppe. -</p> - -<p> -— No, no, bello mio — interruppe Ciávola -<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span> -volgendosi verso l'uscio. — Tu súghete Pelagge -e sálate lu porche. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Camminarono gli amici lungo la riva del fiume. -</p> - -<p> -In lontananza le barche di Barletta cariche di -sale scintillavano come edifizi di preziosi cristalli; -e da Montecorno un serenissimo albore -spandevasi nella rigidità delle aure, ripercotevasi -dalla limpidità delle acque. -</p> - -<p> -Disse il Ristabilito al Ciávola, soffermandosi: -</p> - -<p> -— Cumbà, ce vuléme arrubbà sstanotte lu -porche? -</p> - -<p> -Disse il Ciávola: -</p> - -<p> -— Eccome? -</p> - -<p> -Disse il Ristabilito: -</p> - -<p> -— Le sacce i' come, si lu porche arremane addó -l'avéme viste. -</p> - -<p> -Disse Ciávola: -</p> - -<p> -— Embé, facémele! Ma, dapù? -</p> - -<p> -Il Ristabilito si soffermò di nuovo. I suoi piccoli -occhi brillavano come due carbuncoli schietti; -la sua faccia florida e rubiconda tra le orecchie -faunesche vibrava tutta in una smorfia di gioia. -Egli fece, laconico: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span> -</p> - -<p> -— Le sacce i'. -</p> - -<p> -Veniva da lungi in contro ai due Don Bergamino -Camplone, nero in tra la pioppaia ignuda -e argentea. Subito che i due lo scorsero, sollecitarono -il passo verso di lui. E il prete, veduta -la lor cera giuliva, dimandò sorridendo: -</p> - -<p> -— Che me dicéte de bbelle? -</p> - -<p> -Comunicarono gli amici in brevi parole il lor -proposito a Don Bergamino, il quale assentì con -molto rallegramento. E il Ristabilito soggiunse, -a bassa voce: -</p> - -<p> -— Aqquà avéme da fa' li cose a la furbesca -maniere. Vu sapete ca Peppe, da quande s'ha -pijiate chella brutta vijecchie de Donna Pelagge, -s'ha fatte avare; e lu vine je piace assa'. 'Mbè, -jémele a pijà e purtémele a la taverne d'Assaù. -Vu, Don Bergamine, détece a beve a tutte e -paghéte sempre vu. Peppe bevarrà quante chiù -putarrà, senza caccià quatrine; e se pijarà 'na -bona parrucche. Accuscì nu, dapù, putéme fa' -mejie l'affare nuostre. -</p> - -<p> -Lodò Ciávola il consiglio del Ristabilito, e il -prete s'accordò. Andarono insieme verso la casa -dell'uomo, distante due tiri di fucile; e quando -furono da presso, Ciávola diede la voce: -</p> - -<p> -— Ohe, La Bravettaa! Vuo' venì a la taverne -<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span> -d'Assaù? Ce sta lu prévete aqquà che ce paghe -na carráfe. Oheee! -</p> - -<p> -La Bravetta non pose indugio a discendere -su 'l sentiero, e tutti e quattro camminarono in -fila, motteggiando, sotto il chiarore della nuova -luna. Nella serenità il miagolío de' gatti presi -d'amore saliva ad intervalli. E il Ristabilito fece: -</p> - -<p> -— O Pe', nen siente Pelagge che t'archiame? -</p> - -<p> -In su la sinistra riva splendevano i lumi della -taverna d'Assaù ripercossi dall'acqua. Ora, come -il corso del fiume era ivi per solito assai dolce, -Assaù teneva un paliscalmo per traghettare gli -avventori. Alle voci, si mosse infatti il paliscalmo -e venne per l'acqua luminosa a prendere i sopraggiunti. -Quando tutti i quattro salirono, tra -amichevoli clamori, Ciávola con le sue lunghe -gambe prese a far traballare e scricchiolare il -legno per atterrire La Bravetta che in mezzo -all'umidità fluviale fu assalito da un nuovo impeto -di starnutazioni. -</p> - -<p> -Ma nella taverna, in torno a un desco di quercia, -gli amici moltiplicarono le risa e i clamori. -Ognuno mesceva da bere all'insidiato, a cui quel -buon vermiglio succo delle vigne spoltoresi, brusco, -quasi frizzante, ricco di sapore e di colore, -scendeva agevolmente nel gorgozzúle. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span> -</p> - -<p> -— 'N'atra carráfe! — ordinava Don Bergamino, -battendo il pugno in su 'l desco. -</p> - -<p> -Assaù, un uomo tutto bestialmente villoso fin -sotto gli occhi e di gambe storto, recava le caraffe -arrubinate. Ciávola canticchiava una canzone -di molta libertà bacchica, percotendo in -ritmo il vetro dei bicchieri. La Bravetta, con la -lingua già impedita, con gli occhi già natanti -nella favolosa gioia del vino, balbettava non so -che laudi del suo bel porco e teneva il prete -per la manica affinchè ascoltasse. Sopra di loro -pendevano dalla vôlta lunghe corone di poponelle -d'acqua verdegialle; le lucerne mal nutrite -d'olio fumigavano. -</p> - -<p> -Era buona ora di notte quando gli amici ripassarono -il fiume, alla luna occidua. Nel discendere -su la riva Mastro Peppe fu lì lì per cadere -tra la melma, tanto egli aveva le gambe malferme -e la vista torbida. -</p> - -<p> -Disse il Ristabilito: -</p> - -<p> -— Facéme 'n' ópera bbone. Arpurtéme a la -case custù. -</p> - -<p> -E il ricondussero, sorreggendolo alle ascelle, -su per la pioppaia. Balbettava l'ebro, travedendo -i tronchi biancicanti nella notte: -</p> - -<p> -— Uh, quanta frate duminicane!... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span> -</p> - -<p> -E Ciávola: -</p> - -<p> -— Vann' a la cerche pe' sant'Antuone. -</p> - -<p> -E l'ebro, dopo un poco: -</p> - -<p> -— O Leprucce, Leprucce, sette rótole de sale -n'abbaste. Coma facéme? -</p> - -<p> -Giunti all'uscio di casa, i tre congiurati se ne -andarono. Mastro Peppe salì a grande stento -la scaletta, sempre farneticando di Lepruccio e -del sale. Poi, senza rammentarsi d'aver lasciato -aperto l'uscio, si gittò in su 'l letto pesantemente -tra le braccia del sonno, e inerte vi rimase. -</p> - -<p> -Ciávola e il Ristabilito, come ebbero avuto -ristoro alla cena di Don Bergamino, muniti di -certi ordigni ritorti, se ne vennero cautamente all'impresa. -Era il cielo, dopo l'occaso della luna, -tutto smagliante di stelle; e un maestraletto gelido -andava soffiando per la solitudine. I due avanzarono -in silenzio, tendendo l'orecchio, soffermandosi -ad ora ad ora; e tutte le virtù venatorie -e le agilità di Matteo Puriello in quell'occorrenza -si esercitavano. -</p> - -<p> -Quando essi giunsero alla mèta, il Ristabilito -a pena potè trattenere una esclamazione di gioia -accorgendosi dell'uscio aperto. Una perfetta quiete -regnava nella casa, se non che si udiva il profondo -russare del dormiente. Ciávola salì primo -<span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span> -le scale, seguito dall'altro. Ambedue, al fievolissimo -lume che entrava pe' vetri, scorsero subito -la forma vaga del porco in su la tavola. -Con infinita cautela sollevarono il peso e pianamente -lo trassero fuori a gran forza di braccia. -Stettero quindi in ascolto. Un gallo d'improvviso -cantò e altri galli risposero dalle aie, consecutivamente. -</p> - -<p> -Allora i due gai ladroni si misero pe 'l sentiero, -con il porco in su le spalle, ridendo d'un riso lungo -e silenzioso; e a Ciávola pareva d'essere giù -per una bandita recando un grosso capo di selvaggina -predata. Come il porco era assai greve, -essi giunsero alla casa del prete alenanti. -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -La mattina Mastro Peppe, avendo digerito il -vino, si risvegliò; e stette su 'l letto un poco -ad allungar le membra e ad ascoltare le campane -che salutavan la vigilia di Sant'Antonio. -Egli già, in mezzo alla confusione del primo risvegliarsi, -sentiva nell'animo espandersi la contentezza -del possesso, e pregustava il diletto di -veder Lepruccio mettere in pezzi e coprir con -sale le pingui carni suine. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span> -</p> - -<p> -Spinto da questo pensiero, egli si levò; e con -sollecitudine uscì su 'l pianerottolo, stropicciandosi -gli occhi per meglio guardare. Su la tavola -non rimaneva se non qualche macchia sanguigna, -e sopra vi rideva il sole virginalmente. -</p> - -<p> -— Lu porche? Addó sta lu porche? — gridò, -con una voce rauca, il derubato. -</p> - -<p> -Una furibonda agitazione l'invase. Egli discese -le scale, vide l'uscio aperto, si percosse la fronte, -irruppe fuori urlando, chiamando in torno a sè i -lavoratori, chiedendo a tutti se avessero visto il -porco, se l'avessero preso. Egli moltiplicava le -querele, sollevava ognora più le voci; e il doloroso -schiamazzo, risonando per tutta la riviera, -giunse fino agli orecchi di Ciávola e del Ristabilito. -</p> - -<p> -Se ne vennero dunque costoro placidamente, -in accordo, per godersi lo spettacolo e per continuare -la beffa. E come furono giunti in vista, -Mastro Peppe, rivolgendosi a loro, tutto dolente -e lacrimante, esclamò: -</p> - -<p> -— Uh, pover'a me! Me l'hann'arrubbate lu -porche! Uh, pover'a me! E coma facce mo? -E coma facce? -</p> - -<p> -Biagio Quaglia stette un poco a considerare -l'aspetto dell'infelicissimo, con socchiusi gli occhi -<span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span> -tra la canzonatura e l'ammirazione, con china -la testa verso una spalla, quasi in atto di giudicare -un effetto d'arte mimetica. Poi, accostatosi, -fece: -</p> - -<p> -— Eh, sì, sì.... nen ze po' di' de no.... Tu le -fi' bbone la parte. -</p> - -<p> -Peppe, non comprendendo, levò la faccia tutta -solcata di gocciole. -</p> - -<p> -— E, sì, sì.... sta vote li si fatte proprie da -furbe — seguitò il Ristabilito, con una cert'aria -di confidenza amichevole. -</p> - -<p> -Peppe, non comprendendo ancora, levò di -nuovo la faccia; e le lacrime negli occhi pieni -di stupore gli si arrestarono. -</p> - -<p> -— Ma, pe' di' la verità, accuscì maleziose nen -te credeve — riprese a dire il Ristabilito. — Brave! -brave! Me rallegre! -</p> - -<p> -— Ma tu che dice? — dimandò tra i singhiozzi -La Bravetta. — Ma tu che dice? Uh, pover'a me! -E coma facce mo a rijì a la case? -</p> - -<p> -— Brave! brave! Bena! — incalzava il Ristabilito. — Dajie -mo! Strilla forte! Piagne forte! -Tirete li capille! Fatte sentì! Accuscì! Falle créde'. -</p> - -<p> -E Peppe, piangendo: -</p> - -<p> -— Ma i' diche addavére ca me se l'hann'arrubbate. -Uh die! Pover'a me! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span> -</p> - -<p> -— Dajie! Dajie! Nen te fermà. Quante chiù tu -strilla, chiù te nome créde. Dajie! Angóre! Angóre! -</p> - -<p> -Peppe, fuor di sè pe 'l dispetto e pe 'l dolore, -sacramentava ripetendo: -</p> - -<p> -— I' diche addavére. Che me pozza murì, mo, -sùbbite, se lu porche nen me se l'hann'arrubbate! -</p> - -<p> -— Uh, povere 'nnucende! — squittì per ischerno -Ciávola. — Mettéteje lu ditucce 'mmocche. Coma -putéme fa' a crédete, se jere avéme viste lu porche -a là? Sant'Andonie j'ha date li 'scelle pe' vula? -</p> - -<p> -— Sant'Andonie bbenedette! È coma diche i'. -</p> - -<p> -— Ma po' esse? -</p> - -<p> -— Accuscì è. -</p> - -<p> -— Ma nen è cuscì. -</p> - -<p> -— È cuscì. -</p> - -<p> -— No. -</p> - -<p> -— Uh, uh, uh! È cuscì! È cuscì! I' so' mmorte. -I' nen sacce coma pozze fa' a rijì a la case. Pelagge -nen me crede; e se ppure me crede, nen -me dà chiù pace... I' so' mmorte! -</p> - -<p> -— 'Mbè, ce vuléme créde — concluse il Ristabilito. — Ma -bbade, Pe', ca Ciávule a jere -t'ha 'nzegnate lu juchette. E i' nen vulesse ca tu -gabbísse a Pelagge e a nu, tutte 'na vote. Tu -fusse capace... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span> -</p> - -<p> -Allora La Bravetta ricominciò a piangere, a -gridare, a disperarsi con una così pazza irruzion -di dolore, che il Ristabilito per pietà soggiunse: -</p> - -<p> -— 'Mbé, statte zitte. Te credéme. Ma, se è -vere su fatte, s'ha da truvà 'na maniere pe' armedià. -</p> - -<p> -— Quala maniere? — dimandò subito, rasserenandosi -tra le lacrime, La Bravetta, nel cui -animo la speranza risorgeva. -</p> - -<p> -— Ecc'a qua — propose Biagio Quaglia. — Certe, -une di quille che stanne pe' qua attorne -ha avute da esse; pecchè certe n'hanne vinute -dall'India bbasse a pijarse lu porche a te. No, -Pe'? -</p> - -<p> -— Va bbone, va bbone, — assentì l'uomo, -che stava trepido a udire, col naso in alto tutto -ancor pieno d'umor lacrimale. -</p> - -<p> -— Mo dunque (statte attende), — continuò il -Ristabilito che a quella credula attenzione prendeva -diletto, — mo dunque se nisciume ha vinute -dall'India bbasse pe' venirte a rubbà, cert'è -che quaccune di quille che stanne pe' qua attorne -ha avute da esse lu latre. No, Pe'? -</p> - -<p> -— Va bbone, va bbone. -</p> - -<p> -— Mo che s'ha da fa'? S'ha da raunà tutte -sti cafune e s'ha da sprementà cacche fatture -<span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span> -pe' scuprì lu latre. Scuperte lu latre, scuperte lu -porche. -</p> - -<p> -Gli occhi di mastro Peppe brillarono di desiderio; -ed egli si fece più da presso, poichè l'accenno -alla fattura aveva risvegliate in lui le native -superstizioni. -</p> - -<p> -— Tu le sié; ce stanne tre specie de maggie: -la bianche, la rosce e la nere, e ce stanne, tu -le sié, a lu paese tre femmene dell'arte: Rosa -Schiavona, Rusaria Pajara e la Ciniscia. Sta a -te a scejie. -</p> - -<p> -Peppe stette un momento in forse. Poi elesse -Rosaria Pajara che aveva gran fama d'incantatrice -e aveva operato in altri tempi cose mirabili. -</p> - -<p> -— 'Mbé, su, — concluse il Ristabilito, — nen -ce sta tembe da pérde. I' pe' te, propie pe' farte -nu piacere, vajie sine a lu paese a pijà quelle -che ce serve. Parle 'nghe Rusarie, me facce dà -tutte cose, e me n'arvenghe, dentr'a sta matine. -Damme li quatrine. -</p> - -<p> -Peppe si tolse dalla tasca del panciotto tre -carlini ed esitando li porse. -</p> - -<p> -— Tre carline? — gridò l'altro, rifiutandoli. -Tre carline? Ma ce ne vo' pe' lu mene diece. -</p> - -<p> -A sentir questo il marito di Pelagia ebbe quasi -uno sbigottimento. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_356">[356]</span> -</p> - -<p> -— Come? Pe' na fatture, diece carline? — balbettò -egli cercandosi con le dita tremule -nella tasca. — Ècchetene otte. Nen ne tenghe -chiù. -</p> - -<p> -Disse il Ristabilito, secco: -</p> - -<p> -— Va bbone. Quelle che posse fa' facce. Viene -pure tu, Cià? -</p> - -<p> -I due compagni s'incamminarono verso Pescara, -di buon passo, pe 'l sentiero degli alberi, -l'uno innanzi, l'altro dietro. E Ciávola picchiava -gran colpi di pugno su la schiena del Ristabilito, -per dimostrare la sua allegrezza. Come -essi giunsero al paese, si recarono nella bottega -di un tal Don Daniele Pacentro speziale con cui -erano in familiarità; ed ivi comperarono certi -aròmati e droghe, facendone quindi comporre -pallottole a guisa di pillole grosse, come noci, -ben coperte di zucchero, sciloppate e cotte. Subito -che lo speziale ebbe compiuta l'operazione, -Biagio Quaglia (il quale nel frattempo era stato -assente) tornò con una carta piena d'escrementi -secchi di cane; e di quelli escrementi volle che -lo speziale componesse due belle pillole, in tutto -simili alle altre per la forma, se non che confettate -prima in aloe e poi coperte leggermente -di zucchero. Così lo speziale fece; e, perchè -<span class="pagenum" id="Page_357">[357]</span> -queste dalle altre si riconoscessero, vi mise, per -consiglio del Ristabilito, un piccolo segno. -</p> - -<p> -I due ciurmadori ripresero la via della campagna, -e furono alla casa di Mastro Peppe in -su l'ora di mezzodì. Mastro Peppe stava con -molto affanno aspettando. A pena vide sbucare -di tra le alberelle il corpo lungo e sottile di Ciávola, -gridò: -</p> - -<p> -— Mbé? -</p> - -<p> -— Tutte è all'ordene — rispose in suon di -trionfo il Ristabilito, mostrando il cofano delle -confetture incantate. — Mo tu, già che ogge -è la viggilie de Sant'Andonie e li cafune fanne -feste, arhunisce tutte quante all'are per dajie a -beve. Tu hi da tené na certe butticelle de Montepulciane. -Mitte mane a quelle pe' ogge! E -quande tutte stanne bene arhunite, penze i' a fa' -e a dice tutte quelle che s'ha da fa' e s'ha da di'. -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Dopo due ore, come il pomeriggio era tiepido -e chiarissimamente sereno, avendo La Bravetta -fatto correre la voce, se ne vennero all'invito i -coltivatori e i massai dei dintorni. Nell'aia si -levavano alti mucchi di paglia, che percossi -<span class="pagenum" id="Page_358">[358]</span> -dal sole ornavansi d'un glorioso colore d'oro; -quivi una torma di oche andava schiamazzando, -bianca, lenta, con larghi becchi aranciati, chiedendo -di nuotare; gli odori dello stabbio giungevano -ad intervalli. E tutti quelli uomini rusticani, -aspettando di bere, motteggiavano, tranquilli, -su le loro gambe in arco difformate dalle -rudi fatiche: alcuni con volti rugosi e rossastri -come vecchi pomi, con occhi resi miti dalla lunga -pazienza o resi vivi dalla lunga malizia; altri con -barbe nascenti, con attitudini di gioventù, con -nelle vesti rinnovate una manifesta cura d'amore. -</p> - -<p> -Ciávola e il Ristabilito non si fecero molto -attendere. Tenendo in una mano la scatola delle -confetture, il Ristabilito ordinò che tutti si mettessero -in cerchio; e, stando egli nel mezzo, fece -una breve concione, non senza una certa gravità -di voce e di gesti. -</p> - -<p> -— Bon'uómmene! — disse — nisciune de vu, -certe, sa pecche propie Mastre Peppe De Siere -v'ha chiamate a qua... -</p> - -<p> -Un moto di stupore, a questo strano preambolo, -si propagò in tutte le bocche degli ascoltanti; -e la letizia pe 'l promesso vino si mutò in -una inquietudine di diversa espettazione. Continuava -l'oratore: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_359">[359]</span> -</p> - -<p> -— Ma, seccome po' succéde caccosa bbrutte -e vu ve putassáte lagnà de me, ve vojie dice de -che se tratte, prima de fa' la spirienze. -</p> - -<p> -Gli ascoltanti si guardavano l'un l'altro negli -occhi, con un'aria smarrita; e quindi rivolgevano -lo sguardo curioso e incerto al cofanetto che -l'oratore teneva in una mano. Un d'essi, poichè -il Ristabilito faceva pausa per considerare l'effetto -delle parole, esclamò impaziente: -</p> - -<p> -— Ebbè? -</p> - -<p> -— Mo, mo, bell'uómmene mi'. La notta passate -s'hann'arrubbate a Mastre Peppe nu bbone -porche che s'ave' da salà. Chi ha state lu latre, -nen ze sa; ma cert'è ca s'ha da truvà -miezze a vu' áutre, pecchè nisciune venéve dall'India -bbasse p' arrubbarse lu porche a Mastre -Peppe! -</p> - -<p> -Fosse un giocondo effetto di questo peregrino -argomento dell'India o fosse l'azione del tiepido -sole, La Bravetta cominciò a starnutire. I villici -si fecero in dietro; la tribù delle oche si disperse, -sbigottita; e sette starnutazioni consecutive risonarono -liberamente nell'aria, turbando la pace -rurale. L'ilarità risorse negli animi, a quel fragore. -L'adunanza, dopo un poco, si ricompose. -Il Ristabilito continuò, sempre grave: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_360">[360]</span> -</p> - -<p> -— Pe' scuprì lu latre Mastre Peppe ha pensate -de darve a magnà certe bbone cunfette e -de darve a bere nu certe Montepulciane viecchie -che j'ha messe mane ogge apposte. Ma pirò -v'ajie da dice na cose. Lu latre, appena se mette -mmocche lu cunfette, se sente la vocche accuscì -amare, accuscì amare c'ha da sputà pe' fforze. Vulete -sprementà? O pure lu latre, pe' nen esse -sbruvegnate, se vo' cunfessà a lu prévete? Bell'uó, -arspunnéte! -</p> - -<p> -— Nu vuléme magna e beve — risposero -quasi in coro gli adunati. E un movimento incerto -corse fra quella gente semplice. Ognuno, guardando -il compagno, aveva negli occhi una punta -d'investigazione. Ognuno, naturalmente, poneva -nel ridere una tal quale ostentazione di spontaneitá. -</p> - -<p> -Disse Ciávola: -</p> - -<p> -— V'avete da mette tutt'a ffile, pe' la sprïenze. -Nisciune s'ha da puté nnascónne. -</p> - -<p> -Ed egli, quando tutti furono disposti, prese il -fiasco e i bicchieri, apprestandosi a mescere. Il -Ristabilito si fece dall'un de' capi, e cominciò a -distribuire pianamente i confetti che sotto le gagliarde -dentature dei villani scricchiolavano e -sparivano in un attimo. Come egli giunse a Mastro -<span class="pagenum" id="Page_361">[361]</span> -Peppe, prese uno dei confetti canini e glielo -porse; e seguitò oltre, senza nulla dare a divedere. -</p> - -<p> -Mastro Peppe, che fin allora era stato con i -grandissimi occhi intenti a cogliere in fallo qualcuno, -si gittò in bocca il confetto prestamente, -quasi con cupidigia di goloso, e prese a masticare. -D'un tratto i pomelli delle gote gli salirono -vivamente verso gli occhi, gli angoli della -bocca e le tempie gli si empirono di crespe, la -pelle del naso gli si arricciò, il mento gli si torse -un poco, tutti i lineamenti della sua faccia ebbero -una comune mimica involontaria di orrore; -e una specie di brivido visibile gli corse dalla -nuca per le spalle. E subito, poichè la lingua non -poteva sostenere l'amaro dell'áloe e una resistenza -invincibile saliva dallo stomaco per la gola -ad impedire l'inghiottimento, il malcapitato fu -costretto a sputare. -</p> - -<p> -— Ohe, Mastre Pè, tu che ccazze fiè? — garrì -Tulespre dei Passeri, un vecchio capraro verdastro -e peloso come una tartaruga di palude. -</p> - -<p> -Si rivolse, a quella voce agra, il Ristabilito -che non anche aveva terminato di distribuire. -Però, vedendo La Bravetta tutto contorcersi, -disse con suon di benevolenza: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_362">[362]</span> -</p> - -<p> -— Mbé, quelle forse ere troppe cotte. To'! Ecchene -n'áutre. 'Nglutte, Peppe! -</p> - -<p> -E con due dita gli cacciò in bocca la seconda -pillola canina. -</p> - -<p> -Il pover'uomo la prese; e, sentendo sopra di -sè fissi gli occhi maligni e acuti del capraro, fece -un supremo sforzo per sostener l'amarezza; non -masticò, non inghiottì; stette con la lingua immobile -contro i denti. Ma, come al calore dell'alito -e all'umidore della saliva l'áloe si discioglieva, -egli non poteva più reggere: le labbra -gli si torsero come dianzi; il naso gli si empì -di lacrime; e certe gocciole grosse gli cominciarono -a sgorgare dal cavo degli occhi e a rimbalzar, -come perle scaramazze, giù per le gote. -Alfine, sputò. -</p> - -<p> -— Ohe, Mastre Pé, e mo che ccazze fiè? — garrì -di nuovo il capraro, mostrando in un suo -ghigno le gencive bianchicce e vacue. — Ohe, -e queste mo che signifeche? -</p> - -<p> -Tutti i villici ruppero l'ordine, e attorniarono -La Bravetta; alcuni con risa di beffa, altri con -parole irose. Le ribellioni di orgoglio subitanee e -brutali che ha l'onore della gente campestre, le -severità implacabili della superstizione scoppiarono -d'improvviso in una tempesta di contumelie. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_363">[363]</span> -</p> - -<p> -— Pecché ci si' fatte venì a qua? Pe' jettè la -cólepe a une de nu 'nghe 'na fatture fáuze? Pe' -cujunà a nu? Pecché? Si' fatte male li cunde! -Latre, bbuciarde, nasó, fijie de cane, fijie de puttane! -A nu vu cujunà? Pezze de fesse! Latre! -Nasó! Te vuleme rompe tutte li pignate 'n cocce. -Fijie de puttane! Sangue de Criste, tu! -</p> - -<p> -E si dispersero, dopo aver rotto il fiasco e i -bicchieri, gridando le ultime ingiurie di tra i -pioppi. -</p> - -<p> -Allora rimasero nell'aia Ciávola, il Ristabilito, -le oche e La Bravetta. Questi, pieno di vergogna, -di rabbia, di confusione, con il palato ancora -morso dalla perversità dell'áloe, non poteva profferire -parola. Il Ristabilito stette a considerarlo -crudelmente, percotendo il terreno con la punta -del piede poggiato in su' l tacco, scotendo per -ironia il capo. Ciávola squittì, con un indescrivibile -suon di dileggio: -</p> - -<p> -— Ah, ah, ah, ah! Brave! Brave La Bbravette! -Dicce nu poche; quante ci si' fatte? Diece -ducate? -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_364">[364]</span></p> - -<h2 id="marenghi">I MARENGHI.</h2> -</div> - -<p> -Passacantando entrò, sbattendo forte le vetrate -malferme. Scosse rudemente dalle spalle le gocce -di pioggia; poi si guardò in torno, togliendosi -dalla bocca la pipa e lasciando andare contro il -banco padronale un lungo getto di saliva, con -un atto di noncuranza sprezzante. -</p> - -<p> -Nella taverna il fumo del tabacco faceva come -una gran nebbia turchiniccia, di mezzo a cui si -intravedevano le facce varie dei bevitori e delle -male femmine. C'era Pachiò, il marinaro invalido, -a cui una untuosa benda verde copriva l'occhio -destro infermo d'una infermità ributtante. -C'era Binchi-Banche, il servitore dei finanzieri, -un omiciattolo dal viso giallognolo e rugoso come -un limone senza succo, curvo nella schiena, con -le magre gambe sprofondate negli stivali fino ai -ginocchi. C'era Magnasangue, il mezzano dei -soldati, l'amico degli attori comici, dei giocolieri, -dei saltimbanchi, delle sonnambule, dei domatori -<span class="pagenum" id="Page_365">[365]</span> -d'orsi, di tutta la gentaglia famelica e girovaga -che si ferma nel paese per carpire agli oziosi -un quattrino. E c'erano le belle del Fiorentino: -tre o quattro femmine affloscite nel vizio, con le -guance tinte d'un color di mattone, gli occhi bestiali, -la bocca flaccida e quasi paonazza come -un fico troppo maturo. -</p> - -<p> -Passacantando attraversò la taverna e andò a -sedersi su una panca, tra la Pica e Peppuccia, -contro il muro segnato di figure e di scritture -invereconde. Egli era un giovinastro lungo e -smilzo, tutto dinoccolato, con una faccia pallidissima -da cui sporgeva il naso grosso, rapace, piegato -molto da una parte. Le orecchie gli si spandevano -ai due lati come cartocci sinuosi, l'uno -più grande dell'altro; le labbra, sporgenti, vermiglie, -e d'una certa mollezza di forma, avevano -sempre agli angoli alcune piccole bolle di saliva -bianchicce. Un berretto che l'untuosità rendeva -consistente e malleabile come la cera, gli copriva -i capelli bene curati, di cui una ciocca foggiata -ad uncino scendeva fin su la radice del naso ed -un'altra arrotondavasi su la tempia. Una specie -di oscenità e di lascivia naturale emanava da ogni -attitudine, da ogni gesto, da ogni modulazion di -voce, da ogni sguardo di costui. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_366">[366]</span> -</p> - -<p> -— Ohe, — gridò egli — l'Africana, una fujetta! -— percotendo il tavolo con la pipa d'argilla -che al colpo s'infranse. -</p> - -<p> -L'Africana, la padrona della taverna, si mosse -dal banco verso il tavolo, barcollando per la sua -corpulenza grave; e posò dinanzi a Passacantando -il vaso di vetro colmo di vino. Ella guardava -l'uomo con uno sguardo pieno di supplicazione -amorosa. -</p> - -<p> -Passacantando d'un tratto, dinanzi a lei, cinse -co 'l braccio il collo di Peppuccia costringendola -a bere, e quindi attaccò la bocca a quella -bocca che ancora teneva il sorso del vino e fece -atto di suggere. Peppuccia rideva, schermendosi; -e per le risa il vino mal tracannato spruzzava -la faccia del provocatore. -</p> - -<p> -L'Africana divenne livida. Si ritrasse dietro il -banco. Di mezzo al fumo denso del tabacco le -giungevano gli schiamazzi e le mozze parole di -Peppuccia e della Pica. -</p> - -<p> -Ma la vetrata si aprì. E comparve su la soglia -il Fiorentino, tutto avvolto in un pastrano, come -uno sbirro. -</p> - -<p> -— Ehi, ragazze! — fece con la voce rauca. — È -ora. -</p> - -<p> -Peppuccia, la Pica, le altre si levarono di tra -<span class="pagenum" id="Page_367">[367]</span> -gli uomini che le perseguitavano con le mani e -con le parole; se ne uscirono, dietro il loro padrone, -mentre pioveva e tutto il Bagno era un -lago melmoso. Pachiò, Magnasangue, gli altri anche -se ne uscirono, a uno a uno. Binchi-Banche rimase -disteso sotto una tavola, immerso nel torpore -dell'ebrietà. Il fumo nella taverna a poco a poco -vaniva verso l'alto. Una tortora spennacchiata -andava qua e là beccando le briciole del pane. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Allora, come Passacantando fece per alzarsi, -l'Africana gli mosse in contro, lentamente, con -la persona deforme atteggiata a una lusinghevole -mollezza d'amore. Il gran seno le ondeggiava -da una parte all'altra; ed una smorfia grottesca -le rincrespava la faccia plenilunare. Su la -faccia ella aveva due o tre piccoli ciuffi di peli -crescenti dai nei; una lanugine densa le copriva -il labbro superiore e le guance; i capelli corti, -crespi e duri le formavano su 'l capo una specie -di casco; le sopracciglia le si riunivano alla radice -del naso camuso folte; cosicchè ella pareva -non so qual mostruoso ermafrodito affetto di elefanzia -o di idrope. -</p> - -<p> -Quando fu presso all'uomo, ella gli afferrò la -mano per trattenerlo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_368">[368]</span> -</p> - -<p> -— Oh, Giuvà! -</p> - -<p> -— Che volete? -</p> - -<p> -— I' che t'hajie fatte? -</p> - -<p> -— Voi? Niende. -</p> - -<p> -— E allora pecchè me dai pene e turmende? -</p> - -<p> -— Io? Me facce meravijia... Bona sere! Nen -tenghe tembe da perde, mo. -</p> - -<p> -E l'uomo, con un moto brutale, fece per andarsene. -Ma l'Africana gli si gettò alla persona, -stringendogli le braccia, e mettendogli il volto -contro il volto, ed opprimendolo con tutta la mole -delle carni, per un impeto di passione e di gelosia -così terribilmente incomposto che Passacantando -ne rimase atterrito. -</p> - -<p> -— Che vuo'? Che vuo'? Dimmele! Che vuo'? -Che te serve? Tutte te denghe; ma statte'nghe -me, statte'nghe me. Nen me fa murì di passijone... -nen me fa ì 'n pazzía... Che te serve? Viene! -Píjiate tutte quelle che truove... — Ed ella lo -trasse verso il banco; aprì il cassetto; gli offerse -tutto, con un gesto solo. -</p> - -<p> -Nel cassetto, lucido di untume, erano sparse -alcune monete di rame tra cui luccicavano tre -o quattro piccole monete d'argento. Potevano -essere, insieme, cinque lire. -</p> - -<p> -Passacantando, senza dir nulla, raccolse le monete -<span class="pagenum" id="Page_369">[369]</span> -e si mise a contarle su 'l banco, lentamente, -tenendo la bocca atteggiata al dispregio. L'africana -guardava ora le monete, ora la faccia dell'uomo, -ansando come una bestia stracca. Si udiva -il tintinno del rame, il russare aspro di Binchi-Banche, -il saltellare della tortora, in mezzo al -continuo rumore della pioggia e del fiume giù -per il Bagno e per la Bandiera. -</p> - -<p> -— Nen m'abbaste — disse finalmente Passacantando. — Ce -vo' l'autre. Cacce l'autre, se no -i' me ne vajie. -</p> - -<p> -Egli s'era schiacciato il berretto su la nuca. -Il ciuffo rotondo gli copriva la fronte, e sotto il -ciuffo gli occhi bianchicci, pieni d'impudenza e -d'avarizia, guardavano l'Africana intentamente, -involgendo quella femmina in una specie di fascinazione -malefica. -</p> - -<p> -— I' nen tenghe chiù niende. Tu mi siè spujate. -Quelle che truove, píjiatele... — balbettava l'Africana, -supplichevole, carezzevole, mentre la pappagorgia -e le labbra le tremavano, e le lagrime -le sgorgavano dagli occhietti porcini. -</p> - -<p> -— Mbé, — fece Passacantando, a voce bassa, -chinandosi verso di lei — mbé, e t'acride che -i' nen sacce che maritete tene li marenghe d'ore? -</p> - -<p> -— Oh, Giuvanne... E coma facce pover'ammè? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_370">[370]</span> -</p> - -<p> -— Tu, mo, súbbito, vall'a pijà. I' t'aspett'a qua. -Maritete dorme. Quest'è lu momende. Va; se no -nen m'arvide chiù, pe' Sant'Andonie. -</p> - -<p> -— Oh, Giuvanne... I' tenghe pahure. -</p> - -<p> -— Che pahure e nen pahure! — strillò Passacantando. — Mo -ce venghe pure i'. 'Jame! -</p> - -<p> -L'Africana si mise a tremare. Indicò Binchi-Banche -che stava ancora disteso sotto la tavola, -nel sonno pesante. -</p> - -<p> -— Chiudème prime la porte — ella consigliò, -con sommessione. Passacantando destò con un -calcio Binchi-Banche, che per lo spavento improvviso -cominciò a urlare e a dimenarsi entro -i suoi stivali finchè non fu quasi trascinato fuori, -nella mota e nelle pozzanghere. La porta si chiuse. -La lanterna rossa, che stava appiccata ad una -delle imposte, illuminò la taverna d'un rossore sudicio; -gli archi massicci si disegnarono in ombra -profonda; la scala nell'angolo divenne misteriosa; -tutta l'architettura prese un'apparenza tetra. -</p> - -<p> -— 'Jame! — ripetè Passacantando all'Africana -che ancora tremava. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Ambedue salirono adagio per la scala di mattoni -che sorgeva nell'angolo più oscuro, la femmina -innanzi, l'uomo indietro. In cima alla scala -<span class="pagenum" id="Page_371">[371]</span> -era una stanza bassa, impalcata di travature. -Sopra una parete era incrostata una madonna -di maiolica azzurrognola; e davanti le ardeva -in un bicchiere pieno d'acqua e d'olio un lume, -per voto. Le altre pareti copriva, come una lebbra -multicolore, una quantità d'imagini di carta -in brandelli. L'odore della miseria, l'odore del -calore umano nei cenci, empiva la stanza. -</p> - -<p> -I due ladri si avanzavano verso il letto cautamente. -</p> - -<p> -Stava su 'l letto maritale il vecchio, immerso -nel sonno, respirante con una specie di sibilo -fioco a traverso le gengive senza denti, a traverso -il naso umido e dilatato dal tabacco. La -testa calva posava di sbieco sopra un guanciale -di cotone rigato; su la bocca cava, simile a un -taglio fatto su una zucca infracidita, si rizzavano -i baffi ispidi e ingialliti dal tabacco; e uno degli -orecchi visibile rassomigliava all'orecchio rovesciato -di un cane, essendo pieno di peli, coperto -di bolle, lucido di cerume. Un braccio usciva fuori -delle coperte, nudo, scarno, con grossi rilievi di -vene simili alle gonfiezze delle varici. La mano -adunca teneva un lembo del lenzuolo, per abitudine -di prendere. -</p> - -<p> -Ora, questo vecchio ebete possedeva da tempo -<span class="pagenum" id="Page_372">[372]</span> -due marenghi avuti in lascito non si sa da qual -parente usuraio; e li conservava con gelosa cura -dentro una tabacchiera di corno in mezzo al tabacco, -come alcuni fanno di certi insetti muschiati. -Erano due marenghi gialli e lucenti; ed il vecchio -vedendoli ad ogni momento e ad ogni momento -palpandoli nel prendere tra l'indice e il -pollice l'aroma, sentiva in sè crescere la passione -dell'avarizia e la voluttà del possesso. -</p> - -<p> -L'Africana si accostò pianamente, trattenendo -il respiro, mentre Passacantando la incitava con -i gesti al furto. Si udì per le scale un rumore -Ambedue ristettero. La tortora spennacchiata e -zoppa entrò saltellando nella stanza; trovò il nido -in una ciabatta, a piè del letto maritale. Ma come -ancora, nell'accomodarsi, faceva strepito, l'uomo -con un moto rapido la serrò nel pugno, con una -stretta la soffocò. -</p> - -<p> -— Ci sta? — chiese all'Africana. -</p> - -<p> -— Sì, ci sta, sott'a lu cuscine... — rispose -quella mentre insinuava sotto il guanciale la mano. -</p> - -<p> -Il vecchio, nel sonno, si mosse, mettendo un -gemito involontario, ed apparve tra le sue palpebre -un po' del bianco degli occhi. Poi ricadde -nell'ottusità del sopore senile. -</p> - -<p> -L'Africana, per l'immensa paura, divenne audace; -<span class="pagenum" id="Page_373">[373]</span> -spinse la mano d'un tratto, afferrò la tabacchiera, -e, con un moto di fuga, si rivolse verso -le scale; discese seguita da Passacantando. -</p> - -<p> -— O Die! O Die! Vide che so fatte pe' te!... — balbettava, -abbandonandosi addosso all'uomo. -</p> - -<p> -Ed ambedue si misero insieme, con le mani -malferme, ad aprire la tabacchiera, a cercare fra -il tabacco le monete d'oro. L'acuto aroma saliva -loro per le narici; ed ambedue, come sentivano -l'eccitazione a starnutire, furono invasi d'improvviso -da un impeto d'ilarità. E, soffocando il rumore -degli starnuti, barcollavano e si sospingevano. -Al gioco, la lussuria nella pinguedine dell'Africana -insorgeva. Ella amava d'essere amorosamente -morsicata e bezzicata e sballottata e -qua e là percossa da Passacantando; fremeva -tutta e tutta si ribrezzava nella sua bestiale orridezza. -Ma, a un punto, prima si udì un brontolio -indistinto e poi gridi rauchi proruppero su -nella stanza. E il vecchio comparve in cima alla -scala, livido alla luce rossastra della lanterna, -magro, scheletrito, con le gambe nude, con una -camicia a brandelli. Guardava in giù la coppia -ladra; ed agitando le braccia gridava come un'anima -dannata: -</p> - -<p> -— Li marenghe! Li marenghe! Li marenghe! -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_374">[374]</span></p> - -<h2 id="madia">LA MADIA.</h2> -</div> - -<p> -A pena Luca udì il rumore delle grucce, spalancò -gli occhi e li volse ardenti e torbidi verso -la porta, aspettando che il fratello comparisse -sul limitare. Tutta la faccia, estenuata dalla sofferenza, -divorata dalla febbre, sparsa di bolle -rossastre, gli prese d'improvviso un aspetto di -durezza e quasi d'ira. Egli afferrò le mani della -madre, convulsamente, gridando, con la voce -rauca e rotta: -</p> - -<p> -— Caccialo! Caccialo! Non lo voglio vedere. -Capisci? Non lo voglio vedere; mai più. Capisci? -</p> - -<p> -Le parole lo soffocarono. Egli stringeva forte -le mani della madre, tossendo con grande affanno, -mentre la camicia sul petto gli palpitava -e gli s'apriva un poco ad ogni sforzo. Aveva -la bocca gonfia; e pel mento le bolle riseccate -gli formavano come una crosta che si screpolava -e sanguinava ad ogni sforzo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_375">[375]</span> -</p> - -<p> -La madre cercava di placarlo. -</p> - -<p> -— Sì, sì, figlio mio. Non lo vedrai più. Farò -come tu vuoi. Lo caccerò, lo caccerò. Questa -è la casa tua, figlio, tutta tua. Mi senti? -</p> - -<p> -Luca le tossiva sul volto. -</p> - -<p> -— Ora, ora, sùbito — egli diceva, con una -persistenza feroce, sollevandosi di sul letto, spingendo -la madre verso la porta. -</p> - -<p> -— Sì, figlio mio. Ora, sùbito. -</p> - -<p> -Ciro comparve al limitare, reggendosi su le -grucce. Egli era mingherlino, con una grossa -testa pesante. I capelli erano così biondi che -quasi parevan bianchi. Gli occhi eran dolci come -quelli d'un agnello, azzurri fra le lunghe ciglia -chiare. -</p> - -<p> -Entrando, non disse nulla; poichè era muto -per una paralisia. Ma vide gli occhi dell'infermo, -che lo guardavano intenti e crudeli; e si -fermò nel mezzo della stanza, appoggiato alle -grucce, irresoluto, non osando avanzare. La -gamba destra, torta e raccorciata, aveva un piccolo -tremito visibile. -</p> - -<p> -Luca disse alla madre: -</p> - -<p> -— Che viene a fare, questo stroppiato? Caccialo -via! Voglio che tu lo cacci via. Capisci? -Sùbito. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_376">[376]</span> -</p> - -<p> -Ciro intese, e guardò la matrigna che già -era per levarsi. La guardò con occhi tanto supplichevoli, -ch'ella non ebbe cuore di fargli violenza. -Poi, tenendo sotto l'ascella una gruccia, -con la mano libera fece un gesto disperato. E -gittò uno sguardo vorace alla madia ch'era in -un canto. Voleva dire: -</p> - -<p> -— Ho fame. -</p> - -<p> -— No, no; non gli dar niente — si mise a -gridare Luca, agitandosi tutto sul letto, imponendo -alla donna il suo capriccio malvagio. — Niente! -Mandalo via. -</p> - -<p> -Ciro aveva chinato sul petto la grossa testa, -tremando, con gli occhi pieni di lacrime. Quando -la matrigna gli mise una mano su la spalla e -lo spinse verso l'uscio, egli ruppe in singhiozzi; -ma si lasciò condurre. Poi sentì chiuder l'uscio; -e rimase sul pianerottolo, a singhiozzare. Singhiozzava -forte e costante. -</p> - -<p> -Disse Luca alla madre, con un atto iroso: -</p> - -<p> -— Lo senti? Fa apposta, per farmi venir male. -</p> - -<p> -Il singhiozzo del fratello seguitava, interrotto -qualche volta da un mugolìo singolare, accorante -come il rantolo d'un giumento che sia per -morire. -</p> - -<p> -— Ma lo senti? Va. Gettalo per le scale! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_377">[377]</span> -</p> - -<p> -La donna sorse con impeto; corse all'uscio, -e levò sul muto le mani dure, avvezze a percuotere -e ad incrudelire. -</p> - -<p> -Luca, sollevato in su' gomiti, ascoltava i colpi, -dicendo: -</p> - -<p> -— Ancóra! ancóra! -</p> - -<p> -Sotto le percosse, Ciro tacque. Trattenendo -il pianto, discese nella strada. Egli era famelico; -non mangiava da quasi due giorni. A pena -aveva la forza di trascinar le grucce. -</p> - -<p> -Passò in corsa una schiera di monelli, dietro -il volo d'un aquilone che prendeva vento beccheggiando. -Taluni gli diedero un urto, gridandogli: -</p> - -<p> -— Ehi, lo stroppiatino! -</p> - -<p> -Altri lo beffarono, gridandogli: -</p> - -<p> -— Vieni, bàrbero, alla carriera! -</p> - -<p> -Altri, alludendo alla sua gran testa, gli chiesero -per dileggio: -</p> - -<p> -— Quanto la libbra il cervello, stroppiatino? -</p> - -<p> -Uno tra questi, più disumano, gli fece cadere -una gruccia; e si mise a fuggire. Il muto barcollò; -poi la raccolse a fatica, e si mosse. Gli -strilli e le risa dei monelli si dileguavano verso -il fiume. L'aquilone s'inalzava, come un uccello -di paesi strani, in un cielo tutto rosato e soave. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_378">[378]</span> -</p> - -<p> -Compagnie di soldati cantavano in coro, lungo -il Bagno. Era la bella stagione, sotto la festa -di Pasqua. -</p> - -<p> -Ciro, sentendosi mordere le viscere dalla fame, -pensò: -</p> - -<p> -— Ora chiedo l'elemosina. -</p> - -<p> -Dal forno veniva col vento primaverile la fragranza -del pane recente. Passò un uomo vestito -di bianco, portando in testa una lunga -tavola su cui giacevano in ordine molti pani -color d'oro, che ancora fumavano. Due cani lo -seguivano, con il muso all'aria, dimenando la -coda. -</p> - -<p> -Ciro si sentì quasi venir meno, di languore. -Pensava: -</p> - -<p> -— Ora chiedo l'elemosina; se no, muoio. -</p> - -<p> -Il giorno cadeva lentamente. Il cielo diafano -era tutto sparso d'aquiloni che si ritraevano -verso terra ondeggiando. Le campane propagavano -nell'aria sonora un rombo continuo e -profondo. -</p> - -<p> -Ciro pensò: -</p> - -<p> -— Ora mi metto alla porta della chiesa. -</p> - -<p> -E si trascinò verso quel luogo. -</p> - -<p> -La chiesa in fatti era aperta. Si vedeva in -fondo l'altare illuminato di fiammelle tremolanti, -<span class="pagenum" id="Page_379">[379]</span> -come una costellazione. Usciva fuori l'aroma -dell'incenso e del belzuino, svanito. Di tanto in -tanto, l'organo gittava un gran fascio di suoni. -</p> - -<p> -Ciro, d'improvviso, sentì velarsi gli occhi da -nuove lacrime. Egli pregò nel suo cuor religioso: -</p> - -<p> -— O Signore, Dio mio, aiutami tu! -</p> - -<p> -L'organo mise un tuono che fece vibrare i -pilastri come stromenti; poi si rallegrò di note -chiare. Sorsero le voci dei cantori. E i devoti -e le devote entravano, a due, a tre, per la porta -unica. Ciro non osava ancora tendere la mano. -Un mendicante, poco discosto, chiese lamentevole: -</p> - -<p> -— La carità, per l'amore di Dio! -</p> - -<p> -Allora il muto ebbe onta. Vide entrare nella -chiesa la matrigna, tutta raccolta sotto la mantatura -nera. Pensò: -</p> - -<p> -— Se andassi a casa, mentre la matrigna è -fuori? -</p> - -<p> -La bramosia del cibo lo punse così forte, che -egli non indugiò più oltre. Volava su le grucce, -dietro la speranza del pane. Una femminetta, -al passaggio, gli gridò ridendo: — Corri -il palio, stroppiatino? -</p> - -<p> -Egli giunse alla casa, in un baleno, ansando -<span class="pagenum" id="Page_380">[380]</span> -e palpitando. Salì le scale con cautela infinita, -senza rumore. Cercò la chiave a tentoni, in una -cavità del muro, dove soleva metterla la matrigna -uscendo. La trovò; e prima d'aprire -guardò pel buco della serratura. Luca, sul letto, -pareva sopito. -</p> - -<p> -Ciro pensò: -</p> - -<p> -— Se potessi prendere il pane senza svegliarlo! -</p> - -<p> -E girò la chiave, piano piano, trattenendo il -respiro, temendo di svegliare il fratello con -palpiti del cuore. Pareva che quei palpiti empissero -tutta la casa, come d'un fragore altissimo. -</p> - -<p> -— E se si sveglia? — pensò Ciro con un brivido -nelle midolle, quando sentì che la porta -era aperta. -</p> - -<p> -Ma la fame lo rendeva audace. Egli entrò, -puntando le grucce delicatamente, non togliendo -mai gli occhi di sul fratello. -</p> - -<p> -— E se si sveglia? -</p> - -<p> -Il fratello, supino, respirava con affanno in -quel sopore. Di tratto in tratto gli usciva dalle -labbra quasi un fischio lieve. Una sola candela -ardeva su la tavola, gittando alla parete larghe -ombre variabili. -</p> - -<p> -Ciro, come fu presso alla madia, s'arrestò per -<span class="pagenum" id="Page_381">[381]</span> -vincere il tremore; guardò il dormiente; poi, -reggendo ambo le grucce con l'ascelle, si mise -a sollevare il coperchio. La madia scricchiolava -forte. -</p> - -<p> -D'improvviso Luca diede un balzo, svegliandosi. -Vide il fratello in quell'atto, e cominciò a -gridargli contro, agitando le braccia, come un -ossesso: -</p> - -<p> -— Ah, ladro! Ah, ladro! Aiuto! -</p> - -<p> -Ma il furore lo soffocava. Mentre il fratello, -accecato dalla fame, chino su la madia, cercava -con le mani tremanti un pezzo di pane, egli si -gettò giù dal letto e gli corse sopra a impedirgli -di prendere. -</p> - -<p> -— Ladro! Ladro! — gridava, fuori di sè. -</p> - -<p> -Fuori di sè, trasse il coperchio pesante sul -collo di Ciro; che s'agitò come una vittima alla -tagliuola, disperatamente. Resisteva Luca contro -quelli sforzi, avendo perduto ogni coscienza della -cosa, premendo con tutta la sua persona, quasi -per decapitare il fratello. Il coperchio scricchiolava, -penetrando nella viva carne della nuca, -schiacciando le canne della gola, pestando le -vene e i nervi. Penzolò dalla madia un corpo -inerte, che più non dava alcun tratto. -Allora, in conspetto dello storpio trucidato, -<span class="pagenum" id="Page_382">[382]</span> -uno sbigottimento pazzo invase l'animo del fratello. -</p> - -<p> -Due o tre volte, barcollando, egli attraversò -la stanza che i guizzi della candela empivano -di paure; mise le mani su le coperte, le tirò a -sè, ci si avvoltolò tutto, coprendosi anche la -testa; poi si accovacciò sotto il letto. E nel silenzio -i suoi denti stridevano, come fa una lima -sul ferro. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_383">[383]</span></p> - -<h2 id="mungia">MUNGIÀ.</h2> -</div> - -<p> -In tutto il contado pescarese, e a San Silvestro, -a Fontanella, a San Rocco, perfino a Spoltore -e nelle fattorie di Vallelonga oltre l'Alento -e più specialmente nei piccoli borghi dei marinai -presso la foce del fiume e in tutte quelle case di -creta e di canne, dove si accende il fuoco con i -rifiuti del mare, fiorisce da gran tempo la fama -di un rapsodo cattolico che ha un nome di corsale -barbaresco ed è cieco a simiglianza dell'antico -Omero. -</p> - -<p> -Mungià comincia le sue peregrinazioni su i -principii della primavera e le termina nel mese -di ottobre, ai primi rigori. Va per le campagne, -guidato da una femmina o da un fanciullo. Tra -la grandezza e la forte serenità della coltivazione, -reca ora i lamentevoli canti cristiani le antifone, -<span class="pagenum" id="Page_384">[384]</span> -gli invitatorii, i responsorii, i salmi dell'officio per -i defunti. Come la sua figura a tutti è familiare, -i cani dell'aia non latrano contro di lui. Egli dà -l'annunzio con un trillo del clarinetto; ed al segnale -ben noto le vecchie madri escono in su -la soglia, accolgono onestamente il cantore, gli -pongono una sedia all'ombra di qualche albero, -gli chiedono le nuove della salute. Tutti i coloni -cessano dal lavoro e si dispongono in cerchia, -ancora alenanti, tergendosi il sudore con un gesto -semplice della mano. Rimangono fermi, in -attitudini di reverenza, tenendo gli strumenti dell'agricoltura. -Nelle braccia, nelle gambe, nei piedi -ignudi essi hanno la deformità che le fatiche -lente e pazienti danno alle membra esercitate. -I loro corpi nodosi, la cui pelle assume il color -delle glebe, sorgendo dal suolo nella luce del -giorno paiono quasi avere comuni con gli alberi -le radici. -</p> - -<p> -Spandesi allora dall'uomo cieco su quella gente -e su le cose in torno una solennità cristiana. -Non il sole, non i presenti frutti della terra, non -la letizia dell'opera alimentaria, non le canzoni -dei cori lontani bastano a difendere gli animi -dal raccoglimento e dalla tristezza della religione. -Una delle madri indica il nome del parente morto -<span class="pagenum" id="Page_385">[385]</span> -a cui ella offre i cantici in suffragio. Mungià si -scopre il capo. -</p> - -<p> -Appare il suo cranio largo e splendente, cinto -di canizie; e tutta la faccia, simigliante nella -quiete a una maschera corrosa, si raggrinza e -vive nel movimento del prendere a bocca il clarinetto. -Su le tempie, sotto la cavità degli occhi, -lungo gli orecchi, e poi d'in torno alle narici e -agli angoli delle labbra mille grinze sottili e fitte -si compongono e si scompongono a seconda -dell'inspirazione ritmica del fiato nello stromento. -Rimangono tesi e lucidi e salienti gli zigomi, -solcati da venature sanguigne simili a quelle che -traspariscono in autunno nelle foglie della vite. -E degli occhi, in fondo alle orbite, non si vede -se non il segno rossiccio della palpebra inferiore -rivolta. E su tutte le scabrosità della pelle, su tutta -quella meravigliosa opera d'incisione e di rilievo -fatta dalla magrezza e dalla vecchiezza, e di tra -i peli duri e corti d'una barba mal rasa, e nei -cavi e nelle corde del collo lungo e rigido la luce -si frange, sfugge, si divide quasi direi per stille, -come una rugiada su una zucca piena di porri -e di muffe, gioca in mille maniere, vibra, si -spenge, esita, dà talvolta a quella umile testa -inaspettate arie di nobiltà e di mistero. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_386">[386]</span> -</p> - -<p> -Dal clarino di bossolo, a seconda dei movimenti -delle dita su le chiavette malferme, escono -suoni. Lo stromento ha in sè quasi direi una vita -e quella inesprimibile apparenza di umanità che -acquistano le cose per l'assiduo uso in servigio -dell'uomo. Il bossolo ha una lucentezza untuosa; -i buchi, che nei mesi d'inverno divengono nidi -di piccoli ragni, sono ancora occupati dalle tele -o dalla polvere; le chiavette, lente, sono macchiate -di verderame; e qua e là la cera vergine -e la pece chiudono i guasti; e la carta e il filo -stringono le commessure; e ancora si veggono -in torno all'orlo gli ornamenti della gioventù. -Ma la voce è debole e incerta. Le dita del cieco -si muovono macchinalmente, poichè non fanno se -non ricercare quel preludio e quell'interludio da -gran tempo. -</p> - -<p> -Le mani lunghe, deformate, con grossi nodi -alla prima falange dell'anulare e del medio, con -l'unghia del pollice depressa e violetta, somigliano -le mani d'una scimmia decrepita; hanno -su 'l dorso le tinte di certi frutti malsani, un -misto di roseo, di giallognolo e di turchiniccio; -su la palma hanno una laboriosa rete di solchi, -e tra dito e dito la pelle escoriata. -</p> - -<p> -Come il preludio finisce, Mungià prende a cantare -<span class="pagenum" id="Page_387">[387]</span> -il <i>Libera me Domine</i>, e il <i>Ne recorderis</i>, lentamente, -su una modulazione di cinque sole note. -Nel canto, le terminazioni latine si congiungono -alle forme dell'idioma natale; di tratto in tratto, -quasi con un ritorno metrico, passa un avverbio -in <i>ente</i> seguito da molte gravi rime; e la voce -ha una momentanea elevazion di tono; poi l'onda -si riabbassa e segue a battere le linee men faticose. -Il nome di Gesù ricorre spesso nella rapsodia; -e la passione di Gesù è tutta narrata in -strofe irregolari di settenarii e di quinarii, non -senza un certo movimento dramatico. -</p> - -<p> -I coloni in torno ascoltano con animo devoto, -guardando il cantore nella bocca. Viene talvolta -dai campi su 'l vento un coro di vendemmiatrici -o di mietitori, secondo la stagione, a contendere -con la pia laude; e l'albero al vento si -fa tutto musicale. Mungià, che ha fioco l'udito, -continua a cantare i misteri della morte. Le labbra -gli stanno aderenti alle gencive deserte, e -gli comincia a colar giù pe 'l mento la saliva. -Egli imbocca il clarinetto, suona l'intermezzo; poi -riprende le strofe. Così va sino alla fine. Sua -ricompensa è una piccola misura di frumento, o -una caraffa di mosto, o una resta di cipolle, o -anche una gallina. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_388">[388]</span> -</p> - -<p> -Egli s'alza dalla sedia. Ha una figura alta e -macilenta, la schiena curva, i ginocchi volti un -poco in dentro. Porta in capo una grande berretta -verde e, in ogni stagione, su le spalle un -mantello chiuso alla gola da due fermagli di ottone -e cadente a mezza coscia. Cammina a fatica, -talvolta soffermandosi per tossire. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Quando, nell'ottobre, le vigne sono vendemmiate -e le strade sono piene di fango o di ghiaia, -egli si ritira in una soffitta; e là vive insieme -con un sartore che ha la moglie paralitica e con -uno spazzino che ha nove figliuoli afflitti dalla -scrofola o dalla rachitide. Nei giorni sereni, egli -si fa condurre sotto l'arco di Portanova; siede -al sole, sopra un macigno, e si mette a cantare -il <i>De profundis</i>, sommessamente, per esercizio -della gola. Quasi sempre i mendicanti allora gli -fanno cerchia. Uomini con le membra slogate, -gobbi, storpi, epilettici, lebbrosi; vecchie piene -di piaghe, o di croste, o di cicatrici, senza denti, -senza cigli, senza capelli; fanciulli verdognoli come -locuste, scarni, con gli occhi selvaggi degli uccelli -di rapina, con la bocca già appassita, taciturni, -che covano nel sangue un morbo ereditato; tutti -quei mostri della povertà, tutti quei miserevoli -<span class="pagenum" id="Page_389">[389]</span> -avanzi d'una razza disfatta, quelle cenciose creature -di Gesù, vengono a fermarsi in torno al -cantore e gli parlano come a un eguale. -</p> - -<p> -Allora Mungià solleva la voce per benignità -verso gli ascoltanti. Giunge, trascinandosi a fatica -per terra con l'aiuto delle palme munite d'un -disco di cuoio, Chiachiù, il nativo di Silvi; e si -ferma, tenendosi tra le mani il piede destro ritorto -come una radice. Giunge la Strigia, una -figura ambigua, repugnante, di ermafrodito senile, -che ha il collo pieno di foruncoli vermigli, -su le tempie alcuni riccioli grigi di cui ella par -vana, e tutto l'occipite coperto di peluria come -quello degli avvoltoi. Giungono i Mammalucchi, -i tre fratelli idioti che paiono essere nati dall'accoppiamento -di un uomo con una pecora, così -manifeste ne' loro volti sono le fattezze ovine. -Il maggiore ha i bulbi visivi sgorganti fuor -delle orbite, degenerati, molli, d'un colore azzurrognolo, -simili al sacco ovale di un polpo che -sia prossimo a putrefarsi. Il minore ha il lobo -di un'orecchia smisuratamente gonfio, e paonazzo, -simile a un fico. Tutti e tre vanno in comune, -con le bisacce di corda dietro la schiena. -</p> - -<p> -Giunge l'Ossesso, un uomo scarno e serpentino, -dalle palpebre arrovesciate come quelle -<span class="pagenum" id="Page_390">[390]</span> -dei piloti che navigano per mari ventosi, olivastro -nella faccia, camuso, con un singolare aspetto -di malizia e di fraudolenza palesante in lui l'origine -zingaresca. Giunge la Catalana di Gissi, -una femmina d'età incognita, con lunghi cernecchi -rossicci, con su la pelle della fronte alcune -macchie simili quasi a monete di rame, -sfiancata come una cagna dopo il parto: la Venere -dei mendicanti, l'amorosa fonte a cui va -a dissetarsi chi patisce la sete. E giunge Jacobbe -di Campli, il grande vecchio dal pelame -verdastro come quello di certi artefici che lavorano -l'ottone. Giunge l'industre Gargalà su 'l -veicolo costrutto con rottami di barche ancora -incatramati. Giunge Costantino di Corrópoli, il -cinico, che, per una crescenza del labbro inferiore, -pare tenga sempre fra i denti uno straccio -di carne cruda. Altri giungono. Tutti gli iloti che -hanno emigrato lungo il corso del fiume, dagli -altipiani al mare, si raccolgono in torno al rapsodo, -sotto il comun sole. -</p> - -<p> -Mungià canta allora con una varia ricerca di -modi, tentando altitudini insolite. Una specie di -orgoglio, un'aura di gloria gli invade l'animo, -poichè egli allora esercita l'arte liberalmente, -senza prender mercede. Sale dalla turba dei -<span class="pagenum" id="Page_391">[391]</span> -mendicanti, a tratti, un clamore di plauso ch'egli -a pena ode. -</p> - -<p> -Al termine del canto, come il dolcissimo sole -abbandonando quel luogo ascende su per le colonne -corintie dell'Arco, i mendicanti salutano -il cieco e si sbandano per le terre vicine. Rimangono, -per consuetudine, Chiachiù di Silvi, -con il piede ritorto fra le mani, e i fratelli Mammalucchi. -Costoro chiedono ad alta voce l'elemosina -a chi passa; mentre Mungià taciturno -forse ripensa i trionfi della giovinezza, quando -Lucicappelle, il Golpo di Càsoli e Quattòrece -erano vivi. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Oh gloriosa <i>paranzella</i> di Mungià! -</p> - -<p> -La piccola orchestra aveva conquistata, in -quasi tutta la valle inferiore della Pescara, una -inclita fama. -</p> - -<p> -Sonava la viola ad arco il Golpo di Càsoli, -un omuncolo tutto grigiastro come le lucertole -dei tetti, con la pelle del volto e del collo tutta -rugosa e membranosa come i tegumenti d'una -testuggine cotta nell'acqua. Egli portava una -specie di berretto frigio che per due ali aderiva -agli orecchi; giocava d'arco con gesti rapidi, -premendo su 'l piè della viola il mento aguzzo, -<span class="pagenum" id="Page_392">[392]</span> -martellando le corde con le dita contratte, ostentando -un visibile sforzo nell'azione del sonare, -come fanno i macacchi dei saltimbanchi nòmadi. -</p> - -<p> -Dopo di lui, Quattòrece veniva co 'l violone -appeso in su 'l ventre per mezzo d'una correggia -di pelle d'asino. Lungo e smilzo come -una candela di cera, Quattòrece aveva in tutta la -persona un singolar predominio dei colori aranciati. -Pareva una di quelle figure monocromatiche -dipinte, su certi rustici vasi castellesi, in -attitudini rigide. Ne' suoi occhi, come in quelli -dei cani da pastore, brillava una trasparenza -tra castanea ed aurea; la cartilagine delle sue -grandi orecchie, aperte come quelle dei pipistrelli, -contro la luce tingevasi d'un giallo roseo; -le sue vesti erano di quel panno color tabacco -chiaro, che per solito adoperano i cacciatori; e -il vecchio violone, ornato di penne, di fili d'argento, -di fiocchi, d'imaginette, di medaglie, di -conterie, aveva l'aspetto di non so quale artifizioso -stromento barbarico d'onde dovessero -escire novissimi suoni. -</p> - -<p> -Ma Lucicappelle, tenendo a traverso il petto -la sua immane chitarra a due corde accordate -in diapente, veniva ultimo con un passo di danza -e di baldanza, come un Figaro rusticale. Egli -<span class="pagenum" id="Page_393">[393]</span> -era il giocondo spirito della <i>paranzella</i>, il più verde -d'anni e di forze, il più mobile, il più arguto. -Un gran ciuffo di capelli crespi gli sporgeva su -la fronte, di sotto a una specie di tòcco scarlatto; -gli brillavano agli orecchi feminilmente -due cerchi d'argento: le linee della sua faccia -formavano un natural componimento di riso. -Egli amava il vino, i brindisi in musica, le serenate -in onor della bellezza, le danze all'aperto, -i conviti larghi e clamorosi. -</p> - -<p> -Ovunque si celebrasse uno sposalizio, un battesimo, -una festa votiva, un funerale, un triduo, -correva la <i>paranzella</i> di Mungià, desiderata, acclamata. -Precedeva i cortei nuziali, per le vie -tutte sparse di fiori di giunco e d'erbe odorifere, -tra le salve di gioia e le salutazioni. Cinque -mule inghirlandate recavano i doni. Un carro, -tratto da due paia di bovi con le corna avvolte -di nastri e con i dorsi coperti di gualdrappe, -recava <i>la soma</i>. Le caldaie, le conche, i vasellami -di rame tintinnivano agli scotimenti dell'incedere; -gli scanni, le tavole, le arche, tutte quelle -rudi forme antiche delle suppellettili casalinghe, -oscillavano scricchiolando; le coperte di damasco, -le gonne ricche di fiorami, i busti trapunti, -i grembiali di seta, tutte quelle fogge di vestimenta -<span class="pagenum" id="Page_394">[394]</span> -muliebri risplendevano al sole in un miscuglio -di gaiezza; e una conocchia, simbolo -delle virtù familiari, eretta su 'l culmine, carica -di lino, pareva contra il cielo azzurro una mazza -d'oro. -</p> - -<p> -Le donne della parentela, con su 'l capo un -canestro di grano e su 'l grano un pane e su 'l -pane un fiore, si avanzavano per ordine, tutte -in una stessa attitudine semplice e quasi jeratica, -simili alle canèfore dei bassirilievi ateniesi, -cantando. Come giungevano alla casa, presso il -talamo, si toglievano il canestro dal capo, prendevano -un pugno di grano e, a una a una, lo -spargevano su la sposa, pronunziando una formola -d'augurio rituale in cui la fecondità e l'abbondanza -erano invocate. Anche la madre compiva -la cerimonia frumentaria, fra molte lacrime; -e con un panello toccava alla figlia il petto, la -fronte, le spalle, dicendole parole di dolente -amore. -</p> - -<p> -Poi, nella corte, sotto un'ampia stuoia di canne -o sotto un tetto di rami, incominciava il convito. -Mungià, a cui non anche la virtù visiva -era venuta meno nè eran sopraggiunti i mali -della vecchiezza, diritto nella magnificenza di -una zimarra verde, e tutto sudante e fiammante -<span class="pagenum" id="Page_395">[395]</span> -e soffiante entro il clarinetto la maggior forza -dei pulmoni, incitava i compagni con battere di -piedi su 'l terreno. Il Golpo di Càsoli fustigava -la viola irosamente; Quattòrece con fatica teneva -dietro alla crescente furia della moresca, sentendosi -aspri traverso il ventre passar gli stridori -dell'arco e delle corde. Lucicappelle, erto la -testa in aria, stringendo con la sinistra in alto -le chiavi della chitarra e con la destra pizzicando -le due forti corde metalliche, sogguardava le -femmine che ridevano luminose al fondo in tra -la letizia delle fioriture. -</p> - -<p> -Allora il <i>Mastro delle cerimonie</i> recava le vivande -in amplissimi piatti dipinti; i vapori salivano -come una nebbia disperdendosi nel fogliame; -i vasi del vino, dalle anse bene usate, -passavano d'uomo in uomo; le braccia allungandosi -e intrecciandosi su la mensa, tra i pani -cosparsi d'anice e i formaggi più tondi che il -disco della luna, prendevano aranci, mandorle, -olive; gli odori delle spezie si mescevano ai -freschi effluvi vegetali; e di qua, di là, entro -bicchieri di liquori limpidi i commensali offerivano -alla sposa piccoli gioielli o collane dai grossi -acini avvolte come grappoli d'oro. Su 'l finire, -negli animi una gran gioia bacchica si accendeva; -<span class="pagenum" id="Page_396">[396]</span> -i clamori crescevano; fin che Mungià, avanzandosi, -a capo scoperto, con in mano un bicchiere -colmo, cantava il bel distico rituale che nei conviti -della terra d'Abruzzi suol dischiudere ai -brindisi le bocche amiche: -</p> - -<div class="poem"> -<p>Quistu vino é dòlige e galante;</p> -<p>A la saluta de tutti quante!</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_397">[397]</span></p> - -<h2 id="ponte">LA GUERRA DEL PONTE. -<span class="smaller">FRAMMENTO DI CRONACA PESCARESE.</span></h2> -</div> - -<p class="dots">······················</p> - -<p> -Verso gli idi d'agosto (per tutte le campagne -il grano lavato si asciugava felicemente al sole), -Antonio Mengarino, un vecchio agricoltore pieno -di probità e di saggezza, stando nel Consiglio -del Comune a giudicare su le cose pubbliche, -come udì taluni consiglieri cittadini discorrere a -voce bassa del <i>cholèra</i> che in qualche provincia -d'Italia andavasi ampliando e udì altri proporre -ordini a conservazion della salute ed altri esporre -timori, si fece innanzi con un'aria tra di incredulità -e di curiosità ad ascoltare. -</p> - -<p> -Erano con lui nel Consiglio, agricoltori, Giulio -Citrullo della pianura e Achille di Russo dei -colli; e il vecchio, mentre ascoltava, volgevasi -<span class="pagenum" id="Page_398">[398]</span> -di tratto in tratto a quei due con cenni delle -palpebre e delle labbra come per avvertirli dell'inganno -ch'egli credeva si celasse nelle parole -dei consiglieri signori e del sindaco. -</p> - -<p> -Finalmente, non più potendo trattenersi, disse, -con la sicurtà di un uomo che sa e vede molto: -</p> - -<p> -— Mbé, leváme ssti chiacchiere in tra di nu -áutre. Le vuleme fa' veni nu poche de culere, u -ne le vuleme fa' veni? Dicémecele 'n segrete, mo. -</p> - -<p> -A queste inaspettate parole, tutti i consiglieri -furono da prima presi dalla meraviglia, e quindi -dal riso. -</p> - -<p> -— Vatténne, Mengarì! Che ti mitte a dice, -sangue de Crimie! — esclamò don Aiace, il -grande assessore, spingendo con la mano una -spalla del vecchio. E gli altri, scotendo il capo -o battendo il pugno in sul tavolo sindacale, commentavano -la pertinace ignoranza dei cafoni. -</p> - -<p> -— Mbè, ma ve pare mo ca nu credeme a ssi -chiacchiera quisse? — fece Antonio Mengarino, -con un gesto vivo, poichè sentivasi punto dall'ilarità -che le sue parole avevano suscitata. -Nell'animo di lui e in quello degli altri due agricoltori -la diffidenza e la nativa ostilità contro <i>la -signoria</i> insorgevano. — Dunque essi erano esclusi -dai segreti del Consiglio? Dunque ancora erano -<span class="pagenum" id="Page_399">[399]</span> -considerati come cafoni? Ah, brutte cose, per -la Majella!... -</p> - -<p> -— Facéte vu. Nu ce ne jame — concluse il -vecchio, acre, coprendosi il capo. E i tre villici -uscirono dalla sala, con un passo pieno di dignità, -in silenzio. -</p> - -<p> -Come furono fuori del paese nella campagna -opulenta di vigne e di gran ciciliano, Giulio Citrullo, -soffermatosi per accendere la pipa, sentenziò: -</p> - -<p> -— Ocche bádene a isse! Ca ssta vote sa coma -va sgrizzenne li cocce, pe' la Majelle!... I nin -vulesse esse' lu sìnnache. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Intanto nel territorio contadino il timore del -morbo imminente sconvolgeva tutti gli animi. -In torno agli alberi fruttiferi, in torno alle viti, -in torno alle cisterne, in torno ai pozzi, gli agricoltori -vigilavano, sospettosi e minacciosi, con -una costanza instancabile. Nella notte colpi di -fucile frequenti turbavano il silenzio; i cani, aizzati, -latravano fino all'alba. Le imprecazioni -contro i Governanti scoppiavano di giorno in -giorno con maggior violenza d'ira. Tutte le pacifiche -ed auguste fatiche agresti erano intraprese -con una sorta d'incuria e d'insofferenza. -<span class="pagenum" id="Page_400">[400]</span> -Sorgevano dai campi le canzoni di ribellione -rimate all'improvviso. -</p> - -<p> -Poi, i vecchi rinnovavano i ricordi delle passate -mortalità, confermando la credenza nei veleni. -Un giorno, nel 54, alcuni vendemmiatori di -Fontanella, avendo colto un uomo in cima a un -albero di fico e avendolo costretto a discendere, -videro che questi nascondeva una fiala piena di -un unguento gialliccio. Con minacce essi gli fecero -inghiottire tutto l'unguento; e d'un tratto -l'uomo (ch'era uno dei Paduani) stramazzò, torcendo -le membra su le zolle, livido, con gli -occhi fissi, con il collo teso, con ai denti una -schiuma verde. A Spoltore, nel 37, Zinicche, un -fabbro, uccise in mezzo alla piazza il cancelliere -Don Antonio Rapino; e le morti cessarono subitamente, -il paese fu salvo. -</p> - -<p> -Poi, a poco a poco, le leggende si formavano -e di bocca in bocca variavano, e, se bene recenti, -divenivano meravigliose. Una diceva che -al Palazzo del Comune erano giunte sette casse -di veleno distribuito dai <i>Governanti</i> perchè fosse -sparso nelle campagne e mescolato nel sale. Le -casse erano verdi, cerchiate di ferro, con tre serrature. -Il sindaco aveva dovuto pagare settemila -ducati per sotterrar le casse e liberare il paese. -<span class="pagenum" id="Page_401">[401]</span> -Un'altra voce recava che al sindaco i <i>Governanti</i> -davano cinque ducati per ogni morto. La popolazione -era troppo grande: toccava ai poveri -morire. Il sindaco stava facendo le liste. Ah, si -arricchiva, il <i>figlio di Sciore</i>, questa volta! -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Così il fermento cresceva. Gli agricoltori al -mercato di Pescara nulla compravano, nè portavano -mercanzia in traffico. I fichi dagli alberi, -giunti a maturità, cadevano e si corrompevano -su 'l suolo. I grappoli rimanevano intatti fra i -pampini. I ladroneggi notturni più non seguivano, -poichè i ladri temevano di cogliere frutti -attossicati. Il sale, l'unica merce presa nelle botteghe -della città, era prima offerto ai cani e ai -gatti, per esperimento. -</p> - -<p> -Giunse quindi un giorno la novella che a Napoli -i cristiani morivano in gran numero. E al -nome di Napoli, di quel gran reame lontano dove -<i>Ggiuanne senza pahure</i> un dì trovò fortuna, le -imaginazioni si accendevano. -</p> - -<p> -Sopravvennero le vendemmie. Ma, come i mercanti -di Lombardia compravano le uve nostrali -e le portavano nei paesi del settentrione per -trarne vini artifiziosi, la letizia del rinato mosto -fu scarsa e poco le gambe dei vendemmiatori -<span class="pagenum" id="Page_402">[402]</span> -si esercitarono a danzare nel tino e poco si esercitarono -al canto le bocche feminili. -</p> - -<p> -Ma, quando tutte le opere della raccolta furono -terminate e tutti gli alberi furono spogliati -dei loro frutti, cominciarono i timori e i sospetti -a dileguarsi; poichè oramai eran diminuite -pe' i Governanti le opportunità di spargere il -veleno. -</p> - -<p> -Grandi piogge beneficatrici caddero su le campagne. -Il terreno ora, nutrito d'acqua, andavasi -temperando pe 'l lavoro dell'aratro e per la seminagione, -co 'l favore dei dolci soli autunnali; e -la luna nel primo quarto influiva su la virtù -dei semi. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Una mattina, per tutto il territorio si sparse -d'improvviso la voce che a Villareale, presso le -querci di Don Settimio, su la riva destra del -fiume, tre femmine erano morte dopo aver mangiato -in comune una minestra di pasta comprata -nella città. L'indignazione irruppe da tutti gli -animi; e con maggior veemenza, poichè tutti -oramai s'erano pacificati in una securtá fiduciosa. -</p> - -<p> -— Ah, va bbone; lu fije de Sciore nen ci ha -vulute arnunzià a lì ducate... Ma a nu nen ce po -<span class="pagenum" id="Page_403">[403]</span> -fa' niente mo, pecché frutte nen ce ne sta, e a -Piscare nen ci jeme. -</p> - -<p> -— Lu fije de Sciore joca na mala carte. -</p> - -<p> -— A nu ce vo fa' murì? Mbé, esse ha sbajate -lu tembe, povere Sciurione... -</p> - -<p> -— Addó le po mette la pruvelette? A la paste, -a lu sale... Ma la paste nu ne la magneme; -e lu sale le deme prime a pruvà a li hatte e a -li cane. -</p> - -<p> -— Ah, Signure birbune! Ch'aveme fatte nu, -puveritte? Mannajia Crimie, ha da venì chilu -journe... -</p> - -<p> -Così le mormorazioni si levavano da ogni -parte, miste ai dileggi e alle contumelie contro -gli uomini del Comune e contro i Governanti. -</p> - -<p> -A Pescara, d'un tratto, tre, quattro, cinque -persone del volgo furono prese dal male. Cadeva -la sera; e su tutte le case discendeva una -grande paura funerea, insieme con l'umidità del -fiume. Per le vie la gente si agitava correndo -verso il Palazzo comunale; dove il sindaco e i -consiglieri e i gendarmi, avvolti in una confusion -miserevole, salivano e scendevano le scale -parlando tutti insieme ad alta voce, dando contrari -ordini, non sapendo che risolvere, dove -andare, come provvedere. Per un natural fenomeno, -<span class="pagenum" id="Page_404">[404]</span> -il commovimento dell'animo si propagava -al ventre. -</p> - -<p> -Tutti, sentendo dentro le viscere romorii cupi, -si mettevano a tremare e a battere i denti; si -guardavano in volto l'un l'altro; si allontanavano -a rapidi passi; si chiudevano nelle case. Le cene -rimasero intatte. -</p> - -<p> -Poi, a tarda ora, quando il primo tumulto del -pánico fu sedato, le guardie cominciarono ad -accendere su i canti delle vie fuochi di zolfo e -di catrame. Il rossore delle fiamme illustrava i -muri e le finestre; e l'inutile odore del bitume -spandevasi per la città sbigottita. Da lontano, -come la luna era serena, pareva che i calafati -verso il mare spalmassero carene allegramente. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Tale fu in Pescara l'entrata dell'Asiatico. -</p> - -<p> -E il male, serpeggiando lungo il fiume, s'insinuò -nei borghi della Marina, in quelli adunamenti -di casupole basse dove vivono i marinai -e alcuni vecchi dediti a piccole industrie. -</p> - -<p> -Gli infermi morirono quasi tutti, poichè non -volevano prendere i rimedi. Nessuna ragione e -nessuna esperienza valse a persuaderli. Anisafine, -un gobbo che vendeva ai soldati acqua -mista a spirito di ánace, quando vide il bicchiere -<span class="pagenum" id="Page_405">[405]</span> -del medicamento, strinse forte le labbra e cominciò -a scuotere il capo in segno di rifiuto. Il -dottore prese ad eccitarlo con parole di persuasione; -bevve egli pel primo la metà del liquido; -e, dopo, quasi tutti gli assistenti accostarono -la bocca all'orlo del bicchiere. Anisafine -seguitava a scuotere il capo. -</p> - -<p> -— Ma vedi, — esclamò il dottore, — abbiamo -bevuto prima noi... -</p> - -<p> -Anisafine si mise e ridere per beffa. -</p> - -<p> -— Ah, ah, ah! Ma vu, mo che arreuscite, ve -pijate lu contravvelene, — disse. E, poco dopo, -morì. -</p> - -<p> -Cianchine, un macellaio idiota, fece la stessa -cosa. Il dottore, per ultima prova, gli versò a -forza tra i denti il medicinale. Cianchine sputò -tutto, con ira e con orrore. Poi si mise a scagliar -vituperii contro gli astanti; tentò due o tre -volte di levarsi per fuggire; e morì rabbiosamente, -dinanzi a due gendarmi esterrefatti. -</p> - -<p> -Le cucine pubbliche, instituite per concorso -spontaneo d'uomini caritatevoli, furono in su 'l -principio credute dal volgo un laboratorio di -tossici. I mendicanti pativano la fame più tosto -che mangiare la carne cotta in quelle pentole. -Costantino di Corròpoli, il cinico, andava spargendo -<span class="pagenum" id="Page_406">[406]</span> -i dubbi tra la sua tribù. Egli vagava in -torno alle cucine, dicendo a voce alta, con un -gesto indescrivibile: -</p> - -<p> -— A me nen mi ci acchiappe! -</p> - -<p> -La Catalana di Gissi fu la prima a vincere il -timore. Ella, un poco esitante, entrò; mangiò a -piccoli bocconi, esaminando in sè stessa l'effetto -del cibo; bevve il vino a piccoli sorsi. Poi, sentendosi -tutta ristorata e fortificata, sorrise di -meraviglia e di piacere. Tutti i mendicanti attendevano -ch'ella uscisse. Quando la rividero -incolume si precipitarono per la porta; vollero -anch'essi bere e mangiare. -</p> - -<p> -Le cucine sono in un vecchio teatro scoperto, -nelle vicinanze di Portanova. Le caldaie bollono -nel luogo dell'orchestra, il fumo invade il palco -scenico: tra il fumo si vedono al fondo le scene -raffiguranti un castel feudale illuminato dal plenilunio. -Quivi, su 'l mezzodì, si raccoglie intorno -a una mensa rustica la tribù dei poveri. Prima -che l'ora scocchi, nella platea s'agita un brulichìo -multicolore di cenci e si leva un mormorìo -di voci roche. Alcune figure nuove appaiono -tra le figure già cognite. Notabile una tal Liberata -Lotta di Montenerodòmo, che ha una stupenda -maschera di Minerva ottuagenaria, piena -<span class="pagenum" id="Page_407">[407]</span> -di regalità e di austerità nella fronte, con i capelli -tutti tesi in su 'l cranio come un casco aderente. -Ella tiene fra le mani un vaso di vetro -verde, che par colmo di misteri; e resta in disparte, -taciturna, aspettando d'essere chiamata. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Ma il grande episodio epico di questa cronaca -del <i>choléra</i> è la Guerra del Ponte. -</p> - -<p> -Un'antica discordia dura tra Pescara e Castellammare -Adriatico, tra i due comuni che il -bel fiume divide. -</p> - -<p> - Le parti nemiche si esercitano assiduamente -in offese e in rappresaglie, l'una osteggiando -con tutte le forze il fiorire dell'altra. E poichè -oggi è prima fonte di prosperità la mercatura, -e poichè Pescara ha già molta dovizia d'industrie, -i Castellammaresi da tempo mirano a trarre -i mercanti su la loro riva con ogni sorta di astuzie -e di allettamenti. -</p> - -<p> -Ora, un vecchio ponte di legname cavalca il -fiume su grossi battelli tutti incatramati e incatenati -e trattenuti da ormeggi. I canapi e le gómene -s'intrecciano nell'aria artifiziosamente, scendendo -dalle antenne alte dell'argine ai parapetti -bassissimi; e dànno imagine di un qualche barbarico -attrezzo ossidionale. Le tavole mal connesse -<span class="pagenum" id="Page_408">[408]</span> -scricchiolano al peso dei carri. Al passaggio -delle schiere militari, tutta la mostruosa -macchina acquatica oscilla e balza da un capo -all'altro e risuona come un tamburo. -</p> - -<p> -Sorse un dì da questo ponte la popolar leggenda -di san Cetteo liberatore; e il santo annualmente -vi si ferma nel mezzo, con gran -pompa cattolica, a ricevere le salutazioni che -dalle barche ancorate mandano i marinai. -</p> - -<p> -Così, tra la vista di Montecorno e la vista del -mare, l'umile costruzione sta quasi come un monumento -della patria, ha quasi in sè la santità delle -cose antiche e dà agli estranei indizio di genti -che ancora vivano in una semplicità primordiale. -</p> - -<p> -Gli odii tra i Pescaresi e i Castellammaresi -cozzano su quelle tavole che si consumano sotto -i laboriosi traffici cotidiani. E, come per di là -le industrie cittadine si riversano su la provincia -teramana e vi si spandono felicemente, oh con -qual gioia la parte avversa taglierebbe i canapi -e respingerebbe i sette rei battelli a naufragare! -</p> - -<p> -Sopraggiunta dunque la bella opportunità, il -gonfaloniere nemico con molto apparato di forze -campestri impedì ai Pescaresi il passaggio nell'ampia -strada che dal ponte si dilunga per gran -tratto congiungendo innumerevoli paesi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_409">[409]</span> -</p> - -<p> -Era nell'intendimento di colui chiudere la città -rivale in una specie d'assedio, toglierle ogni -modo di traffico ed interno ed esterno, attrarre -al suo mercato i venditori e i compratori che per -consuetudine praticavano su la destra riva; e, -quindi, dopo avere ivi oppressa in una forzosa -inerzia ogni arte dì lucro, sorgere trionfatore. -Offerse egli ai padroni delle paranze pescaresi -venti carlini per ogni cento libbre di pesce, mettendo -come patto che tutte le paranze approdassero -e scaricassero alla sua riva e che la -convenzion del prezzo durasse fino al giorno -della Natività di Cristo. -</p> - -<p> -Ora, nella settimana precedente la Natività, il -prezzo del pesce suol salire a più che quindici -ducati per ogni cento libbre. Manifesta appariva -dunque l'insidia. -</p> - -<p> -I padroni rifiutarono ogni offerta, preferendo -tenere inoperose le reti. -</p> - -<p> -Lo scaltro nemico fece ad arte spargere voce -che una mortalità grande affliggeva Pescara. Si -adoperò per via d'amicizia a sollevare tutti gli -animi della provincia teramana e gli animi anche -dei Chietini contro la pacifica città dove il -morbo già era scomparso. -</p> - -<p> -Respinse con violenza o ritenne prigionieri -<span class="pagenum" id="Page_410">[410]</span> -alcuni onesti viandanti che, usando d'un comun -diritto, prendevano la strada provinciale per recarsi -altrove. Lasciò che su la linea di confine -un branco di suoi lanzichenecchi stesse dall'alba -al tramonto schiamazzando contro chiunque si -avvicinava. -</p> - -<p> -La ribellione cominciò allora a fermentare nei -Pescaresi, contro gli ingiusti arbitrii; poichè sopraggiungeva -la miseria e tutta la numerosa -classe dei lavoratori languiva nell'inerzia e tutti -i mercanti incorrevano in gravissimi danni. Il -<i>cholèra</i>, scomparso dalla città, accennava a scomparire -anche dalla marina dove soltanto alcuni -vecchi invalidi erano morti. Tutti i cittadini, fiorenti -di salute, amavano riprendere le consuete -fatiche. -</p> - -<p> -I tribuni sorsero: Francesco Pomárice, Antonio -Sorrentino, Pietro D'Amico. Per le vie la -gente si divideva in gruppi, ascoltava la parola -tribunizia, applaudiva, proponeva, gittava gridi. -Un gran tumulto andavasi preparando fra il popolo. -Per eccezione, taluni raccontavano il fatto -eroico del Moretto di Claudia. Il quale, preso -dai lanzichenecchi a forza e imprigionato nel -lazzeretto ed ivi trattenuto per cinque giorni -senz'altro cibo che pane, riuscì a fuggire dalla -<span class="pagenum" id="Page_411">[411]</span> -finestra; passò a nuoto il fiume, e giunse tra i -suoi grondante di acqua, alenante, famelico, raggiante -di gloria e di gioia. -</p> - -<p> -Il sindaco, nel frattempo, sentendo il mugolio -precursore della tempesta, si accinse a parlamentare -co 'l Gran Nimico castellammarese. È -il sindaco un piccolo dottor di legge cavaliere, -tutto untuosamente ricciutello, con omeri sparsi -di forfora, con chiari occhietti esercitati alle dolci -simulazioni. E il Gran Nimico un degenere nepote -del buon Gargantuasso; enorme, sbuffante, -tonante, divorante. Il colloquio avvenne in terra -neutrale; e presenti vi furono gli illustri prefetti -di Teramo e di Chieti. -</p> - -<p> -Ma, verso il tramonto, un lanzichenecco, entrato -in Pescara per recare un messaggio a un -consiglier del Comune, si mise in cantina con -altri bravi a bevere; e quindi prese bravamente -a girovagare. Come lo videro i tribuni, gli corsero -sopra. Tra le grida e le acclamazioni della -plebe lo spinsero lungo la riva, sino al lazzeretto. -Era il tramonto su le acque luminosissimo; -e il bèllico rossore dell'aria inebriava gli animi -plebei. -</p> - -<p> -Allora dall'opposta riva ecco una torma di -Castellammaresi, uscente di tra i salici ed i vimini -<span class="pagenum" id="Page_412">[412]</span> -darsi con molta veemenza di gesti ad inveire -contro l'oltraggio. -</p> - -<p> -Rispondevano i nostri con eguale furia. E il -lanzichenecco imprigionato percoteva con tutta -la forza dei piedi e delle mani la porta della -prigione, gridando: -</p> - -<p> -— Apríteme! Apríteme! -</p> - -<p> -— Tu adduòrmete a esse, e nen te n'incaricà, — gli -gridavano per beffa i popolani. E -qualcuno crudelmente aggiungevagli: -</p> - -<p> -— Ah, si sapisse quante se n'hanne muorte -a esse dendre! Siente l'uddore? Nen te s'ha -cumenzate a smove nu poche la panze? -</p> - -<p> -— Urrà! Urrà! -</p> - -<p> -Verso la Bandiera scorgevasi un luccichío di -canne di fucile. Il sindachetto veniva a capo di -un manipolo militare per liberar dal carcere il -lanzichenecco, a fin di non incorrere nelle ire del -Gran Nimico. -</p> - -<p> -Subitamente la plebe, irritata, tumultuò; grida -altissime si levarono contro quel vil liberatore -di Castellammaresi. -</p> - -<p> -Per tutta la via, dal lazzeretto alla città, fu un -clamoroso accompagnamento di sibili e di contumelie. -Al lume delle torce, la gazzarra durò fin -che le voci non furon roche. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_413">[413]</span> -</p> - -<p> -Dopo quel primo impeto, la rivolta si andò -svolgendo a mano a mano con nuove peripezie. -Tutte le botteghe si chiusero. Tutti i cittadini si -raccolsero su la strada, ricchi e poveri, in familiarità, -presi da una furiosa smania di parlare, -di gridare, di gesticolare, di manifestare in mille -diversi modi un unico pensiero. -</p> - -<p> -Ad ogni tratto giungeva un tribuno recando -una notizia. I gruppi si scioglievano, si ricomponevano, -variavano, secondo le correnti delle opinioni. -E, poichè su tutte le teste la libertà del -giorno era vitale e i sorsi dell'aria letificavano -come sorsi di vino, si ridestò nei Pescaresi la -nativa giocondità beffarda; ed essi seguitarono -a far ribellione in una maniera gaia ed ironica, -così, per il diletto, per il dispetto, per l'amore -delle cose nuove. -</p> - -<p> -Gli stratagemmi del Gran Nimico si moltiplicavano. -Qualunque accordo rimaneva inosservato -a causa di abili temporeggiamenti che la debolezza -del piccolo sindaco favoriva. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Il mattino d'Ognissanti, verso la settima ora, -mentre nelle chiese si celebravano i primi uffici -festivi, i tribuni si misero in giro per la città, -seguiti da una turba che ad ogni passo accrescevasi -<span class="pagenum" id="Page_414">[414]</span> -e diveniva più clamorosa. Quando l'intero -popolo fu raccolto, Antonio Sorrentino arringò. -La processione, in ordine, quindi si diresse al -Palazzo comunale. Le strade erano ancora azzurre -nell'ombra e le case erano coronate dal sole. -</p> - -<p> -In vista del Palazzo un immenso grido scoppiò. -Tutte le bocche scagliavano vituperii contro -il leguleio; tutti i pugni si levavano in attitudine -di minaccia; tra un grido e l'altro, certe -lunghe oscillazioni sonore rimanevano nell'aria, -come prodotte da uno strumento; e su la confusion -delle teste e delle vesti i lembi vermigli -delle bandiere sbattevano, come agitati dal largo -soffio popolare. -</p> - -<p> -Su 'l comunal balcone non appariva alcuno. -Il sole discendeva a poco a poco dal tetto verso -la gran meridiana tutta nera di cifre e di linee -su cui lo gnomone vibrava l'ombra indicatrice. -Dalla Torretta dei D'Annunzio al campanil badiale -torme di colombe svolazzavano nell'azzurro -superiore. -</p> - -<p> -Le grida si moltiplicarono. Una mano di animosi -diede l'assalto alle scale del Palazzo. Il piccolo -sindaco, pallido e pavido, si arrese al volere -del popolo; lasciò il seggio; rinunziò all'ufficio; -discese su la strada, tra i gendarmi, seguito dai -<span class="pagenum" id="Page_415">[415]</span> -consiglieri. Uscì quindi dalla città; si ritrasse su 'l -colle di Spoltore. -</p> - -<p> -Le porte del Palazzo furono chiuse. Un'anarchia -provvisoria si stabilì nella città. Le milizie, -per impedire l'imminente lotta tra i Castellammaresi -e i Pescaresi, fecero argine su l'estremità -sinistra del ponte. La turba, deposte le bandiere, -si avviò alla strada di Chieti; poichè di -là era per giungere il Prefetto chiamato in furia -da un Commissario reale. I proponimenti parevano -feroci. -</p> - -<p> -Ma la mite virtù del sole a poco a poco pacificò -le ire. Nell'ampia strada venivano, uscenti -dalla chiesa, le femmine del contado tutte in vesti -di seta multicolori e coperte di gioielli giganteschi, -di filigrane d'argento, di collane d'oro. Lo -spettacolo di quelle facce, rubiconde e gioconde -come grandi pomi, rasserenava ogni animo. I -motti e le risa nacquero spontaneamente; ed il -non breve tempo dell'aspettazione parve quasi -dilettevole. -</p> - -<p> -Su 'l mezzodì la vettura prefettizia giunse in -vista. Il popolo si dispose in semicerchio per -chiuderle la via. Antonio Sorrentino arringò, non -senza un certo sfoggio di eloquenza fiorita. Gli -altri, fra le pause dell'arringa, chiedevano in vari -<span class="pagenum" id="Page_416">[416]</span> -modi giustizia contro gli abusi, sollecitudine e -validità di provvedimenti nuovi. Due grandi scheletri -equini, ancora animati, scotevano di tratto -in tratto le sonagliere, mostrando ai ribelli le gencive -pallidicce, con una smorfia di derisione. E -il delegato di polizia, simile non so a qual vecchio -cantator di teatro che ancora portasse per divozione -in torno al volto una finta barba di druido, -moderava dall'altitudine del serpe l'ardor del -tribuno, con cenni gravi della mano. -</p> - -<p> -Come il perorante nella foga saliva a culmini -di eloquenza troppo audaci, il Prefetto, sorgendo -su 'l predellino, colse il momento per interrompere. -Proferì una frase ambigua e timida che -le grida del popolo copersero. -</p> - -<p> -— A Pescara! A Pescara! -</p> - -<p> -La vettura camminò quasi sospinta dall'onda -popolare ed entrò in città; e, poichè il Palazzo -era chiuso, si fermò dinanzi alla Delegazione. -Dieci nominati a voce dal popolo salirono insieme -col Prefetto, per parlamentare. La turba occupò -tutta la via. Impazienze qua e là scoppiavano. -</p> - -<p> -La via era angusta. Le case riscaldate dal sole -irraggiavano un tepor dilettoso; e non so qual -lenta mollezza emanava dal cielo oltremarino, -dall'erbe fluttuanti lungo le gronde, dalle rose -<span class="pagenum" id="Page_417">[417]</span> -delle finestre, dalle mura bianche, dalla fama -stessa del luogo. Ha il luogo fama d'albergare -le più belle popolane pescaresi: vive e di generazione -in generazione nella contrada si va perpetuando -una tradizion di beltà. La immensa -casa decrepita di Don Fiore Ussorio è un vivaio -di bimbi floridi e di fanciulle leggiadre; ed è -tutta coperta di piccole logge che sono esuberanti -di garofani e che si reggono su rozze mènsole -scolpite di mascheroni procaci. -</p> - -<p> -A poco a poco, le impazienze della folla si -placavano. I parlari oziosi propagavansi da un -capo all'altro; dall'uno all'altro bivio. -</p> - -<p> -Domenico di Matteo, una specie di Rodomonte -villereccio, motteggiava ad alta voce sull'asinità -e l'avidità dei dottori che facevano morire gli -infermi per prendere dal Comune una maggior -mercede. Egli narrava certe sue cure mirabili. -Una volta egli aveva un gran dolore al -petto ed era quasi prossimo all'agonia. Poichè -il medico gli proibì di bere acqua, egli ardeva -di sete. Una notte, mentre tutti dormivano, si -levò piano piano, cercò a tentoni la conca, vi -tuffò la testa e rimase lì a bevere come un giumento, -fin che la conca non fu vuota. La mattina -dopo egli era guarito. Un'altra volta egli -<span class="pagenum" id="Page_418">[418]</span> -ed un suo compare, avendo da lungo tempo la -febbre terzana contro cui ogni virtù di chinino pareva -inutile, deliberarono di fare una esperienza. -Si trovavano su la riva del fiume, ed alla riva -opposta una vigna solatia li allettava con i grappoli. -Si spogliarono, si gittarono nelle fredde -acque, tagliarono la corrente, toccarono l'altra -riva, si saziarono d'uva; poi di nuovo attraversarono. -La terzana disparve. Un'altra volta, essendo -egli infermo di mal francioso ed avendo -speso più di quindici ducati vanamente in opere -di medici e di medicine, come vide la madre -attendere al bucato, fu colto da un pensiero felice. -Tracannò, l'un dopo l'altro, cinque bicchieri -di lisciva; e si liberò. -</p> - -<p> -Ma ai balconi, alle finestre, alle logge il bello -sciame muliebre si affacciava tumultuariamente. -Tutti gli uomini dalla via levavano gli occhi a -quelle apparizioni e restavano con la faccia al -sole per guardare; e tutti, poichè la consueta -ora del pasto era già trascorsa, si sentivano la -testa un poco vacua e nello stomaco un languore -infinito. Brevi dialoghi dalla via alle finestre si -intrecciavano. I giovini gittarono motti salaci alle -belle. Le belle risposero con gesti schivi, con -scuotere di capo; o si ritrassero, o forte risero. -<span class="pagenum" id="Page_419">[419]</span> -Le fresche risa di quelle bocche si sgranellavano -come collane di cristallo, cadendo su gli uomini -che già il desio incominciava a pungere. Dalle -mura il calore s'irradiava più largo e mescevasi -al calor dei corpi agglomerati. I riverberi bianchissimi -abbarbagliavano. Qualche cosa di snervante -e di stupefacente discendeva su quella turba -digiuna. -</p> - -<p> -Apparve su una loggia, d'improvviso, la Ciccarina, -la bella delle belle, la rosa delle rose, -l'amorosa pèsca, colei che tutti han desiato. Per -un moto unanime, gli sguardi si volsero verso di -lei. Ella, nel trionfo, stava semplicemente sorridendo, -come una dogaressa dinanzi al suo popolo. -Il sole le illuminava la piena faccia carnosa, che -è simile alla polpa di un frutto succulento. I capelli, -di quel color lionato di sotto a cui par -trasparisca una fiamma d'oro, le invadevano la -fronte, le tempie, il collo, mal frenati. Un natural -fàscino venereo le emanava da tutta la persona. -Ed ella stava semplicemente, tra due gabbie di -merli, sorridendo, non sentendosi offesa dalle -brame che lucevano in tutti quelli occhi intenti -a lei. -</p> - -<p> -I merli fischiarono. I madrigali rustici batterono -l'ali verso la loggia. La Ciccarina si ritrasse, -<span class="pagenum" id="Page_420">[420]</span> -sorridendo. La turba rimase nella via, quasi abbacinata -dai riverberi, dalla vista di quella femmina, -dalle prime vertigini della fame. -</p> - -<p> -Allora uno dei parlamentari, affacciatosi a una -finestra della Delegazione, disse con voce squillante: -</p> - -<p> -— Cittadini, si risolverà la cosa fra tre ore! -</p> - -<p class="dots">······················</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_421">[421]</span></p> - -<h2 id="ritorna">TURLENDANA RITORNA.</h2> -</div> - -<p> -La compagnia camminava lungo il mare. -</p> - -<p> -Già per i chiari poggi litorali ricominciava la -primavera; l'umile catena era verde, e il verde -di varie verdure distinto; e ciascuna cima aveva -una corona d'alberi fioriti. Allo spirar del maestro -quelli alberi si movevano; e nel moto forse si -spogliavano di molti fiori, poichè alla breve distanza -le alture parevano coprirsi d'un colore -tra il roseo e il violaceo, e tutta la veduta un -istante pareva tremare e impallidire come un'imagine -a traverso il vel dell'acqua o come una -pittura che lavata si stinge. -</p> - -<p> -Il mare si distendeva in una serenità quasi -verginale, lungo la costa lievemente lunata verso -austro, avendo nello splendore la vivezza d'una -turchese della Persia. Qua e là, segnando il passaggio -delle correnti, alcune zone di più cupa -tinta serpeggiavano. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_422">[422]</span> -</p> - -<p> -Turlendana, in cui la conoscenza dei luoghi -per i molti anni d'assenza era quasi intieramente -smarrita e in cui per le lunghe peregrinazioni -il sentimento della patria era quasi estinto, andava -innanzi senza volgersi a riguardare, con -quel suo passo affaticato e claudicante. -</p> - -<p> -Come il camello indugiava ad ogni cespo -d'erbe selvatiche, egli gittava un breve grido -rauco d'incitamento. E il gran quadrupede rossastro -risollevava il collo lentamente, triturando -fra le mandibole laboriose il cibo. -</p> - -<p> -— Hu, Barbarà! -</p> - -<p> -L'asina, la piccola e nivea Susanna, di tratto -in tratto, sotto gli assidui tormenti del macacco -si metteva a ragliare in suono lamentevole, chiedendo -d'esser liberata dal cavaliere. Ma Zavalì, -instancabile, senza tregua, con una specie di frenesia, -con gesti rapidi e corti ora di collera e -ora di gioco, percorreva tutta la schiena dell'animale, -saltava su la testa afferrandosi alle grandi -orecchie, prendeva fra le due mani la coda -sollevandola e scotendone il ciuffo dei crini, cercava -tra il pelo grattando con l'unghie ostinatamente -e recandosi quindi l'unghie alla bocca e -masticando con mille vari moti di tutti i muscoli -della faccia. Poi, d'improvviso, si raccoglieva -<span class="pagenum" id="Page_423">[423]</span> -su 'l sedere, tenendosi in una delle mani il piede -ritorto simile a una radice d'arbusto, immobile, -grave, fissando verso le acque i tondi occhi color -d'arancio che gli si empivano di meraviglia, -mentre la fronte gli si corrugava e le orecchie -fini e rosee gli tremavano quasi per inquietudine. -Poi, d'improvviso, con un gesto di malizia ricominciava -la giostra. -</p> - -<p> -— Hu, Barbarà! -</p> - -<p> -Il camello udiva; e si rimetteva in cammino. -</p> - -<p> -Quando la compagnia giunse al bosco dei salci, -presso la foce della Pescara, su la riva sinistra -(già si scorgevano i galli sopra le antenne delle -paranze ancorate allo scalo della Bandiera), Turlendana -si arrestò, poichè voleva dissetarsi al -fiume. -</p> - -<p> -Il patrio fiume recava l'onda perenne della sua -pace al mare. Le rive, coperte di piante fluviatili, -tacevano e si riposavano, come affaticate -dalla recente opera della fecondazione. Il silenzio -era profondo su tutte le cose. Gli estuarii risplendevano -al sole tranquilli, come spere, chiusi in -una cornice di cristalli salini. Secondo le vicende -del vento, i salci verdeggiavano o biancheggiavano. -</p> - -<p> -— La Pescara! — disse Turlendana soffermandosi, -<span class="pagenum" id="Page_424">[424]</span> -con un accento di curiosità e di riconoscimento -istintivo. E stette a riguardare. -</p> - -<p> -Poi discese al margine, dove la ghiaia era polita; -e si mise in ginocchio per attingere l'acqua -con il concavo delle palme. Il camello curvò il -collo, e bevve a sorsi lenti e regolari. L'asina anche -bevve. E la scimmia imitò l'attitudine dell'uomo, -facendo conca con le esili mani ch'erano -violette come i fichi d'India acerbi. -</p> - -<p> -— Hu, Barbarà! -</p> - -<p> -Il camello udì e cessò di bere. Dalle labbra -molli gli gocciolava l'acqua abbondantemente su -le callosità del petto, e gli si vedevano le gencive -pallidicce e i grossi denti giallognoli. -</p> - -<p> -Per il sentiero, segnato nel bosco dalla gente -di mare, la compagnia riprese il viaggio. Cadeva -il sole, quando giunse all'Arsenale di Rampigna. -</p> - -<p> -A un marinaio, che camminava lungo il parapetto -di mattone, Turlendana domandò: -</p> - -<p> -— Quella è Pescara? -</p> - -<p> -Il marinaio, stupefatto alla vista delle bestie, -rispose: -</p> - -<p> -— È quella. -</p> - -<p> -E tralasciò la sua faccenda per seguire il forestiero. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_425">[425]</span> -</p> - -<p> -Altri marinai si unirono al primo. In breve -una torma di curiosi si raccolse dietro Turlendana -che andava innanzi tranquillamente, non -curandosi dei diversi comenti popolari. Al ponte -delle barche il camello si rifiutò di passare. -</p> - -<p> -— Hu, Barbarà! Hu, hu! -</p> - -<p> -Turlendana prese ad incitarlo con le voci, pazientemente, -scotendo la corda della cavezza con -cui ora egli lo conduceva. Ma l'animale ostinato -si coricò a terra e posò la testa nella polvere, -come per rimanere ivi lungo tempo. -</p> - -<p> -I plebei d'in torno, riavutisi dalla prima stupefazione, -schiamazzavano gridando in coro: -</p> - -<p> -— Barbarà! Barbarà! -</p> - -<p> -E, come avevano dimestichezza con le scimmie -perchè talvolta i marinai dalle lunghe navigazioni -le riportavano in patria insieme ai pappagalli e -ai cacatua, provocavano Zavalì in mille modi e -gli porgevano certe grosse mandorle verdi che -il macacco apriva per mangiarne il seme fresco -e dolce golosamente. -</p> - -<p> -Dopo molta persistenza di urti e di urli, alla -fine Turlendana riuscì a vincere la tenacità del -camello. E quella mostruosa architettura d'ossa -e di pelle si risollevò barcollante, in mezzo alla -folla che incalzava. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_426">[426]</span> -</p> - -<p> -Da tutte le parti i soldati e i cittadini accorrevano -allo spettacolo, sopra il ponte delle barche. -Dietro il Gran Sasso il sole cadendo irradiava per -tutto il cielo primaverile una viva luce rosea: e, -come dalle campagne umide e dalle acque del -fiume e del mare e dagli stagni durante il giorno -erano sorti molti vapori, le case e le vele e le -antenne e le piante e tutte le cose apparivano -rosee; e le forme, acquistando una specie di trasparenza, -perdevano la certezza dei contorni e -quasi fluttuavano sommerse in quella luce. -</p> - -<p> -Il ponte, sotto il peso, scricchiolava su le barche -incatramate, simile ad una vastissima zattera -galleggiante. La popolazione tumultuava giocondamente. -Per la ressa, Turlendana con le sue -bestie rimase fermo a mezzo il ponte. E il camello, -enorme, sovrastante a tutte le teste, respirava -contro il vento, movendo tardi il collo -simile a un qualche favoloso serpente coperto -di peli. -</p> - -<p> -Poichè già nella curiosità degli accorsi s'era -sparso il nome dell'animale, tutti, per un nativo -amore degli schiamazzi e per una concorde letizia -che sorgeva a quella dolcezza del tramonto e -della stagione, tutti gridavano: -</p> - -<p> -— Barbarà! Barbarà! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_427">[427]</span> -</p> - -<p> -Al clamore plaudente, Turlendana, che stava -stretto contro il petto del camello, si sentiva invadere -da un compiacimento quasi paterno. -</p> - -<p> -Ma l'asina d'un tratto prese a ragliare con sì -alte ed ingrate variazioni di voci e con tanta -sospirevole passione che un'ilarità unanime corse -il popolo. E le schiette risa plebee si propagavano -da un capo all'altro del ponte, come uno -scroscio di scaturigine cadente giù pe' i sassi -d'una china. -</p> - -<p> -Allora Turlendana ricominciò a muoversi attraverso -la folla, non conosciuto da alcuno. -</p> - -<p> -Quando fu su la porta della città, dove le -femmine vendevano la pesca recente dentro ampi -canestri di giunco, Binchi-Banche, l'omiciattolo -dal viso giallognolo e rugoso come un limone -senza succo, gli si fece innanzi, e, secondo soleva -con tutti i forestieri che capitavano nel -paese, gli offerse i suoi servigi per l'alloggiamento. -</p> - -<p> -Prima chiese, accennando a Barbarà: -</p> - -<p> -— È feroce? -</p> - -<p> -Turlendana rispose che no, sorridendo. -</p> - -<p> -— Be'! — riprese Binchi-Banche, rassicurato — ci -sta la casa di Rosa Schiavona. -</p> - -<p> -Ambedue volsero per la Pesceria e quindi per -<span class="pagenum" id="Page_428">[428]</span> -Sant'Agostino, seguiti dal popolo. Alle finestre -e ai balconi le donne e i fanciulli si affacciavano -guardando con stupore il passaggio del camello -e ammiravano le minute grazie dell'asinetta -bianca e ridevano ai lezii di Zavalì. -</p> - -<p> -A un punto Barbarà, vedendo pendere da una -loggia bassa un'erba mezzo secca, tese il collo -e sporse le labbra per giungerla, e la strappò. -Un grido di terrore ruppe dalle donne che stavano -su la loggia chine; e il grido si propagò -nelle logge prossime. La gente dalla via rideva -forte, gridando come in carnovale dietro le maschere: -</p> - -<p> -— Viva! Viva! -</p> - -<p> -Tutti erano inebriati dalla novità dello spettacolo -e dall'aria della primavera. -</p> - -<p> -Dinanzi alla casa di Rosa Schiavona, in vicinanza -di Portasale, Binchi-Banche accennò di -sostare. -</p> - -<p> -— È qua — disse. -</p> - -<p> -La casa, molto umile, a un solo ordine di finestre, -aveva le mura inferiori tutte segnate -d'iscrizioni e di figurazioni oscene. Una fila di -pipistrelli crocifissi ornava l'architrave; e una -lanterna coperta di carta rossa pendeva sotto -la finestra media. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_429">[429]</span> -</p> - -<p> -Ivi alloggiava ogni sorta di gente avveniticcia -e girovaga: dormivano mescolati i carrettieri di -Letto Manoppello grandi e panciuti; gli zingari -di Sulmona, mercanti di giumenti e restauratori -di caldaie; i fusari di Bucchianico; le femmine -di Città Sant'Angelo venute a far pubblica professione -d'impudicizia tra i soldati; gli zampognari -di Atina; i montagnuoli domatori d'orsi, -i cerretani, i falsi mendicanti, i ladri, le fattucchiere. -</p> - -<p> -Gran mezzano della marmaglia era Binchi-Banche. -Giustissima proteggitrice, Rosa Schiavona. -</p> - -<p> -Come udì i rumori, la femmina venne su 'l -limitare. Ella pareva in verità un essere generato -da un uomo nano e da una scrofa. -</p> - -<p> -Chiese, da prima, con un'aria di diffidenza: -</p> - -<p> -— Che c'è? -</p> - -<p> -— C'è qua 'stu cristiano che vuo' alloggio -co' le bestie, Donna Rosa. -</p> - -<p> -— Quante bestie? -</p> - -<p> -— Tre, vedete, Donna Rosa: 'na scimmia, -'n'asina e 'nu camelo. -</p> - -<p> -Il popolo non badava al dialogo. Alcuni incitavano -Zavalì. Altri palpavano le gambe di Barbarà, -osservando su le ginocchia e su 'l petto -<span class="pagenum" id="Page_430">[430]</span> -i duri dischi callosi. Due guardie del sale, che -avevano viaggiato sino ai porti dell'Asia Minore, -dicevano ad alta voce le varie virtù dei -camelli e narravano confusamente d'averne visti -taluni fare un passo di danza portando il lungo -collo carico di musici e di femmine seminude. -</p> - -<p> -Gli ascoltatori, avidi di udire cose meravigliose, -pregavano: -</p> - -<p> -— Dite! dite! -</p> - -<p> -Tutti stavano a torno, in silenzio, con gli occhi -un po' dilatati, bramando quel diletto. -</p> - -<p> -Allora una delle guardie, un uomo vecchio -che aveva le palpebre arrovesciate dai venti del -mare, cominciò a favoleggiare dei paesi asiatici. -E a poco a poco le parole sue stesse lo trascinavano -e lo inebriavano. -</p> - -<p> -Una specie di mollezza esotica pareva spargersi -nel tramonto. Sorgevano, nella fantasia -popolare, le rive favoleggiate e luminavano. A -traverso l'arco della Porta, già occupato dall'ombra, -si vedevano le tanecche coperte di sale -ondeggiar su 'l fiume; e, come il minerale assorbiva -tutta la luce del crepuscolo, le tanecche -sembravano materiate di cristalli preziosi. Nel -cielo un po' verde saliva il primo quarto della -luna. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_431">[431]</span> -</p> - -<p> -— Dite! dite! — ancora chiedevano i più -giovini. -</p> - -<p> -Turlendana intanto aveva ricoverate le bestie -e le aveva provviste di cibo; e quindi era uscito -in compagnia di Binchi-Banche, mentre la gente -rimaneva accolta innanzi all'uscio della stalla, -dove la testa del camello appariva e spariva -dietro le alte grate di corda. -</p> - -<p> -Per la via, Turlendana domandò: -</p> - -<p> -— Ci stanno cantine? -</p> - -<p> -Binchi-Banche rispose: -</p> - -<p> -— Sì, segnore; ci stanno. -</p> - -<p> -Poi, sollevando le grosse mani nerastre e prendendosi -co 'l pollice e l'indice della destra successivamente -la punta d'ogni dito della sinistra, -enumerava: -</p> - -<p> -— La candina di Speranza, la candina di -Buono, la candina di Assaù, la candina di Zarricante, -la candina della cecata di Turlendana... -</p> - -<p> -— Ah — fece tranquillamente l'uomo. -</p> - -<p> -Binchi-Banche sollevò i suoi acuti occhiolini -verdognoli. -</p> - -<p> -— Ci sei stato 'n'altra volta a qua, segnore? -</p> - -<p> -E, non aspettando la risposta, con la nativa -loquacità della gente pescarese, seguitava: -</p> - -<p> -— La candina della cecata è grande e ci si -<span class="pagenum" id="Page_432">[432]</span> -vende lu meglio vino. La cecata è la femmina -delli quattro mariti... -</p> - -<p> -Si mise a ridere, con un sorriso che gli increspava -tutta la faccia gialliccia come il centopelle -d'un ruminante. -</p> - -<p> -— Lu primo marito fu Turlendana, ch'era -marinaro e andava su li bastimenti del re di -Napoli, all'Indie basse e alla Francia e alla Spagna -e infino all'America. Quello si perse in -mare, e chi sa a dove, con tutto il legno; e non -s'è trovato più. So' trent'anni. Teneva la forza -di Sansone: tirava l'áncore co' un dito... Povero -giovane! Eh, chi va pe' mare quella fine fa. -</p> - -<p> -Turlendana ascoltava, tranquillamente. -</p> - -<p> -— Lu secondo marito, dopo cinqu'anni di vedovanza, -fu 'n'ortonese, lu figlio di Ferrante, -'n'anima dannata, che s'er'unito co' li contrabbandieri, -a tempo che Napolione stava contro -l'Inglesi. Facevano contrabbando da Francavilla -infino a Silvi e a Montesilvano, di zucchero e -di cafè, co' li legni inglesi. C'era, vicino a Silvi, -'na torre delli Saracini, sotto il bosco, da dove -si facevano li segnali. Come passava la pattuglia, -plon plon, plon plon, noi 'scivamo dall'alberi.... — Ora -il parlatore accendevasi al ricordo; -ed obliandosi descriveva con prolissità -<span class="pagenum" id="Page_433">[433]</span> -di parole tutta l'operazion clandestina, ed aiutava -di gesti e di interiezioni vive il racconto. La sua -piccola persona coriacea si raccorciava e si distendeva -nell'atto. — In fine, il figlio di Ferrante -era morto d'una schioppettata nelle reni, per -mano de' soldati di Gioacchino Murat, di notte, -su la costiera. -</p> - -<p> -— Lu terzo marito fu Titino Passacantando -che morì nel letto suo, di male cattivo. Lu quarto -vive. Ed è Verdura, bonomo, che no' mestura -li vini. Sentarai, segnore. -</p> - -<p> -Quando giunsero alla cantina lodata, si separarono. -</p> - -<p> -— F'lice sera, segnore! -</p> - -<p> -— F'lice sera. -</p> - -<p> -Turlendana entrò, tranquillamente, fra la curiosità -dei bevitori che sedevano a certe lunghe -tavole in giro. -</p> - -<p> -Avendo chiesto da mangiare, egli fu da Verdura -invitato a salire in una stanza superiore -ove i deschi erano già pronti per le cene. -</p> - -<p> -Nessun cliente ancora stava nella stanza. Turlendana -sedette e incominciò a mangiare a grandi -bocconi, con la testa su 'l piatto, senza intervalli, -come un uomo famelico. Egli era quasi intieramente -calvo: una profonda cicatrice rossiccia gli -<span class="pagenum" id="Page_434">[434]</span> -solcava per lungo la fronte e gli scendeva fino -a mezzo la guancia; la barba folta e grigia gli -saliva fino ai pomelli emergenti; la pelle, bruna, -secca, piena di asperità, corrosa dalle intemperie, -riarsa dal sole, incavata dalle sofferenze, pareva -non conservare più alcuna vivezza umana; -gli occhi e tutti i lineamenti erano, da tempo, come -pietrificati nell'impassibilità. -</p> - -<p> -Verdura, curioso, sedette di contro; e stette -a riguardare il forestiero. Egli era piuttosto pingue, -con la faccia d'un color roseo sottilissimamente -venato di vermiglio come la milza dei -buoi. -</p> - -<p> -Alla fine, domandò: -</p> - -<p> -— Da che paese venite? -</p> - -<p> -Turlendana, senza levar la faccia, rispose semplicemente: -</p> - -<p> -— Vengo di lontano. -</p> - -<p> -— E dove andate? — ridomandò Verdura. -</p> - -<p> -— Sto qua. -</p> - -<p> -Verdura, stupefatto, tacque. Turlendana levava -ai pesci la testa e la coda; e li mangiava così -a uno a uno, triturando le lische. Ad ogni due -o tre pesci, beveva un sorso di vino. -</p> - -<p> -— Qua ci conoscete qualcuno? — riprese Verdura, -bramoso di sapere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_435">[435]</span> -</p> - -<p> -— Forse — rispose l'altro semplicemente. -</p> - -<p> -Sconfitto dalla brevità dell'interlocutore, il vinattiere -una seconda volta ammutolì. Udivasi la -masticazione lenta ed elaborata di Turlendana -tra l'inferior clamore dei bevitori. -</p> - -<p> -Dopo un poco, Verdura riaprì la bocca. -</p> - -<p> -— Il camello in che siti nasce? Quelle due -gobbe sono naturali? Una bestia così grande e -forte come può essere mai addomesticata? -</p> - -<p> -Turlendana lasciava parlare, senza rimuoversi. -</p> - -<p> -— Il vostro nome, signor forestiere? -</p> - -<p> -L'interrogato sollevò il capo dal piatto; e rispose, -semplicemente: -</p> - -<p> -— Io mi chiamo Turlendana. -</p> - -<p> -— Che? -</p> - -<p> -— Turlendana. -</p> - -<p> -— Ah! -</p> - -<p> -La stupefazione dell'oste non ebbe più limiti. -E insieme una specie di vago sbigottimento cominciava -a ondeggiare in fondo all'animo di lui. -</p> - -<p> -— Turlendana!... Di qua? -</p> - -<p> -— Di qua. -</p> - -<p> -Verdura dilatò i grossi occhi azzurri in faccia -all'uomo. -</p> - -<p> -— Dunque non siete morto? -</p> - -<p> -— Non sono morto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_436">[436]</span> -</p> - -<p> -— Dunque voi siete il marito di Rosalba Catena? -</p> - -<p> -— Sono il marito di Rosalba Catena. -</p> - -<p> -— E ora? — esclamò Verdura, con un gesto -di perplessità. — Siamo due. -</p> - -<p> -— Siamo due. -</p> - -<p> -Un istante rimasero in silenzio. Turlendana -masticava l'ultima crosta d'un pane, tranquillamente; -e si udiva nel silenzio lo scricchiolío leggero. -Per una naturale benigna incuranza dell'animo -e per una fatuità gloriosa, Verdura non -era compreso d'altro che della singolarità dell'avvenimento. -Un improvviso impeto d'allegrezza -lo prese, salendo spontaneo dai precordii. -</p> - -<p> -— Andiamo da Rosalba! andiamo! andiamo! -andiamo! -</p> - -<p> -Egli traeva il reduce per un braccio, a traverso -il fondaco dei bevitori, agitandosi, gridando: -</p> - -<p> -— Ecc'a qua Turlendana, Turlendana marinaro, -lu marito de mógliema, Turlendana che -s'era morto! Ecc'a qua Turlendana! Ecc'a qua -Turlendana! -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_437">[437]</span></p> - -<h2 id="ebro">TURLENDANA EBRO.</h2> -</div> - -<p> -Quando egli bevve l'ultimo bicchiere, all'orologio -del Comune stavano per iscoccare due ore -dopo la mezzanotte. -</p> - -<p> -Disse Biagio Quaglia, con la voce intorbidata -dal vino, come i tocchi squillarono nel silenzio -della luna chiarissimi: -</p> - -<p> -— Mannaggia! Ce ne vulemo i'? -</p> - -<p> -Ciávola, quasi disteso sotto la panca, agitando -di tratto in tratto le lunghe gambe corritrici, farneticava -di cacce clandestine nelle bandite del -marchese di Pescara, poichè il sapor selvatico -della lepre gli risaliva su per la gola e il vento -recava l'odor resinoso dei pini dalla boscaglia -marittima. -</p> - -<p> -Disse Biagio Quaglia, percotendo con i piedi -il cacciatore biondo, e facendo atto di levarsi: -</p> - -<p> -— 'Jamo, Purié. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_438">[438]</span> -</p> - -<p> -E Ciávola con molto sforzo si rizzò dondolandosi, -smilzo e lungo come un cane levriere. -</p> - -<p> -— 'Jamo; ca mo fanne lu passo — rispose, levando -la mano verso l'alto quasi in atto di auspicio, -poichè forse pensava a una qualche migrazione -di uccelli. -</p> - -<p> -Turlendana anche si mosse; e, vedendo dietro -di sè la vinattiera Zarricante che aveva fresche -le gote e acerbe le poma del petto, volle abbracciarla. -Ma Zarricante gli sfuggì di tra le braccia, -gridandogli una contumelia. -</p> - -<p> -Su la porta, Turlendana chiese ai due amici -un po' di compagnia e di sostegno per un tratto -di cammino. Ma Biagio Quaglia e Ciávola, che -facevano un bel paio, gli volsero le spalle sghignazzando -e si allontanarono sotto la luna. -</p> - -<p> -Allora Turlendana si fermò a guardare la luna -che era tonda e rossa come una faccia canonicale. -I luoghi intorno tacevano. Le case biancicavano -in fila. Un gatto miagolava alla notte di maggio, -su i gradini della porta. -</p> - -<p> -L'uomo, avendo nell'ebrietà una singolare inclinazione -alla tenerezza, tese la mano pianamente -per accarezzare l'animale Ma l'animale, -essendo di natura forastico, diede un balzo e -disparve. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_439">[439]</span> -</p> - -<p> -Vedendo un cane errante avvicinarsi, l'uomo -tentò di versare su quello la piena della sua benevolenza -amorevole. Ma il cane passò oltre, -senza rispondere al richiamo, e si mise in un -canto del trivio a rosicare certe ossa. Il rumore -dei denti laboriosi udivasi distintamente nel silenzio. -</p> - -<p> -Come dopo poco la porta della cantina si chiuse, -Turlendana rimase solo nel gran plenilunio popolato -di ombre e di nuvole in viaggio. E la -sua mente rimase colpita da quel rapido allontanarsi -di tutti gli esseri circostanti. Tutti dunque -fuggivano? Che aveva egli fatto perchè tutti -fuggissero? -</p> - -<p> -Cominciò a muovere i passi incertamente, verso -il fiume. Il pensiero di quella fuga universale, a -mano a mano ch'egli andava innanzi, gli occupava -con maggior profondità il cervello alterato -dai fumi bacchici. Avendo incontrato altri due -cani spersi, si fermò presso di loro quasi per -esperimentare e li chiamò. Le due bestie ignobili -seguitarono a strisciarsi lungo i muri, con la -coda fra le gambe; e scantonarono. Poi, quando -furono più lontani, si misero a latrare; e subitamente -da tutti i punti del paese, dal Bagno, -da Sant'Agostino, dall'Arsenale, dalla Pescheria, -<span class="pagenum" id="Page_440">[440]</span> -da tutti i luoghi luridi e oscuri i cani erranti accorsero, -come a un suon di battaglia. E il coro -ostile di quella tribù famelica saliva fino alla -luna. -</p> - -<p> -Turlendana stupefatto, mentre una specie d'inquietudine -gli si svegliava nell'animo vagamente, -riprese il cammino con passi più spediti, di tratto -in tratto incespicando su le asperità del terreno. -Quando giunse al canto dei bottari, dove le ampie -botti di Zazzetta formavano cumuli biancastri simili -a monumenti, egli sentì un interrotto respirar -bestiale. E, poichè il pensiero fisso dell'ostilità -delle bestie omai lo teneva, egli si accostò da -quella parte, con una ostinazione di ebro, per esperimentare -di nuovo. -</p> - -<p> -Dentro una stalla bassa i tre vecchi cavalli di -Michelangelo ansavano faticosamente su la mangiatoia. -Erano bestie decrepite che avevano logorata -la vita trascinando su per la strada di -Chieti due volte al giorno la gran carcassa d'una -diligenza piena di mercanti e di mercanzie. -Sotto i loro peli bruni, qua e là rasati dalle bardature, -le coste sporgevano come tante canne -secche di una tettoia in rovina; le gambe anteriori -piegate non avevano quasi più ginocchia; -la schiena era dentata come una sega; e il collo -<span class="pagenum" id="Page_441">[441]</span> -spelato, dove a pena rimaneva qualche vestigio -della criniera, si curvava verso terra così che -talvolta le froge senza più soffio toccavano quasi -le ugne consunte. -</p> - -<p> -Un cancello di legno, malfermo, sbarrava la -porta. -</p> - -<p> -Turlendana cominciò a fare: -</p> - -<p> -— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush! -</p> - -<p> -I cavalli non si movevano; ma respiravano -insieme, umanamente. E le forme dei loro corpi -apparivano confuse nell'ombra turchiniccia; e il -fetore dei loro aliti si mesceva al fetore dello -strame. -</p> - -<p> -— Ush, ush, ush! — seguitava Turlendana, in -suono lamentevole, come quando spingeva Barbará -ad abbeverarsi. -</p> - -<p> -I cavalli non si movevano -</p> - -<p> -— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush! -</p> - -<p> -Uno dei cavalli si volse e venne a mettere -la grossa testa deforme su 'l cancello, guardando -dagli occhi che rilucevano alla luna come ripieni -d'un'acqua torbida. Il labbro inferiore gli penzolava -simile a un lembo di pelle flaccida, scoprendo -la genciva. Le froge ad ogni soffio ripalpitavano -nel tenerume umidiccio del muso, e -si chiudevano talvolta con la stessa mollezza -<span class="pagenum" id="Page_442">[442]</span> -d'una bolla d'aria in una massa di lievito che -fermenta, e si richiudevano. -</p> - -<p> -Alla vista di quella testa senile, l'ebro si risovvenne. -Perchè dunque s'era empito di vino, -egli così sobrio per consuetudine? Un momento, -in mezzo all'ebrietà obliosa, la forma di Barbarà -moribondo gli ricomparve dinanzi, la forma del -camello che giaceva su 'l terreno e teneva su -la paglia il lungo collo inerte e tossiva come -un uomo e si agitava debolmente di tratto in -tratto, mentre ad ogni moto il ventre gonfio produceva -il rumore d'un barile a metà pieno d'acqua. -</p> - -<p> -Una gran tenerezza pietosa lo invase; e l'agonia -del camello, con quelle scosse improvvise e -quegli strani singhiozzi rauchi che facevano sussultare -e vibrare sonoramente tutto l'enorme -carcame semivivo, e con quegli sfarzi affannosi -del collo che si sollevava un istante per ricadere -su la paglia dando un romor sordo e grave -mentre le gambe si movevano quasi in atto di -correre, e con quel tremore continuo degli orecchi -e quell'immobilità del globo oculare che pareva -già spento prima d'ogni altra parte sensibile, -l'agonia del camello gli ritornò nella memoria -lucidamente in tutta la sua miseria umana. -Ed egli, appoggiato al cancello, per un moto -<span class="pagenum" id="Page_443">[443]</span> -macchinale della bocca seguitava a fare verso -il cavallo di Michelangelo: -</p> - -<p> -— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush! -</p> - -<p> -Con la persistenza inconscia degli ebri, con -una ebetudine crescente, seguitava, seguitava; -ed era una lamentazione monotona accorante, -quasi lugubre come il canto degli uccelli notturni. -</p> - -<p> -— Ush, ush, ush! -</p> - -<p> -Allora Michelangelo, che dal suo letto udiva, -d'improviso si affacciò alla finestra soprastante; -e in furia si diede a caricar di contumelie e di -imprecazioni il disturbatore. -</p> - -<p> -— Fijie di puttane, vatt'a jettà a la Piscare! -Vatténne da ecche! Vatténne, ca mo pijie na -varre. Fijie di puttane a turmendà li cristiani -vuo' venì? 'Mbriache 'vrette! Vatténne! -</p> - -<p> -Turlendana si rimise a camminare, verso il -fiume, barcollando. Al trivio dei fruttaiuoli una -torma di cani stava in conciliabolo amoroso. Come -l'uomo si appressò, la torma si disperse correndo -verso il Bagno. Dal vicolo di Gesidio un'altra -torma sbucò e prese la via dei Bastioni. Tutto -il paese di Pescara, nel dolce plenilunio primaverile, -era pieno di amori e di combattimenti canini. -Il mastino di Madrigale, incatenato a guardia -d'un bove ucciso, di tratto in tratto faceva -<span class="pagenum" id="Page_444">[444]</span> -sentire la sua voce profonda che dominava tutte -le altre voci. Di tratto in tratto, qualche cane -sbandato passava di gran corsa, solo, dirigendosi -al luogo della mischia. Nelle case, i cani -prigionieri ululavano. -</p> - -<p> -Ora, un turbamento più strano prendeva il -cervello dell'ebro. Dinanzi a lui, dietro a lui, in -torno a lui, la fuga imaginaria delle cose ricominciava -più rapida. Egli si avanzava, e tutte -le cose si allontanavano: le nuvole, gli alberi, -le pietre, le rive del fiume, le antenne delle barche, -le case. Questa specie di repulsione e di -reprobazione universale lo empì di terrore. Si -fermò. Un gorgoglio prolungato gli moveva le -viscere. Subito, nella mente scomposta, gli balenò -un pensiero. — Il lepre! Anche il lepre di -Ciávola non voleva più restar con lui! — Il terrore -gli crebbe; un tremito gli prese le gambe -e le braccia. Ma, incalzato, discese fra i salici -teneri e le alte erbe su la riva. -</p> - -<p> -La luna piena, radiante, spandeva per tutto il -cielo una dolce serenità nivale. Gli alberi s'inclinavano -in attitudini pacifiche alla contemplazione -delle acque fuggitive. Quasi un respiro -lento e solenne emanava dal sonno del fiume -sotto la luna. Le rane cantavano. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_445">[445]</span> -</p> - -<p> -Turlendana stava quasi nascosto tra le piante. -Le mani gli tremavano su i ginocchi. D'improvviso, -egli sentì sotto di sè muoversi qualche cosa -di vivo: una rana! Gittò un grido, si levò, si -diede a correre traballando, in mezzo ai salici -che lo fustigavano. Pel disordine de' suoi spiriti, -egli era atterrito come da un fatto soprannaturale. -</p> - -<p> -A un avvallamento del terreno cadde, bocconi, -con la faccia su l'erba. Si rialzò a gran fatica, -e stette un momento a riguardare in torno gli -alberi. -</p> - -<p> -Le forme argentee dei pioppi sorgevano immobili -nell'aria, taciturne; e parevano inalzarsi -fino alla luna, per un prolungamento ingannevole -delle loro cime. Le rive del fiume si dileguavano -indefinite, quasi immateriali, come le imagini dei -paesi nei sogni. Su la parte destra gli estuari -risplendevano d'una bianchezza abbagliante, -d'una bianchezza salina, su cui ad intervalli le -ombre gittate dalle nuvole migratrici passavano -mollemente come veli azzurri. Più lungi la selva -chiudeva l'orizzonte. Il profumo della selva e il -profumo del mare si mescolavano. -</p> - -<p> -— Oh Turlendana! ooooh! — gridò una voce, -chiarissima. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_446">[446]</span> -</p> - -<p> -Turlendana, stupefatto, si volse. -</p> - -<p> -— Oh Turlendanaaaaa! -</p> - -<p> -E Binchi-Banche apparve in compagnia di un -finanziere, su 'l principio di un sentiero praticato -dai marinai tra il folto dei salci. -</p> - -<p> -— Addó vai a 'st'ora? A piagne lu camelo? — chiese -Binchi-Banche avvicinandosi. -</p> - -<p> -Turlendana non rispose subito. Si reggeva con -le mani le brache, teneva le ginocchia un po' -piegate innanzi; e nella faccia aveva una così -strana espression di stupidezza e balbettava così -miseramente che Binchi-Banche e il finanziere -scoppiarono in grasse risa. -</p> - -<p> -— Va, va — disse l'omiciattolo grinzoso, prendendo -l'ebro per le spalle e incamminandola -verso la marina. -</p> - -<p> -Turlendana andò innanzi. Binchi-Banche ed -il finanziere seguitavano a distanza, ridendo e -parlando a voce bassa. -</p> - -<p> -Ora la verdura terminava e incominciavano -la sabbie. Si udiva mormorare la maretta alla -foce della Pescara. -</p> - -<p> -In una specie di bassura arenosa, tra le dune, -Turlendana si incontrò con la carogna di Barbarà -non ancora sepolta. Il gran corpo, tutto -spellato, era sanguinolento; le masse adipose -<span class="pagenum" id="Page_447">[447]</span> -della schiena anche erano scoperte ed apparivano -d'un colore giallognolo; su le gambe e su -le cosce la pelle rimaneva con tutti i peli e i -dischi callosi; nella bocca si vedevano i due denti -enormi, angolosi, ricurvi della mandibola superiore -e la lingua bianchiccia; il labbro di sotto -era, chi sa perchè, reciso; e il collo somigliava -ad un tronco di serpente. -</p> - -<p> -Turlendana, in conspetto di quello strazio, si -mise a gridare scotendo la testa. Faceva un verso -singolare, che non pareva umano. -</p> - -<p> -— Ahò! Ahò! Ahò! -</p> - -<p> -Poi, volendo chinarsi su 'l camello, stramazzò; -si agitò invano per rialzarsi; e, vinto dal torpore -del vino, rimase senza conoscenza. -</p> - -<p> -Binchi-Banche e il finanziere, come lo videro -cadere, sopraggiunsero. Lo presero, l'uno da -capo e l'altro da piedi; lo sollevarono, e lo adagiarono -lungo su 'l corpo di Barbarà, atteggiandolo -a un abbracciamento d'amore. Sghignazzavano -i due operando. -</p> - -<p> -E così Turlendana giacque co 'l camello, sino -all'aurora. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_448">[448]</span></p> - -<h2 id="cerusico">IL CERUSICO DI MARE.</h2> -</div> - -<p> -Il trabaccolo <i>Trinità</i>, carico di fromento, salpò -alla volta della Dalmazia, verso sera. Navigò -lungo il fiume tranquillo, fra le paranze di Ortona -ancorate in fila, mentre su la riva si accendevano -fuochi e i marinai reduci cantavano. -Passando quindi pianamente la foce angusta, uscì -nel mare. -</p> - -<p> -Il tempo era benigno. Nel cielo di ottobre, -quasi a fior delle acque, la luna piena pendeva -come una dolce lampada rosea. Le montagne -e le colline, dietro, avevano forma di donne adagiate. -In alto, passavano le oche selvatiche, senza -gridare, e si dileguavano. -</p> - -<p> -I sei uomini e il mozzo prima manovrarono -d'accordo per prendere il vento. Poi, come le -vele si gonfiarono nell'aria tutte colorate in rosso -e segnate di figure rudi, i sei uomini si misero -a sedere e cominciarono a fumare tranquillamente. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_449">[449]</span> -</p> - -<p> -Il mozzo prese a cantarellare una canzone della -patria, a cavalcioni su la prua. -</p> - -<p> -Disse Talamonte maggiore, gittando un lungo -sprazzo di saliva su l'acqua e rimettendosi in -bocca la pipa gloriosa: -</p> - -<p> -— Lu tembe n'n ze mandéne. -</p> - -<p> -Alla profezia, tutti guardarono verso il largo; -e non parlarono. Erano marinai forti e indurati -alle vicende del mare. Avevano altre volte navigato -alle isole dàlmate, e a Zara, a Trieste, a -Spàlato; sapevano la via. Alcuni anche rammentavano -con dolcezza il vino di Dignano, -che ha il profumo delle rose, e i frutti delle -isole. -</p> - -<p> -Comandava il trabaccolo Ferrante La Selvi. -I due fratelli Talamonte, Cirù, Massacese e Gialluca -formavano l'equipaggio, tutti nativi di Pescara. -Nazareno era il mozzo. -</p> - -<p> -Essendo il plenilunio, indugiarono su'l ponte. -Il mare era sparso di paranze che pescavano. -Ogni tanto una coppia di paranze passava accanto -al trabaccolo; e i marinai si scambiavano -voci, familiarmente. La pesca pareva fortunata. -Quando le barche si allontanarono e le acque -ridivennero deserte, Ferrante e i Talamonte discesero -sotto coperta per riposare. Massacese e -<span class="pagenum" id="Page_450">[450]</span> -Gialluca, poi ch'ebbero finito di fumare, seguirono -l'esempio. Cirù rimase di guardia. -</p> - -<p> -Prima di scendere, Gialluca, mostrando al -compagno una parte del collo, disse: -</p> - -<p> -— Guarda che tenghe a qua. -</p> - -<p> -Massacese guardò e disse: -</p> - -<p> -— Na cosa da niente. N'n ce penzà. -</p> - -<p> -C'era un rossore simile a quello che produce -la puntura di un insetto, e in mezzo al rossore -un piccolo nodo. -</p> - -<p> -Gialluca soggiunse: -</p> - -<p> -— Me dole. -</p> - -<p> -Nella notte si mutò il vento; e il mare cominciò -ad ingrossare. Il trabaccolo si mise a -ballare sopra le onde, trascinato a levante, perdendo -cammino. Gialluca, nella manovra, gittava -ogni tanto un piccolo grido, perchè ad ogni -movimento brusco del capo sentiva dolore. -</p> - -<p> -Ferrante La Scivi gli domandò: -</p> - -<p> -— Che tieni? -</p> - -<p> -Gialluca, alla luce dell'alba, mostrò il suo male. -Su la cute il rossore era cresciuto, ed un piccolo -tumore aguzzo appariva nel mezzo. -</p> - -<p> -Ferrante, dopo avere osservato, disse anche -lui: -</p> - -<p> -— Na cosa da niente. N'n ce penzà. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_451">[451]</span> -</p> - -<p> -Gialluca prese un fazzoletto e si fasciò il collo. -Poi si mise a fumare. -</p> - -<p> -Il trabaccolo, scosso dai cavalloni e trascinato -dal vento contrario, fuggiva ancora verso levante. -Il rumore del mare copriva le voci. Qualche -ondata si spezzava sul ponte, ad intervalli, -con un suono sordo. -</p> - -<p> -Verso sera la burrasca si placò; e la luna -emerse come una cupola di fuoco. Ma poichè -il vento cadde, il trabaccolo rimase quasi fermo -nella bonaccia; le vele si afflosciarono. Di tanto -in tanto sopravveniva un soffio passeggiero. -</p> - -<p> -Gialluca si lamentava del dolore. Nell'ozio, i -compagni cominciarono ad occuparsi del suo -male. Ciascuno suggeriva un rimedio differente. -Cirù, ch'era il più anziano, si fece innanzi e suggerì -un empiastro di mele e di farina. Egli -aveva qualche vaga cognizione medica, perchè -la moglie sua in terra esercitava la medicina -insieme con l'arte magica e guariva i mali con -i farmachi e con le cabale. Ma la farina e le mele -mancavano. La galletta non poteva essere efficace. -</p> - -<p> -Allora Cirù prese una cipolla e un pugno di -grano: pestò il grano, tagliuzzò la cipolla, e -compose l'empiastro. Al contatto di quella materia, -<span class="pagenum" id="Page_452">[452]</span> -Gialluca sentì crescere il dolore. Dopo -un'ora si strappò dal collo la fasciatura e gittò -ogni cosa in mare, invaso da un'impazienza -irosa. Per vincere il fastidio, si mise al timone -e resse la sbarra lungo tempo. S'era levato il -vento, e le vele palpitavano gioiosamente. Nella -chiara notte un'isoletta, che doveva essere Pelagosa, -apparve in lontananza come una nuvola -posata su l'acqua. -</p> - -<p> -Alla mattina Cirù, che omai aveva impreso a -curare il male, volle osservare il tumore. La gonfiezza -erasi dilatata occupando gran parte del -collo ed aveva assunta una nuova forma e un -colore più cupo che su l'apice diveniva violetto. -</p> - -<p> -— E che è quesse? — egli esclamò, perplesso, -con un suono di voce che fece trasalire l'infermo. -E chiamò Ferrante, i due Talamonte, gli -altri. -</p> - -<p> -Le opinioni furono varie. Ferrante imaginò un -male terribile da cui Gialluca poteva rimanere -soffocato. Gialluca, con gli occhi aperti straordinariamente, -un po' pallido, ascoltava i prognostici. -Come il cielo era coperto di vapori, e il -mare appariva cupo e stormi di gabbiani si precipitavano -verso la costa gridando, una specie di -terrore scese nell'animo di lui. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_453">[453]</span> -</p> - -<p> -Alla fine Talamonte minore sentenziò: -</p> - -<p> -— È 'na fava maligna. -</p> - -<p> -Gli altri assentirono: -</p> - -<p> -— Eh, po èsse'. -</p> - -<p> -Infatti, il giorno dopo, la cuticola del tumore -fu sollevata da un siero sanguigno e si lacerò. -E tutta la parte prese l'apparenza d'un nido di -vespe, d'onde sgorgavano materie purulente in -abbondanza. L'infiammazione e la suppurazione -si approfondivano e si estendevano rapidamente. -</p> - -<p> -Gialluca, atterrito, invocò san Rocco che guarisce -le piaghe. Promise dieci libbre di cera, -venti libbre. Egli s'inginocchiava in mezzo al -ponte, tendeva le braccia verso il cielo, faceva -i voti con un gesto solenne, nominava il padre, -la madre, la moglie, i figliuoli. D'in torno, i -compagni si facevano il segno della croce, gravemente, -ad ogni invocazione. -</p> - -<p> -Ferrante La Selvi, che sentì giungere un gran -colpo di vento, gridò con la voce rauca un comando, -in mezzo al romorìo del mare. Il trabaccolo -si piegò tutto sopra un fianco. Massacese, -i Talamonte, Cirù si gittarono alla manovra. -Nazareno strisciò lungo un albero. Le vele -in un momento furono ammainate: rimasero i -due fiocchi. E il trabaccolo, barcollando da banda -<span class="pagenum" id="Page_454">[454]</span> -a banda, si mise a correre a precipizio su la -cima dei flutti. -</p> - -<p> -— Sante Rocche! Sante Rocche! — gridava -con più fervore Gialluca, eccitato anche dal tumulto -circostante, curvo su le ginocchia e su le -mani per resistere al rullìo. -</p> - -<p> -Di tratto in tratto un'ondata più forte si rovesciava -su la prua: l'acqua salsa invadeva il -ponte da un capo all'altro. -</p> - -<p> -— Va a basse! — gridò Ferrante a Gialluca. -</p> - -<p> -Gialluca discese nella stiva. Egli sentiva un calore -molesto e un'aridezza febrile per tutta la pelle: -e la paura del male gli chiudeva lo stomaco. Là -sotto, nella luce fievole, le forme delle cose assumevano -apparenze singolari. Si udivano i colpi -profondi del flutto contro i fianchi del naviglio -e gli scricchiolii di tutta quanta la compagine. -</p> - -<p> -Dopo mezz'ora, Gialluca riapparve su 'l ponte, -smorto come se uscisse da un sepolcro. Egli -amava meglio stare all'aperto, esporsi all'ondata, -vedere gli uomini, respirare il vento. -</p> - -<p> -Ferrante, sorpreso da quel pallore, gli domandò: -</p> - -<p> -— E mo' che tieni? -</p> - -<p> -Gli altri marinai, dai loro posti, si misero a -discutere i rimedii; ad alta voce, quasi gridando, -<span class="pagenum" id="Page_455">[455]</span> -per superare il fragore della burrasca. Si animavano. -Ciascuno aveva un metodo suo. Ragionavano -con sicurezza di dottori. Dimenticavano -il pericolo, nella disputa. Massacese aveva -visto, due anni avanti, un vero medico operare -sul fianco di Giovanni Margadonna, in un caso -simile. Il medico tagliò, poi strofinò con pezzi di -legno intinti in un liquido fumante, bruciò così -la piaga. Levò con una specie di cucchiaio la -carne arsa che somigliava fondiglio di caffè. E -Margadonna fu salvo. -</p> - -<p> -Massacese ripeteva, quasi esaltato, come un -cerusico feroce: -</p> - -<p> -— S'ha da tajià! S'ha da tajià! -</p> - -<p> -E faceva l'atto del taglio, con la mano, verso -l'infermo. -</p> - -<p> -Cirù fu del parere di Massacese. I due Talamonte -anche convennero. Ferrante La Selvi scoteva -il capo. -</p> - -<p> -Allora Cirù fece a Gialluca la proposta. Gialluca -si rifiutò. -</p> - -<p> -Cirù, in un impeto brutale ch'egli non potè -trattenere gridò: -</p> - -<p> -— Muòrete! -</p> - -<p> -Gialluca divenne più pallido e guardò il compagno -con due larghi occhi pieni di terrore -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_456">[456]</span> -</p> - -<p> -Cadeva la notte. Il mare nell'ombra pareva -che urlasse più forte. Le onde luccicavano, passando -nella luce gittata dal fanale di prua. La -terra era lontana. I marinai stavano afferrati a -una corda per resistere contro i marosi. Ferrante -governava il timone, gettando di tratto in tratto -una voce nella tempesta: -</p> - -<p> -— Va a basse, Giallù! -</p> - -<p> -Gialluca, per una strana ripugnanza a trovarsi -solo, non voleva discendere quantunque il male -lo travagliasse. Anch'egli si teneva alla corda, -stringendo i denti nel dolore. Quando veniva -una ondata, i marinai abbassavano la testa e -mettevano un grido concorde, simile a quello -con cui sogliono accompagnare un comune sforzo -nella fatica. -</p> - -<p> -Uscì la luna da una nuvola, diminuendo l'orrore. -Ma il mare si mantenne grosso tutta la -notte. -</p> - -<p> -La mattina Gialluca, smarrito, disse ai compagni: -</p> - -<p> -— Tajiáte. -</p> - -<p> -I compagni prima s'accordarono gravemente; -tennero una specie di consulto decisivo. Poi osservarono -il tumore ch'era eguale al pugno di -un uomo. Tutte le aperture, che dianzi gli davano -<span class="pagenum" id="Page_457">[457]</span> -l'apparenza di un nido di vespe o di un -crivello, ora ne formavano una sola. -</p> - -<p> -Disse Massacese: -</p> - -<p> -— Curagge! Avande! -</p> - -<p> -Egli doveva essere il cerusico. Provò su l'unghia -la tempra delle lame. Scelse infine il coltello -di Talamonte maggiore, ch'era affilato di -fresco. Ripetè: -</p> - -<p> -— Curagge! Avande! -</p> - -<p> -Quasi un fremito d'impazienza scoteva lui e -gli altri. -</p> - -<p> -L'infermo ora pareva preso da uno stupidimento -cupo. Teneva gli occhi fissi su 'l coltello, -senza dire niente, con la bocca semiaperta, -con le mani penzoloni lungo i fianchi, come un -idiota. -</p> - -<p> -Cirù lo fece sedere, gli tolse la fasciatura, -mettendo con le labbra quei suoni istintivi che -indicano il ribrezzo. Un momento, tutti si chinarono -su la piaga, in silenzio, a guardare. Massacese -disse: -</p> - -<p> -— Cusì e cusì, — indicando con la punta del -coltello la direzione dei tagli. -</p> - -<p> -Allora, d'un tratto, Gialluca ruppe in un gran -pianto. Tutto il suo corpo veniva scosso dai singhiozzi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_458">[458]</span> -</p> - -<p> -— Curagge! Curagge! — gli ripetevano i marinai, -prendendolo per le braccia. -</p> - -<p> -Massacese incominciò l'opera. Al primo contatto -della lama, Gialluca gittò un urlo; poi stringendo -i denti, metteva quasi un muggito soffocato. -</p> - -<p> -Massacese tagliava lentamente, ma con sicurezza; -tenendo fuori la punta della lingua, per -una abitudine ch'egli aveva nel condur le cose -con attenzione. Come il trabaccolo barcollava, -il taglio riusciva ineguale; il coltello ora penetrava -più, ora meno. Un colpo di mare fece affondare -la lama dentro i tessuti sani. Gialluca -gittò un altro urlo, dibattendosi, tutto sanguinante, -come una bestia tra le mani dei beccai. -Egli non voleva più sottomettersi. -</p> - -<p> -— No, no, no! -</p> - -<p> -— Vien' a qua! Vien' a qua! — gli gridava -Massacese, dietro, volendo seguitare la sua opera -perchè temeva che il taglio interrotto fosse più -pericoloso. -</p> - -<p> -Il mare, ancora grosso, romoreggiava in torno, -senza fine. Nuvole in forma di trombe sorgevano -dall'ultimo termine ed abbracciavano il cielo deserto -d'uccelli. Oramai, in mezzo a quel frastuono, -sotto quella luce, una eccitazione singolare prendeva -<span class="pagenum" id="Page_459">[459]</span> -quegli uomini. Involontariamente, essi nel -lottare col ferito per tenerlo fermo, s'adiravano. -</p> - -<p> -— Vien' a qua! -</p> - -<p> -Massacese fece altre quattro o cinque incisioni, -rapidamente, a caso. Sangue misto a materie -biancastre sgorgava dalle aperture. Tutti -n'erano macchiati, tranne Nazareno che stava a -prua, tremante, sbigottito dinanzi all'atrocità -della cosa. -</p> - -<p> -Ferrante La Selvi, che vedeva la barca pericolare, -diede un comando a squarciagola: -</p> - -<p> -— Molla le scòtteee! Butta 'l timone a l'ôrsa! -</p> - -<p> -I due Talamonte, Massacese, Cirù manovrarono. -Il trabaccolo riprese a correre beccheggiando. -Si scorgeva Lissa in lontananza. Lunghe -zone di sole battevano su le acque, sfuggendo -di tra le nuvole; e variavano secondo le -vicende celesti. -</p> - -<p> -Ferrante rimase alla sbarra. Gli altri marinai -tornarono a Gialluca. Bisognava nettare le aperture, -bruciare, mettere le filacce. -</p> - -<p> -Ora il ferito era in una prostrazione profonda. -Pareva che non capisse più nulla. Guardava i -compagni, con due occhi smorti, già torbidi come -quelli degli animali che stanno per morire. Ripeteva -ad intervalli, quasi fra sè: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_460">[460]</span> -</p> - -<p> -— So' morto! So' morto! -</p> - -<p> -Cirù, con un po' di stoppa grezza, cercava di -pulire; ma aveva la mano rude, irritava la piaga. -Massacese, volendo fino all'ultimo seguire l'esempio -del cerusico di Margadonna, aguzzava certi -pezzi di legno d'abete, con attenzione. I due Talamonte -si occupavano del catrame, poichè il -catrame bollente era stato scelto per bruciare -la piaga. Ma era impossibile accendere il fuoco -su 'l ponte che ad ogni momento veniva allagato. -I due Talamonte discesero sotto coperta. -</p> - -<p> -Massacese gridò a Cirù: -</p> - -<p> -— Lava nghe l'acqua de mare! -</p> - -<p> -Cirù seguì il consiglio. Gialluca si sottometteva -a tutto, facendo un lagno continuo, battendo -i denti. Il collo gli era diventato enorme, -tutto rosso, in alcuni punti quasi violaceo. In -torno alle incisioni cominciavano ad apparire alcune -chiazze brunastre. L'infermo provava difficoltà -a respirare, a inghiottire; e lo tormentava -la sete. -</p> - -<p> -— Arcummánnete a sante Rocche — gli disse -Massacese che aveva finito di aguzzare i pezzi -di legno e che aspettava il catrame. -</p> - -<p> -Spinto dal vento, il trabaccolo ora deviava in -su, verso Sebenico, perdendo di vista l'isola. Ma -<span class="pagenum" id="Page_461">[461]</span> -quantunque le onde fossero ancora forti, la burrasca -accennava a diminuire. Il sole era a mezzo -del cielo, tra nuvole color di ruggine. -</p> - -<p> -I due Talamonte vennero con un vaso di terra -pieno di catrame fumante. -</p> - -<p> -Gialluca s'inginocchiò, per rinnovare il voto al -santo. Tutti si fecero il segno della croce. -</p> - -<p> -— Oh sante Rocche, sálveme! Te 'mprumette -'na lampa d'argente e l'uoglie pe' tutte l'anne e -trenta libbre de ciere. Oh sante Rocche, sálveme -tu! Tenghe la mojie e li fijie... Pietà! Misericordie, -sante Rocche mi'! -</p> - -<p> -Gialluca teneva congiunte le mani; parlava -con voce che pareva non fosse più la sua. Poi -si rimise a sedere, dicendo semplicemente a Massacese: -</p> - -<p> -— Fa. -</p> - -<p> -Massacese avvolse in torno ai pezzi di legno un -po' di stoppa; e a mano a mano ne tuffava uno -nel catrame bollente e con quello strofinava la -piaga. Per rendere più efficace e profonda la bruciatura, -versò anche il liquido nelle ferite. Gialluca -non mosse un lamento. Gli altri rabbrividivano, -in conspetto di quello strazio. -</p> - -<p> -Disse Ferrante La Selvi, dal suo posto, scotendo -il capo: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_462">[462]</span> -</p> - -<p> -— L'avet'accise! -</p> - -<p> -Gli altri portarono sotto coperta Gialluca semivivo; -e l'adagiarono sopra una branda. Nazareno -rimase a guardia, presso l'infermo. Si udivano di -là le voci gutturali di Ferrante che comandava -la manovra e i passi precipitati dei marinai. La -<i>Trinità</i> virava, scricchiolando. A un tratto Nazareno -si accorse d'una falla in cui entrava acqua; -chiamò. I marinai discesero, in tumulto. Gridavano -tutti insieme, provvedendo in furia a riparare. -Pareva un naufragio. -</p> - -<p> -Gialluca, benchè prostrato di forze e d'animo, si -rizzò su la branda, imaginando che la barca andasse -a picco; e s'aggrappò disperatamente a uno -dei Talamonte. Supplicava, come una femmina: -</p> - -<p> -— Nen me lasciate! Nen me lasciate! -</p> - -<p> -Lo calmarono; lo riadagiarono. Egli ora aveva -paura; balbettava parole insensate; piangeva; -non voleva morire. Poichè l'infiammazione crescendo -gli occupava tutto tutto il collo e la cervice -e si diffondeva anche pe 'l tronco a poco a -poco, e la gonfiezza diveniva ancor più mostruosa, -egli si sentiva strozzare. Spalancava ogni tanto -la bocca per bevere l'aria. -</p> - -<p> -— Portateme sopra! A qua me manghe l'arie; -a qua me more.... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_463">[463]</span> -</p> - -<p> -Ferrante richiamò gli uomini sul ponte. Il trabaccolo -ora bordeggiando cercava di acquistare -cammino. La manovra era complicata. Ferrante -spiava il vento e dava il comando utile, stando -al timone. Come più il vespro si avvicinava, le -onde si placavano. -</p> - -<p> -Dopo qualche tempo, Nazareno venne sopra, -tutto sbigottito, gridando: -</p> - -<p> -— Gialluca se more! Gialluca se more! -</p> - -<p> -I marinai corsero; e trovarono il compagno -già morto su la branda, in un'attitudine scomposta, -con gli occhi aperti, con la faccia tumida, -come un uomo strangolato. -</p> - -<p> -Disse Talamonte maggiore: -</p> - -<p> -— È mo'? -</p> - -<p> -Gli altri tacquero, un po' smarriti, dinanzi al -cadavere. -</p> - -<p> -Risalirono su 'l ponte, in silenzio. Talamonte -ripeteva: -</p> - -<p> -— È mo'? -</p> - -<p> -Il giorno si ritirava lentamente dalle acque. -Nell'aria veniva la calma. Un'altra volta le vele -si afflosciavano e il naviglio rimaneva senza avanzare. -Si scorgeva l'isola di Solta. -</p> - -<p> -I marinai, riuniti a poppa, ragionavano del -fatto. Un'inquietudine viva occupava tutti gli -<span class="pagenum" id="Page_464">[464]</span> -animi: Massacese era pallido e pensieroso. Egli -osservò: -</p> - -<p> -— Avéssene da dice che l'avéme fatte murì -nu áutre? Avasséme da passà guai? -</p> - -<p> -Questo timore già tormentava lo spirito di -quegli uomini superstiziosi e diffidenti. Essi risposero: -</p> - -<p> -— È lu vere. -</p> - -<p> -Massacese incalzò: -</p> - -<p> -— Mbé? Che facéme? -</p> - -<p> -Talamonte maggiore disse, semplicemente: -</p> - -<p> -— È morte? Jettámele a lu mare. Facéme vedé -ca l'avéme pirdute 'n mezz'a lu furtunale... Certe, -n'arrièsce. -</p> - -<p> -Gli altri assentirono. Chiamarono Nazareno. -</p> - -<p> -— Oh, tu... mute come nu pesce. -</p> - -<p> -E gli suggellarono il segreto nell'animo, con -un segno minaccioso. -</p> - -<p> -Poi discesero a prendere il cadavere. Già le -carni del collo davano odore malsano; le materie -della suppurazione gocciolavano, ad ogni scossa. -</p> - -<p> -Massacese disse: -</p> - -<p> -— Mettémele dentr'a nu sacche. -</p> - -<p> -Presero un sacco; ma il cadavere ci entrava -per metà. Legarono il sacco alle ginocchia, e le -gambe rimasero fuori. Si guardavano d'in torno, -<span class="pagenum" id="Page_465">[465]</span> -istintivamente, facendo l'operazione mortuaria. -Non si vedevano vele; il mare aveva un ondeggiamento -largo e piano, dopo la burrasca; l'isola -di Solta appariva tutt'azzurra, in fondo. -</p> - -<p> -Massacese disse: -</p> - -<p> -— Mettémece pure 'na preta. -</p> - -<p> -Presero una pietra fra la zavorra, e la legarono -ai piedi di Gialluca. -</p> - -<p> -Massacese disse: -</p> - -<p> -— Avande! -</p> - -<p> -Sollevarono il cadavere fuori del bordo e lo -lasciarono scivolare nel mare. L'acqua si richiuse -gorgogliando; il corpo discese da prima con una -oscillazione lenta; poi si dileguò. -</p> - -<p> -I marinai tornarono a poppa, ed aspettarono il -vento. Fumavano, senza parlare. Massacese ogni -tanto faceva un gesto involontario, come fanno talora -gli uomini cogitabondi. -</p> - -<p> -Il vento si levò. Le vele si gonfiarono, dopo -avere palpitato un istante. La <i>Trinità</i> si mosse -nella direzione di Solta. Dopo due ore di buona -rotta, passò lo stretto. -</p> - -<p> -La luna illuminava le rive. Il mare aveva quasi -una tranquillità lacustre. Dal porto di Spálato -uscivano due navigli, e venivano incontro alla -<i>Trinità</i>. Le due ciurme cantavano. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_466">[466]</span> -</p> - -<p> -Udendo la canzone, Cirù disse: -</p> - -<p> -— Toh! So' di Piscare. -</p> - -<p> -Vedendo le figure e le cifre delle vele, Ferrante -disse: -</p> - -<p> -— So' li trabaccule di Raimonde Callare. -</p> - -<p> -E gittò la voce. -</p> - -<p> -I marinai paesani risposero con grandi clamori. -Uno dei navigli era carico di fichi secchi, e l'altro -di asinelli. -</p> - -<p> -Come il secondo dei navigli passò a dieci -metri dalla <i>Trinità</i>, varii saluti corsero. Una voce -gridò: -</p> - -<p> -— Oh Giallù! Addó sta Gialluche? -</p> - -<p> -Massacese rispose: -</p> - -<p> -— L'avéme pirdute a mare, 'n mezz'a lu furtunale. -Dicétele a la mamme. -</p> - -<p> -Alcune esclamazioni allora sorsero dal trabaccolo -degli asinelli; poi gli addii. -</p> - -<p> -— Addie! Addie! A Piscare! A Piscare! -</p> - -<p> -E allontanandosi le ciurme ripresero la canzone, -sotto la luna. -</p> - -<hr class="silver" /> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_467">[467]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -INDICE.</a></h2> - -<table class="indice" summary=""> - <tr> - <td> </td> <td class="pag">Pag.</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#orsola">La vergine Orsola</a></td> <td class="pag">1</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#anna">La vergine Anna</a></td> <td class="pag">86</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#idolatri">Gli idolatri</a></td> <td class="pag">165</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#eroe">L'eroe</a></td> <td class="pag">186</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#veglia">La veglia funebre</a></td> <td class="pag">194</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#contessa">La contessa d'Amalfi</a></td> <td class="pag">209</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#duca">La morte del duca d'Ofena</a></td> <td class="pag">255</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#traghettatore">Il traghettatore</a></td> <td class="pag">276</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#agonia">Agonia</a></td> <td class="pag">307</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#candia">La fine di Candia</a></td> <td class="pag">319</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#fattura">La fattura</a></td> <td class="pag">337</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#marenghi">I marenghi</a></td> <td class="pag">364</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#madia">La madia</a></td> <td class="pag">374</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#mungia">Mungià</a></td> <td class="pag">383</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#ponte">La guerra del Ponte</a></td> <td class="pag">397</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#ritorna">Turlendana ritorna</a></td> <td class="pag">421</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#ebro">Turlendana ebro</a></td> <td class="pag">437</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#cerusico">Il cerusico di mare</a></td> <td class="pag">448</td> - </tr> -</table> - -<hr /> -</div> - -<div class="opere"> -<p class="title"> -<i>OPERE di GABRIELE D'ANNUNZIO</i> -</p> - -<table class="pubb" summary=""> - <tr> - <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">I romanzi della Rosa:</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Il Piacere</td> <td class="prezzo">L. 5 —</td> - </tr> - <tr> - <td>L'Innocente</td> <td class="prezzo">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td>Trionfo della Morte</td> <td class="prezzo">5 —</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">I romanzi del Giglio:</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Le Vergini delle Rocce</td> <td class="prezzo">5 —</td> - </tr> - <tr> - <td>La Grazia *.</td> - </tr> - <tr> - <td>L'Annunziazione *.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">I romanzi del Melagrano:</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Il Fuoco</td> <td class="prezzo">5 —</td> - </tr> - <tr> - <td>La Vittoria dell'Uomo *.</td> - </tr> - <tr> - <td>Trionfo della Vita *.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Le Novelle della Pescara</td> <td class="prezzo">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Poesie:</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Canto novo; Intermezzo</td> <td class="prezzo">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td>L'Isottéo; la Chimera</td> <td class="prezzo">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td>Poema paradisiaco; Odi navali</td> <td class="prezzo">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td>La Canzone di Garibaldi: La Notte di Caprera</td> <td class="prezzo">1 50</td> - </tr> - <tr> - <td>In morte di Giuseppe Verdi. Canzone preceduta da una Orazione ai giovani</td> <td class="prezzo">1 —</td> - </tr> - <tr> - <td>Nel primo centenario della nascita di Vittor Hugo — <span class="smcap lowercase">MDCCCII-MCMII</span> — ode</td> <td class="prezzo">1 —</td> - </tr> - <tr> - <td>Laudi del Cielo, del Mare, della Terra e degli Eroi</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="spaced1"><i>Vol. I:</i></span> Laus Vitæ. Legato in finta pergamena</td> <td class="prezzo">8 —</td> - </tr> - <tr> - <td>— Legato in vera pergamena</td> <td class="prezzo">12 —</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="spaced1"><i>Vol. II:</i></span> Elettra — Alcione. Legato in finta pergamena</td> <td class="prezzo">10 —</td> - </tr> - <tr> - <td>— Legato in vera pergamena</td> <td class="prezzo">14 —</td> - </tr> - <tr> - <td>L'Allegoria dell'Autunno</td> <td class="prezzo">1 —</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Drami:</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Francesca da Rimini, tragedia in 5 atti</td> <td class="prezzo">7 50</td> - </tr> - <tr> - <td>— Legata in vera pergamena con fregi e nastri di stile antico</td> <td class="prezzo">12 —</td> - </tr> - <tr> - <td>Francesca da Rimini. Edizione econom.</td> <td class="prezzo">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td>La Città morta, tragedia in 5 atti</td> <td class="prezzo">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td>La Gioconda, tragedia in 4 atti</td> <td class="prezzo">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td>La Gloria, tragedia in 5 atti</td> <td class="prezzo">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td>La Figlia di Iorio, tragedia in 3 atti</td> <td class="prezzo">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="center">I Sogni delle Stagioni</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td> Sogno d'un mattino di primavera</td> <td class="prezzo">2 —</td> - </tr> - <tr> - <td>* Sogno d'un meriggio d'estate.</td> - </tr> - <tr> - <td> Sogno d'un tramonto d'autunno</td> <td class="prezzo">2 —</td> - </tr> - <tr> - <td>* Sogno d'una notte d'inverno.</td> - </tr> -</table> - -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - - - - - - - - -<pre> - - - - - -End of Project Gutenberg's Le Novelle della Pescara, by Gabriele D'Annunzio - -*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LE NOVELLE DELLA PESCARA *** - -***** This file should be named 53184-h.htm or 53184-h.zip ***** -This and all associated files of various formats will be found in: - http://www.gutenberg.org/5/3/1/8/53184/ - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - -Updated editions will replace the previous one--the old editions -will be renamed. - -Creating the works from public domain print editions means that no -one owns a United States copyright in these works, so the Foundation -(and you!) can copy and distribute it in the United States without -permission and without paying copyright royalties. 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Redistribution is -subject to the trademark license, especially commercial -redistribution. - - - -*** START: FULL LICENSE *** - -THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK - -To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase "Project -Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full Project -Gutenberg-tm License (available with this file or online at -http://gutenberg.org/license). - - -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg-tm -electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. 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Information about the Project Gutenberg Literary Archive -Foundation - -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Its 501(c)(3) letter is posted at -http://pglaf.org/fundraising. Contributions to the Project Gutenberg -Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent -permitted by U.S. federal laws and your state's laws. - -The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S. -Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered -throughout numerous locations. Its business office is located at -809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email -business@pglaf.org. 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