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-Project Gutenberg's Le Novelle della Pescara, by Gabriele D'Annunzio
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with
-almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or
-re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included
-with this eBook or online at www.gutenberg.org/license
-
-
-Title: Le Novelle della Pescara
-
-Author: Gabriele D'Annunzio
-
-Release Date: October 1, 2016 [EBook #53184]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LE NOVELLE DELLA PESCARA ***
-
-
-
-
-Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online
-Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This
-file was produced from images generously made available
-by The Internet Archive)
-
-
-
-
-
-
- Gabriele d'Annunzio
-
-
- Le Novelle
- della Pescara
-
-
- LA VERGINE ORSOLA. — LA VERGINE ANNA.
- GLI IDOLATRI. — L'EROE. — LA VEGLIA FUNEBRE.
- LA CONTESSA D'AMALFI. — LA MORTE DEL DUCA D'OFENA.
- IL TRAGHETTATORE. — L'AGONIA. — LA FINE DI CANDIA. — LA FATTURA.
- I MARENGHI. — LA MADIA. — MUNGIÀ. — LA GUERRA DEL PONTE.
- TURLENDANA RITORNA. — TURLENDANA EBRO.
- IL CERUSICO DI MARE.
-
-
-
- MILANO
- FRATELLI TREVES, EDITORI.
- 1904
- Settimo migliaio.
-
-
-
-
- PROPRIETÀ LETTERARIA
-
-
- _I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati
- per tutti i paesi, compreso il Regno di Svezia e di Norvegia_
-
- Tip. Fratelli Treves.
-
-
-
-
-LA VERGINE ORSOLA.
-
-
-I.
-
-Il viatico uscì dalla porta della chiesa a mezzogiorno. Su tutte le
-strade era la primizia della neve, su tutte le case la neve. Ma in alto
-grandi isole azzurre apparivano tra le nuvole nevose, si dilatavano
-sul palazzo di Brina lentamente, s'illuminavano verso la Bandiera. E
-nell'aria bianca, sul paese bianco appariva ora subitamente il miracolo
-del sole.
-
-Il viatico s'incamminava alla casa di Orsola dell'Arca. La gente si
-fermava a veder passare il prete incedente a capo nudo, con la stola
-violacea, sotto l'ampio ombrello scarlatto, tra le lanterne portate dai
-clerici accese. La campanella squillava limpidamente accompagnando i
-salmi susurrati dal prete. I cani vagabondi si scansavano nei vicoli
-al passaggio. Mazzanti cessò di ammucchiare la neve all'angolo della
-piazza e si scoprì la zucca inchinandosi. Si spandeva in quel punto dal
-forno di Flaiano nell'aria l'odore caldo e sano del pane recente.
-
-Nella casa dell'inferma gli astanti udirono gli squilli, e udirono su
-per le scale il salire dei vegnenti. La vergine Orsola era sul letto,
-supina, tenuta dallo stupore della febbre, da una sonnolenza inerte,
-con la respirazione frequente rotta da i rantoli. Posava sul guanciale
-la testa quasi nuda di capelli, la faccia d'un colore quasi ceruleo
-ove le palpebre erano semichiuse sopra gli occhi vischiosi e le narici
-parevano annerite dal fumo. Ella faceva con le mani scarne piccoli
-gesti incerti, vaghi conati di prendere qualche cosa nel vuoto, strani
-segni improvvisi che davano quasi un senso di terrore a chi stava
-da presso; e nelle braccia pallide le passavano le contrazioni dei
-fasci muscolari, i sussulti dei tendini; e a volte un balbettamento
-inintelligibile le usciva dalle labbra, come se le parole le si
-impigliassero nella fuliggine della lingua, nel muco tenace delle
-gengive.
-
-Nella stanza si faceva quel silenzio tragico che suole precedere gli
-avvenimenti supremi, un silenzio dove il respiro dell'inferma e i
-gesticolamenti incerti e le irruzioni rauche della tosse aggravavano
-l'attesa della morte. Dalle finestre aperte entrava l'aria pura ed
-uscivano le esalazioni della malattia. Un vivo baglior bianco si
-rifrangeva dalla neve coprente i cornicioni e i capitelli corintii
-dell'arco di Portanova: il fiore cristallino dei ghiaccioli scintillava
-d'iridi all'altezza della stanza. Nell'interno, su le pareti, pendevano
-grandi medaglie sacre d'ottone, imagini di santi. Sotto un vetro una
-Madonna di Loreto tutta nera il volto il seno le braccia, come un
-idolo barbarico, luceva nella sua veste adorna di mezze lune d'oro.
-In un angolo, un piccolo altare candido portava un vecchio crocifisso
-di madreperla, tra due boccali turchini di Castelli pieni d'erbe
-aromatiche.
-
-Camilla, la sorella, l'unica parente, presso al letto, pallidissima,
-tergeva le labbra nerastre e i denti incrostati dell'inferma con
-un lino umido di aceto. Don Vincenzo Bucci, il medico, seduto,
-guardava il pomo d'argento della bella mazza, le belle corniole
-incise ch'egli aveva negli anelli delle dita, aspettando. Teodora La
-Jece, una tessitrice vicina, stava ritta, in silenzio, tutta intenta
-nell'atteggiare a dolore la faccia bianca e lentigginosa, gli occhi
-d'acciaio, la bocca crudele.
-
-— _Pax huic domui_ — disse il prete entrando. Apparve all'uscio Don
-Gennaro Tierno, lunghissimo e smilzo su piedi enormi, con i movimenti
-di un bruco che si snodi. Veniva dietro di lui Rosa Catena, una femmina
-che avea fatto pubblica professione d'impudicizia al suo tempo verde e
-che ora si salvava l'anima assistendo i moribondi, lavando i cadaveri,
-vestendoli e accomodandoli nella bara, senza prender mercede.
-
-Nella stanza di Orsola tutti erano in ginocchio, chini la faccia.
-L'inferma non udiva; una stupefazione intensa le teneva ancora i sensi.
-E l'aspersorio si levò su di lei, lucido nell'aria, aspergendo il
-letto.
-
-— _Asperges me, Domine, hyssopo, et mundabor..._ Ma Orsola non sentì
-l'onda purificatrice che la rendeva più bianca della neve innanzi al
-suo Signore.
-
-Ella stirava davanti a sè con le dita fragili le coperte, aveva un moto
-tremulo nelle labbra, nella gola il gorgoglio della parola che ella non
-poteva profferire.
-
-— _Exaudi nos, Domine sancte..._
-
-Allora uno scoppio di pianto risonò fra le parole latine, e Camilla
-nascose nella sponda del letto la faccia rigata di lacrime. Il medico
-s'era accostato e teneva fra le dita inanellate il polso di Orsola.
-Egli voleva scuoterla, apprestarla a ricevere il Sacramento dalle
-mani del sacerdote di Gesù Cristo, fare che ella porgesse la lingua
-all'ostia.
-
-Orsola balbettò, gesticolò ancora vagamente nel vuoto, mentre la
-sollevavano su i guanciali. Ella non udiva se non un tintinno nei nervi
-dell'orecchio perturbati, a tratti un gridìo, a tratti una musica. Come
-fu sollevata, subitamente il rossore livido della faccia si mutò in
-un pallore di cadavere; la vescica di ghiaccio cadde dalla testa sul
-lenzuolo.
-
-— _Misereatur..._
-
-Porse ella finalmente la lingua tremante, coperta d'una crosta mista di
-muco e di sangue nerastro, dove l'ostia vergine si posò.
-
-— _Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi..._
-
-Ma ella non ritirò la lingua a quel contatto, perchè non aveva
-conscienza di quel che faceva: lo stupidimento non era rotto dal lume
-dell'Eucaristia. Camilla guardava con gli occhi rossi pieni di terrore
-e di dolore quella faccia terrea dove ogni segno di vita mancava a poco
-a poco, quella bocca aperta che pareva la bocca di uno strangolato.
-Il prete seguitava, nella solennità del suo ministerio, le preghiere
-latine lentamente. Tutti gli altri rimanevano genuflessi, sotto il
-diffuso albore che fuori dalla neve suscitava il meriggio. L'odore
-del pane caldo salì col vento e fece fremere le papille del naso ai
-clerici.
-
-— _Oremus!..._
-
-Agli eccitamenti del medico Orsola richiuse le labbra. La riadagiarono
-supina; poichè il prete entrava nel sacramento dell'Estrema Unzione. I
-clerici genuflessi ripetevano sommessamente l'antifona dei sette Salmi
-penitenziali.
-
-— _Ne reminiscaris._
-
-Teodora La Jece metteva di tratto in tratto un singulto soffocato,
-coperta il volto con le palme, a' piedi del letto. Rosa Catena
-stava ritta, accanto, con un occhio semichiuso da cui le colava di
-continuo un liquido giallognolo e con l'altro occhio cieco e bianco
-per un'albùgine; scorreva un rosario, mormorando. E mentre i Salmi
-sommessamente dal pavimento si elevavano, su quel mormorio confuso
-dominava la formula sacra del prete ungente in croce gli occhi, gli
-orecchi, le narici, la bocca, le mani dell'inferma inerte.
-
-— _... indulgeat tibi Dominus quidquid per gressum deliquisti. Amen._
-
-Fu Camilla che scoperse i piedi della sorella: apparvero tra le coperte
-due piedi gialli, squamosi, lividi nelle unghie, che al tatto davano un
-ribrezzo di membra morte. E su quella pelle secca le lacrime caddero,
-si mescolarono con l'unzione estrema.
-
-— _Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrie eleison. Pater noster..._
-
-L'unta del Signore stava ora immobile, respirando, con gli occhi chiusi
-dinanzi alla luce, con le ginocchia sollevate e le mani strette fra le
-cosce, nell'atteggiamento abituale dei tifosi. E il prete, poi ch'ebbe
-premuto su le labbra di lei per l'ultima volta il crocefisso, fatto
-il segno della croce alto in mezzo alla stanza con la gran mano, uscì
-seguito dai clerici. Vagava ancora nella stanza quell'odore svanito
-d'incenso e di cera che hanno le vesti sacerdotali. Fuori, sotto le
-finestre, Matteo Puriello martellava le suola, canticchiando.
-
-
-II.
-
-I segni del male declinavano lentamente in favore: succedeva ora
-il quarto settenario, succedeva ora al sopore stupido la quiete
-naturale del sonno, una quiete durevole in cui a poco a poco tutte le
-perturbazioni della conscienza si sedavano e le facoltà del senso si
-facevano meno torbide e la frequenza della respirazione diminuiva. Ma
-una tosse aspra scoppiava a tratti nel petto dell'inferma, facendo
-sussultare le vertebre; una distruzione dolorosa della pelle e dei
-tessuti molli si compiva ai gomiti, alle ginocchia, all'estremità
-della schiena, di giorno in giorno. Quando Camilla si chinava sul
-letto chiamando: — Orsola! — la sorella tentava d'aprire gli occhi,
-di volgersi verso la voce. Ma la debolezza la opprimeva; lo stupore
-torpido le occupava di nuovo il senso.
-
-Ella aveva fame, aveva fame. Una bramosìa bestiale di cibo le
-torturava le viscere vuote, le dava alla bocca quel movimento vago
-delle mandibole chiedenti qualche cosa da masticare, le dava talvolta
-alle povere ossa delle mani quelle contrazioni prensili che hanno
-le dita delle scimmie golose alla vista del pomo. Era la fame canina
-nella convalescenza del tifo, quella terribile avidità di nutrimento
-vitale in tutte le cellule del corpo impoverite dal lungo malore.
-Una scarsa onda di sangue restava a pena circolante pei tessuti; nel
-cervello debolmente irrigato ogni attività ristagnava come in una
-macchina a cui la forza motrice del liquido difetti. Soltanto, in
-quella materia disordinatamente ora si producevano certe vibrazioni
-determinanti certi atti che nella vita anteriore erano abituali; nè di
-quel lavorìo meccanico aveva la convalescente conscienza. Ella per lo
-più diceva ad alta voce le letanie; divideva in sillabe parole senza
-nesso; minacciava punizioni a discepoli; cantava le strofe quinarie
-di un inno a Gesù. Aveva per lo più nell'indice della mano sinistra
-un moto di indicazione scorrente su l'orlo del lenzuolo, come se
-ella con quel segno guidasse l'occhio dei discepoli su le righe del
-libro. Poi, talvolta, la sua voce si sollevava, prendeva una solennità
-quasi minacciosa, pronunciando le ammonizioni delle _sette trombe_,
-ricordando confusamente le parole di fra Bartolomeo da Saluzzo ai
-peccatori, avendo forse negli occhi stupefatti la visione di quelle
-vecchie stampe impresse dal legno piene di deformi angeli tubanti e
-di demonii debellati. Ma negli occhi non mai aveva uno sguardo. Le
-palpebre pesanti coprivano l'iride a metà, quell'iride senza colore
-spersa nella sclerotica che pareva come velata da un muco giallastro.
-Ella stava nel suo letto distesa, con il capo su due guanciali. Quasi
-tutti i capelli le erano caduti nella malattia; un pallor terreo,
-di quei pallori sotto cui pare non anche possa rimanere la vita, le
-occupava la faccia, le cavità della faccia; e il teschio ne traspariva,
-e da tutta la restante aridezza della pelle lo scheletro traspariva,
-e intorno a tutto quell'ossame nei punti di pressione sul letto i
-tessuti aderenti degeneravano. Solo, un'immensa fame animava quella
-rovina, torturava gl'intestini ove le ulceri tifose si cicatrizzavano
-lentamente.
-
-Fuori, era la novena di Natale, la bella festività de' vecchi e de'
-fanciulli. Erano certi vespri chiari e rigidi, sotto cui tutto il
-paese di Pescara si popolava di marinari e si empiva dei suoni delle
-zampogne. L'odore acuto delle zuppe di pesce si propagava nell'aria
-dalle cantine aperte. Lentamente alle finestre, alle porte, nelle vie i
-lumi apparivano. Il sole indugiava roseo su i terrazzi di pietra della
-casa di Farina, sui comignoli della casa di Memma, sul campanile di San
-Giacomo. Le altezze illustri dominavano come fari sul paese occupato
-dall'ombra. Poi, d'un tratto, la notte cominciava a constellare i
-firmamenti; sopra le case di Sant'Agostino una mezza luna si affacciava
-dal bastione tra il fanale rosso e il pino del telegrafo, crescendo.
-
-Alla stanza di Orsola tutta quell'animazione di vita saliva in un
-romorìo confuso di alveare che si sveglia.
-
-Le pastorali delle zampogne si avvicinavano, di casa in casa, di porta
-in porta. Avevano una religiosa e familiare letizia quei suoni che i
-ciociari di Atina traevano da un otre di pecora e da un gruppo di canne
-forate. La convalescente udiva, si sollevava sul letto; poichè quella
-sensazione le ridestava i fantasmi di altre sensazioni trascorse, e gli
-occhi le si empivano tutti di visione sacra, di presepi raggianti e di
-bianchi peregrinaggi d'angeli in azzurri immacolati. Ella si metteva a
-cantare le laudi, tendendo le braccia, restando talvolta con la bocca
-aperta mentre la voce negli organi le mancava; si metteva a laudare
-Gesù con una elevazione ardente e dolce di amore, trasportata dai suoni
-delle pastorali appressantisi, allucinata dalle imagini sante delle
-pareti. Ascendeva ai cieli, tra le musiche dei cherubini, tra i vapori
-della mirra e dell'incenso.
-
-— _Hosanna!_
-
-La voce le mancava. Ella tendeva le braccia. Camilla, da presso, voleva
-riadagiarla su i guanciali; si sentiva come soggiogare da quel cieco
-entusiasmo di fede: le tremavano le mani, le labbra. Orsola ricadeva
-stesa, con il capo abbandonato, scoperta la gola e il petto, mostrando
-degli occhi solo il bianco nel gran pallore, sorridente a qualche
-cosa invisibile, in un atteggiamento di vergine martire. Le zampogne
-passavano; tardi passavano le canzoni del vino urlate dai marinari
-nella notte tornanti alle barche della Pescara.
-
-
-III.
-
-L'istinto della fame si ridestava vivissimo, come più chiara si faceva
-la coscienza. Quando dal forno di Flaiano saliva nell'aria l'odore
-caldo del pane, Orsola chiedeva; chiedeva con un accento di mendicante
-famelica, tendeva la mano, supplicando, alla sorella. Divorava
-rapidamente, con un godimento brutale di tutto l'essere, guardando
-d'intorno se qualcuno tentasse strapparle di tra le mani il cibo, in
-sospetto.
-
-La convalescenza era lunga e lenta; ma già un senso mite di sollievo
-cominciava a spargersi per le membra, a liberare il capo. Per quella
-sana nutrizione di albume e di carne muscolare un sangue novello si
-produceva: i polmoni dilatati ora largamente dall'aria vivificavano
-il sangue carico di sostanze; e i tessuti irrigati dall'onda tiepida
-e rapida si colorivano ricomponendosi, si rinnovellavano nelle piaghe
-di decubito, si ricoprivano di cute a poco a poco; e le attività
-cerebrali a quell'affluire operavano sicure; e le innervazioni negli
-organi sensorii non più perturbate rendevano limpida la sensazione;
-e sul cranio i bulbi capilliferi rigermogliavano densi; e da quel
-riordinamento delle leggi meccaniche della vita, da quel dispiegarsi
-di energie prima latenti che la malattia aveva provocate, da quella
-intensa brama che la convalescente aveva di vivere e di sentirsi
-vivere, da tutto, lentamente, quasi in una seconda nascita, una
-creatura migliore sorgeva.
-
-Erano i giorni primi di febbraio.
-
-Dal suo letto Orsola vedeva la sommità dell'arco di Portanova, i
-mattoni rossicci tra cui crescevano l'erbe, i capitelli sgretolati
-dove le rondini avrebbero appeso i nidi. Le viole di Sant'Anna nelle
-screpolature del fastigio non anche fiorivano. Il cielo sopra si
-apriva in una gentile beatitudine; e per l'aria a tratti giungevano
-dall'arsenale gli squilli delle fanfare.
-
-Fu allora che, quasi con un senso di meraviglia, ella riandò
-l'esistenza trascorsa. Le pareva quasi che quel passato non le
-appartenesse, non fosse suo: una lontananza smisurata ora la divideva
-da quei ricordi, una lontananza come di sogno. Ella non aveva più
-la valutazione sicura del tempo; ella doveva guardare gli oggetti
-che la circondavano, fare uno sforzo della mente, raccogliersi a
-lungo, per ricordare. Si toccava con le dita le tempie dove i capelli
-rigerminavano tenui, e un sorriso vago di smemorata le sfiorava le
-labbra pallide, le fuggiva negli occhi.
-
-— Ah! — susurrò fioca; e il gesto delle dita alle tempie le ritornava,
-gentilmente.
-
-Era stata una vita triste ed uguale, in quelle tre stanze, fra tutte
-quelle piccole statue deformi di Santi, fra tutte quelle imagini di
-Madonne, fra tutti quei bimbi compitanti in coro ad alta voce per
-cinque ore del giorno le medesime parole scritte col gesso su la
-lavagna. Come le martiri gloriose della leggenda, come Santa Tecla
-di Licaonia e Santa Eufemia di Calcedonia, le due sorelle avevano
-consacrata la loro verginità allo Sposo celeste, al talamo di Gesù.
-Avevano mortificata la carne a furia di privazioni e di preghiere,
-respirando l'aria della chiesa, l'incenso e l'odore delle candele
-ardenti, cibandosi di legumi.
-
-Avevano stupefatto lo spirito in quell'esercizio arido e lungo di
-sillabazione, in quel freddo distillìo di parole, in quell'opera
-macchinale dell'ago e del filo su le eterne tele bianche odoranti
-di spigo e di santità. Mai le loro mani cercarono la dolcezza delle
-chiome infantili, il tepore di quel biondo angelico; mai le loro labbra
-cercarono la fronte dei discepoli, in una effusione di tenerezza
-improvvisa. Insegnavano la piccola dottrina, i piccoli canti della
-religione; facevano prostrare tutte quelle teste gioconde lungamente
-sotto le ammonizioni quaresimali; parlavano del peccato, degli orrori
-del peccato, delle pene eterne, con la voce grave, mentre tutti quei
-grandi occhi si empivano di meraviglia e tutte quelle bocche rosee si
-aprivano allo stupore. Intorno, per le fantasie vive dei fanciulli le
-cose si animavano: dal fondo dei vecchi quadri uscivano certi profili
-giallognoli di santi misteriosi; e il Nazareno cinto di spine e di
-stille sanguigne guardava da ogni parte con gli occhi agonizzanti,
-perseguitando; e su per la gran cappa del camino ogni macchia di fumo
-prendeva una forma atroce. Così infondevano esse la fede in quelle
-anime inconsapevoli.
-
-Ora il ricordo di quella sterilità si destò in Orsola torbidamente.
-Ella risaliva, risaliva agli anni più lontani, per una naturale
-tendenza dello spirito, si rifugiava alle fonti; e una pienezza
-improvvisa di giubilo la inondò come se in un momento tutta la sua
-infanzia le rifluisse al cuore.
-
-— Camilla! Camilla! — chiamò. — Dove sei? — La sorella non rispose, non
-era nell'altra stanza; era forse andata giù, nella chiesa, al vespro.
-Allora la convalescente fu presa dalla tentazione di mettere i piedi a
-terra, di provare i passi sul pavimento, così, sola.
-
-Rideva d'un riso timido di bambina che esiti in un'impresa difficile;
-socchiudeva gli occhi soffermandosi nel nuovo diletto di quel pensiero:
-palpava con le dita le ginocchia, le caviglie esili, raccogliendosi,
-come per misurare la forza; e rideva, rideva poichè il riso le
-insinuava uno sfinimento dolce, una sottile delizia vibrante, in tutto
-l'essere.
-
-Una freccia di sole strisciava sul davanzale e feriva l'acqua di un
-bacile in un angolo: il riflesso mobile tremolava nella parete, come
-una fine trama di oro. Uno stuolo di colombi attraversò lo spazio e
-venne a posarsi su l'arco; parve un augurio. Ella pianamente scansò
-le coperte, esitò ancora: seduta su la sponda del letto cercava con
-la punta del piede scarno e giallo la pianella di lana. La trovò,
-trovò l'altra; ma ora una tenerezza subitanea l'assaliva e le si
-empivano di lacrime gli occhi, e tutto tremolava dinanzi a lei in
-un albore indistinto come se le cose in torno si facessero aeree ed
-evanissero. Le lacrime le rigavano le guance, le si fermavano alla
-bocca tiepide e salse: ella ne bevve alcune, ne sentì il sapore.
-Fuori, dall'arco i colombi a uno a due si rialzavano, frullando. Orsola
-con un moto delle fauci respinse il groppo del pianto; poi si poggiò
-su la sponda, premette, si alzò finalmente in piedi; sorrise dagli
-occhi umidi, guardandosi. Non sapeva di essere così debole, di non
-potersi così reggere diritta su le gambe; aveva una strana sensazione
-di formicolìo negli stinchi, di vellicamento nei muscoli, quasi la
-sensazione d'un ferito che si levi quando l'osso infranto non anche è
-bene saldato. Tentò di muovere un passo, avanzò il piede, timidamente;
-ebbe paura, sedette di nuovo su la sponda, guardandosi in torno come
-per assicurarsi che non la spiava alcuno. Poi cercò un punto di meta,
-la finestra; e ricominciò, pianamente, con gli occhi fissi sul piede
-che avanzava, in equilibrio, stringendosi lo scialle verde al petto,
-invasa un poco dal freddo. Un subitaneo spavento la prese, a mezzo:
-ella barcollò, agitò le mani, si rivolse verso il letto, mise tre o
-quattro passi precipitosi, ricadde su la sponda. Stette un momento là,
-in affanno; rientrò sotto le coperte dove ancora restava il tepore,
-s'avvolse e si raccolse rabbrividendo.
-
-— Come sono debole, Signore!
-
-E guardava curiosa sul pavimento il luogo dove ella aveva fatto i
-passi, quasi vi cercasse le orme.
-
-
-IV.
-
-Di questo primo tentativo non disse nulla alla sorella. Quando
-sentì Camilla rientrare, chiuse gli occhi, stette immobile come
-una dormiente, provando uno strano piacere in sè di quell'inganno,
-ricacciando a forza indietro il riso che la vellicava a sommo del
-petto e le saliva alle labbra. Ella gioiva di quel piccolo segreto:
-tutti i giorni aspettava con un desiderio inquieto l'ora in cui Camilla
-scendeva le scale; restava un momento in ascolto, seduta sul letto, fin
-che giungeva il rumore del lento discendere; poi si levava, soffocando
-gli scoppi di riso, appoggiandosi alle pareti, ai mobili, mettendo
-gridi di paura sommessi ogni volta che le ginocchia minacciavano di
-piegarsi, ogni volta che l'equilibrio mancava.
-
-Dal forno di Flaiano a quell'ora saliva quasi sempre l'odore del pane
-ad irritarla. Ella si avvicinava alla finestra per cercare il vento;
-provava una tortura mista di voluttà nell'aspirare quella emanazione
-sana, con la lingua nuotante nell'acquolina e gli occhi vivi di
-cupidigia. Allora la prendeva una furia di frugare da per tutto,
-di mettere da per tutto le mani, traendosi di quà di là con minore
-lentezza, facendo sforzi inutili e irosi su le serrature di cui Camilla
-aveva portato seco le chiavi. Una volta, in fondo al repostiglio di
-un tavolino trovò una mela e ci ficcò i denti golosamente. Da tempo
-nel regime severo della convalescenza, ella non assaporava un frutto.
-In quello era un fresco profumo di rosa, il profumo che in certe mele
-aggrinzite e scolorite si accoglie. Cercò di nuovo nel repostiglio,
-sperando; ma non trovò se non una specie di siliqua verdognola, chiusa,
-che doveva contenere forse un gruppo di semi; e la prese, la guardò
-curiosamente, la nascose sotto il guanciale.
-
-Passava così quell'ora, in segreto, con il godimento acre che danno ai
-fanciulli in guarigione le cose proibite, le infrazioni degli ordini
-dottorali, i piccoli furti. Solo testimone era un micio, tutto maculato
-come una pelle di serpente, che girava talvolta intorno a Orsola con
-un miagolìo familiare o si fermava teso invano a ghermire se fuori
-volavano su l'arco i colombi. A poco a poco Orsola prendeva amore a
-quel compagno discreto. Ella lo accoglieva nel tepore del letto, gli
-sussurrava parole senza nesso, lo guardava lungamente leccarsi con la
-lingua rosea la zampa, porgere la gola di lucertola alla blandizia,
-una gola gialliccia che palpitava d'un suono rauco e dolce simile al
-tubare delle tortore nei boschi. Ella, forse per un naturale ricorso di
-quel suo misticismo anteriore, amava i bagliori tralucenti dagli occhi
-dell'animale nella penombra, quegli sprazzi di fosforo, che emanavano
-da una forma misteriosa e silenziosa nella tenebra.
-
-Camilla vedeva tutte queste strane predilezioni della sorella, con
-una specie di diffidenza ed anche di rammarico sordo, ma taceva. E
-lentamente, quasi insensibilmente, quelle due anime si distaccavano, si
-allontanavano per repulsa.
-
-Erano prima vissute in una comunione di abitudini e di sentimenti
-continua, perchè in loro ogni diversità d'indole e ogni insorgimento
-si agguagliava e placava nell'unica fede, nel culto infrangibile della
-deità di Cristo, in quel contemplamento ch'era divenuto lo scopo della
-vita loro. Ma come il culto le assorbiva intere, in loro i legami
-della consanguineità a poco a poco erano stati coperti e sopraffatti
-da quelli della comune religione; quindi non mai una espansione di
-tenerezza le aveva ricongiunte, non mai un abbandono di confidenza e
-di ricordi o di speranze, come sorelle. Erano correligionarie, erano
-membri della grande famiglia di Gesù spersi su la terra e agognanti il
-Cielo.
-
-Così che a pena, per la rinnovazione operata prima dalla malattia e
-dopo dal regime, in Orsola si manifestarono inaspettati atteggiamenti
-d'indole e modi inconsueti, la repulsa avvenne inevitabile e la voce
-del comun sangue sopita non si potè levare a contrasto.
-
-
-V.
-
-I discepoli tornarono: fu la prima volta una mattina del marzo
-nascente. Orsola s'era levata dal letto; stava seduta su la sponda,
-col calore del sole alla nuca ed agli omeri. Nella stanza si sentiva
-l'odore agro dell'aceto che Camilla aveva versato nei calamai muffiti;
-e dalle finestre raramente il vento recava gli effluvii delle viole già
-fiorite su l'arco.
-
-L'infanzia alitò nella stanza come un fiato di quel vento marzolino.
-Fu prima su l'uscio un sospingersi tumultuoso di piccole teste che
-volevano sollevarsi le une su le altre per vedere; poi l'esitazione, la
-timidità, una specie di meraviglia ingenua dinanzi alla maestra pallida
-pallida e scarna che i discepoli riconoscevano a pena.
-
-Ma la vergine sorrideva, sotto un turbamento improvviso di tutto il suo
-sangue; li chiamava a sè, confondeva i loro nomi che le si affollavano
-alle labbra, tendeva loro le mani. A uno, a due, a tre, i bimbi si
-avanzavano, volevano prenderle le mani per metterci la bocca sopra,
-ridicevano le parole di augurio imparate a casa, ingoiando per la furia
-le sillabe.
-
-— No, no, non più! — esclamava Orsola, sopraffatta, ma abbandonando le
-mani a quelle bocche tiepide e molli. Si sentiva quasi mancare.
-
-— Camilla, tienili, tienili.
-
-Ogni bimbo recava un dono: erano fiori, erano frutta. Le violette
-avevano subito sparso il profumo nell'aria, e in quel profumo, in
-quella luce tutte quelle facce infantili invermigliate dal buon sangue
-plebeo sorridevano.
-
-Poi la lezione, nell'altra stanza, cominciò. La prima classe diceva a
-voce alta le vocali e i dittonghi, la seconda sillabava; e su quel coro
-chiarissimo a tratti si levava l'ammonimento di Camilla.
-
-— _La, le, li, lo, lu..._
-
-Negli intervalli di silenzio, si udiva Matteo Puriello picchiare su le
-suola o il telaio della Jece sbattere.
-
-— _Va, ve, vi, vo, vu..._
-
-Allora Orsola s'infastidì. La monotonia de' rumori e delle voci le
-dava al capo una pesantezza ingrata, le conciliava il sonno, mentre
-ella voleva essere desta, mentre ella sentiva ancora intorno a sè la
-respirazione dei fanciulli, il soffio giocondo di quelle vite.
-
-— _Bal, bel, bil, bol, bul..._
-
-Prese i fiori, li mise in un bicchiere pieno d'acqua per conservarli.
-Li fiutò poi lungamente, stette con le narici tra quel fresco,
-chiudendo gli occhi, raccogliendosi tutta in quel peccato d'olfatto.
-
-— _Gra, gre, gri, gro, gru..._
-
-Una gran nuvola bianca velò il sole. Orsola si accostò alla finestra,
-si porse al davanzale per guardar giù nella piazza. Di fronte, Donna
-Fermina Memma in una roba rosata stava sul balcone, tra i vasi dei
-garofani; e un gruppo di ufficiali passava sotto a lei ridendo e
-facendo un tintinnìo di sciabole sul lastrico. Più in là, nel giardino
-pubblico le piante di lilla erano sul fiorire, la punta del gigantesco
-pino si piegava al vento. Dalla cantina di Lucitino usciva Verdura,
-l'eterno ubriaco, barcollando e vociferando.
-
-Orsola si ritrasse: era la prima volta, dopo tanto, che si affacciava
-su la piazza. Le parve di essere in alto in alto, guardando in giù; la
-prese una leggera vertigine.
-
-— _Nar, ner, nir, nor, nur..._
-
-Il coro dentro seguitava, ancora, ancora, ancora.
-
-— _Pla, ple, pli, plo, plu..._
-
-Orsola si sentiva soffocare, venir meno, a quella tortura: i suoi
-poveri nervi indeboliti cedevano. Il coro seguitava, al ritmo della
-bacchetta di Camilla battuta sul tavolino, implacabile.
-
-— _Ram, rem, rim, rom, rum..._
-
-— _Sat, set, sit, sot, sut..._
-
-Allora un impeto subitaneo di singhiozzi squassò la convalescente,
-l'abbattè sul letto. Ella singhiozzava, così, bocconi, a braccia
-aperte, premendo la faccia su i guanciali, scossa dai sussulti, senza
-potersi frenare.
-
-— _Tal, tel, til, tol, tul..._
-
-
-VI.
-
-Le erano ricresciuti tutti i capelli, crespi e castanei, come prima.
-Ella aveva ora una curiosità grande di guardarsi nello specchio; perchè
-Rosa Catena, con uno di quei lezii che sempre svelavano in lei l'antica
-femmina impudica, passandole la mano sul corpo le aveva detto: —
-Bellezza!
-
-Aspettò dunque che Camilla uscisse; poi scese dal letto, staccò
-dalla parete uno di quelli specchi _rococò_ a cornice d'oro appannati
-di macchie verdi; con un lembo della coperta tolse la polvere e si
-guardò dentro, sorridendo. Ella aveva tutto il collo nudo e pe 'l
-collo certe vene azzurrognole quasi in rilievo, e nella testa piccola
-e lunga qualche cosa di caprino, la bocca fine, il mento acuto, gli
-occhi castanei come i capelli, ma più tendenti al giallo. Il pallore
-trasparente e il sorriso davano una grazia nuova, una nuova giovinezza
-ai suoi ventisette anni.
-
-Ella restò a guardarsi a lungo; e si piaceva di allontanare lentamente
-lo specchio e di veder sparire l'imagine in quella luce un po' glauca
-come in un velo d'acqua marina e quindi riemergere. La vanità la
-conquistava, la occupava. Ella si accorse di tante piccole cose a
-cui prima non aveva badato mai; per esempio, di un neo simile a una
-lenticchia, che le macchiava la pelle su la tempia sinistra, e di una
-cicatrice leggera che le attraversava l'arco di un sopracciglio. Restò
-così, a lungo. Poi, assalita da una gioia repentina cercò in torno un
-qualche diletto.
-
-Quella capsula vegetale, ch'ella aveva trovato in fondo a un
-repostiglio, s'era aperta come in due valve scoprendo un grappolo denso
-di semi nerastri. Ogni seme pareva legato a filamenti sottilissimi
-d'una lucidità argentea; e il grappolo si manteneva compatto. Ma a
-pena la Vergine vi mise un soffio, un nuvolo di piumoline bianche si
-levò nell'aria e si sparpagliò qua e là brillando: erano le _spie_.
-I semi parevano alati, parevano insetti ésili ed evanescenti che si
-dissolvessero incontrando i raggi del sole o parevano lanugini di cigno
-a pena visibili; ondeggiavano, ricadevano, si mescolavano ai capelli
-di Orsola, le sfioravano la faccia, la coprivano tutta. Ella rideva,
-difendendosi da quell'invasione, cercando di scacciare quella pelurie
-che le vellicava la pelle e le si attaccava alle mani, ma le risa le
-impedivano i soffii.
-
-Alla fine si distese lunga sul letto, lasciò che tutta quella molle
-nevicata le scendesse sopra lentamente. Teneva gli occhi semichiusi
-per prolungare la dolcezza; e a mano a mano che il sopore la invadeva,
-si sentiva come sommergere in un giaciglio alto di piume. La luce che
-entrava nella stanza era una di quelle pallide chiarità pomeridiane
-del mese di marzo, ove il sole ride modestamente estinguendosi come un
-indizio di aurora in un gran cielo albeggiante.
-
-Camilla trovò la sorella ancora addormentata con accanto lo specchio,
-con ne' capelli le _spie_.
-
-— Oh, Signore Gesù! oh Signore Gesù! — mormorò tra i denti,
-congiungendo le mani, in atto di compassione amara.
-
-La cristiana veniva dalla chiesa, dove aveva cantate le litanie
-per l'Annunciazione e aveva ascoltata la predica sul messaggio
-dell'Arcangelo all'ancella di Dio. _Ecce ancilla Domini_. L'eloquenza
-sonora del frate predicante l'aveva inebriata; le restavano ancora
-negli orecchi certe parole ammonitrici.
-
-Orsola si destava in quel momento con un lungo sbadiglio voluttuoso, e
-stirava le membra.
-
-— Ah! sei tu, Camilla? — disse ella un po' confusa da quella presenza.
-
-— Sono io, sono io! Tu ti perderai, sciagurata, tu ti perderai —
-irruppe la devota, additando lo specchio sul letto. — Tu hai tra le
-mani lo strumento del demonio...
-
-Ed eccitata dalla prima invettiva, ella seguitava, sollevava la voce,
-gittava le frasi ardenti della predica con grandi gesti nell'aria,
-incalzava nelle minacce dei castighi eterni, non si rivolgeva soltanto
-alla pericolante, assorgeva ad ammonire l'universo dei peccatori.
-
-— _Memento! Memento!_
-
-Orsola non intendeva più nulla, poichè tutta quella vociferazione
-l'aveva stordita.
-
-D'un tratto dall'angolo della piazza scoppiò la fanfara militare con
-uno squillo di venti trombe.
-
-
-VII.
-
-L'ultima stanza della casa era stretta e bassa, con le travi
-del soffitto annerite dal fumo, piena d'un lezzo di cipolle, di
-rigovernatura e di carbone spento. I vasi di rame pendevano alla parete
-in ordine, senza luccichìo; i piatti di Castelli stavano in ordine su
-la mensola con le loro gioconde pitture di fiori, di uccelli e di teste
-ridenti; le antiche lucerne di ottone, le bottiglie vuote, le foglie di
-erbaggio non più fresche erano sparpagliate per le tavole; e su tutto
-dominava proteggitore San Vincenzo effigiato con il gran libro in una
-mano e la fiamma rossa in mezzo al cranio.
-
-Là, un tempo, Orsola stando in mezzo ai vapori dell'acqua bollente e
-alle esalazioni dei cibi vegetali, spesso aveva sentito giungersi sul
-capo dalla piccola finestra alta i ritornelli d'una canzone libertina
-e certi larghi schiamazzi di risa che s'inseguivano. I canti e le risa
-crescevano nelle sere di estate, tra i passagalli delle chitarre, fra
-gli urti della danza sul terreno. Tutti i romori della vita d'una
-suburra infima salivano, in certe ore, a quella altezza e facevano
-tremare d'orrore le povere spose di Gesù chine in umiltà su i tegami
-d'argilla pieni dell'eremitica innocenza dei legumi e delle verdure.
-Ma ora, al novel tempo e gaio, come un giorno udì Orsola le voci, una
-voglia nell'animo le corse di spinger la vista fuori.
-
-Camilla non stava nella casa; era la domenica quinta di Lazzaro.
-Urgeva nell'aria, dopo le brevi piogge, con un più dolce alito di
-calore l'imminenza dell'aprile; e in quell'aria la pulzella più aveva
-pieno e chiaro il senso del suo rinascimento. E, in ozio, girando per
-le stanze, ebbe ella naturalmente la curiosità di guardare, presa al
-fascino malsano che gli spettacoli di lascivia esercitano anche sugli
-animi verecondi.
-
-Ella salì su una sedia all'altezza dell'apertura; ma prima di spingere
-lo sguardo innanzi, fu invasa da un turbamento di tremiti, e ritta
-su la sedia si volse intorno temente se non qualcuno la sorprendesse
-nell'atto.
-
-Intorno tutto era quieto; ogni tanto una gocciola d'acqua cadeva
-dall'alto in un bacile, sonando. Di fuori salivano le voci ed
-allettavano.
-
-La vergine rassicurata, guardò. Nel vicolo, sotto la pioggia il
-fradiciume aveva fermentato come un lievito; una melma nera copriva
-il lastrico, ove spoglie di frutta, residui di erbe, stracci,
-ciabatte marce, falde di cappello, tutto il ciarpame sfatto che la
-miseria gitta nella strada, si mescolavano. Su quella cloaca, in
-cui il sole suscitava insetti e miasmi, una fila di case nane pareva
-ansare addossata alla Caserma. Da tutte le finestre però, da tutti
-gli spiragli si riversavano le piante dei garofani non più contenute
-nei vasi; e i grandi fiori rosei e rossi penzolavano al sole aperti
-magnificamente. E tra quei fiori apparivano le facce flosce e dipinte
-delle meretrici, passavano le oscenità delle canzonette, le risa
-gutturali; e giù sul lastrico, sotto le inferriate della caserma,
-altre femmine si tendevano verso i soldati parlando a voce alta,
-provocandoli. E i soldati, che sentivano nel sangue alla primavera
-rifiorire i mali di Venere, allungavano le mani di tra le sbarre pur di
-brancicare qualcosa, divoravano con gli occhi in fiamme quelle femmine
-disfatte già per anni dalla lascivia di tante ciurme briache e di tanti
-facchini fradici.
-
-Orsola stette lì stupidita allo spettacolo di tutta quella corruzione
-fermentante pe'l buon sole di quaresima e saliente fino a lei. Non si
-ritraeva ancora; ma come alzò gli occhi, vide in un abbaino sul tetto
-della caserma un uomo biondo che la guardava e sorrideva. Ella scese
-dalla sedia a precipizio, più pallida di prima, credendo di sentire
-la voce di Camilla. Corse nella sua stanza, e si gettò sul letto,
-sbigottita, senza respiro, come se l'avesse perseguitata qualcuno
-minacciandola.
-
-
-VIII.
-
-Da quel giorno, tutte l'ore, tutti i momenti in cui Camilla non era
-nella casa, la tentazione diabolica la trascinava a quello spettacolo.
-Ella prima pugnava, vanamente, senza forze, lasciandosi vincere. Andava
-là con l'ansia sospettosa di chi va a un ritrovo di amore; ci restava
-lungo tempo, dietro la persiana quasi cadente, mentre i miasmi del
-lupanare la turbavano e la corrompevano.
-
-Ella spiava tutto, acuendo lo sguardo, cercando di penetrare negli
-interni, cercando di scoprire qualche cosa tra i garofani che
-chiudevano le finestre. Il sole era caldo e pesante: sciami d'insetti
-turbinavano nell'aria. Ad intervalli, quando entrava nel vicolo qualche
-uomo, venivano dalle finestre i richiami delle aspettanti: femmine
-discinte, con il seno scoperto, uscivano fuori ad offerirsi. L'uomo
-spariva in una delle porte oscure con l'eletta. Le deluse gittavano
-scherni e risa dietro la coppia, e si rimettevano all'agguato tra i
-garofani.
-
-Così nella vergine si accendeva la brama. Il bisogno dell'amore, prima
-latente, si levava ora da tutto il suo essere, diventava una tortura,
-un supplizio incessante e feroce da cui ella non sapeva difendersi.
-
-Un fiotto di sanità caldo la riempiva; certe sùbite allegrezze le
-muovevano il sangue, le suscitavan nel petto quasi battimenti d'ale,
-le inspiravano canti nella bocca. A volte un soffio, uno di quei
-piccoli fremiti dell'aria che si dilata sotto il sole, una canzone
-di mendicante, un odore, un nulla bastava a darle smarrimenti vaghi,
-abbandoni in cui le pareva di sentire su tutte le membra come il
-passaggio carezzevole del velluto d'un frutto maturo. Ella era così
-librata e perduta in abissi ignoti di dolcezza. L'irritazione della
-continenza, la sovrabbondanza insolita de' succhi, quel distendersi
-continuo dei nervi sotto gli stimoli la tenevano in una specie
-di stordimento simile al primo stadio dell'ebrezza. Il passato si
-dileguava, si assopiva in fondo alla memoria, non risorgeva più. E
-in ogni ora, in ogni luogo il desiderio le tendeva insidie: i santi
-delle mura, le madonne, i cristi crocefissi ignudi, le piccole figure
-di cera deformi, tutte le cose in torno, prendevano per lei apparenze
-impure. Da tutte le cose l'impurità emanava e le alitava su la persona,
-affocantemente.
-
-— Ecco, ora scendo nella strada — diceva ella a sè stessa, non reggendo
-più.
-
-Poi le mani le tremavano su la porta, nell'aprire. Lo stridore del
-chiavistello scorrente negli anelli la sbigottiva. Ella tornava in
-dietro, si gettava sul letto quasi svenendosi, livida, sotto una larva
-d'uomo.
-
-
-IX.
-
-La domenica delle Palme ella uscì dopo tanti mesi, per la prima volta;
-poichè Camilla voleva condurla a render grazie della guarigione al
-Signore. Quando le campane si misero a squillare, Orsola s'affacciò.
-Tutto il paese era ridente nel grande riso pasquale del sole d'aprile.
-Tutto il contado invadeva le vie con il segno pacifico dei rami di
-olivo.
-
-Ella ora doveva vestirsi in festa: la gente nelle vie l'avrebbe
-guardata passare. Una furia di vanità sùbito la prese: si chiuse nella
-stanza, cercò in fondo alla cassa le vesti più chiare. Un odore acuto
-di canfora saliva da quei vecchi tessuti conservati là dentro per anni:
-erano grandi gonne di seta a fiorami, verdi e violette e cangianti,
-che un tempo la crinolina avea forse gonfiate in torno alle anche di
-una sposa novella; erano lunghi busti con màniche ampie, mantelline
-color di tortora orlate di merletti bianchi, veli intrecciati di fili
-d'argento, collari di tela fina ricamati a giorno; tutte cose morte per
-l'uso, goffe, macchiate dall'umido.
-
-Orsola sceglieva, come guidata da un nuovo istinto, profumandosi di
-canfora le mani nel cercare. Tutta quella seta inutile e quei veli
-la irritavano. Non trovava alfine nulla che le andasse alla persona!
-Chiuse la cassa irosamente, la respinse sotto il letto con un urto del
-piede. Le campane sonavano per la terza volta. Ella si mise in furia
-il consueto abito triste color di cenere, in conspetto di Camilla,
-mordendosi le labbra per ricacciare in giù le lacrime.
-
-Le campane chiamavano. Per le vie i fasci delle palme mettevano un
-mobile luccicore argenteo; da ogni gruppo di villici sorgeva una selva
-di ramoscelli; e la candida clemenza della benedizione cristiana si
-diffondeva per tutta l'aria da quelle selve, come se si appressasse
-il Galileo, il re povero e dolce sedente su l'asina fra la turba dei
-discepoli, in contro agli osanna del popolo redento. _Benedictus qui
-venit in nomine Domini. Hosanna in excelsis!_
-
-Nella chiesa la folla era immensa, sotto la selva delle palme. Per
-una di quelle correnti che si formano irresistibili nelle masse di
-popolo, Orsola fu divisa da Camilla; restò sola in quel rigurgito, in
-mezzo a tutti quei contatti, in mezzo a tutti quegli urti e quegli
-aliti. Ella tentava d'aprirsi un varco: le sue mani incontravano la
-schiena d'un uomo, altre mani tiepide il cui tocco la turbava. Ella
-si sentiva sfiorare il volto da una foglia d'olivo, contrastare il
-passo da un ginocchio, spingere il fianco da un gomito, offendere
-il petto, offendere le spalle da pressioni incognite. Sotto l'odore
-dell'incenso, sotto le palme benedette, nella penombra mistica, in
-tutto quell'ammasso di cristiani e di cristiane, piccole scintille
-erotiche scoccavano per attrito e si propagavano; amori segreti si
-ritrovavano e si congiungevano. Passavano accanto a Orsola fanciulle
-della campagna con palme sul petto, con un riso fuggente nel bianco
-degli occhi vòlto ad amatori che dietro le insidiavano; ed ella sentiva
-in torno a sè così passare l'amore, poneva il suo corpo tra quei corpi
-che si cercavano, era un ostacolo a quei gesti che tentavano toccarsi,
-separava le strette di quelle mani, i legami di quelle braccia. Ma
-qualche cosa di quelle carezze interrotte le penetrava nel sangue. In
-un punto ella s'incontrò a faccia a faccia con un soldato biondo; quasi
-gli posò il capo su la tunica, perchè una colonna di gente dietro la
-spingeva. Ella levò gli occhi; e il giovine sorrise come aveva sorriso
-un giorno dall'abbaino della caserma. Dietro, l'urto seguitava: il
-vapore dell'incenso si spandeva più denso, e il Diacono dal fondo
-cantò:
-
-— _Procedamus in pace._
-
-E il coro rispose:
-
-— _In nomine Christi. Amen._
-
-Era l'annunzio della processione, che mise un sommovimento enorme
-in tutto il popolo. Per istinto, senza pensare, Orsola si attaccò
-all'uomo, come se già gli appartenesse; si lasciò quasi sollevare
-da quelle braccia che la prendevano ai fianchi, si sentì ne' capelli
-quel fiato virile che sapeva lievemente di tabacco. Ella andava così,
-indebolita, sfinita, oppressa da quella voluttà che l'aveva colta
-d'improvviso, non vedendo se non un barbaglio dinanzi a sè.
-
-Allora dall'altare maggiore si mosse il turiferario spargendo nuvoli
-di fumo cerulo e dolce sul popolo; e una processione candida si svolse
-nel mezzo della chiesa. I celebranti portavano in mano rami d'olivo e
-cantavano.
-
-
-X.
-
-Tutta la settimana santa protesse delle sue complici ombre l'amore
-della vergine Orsola. Le chiese erano immerse nel crepuscolo della
-Passione, i crocifissi sugli altari erano coperti di drappi violacei; i
-sepolcri del Nazareno erano circondati di grandi erbe bianche cresciute
-nei sotterranei; un profumo di fiori e di belzuino pesava nell'aria.
-
-Là Orsola, inginocchiata, attendeva, fin che un passo leggero dietro
-di lei la faceva trasalire. Ella non poteva volgersi, perchè Camilla la
-vigilava; ma si sentiva tutta abbracciare dallo sguardo di quell'uomo,
-come da un fuoco sottile, e una tenerezza torbida le scendeva nella
-carne. Allora fissava i ceri digradanti su un triangolo di legno presso
-l'altare. I preti cantavano dinanzi a un gran libro; e ad uno ad uno i
-ceri venivano spenti. Non ne rimanevano che cinque, non ne rimanevano
-che due; l'oscurità si avanzava dal fondo delle cappelle su la gente
-in preghiera. L'ultima fiammella finalmente spariva; tutte le panche
-risonavano sotto le battiture delle verghe. Orsola nel buio, a pena
-si sentiva toccare da due mani cercanti, scattava dal pavimento, con
-un sussulto, smarrita. Poi, quando usciva dalla chiesa, il pensiero
-d'aver violato un luogo sacro la empiva di rimorso: subitamente, la
-paura del castigo risorgeva. Ella s'inabissava poi come in un sogno
-dove la figura livida di Gesù morto e lo scroscio delle battiture e i
-brividi della carne sollecitata e l'odor grave dei fiori e gli aliti
-di quell'uomo biondo si mescolavano in un senso dubbio di dolore e di
-piacere.
-
-
-XI.
-
-Ma come Gesù trionfante risalì alla gloria dei cieli, gli aromi
-pasquali non più confortarono l'amore della vergine Orsola. Scena
-dell'amore fu allora il dominio dei gatti randagi e dei colombi
-torraioli. Dall'abbaino alla finestra i dolci segni correvano: tra
-mezzo, il lupanare si sprofondava come un fossato d'acque limacciose
-a' cui cigli crescessero fiori alimentati dalla putredine. I colombi
-sorvolavano con il luccichio verde e grigio delle loro piume.
-
-L'amadore aveva un bel nome antico, si chiamava Marcello, e aveva un
-bel fregio rosso e d'argento su le maniche della tunica. Scriveva
-epistole piene di fuoco eterno, con frasi impetuose che davano
-all'amatrice deliquii di tenerezza e fremiti di voluttà mal contenuta.
-Orsola leggeva quei fogli in segreto, li teneva notte e giorno nel
-seno: pe 'l calore la scrittura violetta le s'imprimeva su la pelle, ed
-era come un gentile tatuaggio d'amore, di cui ella gioiva. Le risposte
-di lei non finivano mai: tutta la sapienza grammaticale di una maestra,
-tutto il tesoro delle apostrofi psalmistiche di una devota, tutta la
-fluente sentimentalità di una pulzella tardiva si riversava su la carta
-de' quaderni scolastici rigati di turchino. Ella scrivendo si obliava,
-si sentiva trascinare in un'onda di verbosità sonore. Pareva quasi che
-una facoltà novella si esplicasse in lei e prendesse forme maniache,
-d'improvviso. Quel gran sedimento di lirismo mistico accumulato per
-la lettura de' libri di preghiera in tanti anni di fedeltà allo Sposo
-Celeste, ora, scosso dal tumulto dell'amore terreno, si levava su
-confusamente per assumere sapori di profanità nuovi. Così le lacrimose
-implorazioni a Gesù si mutavano in sospiri di speranza verso letizie
-d'amplessi non eterei, le offerte del fior dell'anima al Sommo Bene si
-mutavano in tenere dedizioni della carne al disio del biondo amante, e
-il lume afrodisiaco della luna si cingeva di tutti gli epiteti per cui
-va radioso lo Spirito Santo, nè gli zefiri della primavera mancavan di
-rapire gli aromi alle mense del Paradiso.
-
-
-XII.
-
-Era messaggero uno di quegli uomini che paion cresciuti su, come
-funghi, dall'umidità della strada immonda ed hanno in tutta la figura
-quasi una nativa tinta di fango; di quelli uomini bigi, che s'insinuano
-per tutto, che si trovano per tutto ov'è un centesimo da guadagnare, un
-po' di untume da leccare, uno straccio da sottrarre, oggi rigattieri
-e domani procaccianti in atto di serve o di male femmine, oggi falsi
-sensali di mercatanzia e domani accalappiatori di cani erratici.
-
-Costui aveva un nome melodrammatico, si chiamava Lindoro: dal quartiere
-dell'Ospedale al bastione di Sant'Agostino una popolarità grande s'era
-fatta in torno a questo nome. Nasceva costui dall'accoppiamento d'un
-sonatore ambulante di clarinetto con una piazzaiuola rivenditrice
-di fruttaglia, ereditando l'istinto nomade del padre e la naturale
-avarizia della madre. S'era prima strascicato per gli immondezzai di
-tutte le case, con la scopa o il canestro; aveva poi fatto il guattero
-in una bettola, dove soldati e marinai gli gettavano sul viso gli
-sgoccioli del bicchiere e le spine del pesce mal fritto. Dalla bettola
-era caduto in un forno, dove spingeva i pani con la lunga pala dentro
-le fiamme, tutta la notte, in sudore, accecandosi. Dal forno era
-passato all'uffizio di accenditore pubblico de' fanali, logorandosi una
-spalla sotto il peso della scala portatile. Scacciato da quell'uffizio
-perchè sottraeva il petrolio dalle grandi casse di zinco bianco, si
-mise alla ventura della strada, comprando e rivendendo abiti vecchi,
-facendo in tutte le case popolane i servigi più vili, offrendo ai
-soldati e ai forestieri i suoi ruffianesimi, lottando così per il
-tozzo.
-
-Nel suo corpo e nella sua anima ogni mestiere aveva impresso una
-traccia, aveva lasciato un gesto abituale, uno sviluppo di singoli
-muscoli, l'indebolimento di un organo, una callosità, una cadenza di
-voce, una frase del gergo. Egli era di piccola statura, magro, con una
-testa enorme e quasi calva, con chiazze di peli radi su le guance,
-con pustole tra i peli. Il suo vestito era ibrido e mutevole; tutte
-le fogge passavano su la sua persona, si sovrapponevano a contrasto:
-nobili zimarrine verdognole e calzoni carichi di toppe, cappelli
-di feltro arrossenti e ciabatte servili, bottoni di metallo lucido,
-formelle d'osso bianco, galloni militari, trine, quel miscuglio di
-ricchezza sfatta e di miseria ignobile, che ingombra la bottega di un
-rigattiere ebreo.
-
-
-XIII.
-
-Ora costui fu il galeotto. Portava le epistole di Marcello con le
-conche piene d'acqua della Pescara su alla casa di Orsola e tornava
-giù con le conche vuote e con epistole di risposta. Orsola, quando
-lo sentiva salir le scale, si faceva pallida; cercava pretesti per
-allontanare Camilla, per essere sola con l'uomo portatore d'acqua e di
-gioia. Avvenivano allora contatti rapidi, nel sotterfugio; passavano
-allora tra lei e il galeotto quegli sguardi obliqui d'intesa, quei
-fuggevoli accenni dei muscoli faciali, quei monosillabi sommessi, che
-son gli aiuti dell'astuzia umana e che a lungo andare stringono legami
-tra gli ingannatori. A poco a poco nell'amore di Orsola penetrava
-qualche cosa della viltà di Lindoro; una specie di domestichezza a poco
-a poco si stabiliva tra l'amatrice e l'ambasciatore. Ella, se costui
-giungeva nell'assenza di Camilla, lo incalzava di domande, gli parlava
-da presso facendogli sentire l'alito, qualche volta inavvedutamente
-gli posava su la spalla una mano. Lindoro scioglieva i freni della sua
-loquacità, intramezzando parole di gergo, reticenze impudiche, furbi
-sorrisi rivelatori, gesti ambigui, piccoli schiocchi di lingua e di
-labbra.
-
-Egli ruffianeggiava con arte, sapeva insinuare sottilmente la
-corruzione nell'animo di Orsola, sapeva trascinare lentamente
-all'insidia di Marcello quella preda. E la vergine stava ad ascoltarlo
-intenta, con in fondo agli occhi una fiamma che cresceva, con in bocca
-l'aridezza prodotta dall'orgasmo lascivo, senza più interrompere.
-Lindoro s'accorgeva subito di aver suscitato nella femmina la brama; e
-dinanzi a quella figura tutta protesa e tutta sconvolta si risvegliava
-in lui il maschio d'un tratto e l'assaliva la tentazione di cogliere
-quel fiore ch'egli apprestava al piacere di un altro. Ma la paura
-sorgente dal fondo della sua viltà lo tratteneva e gli ghiacciava
-l'ardore.
-
-Così Orsola al fine aveva concesso a Marcello un ritrovo. Si sarebbero
-ritrovati in una casa remota del sobborgo, in fondo a un vico deserto,
-dove nessuno li avrebbe spiati, una domenica di giugno, stando Camilla
-nella chiesa più lungo tempo, facendo buona guardia Lindoro.
-
-Nei giorni precedenti quel gran fatto, Orsola era tenuta da una
-eccitazione amara, da una specie di febbre che a volte le dava il
-battito dei denti e le vampe alla faccia e i brividi alla radice dei
-capelli, alla nuca. Ella non poteva più star ferma, non poteva più
-star seduta; poichè una furia di mobilità le sollecitava tutte le
-membra. Nella scuola, in mezzo al coro eguale dei discepoli, in mezzo
-a quello stillicidio continuo di sillabe, uno spirito di ribellione
-le abbagliava la vista all'improvviso, ed ella avrebbe voluto balzare
-tra i fanciulli, sconvolgere con le mani tutte quelle capigliature,
-rovesciare la lavagna, le tabelle, le panche, rompere in grida,
-spezzare qualche cosa, stordirsi. Sotto lo sguardo freddo e scrutatore
-di Camilla, poco mancava che ella non svenisse per lo spasimo, per la
-bile, per l'immenso sforzo interiore di dissimulazione.
-
-Poi, quando Camilla usciva, ella si agitava per tutte le stanze, moveva
-le sedie, morsicchiava un fiore, beveva d'un fiato un gran bicchier
-d'acqua, si guardava nello specchio, si affacciava alla finestra, si
-abbatteva a traverso il letto, sfogava in mille modi l'irrequietudine,
-l'esuberanza della vitalità sensuale. Tutto il suo corpo, nel tardivo
-fermento della verginità, si era arricchito ed espanto. La sua
-testa non era bella, non aveva la quadratura vigorosa, lo splendore
-olivastro di certe razze d'Abruzzo, quelle pure linee del naso e del
-mento svolgentisi grecamente nella latina ampiezza della faccia. Ma
-ella, inconsapevole, sotto la goffaggine delle vesti grige, sotto la
-cascaggine delle pieghe incomposte, celava un bel corpo delicato.
-
-Erano i giorni primi di giugno: sorgeva l'estate dalla primavera, come
-da un campo d'erbe un àloe. Tra il mare e il fiume tutto il paese di
-Pescara godeva nella ventilazione salina e nel refrigerio fluviale,
-come distendendo le braccia verso quei naturali confini d'acqua amara e
-d'acqua dolce. Salivano alla stanza di Orsola allora le blandizie della
-temperie; insetti lucidi urtavano ai vetri e rimbalzavano, come una
-grandine d'oro.
-
-La vergine, se era sola, provava un bisogno di distendersi, di gettare
-lungi le vesti, di giacere, e di raccogliere su la pelle quella
-blandizia ignota che fluttuava nell'aria.
-
-Cominciava lentamente a spogliarsi, con gesti pigri, indugiando con le
-dita in torno alle allacciature e ai fermagli, facendo piccoli sforzi
-svogliati nel cacciar fuori le braccia dalle maniche, fermandosi a
-mezzo e abbandonando in dietro la testa dai capelli crespi e corti,
-quella sua testa di giovincello. Lentamente, sotto l'amorosa fatica,
-dalla informità delle vesti, come dalla scoria del tempo una statua
-diseppellita, il corpo ignudo si rivelava. Un mucchio di lana e di tela
-vile era ai piedi della pulzella così purificata, e da quel mucchio
-ella come da un piedestallo sorgeva nella luce coronandosi con le
-braccia, mentre al contatto dell'aria una vibrazione a pena visibile
-le correva a fior della pelle. In quell'attitudine momentanea tutte
-le linee del torso si distendevano e salivano verso il capo ricinto:
-si appianava la leggera onda del ventre non anche deturpato dalla
-concezione; gli archi delle coste si disegnavano in rilievo. Poi, se un
-insetto entrava nella stanza, il ronzìo aliante in torno ed accennante
-ad attingere la nudità, il ronzìo sbigottiva Orsola; ed era allora un
-difendersi dalla puntura mal temuta, erano movimenti serpentini, scatti
-di muscoli sotto la cute, paurosi raggruppamenti di membra, falli dei
-malleoli non bene forti al gioco.
-
-Poi, così eccitata dal moto e calda, ella aveva voglie nuove.
-Apriva l'uscio, cauta in sospetto; e metteva fuori il capo guardando
-nell'altra stanza. C'era un odore di chiuso, quello squallore inanimato
-che hanno le scuole senza fanciulli. Nelle tabelle quadrate l'alfabeto
-cubitale e i gruppi dei dittonghi e delle sillabe stavano muti
-dominatori del luogo. Orsola si avanzava evitando co' piedi nudi gli
-interstizii del pavimento smosso, provando la titubanza di chi cammina
-scalzo per la prima volta su un piano aspro e la confusione di una
-donna che non sente più in torno al suo passo l'impedimento abituale
-della veste. Andava così fino alla terza stanza, dov'era l'acqua.
-Intingeva le mani, si spruzzava tutta, coraggiosamente, sussultando
-se una gocciola più grossa le rigava l'epidermide. Usciva di là, tutta
-sparsa di rugiada: andava verso lo specchio di un antico canterano.
-
-Restavano in quel canterano ancora frammenti d'intarsio qua e là.
-Lo specchio, che celava un armario sovrastante, aveva in torno fregi
-misti d'oro e di colori e in alto due puttini decapitati. Orsola saliva
-fin là, attratta da una irresistibile curiosità di vedersi nuda. La
-sua persona tutta ancora fresca di gocciole sorgeva nell'offuscamento
-dello specchio come in un verdazzurro fondo marino. Ella si guardava
-sorridendo. Il sorriso, ogni movimento dei muscoli pareva far tremolare
-tutte le linee della nudità nello specchio come quelle di una imagine
-dentro le acque. Allora ella cominciava una specie di mimica vanitosa,
-guardando riprodursi tutti i suoi gesti nella lastra, aprendo le labbra
-per mostrare i denti, alzando le braccia per mostrare le ascelle,
-presentando la schiena arcata e forzando il capo a volgersi in dietro;
-fin che un pazzo impeto di ilarità, dinanzi a quello spettacolo di sè,
-le scuoteva tutta la persona. In fondo in fondo, dietro la donna, si
-rifletteva dalla parete avversa la tabella dell'alfabeto.
-
-
-XIV.
-
-Ora avvenne che in uno di quei momenti battesse alla porta della scala
-Lindoro venuto su con le conche. Orsola gridò:
-
-— Aspetta!
-
-E raccolse da terra le vesti, in furia; se le mise addosso, in furia;
-andò ad aprire.
-
-Erano le sei di sera: il riverbero bianco del palazzo di Brina entrava
-nella stanza; tutto il paese di Pescara, grande ospizio di rondini,
-cantava.
-
-I due, in mezzo, ritti, parlarono del ritrovo imminente. Lindoro con la
-sua loquacità cercava di vincere le estreme esitazioni della pulzella;
-poichè egli già teneva una parte della mercede, e l'adescava il resto.
-L'artifizio persuasore gli avvivava le parole, gli occhi, i gesti.
-Egli aveva nel fiato l'odore del vino, e nella faccia, su le tempie,
-pe 'l passaggio recente del rasoio, piccole macchie rosee e violacee.
-Mentre parlava gli si scopriva la fila dei denti eguale e schietta,
-una di quelle forti chiostre che spesso armano le bocche plebee; e la
-singolarità emergeva vivacemente dalla generale turpitudine dell'uomo.
-
-Orsola opponeva dubbii, paure, ad interrompere; ma già, poi che
-l'impudicizia a mano a mano sorgendo più calda dal fòmite del vino
-bevuto si insinuò nelle persuasioni del galeotto, ella cominciava a
-turbarsi. S'era ritirata a poco a poco verso il muro, appoggiandovisi.
-Dalle aperture, lasciate qua e là nell'abito per la furia del
-rivestirsi, si intravedevano i lembi del lino. La gola era tutta
-scoperta, i piedi senza calze nascondevano nelle pianelle soltanto le
-dita.
-
-Ma ella, a un punto, involontariamente, per quel cieco istinto da cui
-una donna è avvertita d'essere innanzi a un uomo bramoso, corse con
-la mano a chiudere sotto la gola, sul petto gli uncinelli. Quell'atto,
-col quale Orsola così riconosceva nel mezzano l'uomo, quell'improvviso
-atto fece scattare dall'abbiezione di Lindoro un impeto di orgoglio
-maschile. — Ah, egli dunque aveva potuto per sè stesso turbare una
-donna! — E si fece più da presso; e, come il coraggio del vino lo
-animava, quella volta nessun ritegno di viltà trattenne il bruto.
-
-
-XV.
-
-Orsola rimase inerte, lunga su i mattoni, con nelle vesti, con in tutta
-la figura lo scompiglio della donna violata.
-
-Ma, quando udì i passi di Camilla nella scala, dal fondo della sua
-languidezza si levò su un gomito; rapidamente passò le mani su le
-vesti sconvolte; ritrovò le parole per dire alla sorella che una sùbita
-mancanza di forze l'aveva fatta cadere nel mezzo della stanza.
-
-Fuori, annottava. Sul paese si spandeva la grande frescura glauca della
-sera di giugno, originante dall'Adriatico. Voci e risa empivano la
-piazza; giù pe 'l casamento cantava la gioia sabatina degli abitanti
-sollevati. Dal secondo pianerottolo Teodora La Jece gridò:
-
-— Comare Camilla, comare Orsola, venite?
-
-Orsola seguì la sorella, senza parlare, senza pensare. Durava fatica
-a ricordarsi: una specie di ebetudine le teneva ancora la memoria.
-Teodora le empiva gli orecchi del suo chiacchierio di femmina
-maldicente e petulante.
-
-— Sapete, comare, la figlia di Rachela Catena si marita.
-
-— Ah.
-
-— Sapete, piglia Giovannino Speranza, quel rosso che tiene locanda alla
-Pesceria e ha il mal di San Donato, liberanosdòmine.
-
-— Ah.
-
-— Sapete, comare; Checchina Madrigale se n'è scappata un'altra volta a
-Francavilla. Voi la conoscete: quella grassa che sta di casa a Gloria,
-nera, col naso a becco.... quella.
-
-Teodora seguitando aveva preso il passo di Orsola. Camilla veniva un
-poco in dietro, a capo chino, senza badare ai peccati di mormorazione
-che la lingua della tessitrice commetteva contro il prossimo. Per le
-vie tutta la gente godeva l'aria; gruppi di donne passavano, in vesti
-di tela, con braccia nude sino al gómito.
-
-— Comare, guardate Graziella Potavigna che falbalà s'è messo! Guardate
-Rosa Zazzetta, con un sergente avanti e uno dietro.... Ah, voi non
-sapete?
-
-E qui una storia d'amorazzi piena d'indiscrezioni salaci, susurrata
-quasi all'orecchio. Per obliare, Orsola si immerse nel pettegolezzo
-intieramente, con una specie di furia convulsa, non dando a sè
-stessa il tempo di ripensare, interrogando, eccitando Teodora alla
-chiacchiera, temendo gli intervalli di silenzio, riempiendoli con
-sussulti di riso. Ella aveva quasi un godimento amaro a sentire i
-vituperii degli altri.
-
-— Oh! ecco Don Paolo!
-
-Veniva in contro con la sua bella placidezza Don Paolo Seccia, un
-ottuagenario ancora aspro e verde come un ginepro.
-
-— Venite con noi, Don Paolo: usciamo fuori.
-
-Tutti i macelli per la via di qua, di là, avevano i loro manzi freschi
-penzolanti in mezzo alla porta: l'odore della carne bovina si spandeva
-dalle ventraie aperte e assaliva le nari. Più in su, lunghe file di
-maccheroni stavano attelate al lume della luna che le guardava dalla
-cima di un'antenna soperchiante la caserma. Gruppi di soldati si
-affollavano in torno alle rivenditrici di frutta, vociferando.
-
-— Andiamo alla Bandiera — disse Teodora, dando la precedenza a Don
-Paolo ed a Camilla.
-
-Orsola passò in mezzo a tutti quei romori e quegli odori forti,
-stordita. Cominciava alfine uno sbigottimento vago a sommuoversi
-dal fondo, a torcerle la bocca nel riso, nelle parole, a impedirle
-la lingua. Anche certi piccoli tormenti fisici la molestavano e la
-richiamavano alla realità delle cose. Ella non sapeva più sfuggire
-a sè stessa: le moriva la voce fra i denti, l'angoscia le serrava la
-gola, il fantasma del peccato enorme e irrimediabile le si drizzava
-dinanzi. Ella ora si sentiva morire dalla fatica di reggersi in piedi,
-di mettere i passi: si sentiva percossa dalla spietata animazione della
-vita nella strada che è di tutti.
-
-— Dunque, comare mia, quel guercio del marito senza saper nulla di
-nulla... — diceva Teodora riannodando la maldicenza interrotta.
-
-Andavano per la Bandiera. Il ponte a battelli, su la sinistra,
-cavalcava il fiume. Dall'altro lato, la mole cupa e grave del bastione
-si disegnava nel chiarore. I vecchi cannoni di ferro, piantati con la
-bocca nel terreno, si dilungavano in fila trattenendo le gómene; grandi
-áncore di ferro ingombravano lo scalo. Nelle tolde, a riva, i marinari
-sotto le tende mangiavano e fumavano: le tende illuminate contrastavano
-con un rossore sanguigno l'albore della luna. Intorno alle proe,
-su l'acqua larghe chiazze come di materia liquefatta fluttuavano
-lentamente.
-
-— ... mandò a chiamare Don Nereo Memma, figuratevi! — seguitava
-Teodora, implacabile.
-
-— Chi parla del dottor Dulcamara? — fece Don Paolo, a cui era giunto
-quel nome, ridendo dalla franca bocca ancora armata di avorii.
-
-Orsola non sentiva più: ella era pallida come la faccia della luna. Da
-prima, tutta quella gran pace luminosa piovente dal cielo sul fiume
-e tutte quelle lunghe vene di odore marino correnti pe 'l fresco le
-avevano dato sollievo; poichè dinanzi a quello spettacolo di dolcezza
-i fantasmi vagheggiati dell'amore in fondo a lei si risollevavano
-e le sommità del sentimento al raggio lunare riscintillavano. Fu,
-súbito dopo, un tumulto confuso in cui ella udiva battere le arterie
-con un susurrìo assordante che parve dilatarsi e riempire tutta
-l'aria d'un tratto. Le mancava sotto i piedi il suolo fermo. Il
-limite delle acque si confuse, per la vertigine; il fiume invase la
-strada; acque acque acque si spársero in torno. Poi, d'un tratto, uno
-scintillìo di bagliori si accese dentro gli occhi di lei, un tremolìo
-crescente di fiammelle fatue che rompevano, si intrecciavano, si
-allontanavano, e si fondevano e perdevano serpentinamente nell'ombra.
-In quella illuminazione la figura di Marcello compariva e spariva,
-con una rapidità e una mutabilità di sogno. La vertigine cessò.
-Orsola riconobbe i riflessi della luna nel fiume placido; continuò a
-camminare, stupefatta, indebolita, quasi in punto di venir meno.
-
-— Stanca, eh? comare; voi non siete abituata, si sa. Appoggiatevi a me,
-appoggiatevi — diceva Teodora. — La figlia di Donna Mentina Ussoria,
-quella più piccola, butterata, stava proprio innanzi alla bottega,
-sapete, su la piazzetta...
-
-Erano alla caserma dei finanzieri. Grandi mucchi di carrùbe mandavano
-un odore forte come di pelli conciate; e la strada seminata di scaglie
-d'ostriche scricchiolava sotto i passi. Due sciàbiche, presso la riva,
-facevano pesca d'anguille, in silenzio, con la luna propizia. Ma la
-sonorità del mare empiva di grandezza il silenzio. Annunziavano la foce
-gli ondeggiamenti del sale superanti il lieve fiore dell'acqua dolce.
-
-— Torniamo in dietro, belle figliuole — disse Don Paolo, prendendo una
-carruba dal mucchio vicino.
-
-Orsola si lasciava condurre. Ella durava fatica a rattenere l'ansia
-del respiro; poichè ora il suo stato, con una terribilità incalzante,
-le si ripresentava dinanzi e schiacciava tutti gli aneliti e i tumulti
-del sentimento suscitati dalla voluttà della notte lunare. Ella vedeva,
-nella fissazione del suo pensiero, la figura di Lindoro levarsi e
-vivere; si sentiva un'altra volta afferrare e palpare da quelle mani
-aspre, soffocare da quel fiato caldo di vino e di libidine, violare
-su i mattoni della stanza. Ma in quel momento, pensava, ella non aveva
-resistito, non aveva gridato, non aveva fatto nessun moto per opporsi;
-ella aveva soggiaciuto, senza forze, non distinguendo più nulla, non
-sentendo se non una gran gioia mista di dolore inondarle le fibre.
-Allora il ribrezzo e il languore si avvicendarono nella sua carne,
-agghiacciandola, affocandola. Inconsapevole, guardava innanzi a sè,
-pallida e con gli occhi ingranditi e più neri.
-
-— Sentite come il vino canta! — disse Don Paolo, soffermandosi.
-
-Nelle barche i marinai stavano distesi tra i cordami, in mezzo al fumo
-del tabacco di Dalmazia, e cantavano di femmine belle, in gran coro.
-
-
-XVI.
-
-Camilla, su l'inginocchiatoio, pregò a voce bassa, co 'l capo
-prostrato, con giunte le mani, lungamente; poi accese la lampada votiva
-a Maria Vergine, per la notte; piegò poi nel sonno tenendo il dolce
-cuore di Gesù tra i fiori vizzi del seno. Il suo respiro di dormiente
-era religioso come se sfiorasse l'ostia sacra su la paténa d'argento.
-Nella volta le ombre seguivano le oscillazioni della fiammella
-alimentata dall'olio. I rumori del legno che si dilata e dei tarli
-che ródono, le voci misteriose dei vecchi mobili nella calma notturna,
-rompevano il silenzio.
-
-Orsola stava nello stesso letto, a fianco di Camilla, distesa, senza
-muoversi, senza chiudere gli occhi, poichè una grande stanchezza
-insonne le occupava le membra e la vigilanza assidua dell'angoscia le
-martoriava l'anima tapina. Ella ascoltava il silenzio; spiava sè stessa
-con una curiosità ansiosa, come per sentire qual mutamento si fosse
-compiuto nell'essere suo.
-
-A un tratto, Camilla nel sonno cominciò a mormorare parole confuse,
-frammenti di parole incomprensibili, movendo appena le labbra, mettendo
-lunghi respiri. La testa di lei, scarna, affilata, scolpita rigidamente
-dalla penitenza e dal digiuno, ingiallita dal lume della lampada,
-posava su la bianchezza del guanciale come una effigie mal dorata di
-santa sopra una raggiera. Piccole ombre violacee segnavano l'interno
-delle narici, i solchi del collo teso e pieno di corde, le fosse delle
-gote, le occhiaie d'onde sporgeva grande il globo coperto dalla pelle
-molle della pálpebra. Ella pareva così il cadavere di una martire,
-dentro cui scendesse lo spirito di Dio.
-
-Benchè quello dei soliloquii notturni non fosse il primo, Orsola
-sentì freddo in mezzo ai capelli: un terrore improvviso l'assalì e la
-oppresse. Ella istintivamente si rannicchiò, cercò di allontanarsi
-dal corpo della sorella ritraendosi su l'orlo della sponda; stette
-immobile, sospesa negli intervalli di silenzio, con gli occhi fissi
-su la bocca della dormiente, provando un sordo sussulto in mezzo
-al petto se quelle labbra si movevano a profferire nuove parole.
-Ella non comprendeva; ma qualche cosa di lontanamente profondo e di
-solenne era in quel mormorìo interrotto, un mistero soprannaturale si
-levava da quel corpo inerte e inconsapevole che parlava senza udire
-la propria voce. Nella stanza passava l'alito del sepolcro; per la
-fantasia sconvolta dell'insonne le ombre oscillanti prendevano forme
-spaventose e minacciose di spettri; l'aria pareva solcata da romori
-ignoti. Tutte le cose su cui l'allucinata si rifugiava con lo sguardo,
-tutte le cose si trasformavano e si animavano ed andavano verso di
-lei. Allora l'idea del castigo e della pena eterna ancora una volta
-le risorse nella conscienza e la incalzò. Ella si abbattè sotto
-l'incubo del suo peccato, mettendo in croce le braccia sul petto per
-difendersi dalle minacce dei demoni, tentando pregare con la lingua
-impedita dal terrore, aggrappandosi con un supremo slancio all'áncora
-del pentimento, all'ultima salvezza. Ella si sentiva perduta, chiedeva
-misericordia dall'intimo del suo cuore al divino Sposo tradito, a Gesù
-buono e grande, a Colui che perdona.
-
-La voce di Camilla si esalava in sospiri, si confondeva in un borboglìo
-tremulo, si spegneva nella respirazione lenta ed eguale, a mano a
-mano che l'entusiasmo del sogno mistico si andava placando. Le ombre
-seguitavano ad oscillare. Non ancora il Crocefisso discendeva dalla
-parete a raccogliere con le dolcissime braccia la pecorella tornante
-all'ovile.
-
-
-XVII.
-
-— Ha detto il Signore per bocca del profeta Gioele, figlio di Petuel:
-«Avverrà che io spanderò il mio Spirito sopra ogni carne, e i vostri
-figliuoli e le vostre figliuole profetizzeranno; i vostri vecchi
-sogneranno sogni, i vostri giovani vedranno visioni.»
-
-Questo Spirito di cui gli Apostoli ebbero le primizie e la beatitudine,
-fu per essi e per noi uno Spirito di verità, uno Spirito di santità
-e uno Spirito di forza... O divino amore, o sacro legame che unisci
-il Padre e il Figlio, Spirito onnipotente, fedele consolatore degli
-afflitti, pénetra negli abissi profondi del nostro cuore e infondici la
-tua gran luce! —
-
-Così predicava Don Gennaro Tierno nella Pentecoste, dall'altare
-maggiore, volto al popolo ascoltante. Sopra di lui, in alto, la terza
-persona della SS. Trinità apriva l'arco radioso delle ali d'oro, e
-nella chiesa l'illuminazione dei ceri spandeva un rossore simile a
-un riflesso d'incendio. Gli enormi pilastri di pietra sostenenti le
-due navate, coperti di barbare sculture cristiane, cavalcavano verso
-l'altare pesantemente; su le pareti gli avanzi dei mosaici rilucevano:
-qualche testa di Apostolo, qualche braccio rigido di santa, qualche ala
-d'angelo emergeva ancora nell'offuscamento e nello scrostamento operato
-dai secoli. Tra i mosaici pendevano piccole navi ex-voto dedicate al
-tempio dai naufraghi supérstiti. E in mezzo alle pietre rudi e alle
-croste fosche si elevava agile un gruppo di colonne rosee a spira
-sorreggenti il pergamo anche marmoreo fiorito di acanti e animato di
-bassirilievi.
-
-— Spandi la tua dolce rugiada su questa terra deserta, a fin che cessi
-la sua lunga aridità. Manda i raggi celesti del tuo amore fino al
-santuario dell'anima nostra, a fin che penetrandoci accendano fiamme
-consumatrici delle nostre debolezze, delle nostre negligenze, dei
-nostri languori! — seguitava il prete, salendo ai supremi culmini della
-sua eloquenza e della sua potenza vocale.
-
-Orsola, da presso, ascoltava, tutta raccolta. Ella si era rifugiata
-nella casa del Signore, era tornata al talamo; voleva che il Signore
-la purificasse e la ricevesse un'altra volta nella benignità del suo
-grande abbracciamento. Quel barbaglio subitaneo di fede la abbacinava,
-le faceva quasi dimenticare ogni fallo anteriore. Le pareva che
-subitamente dalla sua anima le macchie si cancellassero e dalla sua
-carne cadessero le scorie della impurità terrena. Giammai ella si era
-accostata all'altare di Dio con un più profondo tremito di speranza;
-giammai aveva ascoltato la parola di Dio con una più lunga ebrezza.
-
-Dall'istante in cui l'orrore della dannazione le si levò nella
-conoscenza, ella si compresse in una specie di raccoglimento cupo,
-sorvegliando sè stessa, sorvegliando i propri atti, i propri pensieri,
-i minimi moti pe 'l timore che quella veemenza di pentimento si
-esalasse, per l'ansia di conservare intatto dentro di sè quel fiore
-di fede rigermogliato d'improvviso. Fu una specie d'assunzione verso
-Gesù, con un ripudio di ogni legame umano. Ella si esaltò nella lettura
-dei libri sacri; si gettò nella contemplazione delle imagini e dei
-misteri; lottò contro le molli viltà della carne, contro i calori della
-giornata, contro l'insidie della notte, contro i profumi che le portava
-il vento, contro il soffio che saliva dai suoi ricordi impuri, contro
-le voci che parevano vellicarle l'udito e susurrarle segreti nuovi di
-piacere.
-
-Dopo quella settimana solitaria di passione, ella ora deponeva il
-sacrificio ai piedi dell'altare; beveva il balsamo della parola di Dio,
-fissando gli occhi in alto alla colomba radiosa e sentendosi a poco a
-poco naufragare nel pèlago dell'estasi.
-
-— Vieni dunque, vieni, dolce consolatore delle anime desolate, rifugio
-nei pericoli, protettore nella sventura. Vieni, o tu che purifichi
-l'anime da ogni macchia e ne guarisci le piaghe. Vieni, forza del
-debole, appoggio di quegli che cade. Vieni, stella dei naviganti,
-speranza dei poveri, salute di chi è per morire — incalzava Don Gennaro
-Tierno, alto nella pianeta d'argento, vermiglio in volto, con occhi
-forzanti le órbite, con gesti che parevano toccare il cielo.
-
-Nella chiesa una calura grave si era addensata su i cristiani. Le
-navate si schiacciavano su i pilastri; in una vetrata la testa di S.
-Luca evangelista raggiava percossa dal sole e il gran manto metteva
-nell'aria una zona di crepuscolo verde. L'ambone marmoreo si levava
-come un miracoloso fiore mistico, in quel vapore di luce.
-
-— Vieni, o Spirito, vieni ed abbi misericordia di noi!
-
-Orsola teneva gli occhi all'alto: su l'onda di tutte quelle invocazioni
-ella ascendeva verso il nimbo, penetrata dalla ineffabile soavità che
-attira l'anime all'odore degli aromi spirituali. Le parve un istante
-di vedere la colomba d'oro balenarle un lampo di assentimento, e il
-cuore le balzò di giubilo nel seno come San Giovanni nelle viscere
-d'Elisabetta alla visita della Vergine Maria.
-
-— Per nostro signore Gesù Cristo. Amen.
-
-Il prete, tutto d'argento, si volse verso la custodia, dicendo a bassa
-voce un credo. Due turiferarii bianchi ai lati cominciarono a scuotere
-i turiboli fumanti e odoranti. Un nuvolo di incenso avvolse la vergine
-violata che stava da presso; e subitamente un invincibile fiotto di
-náusea dal fondo della maternità le salì alla gola e le fece torcere la
-bocca.
-
-
-XVIII.
-
-Non c'era dunque scampo? — Più giorni ancora ella oscillò nel dubbio,
-aspettando l'ultima prova. Vertigini la prendevano al levarsi, quando
-ella metteva a terra i piedi; sfinimenti vaghi la invadevano su la
-sera, fievolezze in cui il pensiero, la volontà, i ricordi parevano
-quasi avere la confusione, la sonnolenza fluttuante delle prime ore
-mattutine. Ella faceva le cose per abitudine, con gesti di sonnambula,
-stancamente. Nella scuola, se veniva sul vento l'odore del pane caldo
-dal forno, ella si sentiva morire, sentiva tutte le viscere montarle
-d'un tratto alla bocca; e un sapore di lisciva le si spandeva nella
-lingua. Un giorno, mentre un bimbo succhiava una ciliegia, una voglia
-violenta di quel frutto la fece contorcere su la sedia, impallidire
-e sudare. Poi, ella, dopo il pasto, tutta amara di nausea, si metteva
-lunga sul letto, si lasciava occupare dal sopore: il caldo era pesante,
-le mosche ronzavano, le grida d'un venditore di occhiali passavano
-sotto la finestra, rauche nel silenzio.
-
-Sfiduciata, ella non cercò più la chiesa: l'incenso anche la ributtava.
-
-Ella non pensò più a Marcello; non lo vide più, non ebbe di lui se non
-un ricordo incerto, come d'un sogno remoto. L'ansia presente la teneva
-tutta.
-
-Lindoro saliva a portar acqua, come prima. Egli giungeva su, rosso e
-stillante di sudore; posava le conche, lanciando sguardi di sbieco alla
-vittima. Orsola si ritirava nell'altra stanza o si curvava sul lavoro
-stringendo i denti nella collera repressa. Lindoro se ne andava, come
-un cane frustato; ma il pensiero di aver posseduto quella donna gli
-turbava il sangue: avrebbe voluto ora trascinarsela con sè, tenersela,
-esserne il padrone come di una merce da usare e da vendere. Cupidigia
-sensuale e avidità di guadagno in lui si mescevano.
-
-Una sera egli aspettò che Camilla uscisse, alla porta di strada; poi
-salì a precipizio per sorprendere Orsola, per trovarla sola nella casa.
-Quando egli battè all'uscio Orsola lo riconobbe e si sentì rimescolare.
-
-— Che vuoi da me, che vuoi? — chiese ella con la voce soffocata, senza
-aprire.
-
-— Sentimi un momento, sentimi! Non aver paura; non ti faccio male...
-
-— Vattene, cane, infame, assassino... — proruppe la donna, con una
-veemenza stridula di vituperii, togliendo il freno a tutto l'odio
-accumulato contro colui. — Vattene, vattene!
-
-E, sfinita, si ritrasse nella sua stanza, si gettò su i guanciali
-mordendoli fra le lagrime.
-
-
-XIX.
-
-Non c'era più scampo. — La figlia di Maria Camastra aveva bevuto il
-vetriolo ed era morta così, con un bimbo di tre mesi nel ventre. La
-figlia di Clemenza Iorio s'era precipitata dal ponte, ed era morta
-così, nella fanga della Pescarina. Bisognava dunque morire.
-
-Quando questo pensiero balenò alla mente di Orsola, cadeva il
-pomeriggio. Tutte le campane sonavano a gloria, nella vigilia del
-_Corpus Domini_; grandi tribù di rondini schiamazzavano e turbinavano
-sul palazzo di Brina, si assembravano a parlamento su l'Arco. Una
-nuvola rossa sovrastava le case, simile forse a quella che versò bitume
-ardente su l'empietà di Sodoma.
-
-Orsola al baleno di quel pensiero si smarrì, ebbe paura. Poi a mano
-a mano che il sentimento della vergogna la persuadeva al passo, in
-fondo a lei una sorda ribellione di vitalità cominciava a levitare,
-le viscere fremevano. Ella d'un tratto sentì il rossore e il calore
-del suo sangue chiazzarle la fronte, le guance. Si levò dalla sedia,
-torcendosi le braccia nell'agitazione della lotta. E, con un impeto
-di forza nervosa, finalmente uscì dalla stanza, entrò nella cucina,
-cercò su le tavole un bicchiere e il mazzo degli zolfanelli. L'odore
-forte del carbone le turbava lo stomaco; la vertigine le prendeva
-il cervello. Ella trovò tutto: mise gli zolfanelli a disciogliersi
-nell'acqua; rientrò nella sua stanza e nascose in un angolo, sotto un
-mobile, il bicchiere letale.
-
-— Dio mio! Dio mio!
-
-Ella aveva ora paura di trovarsi così, sola, dinanzi al suo
-proponimento. Le tornò subitamente nella fantasia il cadavere di
-Cristina Iorio intraveduto quel giorno mentre lo portavano su la
-barella alla casa della madre: un corpo gonfio come un otre, con la
-melma ne' capelli, nel cavo degli occhi, nella bocca, tra le dita de'
-piedi violetti...
-
-— Dio mio, Dio mio, morire!
-
-E sussultò come se una mano fredda e rigida le si fosse posata sul
-capo: un brivido le corse tutte le membra, le durò un momento sul
-cranio con l'impressione di una lama che vi penetrasse per distaccarne
-la pelle.
-
-— No, no, no! — disse con la voce alterata, come se volesse scacciare
-da sè il contatto di qualche cosa orribile. E andò alla finestra,
-sporse il capo fuori, cercando un rifugio.
-
-Ella rimase là, inchiodata, attònita dinanzi a quella visione
-d'incendio biblico e a quella tregenda di uccelli neri. Quando si
-volse un poco, intravide nell'ombra della stanza un bagliore strano:
-il luccichìo delle mezzelune d'oro su la veste della Madonna di Loreto
-e il luccichìo delle medaglie. Ebbe ancora paura; si schiacciò sul
-davanzale, si sporse di più; stette là, senza avere il coraggio di
-muoversi. Allora, in quella immobilità, l'indebolimento serale cominciò
-ad invaderla; ed ella si strinse la testa grave tra le palme, socchiuse
-le pàlpebre.
-
-— Ah!
-
-D'improvviso le si era aperto nell'animo uno spiràcolo. — Sì, sì, ella
-se ne rammentava! Spacone, il mago, quel vecchio con la barba lunga,
-quello che faceva i miracoli e aveva le medicine per ogni male... Era
-venuto al paese qualche volta a cavalcioni di una muletta bianca, con
-due triangoli d'oro agli orecchi, con una fila di bottoni larghi come
-cucchiai d'argento senza mànico. Tante donne uscivano su gli usci e
-lo chiamavano, e lo benedicevano. Egli aveva guarito ogni sorta di
-malattie con certe erbe e certe acque e certi segni del dito pollice
-e certe parole magiche. Egli doveva avere i rimedii pure per quella
-cosa... sì, sì, li doveva avere!
-
-E Orsola rivisse in un barlume di speranza, mentre il languore saliva
-saliva. Dinanzi a lei, le cose annegavano nel crepuscolo; il giorno
-vermiglio, penetrato dalle ceneri della notte vicina, mancava in un
-lento scoloramento, senza contrasti. Una rondine, come un pipistrello,
-passò radendole il capo. Il sùbito alito dell'estate le soffiò nella
-faccia, le toccò ogni vena, le scosse fin le radici infime della vita.
-
-Ella, con un moto involontario e inconsapevole, mise le mani sul ventre
-e le tenne così un istante. L'indefinito sentimento della maternità
-le attraversava l'anima. E dal fondo, misteriosamente, un ricordo
-della convalescenza lontana si svegliò. — Ah, era di marzo... una
-gran bianchezza ridente... e sopra di lei le _spie_, le lanugini molli
-piovevano.
-
-
-XX.
-
-Così fu che la mattina dopo ella uscì dalla casa, di sotterfugio; e
-s'incamminò sola fuori del paese, per la strada nuova di Chieti.
-
-Nelle vicinanze di San Rocco abitava Spacone. Sotto la maestà di una
-quercia druidica, egli compiva i miracoli e formulava i responsi.
-Tutto il contado, in venti miglia di circuito, ricorreva a lui, come
-a un apostolo della Providenza. Nelle epidemie del bestiame indigeno,
-mandre di bovi e di cavalli si raccoglievano in torno alla quercia
-per ricevere il talismano preservante dal morbo: le orme delle unghie
-equine e bovine facevano come un circolo d'incanti su l'erbe semplici
-del terreno.
-
-Quando Orsola s'incamminò, era nella terra pescarese un gran giuoco
-d'ombre e di luci. Le nuvole nòmadi trasmigravano dalla marina alla
-montagna, come carovane con buone salmerìe d'acqua, per quel cielo
-arabico del mese di giugno. A intervalli, larghe zone di terra si
-sommergevano nell'ombra, altre zone emergevano illustrate; e, come
-l'ombra era turchina e mobile, la campagna così dava apparenza di un
-arcipelago che galleggiasse copioso d'alberi e di fromento. Il canto
-degli uccelli lodava la maturità delle biade.
-
-Al primo spettacolo Orsola ebbe un insolito ristoro; poichè la
-libertà della campagna, la felicità della luce sul fogliame, gli odori
-cordiali dell'aria circondandole d'un tratto la persona le mossero il
-sangue, e la nuova speranza in lei al dispiegarsi dell'orizzonte si
-fortificò ed esultò. Ella si alleggeriva di tutte le angosce, vivendo
-per due sentimenti soli, per la speranza della salvazione corporea
-e pel desiderio di raggiungere la meta. In fondo, alla meta, ella
-vedeva nella sua fantasia sorgere il vecchio benefico e illuminarsi
-misticamente. Per una nativa tendenza superstiziosa, ella trasformava
-quella figura, la ingigantiva e la vestiva di una dolcezza cristiana,
-la cingeva di nimbo. Allora tutte le dicerie che correvano tra il
-volgo le tornarono alla memoria confusamente e gittarono sprazzi di
-luce meravigliosa su la fronte di Spacone. Allora ella si rammentò
-che Rosa Catena, in un giorno lontano della malattia, aveva parlato
-del Vecchio con una reverenza devota citando miracoli. — Un cieco di
-Torre de' Passeri era andato a San Rocco ed era tornato dopo tre dì con
-gli occhi che ci vedevano e con una cifra turchina su la tempia. Una
-femmina di Spoltore, invasa dagli spiriti maligni, era tornata mansueta
-come un'agnella, dopo aver bevuto due sorsi d'un'acqua custodita in una
-piccola zucca secca.
-
-Così a poco a poco, lungo il cammino, pel concorso di tanti elementi
-sparsi si venne formando nella mente di Orsola una specie di leggenda.
-E a poco a poco, giacchè nulla possono gli uomini senza l'assistenza
-di Dio, sorse anche la persuasione che il vecchio fosse un inviato
-del cielo, un redentore delle anime dalla dipendenza corporale, un
-distributore di grazie celesti su la terra ai caduti. — La speranza
-estrema non era discesa su la peccatrice improvvisamente, quasi per
-influsso divino, fra i segnali accesi nell'aria? E nella Pentecoste
-la colomba non aveva balenato dall'alto, agli occhi della pregante, un
-lampo di buona promessa?
-
-La promessa ora si compiva nel santo giorno del _Corpus Domini_. Orsola
-dunque, tutta calda di fede e di giubilo, andava su la polvere della
-via nuova, non curando la fatica dei passi. Ai due lati, le siepi
-biancheggiavano come coperte di escrementi d'uccelli. Gruppi di pioppi
-sonori stavano su i limiti; e i tronchi inargentati riverberavano
-le variazioni della luce. Le contadine della Villa del Fuoco, nane,
-co 'l naso camuso, con le labbra schiacciate, femmine cafre dalla
-pelle bianca, venivano incontro a due, a tre. Le vicende delle nuvole
-occupavano l'immenso teatro della campagna.
-
-Orsola passò il Mulino, passò la Villa. Una energìa nervosa le animava
-il passo. Ella si sentiva battere il vento su la nuca e sentiva sul
-capo a intervalli stormire i pioppi. Ma l'oscillare delle ombre e la
-polvere cominciavano a turbarle un poco la visione; il calore del moto
-le affluiva alla testa; la volontà era tutta occupata nell'insolito
-sforzo materiale dell'incedere. Ella così andò innanzi in una specie di
-stordimento crescente che si mutava in malessere; e, vinta dalla fatica
-e dal caldo, si lasciò allettare da un mucchio di olivi messi in salita
-a sinistra.
-
-Passavano quattro o cinque zingari seminudi, bronzini, con amuleti
-luccicanti sul petto, a cavalcioni di certi asini rossastri. Uno di
-loro fischiava urtando con le calcagna il ventre della sua bestia.
-Tutti avevano in mano canne e portavano bisacce di pelle su le cosce.
-Guardarono la donna rifugiata sotto gli olivi e mormorarono ridendo.
-
-Orsola ebbe paura di quegli occhi che mostravano il bianco nello
-sguardo, e stette sbigottita finchè il gruppo non si allontanò. Lo
-scoraggiamento incominciava a impadronirsi di lei; la solitudine
-cominciava ad esserle paventosa, poichè nella campagna correva per
-lunghi brividi l'annunzio della pioggia e un silenzio quasi lugubre
-scendeva nell'aria dalle nuvole raccolte. Ella s'era appoggiata ad
-un tronco: freschi soffi intermessi le investivano la persona e le
-gelavano il sudore nei pori, soffi che accorrevano a lei co 'l fruscìo
-di un animale furtivo nell'erba; mentre in torno il tremolìo del sole
-pareva un riverbero d'acque lontane. Pallidi fiori d'un giallo sulfureo
-facevano onda a pie' degli olivi.
-
-Un ricordo scese allora dai buoni alberi su l'animo della donna. — La
-chiesa era tutta piena di palme benedette e di aromi, quel giorno;
-ed ella andava tra il popolo sorretta dalle braccia di Marcello, in
-un gran tremore... Ma, come ella si soffermò in quel pensiero, le
-si smarrì la memoria; tutto le sfuggì in una incertezza di sogno.
-Soltanto, colpi sordi le batterono il cuore, sussulti d'angoscia le
-affannarono il respiro. Ella aveva ora la sensazione ottusa di un
-sopore che le cadesse sul cervello con la pesantezza d'un colpo di
-maglio. Un resto di volontà vigile le bastò a scuotersi debolmente e a
-discendere nella strada.
-
-Le nuvole raccolte verso la Maiella avevano preso il colore diafano
-e grigio di una massa pendula d'acque. Larghe trombe si avvicinavano
-dalla marina più cariche; e ancora qualche azzurro campo si dilatava
-nell'alto. Un odore di umidità già saliva dalla polvere, da tutta
-la campagna ansante nell'aspettazione. Gli alberi immobili parevano
-assorbire la luce, si levavano anneriti in mezzo alla fumea dell'aria,
-popolavano di forme incerte la lontananza.
-
-Orsola camminava con una fatica immensa, sentendo che le forze stavano
-per abbandonarla. — Ecco, pensava, arriverò a quell'albero e poi
-cadrò. — Ma non cadeva. Si scorgevano a destra le case di San Rocco. Un
-contadino veniva in contro a corsa.
-
-— Buon uomo, è quello San Rocco?
-
-— Sì, sì, voltate alla prima scorciatoia.
-
-Grosse gocce sonanti cominciarono a cadere; poi d'un tratto la pioggia
-crescente rigò l'aria di lunghe frecce bianche, di lunghe sferze che
-percotendo schioccavano. Un sommovimento mostruoso agitò allora le
-nuvole: sprazzi di raggi eruppero di qua, di là. Tutte le colline, in
-fondo, a traverso le liste della pioggia si accesero un attimo e si
-rispensero. Una fievole serenità d'argento si levò su la Maiella, parve
-acuirsi come una spada sottile.
-
-Orsola tentava di correre verso la quercia distante un tiro di
-schioppo. Le gocce le battevano su la nuca, le scivolavano per la
-schiena, le colpivano la faccia; e già le vesti erano tutte molli sino
-alla pelle. I passi le mancavano sul terreno sdrucciolevole. Ella cadde
-e si rialzò, due volte. Poi, quasi folle, si mise a gridare verso la
-casa.
-
-— Aiuto! aiuto!
-
-Una femmina uscì dalla porta e venne a sorreggerla, seguita da due cani
-che abbaiavano.
-
-Orsola si lasciò condurre senza poter più proferire una parola a
-traverso i denti serrati, livida, con la faccia stravolta. Non si
-riscosse se non dopo qualche tempo, per le domande che l'ospite le
-faceva. E allora, repentinamente, all'udire il nome di Spacone, si
-ricordò di tutto.
-
-— Ah, dov'è Spacone? — chiese.
-
-— È a Popoli, donna santa: l'hanno chiamato.
-
-Orsola non resse più: cominciò a singhiozzare e a strapparsi i capelli.
-
-— Che volete, donna santa? che volete? Io sono la moglie; ci son qua
-io... — miagolava la strega, trattenendole i polsi, incitandola a
-parlare.
-
-Orsola esitò un momento; poi disse tutto, a precipizio, tra i singulti,
-coprendosi la faccia.
-
-— Aspettate. Il rimedio c'è; ma costa cinquanta soldi, donna santa —
-fece la strega in quel suo idioma tutto molle di vocali, cantando quel
-bello appellativo per intercalare.
-
-Orsola sciolse un nodo nel fazzoletto e offerse cinque piccole monete
-d'argento. Poi aspettò, più calma.
-
-La stanza era vasta, ma bassa. Le pareti, su cui qua e là il salnitro
-fioriva, apparivano scagliose e verdastre. Rozzi idoli cristiani di
-maiolica popolavano quel fondo di spelonca; forme strane di utensili
-e di stromenti ingombravano le tavole. Era come un aspro santuario
-custodito da un semplicista monaco.
-
-La moglie di Spacone, dinanzi al camino, componeva il suo filtro, in
-silenzio. Era una femmina alta e ossuta, bianchissima in faccia, co
-'l naso guasto, violetto come un fico, con i capelli rossi e lisci su
-le tempie, con due piccoli occhi di albina, tatuata nel mento, nella
-fronte, nel dorso delle mani.
-
-— Ecco, donna santa! Coraggio!
-
-Orsola ingoiò il liquido, d'un fiato; ma si sentì, subito dopo, da
-un'amarezza atroce mordere il palato e le viscere. Restò con la bocca
-aperta, premendosi il ventre con le mani, battendo rapidamente un piede
-sul pavimento, nello spasimo della prima contrazione uterina.
-
-— Coraggio, donna santa, coraggio! — le ripeteva la strega, fissandola
-con quegli occhi bianchicci, soffregandole le reni. Avete tempo di
-arrivare a Pescara... Via! via!
-
-Orsola non poteva rispondere: alla bocca non le venivano che urli. I
-crampi le serravano lo stomaco, le irrigidivano i muscoli respiratorii,
-le eccitavano il vomito. I bulbi visivi le ruotavano in alto, come se
-ella fosse entrata ne' sintomi di una convulsione epilettica. In tutto
-il suo debole organismo la potenza eccessiva della bevanda operava ora
-effetti inaspettati. Il parto falso si produsse quasi d'improvviso, con
-una di quelle terribili perdite per ove le forze della vita se ne vanno
-mollemente, insensibilmente, fluendo.
-
-— Gesù, Gesù, Gesù! — mormorava la strega, inquieta, presa da una
-sùbita paura dinanzi a quel povero corpo riverso — Gesù, aiutatemi!
-
-Alle sollecitazioni di lei, Orsola rinvenne. E come dopo qualche tempo
-il profluvio parve arrestarsi, la meschina si potè levare in piedi;
-sospinta dalla femmina, uscire; giungere fino alla strada nuova,
-barcollando, pallida come se non le fosse rimasta sotto la pelle una
-goccia di sangue, ma tenuta viva dalla speranza che il maggior pericolo
-fosse omai superato.
-
-Ora la campagna era tutta frescamente luminosa dopo la pioggia. Passava
-una fila di carretti carichi di gesso, e i grossi carrettieri di Letto
-Manoppello, pieni di vino, sdraiati sui sacchi fumavano. Come Orsola si
-mise dietro la fila, uno di quelli, l'estremo, gridò:
-
-— Ohè, volete che vi porti, bella figliuola?
-
-Quasi inconscia Orsola si lasciò tirar su dalle forti braccia
-dell'uomo, e stette così seduta sopra i sacchi. Non intendeva le grosse
-risa e i motti osceni che di carro in carro si propagavano.
-
-Con l'energia dell'istinto teneva le ginocchia serrate per impedire al
-flusso la via. Sentiva a poco a poco una specie di ottusità occuparle i
-sensi, così che gli sbalzi frequenti delle ruote su la ghiaia le davano
-appena un dolor sordo e il lezzo delle pipe le feriva appena le nari.
-Poi cominciò un susurro lontano agli orecchi, un tremante bagliore alla
-vista. Più volte ella sarebbe caduta se non l'avessero sorretta le mani
-del carrettiere, che incoraggiato dalla muta docilità di lei tentava
-qualche brutale carezza.
-
-Il paese di Pescara apparve in cima alla strada, in mezzo al sole,
-mandando suoni sul vento.
-
-— Fanno la processione — disse uno degli uomini. Tutti gli altri
-sferzarono; e la strada risonò sotto il trotto pesante, al tintinnìo
-de' sonagli, allo schiocco delle fruste.
-
-Quella violenza di scosse e di fragore richiamò per un momento Orsola
-al senso della realtà circostante. Ma, poichè l'uomo le cingeva i
-fianchi con un braccio e le soffiava il fiato vinoso nella guancia,
-ella per un cieco impeto si mise a gridare e a gesticolare quasi
-l'avesse presa il delirio. E il fantasma di Lindoro subitamente le si
-rizzò dinanzi agli occhi offuscati e potè anco suscitarle il ribrezzo
-dell'orrore in quel poco di sensibilità che le restava nei nervi.
-Appena il carro si fermò, discese a terra dai sacchi scivolando; tentò
-di muovere i passi, con la furia affannosa di chi cerchi raggiungere un
-luogo sicuro per cadere.
-
-Venivano in contro nella strada le verginelle coperte di veli candidi,
-con in mano i cèrei dipinti, e cantavano. Dietro la torma angelica, un
-grande sventolìo di drappi e di baldacchini ampliava l'aria beneficata
-dalla pioggia recente. E cantavano:
-
- _Tantum ergo sacramentum_
- _Veneremur cernui..._
-
-Orsola, intravedendo, voltò nel vicolo; giunse alla casa di Rosa
-Catena, entrò; presa dalla vertigine, cadde in mezzo al pavimento. E,
-come il profluvio del sangue ricominciava, la paralisi le occupò la
-metà inferiore del corpo, ogni facoltà di moto volontario in lei si
-spense.
-
-Rosa non era nella casa: la processione aveva attirato tutto il paese,
-quel giorno. In un angolo della stanza Muà, il padre, un mostro di
-vecchiaia umana, un cieco inchiodato per anni sul legname di una sedia
-dall'artrite deformante, tentava vagamente con la punta del bastone i
-mattoni intorno a sè per scoprire la causa del rumore improvviso; e un
-borbottìo bavoso gli esciva dalla bocca sdentata.
-
-Allora, ai piedi del mostro orrendo, in mezzo al sangue del peccato,
-con i pollici stretti nei pugni, senza grida, la sposa violata del
-Signore per alcuni attimi si agitò nella convulsione mortale.
-
-— Via! Via! Passa via! Via di qua!
-
-Il vecchio, credendo che fosse entrato il mastino del beccaio,
-allungava il bastone per scacciarlo; e percoteva la moribonda.
-
-
-
-
-LA VERGINE ANNA.
-
-
-I.
-
-Luca Minella, nato nel 1789 a Ortona in una delle case di Porta
-Caldara, fu marinaio. Nella prima giovinezza navigò per qualche
-tempo sul trabaccolo _Santa Liberata_, dalla rada di Ortona ai porti
-della Dalmazia, caricando legnami, frumento e frutta secche. Poi,
-per vaghezza di cambiar padrone, si mise al servizio di Don Rocco
-Panzavacante, e su una tanecca nuova fece molti viaggi in commercio
-d'agrumi al promontorio di Roto, che è una grande e dilettosa altura su
-la costa italica, tutta coperta da una selva di aranci e di limoni.
-
-Su i ventisette anni egli si accese d'amore per Francesca Nobile; e
-dopo alcuni mesi strinse le nozze.
-
-Luca, uomo di statura bassa e fortissimo, aveva una dolce barba bionda
-intorno al viso colorito; e, come le femmine, agli orecchi portava
-due cerchietti d'oro. Amava il vino ed il tabacco; professava una
-devozione ardente per il santo apostolo Tommaso; e, poichè era di
-natura superstizioso e inchinevole allo stupore, raccontava singolari
-avventure e meraviglie dei paesi d'oltremare e novellava delle genti
-dálmate e delle isole adriatiche come di tribù e di terre prossime al
-polo.
-
-Francesca, donna di gioventù già schiusa, aveva della razza ortonese
-la floridissima carne e i lineamenti molli. Ella amava la chiesa, le
-funzioni religiose, le pompe sacre, le musiche dei tridui; viveva in
-gran semplicità di costumi; e, poichè la sua intelligenza era fievole,
-credeva le più incredibili cose e lodava in ogni suo atto il Signore.
-
-Dal congiungimento nacque Anna; e fu nel mese di giugno del 1817.
-Siccome il parto veniva difficile e si temeva di qualche sventura,
-il sacramento del battesimo fu amministrato sul ventre della madre,
-prima che uscisse alla luce l'infante. Dopo molto travaglio il parto
-si compì. La creatura bevve il latte dalle mammelle materne e crebbe
-in salute e in letizia. Francesca scendeva verso sera alla marina,
-con la poppante su le braccia, quando la tanecca doveva tornare
-carica da Roto; e Luca sbarcando aveva la camicia tutta odorosa dei
-frutti meridionali. Risalendo insieme verso le case alte, si fermavano
-allora un momento alla chiesa e s'inginocchiavano. Nelle cappelle già
-ardevano le lampade votive; e in fondo, a traverso i sette cancelli
-di bronzo, il busto dell'Apostolo luccicava come un tesoro. Le
-preghiere invocavano la benedizione celeste sul capo della figliuola.
-Nell'uscire, quando la madre bagnava la fronte di Anna con l'acqua
-della pila, gli strilli infantili echeggiavano a lungo per quelle
-navate sonanti come grandi conche di metallo puro.
-
-L'infanzia di Anna passava pianamente, senza alcuno avvenimento
-notevole. Nel maggio del 1823 ella fu vestita da cherubino, con una
-corona di rose e un velo bianco; e, confusa in mezzo allo stuolo
-angelico, seguì la processione tenendo in mano un cero sottile. La
-madre nella chiesa volle sollevarla su le braccia per farle baciare
-il santo protettore. Ma, come le altre madri sorreggenti gli altri
-cherubini spingevano in folla, uno dei ceri appiccò il fuoco al velo
-d'Anna e d'improvviso la fiamma avvolse il corpo tenerello. Un moto di
-paura si propagò allora nella moltitudine, e ciascuno tentava d'essere
-primo ad uscire. Francesca, se bene aveva le mani quasi impedite dal
-terrore, riuscì a strappare la veste ardente; si strinse contro il
-petto la figliuola nuda e tramortita; gittandosi dietro ai fuggenti,
-invocava Gesù con alte grida.
-
-Per le ustioni Anna stette inferma lungo tempo in pericolo. Ella
-giaceva nel letto, con l'esile faccia esangue, senza parlare, come
-fosse diventata muta; e aveva negli occhi aperti e fissi un'espressione
-di stupore immemore più che di dolore. Nell'autunno guarì: e andò ad
-appendere un voto.
-
-Quando la temperie era dolce, la famiglia scendeva nella barca pel
-pasto della sera. Sotto la tenda, Francesca accendeva il fuoco e sul
-fuoco metteva i pesci: l'odor cordiale degli alimenti si spandeva
-lungo il Molo mescendosi al profumo derivante dai verzieri della Villa
-Onofria. Il mare dinanzi era così tranquillo che si udiva a pena
-tra gli scogli il risucchio, e l'aria così limpida che la punta di
-San Vito si vedeva in lontananza emergere con tutto il cumulo delle
-case. Luca si metteva a cantare, insieme con gli altri uomini; Anna
-faceva atto di aiutare la madre. Dopo il pasto, come la luna saliva il
-cielo, i marinai apprestavano la tanecca per salpare. Intanto Luca,
-nel calore del vino e del cibo, preso da quella sua naturale avidità
-di narrazioni mirabili, cominciava a parlare dei litorali lontani. —
-C'era, più in là di Roto, una montagna tutta abitata dalle scimmie
-e da _uomini dell'India_, altissima, con piante che producevano le
-pietre preziose.... — La moglie e la figlia ascoltavano, in silenzio,
-attonite. Poi le vele si spiegavano lungo gli alberi lentamente, tutte
-segnate di figure nere e di simboli cattolici, come vecchi gonfaloni
-della patria. E Luca partiva.
-
-Nel febbraio del 1826 Francesca si sgravò d'un bimbo morto. Nella
-primavera del 1830 Luca volle condurre Anna al promontorio. Anna
-era allora su l'adolescenza. Il viaggio fu felice. Nell'alto mare
-incontrarono una nave di mercanti, una gran nave che faceva cammino
-per forza di immense vele bianche. I delfini nuotavano nella scia;
-l'acqua si moveva dolcemente intorno, scintillando, come se sopra vi
-galleggiassero tappeti di penne di paone. Anna seguì a lungo con gli
-occhi mai sazii la nave in lontananza. Poi una specie di nuvola azzurra
-sorse su la linea dell'orizzonte; ed era la montagna fruttifera. Le
-coste della Puglia si designavano a poco a poco sotto il sole. Il
-profumo degli agrumi veniva spandendosi nell'aria gioviale. Quando Anna
-discese su la riva, fu presa da un senso di letizia; e stette curiosa
-a guardare le piantagioni e gli uomini nativi del luogo. Il padre la
-condusse nella casa di una donna non giovane che parlava con una lieve
-balbuzie. Restarono là due giorni. Anna vide una volta il padre baciare
-la donna ospite su la bocca; ma non comprese. Al ritorno la tanecca era
-carica di aranci; e il mare era ancora mite.
-
-Anna conservò di quel viaggio un ricordo come di sogno; e, poichè per
-natura era taciturna, raccontò non molte cose alle coetanee che la
-incalzavano di interrogazioni.
-
-
-II.
-
-Nel maggio seguente, alle feste dell'Apostolo intervenne l'arcivescovo
-di Orsogna. La chiesa era tutta parata di drappi rossi e di fogliami
-d'oro; dinanzi ai cancelli di bronzo ardevano undici lampade d'argento
-lavorate dagli orefici per religione; e tutte le sere l'orchestra
-sonava un oratorio solenne con un bel coro di voci bianche. Il sabato
-si doveva esporre il busto dell'Apostolo. I devoti peregrinavano
-da tutti i paesi marittimi e interni; salivano la costa cantando e
-portando in mano i voti, nel conspetto del mare.
-
-Anna il venerdì fece la prima comunione. L'arcivescovo era un vecchio
-venerando e mite: quando sollevava la mano per benedire, la gemma
-dell'anello risplendeva simile ad un occhio divino. Anna, appena sentì
-su la lingua l'ostia eucaristica, smarrì la vista per un'improvvisa
-onda di gaudio che le irrigò i capelli con la dolcezza d'un bagno
-tiepido e odoroso. Dietro di lei un susurro correva nella moltitudine;
-allato, altre verginelle prendevano il sacramento e chinavano la faccia
-sul gradino, in gran compunzione.
-
-La sera Francesca volle dormire, com'è costume dei fedeli, sul
-pavimento della basilica, aspettando l'ostensione mattutina del santo.
-Ella era incinta da sette mesi, e molto l'affaticava il peso del
-ventre. Sul pavimento i pellegrini giacevano accumulati; dai loro corpi
-esalava il calore e montava nell'aria. Alcune voci confuse uscivano a
-tratti da qualche bocca inconscia nel sonno; le fiammelle tremolavano
-e si riflettevano su l'olio nei bicchieri sospesi tra gli archi; e
-nei vani delle larghe porte aperte scintillavano le stelle alla notte
-primaverile.
-
-Francesca vegliò per due ore in travaglio, poichè l'esalazione dei
-dormienti le dava la nausea. Ma, determinata a resistere e a soffrire
-pel bene dell'anima, vinta dalla stanchezza, piegò alfine il capo. Su
-l'alba si destò. L'aspettazione cresceva negli animi degli astanti e
-altra gente sopraggiungeva: in ciascuno ardeva il desiderio d'essere
-primo a vedere l'Apostolo. Fu aperto il cancello esterno; e il romore
-dei cardini risonò nitidamente nel silenzio, si ripercosse in tutti
-i cuori. Fu aperto il secondo cancello, poi il terzo, poi il quarto,
-il quinto, il sesto, l'ultimo. Parve allora come una tromba d'uragano
-investisse la moltitudine. La massa degli uomini si precipitò verso il
-tabernacolo; grida acute squillarono nell'aria mossa da quell'impeto;
-dieci, quindici persone rimasero schiacciate e soffocate; una preghiera
-tumultuaria si levò.
-
-I morti furono tratti fuori all'aperto. Il corpo di Francesca, tutto
-contuso e livido, fu portato alla famiglia. Molti curiosi in torno si
-accalcarono; e i parenti gemevano compassionevolmente.
-
-Anna, quando vide la madre distesa sul letto tutta violacea nella
-faccia e macchiata di sangue, cadde a terra senza conoscenza. Poi, per
-molti mesi fu tormentata dal mal caduco.
-
-
-III.
-
-Nell'estate del 1835 Luca partiva per un porto della Grecia sul
-trabaccolo _Trinità_ di Don Giovanni Camaccione. Siccome egli aveva
-nell'animo un segreto pensiero, prima di navigare vendè le masserizie e
-pregò i parenti d'accogliere Anna nella casa fin che egli non tornasse.
-Di là a qualche tempo il trabaccolo tornò carico di fichi secchi e
-d'uva di Corinto, dopo aver toccata la spiaggia di Roto. Luca non era
-tra la ciurma; e si vociferò poi ch'egli fosse rimasto nel _paese dei
-portogalli_ con una femmina amorosa.
-
-Anna si ricordava dell'antica ospite balbuziente. Una gran tristezza
-allora discese nella sua vita. La casa dei parenti era sotto la strada
-orientale, in vicinanza del Molo. I marinai venivano a bere il vino
-in una stanza bassa, ove quasi tutto il giorno le canzoni sonavano
-tra il fumo delle pipe. Anna passava in mezzo ai bevitori portando
-i boccali colmi; e il primo istinto de' suoi pudori si risvegliava a
-quel contatto assiduo, a quell'assidua comunione di vita con uomini
-bestiali. Ad ogni momento ella doveva soffrire i motti inverecondi,
-le risa crudeli, i gesti ambigui, la malvagità delle ciurme inasprite
-dalle fatiche della navigazione. Ella non osava lamentarsi, poichè
-mangiava il pane nella casa degli altri. Ma quel supplizio di tutte le
-ore la rendeva ebete: una imbecillità grave le opprimeva a poco a poco
-l'intelligenza indebolita.
-
-Per una naturale inclinazione affettiva dell'animo, ella poneva amore
-agli animali. Un asino di molta età era ricoverato sotto una tettoia
-di paglia e di argilla, dietro la casa. Il quadrupede mansueto portava
-cotidianamente some di vino da Sant'Apollinare alla tavernella;
-e, se bene i suoi denti cominciavano a ingiallire e le sue unghie
-a sfaldarsi, se bene il suo cuoio era già secco e non aveva quasi
-più pelo, talvolta al conspetto di una fiorita di cardi ridirizzava
-le orecchie e si metteva a ragliare vivacemente in un'attitudine
-giovenile.
-
-Anna empiva di profenda la greppia e di acqua l'abbeveratoio. Quando
-il calore era grande, ella veniva sotto la tettoia a meriggiare.
-L'asino triturava i fili di paglia tra le mandibole laboriose, ed ella
-con un ramo fronzuto faceva opera di pietà liberandogli la schiena
-dalla molestia degli insetti. Di tanto in tanto l'asino volgeva la
-testa orecchiuta, per un increspamento delle labbra flosce mostrando
-le gencive quasi in un rossastro riso animalesco di gratitudine
-e mostrando per un moto obliquo dell'occhio nell'orbita il globo
-giallognolo e venato di paonazzo come una vescica di fiele. Gli insetti
-turbinavano con un ronzìo pesante, su 'l fimo; non dalla terra nè
-dal mare venivano romori o voci; e un senso infinito di pace occupava
-allora l'animo della donna.
-
-Nell'aprile del 1842 Pantaleo, l'uomo che guidava il somiere al
-viaggio cotidiano, morì di coltello. Da quel tempo ad Anna fu commesso
-l'ufficio. Ed ella partiva su l'alba e tornava sul mezzogiorno o
-partiva sul mezzogiorno e tornava su la sera. La strada volgeva per
-una collina solatia piantata d'olivi, discendeva per una terra irrigua
-messa a pasture, e risalendo tra i vigneti giungeva alle fattorie di
-Sant'Apollinare. L'asino camminava innanzi, con le orecchie basse, a
-fatica: una frangia verde tutta logora e stinta gli batteva le coste e
-i lombi; nel basto luccicavano alcuni frammenti di làmine d'ottone.
-
-Quando l'animale si soffermava per riprender fiato, Anna gli dava
-qualche piccolo urto carezzevole sul collo e l'eccitava con la voce;
-poichè ella aveva misericordia di quella decrepitezza. Ogni tanto
-strappando dalle siepi un pugno di foglie, le porgeva in ristoro; e
-s'inteneriva sentendo su la palma il movimento molle delle labbra che
-ricevevano l'offerta. Le siepi erano fiorite; e i fiori del bianco
-spino avevano un sapore di mandorle amare.
-
-Sul confine dell'oliveto stava una gran cisterna, e accanto alla
-cisterna un lungo canale di pietra dove le vacche venivano ad
-abbeverarsi. Tutti i giorni Anna faceva sosta in quel luogo; ed ella
-e l'asino si dissetavano prima di seguire il cammino. Una volta ella
-s'incontrò col custode dell'armento, che era nativo di Tollo e aveva
-la guardatura un poco losca e il labbro leporino. L'uomo le volse il
-saluto; e ambedue cominciarono a ragionare dei pascoli e dell'acqua,
-e poi dei santuarii e dei miracoli. Anna ascoltava con benignità
-e con frequenza di sorriso. Ella era macilente e bianca; aveva gli
-occhi chiarissimi e la bocca stragrande, e i capelli castanei pieganti
-indietro tutti senza spartizione. Nel collo le si vedevano le cicatrici
-rossicce delle bruciature e le si vedevano le arterie battere d'un
-palpito incessante.
-
-Da allora i colloquii si reiterarono. Per l'erba le vacche stavano
-sparse; e giacevano ruminando o pascolavano in piedi. Quelle moventi
-forme pacifiche aumentavano la tranquillità della solitudine pastorale.
-Anna, seduta su l'orlo della cisterna, ragionava semplicemente; e
-l'uomo dal labbro fesso pareva preso d'amore. Un giorno ella, per un
-improvviso spontaneo rifiorir del ricordo, narrò la navigazione alla
-montagna di Roto. E, poichè la lontananza del tempo le ingannava la
-memoria, ella diceva con accento di verità cose meravigliose. L'uomo
-stupefatto ascoltava senza batter le palpebre. Quando Anna tacque,
-ad ambedue il silenzio e la solitudine d'intorno parvero più grandi;
-ed ambedue restarono in pensiero. Venivano le vacche, tratte dalla
-consuetudine, all'abbeveratoio; e a tutte penzolava fra le gambe il
-gruppo delle mammelle rifornite di latte dalla pastura. Come esse
-avanzavano il muso nel canale, l'acqua diminuiva ai loro sorsi lenti e
-regolari.
-
-
-IV.
-
-Su gli ultimi giorni di giugno l'asino infermò. Non prendeva cibo nè
-bevanda da quasi una settimana. I viaggi s'interruppero. Una mattina
-che Anna discese alla tettoia, scorse la bestia tutta ripiegata su lo
-strame in un avvilimento miserevole. Una specie di tosse roca e tenace
-scoteva di tratto in tratto la gran carcassa malcoperta di cuoio; sopra
-gli occhi s'erano formate due cavità profonde, come due orbite vacue;
-e gli occhi parevano due grosse bolle gonfie di siero. Quando l'asino
-udì le voci di Anna, tentò di levarsi: il corpo gli traballava su le
-zampe e il collo gli si abbatteva giù dalle spalle acute e le orecchie
-gli penzolavano con i movimenti involontari e incomposti di un enorme
-giocattolo che avesse guaste le commessure. Un liquido mucoso gli
-colava dalle nari, talvolta allungandosi in filamenti sino ai ginocchi.
-Le chiazze nude nel pelame avevano il colore azzurrognolo e quasi
-cangiante della lavagna. I guidaleschi qua e là sanguinavano.
-
-Anna, allo spettacolo, si sentì stringere da una angoscia pietosa; e,
-poichè ella per natura e per uso non provava alcuna ripugnanza fisica
-in contatto della materia immonda, si accostò a toccare l'animale. Con
-una mano gli sorreggeva la mascella inferiore, con l'altra una spalla;
-e così cercava di fargli muovere i passi, sperando in qualche virtù
-dell'esercizio. L'animale prima esitava, squassato da nuovi sussulti di
-tosse; poi finalmente prese a camminare per la china dolce che scendeva
-al lido. Le acque, dinanzi, nella natività del giorno biancheggiavano;
-e i calafati verso la Penna spalmavano una carena. Come Anna levò il
-sostegno delle mani e trasse la corda della cavezza, l'asino per un
-fallo de' piedi anteriori stramazzò d'improvviso. La gran macchina
-delle ossa ebbe un scricchiolío interno di rotture, e la pelle del
-ventre e dei fianchi risonò sordamente e palpitò. Le gambe fecero
-l'atto di correre; per l'urto, dalla gengiva uscì un poco di sangue e
-tra i denti si diffuse.
-
-Allora la donna si mise a gridare andando verso la casa. Ma i calafati,
-sopraggiunti, in cospetto dell'asino giacente ridevano e motteggiavano.
-Uno di loro percosse col piede il ventre del moribondo. Un altro gli
-afferrò le orecchie e gli sollevò il capo che ricadde pesantemente
-a terra. Gli occhi si chiusero; qualche brivido corse fra il pelame
-bianco del ventre aprendone le spighe, come un soffio; una delle gambe
-di dietro battè due o tre volte nell'aria. Poi tutto fu immobile; se
-non che nella spalla ov'era un'ulcera, si produsse un lieve tremolìo,
-simile a quello che per la molestia d'un insetto avveniva dianzi
-volontario nella carne vivente. Quando Anna tornò sul luogo, trovò i
-calafati che tiravano per la coda la carogna, e cantavano un _Requiem_
-con false voci asinine.
-
-Così Anna rimase in solitudine; e per lungo tempo ancora visse nella
-casa dei parenti ed ivi appassì, adempiendo umili uffici, e sopportando
-con molta pazienza cristiana le vessazioni. Nel 1845 il mal caduco
-riapparve con violenza; sparve dopo alcuni mesi. La fede religiosa
-in quell'epoca divenne in lei più profonda e più calda. Ella saliva
-alla basilica tutte le mattine e tutte le sere; e s'inginocchiava
-abitualmente in un angolo oscuro protetto da una gran pila di marmo
-dov'era figurata con rozza opera di bassorilievo la fuga della Sacra
-Famiglia in Egitto. Da prima scelse ella forse quell'angolo attratta
-dal docile asinello trasportante il pargolo Gesù e la Madre alla
-terra dell'idolatria? Una gran quietudine d'amore le discendeva su lo
-spirito, quando aveva piegate le ginocchia nell'ombra; e la preghiera
-le sgorgava puramente dal petto come da una fonte naturale, poichè
-ella pregava soltanto per la voluttà cieca dell'adorazione, non per la
-speranza d'ottener grazia di beni nella vita terrena. Ella pregava,
-con la testa china su la sedia; e come i cristiani nell'accedere e
-nell'uscire attingevano con le dita l'acqua della pila, e si segnavano,
-ella a quando a quando trasaliva sentendo su' capelli qualche stilla
-benedetta cadere.
-
-
-V.
-
-Quando nel 1851 Anna venne la prima volta al paese di Pescara, era
-prossima la festa del Rosario, che si celebra nella prima domenica
-di ottobre. La donna si mosse da Ortona a piedi, per sciogliere un
-voto; e, portando chiuso in un fazzoletto di seta un piccolo cuore
-d'argento, camminò religiosamente lungo la riva del mare; poichè la
-strada provinciale non ancora in quel tempo era praticata, e un bosco
-di pini occupava molta estensione di terreno vergine. La giornata
-pareva dolce, se non che nel mare le onde andavano crescendo, ed
-all'estremo limite andavano crescendo in forma di trombe i vapori.
-Anna avanzava tutta assorta in pensieri di santità. Nel far della sera,
-come ella fu sul luogo delle Saline, cadde d'improvviso la pioggia, da
-prima pianamente e dopo in grande abbondanza; così che, non essendovi
-in torno riparo alcuno, ella n'ebbe le vesti tutte molli. Più in qua,
-la foce dell'Alento portava acqua; ed ella si scalzò per guadare.
-In vicinanza di Vallelonga la pioggia restò: ed il bosco dei pini
-rinasceva serenante nell'aria con odor quasi d'incenso. Anna, rendendo
-grazie nell'animo al Signore, seguì il cammino del litorale ma con più
-rapidi passi, poichè sentiva penetrarsi nelle ossa l'umidità malsana, e
-cominciava a battere i denti pel ribrezzo.
-
-A Pescara, ella fu subito presa dalla febbre palustre, e ricoverata per
-misericordia nella casa di Donna Cristina Basile. Dal letto, udendo i
-cantici della pompa sacra, e vedendo le cime degli stendardi ondeggiare
-all'altezza della finestra, ella si mise a dire le preghiere e a
-invocare la guarigione. Quando passò la Vergine, ella scorse soltanto
-la corona gemmata, e fece atto di mettersi in ginocchio su i guanciali
-per adorare.
-
-Dopo tre settimane guarì; e, avendole Donna Cristina offerto di
-rimanere, ella rimase in qualità di domestica. Ebbe allora una piccola
-stanza guardante sul cortile. Le pareti erano imbiancate di calce;
-un vecchio paravento coperto di figure profane chiudeva un angolo;
-e fra i travicelli del soffitto molti ragni tendevano in pace le
-tele laboriose. Sotto la finestra sporgeva un tetto breve, e più giù
-s'apriva il cortile pieno di volatili mansueti. Sul tetto vegetava, da
-un mucchio di terra chiuso fra cinque tegole, una pianta di tabacco.
-Il sole vi s'indugiava dalle prime ore antimeridiane alle prime ore del
-pomeriggio. Ogni estate la pianta dava fiori.
-
-Anna, nella nuova vita, nella nuova casa, a poco a poco si sentì
-sollevare e rivivere. La sua naturale inclinazione all'ordine si
-dispiegò. Ella attendeva a tutti i suoi uffici tranquillamente, senza
-far parole. Anche, in lei la credenza nelle cose soprannaturali
-ingigantì. Due o tre leggende s'erano per antico formate su due o
-tre luoghi della casa Basile, e di generazione in generazione si
-tramandavano. Nella _camera gialla_ del secondo piano abbandonato
-viveva l'anima di Donna Isabella. In un ricettacolo ingombro, dove
-una scala discendeva a gomito sino a una porta che non s'apriva da
-tempo, viveva l'anima di Don Samuele. Quei due nomi esercitavano un
-singolar fàscino sui nuovi abitatori, e diffondevano per tutto il
-vecchio edificio una specie di solennità conventuale. Come poi il
-cortile interno era circondato di molti tetti, i gatti su la loggia si
-riunivano in conciliaboli e miagolavano con una dolcezza misteriosa,
-chiedendo ad Anna gli avanzi del pasto familiare.
-
-Nel marzo del 1853 il marito di Donna Cristina morì d'una malattia
-urinaria, dopo lunghe settimane di spasimi. Egli era un uomo
-timorato di Dio, casalingo e caritatevole; era capo d'una congrega di
-possidenti religiosi; leggeva le opere dei teologi, e sapeva sonare sul
-gravicembalo alcune semplici arie di antichi maestri napolitani. Quando
-venne il viatico, magnifico per numero di ministri e per ricchezza di
-arnesi, Anna s'inginocchiò su la porta, e si mise a pregare ad alta
-voce. La stanza si empì d'un vapor d'incenso, in mezzo a cui il ciborio
-raggiava e raggiavano i turiboli, oscillando come lampade accese. Si
-udirono singhiozzi; poi le voci dei ministri, raccomandando l'anima
-all'Altissimo, si sollevarono. Anna, rapita dalla solennità di quel
-sacramento, perdè ogni orrore della morte, e da allora pensò che la
-morte dei cristiani fosse un trapasso dolce e gaudioso.
-
-Donna Cristina tenne chiuse tutte le finestre della casa durante un
-mese intero. Continuava a piangere il marito nell'ora del pranzo e
-nell'ora della cena; faceva in nome di lui le elemosine ai mendicanti;
-e, più volte nel giorno, con una coda di volpe levava la polvere dal
-gravicembalo come da una reliquia, emettendo sospiri. Ella era una
-donna di quarant'anni, tendente alla pinguedine, ancora fresca nelle
-sue forme che la sterilità aveva conservate. E poichè ereditava dal
-defunto una dovizia considerevole, i cinque più maturi celibi del
-paese cominciarono a tenderle insidie e ad allettarla alle nuove
-nozze con arti lusingatrici. I campioni furono: Don Ignazio Cespa,
-persona dolcigna, di sesso ambiguo, con una faccia di vecchia pettegola
-butterata dal vaiuolo e una capellatura impregnata di olii cosmetici,
-con le dita cariche di anelli e gli orecchi forati da due minuscoli
-cerchi d'oro; Don Paolo Nervegna, dottor di legge, uomo parlatore
-e accorto, che aveva le labbra sempre increspate come se masticasse
-l'erba sardonica e su la fronte una specie di crescimento rossastro
-innascondibile; Don Fileno D'Amelio, nuovo capo della congrega,
-uomo pieno d'unzione e di compunzione, un po' calvo, con la fronte
-sfuggente indietro e l'occhio pecorinamente opaco; Don Pompeo Pepe,
-uomo giocondo, amante del vino e delle donne e dell'ozio, ubertoso
-in tutta la corporatura e più nella faccia, sonoro nelle risa e nelle
-parole; Don Fiore Ussorio, uomo di spiriti pugnaci, gran leggitore di
-opere politiche e citator trionfante di esempi storici in ogni disputa,
-pallido d'un pallor terrigno, con una sottil corona di barba intorno
-agli zigomi e una bocca singolarmente atteggiata in linea obliqua. A
-costoro si aggiungeva, ausiliare della resistenza di Donna Cristina,
-l'abate Egidio Cennamele che, volendo trarre l'erede ai benefizi della
-chiesa, osteggiava con ben coperta astuzia di impedimenti le lusinghe.
-
-La gran contesa, che sarà un giorno narrata dal cronista per diffuso,
-durò molto tempo ed ebbe molta varietà di vicende. E principal teatro
-della prima azione fu il cenacolo, sala rettangolare dove su la carta
-francesca delle pareti erano francescamente rappresentati i fatti di
-Ulisse naufragante all'isola di Calipso. Quasi tutte le sere i campioni
-si riunivano intorno all'inclita vedova; e facevano il giuoco della
-briscola e il giuoco dell'amore alternativamente.
-
-
-VI.
-
-Anna fu candida testimone. Introduceva i visitatori, tendeva il tappeto
-su la tavola, e a mezzo della veglia portava i bicchierini pieni
-d'un rosolio verdognolo composto dalle monache con droghe speciali.
-Una volta ella sentì su per le scale Don Fiore Ussorio gridare nel
-calore della disputa un'ingiuria contro l'abate Cennamele che parlava
-sommesso; e poichè l'irriverenza le parve mostruosa, ella da allora
-in poi tenne Don Fiore per un uomo diabolico e al comparir di lui si
-faceva rapidamente il segno della croce e mormorava un _Pater_.
-
-Nella primavera del 1856, un giorno, mentre sul greto della Pescara
-ella sbatteva i panni lavati, vide una torma di barche passare la foce
-e navigar lentamente contro la forza dell'acqua. Il sole era sereno; le
-due rive si rispecchiavano in fondo abbracciandosi; alcuni ramoscelli
-verdi e alcune ceste di giunchi natavano nel mezzo della corrente,
-come simboli pacifici, verso il mare; e le barche, aventi quasi tutte
-la mitria di san Tommaso dipinta per insegna in un angolo della vela,
-avanzavano così nel bel fiume santificato dalla leggenda di san Cetteo
-Liberatore. I ricordi del paese natale si svegliarono nell'animo della
-donna con un tumulto improvviso, a quello spettacolo; ed ella, pensando
-al padre, fu invasa da una gran tenerezza.
-
-Le barche erano tanecche ortonesi e venivano dal promontorio di
-Roto con un carico di agrumi. Anna, come le ancore furono gettate,
-si avvicinò ai marinai; e li guardava con una curiosità benevola e
-trepidante, senza far parole. Uno di loro, colpito dalla insistenza,
-la ravvisò e la interrogò famigliarmente. — Chi cercava? Cosa voleva? —
-Allora Anna, tratto in disparte l'uomo, gli chiese se non per caso egli
-avesse veduto al _paese dei portogalli_ Luca Minella, il padre. — Non
-l'aveva veduto? Non stava ancora con _quella femmina_? — L'uomo rispose
-che Luca era morto da qualche tempo. — Era vecchio. Poteva campar
-di più? — Allora Anna contenne le lagrime; volle sapere molte cose.
-L'uomo le disse molte cose. — Luca aveva strette le nozze con _quella
-femmina_; ne aveva avuti due figliuoli. Il maggiore dei due navigava
-sopra un trabaccolo e veniva qualche volta a Pescara per negozii. —
-Anna trasalì. Un turbamento indeterminato, una specie di smarrimento
-confuso le occupava l'animo. Ella non giungeva a ritrovar l'equilibrio
-e la lucidità del giudizio dinanzi a quel fatto troppo complesso.
-Ella aveva ora due fratelli dunque? Doveva amarli? Doveva cercare di
-vederli? Ora che doveva dunque fare?
-
-Così, titubante, tornò a casa. E dopo, per molte sere, quando entravano
-nel fiume le barche, ella andava lungo lo scalo a guardare i marinai.
-Qualche trabaccolo portava dalla Dalmazia un carico di asini e di
-cavalli nani. Le bestie prendendo terra scalpitavano; l'aria sonava di
-ragli e di nitriti. Anna, nel passare, batteva con la mano le grosse
-teste degli asinelli.
-
-
-VII.
-
-Verso quel tempo ebbe in dono dal fattore di campagna una testuggine.
-Il nuovo ospite tardo e taciturno fu diletto e cura della donna nelle
-ore d'ozio. Camminava da un punto all'altro della stanza sollevando
-a stento dal suolo il grave peso del corpo su le zampe simili a
-moncherini olivastri, e, come era giovine, le piastre del suo scudo
-dorsale, gialle maculate di nero, tralucevano talvolta al sole con
-un nitor d'ambra. La testa coperta di scaglie, compressa nel muso,
-giallognola, sporgeva tentennando con una mansuetudine timorosa; e
-pareva talvolta la testa di un vecchio serpe estenuato che uscisse dal
-guscio di un crostaceo. Anna prediligeva nell'animale i costumi: il
-silenzio, la frugalità, la modestia, l'amor della casa. Gli dava per
-cibo foglie di verdura, radici e vermi, restando estatica ad osservare
-il moto delle piccole mandibole cornee dentellate nel lor duplice
-margine. Ella, in quell'atto, provava quasi un sentimento di maternità;
-eccitava pianamente l'animale con le voci e sceglieva per lui le erbe
-più tenere e più dolci.
-
-Fu la testuggine allora auspice d'un idillio. Il fattore, venendo più
-volte al giorno nella casa, s'intratteneva su la loggia a ragionare
-con Anna. Ed essendo egli uomo d'umili spiriti, divoto, prudente
-e giusto, godeva veder riflesse le sue pie virtù nell'animo della
-donna. Per la consuetudine sorse quindi tra i due a poco a poco una
-famigliarità amorevole. Ella aveva già qualche capello bianco su
-le tempie, ed in tutta la faccia diffuso un placido candore. Egli,
-Zacchiele, superava di alcuni anni l'età di lei; aveva una gran testa
-dalla fronte sporgente e due miti e rotondi occhi di coniglio. Tutt'e
-due, nei colloquii, sedevano per lo più su la loggia. Sopra di loro,
-fra i tetti, il cielo pareva una cupola luminosa; e ad intervalli i
-voli dei colombi domestici, bianchi come il Paraclito, traversavano la
-quiete celestiale. I colloquii volgevano su le raccolte, su la bontà
-dei terreni, su le semplici norme della coltivazione; ed erano pieni di
-esperienza e di rettitudine.
-
-Poichè Zacchiele amava talvolta, per una ingenua vanità naturale, di
-far pompa del suo sapere, in conspetto della donna ignorante e credula,
-questa concepì per lui una stima e un'ammirazione senza limiti. Ella
-imparò che la terra è divisa in cinque parti e che cinque sono le razze
-degli uomini: la bianca, la gialla, la rossa, la nera e la bruna.
-Imparò che la terra è di forma rotonda, che Romolo e Remo furono
-nutricati da una lupa, e che le rondini su l'autunno vanno oltremare
-nell'Egitto dove anticamente regnavano i Faraoni. — Ma gli uomini non
-avevano tutti un colore, a imagine e somiglianza di Dio? Potevamo noi
-camminare sopra una palla? Chi erano i re Faraoni? — Ella non riusciva
-a comprendere, e rimaneva così tutta smarrita. Però da allora ella
-considerò le rondini con reverenza e le tenne per uccelli dotati di
-saggezza umana.
-
-Un giorno Zacchiele le mostrò una Storia sacra dell'antico Testamento,
-illustrata di figure. Anna guardava con lentezza, ascoltando le
-spiegazioni. Ed ella vide Adamo ed Eva tra le lepri ed i cervi, Noè
-seminudo inginocchiato innanzi a un altare, i tre angeli di Abramo,
-Mosè salvato dalle acque; vide con gioia finalmente un Faraone nel
-conspetto della verga di Mosè cangiata in serpe, e la regina di Saba,
-la festa dei Tabernacoli, il martirio dei Maccabei. Il fatto dell'asina
-di Balaam la empì di meraviglia e di tenerezza. Il fatto della coppa
-di Giuseppe nel sacco di Beniamino la fece rompere in lacrime. Ed ella
-imaginava gli Israeliti camminanti per un deserto tutto coperto di
-quaglie, sotto una rugiada che si chiamava la manna ed era bianca come
-la neve e più dolce del pane.
-
-Dopo la Storia sacra, preso da una singolare ambizione, Zacchiele
-cominciò a leggerle le imprese dei Reali di Francia da Costantino
-imperatore sino ad Orlando conte d'Anglante. Un gran tumulto sconvolse
-allora la mente della donna: le battaglie dei Filistei e dei Siriaci
-si confusero con le battaglie dei Saraceni, Oloferne si confuse con
-Rizieri, il re Saul col re Mambrino, Eleazaro con Balante, Noemi con
-Galeana. Ed ella, affaticata, non seguiva più il filo delle narrazioni,
-ma si riscoteva soltanto ad intervalli quando udiva passare nella voce
-di Zacchiele i suoni di qualche nome prediletto. E predilesse Dusolina
-e il duca Bovetto che prese tutta l'Inghilterra innamorandosi della
-figliuola del re di Frisia.
-
-Erano le calende di settembre. Nell'aria temperata dalla pioggia
-recente, si andava diffondendo una placida chiarità autunnale. La
-stanza di Anna divenne il luogo delle letture. Un giorno Zacchiele,
-seduto, leggeva _come Galeana, figliuola del re Galafro, s'innamorò
-di Mainetto e volle da lui la ghirlanda dell'erba_. Anna, poichè la
-favola pareva semplice e campestre, e poichè la voce del lettore pareva
-addolcirsi di accenti novelli, ascoltava con visibile assiduità. La
-testuggine si traeva in mezzo ad alcune foglie di lattuga, pianamente;
-il sole su la finestra illuminava una gran tela di ragno, e gli ultimi
-fiori rosei del tabacco si vedevano a traverso la sottile opera di filo
-d'oro.
-
-Quando il capitolo fu finito, Zacchiele depose il libro; e, guardando
-la donna, sorrise d'uno di quei sorrisi fatui che solevano increspargli
-le tempie e gli angoli della bocca. Poi cominciò a parlarle vagamente,
-con la peritanza di colui che non sa in qual modo giungere al
-punto desiderato. Finalmente ardì. — Ella non aveva pensato mai al
-matrimonio? — Anna alla domanda non rispose. Stettero ambedue in
-silenzio ed ambedue sentivano nell'animo una dolcezza confusa, quasi
-un risveglio attonito della giovinezza sepolta e un umano richiamo
-dell'amore. E n'erano turbati come dal fumo d'un vino troppo forte che
-montasse al loro cervello indebolito.
-
-
-VIII.
-
-Ma una tacita promessa di nozze fu data molti giorni dopo, in ottobre,
-nella prima natività dell'olio d'oliva e nell'ultima migrazione
-delle rondini. Con licenza di Donna Cristina, un lunedì Zacchiele
-condusse Anna alla fattoria dei colli, dov'era il frantoio. Uscirono
-da Portasale, a piedi, e presero la via Salaria, volgendo le spalle al
-fiume. Dal giorno della favola di Galeana e di Mainetto, essi provavano
-l'un verso l'altra una specie di trepidazione, un misto di temenza
-vergogna e rispetto. Avevano perduta quella bella famigliarità d'una
-volta; parlavano poco insieme e sempre con un tal riserbo esitante,
-senza mai guardarsi nel volto, con incerti sorrisi, confondendosi
-talora per un subitaneo rossore, indugiando così in questi timidi
-bamboleggiamenti d'innocenza.
-
-Camminarono in silenzio, da prima, ciascuno seguendo lo stretto
-sentiero asciutto che i passi dei viandanti avevano praticato sui
-due margini della via; e li divideva il mezzo della via fangoso e
-segnato di solchi profondi dalle ruote dei veicoli. Una libera gioia
-vendemmiale occupava le campagne: i canti del mosto per la pianura
-si avvicendavano. Zacchiele si teneva un poco indietro, rompendo a
-tratti a tratti il silenzio con qualche parola su la temperie, su
-le vigne, su la raccolta delle olive. Anna guardava curiosa tutti i
-cespugli rosseggianti di bacche, i campi lavorati, le acque dei fossi;
-e a poco a poco le nasceva nell'animo una letizia vaga, quale di chi
-dopo lungo tempo sia dilettato da sensazioni già innanzi conosciute.
-Come il cammino prese a volgere su pel declivio tra i ricchi
-oliveti di Cardirusso, chiaramente le sorse nell'animo il ricordo di
-Sant'Apollinare e dell'asino e del custode degli armenti. Ed ella sentì
-quasi rifluirsi al cuore tutto il sangue, d'improvviso. Quell'episodio
-obliato della sua giovinezza le si coordinò nella memoria con una
-perspicuità meravigliosa; l'imagine dei luoghi le si formò dinanzi; e
-nella scena illusoria ella rivide l'uomo dal labbro leporino, ne riudì
-la voce, provando un turbamento nuovo senza sapere perchè.
-
-La fattoria si avvicinava; fra gli alberi soffiava il vento
-facendo cadere le ulive mature; una zona di mare sereno si scopriva
-dall'altitudine. Zacchiele s'era messo a fianco della donna e la
-guardava di tratto in tratto con una pia supplicazione di tenerezza.
-— A che pensava ella dunque? — Anna si volse, con un'aria quasi
-di sbigottimento, come fosse stata colta in fallo. — A niente
-pensava. —
-
-Giunsero al frantoio, dove i coloni macinavano la prima raccolta delle
-olive cadute precocemente dall'albero. La stanza delle macine era
-bassa e oscura; dalla vôlta luccicante di salnitro pendevano lucerne
-di ottone e fumigavano; un giumento bendato girava una mola gigantesca,
-con passo regolare; e i coloni, vestiti di certe lunghe tuniche simili
-a sacchi, nudi le gambe e le braccia, muscolosi, oleosi, versavano il
-liquido nelle giare, nelle conche, negli orci.
-
-Anna si mise a considerare l'opera, attentamente; e, come Zacchiele
-impartiva ordini ai faticatori, e girava tra le macine, osservando la
-qualità delle olive con una grande sicurezza di giudice, ella sentì per
-lui in quel momento crescere l'ammirazione. Poi, come Zacchiele dinanzi
-a lei prese un gran boccale colmo e versando nell'orcio quell'olio
-purissimo e luminoso nominò la grazia di Dio, ella si fece il segno
-della croce, tutta compresa di venerazione per l'opulenza della terra.
-
-Venivano intanto su la porta le due femmine della fattoria; e ciascuna
-teneva contro il seno un poppante, e si traeva un bel grappolo di
-figliuoli dietro le gonne. Si misero a conversare placidamente; e,
-poichè Anna tentava di accarezzare i fanciulli, ciascuna si compiaceva
-della propria fecondità, e con una ridente onestà di parole ragionava
-dei parti. La prima aveva avuti sette figliuoli; la seconda undici.
-— Era la volontà di Gesù Cristo; e per la campagna poi ci volevano
-braccia.
-
-Allora la conversazione volse in materie famigliari. Albarosa, una
-delle madri, fece molte domande ad Anna. — Ella non aveva avuto mai
-figliuoli? — Anna, nel rispondere che non s'era maritata, provò per
-la prima volta una specie di umiliazione e di rammarico, dinanzi a
-quella possente e casta maternità. Poi, cambiando discorso, ella tese
-la mano sul più vicino dei bimbi. Gli altri guardavano con occhi vasti
-che pareva avessero assunto un limpido color vegetale dallo spettacolo
-continuo delle cose verdi. L'odore delle olive infrante si spandeva
-nell'aria, ed entrava nelle fauci ad eccitare il palato. I gruppi dei
-faticatori apparivano e sparivano sotto il rossore delle lucerne.
-
-Zacchiele, che fino a quel momento aveva invigilato su la misura
-dell'olio, si accostò alle donne. Albarosa lo accolse con un volto
-festevole. — Quanto voleva aspettare Don Zacchiele a prender moglie?
-— Zacchiele sorrise con un po' di confusione, a quella domanda; e
-diede un'occhiata sfuggente ad Anna che accarezzava ancora il bimbo
-selvatico e fingeva di non aver inteso. Albarosa, per una benevola
-arguzia contadinesca, riunendo visibilmente con l'ammiccar degli occhi
-bovini il capo d'Anna e quello di Zacchiele, seguitò le incitazioni. —
-Erano una coppia benedetta da Dio. Che aspettavano? — I coloni, avendo
-sospesa l'opera per attendere al pasto, facevano in torno cerchia. E
-la coppia, anche più confusa per quella testimonianza, restava muta in
-un'attitudine tra di sorriso tremulo e di pudica modestia. Qualcuno dei
-giovini fra i testimoni, esilarato dalla faccia amorosamente compunta
-di Don Zacchiele, sospingeva con urti di gomiti i compagni. Il giumento
-nitrì, per fame.
-
-Fu apprestato il pasto. Un 'attività diligente invase la gran famiglia
-rustica. Su lo spiazzo, all'aperto, tra gli olivi pacifici e in
-conspetto del sottostante mare, gli uomini sedevano alla mensa. I
-piatti dei legumi conditi d'olio novello fumavano; il vino scintillava
-nelle semplici forme liturgiche dei vasi; e il cibo frugale dispariva
-rapidamente entro gli stomachi dei faticatori.
-
-Anna ora si sentiva come assalire da un tumulto di giubilo, e si
-sentiva d'un tratto quasi legata da una specie di dimestichezza
-amichevole con le due donne. Queste la condussero nell'interno della
-casa, dove le stanze erano larghe e luminose benchè antichissime.
-Su le pareti le imagini sacre si alternavano con le palme pasquali;
-provvigioni di carni suine pendevano dai soffitti; i talami dal
-pavimento si elevavano ampi ed altissimi con a canto le culle; da
-tutto emanava la serenità della concordia familiare. Anna, considerando
-quell'ordine, sorrideva timidamente a una dolcezza interiore; e in un
-punto fu presa da una strana commozione quasi che tutte le sue latenti
-virtù di madre casalinga e i suoi istinti di allevatrice fremessero e
-insorgessero d'improvviso.
-
-Quando le donne ridiscesero su lo spiazzo, gli uomini stavano ancora
-in torno alla tavola; Zacchiele parlava con loro. Albarosa prese un
-piccolo pane di frumento, lo divise nel mezzo, lo consperse d'olio
-e di sale, e l'offerì ad Anna. L'olio novello, allora allora gemuto
-dal frutto, spandeva nella bocca un saporoso aroma asprino; ed Anna
-allettata mangiò tutto il pane. Bevve anche il vino. Poi, come il
-vespro cadeva, ella e Zacchiele ripresero il cammino del declivio.
-
-Dietro di loro i coloni cantarono. Molti altri canti sorsero dalla
-campagna, e si dispiegarono nella sera con la piana larghezza di un
-salmo gregoriano. Il vento soffiava fra gli oliveti più umido; un
-chiarore moriente tra roseo e violaceo indugiava effuso pel cielo.
-
-Anna camminò innanzi, con passo celere, rasente i tronchi. Zacchiele
-la seguì, pensando alle parole ch'egli voleva dire. Ambedue, da poi
-che si sentivano soli, provavano una trepidazione infantile. A un
-punto Zacchiele chiamò la donna per nome; ed ella si volse umile e
-palpitante. — Che voleva? — Zacchiele non disse più altro; fece due
-passi, giunse al fianco di lei. E così continuarono il cammino, in
-silenzio, finchè la via Salaria non li divise. Come nell'andare,
-essi presero ciascuno il sentiero del margine, a destra e a manca. E
-rientrarono a Portasale.
-
-
-IX.
-
-Per una nativa irresolutezza, Anna differiva continuamente il
-matrimonio. Dubbii religiosi la tormentavano. Ella aveva sentito dire
-che soltanto le vergini sarebbero ammesse a far corona in torno alla
-Madre di Dio, nel paradiso. Dunque? Doveva ella rinunciare a quella
-dolcezza celeste per un bene terreno? Un più vivo ardore di divozione
-allora la invase. In tutte le ore libere ella andava alla chiesa del
-Rosario; s'inginocchiava innanzi al gran confessionale di quercia,
-e rimaneva immobile in quell'attitudine di preghiera. La chiesa era
-semplice e povera; il pavimento era coperto di lapidi mortuarie; una
-sola lampada di metallo vile ardeva innanzi all'altare. E la donna
-rimpiangeva nell'animo il fasto della sua basilica, la solennità delle
-cerimonie, le undici lampade d'argento, i tre altari di marmo prezioso.
-
-Ma nella Settimana Santa del 1857, sorse un grande avvenimento.
-Tra la Confraternita capitanata da Don Fileno d'Amelio e l'abate
-Cennamele, coadiuvato dai satelliti parrocchiali, scoppiò la guerra;
-e ne fu causa un contrasto per la processione di Gesù morto. Don
-Fileno voleva che la pompa, fornita dai congregati, uscisse dalla
-chiesa della Confraternita; l'abate voleva che la pompa uscisse dalla
-chiesa parrocchiale. La guerra attrasse e avviluppò tutti i cittadini
-e le milizie del Re di Napoli, residenti nel forte. Nacquero tumulti
-popolari; le vie furono occupate da assembramenti di gente fanatica;
-pattuglie armigere andarono in volta per impedire i disordini; il
-conte arcivescovo di Chieti fu assediato da innumerevoli messi d'ambo
-le parti; corse molta pecunia per corruzioni; un mormorio di congiure
-misteriose si sparse nella città. Focolare degli odii la casa di Donna
-Cristina Basile. Don Fiore Ussorio sfolgorò per mirabili stratagemmi
-e per audacie novissime, in quei giorni di lotta. Don Paolo Nervegna
-ebbe un grave spargimento di bile. Don Ignazio Cespa adoperò in vano
-tutte le sue blande arti conciliative e i suoi sorrisi melliflui. La
-vittoria fu contrastata con un accanimento implacabile, fino all'ora
-rituale della pompa funeraria. Il popolo fremeva nell'aspettazione; il
-comandante de le milizie, partigiano dell'abbadia, minacciava castighi
-ai facinorosi della Confraternita. La rivolta stava per irrompere.
-Quand'ecco giungere su la piazza un soldato a cavallo latore di un
-messaggio episcopale che dava la vittoria ai congregati.
-
-L'ordine della pompa si dispiegò allora con insolita magnificenza per
-le vie sparse di fiori. Un coro di cinquanta voci bianche cantò gli
-inni della Passione; e dieci turiferarii incensarono tutta la città.
-I baldacchini, gli stendardi, i ceri per la nuova ricchezza empirono
-gli astanti di meraviglia. L'abate sconfitto non intervenne; ed in sua
-vece Don Pasquale Carabba, il Gran Coadiutore, vestito dei paramenti
-badiali, seguì con molta solennità d'incesso il feretro di Gesù.
-
-Anna, nel frangente, aveva fatto voti per la vittoria dell'abate. Ma
-la suntuosità della cerimonia la abbagliò; una specie di rapimento
-la invase, allo spettacolo; ed ella sentì gratitudine anche per Don
-Fiore Ussorio che passava reggendo nel pugno un cero immane. Poi, come
-l'ultima schiera dei celebranti le giunse dinanzi, ella si mescolò
-alla turba fanatica degli uomini, delle donne e de' fanciulli; e andò
-così, quasi senza toccar terra, tenendo sempre gli occhi fissi al serto
-culminante della _Mater dolorosa_. In alto, dall'uno all'altro balcone,
-stavano tesi i drappi signorili consecutivamente; dalle case dei
-panettieri pendevano rustiche forme d'agnelli materiate di fromento; ad
-intervalli, nei trivii, nei quadrivii, un braciere acceso spandeva fumo
-di aròmati.
-
-La processione non passò sotto le finestre dell'abate. Di tratto in
-tratto una specie di movimento irregolare correva lungo le file, come
-se la schiera antesignana incontrasse un ostacolo. E n'era causa il
-contrasto tra il crocifero della Confraternita e il luogotenente
-delle milizie, i quali ambedue avevano ricevuto il comando di
-seguire un itinerario diverso. Poichè il luogotenente non poteva usar
-violenza senza commetter sacrilegio, vinse il crocifero. I congregati
-esultavano; il comandante generale ardeva d'ira; il popolo s'empiva di
-curiosità.
-
-Quando la pompa, in vicinanza dell'arsenale, si rivolse per rientrare
-nella chiesa di San Giacomo, Anna prese un vicolo obliquo e in pochi
-passi fu su la porta madre. S'inginocchiò. Giungeva primo verso di lei
-l'uomo portante il crocifisso gigantesco; seguivano gli stendardieri
-che tenevano l'altissima asta in equilibrio su la fronte o sul mento,
-atteggiandosi con dotto giuoco di muscoli. Poi, quasi in mezzo a una
-nuvola d'incenso, venivano le altre schiere, i cori angelici, gli
-incappati, le vergini, i signori, il clero, le milizie. Lo spettacolo
-era grande. Una specie di terrore mistico teneva l'animo della donna.
-
-Si avanzò sul vestibolo, secondo la consuetudine, un accolito munito
-d'un largo piatto d'argento per ricevere i ceri. Anna guardava. Allora
-fu che il comandante, spezzando tra i denti aspre parole contro la
-Confraternita, gittò violentemente il suo cero nel piatto e voltò le
-spalle con piglio minaccioso. Tutti rimasero allibiti. E nel momentaneo
-silenzio si udì tintinnare la spada di colui che si allontanava. Solo
-Don Fiore Ussorio ebbe la temerità di sorridere.
-
-
-X.
-
-I fatti per moltissimo tempo incitarono l'attività vocale dei cittadini
-e furono causa di turbolenze. Come Anna era stata testimone dell'ultima
-scena, alcuni vennero a lei per ragguagli. Ella raccontava sempre
-con le stesse parole, pazientemente. La sua vita da allora fu tutta
-spesa tra le pratiche religiose, gli uffici domestici e l'amore della
-testuggine. Ai primi tepori d'aprile la testuggine uscì dal letargo.
-Un giorno, d'improvviso, sbucò di sotto allo scudo la testa serpentina
-e tentennò debolmente mentre i piedi erano ancora immersi nel torpore.
-I piccoli occhi rimasero coperti a mezzo dalla palpebra. E l'animale,
-forse non più consapevole d'essere captivo, si mosse finalmente con un
-moto pigro e incerto, tastando co' piedi il suolo, spinto dal bisogno
-di trovarsi il cibo come nella sabbia del suo bosco natale.
-
-Anna, innanzi a quel risveglio, fu invasa da una tenerezza ineffabile e
-stette a guardare con occhi umidi di lacrime. Poi prese la testuggine,
-la mise sul letto, le offerì alcune foglie verdi. La testuggine esitava
-a toccare le foglie, e nell'aprire le mandibole mostrava la lingua
-carnosa come quella dei pappagalli. Gli indumenti del collo e delle
-zampe parevano membrane flosce e giallognole di un corpo estinto. La
-donna a quella vista si sentiva stringere da una gran misericordia; ed
-eccitava al ristoro il bene amato, con le blandizie di una madre pel
-figliuolo convalescente. Unse d'olio dolce lo scudo osseo; e, come il
-sole vi percoteva sopra, le piastre pulite risplendevano più belle.
-
-In queste cure passarono i mesi della primavera. Ma Zacchiele,
-consigliato dalla stagione novella a maggiori impeti di amore, incalzò
-la donna con così tenere supplicazioni che n'ebbe alfine una promessa
-solenne. Le nozze si sarebbero celebrate il giorno precedente la
-Natività di Gesù Cristo.
-
-Allora l'idillio rifiorì. Mentre Anna attendeva alle opere dell'ago
-pel corredo nuziale, Zacchiele leggeva ad alta voce la storia del Nuovo
-Testamento. Le nozze di Cana, i prodigi del Redentore in Cafarnao, il
-morto di Naim, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, la liberazione
-della figliuola della Cananea, i dieci lebbrosi, il cieco nato, la
-risurrezione di Lazzaro, tutte quelle narrazioni miracolose rapirono
-l'animo della donna. Ed ella pensò lungamente a Gesù che entrava in
-Gerusalemme cavalcando un'asina, mentre i popoli stendevano su la sua
-via le vesti e spargevano fronde.
-
-Nella stanza l'erbe di timo odoravano in un vaso di terra. La
-testuggine veniva talvolta alla cucitrice e le tentava con la bocca il
-lembo delle tele o le morsicchiava il cuoio sporgente delle scarpe.
-Un giorno Zacchiele, nel leggere la parabola del Figliuol Prodigo,
-sentendosi d'improvviso qualche cosa di mobile tra i piedi, per un
-involontario moto di ribrezzo diede co' piedi un urto; e la testuggine
-urtata andò a battere contro la parete e rimase capovolta. Il guscio
-dorsale si scheggiò in più parti; un po' di sangue apparve da una delle
-zampe che l'animale agitava inutilmente per riprendere la posizione
-primitiva.
-
-Se bene l'infelice amante si mostrò atterrito del fatto e
-inconsolabile, Anna dopo quel giorno si chiuse in una specie di
-severità diffidente, non parlò più, non volle più ascoltare la lettura.
-E così il figliuol prodigo rimase per sempre sotto gli alberi delle
-ghiande a guardare i porci del suo signore.
-
-
-XI.
-
-Nella grande alluvione dell'ottobre (1857) Zacchiele morì. La cascina
-dov'egli abitava, nei dintorni dei Cappuccini, fuori di Porta-Giulia,
-fu invasa dalle acque. Le acque inondarono tutta la campagna, dal
-colle d'Orlando fino al Colle di Castellammare; e, poichè avevano
-attraversato vastissimi sedimenti d'argilla, erano sanguigne come
-nella favola antica. Le cime degli alberi emergevano qua e là su quel
-sangue melmoso ed estuoso. Per intervalli, dinanzi al forte passavano
-in precipizio tronchi enormi con tutte le radici, masserizie, materie
-di forme irriconoscibili, gruppi di bestiami non ancora morti che
-urlavano e sparivano e riapparivano e si perdevano in lontananza. I
-branchi dei bovi, in ispecie, davano uno spettacolo mirabile: i grossi
-corpi biancastri s'incalzavano l'un l'altro, le teste si ergevano
-disperatamente fuori dell'acqua, furiosi intrecciamenti di corna
-avvenivano nell'impeto del terrore. Come il mare era di levante, le
-onde alla foce rigurgitavano. Il lago salso della Palata e gli estuarii
-si riunirono col fiume. Il forte divenne un'isola perduta.
-
-Nell'interno le vie si sommersero; la casa di Donna Cristina ebbe
-la linea delle acque sino a metà della scala. Il fragore cresceva di
-continuo, mentre le campane sonavano a distesa. I forzati, dentro le
-carceri, urlavano.
-
-Anna, credendo a qualche supremo castigo dell'Altissimo, ricorse
-alla salvezza delle preghiere. Il secondo giorno, come salì su la
-sommità della colombaia, non vide che acque e acque in torno sotto le
-nuvole, e scorse poi cavalli sbigottiti che galoppavano in furia su le
-troniere di San Vitale. Discese, stupida, con la mente sconvolta; e la
-persistenza del fragore e l'oscurità dell'aria le fecero smarrire ogni
-nozione del luogo e del tempo.
-
-Quando l'alluvione cominciò a decrescere, la gente del contado entrò
-nella città per mezzo di palischermi. Uomini, donne e fanciulli,
-avevano su la faccia e negli occhi la stupefazione dolorosa. Tutti
-narravano fatti tristi. E un bifolco dei Cappuccini venne alla casa
-Basile per annunziare che Don Zacchiele se n'era andato _a marina_.
-Il bifolco parlava semplicemente, narrando la morte. Disse che in
-vicinanza dei Cappuccini certe femmine avevano legato i figliuoli
-lattanti su la cima di un grande albero per salvarli dall'acqua e che
-i vortici avevano sradicato l'albero trascinandosi le cinque creature.
-Don Zacchiele stava sul tetto con altri cristiani in un mucchio
-compatto, urlando; e il tetto stava già per sommergersi; e cadaveri
-d'animali e rami rotti venivano già a urtare contro i disperati. Quando
-finalmente l'albero dei lattanti passò di là sopra, la violenza fu così
-terribile che dopo il suo passaggio non si vide più traccia di tetto nè
-di cristiani.
-
-Anna ascoltò senza piangere; e nella sua mente percossa il racconto di
-quella morte, con quell'albero dei cinque pargoli e con quelli uomini
-ammucchiati tutti sopra un tetto e con quei cadaveri di bestie che
-andavano a urtar contro, suscitò una specie di meraviglia superstiziosa
-simile a quella suscitatale da certe narrazioni del Vecchio Testamento.
-Ella salì con lentezza alla sua stanza, e cercò di raccogliersi.
-Il sole modesto splendeva sul davanzale; la testuggine in un angolo
-dormiva ricoverata sotto il suo scudo; un cinguettío di passeri veniva
-dagli émbrici. Tutte queste cose naturali, questa usuale tranquillità
-della vita circonstante, a poco a poco la rasserenarono. Dal fondo di
-quella momentanea calma alfine sorse chiaro il dolore; ed ella chinò la
-testa sul petto, in un grande sconforto.
-
-Allora le punse l'animo il rimorso d'aver serbato contro Zacchiele
-quella specie di muto rancore per tanto tempo; e i ricordi a uno a uno
-vennero ad assalirla; e le virtù del defunto le rifulgevano ora alla
-memoria più religiosamente. Poichè l'onda del dolore cresceva, ella si
-alzò, andò verso il letto, vi si distese bocconi. E i suoi singhiozzi
-risonavano tra il cinguettío degli uccelli.
-
-Dopo, quando le lacrime si arrestarono, la quiete della rassegnazione
-cominciò a discenderle nell'animo; ed ella pensò che tutte le cose
-della terra sono caduche, e che noi dobbiamo conformarci alla volontà
-del Signore. L'unzione di questo semplice atto d'abbandono le sparse
-sul cuore un'abbondanza di dolcezza. Ella si sentì libera da ogni
-inquietudine, e trovò il riposo in quell'umile e ferma confidenza.
-Da allora nella sua regola non fu che questa clausola: — La soprana
-volontà di Dio, sempre giusta, sempre adorabile, sia fatta in tutte le
-cose, sia lodata ed esaltata per tutta l'eternità.
-
-
-XII.
-
-Così alla figlia di Luca fu aperta la vera strada del paradiso. E
-il giro del tempo per lei non fu determinato se non dalle ricorrenze
-ecclesiastiche. Quando il fiume rientrò nell'alveo, uscirono per ordine
-consecutivo di giorni molte processioni nella città e nelle campagne.
-Ella le seguì tutte, insieme con il popolo, cantando il _Te Deum_. Le
-vigne in torno erano devastate; il terreno era molle e l'aria pregna di
-vapori biondi, singolarmente luminosa, come nelle primavere palustri.
-
-Poi venne la festa d'Ognissanti; poi, la solennità dei Morti. Grandi
-messe furono celebrate in suffragio delle vittime dell'alluvione. Nel
-Natale Anna volle fare il presepe; comprò un bambino di cera, Maria,
-san Giuseppe, il bove, l'asino, i re Magi e i pastori. Accompagnata
-dalla figlia del sagrestano, ella andò per i fossati della via Salaria
-a cercare il musco. Sotto la vitrea serenità iemale i latifondi
-riposavano pingui di limo; la fattoria d'Albarosa si scorgeva sul colle
-tra gli olivi; nessuna voce turbava il silenzio. Anna, come scopriva
-il musco, si chinava e con un coltello tagliava la zolla. Al contatto
-delle fredde erbe le sue mani divenivano lievemente violacee. Di
-tratto in tratto, alla vista di una zolla più verde, le sfuggiva una
-esclamazione di contentezza. Quando il canestro fu pieno, ella sedette
-sul ciglio del fossato, con la fanciulla. I suoi occhi salirono pel
-sentiero dell'oliveto, lentamente, e si fermarono alle mura bianche
-della fattoria che pareva un edifizio claustrale. Allora ella chinò
-la fronte, assalita da un pensiero. Poi d'un tratto si volse alla
-compagna. — Non aveva mai veduto macinare le olive? — E cominciò
-a figurar l'opera delle macine con molta prolissità di parole; e,
-come parlava, a poco a poco le salivano dall'animo altri ricordi, le
-venivano su la bocca spontaneamente a uno a uno, e le passavano nella
-voce con un piccolo tremito.
-
-Quella fu l'ultima debolezza. Nell'aprile del 1858, poco dopo
-la Pasqua maggiore, ella infermò. Stette nel letto quasi durante
-un mese, tormentata dall'infiammazione pulmonare. Donna Cristina
-veniva la mattina e la sera nella stanza a visitarla. Una vecchia
-fantesca, che faceva pubblica professione d'assistere i malati, le
-somministrava i medicamenti. Poi la testuggine le rallegrò i giorni
-della convalescenza. E come l'animale era estenuato dal digiuno, ed
-era tutto aridamente pelloso, Anna vedendosi macilente, e sentendosi
-anch'essa affievolita, provava quella specie di appagamento interiore
-che noi proviamo quando una stessa sofferenza ci accomuna alla persona
-diletta. Un tepore molle saliva dagli émbrici coperti di licheni,
-verso i convalescenti; nel cortile i galli cantavano: e una mattina due
-rondini entrarono d'improvviso, batterono l'ali in torno alla stanza e
-fuggirono.
-
-Quando Anna tornò la prima volta nella chiesa, dopo la guarigione,
-era la Pasqua delle rose. Ella, nell'entrare, aspirò il profumo
-dell'incenso cupidamente. Camminò piano, lungo la navata, per ritrovare
-il posto dove soleva prima inginocchiarsi; e si sentì prendere da
-una sùbita gioia, quando scorse finalmente tra le lapidi mortuarie
-quella che portava nel mezzo un bassorilievo tutto consunto. Vi piegò
-i ginocchi sopra, e si mise a pregare. La gente aumentava. A un certo
-punto della cerimonia due accoliti scesero dal coro con due bacini
-d'argento colmi di rose, e cominciarono a spargere i fiori su le
-teste dei prostrati, mentre l'organo sonava un inno giocondo. Anna era
-rimasta china, in una specie di estasi che le davano la beatitudine del
-misterio celebrato e il senso vagamente voluttuoso della guarigione.
-Come alcune rose vennero a caderle su la persona, ella n'ebbe un
-fremito lungo. E la povera donna nulla aveva provato nella sua vita di
-più dolce che quel fremito di delizia mistica e il susseguito languore.
-
-La Pasqua rosata rimase perciò la festività prediletta di Anna, e
-ritornò periodicamente senza alcun episodio notevole. Nel 1860 la città
-fu turbata da gravi agitazioni. Si udivano spesso nella notte i rulli
-dei tamburi, gli allarmi delle sentinelle, i colpi della moschetteria.
-Nella casa di Donna Cristina si manifestò un più vivo fervore di azione
-tra i cinque proci. Anna non si sbigottì; ma visse in un raccoglimento
-profondo, non prendendo conoscenza degli avvenimenti pubblici nè
-di quelli domestici, adempiendo ai suoi uffici con un'esattezza
-macchinale.
-
-Nel mese di settembre la fortezza di Pescara fu evacuata; le milizie
-borboniche si sbandarono, gittando armi e bagagli nelle acque del
-fiume; stuoli di cittadini corsero le vie con liberali acclamazioni
-di gioia. Anna, come seppe che l'abate Cennamele era fuggito
-precipitosamente, pensò che i nemici della Chiesa di Dio avessero
-ottenuto il trionfo; e n'ebbe molto dolore.
-
-Dopo, la sua vita si svolse in pace, lungo tempo. Lo scudo della
-testuggine crebbe in latitudine e divenne più opaco; la pianta del
-tabacco annualmente sorse, fiorì e cadde; le sagge rondini in ogni
-autunno partirono per la terra dei Faraoni. Nel 1865 alfine la gran
-contesa dei proci terminò con la vittoria di Don Fileno d'Amelio.
-Le nozze si celebrarono nel mese di marzo, con solenne giocondità
-di conviti. E vennero allora ad ammannire vivande preziose due padri
-cappuccini, Fra Vittorio e Fra Mansueto.
-
-Erano costoro i due che di tutta la compagnia rimanevano, dopo la
-soppressione, a custodire il cenobio. Fra Vittorio era un sessagenario
-invermigliato fortificato e letificato dal succo dell'uva. Una piccola
-benda verde gli copriva l'infermità dell'occhio destro, e il sinistro
-gli scintillava pieno di vivezza penetrante. Egli esercitava fin dalla
-gioventù l'arte farmaceutica; e, come aveva pratica molta di cucina, i
-signori solevano chiamarlo in occasione di festeggiamenti. Nell'opere
-aveva gesti rudi che gli scoprivano fuor delle ampie maniche le braccia
-villose; la sua barba si moveva tutta ad ogni moto della bocca; la
-sua voce si frangeva in stridori. Fra Mansueto in vece era un vecchio
-macilente, con una testa caprina da cui pendeva una barbicola candida,
-con due occhi giallognoli pieni di sommissione. Egli coltivava l'orto,
-e questuando portava l'erbe mangerecce per le case. Nell'aiutare il
-compagno prendeva attitudini modeste, zoppicava da un piede; parlava
-nel molle idioma patrio di Ortona, e, forse in memoria della leggenda
-di san Tommaso, esclamava: — _Pe' li Turchi!_ — ad ogni momento,
-lisciandosi con una mano il cranio polito.
-
-Anna attendeva a porgere i piatti, gli arnesi, i vasellami di rame.
-Le pareva ora che la cucina assumesse una sorta di solennità sacra per
-la presenza dei frati. Ella restava intenta a guardare tutti gli atti
-di Fra Vittorio, presa da quella trepidazione che le persone semplici
-provano in cospetto degli uomini dotati di qualche virtù superiore.
-Ammirava ella in ispecie il gesto infallibile con cui il gran
-cappuccino spargeva su gli intingoli certe sue droghe segrete, certi
-suoi aromi particolari. Ma l'umiltà, la mitezza, la modesta arguzia di
-Fra Mansueto a poco a poco la conquistarono. E i legami della comune
-patria e quelli più sensibili del comune idioma strinsero l'una e
-l'altro d'amicizia.
-
-Come essi conversavano, i ricordi del passato pullulavano nelle loro
-parole. Fra Mansueto aveva conosciuto Luca Minella e si trovava nella
-basilica quando accadde la morte di Francesca Nobile tra i pellegrini.
-— _Pe' li Turchi!_ — Egli aveva anzi dato aiuto a trasportare il
-cadavere fino alle case di Porta Caldara; e si ricordava che la morta
-aveva addosso una veste di seta gialla e tante collane d'oro...
-
-Anna divenne triste. Nella sua memoria il fatto fino a quel momento era
-rimasto confuso, vago, quasi incerto, attenuato dal lunghissimo stupore
-inerte che aveva seguito i primi accessi del mal caduco. Ma quando Fra
-Mansueto disse che la morta stava in paradiso, perchè chi muore per
-causa di religione va fra i santi, Anna provò una dolcezza indicibile e
-si sentì d'un tratto crescere nell'animo una immensa adorazione per la
-santità della madre.
-
-Allora, per rammentare i luoghi del paese nativo, ella si mise a
-discorrere su la basilica dell'Apostolo, minutamente, determinando le
-forme degli altari, la positura delle cappelle, il numero degli arredi,
-le figurazioni della cupola, le attitudini delle immagini, le divisioni
-del pavimento, i colori delle vetrate. Fra Mansueto la secondava con
-benignità; e, poichè egli era stato ad Ortona alcuni mesi innanzi,
-raccontò le nuove cose vedute. — L'Arcivescovo di Orsogna aveva donato
-alla basilica un ciborio d'oro con incrostature di pietre preziose. La
-Confraternita del SS. Sacramento aveva rinnovato tutti i legnami e i
-corami degli stalli. Donna Blandina Onofrii aveva fornita una intera
-muta di parati consistente in pianete dalmatiche stole piviali cotte.
-
-Anna ascoltava avidamente; e il desiderio di vedere le nuove cose e di
-riveder le antiche cominciò a tormentarla. Ella, quando il cappuccino
-tacque, si rivolse a lui con un'aria tra di letizia e di timidezza. —
-La festa di maggio si avvicinava. Se andassero?
-
-
-XIII.
-
-Alle calende di maggio la donna, avuta licenza da Donna Cristina, fece
-gli apparecchi. Inquietudine le nacque nell'animo per la testuggine.
-— Doveva lasciarla? o portarla seco? — Stette lungamente in forse; e
-infine deliberò di portarla, per sicurezza. La pose dentro un canestro,
-tra i panni suoi e le scatole di confetture che Donna Cristina inviava
-a Donna Veronica Monteferrante, abadessa del monastero di Santa
-Caterina.
-
-Su l'alba Anna e Fra Mansueto si misero in cammino. Anna aveva in
-principio il passo spedito, l'aspetto gaio: i capelli, già quasi tutti
-canuti, le si piegavano lucidi sotto il fazzoletto. Il frate zoppicava
-reggendosi a una mazza, e le bisacce vuote gli penzolavano dalle
-spalle. Come essi giunsero al bosco dei pini, fecero la prima sosta.
-
-Il bosco, al mattino di maggio, ondeggiava immerso nel suo profumo
-natale, voluttuosamente, tra il sereno del cielo e il sereno del mare.
-I tronchi gemevano la ragia. I merli fischiavano. Tutte le fonti della
-vita parevano aperte su la trasfigurazione della terra.
-
-Anna sedette sopra l'erba; offerse al cappuccino pane e frutta; e
-si mise a discorrere della festività, ad intervalli, mangiando. La
-testuggine tentava con le zampe anteriori l'orlo del canestro, e la sua
-timida testa serpigna sporgeva e si ritraeva negli sforzi. Poi che Anna
-l'aiutò a discendere, la bestia prese ad avanzare sul musco verso un
-cespuglio di mirto, con minor lentezza, forse sentendo in sè levarsi
-confusamente la gioia della primitiva libertà. E il suo scudo tra il
-verde pareva più bello.
-
-Allora Fra Mansueto fece alcune riflessioni morali e lodò la
-Provvidenza che dà alla testuggine una casa e le dà il sonno durante
-la stagione dell'inverno. Anna raccontò alcuni fatti che dimostravano
-nella testuggine un gran candore e una gran rettitudine. Poi soggiunse;
-«Che penserà?» E dopo un poco: «Gli animali che penseranno?»
-
-Il frate non rispose. Ambedue rimasero perplessi. Scendeva giù per la
-corteccia di un pino una fila di formiche e si dilungava pel terreno:
-ciascuna formica trascinava un frammento di cibo e tutta l'innumerevole
-famiglia compiva il lavoro con ordine diligente. Anna guardava, e le si
-svegliavano nella mente le credenze ingenue dell'infanzia. Ella parlò
-di abitazioni meravigliose che le formiche scavano sotto la terra. Il
-frate disse, con accento di fede intensa: «Dio sia lodato!» E ambedue
-rimasero cogitabondi, sotto i verdi alberi, adorando nel loro cuore
-Iddio.
-
-Nella prima ora del pomeriggio arrivarono al paese di Ortona.
-Anna battè alla porta del monastero e chiese di vedere l'abadessa.
-All'entrare si presentava un piccolo cortile con nel mezzo una cisterna
-di pietra bianca e nera. Il parlatorio era una stanza bassa, con poche
-sedie intorno: due pareti erano occupate dalle grate, le altre due
-da un crocefisso e da imagini. Anna fu subito presa da un senso di
-venerazione per la pace solenne che regnava in quel luogo. Quando la
-madre Veronica apparve d'improvviso dietro le grate, alta e severa
-nell'abito monastico, ella provò un turbamento indicibile come dinanzi
-all'apparizione di una forma soprannaturale. Poi, rianimata dal buon
-sorriso dell'abadessa, ella compì il messaggio in brevi parole; depose
-nel cavo della ruota le scatole, ed attese. La madre Veronica le si
-rivolse con benignità, guardandola da que' suoi belli occhi lionati;
-le donò un'effigie della Vergine; nel licenziarla le tese la mano
-signorile pel bacio, a traverso la grata, e disparve.
-
-Anna uscì trepidante. Mentre passava il vestibolo, le giunse un coro
-di litanie, un canto che veniva forse da una cappella sotterranea,
-ugualissimo e dolce. Mentre passava il cortile, vide a sinistra in
-cima al muro sporgere un ramo carico di melarance. E, come pose il
-piede su la via, le parve di aver lasciato dietro di sè un giardino di
-beatitudine.
-
-Allora si diresse verso la strada Orientale per cercare i parenti.
-Su la porta della vecchia casa una donna sconosciuta stava appoggiata
-allo stipite. Anna le si avvicinò timidamente e le chiese novelle della
-famiglia di Francesca Nobile. La donna l'interruppe: — Perchè? Perchè?
-Che voleva? — con una voce dura e uno sguardo investigante. Poi, quando
-Anna si palesò, ella le permise di entrare.
-
-I parenti erano quasi tutti o morti o emigrati. Restava nella casa un
-vecchio infermo, zi' Mingo, che aveva sposato in seconde nozze _la
-figlia di Sblendore_ e viveva con lei quasi in miseria. Il vecchio
-da prima non riconobbe Anna. Egli stava seduto su un'alta sedia
-ecclesiastica di cui la stoffa rossastra pendeva a brandelli: le sue
-mani posavano su i braccioli, contorte ed enormi per la mostruosità
-della chiragra; i suoi piedi con un moto ritmico percotevano il
-terreno; un continuo tremore paralitico gli agitava i muscoli del
-collo, i gomiti, le ginocchia. Ed egli guardò Anna, tenendo a fatica
-dischiuse le palpebre infiammate. Finalmente si risovvenne.
-
-Come Anna andava esponendo il proprio stato, la figlia di Sblendore
-odorando il denaro cominciava a concepire nell'animo speranze di
-usurpazione e per virtù delle speranze diveniva in volto più benigna.
-Subito che Anna terminò, ella le offerse l'ospitalità per la notte;
-le prese il canestro dei panni e lo ripose; promise di aver cura della
-testuggine; poi fece alcune querele compassionevoli su la infermità del
-vecchio e su la miseria della casa, non senza lacrime. Ed Anna uscì,
-con l'animo pieno di riconoscenza e di misericordia; risalì per la
-costa, verso lo scampanìo della basilica, provando un'ansia crescente
-nell'appressarsi.
-
-In torno al palazzo Farnese il popolo rigurgitava ondoso; e quella
-gran reliquia feudale sovrastava ornata di paramenti, magnificata
-dal sole. Anna passò in mezzo alla folla, lungo i banchi degli
-argentarii artefici di arredi sacri e di oggetti votivi. A tutto
-quel candido scintillare di forme liturgiche il cuore le si dilatava
-per allegrezza; ed ella si faceva il segno della croce dinanzi a
-ogni banco come dinanzi a un altare. Quando giunse alla porta della
-basilica e intravide la luminaria e traudì il cantico del rito, ella
-non più contenne la veemenza della gioia; si avanzò fin verso il
-pulpito, con passi quasi vacillanti. Le ginocchia le si piegarono:
-le lacrime le sgorgarono dagli occhi allucinati. Ella rimase là, in
-contemplazione dei candelabri, dell'ostensorio, di tutte le cose che
-erano su l'altare, con la testa vacua, poichè dalla mattina non aveva
-più mangiato. E le prendeva le vene una debolezza immensa; l'anima le
-veniva meno in una specie di annientamento.
-
-Sopra di lei, lungo la nave centrale le lampade di vetro componevano
-una triplice corona di fuochi. In fondo, quattro massicci tronchi di
-cera fiammeggiavano ai lati del tabernacolo.
-
-
-XIV.
-
-I cinque giorni della festa Anna visse così, dentro la chiesa, dall'ora
-mattutina fino all'ora in cui le porte si chiudevano, fedelissima,
-respirando quell'aria calda che le infondeva nei sensi un torpore
-beatifico, nell'anima una felicità piena di umiltà. Le orazioni, le
-genuflessioni, le salutazioni, tutte quelle formule, tutti quei gesti
-rituali ripetuti incessantemente, la istupidivano. Il fumo dell'incenso
-le nascondeva la terra.
-
-Rosaria, la figlia di Sblendore, intanto ne traeva profitto, movendo
-la pietà di lei con false querimonie e con lo spettacolo miserevole del
-vecchio paralitico. Ella era una femmina malvagia, esperta nelle frodi,
-dedita alla crapula; aveva tutta la faccia sparsa di umori vermigli e
-serpiginosi, i capelli canuti, il ventre obeso. Legata al paralitico
-dai comuni vizi e dalle nozze, ella insieme con lui aveva disperse in
-breve tempo le già scarse sostanze, bevendo e gozzovigliando. Ambedue
-nella miseria, inveleniti dalla privazione, arsi da sete di vino e
-di liquori ignei, affranti da infermità senili, ora espiavano il loro
-lungo peccato.
-
-Anna, con uno spontaneo moto caritatevole, diede a Rosaria tutto il
-denaro tenuto per le elemosine, tutti i panni superflui; si tolse
-gli orecchini, due anelli d'oro, la collana di corallo; promise altri
-soccorsi. E riprese quindi il cammino di Pescara, in compagnia di Fra
-Mansueto, portando nel canestro la testuggine.
-
-In cammino, come le case di Ortona si allontanavano, una gran tristezza
-scendeva su l'animo della donna. Stuoli di pellegrini volgevano per
-altre vie, cantando: e i loro canti rimanevano a lungo nell'aria,
-monotoni e lenti. Anna li ascoltava; e un desiderio senza fine la
-traeva a raggiungerli, a seguirli, a vivere così pellegrinando di
-santuario in santuario, di contrada in contrada, per esaltare i
-miracoli d'ogni santo, le virtù d'ogni reliquia, le bontà d'ogni Maria.
-
-«Vanno a Cucullo,» le disse Fra Mansueto, accennando col braccio a
-un paese lontano. E ambedue si misero a parlare di san Domenico che
-protegge dal morso dei serpenti gli uomini, e le semenze dai bruchi;
-poi d'altri patroni. — A Bugnara, sul Ponte del Rivo, più di cento
-giumenti, tra cavalli asini e muli, carichi di frumento vanno in
-processione alla Madonna della Neve: i devoti cavalcano su le some,
-con serti di spighe in capo, con tracolle di pasta; e depongono ai
-piedi dell'imagine i doni cereali. A Bisenti, molte giovinette, con
-in capo canestre di grano, conducono per le vie un asino che porta
-su la groppa una maggiore canestra: ed entrano nella chiesa della
-Madonna degli Angeli, per l'offerta, cantando. A Torricella Peligna,
-uomini e fanciulli, coronati di rose e di bacche rosee, salgono in
-pellegrinaggio alla Madonna delle Rose, sopra una rupe dov'è l'orma di
-Sansone. A Loreto Aprutino un bue candido, impinguato durante l'anno
-con abbondanza di pastura, va in pompa dietro la statua di san Zopito.
-Una gualdrappa vermiglia lo copre, e lo cavalca un fanciullo. Come il
-santo rientra nella chiesa, il bue s'inginocchia sul limitare; poi si
-rialza lentamente, e segue il santo tra il plauso del popolo. Giunto
-nel mezzo della chiesa, manda fuora gli escrementi del cibo; e i devoti
-da quella materia fumante traggono gli auspicii per l'agricoltura.
-
-Di queste usanze religiose Anna e Fra Mansueto parlavano, quando
-giunsero alla foce dell'Alento. L'alveo portava le acque di primavera
-tra le vitalbe non anche fiorenti. E il cappuccino disse della Madonna
-dell'Incoronata, dove per la festa di san Giovanni i devoti si cingono
-il capo di vitalbe, e nella notte vanno sul fiume Gizio a _passar
-l'acqua_ con grandi allegrezze.
-
-Anna si scalzò per guadare. Ella sentiva ora nell'animo un'immensa
-venerazione d'amore per tutte le cose, per gli alberi, per le erbe, per
-gli animali, per tutte le cose che quelle usanze cattoliche avevano
-santificato. E dal fondo della sua ignoranza e della sua semplicità
-sorgeva l'istinto dell'idolatria.
-
-Alcuni mesi dopo il ritorno, scoppiò nel paese un'epidemia colerica;
-e la mortalità fu grande. Anna prestò le sue cure agli infermi
-poveri. Fra Mansueto morì. Anna n'ebbe molto dolore; e nel 1866,
-per la ricorrenza della festa, volle prendere congedo e rimpatriare
-per sempre, poichè vedeva in sonno tutte le notti san Tommaso che le
-comandava di partire. Ella prese la testuggine, le sue robe e i suoi
-risparmii; baciò le mani di Donna Cristina, piangendo; e partì questa
-volta sopra un carretto, insieme con due monache questuanti.
-
-A Ortona ella abitò nella casa dello zio paralitico; dormì su un
-pagliericcio; non si cibò se non di pane e di legumi. Dedicava tutte le
-ore del giorno alle pratiche della chiesa, con un fervore meraviglioso;
-e la sua mente vie più perdeva ogni altra facoltà che non fosse quella
-di contemplare i misteri cristiani, di adorare i simboli, d'imaginare
-il paradiso. Ella era tutta rapita nella carità divina, era tutta
-compresa di quella divina passione che i sacerdoti manifestano sempre
-con gli stessi segni e con le stesse parole. Ella non comprendeva se
-non quell'unico linguaggio; non aveva se non quell'unico ricovero,
-tiepido e solenne, dove tutto il cuore le si dilatava in una pia
-securtà di pace, e gli occhi le s'inumidivano in un'ineffabile soavità
-di lacrime.
-
-Soffrì, per amor di Gesù, le miserie domestiche; fu dolce e sommessa;
-non mai profferì un lamento, o un rimprovero, o una minaccia. Rosaria
-le sottrasse a poco a poco tutti i risparmii; e cominciò quindi a
-farle patire la fame, ad angariarla, a chiamarla con nomi disonesti,
-a perseguitarle la testuggine con insistenza feroce. Il vecchio
-paralitico metteva continuamente una specie di mugolìo rauco, aprendo
-la bocca ove la lingua tremava, onde colava in abbondanza la saliva
-continuamente. Un giorno, poichè la moglie avida beveva innanzi a lui
-un liquore e gli negava il bicchiere sfuggendo, egli si levò dalla
-sedia con uno sforzo, e si mise a camminare verso di lei: le gambe
-gli vacillavano, i piedi si posavano sul terreno con un'involontaria
-percussione ritmica. D'un tratto egli si accelerò, col tronco inclinato
-in avanti, saltellando a piccoli passi incalzanti, come spinto da
-un impulso irresistibile, finchè cadde bocconi su l'orlo delle scale
-fulminato.
-
-
-XV.
-
-Allora Anna, afflitta, prese la testuggine, e andò a chieder soccorso
-a Donna Veronica Monteferrante. Come la povera donna già negli ultimi
-tempi faceva alcuni servizi pel monastero, l'abadessa misericordiosa le
-diede l'ufficio di conversa.
-
-Anna, se bene non aveva gli ordini, vestì l'abito monacale: la tunica
-nera, il soggólo, la cuffia dalle ampie tese candide. Le parve, in
-quell'abito, di essere santificata. E, da prima, quando all'aria
-le tese le sbattevano in torno al capo con un fremito d'ali, ella
-trasaliva per un turbamento improvviso di tutto il suo sangue. E, da
-prima, quando le tese percosse dal sole le riflettevano nella faccia
-un vivo chiaror di neve, ella d'improvviso credevasi illuminata da un
-baleno mistico.
-
-Con l'andar del tempo, le estasi si fecero più frequenti. La vergine
-canuta era colpita a quando a quando da suoni angelici, da echi lontani
-d'organo, da romori e voci non percettibili agli orecchi altrui. Figure
-luminose le si presentavano dinanzi, nel buio; odori paradisiaci la
-rapivano.
-
-Così pel monastero una specie di sacro orrore cominciò a diffondersi,
-come per la presenza di un qualche potere occulto, come per l'imminenza
-di un qualche avvenimento soprannaturale. Per cautela, la nuova
-conversa fu dispensata da ogni obbligo d'opere servili. Tutte le
-attitudini di lei, tutte le parole, tutti gli sguardi furono osservati,
-comentati con superstizione. E la leggenda della santità incominciò a
-fiorire.
-
-Su le calende di febbraio dell'anno di Nostro Signore 1873, la voce
-della vergine Anna divenne singolarmente rauca e profonda. Poi la virtù
-della parola d'un tratto scomparve.
-
-L'inaspettato ammutolimento sbigottì gli animi delle religiose. E
-tutte, stando in torno alla conversa, ne consideravano con mistico
-terrore gli atteggiamenti estatici, i movimenti vaghi della bocca
-mutola, la immobilità degli occhi, d'onde a tratti sgorgavano profluvii
-di lacrime. I lineamenti dell'inferma, estenuati dai lunghi digiuni,
-avevano ora assunto una purità quasi eburnea; e tutte le trame delle
-vene e delle arterie ora trasparivano così visibili, e sporgevano con
-così forti rilievi, e così incessantemente palpitavano, che dinanzi a
-quel palesato pálpito del sangue una specie di raccapriccio prendeva le
-monache come dinanzi a un corpo spoglio di sua pelle cristiana.
-
-Quando fu prossimo il Mese di Maria, un'amorosa diligenza sollecitò
-le Benedettine al paramento dell'oratorio. Si spargevano elleno
-nel verziere claustrale tutto fiorente di rose e fruttificante di
-melarance, raccogliendo la messe del maggio novello per deporla ai
-piedi dell'altare. Anna, tornata nella calma, discendeva anch'ella ad
-aiutare la pia opera; e significava talvolta con i gesti il pensiero
-che la perdurante mutezza le toglieva di esprimere. S'indugiavano al
-sole tutte quelle spose del Signore, incedenti tra le fonti letifiche
-del profumo. Fuggiva lungo un lato del verziere un portico; e come
-nell'animo delle vergini i profumi risvegliavano imagini sopite, così
-il sole penetrando sotto li archi bassi ravvivava nell'intonico i
-residui dell'oro bisantino.
-
-L'oratorio fu pronto per il giorno del primo ufficio. La cerimonia ebbe
-principio dopo il vespro. Una suora salì su l'organo. Subitamente dalle
-canne armoniche il fremito della passione si propagò in tutte le cose;
-tutte le fronti s'inclinarono; i turiboli diedero fumi di belgiuino;
-le fiammelle dei ceri palpitarono tra corone di fiori. Poi sorsero i
-cantici, le litanie piene di appellazioni simboliche e di supplichevole
-tenerezza. Come le voci salivano con forza crescente, Anna nell'immenso
-impeto del fervore gridò. Colpita dal prodigio, cadde supina; agitò
-le braccia, volle rialzarsi. Le litanie s'interruppero. Delle suore,
-alcune, quasi atterrite, erano rimaste un istante nell'immobilità;
-altre davano soccorso all'inferma. Il miracolo appariva inopinato,
-fulgidissimo, supremo.
-
-Allora a poco a poco allo stupore, al murmure incerto, alle titubanze
-successe un giubilo senza limiti, un coro di esaltazioni clamorose,
-un'alata ebrietà canora. Anna, in ginocchio, ancora assorta nel
-rapimento del miracolo, non aveva conoscenza di quel che in torno
-avveniva. Ma quando i cantici con una maggior veemenza furono ripresi,
-ella cantò. La sua nota su dalla cadente onda del coro ad intervalli
-emerse, poichè le divote diminuivano la forza delle voci per ascoltare
-quella unica che dalla grazia divina era stata riconcessa. E la Vergine
-nei cantici a volta a volta fu l'incensiere d'oro onde esalavano i
-balsami più dolci, la lampada che dì e notte rischiarava il santuario,
-l'urna che racchiudeva la manna del cielo, il roveto che ardeva senza
-consumarsi, lo stelo di Iesse che portava il più bello di tutti i
-fiori.
-
-Dopo, la fama del miracolo si sparse dal monastero in tutto il
-paese di Ortona, e dal paese in tutte le terre finitime, aumentando
-nel viaggio. E il monastero sorse in grande onore. Donna Blandina
-Onofrii, la magnifica, offerse alla Madonna dell'oratorio una veste
-di broccato d'argento e una rara collana di turchesi venuta dall'isola
-di Smirne. Le altre gentildonne ortonesi offersero altri minori doni.
-L'arcivescovo d'Orsogna fece con pompa una visita gratulatoria, in cui
-rivolse parole di edificante eloquenza ad Anna che «con la purità della
-vita si era resa degna dei doni celesti.»
-
-Nell'agosto del 1876 sopravvennero nuovi prodigi. L'inferma, quando si
-avvicinava il vespro, cadeva in uno stato di estasi con catalessia;
-donde sorgeva poi quasi con impeto. E in piedi, conservando sempre
-la medesima attitudine, cominciava a parlare, da prima lentamente, e
-quindi gradatamente accelerando, come sotto l'urgenza di un'ispirazione
-mistica. Il suo eloquio non era se non un miscuglio tumultuario
-di parole, di frasi, di interi periodi già innanzi appresi, che
-ora nella sua inconsapevolezza si riproducevano, frammentandosi o
-combinandosi senza legge. Le native forme dialettali s'innestavano
-alle forme auliche, s'insinuavano nelle iperboli del linguaggio
-biblico; e mostruosi congiungimenti di sillabe, inauditi accordi di
-suoni avvenivano nel disordine. Ma il profondo tremito della voce,
-ma i cangiamenti repentini dell'inflessione, l'alterno ascendere e
-discendere del tono, la spiritualità della figura estatica, il mistero
-dell'ora, tutto concorreva a soggiogare gli animi delle astanti.
-
-Gli effetti si ripeterono cotidianamente, con una regolarità
-periodica. Sul vespro, nell'oratorio si accendevano le lampade; le
-monache facevano la cerchia inginocchiandosi; e la rappresentazione
-sacra incominciava. Come l'inferma entrava nell'estasi catalettica,
-i preludii vaghi dell'organo rapivano gli animi delle religiose in
-una sfera superiore. Il lume delle lampade si diffondeva fievole
-dall'alto, dando un'incertitudine aerea e quasi una morente dolcezza
-all'apparenza delle cose. A un punto l'organo taceva. La respirazione
-nell'inferma diveniva più profonda; le braccia le si distendevano così
-che nei polsi scarnificati i tendini vibravano simili alle corde di uno
-strumento. Poi, d'un tratto, l'inferma balzava in piedi, incrociava le
-braccia sul petto, restando nell'atteggiamento mistico delle cariatidi
-d'un battistero. E la sua voce risonava nel silenzio, ora dolce, ora
-lugubre, ora quasi canora, quasi sempre incomprensibile.
-
-Su i principii del 1877 questi accessi diminuirono di frequenza; si
-presentarono due o tre volte la settimana; poi disparvero totalmente,
-lasciando il corpo della donna in uno stato miserevole di debolezza.
-E allora alcuni anni passarono, in cui la povera idiota visse tra
-sofferenze atroci, con le membra rese inerti dagli spasimi articolari.
-Ella non aveva più alcuna cura della nettezza; non si cibava se
-non di pane molle e di pochi erbaggi; teneva in torno al collo, sul
-petto, una gran quantità di piccole croci, di reliquie, d'imagini,
-di corone; parlava balbettando per la mancanza dei denti; e i suoi
-capelli cadevano, i suoi occhi erano già torbidi come quelli dei vecchi
-giumenti che stanno per morire.
-
-Una volta, di maggio, mentre ella soffriva deposta sotto il portico
-e le suore in torno coglievano per Maria le rose, le passò dinanzi
-la testuggine che ancora traeva la sua vita pacifica e innocente nel
-verziere claustrale. La vecchia vide quella forma muoversi e a poco a
-poco allontanarsi. Nessun ricordo le si destò nell'anima. La testuggine
-si perse tra i cespi dei timi.
-
-Ma le suore consideravano la imbecillità e la infermità della donna
-come una di quelle supreme prove di martirio a cui il Signore chiama
-gli eletti per santificarli e glorificarli poi nel paradiso; e
-circondavano di venerazione e di cure l'idiota.
-
-Nell'estate del 1881 apparvero i segni della morte prossima. Consunto
-e piagato, quel miserabile corpo omai nulla più conservava di umano.
-Lente deformazioni avevano viziata la positura delle membra; tumori
-grossi come pomi sporgevano sotto un fianco, su una spalla, dietro la
-nuca.
-
-La mattina del 10 settembre, verso l'ottava ora, un sussulto della
-terra scosse dalle fondamenta Ortona. Molti edifici precipitarono,
-altri furono offesi nei tetti e nelle pareti, altri s'inclinarono
-e s'abbassarono. E tutta la buona gente di Ortona, con pianti, con
-grida, con invocazioni, con gran chiamare di santi e di madonne, uscì
-fuori delle porte, e si raunò sul piano di San Rocco, temendo maggiori
-pericoli. Le monache, prese dal pànico, infransero la clausura;
-irruppero su la via, scarmigliate, cercando salvezza. Quattro di loro
-portavano Anna sopra una tavola. E tutte trassero al piano, verso il
-popolo incolume.
-
-Come esse giunsero in vista del popolo, unanimi clamori si levarono,
-poichè la presenza delle religiose parve propizia. In ogni parte, d'in
-torno, giacevano infermi, vecchi impediti, fanciulli in fasce, donne
-stupide per la paura. Un bellissimo sole mattutino illustrava le teste
-tumultuanti, il mare, i vigneti; e accorrevano dalla spiaggia inferiore
-i marinai, cercando le mogli, chiamando i figli per nome, ansanti per
-la salita, rochi; e da Caldara cominciavano a venire mandre di pecore e
-di bovi con i pastori, branchi di gallinacci con le femmine guardiane,
-giumenti; poichè tutti temevano la solitudine, e tutti, uomini e
-bestie, nel frangente si accomunavano.
-
-Anna, adagiata sul suolo, sotto un olivo, sentendo prossima la morte,
-si rammaricava con un balbettìo fievole, perchè non voleva morire senza
-i sacramenti; e le monache d'in torno le davano conforto; e gli astanti
-la guardavano con pietà. Ora, d'improvviso, tra il popolo una voce si
-sparse, che da Porta-Caldara sarebbe uscito il busto dell'Apostolo. Le
-speranze risorgevano; canti di rogazione risorgevano nell'aria. Come da
-lungi vibrò un incognito luccichío, le donne s'inginocchiarono; e con i
-capelli disciolti, lacrimose, si misero a camminare su le ginocchia, in
-contro al luccichío, salmodiando.
-
-Anna agonizzava. Sostenuta da due suore, udì le preghiere, udì
-l'annunzio; e forse in un'ultima illusione travide l'Apostolo veniente,
-poichè nella faccia cava le passò quasi un sorriso di gaudio. Alcune
-bolle di saliva le apparvero su le labbra; un'ondulazione brusca le
-corse e ricorse, visibile, le estremità del corpo; su gli occhi le
-palpebre le caddero, rossastre come per sangue stravasato; il capo le
-si ritrasse nelle spalle. E la vergine Anna così alfine spirò. Quando
-il luccichío si fece più da presso alle donne adoranti, si chiarì
-nel sole la forma di un giumento che portava in bilico su la groppa,
-secondo il costume, una banderuola di metallo.
-
-
-
-
-GLI IDOLATRI.
-
-
-I.
-
-La gran piazza sabbiosa scintillava come sparsa di pomice in polvere.
-Tutte le case a torno imbiancate di calce parevano roventi come
-muraglie d'una immensa fornace che fosse per estinguersi. In fondo,
-i pilastri della chiesa riverberavano l'irradiamento delle nuvole
-e si facevano roggi come di granito; le vetrate balenavano quasi
-contenessero lo scoppio d'un incendio interno; le figurazioni sacre
-prendevano un'aria viva di colori e di attitudini; tutta la mole ora,
-sotto lo splendore della meteora crepuscolare, assumeva una più alta
-potenza di dominio su le case dei Radusani.
-
-Volgevano dalle strade alla piazza gruppi d'uomini e di femmine
-vociferando e gesticolando. In tutti gli animi il terrore superstizioso
-ingigantiva rapidamente; da tutte quelle fantasie incolte mille imagini
-terribili di castigo divino si levavano; i commenti, le contestazioni
-ardenti, le scongiurazioni lamentevoli, i racconti sconnessi,
-le preghiere, le grida si mescevano in un rumorìo cupo d'uragano
-imminente. Già da più giorni quei rossori sanguigni indugiavano
-nel cielo dopo il tramonto, invadevano la tranquillità della notte,
-illuminavano tragicamente i sonni delle campagne, suscitavano gli urli
-dei cani.
-
-— Giacobbe! Giacobbe! — gridavano, agitando le braccia, alcuni che fin
-allora avevano parlato a voce bassa, innanzi alla chiesa, stretti in
-torno a un pilastro del vestibolo. — Giacobbe!
-
-Usciva dalla porta madre e si accostava agli appellanti un uomo lungo
-e macilento che pareva infermo di febbre etica, calvo su la sommità
-del cranio e coronato alle tempie e alla nuca di certi lunghi capelli
-rossicci. I suoi piccoli occhi cavi erano animati come dall'ardore di
-una passione profonda, un po' convergenti verso la radice del naso,
-d'un colore incerto. La mancanza dei due denti d'avanti nella mascella
-superiore dava all'atto della sua bocca nel profferire le parole
-e al moto del mento aguzzo sparso di peli una singolare apparenza
-di senilità faunesca. Tutto il resto del corpo era una miserabile
-architettura di ossa mal celata nei panni; e su le mani, su i polsi,
-sul riverso delle braccia, sul petto la cute era piena di segni
-turchini, di incisioni fatte a punta di spillo e a polvere d'indaco,
-in memoria de' santuarii visitati, delle grazie ricevute, dei voti
-sciolti.
-
-Come il fanatico giunse presso al gruppo del pilastro, una confusione
-di domande si levò da quelli uomini ansiosi. — Dunque? Che aveva detto
-Don Cònsolo? Facevano uscire soltanto il braccio d'argento? E tutto
-il busto non era meglio? Quando tornava Pallura con le candele? Erano
-cento libbre di cera? Soltanto cento libbre? E quando cominciavano le
-campane a suonare? Dunque? Dunque?
-
-I clamori aumentarono in torno a Giacobbe; i più lontani si strinsero
-verso la chiesa; da tutte le strade la gente si riversò su la piazza
-e la riempì. E Giacobbe rispondeva agli interroganti, parlava a voce
-bassa, come se rivelasse segreti terribili, come se apportasse profezie
-da lontano. Egli aveva veduto nell'alto, in mezzo al sangue, una mano
-minacciosa, e poi un velo nero, e poi una spada e una tromba...
-
-«Racconta! racconta!» incitavano gli altri, guardandosi in faccia,
-presi da una strana avidità di ascoltare cose meravigliose; mentre la
-favola di bocca in bocca si spandeva rapidamente per la moltitudine
-assembrata.
-
-
-II.
-
-La gran plaga vermiglia dall'orizzonte saliva lentamente verso lo
-zenit, tendeva ad occupare tutta la cupola del cielo. Un vapore di
-fusi metalli pareva ondeggiare su i tetti delle case; e nel chiarore
-discendente dal crepuscolo raggi sulfurei e violetti si mescolavano
-con un tremolìo d'iridescenza. Una lunga striscia più luminosa fuggiva
-verso una strada sboccante su l'argine dei fiume; e s'intravedeva al
-fondo il fiammeggiamento delle acque tra i fusti lunghi e smilzi dei
-pioppetti; poi un lembo di campagna brulla, dove le vecchie torri
-saracene si levavano confusamente come isolotti di pietra fra le
-caligini. Le emanazioni affocanti del fieno mietuto si spandevano
-nell'aria: era a tratti come un odore di bachi putrefatti tra la
-frasca. Stuoli di rondini attraversavano lo spazio con molto schiamazzo
-di stridi, trafficando dai greti del fiume alle gronde.
-
-Nella moltitudine il mormorìo era interrotto da silenzii di
-aspettazione. Il nome di Pallura circolava per le bocche; impazienze
-irose scoppiavano qua e là. Lungo la strada del fiume non si vedeva
-ancora apparire il traino; le candele mancavano; Don Cònsolo indugiava
-per questo ad esporre le reliquie, a fare gli esorcismi; e il pericolo
-soprastava. Il pànico invadeva tutta quella gente ammassata come una
-mandra di bestie, non osante più di sollevare gli occhi al cielo.
-Dai petti delle femmine cominciarono a rompere i singhiozzi; e una
-costernazione suprema oppresse e istupidì le coscienze al suono di quel
-pianto.
-
-Allora le campane finalmente squillarono Come i bronzi stavano a
-poca altezza, il fremito cupo del rintocco sfiorò tutte le teste; e
-una specie di ululato continuo si propagava nell'aria tra un colpo e
-l'altro.
-
-— San Pantaleone! San Pantaleone!
-
-Fu un immenso grido unanime di disperati che chiedevano aiuto. Tutti in
-ginocchio, con le mani tese, con la faccia bianca, imploravano.
-
-— San Pantaleone!
-
-Apparve su la porta della chiesa, in mezzo al fumo di due turiboli,
-Don Cònsolo scintillante in una pianeta violetta a ricami d'oro.
-Egli teneva in alto il sacro braccio d'argento, e scongiurava l'aria
-gridando le parole latine:
-
-— _Ut fidelibus tuis aeris serenitatem concedere digneris, Te rogamus,
-audi nos._
-
-L'apparizione della reliquia eccitò un delirio di tenerezza nella
-moltitudine. Scorrevano lagrime da tutti gli occhi; e a traverso il
-velo lucido delle lagrime gli occhi vedevano un miracoloso fulgore
-celeste emanare dalle tre dita in alto atteggiate a benedire. La
-figura del braccio pareva ora più grande nell'aria accesa; i raggi
-crepuscolari suscitavano barbagli variissimi nelle pietre preziose; il
-balsamo dell'incenso si spargeva rapidamente per le nari devote.
-
-— _Te rogamus, audi nos!_
-
-Ma, quando il braccio rientrò e le campane si arrestarono, nel
-momentaneo silenzio un tintinnìo prossimo di sonagli si udì, che veniva
-dalla strada del fiume. E avvenne allora un repentino movimento di
-concorso verso quella parte e molti dicevano:
-
-— È Pallura con le candele! È Pallura che arriva! Ecco Pallura!
-
-Il traino si avanzava scricchiolando su la ghiaia, al passo di una
-pesante cavalla grigia a cui il gran corno d'ottone brillava, simile a
-una bella mezzaluna, su la groppa. Come Giacobbe e gli altri si fecero
-in contro, la pacifica bestia si fermò soffiando forte dalle narici. E
-Giacobbe, che s'accostò primo, subito vide disteso in fondo al traino
-il corpo di Pallura tutto sanguinante, e si mise a urlare agitando le
-braccia verso la folla:
-
-— È morto! E morto!
-
-
-III.
-
-La triste novella si propagò in un baleno. La gente si accalcava in
-torno al traino, tendeva il collo per vedere qualche cosa, non pensava
-più alle minacce dell'alto, colpita dal nuovo caso inaspettato, invasa
-da quella natural curiosità feroce che gli uomini hanno in cospetto del
-sangue.
-
-— È morto? Come è morto?
-
-Pallura giaceva supino su le tavole, con una larga ferita in mezzo
-alla fronte, con un orecchio lacerato, con strappi per le braccia, nei
-fianchi, in una coscia. Un rivo tiepido gli colava per il cavo degli
-occhi giù giù sino al mento ed al collo, gli chiazzava la camicia, gli
-formava grumi nerastri e lucenti sul petto, su la cintola di cuoio, fin
-su le brache. Giacobbe stava chino sopra quel corpo; tutti gli altri a
-torno attendevano; una luce d'aurora illuminava i volti perplessi; e,
-in quel momento di silenzio, dalla riva del fiume si levava il cantico
-delle rane, e i pipistrelli passavano e ripassavano rasente le teste.
-
-D'improvviso Giacobbe drizzandosi, con una gota macchiata di sangue,
-gridò:
-
-— Non è morto. Respira ancora.
-
-Un mormorìo sordo corse per la folla, e i più vicini si protesero
-per guardare; e l'inquietudine dei lontani cominciò a rompere in
-clamori. Due donne portarono un boccale d'acqua, un'altra portò qualche
-brandello di tela; un giovinetto offerse una zucca piena di vino.
-Fu lavata la faccia al ferito, fu fermato il flusso del sangue alla
-fronte, fu rialzato il capo. Sorsero quindi alte le voci, chiedendo
-le cause del fatto. — Le cento libbre di cera mancavano; appena pochi
-frantumi di candela rimanevano tra gli interstizi delle tavole nel
-fondo del traino.
-
-I giudizii, in mezzo al sommovimento, di più in più si accendevano e
-s'inasprivano e cozzavano. E, come un antico odio ereditario ferveva
-contro il paese di Mascálico, posto di contro su l'altra riva del
-fiume, Giacobbe disse con la voce rauca, velenosamente:
-
-— Che i ceri sieno serviti a S. Gonselvo?
-
-Allora fu come una scintilla d'incendio. Lo spirito di chiesa si
-risvegliò d'un tratto in quella gente abbrutita per tanti anni nel
-culto cieco e feroce del suo unico idolo. Le parole del fanatico
-di bocca in bocca si propagarono. E, sotto il rossore tragico del
-crepuscolo, la moltitudine tumultuante aveva apparenza d'una tribù di
-negri ammutinati.
-
-Il nome del santo rompeva da tutte le gole, come un grido di guerra. I
-più ardenti gittavano imprecazioni contro la parte del fiume, agitando
-le braccia, tendendo i pugni. Poi, tutti quei volti accesi dalla
-collera e dalla luce, larghi e possenti, a cui i cerchi d'oro degli
-orecchi e il gran ciuffo della fronte davano uno strano aspetto di
-barbarie, tutti quei volti si tesero verso il giacente, si addolcirono
-di misericordia. Fu in torno al traino una sollecitudine pietosa di
-femmine che volevano rianimare l'agonizzante: tante mani amorevoli gli
-cambiarono le strisce di tela su le ferite, gli spruzzarono d'acqua
-la faccia, gli accostarono alle labbra bianche la zucca del vino, gli
-composero una specie di guanciale più molle sotto la testa.
-
-— Pallura, povero Pallura, non rispondi?
-
-Egli stava supino, con gli occhi chiusi, con la bocca semiaperta,
-con una lanugine bruna su le gote e sul mento, con una mite beltà di
-giovinezza ancora trasparente dai tratti tesi nella convulsione del
-dolore. Di sotto alla fasciatura della fronte gli colava un fil di
-sangue giù per la tempia; agli angoli della bocca apparivano piccole
-bolle di schiuma rossigna; e dalla gola gli usciva una specie di sibilo
-fioco, interrotto. Intorno a lui le cure, le domande, gli sguardi
-febbrili crescevano. La cavalla ogni tanto scoteva la testa e nitriva
-verso le case. Un'ansietà come d'uragano imminente pesava su tutto il
-paese.
-
-S'intesero allora grida feminili verso la piazza, grida di madre,
-che parvero più alte in mezzo al subitaneo ammutolimento di tutte le
-altre voci. E una donna enorme, soffocata dall'adipe, attraversò la
-folla, giunse gridando presso al traino. Come ella era grave e non
-poteva salirvi, s'abbattè su i piedi del figlio, con parole d'amore
-tra i singhiozzi, con laceramenti così acuti di voce rotta e con una
-espressione di dolore così terribilmente bestiale che per tutti gli
-astanti corse un brivido e tutti rivolsero altrove la faccia.
-
-— Zaccheo! Zaccheo! cuore mio! gioia mia! — gridava la vedova, senza
-finire, baciando i piedi del ferito, attraendolo a sè verso terra.
-
-Il ferito si rimosse, torse la bocca per lo spasimo, aprì gli occhi in
-alto; ma certo non potè vedere, perchè una specie di pellicola umida
-gli copriva lo sguardo. Grosse lagrime incominciarono a sgorgargli
-dagli angoli delle palpebre e a scorrere giù per le guance e pel collo;
-la bocca gli rimase torta; nel sibilo fioco della gola si sentì un vano
-sforzo di favella. E in torno incalzavano:
-
-— Parla, Pallura! Chi t'ha ferito? Chi t'ha ferito? Parla! Parla!
-
-E sotto la domanda fremevano le ire, si addensavano i furori, un sordo
-tumulto di vendicazione si riscoteva, e l'odio ereditario ribolliva
-nell'animo di tutti.
-
-— Parla! Chi t'ha ferito? Dillo a noi! Dillo a noi!
-
-Il moribondo aprì gli occhi un'altra volta; e come gli tenevano serrate
-ambo le mani, forse per quel vivo contatto di calore gli spiriti un
-istante gli si ridestarono, lo sguardo si illuminò. Egli ebbe su le
-labbra un balbettamento vago, tra la schiuma che sopravveniva più
-copiosa e più sanguigna. Non si capivano ancora le parole. Si udì nel
-silenzio la respirazione della moltitudine anelante, e gli occhi ebbero
-in fondo una sola fiamma, poichè tutti gli animi attendevano una parola
-sola.
-
-— ... Ma... Ma... Ma... scálico...
-
-— Mascálico! Mascálico! urlò Giacobbe che stava chino, con l'orecchio
-teso, ad afferrare le sillabe fievoli da quella bocca morente.
-
-Un fragore immenso accolse il grido. Nella moltitudine fu dapprima un
-mareggiamento confuso di tempesta. Poi, quando una voce soverchiante il
-tumulto gittò l'allarme, la moltitudine a furia si sbandò. Un pensiero
-solo incalzava quelli uomini, un pensiero che pareva balenato a tutte
-le menti in un attimo: armarsi di qualche cosa per colpire. Su tutte
-le coscienze instava una specie di fatalità sanguinaria, sotto il gran
-chiaror torvo del crepuscolo, in mezzo all'odore elettrico emanante
-dalla campagna ansiosa.
-
-
-IV.
-
-E la falange, armata di falci, di ronche, di scuri, di zappe, di
-schioppi, si riunì su la piazza, dinanzi alla chiesa. E gli idolatri
-gridavano:
-
-— San Pantaleone!
-
-Don Cònsolo, atterrito dallo schiamazzo, s'era rifugiato in fondo
-a uno stallo, dietro l'altare. Un manipolo di fanatici, condotto da
-Giacobbe, penetrò nella cappella maggiore, forzò le grate di bronzo,
-giunse nel sotterraneo, dove il busto del santo si custodiva. Tre
-lampade, alimentate d'olio d'oliva, ardevano dolcemente nell'aria umida
-del sacrario; dietro un cristallo, l'idolo cristiano scintillava con
-la testa bianca in mezzo a un gran disco solare; e le pareti sparivano
-sotto la ricchezza dei doni.
-
-Quando l'idolo, portato su le spalle da quattro ercoli, si mostrò
-alfine tra i pilastri del vestibolo, e s'irraggiò alla luce aurorale,
-un lungo anelito di passione corse il popolo aspettante, un fremito
-come d'un vento di gioia volò sopra tutte le fronti. E la colonna si
-mosse. E la testa enorme del santo oscillava in alto, guardando innanzi
-a sè dalle due orbite vuote.
-
-Nel cielo ora, in mezzo all'accensione eguale e cupa, a tratti
-passavano solchi di meteore più vive; gruppi di nuvole sottili
-si distaccavano dall'orlo della zona, e galleggiavano lentamente
-dissolvendosi. Tutto il paese di Radusa appariva in dietro come un
-monte di cenere che covasse il fuoco; e, dinanzi, le masse della
-campagna si perdevano con un luccichìo indistinto. Un gran cantico di
-rane empiva la sonorità della solitudine.
-
-Su la strada del fiume il traino di Pallura fece ostacolo all'incedere.
-Era vuoto, ma conservava tracce di sangue in più parti. Imprecazioni
-irose scoppiarono d'improvviso nel silenzio. Giacobbe gridò:
-
-— Mettiamoci il santo!
-
-E il busto fu posato su le tavole e tirato a forza di braccia nel
-guado. La processione di battaglia così attraversava il confine. Lungo
-le file correvano lampi metallici; le acque invase rompevano in sprazzi
-luminosi, e tutta una corrente rossa fiammeggiava fra i pioppetti,
-nel lontano, verso le torri quadrangolari. Mascálico si scorgeva su
-una piccola altura, in mezzo agli olivi, dormente. I cani abbaiavano
-qua e là, con una furiosa persistenza di risposte. La colonna, uscita
-dal guado, abbandonando la via comune, avanzava a passi rapidi per una
-linea diretta che tagliava i campi. Il busto d'argento era portato di
-nuovo a spalle, dominava le teste degli uomini tra il grano altissimo,
-odorante e tutto stellante di lucciole vive.
-
-D'improvviso, un pastore, che stava dentro un covile di paglia a
-guardare il grano, invaso da un pazzo sbigottimento in cospetto di
-tanta gente armata, si diede a fuggire su per la costa, strillando a
-squarciagola:
-
-— Aiuto! aiuto!
-
-E gli strilli echeggiavano nell'oliveto.
-
-Allora fu che i Radusani fecero impeto. Fra i tronchi degli alberi,
-fra le canne secche, il santo di argento traballava, dava tintinni
-sonori agli urti dei rami, s'illuminava di lampi vivissimi ad ogni
-accenno di precipizio. Dieci, dodici, venti schioppettate grandinarono
-in un balenìo vibrante, una dopo l'altra su la massa delle case. Si
-udirono crepiti, poi grida; poi si udì un gran sommovimento clamoroso:
-alcune porte si aprirono, altre si chiusero; caddero vetri in frantumi,
-caddero vasi di basilico, spezzati su la via. Un fumo bianco si
-levava nell'aria placidamente, dietro la corsa degli assalitori, su
-per l'incandescenza celeste. Tutti, accecati, in una furia belluina,
-gridavano:
-
-— A morte! a morte!
-
-Un gruppo di idolatri si manteneva in torno a san Pantaleone. Vituperii
-atroci contro san Gonselvo irrompevano tra l'agitazione delle falci e
-delle ronche brandite.
-
-— Ladro! Ladro! Pezzente! Le candele! Le candele!
-
-Altri gruppi prendevano d'assalto le porte delle case, a colpi
-d'accetta. E, come le porte sgangherate e scheggiate cadevano, i
-Pantaleonidi saltavano nell'interno urlando, per uccidere. Femmine
-seminude si rifugiavano negli angoli, implorando pietà; si difendevano
-dai colpi, afferrando le armi e tagliandosi le dita; rotolavano distese
-sul pavimento, in mezzo a mucchi di coperte e di lenzuoli da cui
-uscivano le loro flosce carni nutrite di rape.
-
-Giacobbe alto smilzo rossastro, fascio di aride ossa reso formidabile
-dalla passione, condottiero della strage, si arrestava ad ogni tratto
-per fare un largo gesto imperatorio sopra tutte le teste con una gran
-falce fienaia. Andava innanzi, impavido, senza cappello, nel nome di
-san Pantaleone. Più di trenta uomini lo seguivano. E tutti avevano la
-sensazione confusa e ottusa di camminare in mezzo a un incendio, sopra
-un terreno oscillante, sotto una vôlta ardente che fosse per crollare.
-
-Ma da ogni parte cominciarono ad accorrere i difensori, i Mascalicesi
-forti e neri come mulatti, sanguinarii, che si battevano con lunghi
-coltelli a scatto, e tiravano al ventre e alla gola, accompagnando di
-voci gutturali il colpo. La mischia si ritraeva a poco a poco verso la
-chiesa; dai tetti di due o tre case già scoppiavano le fiamme; un'orda
-di femmine e di fanciulli fuggiva a precipizio tra gli olivi, presa dal
-pánico, senza più lume negli occhi.
-
-Allora tra i maschi, senza impedimento di lagrime e di lamenti, la
-lotta a corpo a corpo si strinse più feroce. Sotto il cielo color di
-ruggine, il terreno si copriva di cadaveri. Stridevano vituperii mozzi
-tra i denti dei colpiti; e continuo tra i clamori persisteva il grido
-dei Radusani:
-
-— Le candele! Le candele!
-
-Ma la porta della chiesa restava sbarrata, enorme, tutta di quercia,
-stellante di chiodi. I Mascalicesi la difendevano contro gli urti e
-contro le scuri. Il santo d'argento, impassibile e bianco, oscillava
-nel folto della mischia, ancora sostenuto su le spalle dei quattro
-ercoli che sanguinavano tutti dalla testa ai piedi, non volendo cadere.
-Ed era nel supremo voto degli assalitori mettere l'idolo su l'altare
-del nemico.
-
-Ora mentre i Mascalicesi si battevano da leoni, prodigiosamente, sul
-gradino di pietra, Giacobbe disparve all'improvviso, girò il fianco
-dell'edifizio, cercando un varco non difeso per penetrare nel sacrario.
-E come vide un'apertura a poca altezza da terra, vi si arrampicò,
-vi rimase tenuto ai fianchi dall'angustia, vi si contorse, fin che
-non giunse a far passare il suo lungo corpo giù per lo spiraglio. Il
-cordiale aroma dell'incenso vaniva nel gelo notturno della casa di Dio.
-A tentoni nel buio, guidato dal fragore della pugna esterna, quell'uomo
-camminò verso la porta, inciampando nelle sedie, ferendosi alla faccia,
-alle mani. Rimbombava già il lavorio furioso delle accette radusane
-su la durezza della quercia, quando egli cominciò con un ferro a
-forzare le serrature, anelante, soffocato da una violenta palpitazione
-di ambascia che gli diminuiva la forza, con la vista attraversata da
-bagliori fatui, con le ferite che gli dolevano e gli mettevano un'onda
-tiepida giù per la cute.
-
-— San Pantaleone! San Pantaleone! — gridarono di fuori le voci rauche
-de' suoi che sentivano cedere lentamente la porta, raddoppiando gli
-urti e i colpi di scure. A traverso il legno giungeva lo schianto grave
-dei corpi che stramazzavano, il colpo secco del coltello che inchiodava
-là qualcuno per le reni. E pareva a Giacobbe che tutta la navata
-rimbombasse al battito del suo selvaggio cuore.
-
-
-V.
-
-Dopo un ultimo sforzo, la porta si aprì. I Radusani si precipitarono
-con un immenso urlo di vittoria, passando su i corpi degli uccisi,
-traendo il santo d'argento all'altare. E una viva oscillazione di
-riverberi invase d'un tratto l'oscurità della navata, fece brillare
-l'oro dei candelabri, le canne dell'organo, in alto. E in quel chiaror
-fulvo, che or sì or no dall'incendio delle prossime case vibrava
-dentro, una seconda lotta si strinse. I corpi avviluppati rotolavano
-su i mattoni, non si distaccavano più, balzavano insieme qua e là nei
-divincolamenti della rabbia, urtavano e finivano sotto le panche, su
-i gradini delle cappelle, contro gli spigoli dei confessionali. Nella
-concavità raccolta della casa di Dio, il suono agghiacciante del ferro
-che penetra nelle carni o che scivola su le ossa, quell'unico gemito
-rotto dell'uomo che è colpito in una parte vitale, quello scricchiolìo
-che dà la cassa del cranio nell'infrangersi al colpo, il ruggito di chi
-non vuol morire, l'ilarità atroce di chi è giunto ad uccidere, tutto
-distintamente si ripercoteva. E il mite odore dell'incenso vagava sul
-conflitto.
-
-L'idolo d'argento non anche aveva attinto la gloria dell'altare, poichè
-un cerchio ostile ne precludeva l'accesso. Giacobbe si batteva con la
-falce, ferito in più parti, senza cedere un palmo del gradino che primo
-aveva conquistato. Non rimanevano se non due a sorreggere il santo.
-L'enorme testa bianca barcollava come ebra sul bulicame del sangue
-iroso. I Mascalicesi imperversavano.
-
-Allora san Pantaleone cadde sul pavimento, dando un tintinno acuto
-che penetrò nel cuore di Giacobbe più a dentro che punta di coltello.
-Come il rosso falciatore si slanciò per rialzarlo, un gran diavolo
-d'uomo con un colpo di ronca stese il nemico su la schiena. Due volte
-questi si risollevò, e altri due colpi lo rigettarono. Il sangue gli
-inondava tutta la faccia e il petto e le mani; per le spalle e per le
-braccia le ossa gli biancicavano scoperte nei tagli profondi; ma pure
-egli si ostinava a riavventarsi. Inviperiti da quella feroce tenacità
-di vita, tre, quattro, cinque bifolchi insieme gli diedero a furia nel
-ventre d'onde le viscere sgorgarono. Il fanatico cadde riverso, battè
-la nuca sul busto d'argento, si rivoltò d'un tratto bocconi con la
-faccia contro il metallo, con le branche stese innanzi, con le gambe
-contratte. E san Pantaleone fu perduto.
-
-
-
-
-L'EROE.
-
-
-Già i grandi stendardi di San Gonselvo erano usciti su la piazza ed
-oscillavano nell'aria pesantemente. Li reggevano in pugno uomini di
-statura erculea, rossi in volto e con il collo gonfio di forza, che
-facevano giuochi.
-
-Dopo la vittoria su i Radusani, la gente di Mascalico celebrava la
-festa di settembre con magnificenza nuova. Un meraviglioso ardore
-di religione teneva gli animi. Tutto il paese sacrificava la recente
-ricchezza del fromento a gloria del Patrono. Su le vie, da una finestra
-all'altra, le donne avevano tese le coperte nuziali. Gli uomini avevano
-inghirlandato di verzura le porte e infiorato le soglie. Come soffiava
-il vento, per le vie era un ondeggiamento immenso e abbarbagliante di
-cui la turba si inebriava.
-
-Dalla chiesa la processione seguitava a svolgersi e ad allungarsi su
-la piazza. Dinanzi all'altare, dove san Pantaleone era caduto, otto
-uomini, i privilegiati, aspettavano il momento di sollevare la statua
-di san Gonselvo; e si chiamavano: Giovanni Curo, l'Ummálido, Mattalà,
-Vincenzio Guanno, Rocco di Céuzo, Benedetto Galante, Biagio di Clisci,
-Giovanni Senzapaura. Essi stavano in silenzio, compresi della dignità
-del loro ufficio, con la testa un po' confusa. Parevano assai forti;
-avevano l'occhio ardente dei fanatici; portavano agli orecchi, come le
-femmine, due cerchi d'oro. Di tanto in tanto si toccavano i bicipiti
-e i polsi, come per misurarne la vigoria; o tra loro si sorridevano
-fuggevolmente.
-
-La statua del Patrono era enorme, di bronzo vuoto, nerastra, con la
-testa e con le mani di argento, pesantissima.
-
-Disse Mattalà:
-
-— Avande!
-
-In torno, il popolo tumultuava per vedere. Le vetrate della chiesa
-romoreggiavano ad ogni colpo di vento. La navata fumigava di incenso
-e di belzuino. I suoni degli stromenti giungevano ora sì ora no. Una
-specie di febbre religiosa prendeva gli otto uomini, in mezzo a quella
-turbolenza. Essi tesero le braccia, pronti. Disse Mattalà:
-
-— Una!... Dua!... Trea!...
-
-Concordemente, gli uomini fecero Io sforzo per sollevare la statua
-di su l'altare. Ma il peso era soverchiante: la statua barcollò a
-sinistra. Gli uomini non avevano potuto ancora bene accomodare le mani
-intorno alla base per prendere. Si curvavano tentando di resistere.
-Biagio di Clisci e Giovanni Curo, meno abili, lasciarono andare. La
-statua piegò tutta da una parte, con violenza. L'Ummálido gittò un
-grido.
-
-— Abbada! Abbada! — vociferavano intorno, vedendo pericolare il
-Patrono. Dalla piazza veniva un frastuono grandissimo che copriva le
-voci.
-
-L'Ummálido era caduto in ginocchio; e la sua mano destra era rimasta
-sotto il bronzo. Così, in ginocchio, egli teneva gli occhi fissi alla
-mano che non poteva liberare, due occhi larghi, pieni di terrore e di
-dolore; ma la sua bocca torta non gridava più. Alcune gocce di sangue
-rigavano l'altare.
-
-I compagni, tutt'insieme, fecero forza un'altra volta per sollevare il
-peso. L'operazione era difficile. L'Ummálido, nello spasimo, torceva la
-bocca. Le femmine spettatrici rabbrividivano.
-
-Finalmente la statua fu sollevata; e l'Ummálido ritrasse la mano
-schiacciata e sanguinolenta che non aveva più forma.
-
-— Va a la casa, mo! Va a la casa! — gli gridava la gente, sospingendolo
-verso la porta della chiesa.
-
-Una femmina si tolse il grembiule e gliel'offerse per fasciatura.
-L'Ummálido rifiutò. Egli non parlava; guardava un gruppo d'uomini che
-gesticolavano in torno alla statua e contendevano.
-
-— Tocca a me!
-
-— No, no! Tocca a me!
-
-— No! a me!
-
-Cicco Ponno, Mattia Scafarola e Tommaso di Clisci gareggiavano per
-sostituire nell'ottavo posto di portatore l'Ummálido.
-
-Costui si avvicinò ai contendenti. Teneva la mano rotta lungo il
-fianco, e con l'altra mano si apriva il passo.
-
-Disse semplicemente:
-
-— Lu poste è lu mi'.
-
-E porse la spalla sinistra a sorreggere il Patrono. Egli soffocava il
-dolore stringendo i denti, con una volontà feroce.
-
-Mattalà gli chiese:
-
-— Tu che vuo' fa'?
-
-Egli rispose:
-
-— Quelle che vo' sante Gunzelve.
-
-E, insieme con gli altri, si mise a camminare.
-
-La gente lo guardava passare, stupefatta.
-
-Di tanto in tanto, qualcuno, vedendo la ferita che dava sangue e
-diventava nericcia, gli chiedeva al passaggio:
-
-— L'Ummá, che tieni?
-
-Egli non rispondeva. Andava innanzi gravemente, misurando il passo
-al ritmo delle musiche, con la mente un po' alterata, sotto le vaste
-coperte che sbattevano al vento, tra la calca che cresceva.
-
-All'angolo d'una via cadde, tutt'a un tratto. Il santo si fermò un
-istante e barcollò, in mezzo a uno scompiglio momentaneo: poi si rimise
-in cammino. Mattia Scafarola subentrò nel posto vuoto. Due parenti
-raccolsero il tramortito e lo portarono nella casa più vicina.
-
-Anna di Céuzo, ch'era una vecchia femmina esperta nel medicare le
-ferite, guardò il membro informe e sanguinante; e poi scosse la testa.
-
-— Che ce pozze fa'?
-
-Ella non poteva far niente con l'arte sua.
-
-L'Ummálido, che aveva ripreso gli spiriti, non aprì bocca. Seduto,
-contemplava la sua ferita, tranquillamente. La mano pendeva, con le
-ossa stritolate, oramai perduta.
-
-Due o tre vecchi agricoltori vennero a vederla. Ciascuno, con un gesto
-o con una parola, espresse lo stesso pensiero.
-
-L'Ummálido chiese:
-
-— Chi ha purtate lu Sante?
-
-Gli risposero:
-
-— Mattia Scafarola.
-
-Di nuovo, chiese:
-
-— Mo che si fa?
-
-Risposero:
-
-— Lu vespre 'n múseche.
-
-Gli agricoltori salutarono. Andarono al vespro. Un grande scampanìo
-veniva dalla chiesa madre.
-
-Uno dei parenti mise accanto al ferito un secchio d'acqua fredda,
-dicendo:
-
-— Ogne tante mitte la mana a qua. Nu mo veniamo. Jame a sentì lu vespre.
-
-L'Ummálido rimase solo. Lo scampanìo cresceva, mutando metro. La luce
-del giorno cominciava a diminuire. Un ulivo, investito dal vento,
-batteva i rami contro la finestra bassa.
-
-L'Ummálido, seduto, si mise a bagnare la mano, a poco a poco. Come il
-sangue e i grumi cadevano, il guasto appariva maggiore.
-
-L'Ummálido pensò:
-
-— È tutt'inutile! È pirdute. Sante Gunzelve, a te le offre.
-
-Prese un coltello, e uscì. Le vie erano deserte. Tutti i devoti erano
-nella chiesa. Sopra le case correvano le nuvole violacee del tramonto
-di settembre, come mandre fuggiasche.
-
-Nella chiesa la moltitudine agglomerata cantava quasi in coro, al suono
-degli stromenti, per intervalli misurati. Un calore intenso emanava
-dai corpi umani e dai ceri accesi. La testa argentea di san Gonselvo
-scintillava dall'alto come un faro.
-
-L'Ummálido entrò. Fra la stupefazione di tutti, camminò sino all'altare.
-
-Egli disse, con voce chiara, tenendo nella sinistra il coltello:
-
-— Sante Gunzelve, a te le offre.
-
-E si mise a tagliare in torno al polso destro, pianamente, in cospetto
-del popolo che inorridiva. La mano informe si distaccava a poco a poco,
-tra il sangue. Penzolò un istante trattenuta dagli ultimi filamenti.
-Poi cadde nel bacino di rame che raccoglieva le elargizioni di pecunia,
-ai piedi del Patrono.
-
-L'Ummálido allora sollevò il moncherino sanguinoso; e ripetè con voce
-chiara:
-
-— Sante Gunzelve, a te le offre.
-
-
-
-
-LA VEGLIA FUNEBRE.
-
-
-Il cadavere del sindaco Biagio Mila, già tutto vestito e con la faccia
-coperta d'una pezzuola umida d'acqua e d'aceto, stava disteso nel
-letto, quasi in mezzo alla stanza tra quattro ceri. Vegliavano, nella
-stanza, la moglie e il fratello del morto ai due lati.
-
-Rosa Mila poteva avere circa venticinque anni. Era una donna fiorita,
-di carnagione chiara, con la fronte un po' bassa, le sopracciglia
-lungamente arcuate, gli occhi grigi e larghi e nell'iride variegati
-come agate. Possedendo in grande abbondanza capelli, ella quasi
-sempre aveva la nuca e le tempie e gli occhi nascosti da molte ciocche
-ribelli. In tutta la persona le splendeva la nitidezza della sanità; e
-la sua fresca pelle aveva il profumo dei frutti prelibati.
-
-Emidio Mila, il cherico, poteva avere circa la stessa età. Era magro,
-con nel volto il colore bronzino di chi vive nella campagna al pieno
-sole. Una molle lanugine rossiccia gli copriva le guance; i denti forti
-e bianchi davano al suo sorriso una bellezza virile; e gli occhi suoi
-giallognoli lucevano talvolta come due zecchini nuovi.
-
-Ambedue tacevano: l'una scorrendo con le dita un rosario di vetro,
-l'altro guardando il rosario scorrere. Ambedue avevano l'indifferenza
-che la nostra gente campestre suole avere dinanzi al mistero della
-morte.
-
-Emidio disse, con un lungo sospiro:
-
-— Fa caldo, stanotte.
-
-Rosa sollevò gli occhi per assentire.
-
-Nella stanza un poco bassa la luce oscillava secondo i moti delle
-fiammelle. Le ombre si raccoglievano ora in un angolo ora in una
-parete, variando di forme e di intensità. Le vetrate della finestra
-erano aperte, ma le persiane restavano chiuse. Di tratto in tratto le
-tende di mussolo bianco si movevano come per un fiato. Sul candore del
-letto il corpo di Biagio pareva dormire.
-
-Le parole di Emidio caddero nel silenzio. La donna chinò di nuovo la
-testa, e ricominciò a scorrere il rosario lentamente. Alcune stille
-di sudore le imperlavano la fronte, e la respirazione le era faticosa.
-Emidio, dopo un poco, domandò:
-
-— A che ora verranno a prenderlo, domani?
-
-Ella rispose, nel natural suono della sua voce:
-
-— Alle dieci, con la congregazione del Sacramento.
-
-Quindi ancora tacquero. Dalla campagna giungeva il gracidare assiduo
-delle rane, giungevano a quando a quando gli odori delle erbe. Nella
-tranquillità perfetta Rosa udì una specie di gorgoglìo roco escir
-dal cadavere, e con un atto di orrore si levò dalla sedia, e fece per
-allontanarsi.
-
-— Non abbiate paura, Rosa. Sono umori — disse il cognato, tendendole la
-mano per rassicurarla.
-
-Ella prese la mano, istintivamente; e la tenne, stando in piedi.
-Tendeva gli orecchi per ascoltare, ma guardava altrove. I gorgoglìi
-si prolungavano dentro il ventre del morto, e parevano salire verso la
-bocca.
-
-— Non è nulla, Rosa. Quietatevi — soggiunse il cognato, accennandole di
-sedere sopra un cassone da nozze coperto d'un lungo cuscino a fiorami.
-
-Ella sedette, accanto a lui, tenendolo ancora per mano, nel turbamento.
-Come il cassone non era molto grande, i gomiti dei seduti si toccavano.
-
-Il silenzio tornò. Un canto di trebbiatori sorse di fuori in lontananza.
-
-— Fanno le trebbie di notte, al lume della luna — disse la donna,
-volendo parlare per ingannar la paura e la stanchezza.
-
-Emidio non aprì bocca. E la donna ritrasse la mano, poichè quel
-contatto ora cominciava a darle un senso vago d'inquietudine.
-
-Ambedue ora erano occupati da uno stesso pensiero che li aveva colti
-d'improvviso; ambedue ora erano tenuti da uno stesso ricordo, da un
-ricordo di amori agresti nel tempo della pubertà.
-
-
-Essi, in quel tempo, vivevano nelle case di Caldore, su la collina
-solatìa, al quadrivio. Sul limite d'un campo di fromento sorgeva
-un muro alto costruito di sassi e di terra argillosa. Dal lato di
-mezzodì, che i parenti di Rosa possedevano, come ivi era più lento e
-dolce il calor del sole, una famiglia di alberi fruttiferi prosperava
-e moltiplicava. Alla primavera gli alberi fiorivano in comunione di
-letizia; e le cupole argentee o rosee o violacee s'incurvavano sul
-cielo coronando il muro e dondolavano come per inalzarsi nell'aria e
-facevano insieme un ronzío sonnifero come d'api mellificanti.
-
-Dietro il muro, dalla parte degli alberi Rosa in quel tempo soleva
-cantare.
-
-La voce limpida e fresca zampillava come una fontana, sotto le corone
-dei fiori.
-
-Per una lunga stagione di convalescenza Emidio aveva udito quel canto.
-Egli era debole e famelico. Per sfuggire alla dieta, scendeva dalla
-casa furtivamente, celando sotto gli abiti un gran pezzo di pane,
-e camminava lungo il muro, nell'ultimo solco del grano, fin che non
-giungeva al luogo della beatitudine.
-
-Allora si sedeva, con le spalle contro i sassi riscaldati, e cominciava
-a mangiare. Mordeva il pane e sceglieva una spiga tenera: ogni granello
-aveva in sè una minuta stilla di succo simile a latte e aveva un
-fresco sapor di farina. La voluttà del gusto e la voluttà dell'udito
-nel convalescente si confondevano quasi in una sola sensazione
-infinitamente dilettosa. Cosicchè in quell'ozio, tra quel calore,
-tra quelli odori che davano all'aria quasi la cordial saporità del
-vino, anche la voce femminile diveniva per lui un naturale alimento di
-rinascenza e come un nutrimento fisico che gli si fondeva nelle vene.
-
-Il canto di Rosa era dunque una causa di guarigione. E, quando la
-guarigione fu compiuta, la voce di Rosa ebbe sempre sul beneficato una
-virtù sensuale.
-
-Dopo d'allora, poichè tra le due famiglie la dimestichezza divenne
-grande, sorse in Emidio uno di quei taciturni e timidi e solitarii
-amori che divorano le forze dell'adolescenza.
-
-Di settembre, prima che Emidio partisse pel seminario, le due famiglie
-riunite andarono in un pomeriggio a merendare nel bosco, lungo il
-fiume.
-
-La giornata era molle, e i tre carri tirati dai bovi avanzavano lungo i
-canneti fioriti.
-
-Nel bosco la merenda fu fatta su l'erba, in una radura circolare
-limitata da fusti di pioppi giganteschi. L'erba corta era tutta piena
-di certi piccoli fiori violacei che esalavano un profumo sottile; qua
-e là nell'interno discendevano tra il fogliame larghe zone di sole;
-e la riviera in basso pareva ferma, aveva una pace lacustre, una pura
-trasparenza ove le piante acquatiche dormivano immote.
-
-Dopo la merenda, alcuni si sparpagliarono per la riva, altri rimasero
-distesi supini.
-
-Rosa ed Emidio si trovarono insieme; si presero a braccio e
-cominciarono a camminare per un sentiero segnato tra i cespugli.
-
-Ella si appoggiava tutta su lui; rideva, strappava le foglie ai
-virgulti nel passaggio, morsicchiava gli steli amari, rovesciava la
-testa in dietro per guardar le ghiandaie fuggiasche. Nel moto il
-pettine di tartaruga le scivolò dai capelli che d'un tratto le si
-diffusero su le spalle con una stupenda ricchezza.
-
-Emidio si chinò insieme a lei per raccogliere il pettine. Nel
-rialzarsi, le due teste si urtarono un poco. Rosa, reggendosi la fronte
-tra le mani, gridava tra le risa:
-
-— Ahi! Ahi!
-
-Il giovinetto la guardava, sentendosi fremere sin nelle midolle e
-sentendosi impallidire e temendo di tradirsi.
-
-Ella distaccò con l'unghie da un tronco una lunga spirale d'edera,
-se l'avvolse alle trecce con un attorcigliamento rapido e fermò la
-ribellione su la nuca con i denti del pettine. Le foglie verdi, talune
-rossastre, mal contenute, rompevano fuori irregolarmente. Ella chiese:
-
-— Così vi piaccio?
-
-Ma Emidio non aprì bocca; non seppe che rispondere.
-
-— Ah, non va bene! Siete forse muto?
-
-Egli aveva voglia di cadere in ginocchio. E, come Rosa rideva d'un
-riso scontento, egli si sentiva quasi salire il pianto agli occhi per
-l'angoscia di non poter trovare una parola sola.
-
-Seguitarono a camminare. In un punto un'alberella abbattuta impediva
-il passaggio. Emidio con ambe le mani sollevò il fusto, e Rosa passò di
-sotto ai rami verdeggianti che un istante la incoronarono.
-
-Più in là incontrarono un pozzo ai cui fianchi stavano due bacini di
-pietra rettangolari. Gli alberi densi formavano intorno e sopra il
-pozzo una chiostra di verdura. Ivi l'ombra era profonda, quasi umida.
-La vôlta vegetale si rispecchiava perfettamente nell'acqua che giungeva
-a metà dei parapetti di mattone.
-
-Rosa disse, distendendo le braccia:
-
-— Come si sta bene qui!
-
-Poi raccolse l'acqua nel concavo della palma, con un'attitudine di
-grazia, e sorseggiò. Le gocciole le cadevano di tra le dita e le
-imperlavano la veste.
-
-Quando fu dissetata, con tutt'e due le palme raccolse altr'acqua, e
-l'offerse al compagno lusinghevolmente:
-
-— Bevete!
-
-— Non ho sete — balbettò Emidio istupidito.
-
-Ella gli gettò l'acqua in viso, facendo con il labbro inferiore una
-smorfia quasi di dispregio. Poi si distese dentro uno dei bacini
-asciutti, come in una culla, tenendo i piedi fuori dell'orlo, e
-scotendoli irrequietamente. A un tratto si rialzò, guardò Emidio con
-uno sguardo singolare:
-
-— Dunque? Andiamo.
-
-Si rimisero in cammino, tornarono al luogo della riunione, sempre in
-silenzio. I merli fischiavano su le loro teste; fasci orizzontali di
-raggi attraversavano i loro passi; e il profumo del bosco cresceva
-intorno a loro.
-
-Alcuni giorni dopo, Emidio partiva.
-
-Alcuni mesi dopo, il fratello d'Emidio prendeva in moglie Rosa.
-
-Nei primi anni di seminario il cherico aveva pensato spesso alla nuova
-cognata. Nella scuola, mentre i preti spiegavano l'_Epitome historiæ
-sacræ_, egli aveva fantasticato di lei. Nello studio, mentre i suoi
-vicini, nascosti dai leggii aperti, si davano fra loro a pratiche
-oscene, egli aveva chiuso la faccia tra le mani, e s'era abbandonato
-ad immaginazioni impure. Nella chiesa, mentre le litanie alla Vergine
-sonavano, egli, dietro l'invocazione alla _Rosa mystica_, era fuggito
-lontano.
-
-E, come aveva appresa dai condiscepoli la corruzione, la scena del
-bosco gli era apparsa in una nuova luce. E il sospetto di non avere
-indovinato, il rammarico di non aver saputo cogliere un frutto che gli
-si offriva, allora lo tormentarono stranamente.
-
-Dunque era così? Dunque Rosa un giorno lo aveva amato? Dunque egli era
-passato inconsapevole accanto a una grande gioia?
-
-E questo pensiero ogni giorno si faceva più acuto, più insistente,
-più incalzante, più angustioso. E ogni giorno egli se ne pasceva con
-maggiore intensità di sofferenza; finchè, nella lunga monotonia della
-vita sacerdotale, questo pensiero divenne per lui una specie di morbo
-immedicabile, e dinanzi alla irrimediabilità della cosa egli fu preso
-da uno scoramento immenso, da una melanconia senza fine.
-
-— Dunque egli non aveva saputo!
-
-Nella stanza ora i ceri lacrimavano. Di tra le stecche delle persiane
-chiuse entravano soffi di vento più forti, e facevano inarcare le
-tende.
-
-Rosa, invasa pianamente dal sopore, chiudeva di tanto in tanto le
-palpebre; e come la testa le cadeva sul petto, le riapriva subitamente.
-
-— Siete stanca? — chiese con molta dolcezza il cherico.
-
-— Io, no — rispose la donna, riprendendo gli spiriti ed ergendosi su la
-vita.
-
-Ma nel silenzio di nuovo il sopore le occupò i sensi. Ella teneva la
-testa appoggiata alla parete: i capelli le empivano tutto il collo,
-dalla bocca semiaperta le usciva la respirazione lenta e regolare. Così
-ella era bella; e nulla in lei era più voluttuoso che il ritmo del seno
-e la visibile forma dei ginocchi sotto la gonna leggiera. Un soffio
-repentino fece gemere le tende e spense i due ceri più vicini alla
-finestra.
-
-— S'io la baciassi? — pensò Emidio, per una suggestione improvvisa
-della carne guardando l'assopita.
-
-Ancora i canti umani si propagavano nella notte di giugno, con la
-solennità delle cadenze liturgiche; e sorgevano di lontananza in
-lontananza le risposte in diversi toni, senza compagnia di stromenti.
-Poichè il plenilunio doveva essere alto, il fioco lume interno non
-valeva a vincere l'albore che pioveva copioso su le persiane, e si
-versava fra gli intervalli del legno.
-
-Emidio si volse verso il letto mortuario. I suoi occhi, scorrendo la
-linea rigida e nera del cadavere, si fermarono involontariamente su
-la mano, su una mano gonfia e giallastra, un po' adunca, solcata di
-trame livide nel dorso; e prestamente si ritrassero. Piano piano,
-nell'inconsapevolezza del sonno, la testa di Rosa, quasi segnando
-su la parete un semicerchio, si chinò verso il cherico turbato. La
-reclinazione della bella testa muliebre fu in atto dolcissima; e,
-poichè il movimento alterò un poco il sonno, tra le palpebre a pena a
-pena sollevate apparve un lembo d'iride e scomparve nel bianco, quasi
-come una foglia di viola nel latte.
-
-Emidio rimase immobile, tenendo contro l'omero il peso. Egli frenava
-il respiro per tema di destare la dormiente, e un'angoscia enorme
-l'opprimeva per il battito del cuore e dei polsi e delle tempie, che
-pareva empire tutta la stanza. Ma, come il sonno di Rosa continuava,
-a poco a poco egli si sentì illanguidire e mancare in una mollezza
-invincibile, guardando quella gola femminea che le collane di Venere
-segnavano di voluttà, aspirando quell'alito caldo e l'odor dei capelli.
-
-Un nuovo soffio, carico di profumo notturno, piegò la terza fiammella e
-la spense.
-
-Allora senza più pensare, senza più temere, abbandonandosi tutto alla
-tentazione, il vegliante baciò la donna in bocca.
-
-Al contatto, ella si destò di soprassalto; aprì gli occhi stupefatti in
-faccia al cognato, divenne pallida pallida.
-
-Poi, lentamente si raccolse i capelli su la nuca; e stette là, con
-il busto eretto, tutta vigile, guardando dinanzi a sè nelle ombre
-varianti.
-
-— Chi ha spento i ceri?
-
-— Il vento.
-
-Non altro dissero. Ambedue rimanevano sul cassone da nozze, come prima,
-seduti a canto, sfiorandosi con i gomiti, in una incertezza penosa,
-evitando con una specie di artificio mentale che la loro coscienza
-giudicasse il fatto e lo condannasse. Spontaneamente ambedue rivolsero
-l'attenzione alle cose esteriori, in quest'operazione dello spirito
-mettendo un'intensità fittizia, concorrendovi pure con l'attitudine
-della persona. E a poco a poco una specie di ebrietà li conquistava.
-
-I canti, nella notte, seguitavano e s'indugiavano per l'aria
-lunghissimamente, e s'ammollivano lusinghevolmente di risposta in
-risposta. Le voci maschili e le voci feminili facevano un componimento
-amoroso. Talvolta una sola voce emergeva su le altre altissima, dando
-una nota unica, in torno a cui gli accordi concorrevano come onde in
-torno al medio filo d'una corrente fluviatile. Ora, ad intervalli, sul
-principio di ciascun canto, si udiva la vibrazione metallica di una
-chitarra accordata in diapente; e tra una ripresa e l'altra si udivano
-gli urti misurati delle trebbie in sul terreno.
-
-I due ascoltavano.
-
-Forse per una vicenda del vento, ora gli odori non erano più gli
-stessi. Venivano, forse dalla collina d'Orlando, i profumi possenti
-dell'agrumeto; forse dai giardini di Scalia i profumi delle rose, così
-densi che davano all'aria il sapore delle confetture nuziali; forse
-dal padule della Farnia le fragranze umide dei giaggioli, che respirate
-deliziavano come un sorso d'acqua.
-
-I due rimanevano ancora taciturni, sul cassone, immobili, oppressi
-dalla voluttà della notte lunare. Dinanzi a loro l'ultima fiammella
-oscillava rapidamente, e curvandosi faceva lacrimare il cero consunto.
-Ad ogni tratto, pareva sul punto di spegnersi. I due non si movevano.
-Stavano là ansiosi, con gli occhi dilatati e fissi, a guardare la
-tremula fiammella moritura. D'improvviso il vento inebriante la spense.
-Allora, senza temere l'ombra, con un'avidità concorde, nel medesimo
-tempo, l'uomo e la donna si strinsero l'uno all'altra, si allacciarono,
-si cercarono con la bocca, perdutamente, ciecamente, senza parlare,
-soffocandosi di carezze.
-
-
-
-
-LA CONTESSA D'AMALFI.
-
-
-I.
-
-Quando, verso le due del pomeriggio, Don Giovanni Ussorio stava per
-mettere il piede su la soglia della casa di Violetta Kutufà, Rosa
-Catana apparve in cima alle scale e disse a voce bassa, tenendo il capo
-chino:
-
-— Don Giovà, la signora è partita.
-
-Don Giovanni, alla novella improvvisa, rimase stupefatto; e stette un
-momento, con gli occhi spalancati, con la bocca aperta, a guardare in
-su, quasi aspettando altre parole esplicative. Poichè Rosa taceva, in
-cima alle scale, torcendo fra le mani un lembo del grembiule e un poco
-dondolandosi, egli chiese:
-
-— Ma come? ma come?...
-
-E salì alcuni gradini, ripetendo con una lieve balbuzie:
-
-— Ma come? ma come?
-
-— Don Giovà, che v'ho da dire? È partita.
-
-— Ma come?
-
-— Don Giovà, io non saccio, mo.
-
-E Rosa fece qualche passo nel pianerottolo, verso l'uscio
-dell'appartamento vuoto. Ella era una femmina piuttosto magra, con i
-capelli rossastri, con la pelle del viso tutta sparsa di lentiggini. I
-suoi larghi occhi cinerognoli avevano però una vitalità singolare. La
-eccessiva distanza tra il naso e la bocca dava alla parte inferiore del
-viso un'apparenza scimmiesca.
-
-Don Giovanni spinse l'uscio socchiuso ed entrò nella prima stanza,
-poi entrò nella seconda, poi nella terza; fece il giro di tutto
-l'appartamento, a passi concitati; si fermò nella piccola camera del
-bagno. Il silenzio quasi lo sbigottì; un'angoscia enorme gli prese
-l'animo.
-
-— È vero! È vero! — balbettava, guardandosi a torno, smarrito.
-
-Nella camera i mobili erano al loro posto consueto. Mancavano però
-su la tavola, a piè dello specchio rotondo, le fiale di cristallo,
-i pettini di tartaruga, le scatole, le spazzole, tutti quei minuti
-oggetti che servono alla cura della bellezza muliebre. Stava in un
-angolo una specie di gran bacino di zinco in forma di chitarra; e
-dentro il bacino l'acqua traluceva, tinta lievemente di roseo da una
-essenza. L'acqua esalava un profumo sottile che si mesceva nell'aria
-col profumo della cipria. L'esalazione aveva in sè qualche cosa di
-carnale.
-
-— Rosa! Rosa! — chiamò Don Giovanni, con la voce soffocata, sentendosi
-invadere da un rammarico immenso.
-
-La femmina comparve.
-
-— Racconta com'è stato! Per dove è partita? E quando è partita? E
-perchè? — chiedeva Don Giovanni, facendo con la bocca una smorfia
-puerile e buffa come per rattenere il pianto o per respingere il
-singhiozzo. Egli aveva presi ambedue i polsi di Rosa; e così la
-sollecitava a parlare, a rivelare.
-
-— Io non saccio, signore... Stamattina ha messa la roba nelle valige;
-ha mandato a chiamare la carrozza di Leone; e se n'è andata senza dire
-niente. Che ci volete fare? Tornerà.
-
-— Torneràaa? — piagnucolò Don Giovanni, sollevando gli occhi dove già
-le lacrime incominciavano a sgorgare. — Te l'ha detto? Parla!
-
-E quest'ultimo verbo fu uno strillo quasi minaccioso e rabbioso.
-
-— Eh... veramente a me m'ha detto: «Addio, Rosa. Non ci vediamo più...»
-Ma... insomma... chi lo sa!... Tutto può essere.
-
-Don Giovanni si accasciò sopra una sedia, a queste parole; e si mise
-a singhiozzare con tanto impeto di dolore che la femmina ne fu quasi
-intenerita.
-
-— Don Giovà, mo che fate? Non ci stanno altre femmine a questo mondo?
-Don Giovà, mo vi pare?...
-
-Don Giovanni non intendeva. Seguitava a singhiozzare come un bambino,
-nascondendo la faccia nel grembiule di Rosa Catana; e tutto il suo
-corpo era scosso dai sussulti del pianto.
-
-— No, no, no... Voglio Violetta! Voglio Violetta!
-
-A quello stupido pargoleggiare, Rosa non potè tenersi di sorridere. E
-si diede a lisciare il cranio calvo di Don Giovanni, mormorando parole
-di consolazione:
-
-— Ve la ritrovo io Violetta; ve la ritrovo io... Zitto! Zitto! Non
-piangete più, Don Giovannino. La gente che passa può sentire. Mo vi
-pare, mo?
-
-Don Giovanni, a poco a poco, sotto la carezza amorevole, frenava le
-lacrime: si asciugava gli occhi al grembiule.
-
-— Oh! Oh! che cosa! — esclamò, dopo essere stato un momento con lo
-sguardo fisso al bacino di zinco, dove l'acqua scintillava ora sotto un
-raggio. — Oh! Oh! che cosa! Oh!
-
-E si prese la testa fra le mani, e due o tre volte oscillò come fanno
-talora gli scimmioni prigionieri.
-
-— Via, Don Giovannino, via! — diceva Rosa Catana, prendendolo
-pianamente per un braccio e tirandolo.
-
-Nella piccola camera il profumo pareva crescere. Le mosche ronzavano
-innumerevoli in torno a una tazza dov'era un residuo di caffè. Il
-riflesso dell'acqua nella parete tremolava come una sottil rete di oro.
-
-— Lascia tutto così! — raccomandò Don Giovanni alla femmina, con una
-voce interrotta dai singulti mal repressi. E discese le scale, scotendo
-il capo su la sua sorte. Egli aveva gli occhi gonfi e rossi, a fior
-di testa, simili a quelli di certi cani imbastarditi. Il suo corpo
-rotondo, dal ventre prominente, gravava su due gambette un poco volte
-in dentro. In torno al suo cranio calvo girava una corona di lunghi
-capelli arricciati, che parevano non crescere dalla cotenna ma dalle
-spalle e salire verso la nuca e le tempie. Egli con le mani inanellate,
-di tanto in tanto, soleva accomodare qualche ciocca scomposta: gli
-anelli preziosi e vistosi gli rilucevano perfino nel pollice, e un
-bottone di corniola grosso come una fragola gli fermava lo sparato
-della camicia a mezzo il petto.
-
-Come uscì alla luce viva della piazza, provò di nuovo uno smarrimento
-invincibile. Alcuni ciabattini attendevano all'opera loro, lì accanto,
-mangiando fichi. Un merlo in gabbia fischiava l'inno di Garibaldi,
-continuamente, ricominciando sempre da capo, con una persistenza
-accorante.
-
-— Servo suo, Don Giovanni! — disse Don Domenico Oliva passando e
-togliendosi il cappello con quella sua gloriosa cordialità napoletana.
-E, mosso a curiosità dall'aspetto sconvolto del signore, dopo poco
-ripassò e risalutò con maggior larghezza di gesto e di sorriso.
-Egli era un uomo che aveva il busto lunghissimo e le gambe corte e
-l'atteggiamento della bocca involontariamente irrisorio. I cittadini di
-Pescara lo chiamavano Culinterra.
-
-— Servo suo!
-
-Don Giovanni, in cui un'ira velenosa cominciava a fermentare poichè
-le risa dei mangiatori di fichi e i sibili del merlo lo irritavano,
-al secondo saluto voltò dispettoso le spalle e si mosse, credendo quel
-saluto un'irrisione.
-
-Don Domenico, stupefatto, lo seguiva.
-
-— Ma... Don Giovà!... sentite... ma...
-
-Don Giovanni non voleva ascoltare. Camminava innanzi a passi lesti,
-verso la sua casa. Le fruttivendole e i maniscalchi lungo la via
-guardavano, senza capire, l'inseguimento di quei due uomini affannati e
-gocciolanti di sudore sotto il solleone.
-
-Giunto alla porta, Don Giovanni, che quasi stava per scoppiare, si
-voltò come un aspide, giallo e verde per la rabbia.
-
-— Don Domè, o Don Domè, io ti do in capo!
-
-Ed entrò, dopo la minaccia; e chiuse la porta dietro di sè con violenza.
-
-Don Domenico, sbigottito, rimase senza parole in bocca. Poi rifece la
-via, pensando quale potesse essere la causa del fatto. Matteo Verdura,
-uno dei mangiatori di fichi, chiamò:
-
-— Venite! venite! Vi debbo dire 'na cosa grande.
-
-— Che cosa? — chiese l'uomo di schiena lunga, avvicinandosi.
-
-— Non sapete niente?
-
-— Che?
-
-— Ah! Ah! Non sapete niente ancora?
-
-— Ma che?
-
-Verdura si mise a ridere; e gli altri ciabattini lo imitarono. Un
-momento tutti quelli uomini sussultarono d'uno stesso riso rauco e
-incomposto, in diverse attitudini.
-
-— Pagate tre soldi di fichi se ve lo dico?
-
-Don Domenico, ch'era tirchio, esitò un poco. Ma la curiosità lo vinse.
-
-— Be', pago.
-
-Verdura chiamò una femmina e fece ammonticchiare sul suo desco le
-frutta. Poi disse:
-
-— Quella signora che stava là sopra, Donna Viuletta, sapete?... Quella
-del teatro, sapete?...
-
-— Be'?
-
-— Se n'è scappata stamattina. Tombola!
-
-— Da vero?
-
-— Da vero, Don Domè.
-
-— Ah, mo capisco! — esclamò Don Domenico, ch'era un uomo fino,
-sogghignando crudelissimamente.
-
-E, come voleva vendicarsi della contumelia di Don Giovanni e rifarsi
-dei tre soldi spesi per la notizia, andò subito verso il _casino_ per
-divulgare la cosa, per ingrandire la cosa.
-
-Il _casino_, una specie di bottega del caffè, stava immerso nell'ombra;
-e su dal tavolato sparso di acqua saliva un singolare odore di polvere
-e di muffa. Il dottore Panzoni russava abbandonato sopra una sedia con
-le braccia penzolanti. Il barone Cappa, un vecchio appassionato per
-i cani zoppi e per le fanciulle tenerelle, sonnecchiava discretamente
-su una gazzetta. Don Ferdinando Giordano moveva le bandierine su una
-carta rappresentante il teatro della guerra franco-prussiana. Don
-Settimio de Marinis discuteva di Pietro Metastasio col dottor Fiocca,
-non senza molti scoppi di voce e non senza una certa eloquenza fiorita
-di citazioni poetiche. Il notaro Gaiulli, non sapendo con chi giocare,
-maneggiava le carte da giuoco solitariamente e le metteva in fila
-sul tavolino. Don Paolo Seccia girava in torno al quadrilatero del
-biliardo, con passi misurati per favorire la digestione.
-
-Don Domenico Oliva entrò con tale impeto che tutti si voltarono verso
-di lui, tranne il dottore Panzoni il quale rimase tra le braccia del
-sonno.
-
-— Sapete? sapete?
-
-Don Domenico era così ansioso di dire la cosa e così affannato che
-da prima balbettava senza farsi intendere. Tutti quei galantuomini
-in torno a lui pendevano dalle sue labbra, presentivano con gioia un
-qualche strano avvenimento che alimentasse alfine le loro chiacchiere
-pomeridiane. Don Paolo Seccia, che era un poco sordo da un orecchio,
-disse impazientito:
-
-— Ma che v'hanno legata la lingua, Don Domè?
-
-Don Domenico ricominciò da capo la narrazione, con più calma e più
-chiarezza. Disse tutto; ingrandì i furori di Don Giovanni Ussorio;
-aggiunse particolarità fantastiche; s'inebriò delle parole. — Capite?
-capite? E poi questo; e poi quest'altro...
-
-Il dottore Panzoni al clamore aperse le palpebre; volgendo i grossi
-globi visivi ancora stupidi di sonno e russando ancora pel naso tutto
-vegetante di nèi mostruosi, disse o russò, nasalmente:
-
-— Che c'è? Che c'è?
-
-E con fatica puntellandosi al bastone si levò piano piano e venne nel
-crocchio per udire.
-
-Il barone Cappa ora narrava, con alquanta saliva nella bocca, una
-storiella grassa, a proposito di Violetta Kutufà. Nelle pupille degli
-ascoltatori intenti passavano luccicori, a tratti. Gli occhiolini
-verdognoli di Don Paolo Seccia scintillavano come immersi in un umore
-esilarante. Alla fine, le risa scoppiarono.
-
-Ma il dottor Panzoni, così ritto, s'era riaddormentato; poichè a lui
-sempre il sonno, grave come un morbo, siedeva dentro le nari. E rimase
-a russare, solo nel mezzo, con il capo chino sul petto; mentre gli
-altri si disperdevano per tutto il paese a divulgare la novella, di
-famiglia in famiglia.
-
-E la novella, divulgata, mise a rumore Pescara. Verso sera, co 'l
-fresco della marina e con la luna crescente, tutti i cittadini uscirono
-per le vie e per le piazzette. Il chiacchierío fu infinito. Il nome di
-Violetta Kutufà correva su tutte le bocche. Don Giovanni Ussorio non fu
-veduto.
-
-
-II.
-
-Violetta Kutufà era venuta a Pescara nel mese di gennaio, in tempo
-di carnevale, con una compagnia di cantatori. Ella diceva d'essere
-una Greca dell'Arcipelago, di aver cantato in un teatro di Corfù al
-cospetto del re degli Elleni e di aver fatto impazzire d'amore un
-ammiraglio d'Inghilterra. Era una donna di forme opulente, di pelle
-bianchissima. Aveva due braccia straordinariamente carnose e piene di
-piccole fosse che apparivano rosee ad ogni moto; e le piccole fosse
-e le anella e tutte le altre grazie proprie di un corpo infantile
-rendevano singolarmente piacevole e fresca e quasi ridente la sua
-pinguedine. I lineamenti del volto erano un po' volgari: gli occhi
-color tané, pieni di pigrizia; le labbra grandi, piatte e come
-schiacciate. Il naso non rivelava l'origine greca: era corto, un poco
-erto, con le narici larghe e respiranti. I capelli, neri, abbondavano.
-Ed ella parlava con un accento molle, esitando ad ogni parola, ridendo
-quasi sempre. La sua voce spesso diventava roca, d'improvviso.
-
-Quando la compagnia giunse, i Pescaresi smaniavano nell'aspettazione.
-I cantatori forestieri furono ammirati per le vie, nei loro gesti,
-nel loro incedere, nel loro vestire, e in ogni loro attitudine. Ma la
-persona su cui tutta l'attenzione converse fu Violetta Kutufà.
-
-Ella portava una specie di giacca scura orlata di pelliccia e chiusa
-da alamari d'oro, e sul capo una specie di tôcco tutto di pelliccia,
-chino un po' da una parte. Andava sola, camminando speditamente;
-entrava nelle botteghe, trattava con un certo disdegno i bottegai, si
-lagnava della mediocrità delle merci, usciva senza aver nulla comprato:
-cantarellava, con noncuranza.
-
-Per le vie, nelle piazzette, su tutti i muri, grandi scritture a mano
-annunziavano la rappresentazione della _Contessa d'Amalfi_. Il nome
-di Violetta Kutufà risplendeva in lettere vermiglie. Gli animi dei
-Pescaresi si accendevano. La sera aspettata giunse.
-
-Il teatro era in una sala dell'antico Ospedal militare, all'estremità
-del paese, verso la marina. La sala era bassa, stretta e lunga come
-un corridoio: il palco scenico, tutto di legname e di carta dipinta,
-s'inalzava pochi palmi da terra; contro le pareti maggiori stavano le
-tribune, costruite d'assi e di tavole, ricoperte di bandiere tricolori,
-ornate di festoni. Il sipario, opera insigne di Cucuzzitto figlio di
-Cucuzzitto, raffigurava la Tragedia, la Comedia e la Musica allacciate
-come le tre Grazie e trasvolanti sul ponte a battelli sotto cui passava
-la Pescara turchina. Le sedie, tolte alle chiese, occupavano metà della
-platea. Le panche, tolte alle scuole, occupavano il resto.
-
-Verso le sette la banda comunale prese a sonare in piazza e sonando
-fece il giro del paese; e si fermò quindi al teatro. La marcia
-fragorosa sollevava gli animi al passaggio. Le signore fremevano
-d'impazienza, nei loro belli abiti di seta. La sala rapidamente si
-empì.
-
-Su le tribune raggiava una corona di signore e di signorine
-gloriosissima. Teodolinda Pomàrici, la filodrammatica sentimentale e
-linfatica, sedeva accanto a Fermina Memma la _mascula_. Le Fusilli,
-venute da Castellammare, grandi fanciulle dagli occhi nerissimi,
-vestite di una eguale stoffa rosea, tutte con i capelli stretti in
-treccia giù per la schiena, ridevano forte e gesticolavano. Emilia
-d'Annunzio volgeva attorno i belli occhi lionati con un'aria di tedio
-infinito. Mariannina Cortese faceva segni col ventaglio a Donna Rachele
-Profeta che stava di fronte. Donna Rachele Bucci con Donna Rachele
-Carabba ragionava di tavolini parlanti e di apparizioni. Le maestre
-Del Gado, vestite tutt'e due di seta cangiante, con mantellette di
-moda antichissime e con certe cuffie luccicanti di pagliuzze d'acciaio,
-tacevano, compunte, forse stordite dalla novità del caso, forse pentite
-d'esser venute a uno spettacolo profano. Costanza Lesbii tossiva
-continuamente, rabbrividendo sotto lo scialle rosso; bianca bianca,
-bionda bionda, sottile sottile.
-
-Nelle prime sedie della platea sedevano gli ottimati. Don Giovanni
-Ussorio primeggiava, bene curato nella persona, con magnifici calzoni a
-quadri bianchi e neri, con soprabito di castoro lucido, con alle dita
-e alla camicia una gran quantità di oreficeria chietina. Don Antonio
-Brattella, membro dell'Areopago di Marsiglia, un uomo spirante la
-grandezza da tutti i pori e specialmente dal lobo auricolare sinistro
-ch'era grosso come un'albicocca acerba, raccontava, a voce alta, il
-dramma lirico di Giovanni Peruzzini; e le parole, uscendo dalla sua
-bocca, acquistavano una rotondità ciceroniana. Gli altri su le sedie si
-agitavano con maggiore o minore importanza. Il dottore Panzoni lottava
-in vano contro le lusinghe del sonno e di tanto in tanto faceva un
-rumore che si confondeva con il la degli strumenti preludianti.
-
-— Pss! psss! pssss!
-
-Nel teatro il silenzio divenne profondo. All'alzarsi della tela, la
-scena era vuota. Il suono d'un violoncello veniva di tra le quinte.
-Uscì Tilde, e cantò. Poi uscì Sertorio, e cantò. Poi entrò una torma di
-allievi e di amici, e intonò un coro. Poi Tilde si avvicinò pianamente
-alla finestra.
-
- Oh! come lente l'ore
- Sono al desio!...
-
-Nel pubblico incominciava la commozione, poichè doveva essere imminente
-un duetto di amore. Tilde, in verità, era un _primo soprano_ non molto
-giovine; portava un abito azzurro; aveva una capellatura biondastra
-che le ricopriva insufficentemente il cranio; e, con la faccia bianca
-di cipria, rassomigliava a una costoletta cruda e infarinata che fosse
-nascosta dentro una parrucca di canapa.
-
-Egidio venne. Egli era il tenore giovine. Come aveva il petto
-singolarmente incavato, le gambe un po' curve, rassomigliava un
-cucchiaio a doppio manico, su 'l quale fosse appiccicata una di quelle
-teste di vitello raschiate e pulite che si veggono talvolta nelle
-mostre dei beccai.
-
- Tilde! il tuo labbro è muto,
- Abbassi al suol gli sguardi.
- Un tuo gentil saluto,
- Dimmi, perchè mi tardi?
- È la tua man tremante....
- Fanciulla mia, perchè?
-
-E Tilde, con un impeto di sentimento:
-
- In sì solenne istante
- Tu lo domandi a me?
-
-Il duetto crebbe in tenerezza. Le melodie del cavaliere Petrella
-deliziavano le orecchie degli uditori. Tutte le signore stavano chinate
-sul parapetto delle tribune, immobili, attente; e i loro volti, battuti
-dal riflesso del verde delle bandiere, impallidivano.
-
- Un cangiar di paradiso
- Il morir ci sembrerà!
-
-Tilde uscì; ed entrò, cantando, il duca Carnioli ch'era un uomo
-corpulento e truculento e zazzeruto come ad un baritono si addice.
-Egli cantava fiorentinamente, aspirando le c iniziali, anzi addirittura
-sopprimendole talvolta.
-
- Non sai tu che piombo è a ippiede
- La atena oniugale?
-
-Ma quando nel suo canto nominò alfine _d'Amalfi la contessa_, corse nel
-pubblico un fremito lungo. La contessa era desiderata, invocata.
-
-Chiese Don Giovanni Ussorio a Don Antonio Brattella:
-
-— Quando viene?
-
-Rispose Don Antonio, lasciando cadere dall'alto la risposta:
-
-— Oh, mio Dio, Don Giovà! Non sapete? Nell'atto secondo! Nell'atto
-secondo!
-
-Il sermone di Sertorio fu ascoltato con una certa impazienza. Il
-sipario calò fra applausi deboli. Il trionfo di Violetta Kutufà così
-incominciava. Un gran susurro correva per la platea, per le tribune,
-crescendo, mentre si udivano dietro il sipario i colpi di martello dei
-macchinisti. Quel lavorìo invisibile aumentava l'aspettazione.
-
-Quando il sipario si alzò, una specie di stupore invase gli animi.
-L'apparato scenico parve meraviglioso. Tre arcate si prolungavano in
-prospettiva, illuminate; e quella di mezzo terminava in un giardino
-fantastico. Alcuni paggi stavano sparsi qua e là, e s'inchinavano. La
-contessa d'Amalfi, tutta vestita di velluto rosso, con uno strascico
-regale, con le braccia e le spalle nude, rosea nella faccia, entrò a
-passi concitati.
-
- Fu una sera d'ebrezza, e l'alma mia
- N'è piena ancor....
-
-La sua voce era disuguale, talvolta stridula, ma spesso poderosa,
-acutissima. Produsse nel pubblico un effetto singolare, dopo il
-miagolìo tenero di Tilde. Subitamente il pubblico si divise in due
-fazioni: le donne stavano per Tilde; gli uomini, per Leonora.
-
- A' vezzi miei resistere
- Non è sì facil gioco...
-
-Leonora aveva nelle attitudini, nei gesti, nei passi, una procacità
-che inebriava ed accendeva i celibi avvezzi alle flosce Veneri del
-vico di Sant'Agostino, e i mariti stanchi delle scipitezze coniugali.
-Tutti guardavano, ad ogni volgersi della cantatrice, le spalle grasse
-e bianche, dove al gioco delle braccia rotonde due fossette parevano
-ridere.
-
-Alla fine dell'_a solo_ gli applausi scoppiarono con un fragore
-immenso. Poi lo svenimento della contessa, le simulazioni dinanzi al
-duca Carnioli, il principio del duetto, tutte le scene suscitarono
-applausi. Nella sala s'era addensato il calore: per le tribune i
-ventagli s'agitavano confusamente, e nello sventolìo le facce feminili
-apparivano e sparivano. Quando la contessa si appoggiò a una colonna,
-in un'attitudine d'amorosa contemplazione, e fu rischiarata dalla luce
-lunare d'un _bengala_, mentre Egidio cantava la romanza soave. Don
-Antonio Brattella disse forte:
-
-— È grande!
-
-Don Giovanni Ussorio, con un impeto subitaneo, si mise a battere le
-mani, solo. Gli altri imposero silenzio, poichè volevano ascoltare. Don
-Giovanni rimase confuso.
-
- Tutto d'amore, tutto ha favella:
- La luna, il zeffiro, le stelle, il mar....
-
-Le teste degli uditori, al ritmo della melodia petrelliana,
-ondeggiavano, se bene la voce di Egidio era ingrata; e gli occhi
-si deliziavano, se bene la luce della luna era fumosa e un po'
-giallognola. Ma quando, dopo un contrasto di passione e di seduzione,
-la contessa d'Amalfi incamminandosi verso il giardino riprese la
-romanza, la romanza che ancora vibrava nelle anime, il diletto degli
-uditori fu tanto che molti sollevavano il capo e l'abbandonavano un
-poco in dietro quasi per gorgheggiare insieme con la sirena perdentesi
-tra i fiori.
-
- La barca è presta.... deh vieni, o bella!
- Amor c'invita.... vivere è amar.
-
-In quel punto Violetta Kutufà conquistò intero Don Giovanni Ussorio
-che, fuori di sè, preso da una specie di furore musicale ed erotico,
-acclamava senza fine:
-
-— Brava! Brava! Brava!
-
-Disse Don Paolo Seccia, forte:
-
-— 'O vi', 'o vi', s'è 'mpazzito Ussorio!
-
-Tutte le signore guardavano Ussorio, stordite, smarrite. Le maestre Del
-Gado scorrevano il rosario, sotto le mantelline. Teodolinda Pomàrici
-rimaneva estatica. Soltanto le Fusilli conservavano la loro vivacità
-e cinguettavano, tutte rosee, facendo guizzare nei movimenti le trecce
-serpentine. Nel terzo atto, non i morenti sospiri di Tilde che le donne
-proteggevano, non le rampogne di Sertorio e Carnioli, non le canzonette
-dei popolani, non il monologo del malinconico Egidio, non le allegrezze
-delle dame e dei cavalieri ebbero virtù di distrarre il pubblico dalla
-voluttà antecedente. — Leonora! Leonora!
-
-E Leonora ricomparve a braccio del conte di Lara, scendendo da un
-padiglione. E toccò il culmine del trionfo.
-
-Ella aveva ora un abito violetto, ornato di galloni d'argento e di
-fermagli enormi. Si volse verso la platea, dando un piccolo colpo
-di piede allo strascico e scoprendo nell'atto la caviglia. Poi,
-inframmezzando le parole di mille vezzi e di mille lezii, cantò fra
-giocosa e beffarda:
-
- Io son la farfalla che scherza tra i fiori....
-
-Quasi un delirio prese il pubblico a quell'aria già nota. La contessa
-d'Amalfi, sentendo salire fino a sè l'ammirazione ardente degli uomini
-e la cupidigia, s'inebriò, moltiplicò le seduzioni del gesto e del
-passo; salì con la voce a supreme altitudini. La sua gola carnosa,
-segnata dalla collana di Venere, palpitava ai gorgheggi, scoperta.
-
- Son l'ape che solo di mèle si pasce;
- M'inebrio all'azzurro d'un limpido ciel....
-
-Don Giovanni Ussorio, rapito, guardava con tale intensità che gli occhi
-parevano volergli uscir fuori delle orbite. Il barone Cappa faceva un
-po' di bava, incantato. Don Antonio Brattella, membro dell'Areopago di
-Marsiglia, gonfiò, gonfiò, fin che disse, in ultimo:
-
-— Colossale!
-
-
-III.
-
-E Violetta Kutufà così conquistò Pescara.
-
-Per oltre un mese le rappresentazioni dell'opera del cavaliere Petrella
-si seguirono con favore crescente. Il teatro era sempre pieno, gremito.
-Le acclamazioni a Leonora scoppiavano furiose ad ogni fine di romanza.
-Un singolare fenomeno avveniva: tutta la popolazione di Pescara pareva
-presa da una specie di manìa musicale; tutta la vita pescarese pareva
-chiusa nel circolo magico di una melodia unica, di quella ov'è la
-farfalla che scherza tra i fiori. Da per tutto, in tutte le ore, in
-tutti i modi, in tutte le possibili variazioni, in tutti gli strumenti,
-con una persistenza stupefacente, quella melodia si ripeteva; e
-l'imagine di Violetta Kutufà collegavasi alle note cantanti, come,
-Dio mi perdoni, agli accordi dell'organo l'imagine del Paradiso.
-Le facoltà musiche e liriche, le quali nel popolo aternino sono
-nativamente vivissime, ebbero allora una espansione senza limiti. I
-monelli fischiavano per le vie; tutti i dilettanti sonatori provavano.
-Donna Lisetta Memma sonava l'aria sul gravicembalo, dall'alba al
-tramonto; Don Antonio Brattella la sonava sul flauto; Don Domenico
-Quaquino sul clarinetto; Don Giacomo Palusci, il prete, su una sua
-vecchia spinetta rococò; Don Vincenzo Rapagnetta sul violoncello; Don
-Vincenzo Ranieri su la tromba; Don Nicola d'Annunzio sul violino. Dai
-bastioni di Sant'Agostino all'Arsenale e dalla Pescheria alla Dogana, i
-vari suoni si mescolavano e contrastavano e discordavano. Nelle prime
-ore del pomeriggio il paese pareva un qualche grande ospizio di pazzi
-incurabili. Perfino gli arrotini, affilando i coltelli alla ruota,
-cercavano di seguire con lo stridore del ferro e della cote il ritmo.
-
-Com'era tempo di carnevale, nella sala del teatro fu dato un festino
-pubblico.
-
-Il giovedì grasso, alle dieci di sera, la sala fiammeggiava di candele
-steariche, odorava di mortelle, risplendeva di specchi. Le maschere
-entravano a stuoli. I pulcinelli predominavano. Sopra un palco,
-fasciato di veli verdi e constellato di stelle di carta argentea,
-l'orchestra incominciò a sonare. Don Giovanni Ussorio entrò.
-
-Egli era vestito da gentiluomo spagnuolo, e pareva un conte di Lara
-più grasso. Un berretto azzurro con una lunga piuma bianca gli copriva
-la calvizie; un piccolo mantello di velluto rosso gli ondeggiava su le
-spalle, gallonato d'oro. L'abito metteva più in vista la prominenza
-del ventre e la picciolezza delle gambe. I capelli, lucidi di olii
-cosmetici, parevano una frangia artificiale attaccata intorno al
-berretto ed erano più neri del consueto.
-
-Un pulcinella impertinente, passando, strillò con la voce falsa:
-
-— Mamma mia!
-
-E fece un gesto di orrore così buffonesco, dinanzi al travestimento di
-Don Giovanni, che in torno molte risa scampanellarono. La Ciccarina,
-tutta rosea dentro il cappuccio nero della bautta, simile a un bel
-fiore di carne, rideva d'un riso luminosissimo, dondolandosi fra due
-arlecchini cenciosi.
-
-Don Giovanni si perse tra la folla, con dispetto. Egli cercava Violetta
-Kutufà. I sarcasmi delle altre maschere lo inseguivano e lo ferivano.
-D'un tratto egli s'incontrò in un secondo gentiluomo di Spagna, in un
-secondo conte di Lara. Riconobbe Don Antonio Brattella, ed ebbe una
-fitta al cuore. Già tra quei due uomini la rivalità era scoppiata.
-
-— Quanto 'sta nespola? — squittì Don Donato Brandimarte, velenosamente,
-alludendo all'escrescenza carnosa che il membro dell'Areopago di
-Marsiglia aveva nell'orecchio sinistro.
-
-Don Giovanni esultò di una gioia feroce. I due rivali si guardarono e
-si osservarono dal capo alle piante; e si mantennero sempre l'uno poco
-discosto dall'altro, pur girando tra la folla.
-
-Alle undici, nella folla corse una specie di agitazione. Violetta
-Kutufà entrava.
-
-Ella era vestita diabolicamente, con un dominò nero a lungo cappuccio
-scarlatto e con una mascherina scarlatta su la faccia. Il mento rotondo
-e niveo, la bocca grossa e rossa si vedevano a traverso un sottil velo.
-Gli occhi, allungati e resi un po' obliqui dalla maschera, parevano
-ridere.
-
-Tutti la riconobbero, subito; e tutti quasi fecero ala al passaggio
-di lei. Don Antonio Brattella si avanzò, leziosamente, da una parte.
-Dall'altra si avanzò Don Giovanni. Violetta Kutufà ebbe un rapido
-sguardo per gli anelli che brillavano alle dita di quest'ultimo. Indi
-prese il braccio dell'Areopagita. Ella rideva, e camminava con un certo
-vivace ondeggiare de' lombi. L'Areopagita, parlandole e dicendole le
-sue solite gonfie stupidezze, la chiamava contessa, e intercalava nel
-discorso i versi lirici di Giovanni Peruzzini. Ella rideva e si piegava
-verso di lui e premeva il braccio di lui, ad arte, perchè gli ardori e
-gli sdilinquimenti di quel brutto e vano signore la dilettavano. A un
-certo punto, l'Areopagita, ripetendo le parole del conte di Lara nel
-melodramma petrelliano, disse, anzi sommessamente cantò:
-
-— Poss'io dunque sperarrr?
-
-Violetta Kutufà rispose, come Leonora:
-
-— Chi ve lo vieta?... Addio.
-
-E, vedendo Don Giovanni poco discosto, si staccò dal cavaliere
-affascinato e si attaccò all'altro che già da qualche tempo seguiva con
-occhi pieni d'invidia e di dispetto gli avvolgimenti della coppia tra
-la folla danzante.
-
-Don Giovanni tremò, come un giovincello al primo sguardo della
-fanciulla adorata. Poi, preso da un impeto glorioso, trasse la
-cantatrice nella danza. Egli girava affannosamente, con il naso sul
-seno della donna; e il mantello gli svolazzava dietro, la piuma gli si
-piegava, rivi di sudore misti ad olii cosmetici gli colavano giù per
-le tempie. Non potendo più, si fermò. Traballava per la vertigine. Due
-mani lo sorressero; e una voce beffarda gli disse nell'orecchio:
-
-— Don Giovà, riprendete fiato!
-
-Era la voce dell'Areopagita, il quale a sua volta trasse la bella nella
-danza.
-
-Egli ballava tenendo il braccio sinistro arcuato sul fianco, battendo
-il piede ad ogni cadenza, cercando parer leggiero e molle come una
-piuma, con atti di grazia così goffi e con smorfie così scimmiescamente
-mobili che intorno a lui le risa e i motti dei pulcinelli cominciarono
-a grandinare.
-
-— Un soldo si paga, signori!
-
-— Ecco l'orso della Polonia, che balla come un cristiano! Mirate,
-signori!
-
-— Chi vuol nespoleeee? Chi vuol nespoleeee?
-
-— 'O vi'! 'O vi'! L'urangutango!
-
-Don Antonio fremeva, dignitosamente, pur seguitando a ballare.
-
-In torno a lui altre coppie giravano. La sala si era empita di
-gente variissima; e nel gran calore le candele ardevano con una
-fiamma rossiccia, tra i festoni di mortella. Tutta quella agitazione
-multicolore si rifletteva negli specchi.
-
-La Ciccarina, la figlia di Montagna, la figlia di Suriano, le sorelle
-Montanaro apparivano e sparivano, mettendo nella folla l'irraggiamento
-della loro fresca bellezza plebea. Donna Teodolinda Pomàrici, alta e
-sottile, vestita di raso azzurro, come una madonna, si lasciava portare
-trasognata; e i capelli sciolti in anella le fluttuavano su gli omeri.
-Costanzella Caffè, la più agile e la più infaticabile fra le danzatrici
-e la più bionda, volava da una estremità all'altra in un baleno.
-Amalia Solofra, la rossa dai capelli quasi fiammeggianti, vestita da
-forosetta, con audacia senza pari, aveva il busto di seta sostenuto
-da un solo nastro che contornava l'appiccatura del braccio; e, nella
-danza, a tratti le si vedeva una macchia scura sotto le ascelle. Amalia
-Gagliano, la bella dagli occhi cisposi, vestita da maga, pareva una
-cassa funeraria che camminasse verticalmente. Una specie di ebrietà
-teneva tutte quelle fanciulle. Esse erano alterate dall'aria calda e
-densa, come da un falso vino. Il lauro e la mortella formavano un odore
-singolare, quasi ecclesiastico.
-
-La musica cessò. Ora tutti salivano i gradini conducenti alla sala dei
-rinfreschi.
-
-Don Giovanni Ussorio venne ad invitare Violetta a cena. L'Areopagita,
-per mostrare d'essere in grande intimità con la cantatrice, si chinava
-verso di lei e le susurrava qualche cosa all'orecchio e poi si metteva
-a ridere. Don Giovanni non si curò del rivale.
-
-— Venite, contessa? — disse, tutto cerimonioso, porgendo il braccio.
-
-Violetta accettò. Ambedue salirono i gradini, lentamente, con Don
-Antonio dietro.
-
-— Io vi amo! — avventurò Don Giovanni, tentando di dare alla sua
-voce un accento di passione appreso dal _primo amoroso giovine_ d'una
-compagnia drammatica di Chieti.
-
-Violetta Kutufà non rispose. Ella si divertiva a guardare il concorso
-della gente verso il banco di Andreuccio che distribuiva rinfreschi
-gridando il prezzo ad alta voce, come in una fiera campestre.
-Andreuccio aveva una testa enorme, il cranio polito, un naso che
-si curvava su la sporgenza del labbro inferiore poderosamente; e
-somigliava una di quelle grandi lanterne di carta, che hanno la forma
-d'una testa umana. I mascherati mangiavano e bevevano con una cupidigia
-bestiale, spargendosi su gli abiti le briciole delle paste dolci e le
-gocce dei liquori.
-
-Vedendo Don Giovanni, Andreuccio gridò:
-
-— Signò, comandate?
-
-Don Giovanni aveva molte ricchezze, era vedovo, senza parenti prossimi;
-cosicchè tutti si mostravano servizievoli per lui e lo adulavano.
-
-— Na' cenetta, rispose. Ma!...
-
-E fece un segno espressivo per indicare che la cosa doveva essere
-eccellente e rara.
-
-Violetta Kutufà sedette e con un gesto pigro si tolse la mascherina dal
-volto ed aprì un poco sul seno il dominò. Dentro il cappuccio scarlatto
-la sua faccia, animata dal calore, pareva più procace. Per l'apertura
-del dominò si vedeva una specie di maglia rosea che dava l'illusione
-della carne viva.
-
-— Salute! — esclamò Don Pompeo Nervi fermandosi dinanzi alla tavola
-imbandita e sedendosi, attirato da un piatto di aragoste succulente.
-
-E allora sopraggiunse Don Tito De Sieri e prese posto, senza
-complimenti; sopraggiunse Don Giustino Franco insieme con Don Pasquale
-Virgilio e con Don Federico Sicoli. La tavola s'ingrandì. Dopo molto
-rigirare tortuoso, venne anche Don Antonio Brattella. Tutti costoro
-erano per lo più i convitati ordinari di Don Giovanni; gli formavano
-intorno una specie di corte adulatoria; gli davano il voto nelle
-elezioni del Comune; ridevano ad ogni sua facezia; lo chiamavano, per
-antonomasia, _il principale_.
-
-Don Giovanni disse i nomi di tutti a Violetta Kutufà. I parassiti si
-misero a mangiare, chinando sui piatti le bocche voraci. Ogni parola,
-ogni frase di Don Antonio Brattella veniva accolta con un silenzio
-ostile. Ogni parola, ogni frase di Don Giovanni veniva applaudita
-con sorrisi di compiacenza, con accenni del capo. Don Giovanni, tra
-la sua corte, trionfava. Violetta Kutufà gli era benigna, poichè
-sentiva l'oro; e, ormai liberata dal cappuccio, con i capelli un po'
-in ribellione per la fronte e per la nuca, si abbandonava alla sua
-naturale giocondità un po' clamorosa e puerile.
-
-D'in torno, la gente movevasi variamente. In mezzo alla folla tre
-o quattro arlecchini camminavano sul pavimento, con le mani e con i
-piedi; e si rotolavano, simili a grandi scarabei. Amalia Solofra, ritta
-sopra una sedia, con alte le braccia ignude, rosse ai gomiti, agitava
-un tamburello. Sotto di lei una coppia saltava alla maniera rustica,
-gittando brevi gridi; e un gruppo di giovani stava a guardare con
-gli occhi levati, un poco ebri di desio. Di tanto in tanto dalla sala
-inferiore giungeva la voce di Don Ferdinando Giordano che comandava le
-quadriglie con gran bravura:
-
-— _Balanzé! Turdemé! Rondagósce!_
-
-A poco a poco la tavola di Violetta Kutufà diveniva amplissima. Don
-Nereo Pica, Don Sebastiano Pica, Don Grisostomo Troilo, altri della
-corte ussoriana, sopraggiunsero; poi anche Don Cirillo d'Amelio, Don
-Camillo D'Angelo, Don Rocco Mattace. Molti estranei d'intorno stavano a
-guardar mangiare, con volti stupidi. Le donne invidiavano. Di tanto in
-tanto, dalla tavola si levava uno scoppio di risa rauche; e, di tanto
-in tanto, saltava un turacciolo e le spume del vino si riversavano.
-
-Don Giovanni amava spruzzare i convitati, specialmente i calvi,
-per far ridere Violetta. I parassiti levavano le facce arrossite; e
-sorridevano, ancora masticando, al _principale_, sotto la pioggia
-nivea. Ma Don Antonio Brattella s'impermalì e fece per andarsene.
-Tutti gli altri, contro di lui, misero un clamore basso che pareva un
-abbaiamento.
-
-Violetta disse:
-
-— Restate.
-
-Don Antonio restò. Poi fece un brindisi poetico in quinari.
-
-Don Federico Sicoli, mezzo ebro, fece anche un brindisi a gloria di
-Violetta e di Don Giovanni, in cui si parlava persino di _sacre tede_ e
-di _felice imene_. Egli declamò a voce alta. Era un uomo lungo e smilzo
-e verdognolo come un cero. Viveva componendo epitalami e strofette
-per gli onomastici e laudazioni per le festività ecclesiastiche. Ora,
-nell'ebrietà, le rime gli uscivano dalla bocca senza ordine, vecchie
-rime e nuove. A un certo punto egli, non reggendosi su le gambe, si
-piegò come un cero ammollito dal calore; e tacque.
-
-Violetta Kutufà si diffondeva in risa. La gente accalcavasi intorno
-alla tavola, come ad uno spettacolo.
-
-— Andiamo, — disse Violetta, a un certo punto, rimettendosi la maschera
-e il cappuccio.
-
-Don Giovanni, al culmine dell'entusiasmo amoroso, tutto invermigliato e
-sudante, porse il braccio. I parassiti bevvero l'ultimo bicchiere e si
-levarono confusamente, dietro la coppia.
-
-
-IV.
-
-Pochi giorni dopo, Violetta Kutufà abitava un appartamento in una
-casa di Don Giovanni, su la piazza comunale; e una gran diceria
-correva Pescara. La compagnia dei cantatori partì, senza la contessa
-d'Amalfi, per Brindisi. Nella grave quiete quaresimale, i Pescaresi si
-dilettarono della mormorazione e della calunnia, modestamente. Ogni
-giorno una novella nuova faceva il giro della città, e ogni giorno
-dalla fantasia popolare sorgeva una favola.
-
-La casa di Violetta Kutufà stava proprio dalla parte di Sant'Agostino,
-in contro al palazzo di Brina, accosto al palazzo di Memma. Tutte le
-sere le finestre erano illuminate. I curiosi, sotto, si assembravano.
-
-Violetta riceveva i visitatori in una stanza tappezzata di carta
-francese su cui erano francescamente rappresentati taluni fatti
-mitologici. Due canterali panciuti del Settecento occupavano i due lati
-del caminetto. Un canapè giallo stendevasi lungo la parete opposta,
-tra due portiere di stoffa simile. Sul caminetto s'alzava una Venere
-di gesso, una piccola Venere de' Medici, tra due candelabri dorati.
-Su i canterali posavano vari vasi di porcellana, un gruppo di fiori
-artificiali sotto una campana di cristallo, un canestro di frutta
-di cera, una casetta svizzera di legno, un blocco d'allume, alcune
-conchiglie, una noce di cocco.
-
-Da prima i signori avevano esitato, per una specie di pudicizia, a
-salire le scale della cantatrice. Poi, a poco a poco, avevano vinta
-ogni esitazione. Anche gli uomini più gravi facevano di tanto in tanto
-la loro comparsa nel salotto di Violetta Kutufà, anche gli uomini
-di famiglia; e ci andavano quasi trepidando, con un piacere furtivo,
-come se andassero a commettere una piccola infedeltà alle mogli loro,
-come se andassero in un luogo di dolce perdizione e di peccato. Si
-univano in due, in tre; formavano leghe, per maggior sicurezza e per
-giustificarsi; ridevano tra loro e si spingevano i gomiti a vicenda per
-incoraggiamento. Poi la luce delle finestre e i suoni del pianoforte
-e il canto della contessa d'Amalfi e le voci e gli applausi degli
-altri visitatori li inebriavano. Essi erano presi da un entusiasmo
-improvviso; ergevano il busto e la testa, con un moto giovanile;
-salivano risolutamente, pensavano che infine bisognava godersi la vita
-e cogliere le occasioni del piacere.
-
-Ma i ricevimenti di Violetta avevano un'aria di grande convenienza,
-erano quasi cerimoniosi. Violetta accoglieva con gentilezza i nuovi
-venuti ed offriva loro sciroppi nell'acqua e rosolii. I nuovi venuti
-rimanevano un po' attoniti, non sapevano come muoversi, dove sedere,
-che dire. La conversazione si versava sul tempo, su le notizie
-politiche, su la materia delle prediche quaresimali, su altri
-argomenti volgari e tediosi. Don Giuseppe Postiglione parlava della
-candidatura del principe prussiano Hohenzollern al trono di Spagna;
-Don Antonio Brattella amava talvolta discutere dell'immortalità
-dell'anima e d'altre cose edificanti. La dottrina dell'Areopagita
-era grandissima. Egli parlava lento e rotondo, di tanto in tanto
-pronunziando rapidamente una parola difficile e mangiandosi qualche
-sillaba. Secondo la cronaca veridica, una sera, prendendo una bacchetta
-e piegandola, disse: «Com'è _flebile_!» per dire _flessibile_;
-un'altra sera, indicando il palato e scusandosi di non potere suonare
-il flauto, disse: «Mi s'è infiammata tutta la _platea_!» e un'altra
-sera, indicando l'orificio di un vaso, disse che, perchè i fanciulli
-prendessero la medicina, bisognava spargere di qualche materia dolce
-tutta l'_oreficeria_ del bicchiere.
-
-Di tratto in tratto, Don Paolo Seccia, spirito incredulo, udendo
-raccontare fatti troppo singolari, saltava su:
-
-— Ma, Don Antò, voi che dite?
-
-Don Antonio assicurava, con una mano sul cuore:
-
-— Testimone _oculista!_ Testimone _oculista!_ Una sera egli venne,
-camminando a fatica; e piano piano si mise a sedere: aveva un reuma
-_lungo il reno_. Un'altra sera venne, con la guancia destra un po'
-illividita: era caduto _di soppiatto_, cioè aveva sdrucciolato battendo
-la guancia sul suolo.
-
-— Come mai,. Don Antò? — chiese qualcuno.
-
-— Eh guardate! Ho perfino un _impegno_ rotto, egli rispose, indicando
-il tomaio che nel dialetto nativo si chiama _'mbígna_, come nel
-proverbio _Senza 'mbígna nen ze mandé la scarpe_.
-
-Questi erano i belli ragionari di quella gente. Don Giovanni Ussorio,
-presente sempre, aveva delle arie padronali; ogni tanto si avvicinava
-a Violetta e le mormorava qualche cosa nell'orecchio, con familiarità,
-per ostentazione. Avvenivano lunghi intervalli di silenzio, in cui Don
-Grisostomo Troilo si soffiava il naso e Don Federico Sicoli tossiva
-come un macacco tisico portando ambo le mani alla bocca ed agitandole.
-
-La cantatrice ravvivava la conversazione narrando i suoi trionfi
-di Corfù, di Ancona, di Bari. Ella a poco a poco si eccitava, si
-abbandonava tutta alla fantasia; con reticenze discrete, parlava di
-amori principeschi, di favori reali, di avventure romantiche; evocava
-tutti i suoi tumultuarii ricordi di letture fatte in altro tempo:
-confidava largamente nella credulità degli ascoltatori. Don Giovanni
-in quei momenti le teneva addosso gli occhi pieni d'inquietudine,
-quasi smarrito, pur provando un orgasmo singolare che aveva una vaga e
-confusa apparenza di gelosia.
-
-Violetta finalmente s'interrompeva, sorridendo d'un sorriso fatuo.
-
-Di nuovo, la conversazione languiva.
-
-Allora Violetta si metteva al pianoforte e cantava. Tutti ascoltavano,
-con attenzione profonda. Alla fine, applaudivano.
-
-Poi sorgeva l'Areopagita, col flauto. Una malinconia immensa prendeva
-gli uditori, a quel suono, uno sfinimento dell'anima e del corpo.
-Tutti stavano col capo basso, quasi chino sul petto, in attitudini di
-sofferenza.
-
-In ultimo, tutti uscivano l'uno dietro l'altro. Come avevano presa la
-mano di Violetta, un po' di profumo, d'un forte profumo muschiato,
-restava loro nelle dita; e n'erano turbati alquanto. Allora, nella
-via, si riunivano in crocchio, tenevano discorsi libertini, si
-rinfocolavano, cercavano d'imaginare le occulte forme della cantatrice;
-abbassavano la voce o tacevano, se qualcuno s'appressava. Pianamente se
-ne andavano sotto il palazzo di Brina, dall'altra parte della piazza.
-E si mettevano a spiare le finestre di Violetta ancora illuminate. Su
-i vetri passavano ombre indistinte. A un certo punto, il lume spariva,
-attraversava due o tre stanze; e si fermava nell'ultima, illuminando
-l'ultima finestra. Dopo poco, una figura veniva innanzi a chiudere
-le imposte. E i riguardanti credevano riconoscere la figura di Don
-Giovanni. Seguitavano ancora a discorrere, sotto le stelle; e di tanto
-in tanto ridevano, dandosi piccole spinte a vicenda, gesticolando.
-Don Antonio Brattella, forse per effetto della luce d'un lampione
-comunale, pareva di color verde. I parassiti, a poco a poco, nel
-discorso, cacciavan fuori una certa animosità contro la cantatrice che
-spiumava con tanto garbo il loro anfitrione. Essi temevano che i larghi
-pasti corressero pericolo. Già Don Giovanni era più parco d'inviti.
-«Bisognava aprire gli occhi a quel poveretto. Un'avventuriera!.....
-Puah! Ella sarebbe stata capace di farsi sposare. Come no? E poi lo
-scandalo....»
-
-Don Pompeo Nervi, scotendo la grossa testa vitulina, assentiva:
-
-— È vero! È vero! Bisogna pensarci.
-
-Don Nereo Pica, la faina, proponeva qualche mezzo, escogitava
-stratagemmi, egli uomo pio, abituato alle secrete e laboriose guerre
-della sacrestia, scaltro nel seminar le discordie.
-
-Così quei mormoratori s'intrattenevano a lungo; e i discorsi grassi
-ritornavano nelle loro bocche amare. Come era la primavera, gli alberi
-del giardino pubblico odoravano e ondeggiavano bianchi di fioriture,
-dinanzi a loro: e pei vicoli vicini si vedevano sparire figure di
-meretrici discinte.
-
-
-V.
-
-Quando dunque Don Giovanni Ussorio, dopo aver saputo da Rosa Catana la
-partenza di Violetta Kutufà, rientrò nella casa vedovile e sentì il suo
-pappagallo modulare l'aria della farfalla e dell'ape, fu preso da un
-nuovo e più profondo sgomento.
-
-Nell'andito, tutto candido, entrava una zona di sole. A traverso
-il cancello di ferro si vedeva il giardino tranquillo, pieno di
-eliotropii. Un servo dormiva sopra una stuoia, co'l cappello di paglia
-su la faccia.
-
-Don Giovanni non risvegliò il servo. Salì con fatica le scale, tenendo
-gli occhi fissi ai gradini, soffermandosi, mormorando:
-
-— Oh, che cosa! Oh, oh, che cosa!
-
-Giunto alla sua stanza, si gettò sul letto, con la bocca contro i
-guanciali; e ricominciò a singhiozzare. Poi si sollevò. Il silenzio era
-grande. Gli alberi del giardino, alti sino alla finestra, ondeggiavano
-appena, nella quiete dell'ora. Nulla di straordinario avevano le cose
-in torno. Egli quasi n'ebbe meraviglia.
-
-Si mise a pensare. Stette lungo tempo a rammentarsi le attitudini, i
-gesti, le parole, i minimi cenni della fuggitiva. La forma di lei gli
-appariva chiara, come se fosse presente. Ad ogni ricordo, il dolore
-cresceva; fino a che una specie di ebetudine gli occupò il cervello.
-
-Egli rimase a sedere sul letto, quasi immobile, con gli occhi rossi,
-con le tempie tutte annerite dalla tintura dei capelli mista al sudore,
-con la faccia solcata da rughe diventate più profonde all'improvviso,
-invecchiato di dieci anni in un'ora; ridevole e miserevole.
-
-Venne Don Grisostomo Troilo, che aveva saputo la novella; ed entrò.
-Era un uomo d'età, di piccola statura, con una faccia rotonda e gonfia,
-d'onde uscivan fuori due baffi acuti e sottili, bene incerati, simili a
-due aculei. Disse:
-
-— Be', Giovà, che è questo?
-
-Don Giovanni non rispose; ma scosse le spalle come per rifiutare ogni
-conforto. Don Grisostomo allora si mise a riprenderlo amorevolmente,
-con unzione, senza parlare di Violetta Kutufà.
-
-Sopraggiunse Don Cirillo D'Amelio con Don Nereo Pica. Tutt'e due,
-entrando, avevano quasi un'aria trionfante.
-
-— Hai visto? Hai visto? Giovà? Noi lo dicevaaamo! Noi lo dicevaaamo!
-
-Essi avevano ambedue una voce nasale e una cadenza acquistata nella
-consuetudine del cantare su l'organo, poichè appartenevano alla
-Congregazione del Santissimo Sacramento. Cominciarono a imperversare
-contro Violetta, senza misericordia. «Ella faceva questo, questo e
-quest'altro».
-
-Don Giovanni, straziato, tentava di tanto in tanto un gesto per
-interrompere, per non udire quelle vergogne. Ma i due seguitavano.
-Sopraggiunsero anche Don Pasquale Virgilio, Don Pompeo Nervi, Don
-Federico Sicoli, Don Tito De Sieri, quasi tutti i parassiti, insieme.
-Essi, così collegati, diventavano feroci. «Violetta Kutufà s'era data a
-Tizio, a Caio, a Sempronio... Sicuro! Sicuro!» Esponevano particolarità
-precise, luoghi precisi.
-
-Ora Don Giovanni ascoltava, con gli occhi accesi, avido di sapere,
-invaso da una curiosità terribile. Quelle rivelazioni, in vece di
-disgustarlo, alimentavano in lui la brama. Violetta gli parve più
-desiderabile, ancora più bella; ed egli si sentì mordere dentro da una
-gelosia furiosa che si confondeva col dolore. Subitamente, la donna gli
-apparve nel ricordo atteggiata ad una posa molle. Egli più non la vide
-se non in quell'atto. Quell'imagine permanente gli dava le vertigini.
-«Oh Dio! Oh Dio! Oh! Oh!» Egli ricominciò a singhiozzare. I presenti
-si guardarono in volto e contennero il riso. In verità, il dolore di
-quell'uomo pingue calvo e deforme aveva un'espressione così ridicola
-che non pareva reale.
-
-— Andatevene ora! — balbettò tra le lacrime Don Giovanni.
-
-Don Grisostomo Troilo diede l'esempio. Gli altri seguirono. E per le
-scale cicalavano.
-
-Come venne la sera, l'abbandonato si sollevò, a poco a poco. Una voce
-feminile chiese all'uscio:
-
-— È permesso, Don Giovanni?
-
-Egli riconobbe Rosa Catana e provò d'un tratto una gioia istintiva.
-Corse ad aprire. Rosa Catana apparve, nella penombra della stanza.
-
-Egli disse:
-
-— Vieni! Vieni!
-
-La fece sedere a canto a sè, la fece parlare,, l'interrogò in mille
-modi. Gli pareva di soffrir meno, ascoltando quella voce familiare in
-cui egli per illusione trovava qualche cosa della voce di Violetta. Le
-prese le mani.
-
-— Tu la pettinavi; è vero?
-
-Le accarezzò le mani ruvide, chiudendo gli occhi, co 'l cervello un po'
-svanito, pensando all'abbondante capellatura disciolta che quelle mani
-avevano tante volte toccata. Rosa, da prima, non comprendeva; credeva
-a qualche subitaneo desiderio di Don Giovanni, e ritirava le mani
-mollemente, dicendo qualche parola ambigua, ridendo. Ma Don Giovanni
-mormorò:
-
-— No, no!... Zitta! Tu la pettinavi; è vero? Tu la mettevi nel bagno; è
-vero?
-
-Egli si mise a baciare le mani di Rosa, quelle mani che pettinavano,
-che lavavano, che vestivano Violetta. Tartagliava, baciandole; faceva
-versi così strani che Rosa a fatica poteva ritenere le risa. Ma ella
-finalmente comprese; e da femmina accorta, sforzandosi di rimanere in
-serietà, calcolò tutti i vantaggi ch'ella avrebbe potuto trarre dalla
-melensa commedia di Don Giovanni. E fu docile; si lasciò accarezzare;
-si lasciò chiamare Violetta; si servì di tutta l'esperienza acquistata
-guardando dal buco della chiave ed origliando tante volte all'uscio
-della padrona; cercò anche di rendere la voce più dolce.
-
-Nella stanza ci si vedeva appena. Dalla finestra aperta entrava un
-chiarore roseo; e gli alberi del giardino, quasi neri, stormivano.
-Dai pantani dell'Arsenale giungeva il gracidare lungo delle rane. Il
-romorìo delle strade cittadine era indistinto.
-
-Don Giovanni attirò la donna su le sue ginocchia; e, tutto smarrito,
-come se avesse bevuto qualche liquore troppo ardente, balbettava mille
-leziosaggini puerili, pargoleggiava, senza fine, accostando la sua
-faccia a quella di lei.
-
-— Violettuccia bella! Cocò mio! Non te ne vai, Cocò!... Se te ne vai,
-Ninì tuo muore. Povero Ninì!... Baubaubaubauuu!
-
-E seguitava ancora, stupidamente, come faceva prima con la cantatrice.
-E Rosa Catana, paziente, gli rendeva le piccole carezze, come a un
-bambino malaticcio e viziato; gli prendeva la testa e se la teneva
-contro la spalla; gli baciava gli occhi gonfi e lagrimanti; gli palpava
-il cranio calvo; gli ravviava i capelli untuosi.
-
-
-VI.
-
-Così Rosa Catana a poco a poco guadagnò l'eredità di Don Giovanni
-Ussorio, che nel marzo del 1871 moriva di paralisía.
-
-
-
-
-LA MORTE DEL DUCA D'OFENA.
-
-
-I.
-
-Quando giunse di lontano il primo clamor confuso della ribellione,
-Don Filippo Cassàura aprì subitamente le palpebre che per solito gli
-pesavano su gli occhi, infiammate agli orli e arrovesciate come quelle
-de' piloti che navigano per mari ventosi.
-
-— Hai sentito? — chiese al Mazzagrogna che gli stava da presso. E il
-tremito della voce tradiva lo sbigottimento interiore.
-
-Rispose il maggiordomo, sorridendo:
-
-— Non abbiate paura, Eccellenza. Oggi è San Pietro. Cantano i mietitori.
-
-Il vecchio stette un poco in ascolto, poggiato sul gomito, con
-lo sguardo ai balconi. Le cortine ondeggiavano ai soffi caldi del
-libeccio. Le rondini a stormi passavano e ripassavano, rapide come
-freccie, nell'aria ardentissima. Tutti i tetti delle case sottostanti
-fiammeggiavano, quali rossastri, quali grigi. Oltre i tetti si
-distendeva la campagna immensa ed opulenta, quasi tutta d'oro in tempo
-di mietitura. Di nuovo chiese il vecchio:
-
-— Ma, Giovanni, hai sentito?
-
-Giungevano, infatti, clamori che non parevano di gioia. Il vento,
-rafforzandoli a intervalli e spegnendoli o mescendoli al suo fischio,
-li rendeva più singolari.
-
-— Non ci badate, Eccellenza — rispose il Mazzagrogna. — Gli orecchi
-v'ingannano. State quieto.
-
-Ed egli si levò per andare verso uno dei balconi.
-
-Era un uomo tarchiato, con le gambe in arco, con le mani enormi,
-coperte di peli sul dorso, bestiali. Aveva gli occhi un poco obliqui,
-biancastri come quelli degli albini, tutta la faccia sparsa di
-lentiggini, pochi capelli rossi su le tempie, e l'occipite occupato da
-certe escrescenze dure e scure in forma di castagne.
-
-Rimase in piedi alquanto, fra le due cortine che si gonfiavano come
-due vele, a investigare il piano sottoposto. Un alto polverìo levavasi
-dalla strada della Fara, come per passaggio di greggi numerose; e i
-folti nugoli, gonfiati dal vento, crescevano in forma di trombe. Di
-tratto in tratto, anche, i nugoli balenavano come se chiudessero gente
-armata.
-
-— Ebbene? — chiese don Filippo, inquieto.
-
-— Nulla — rispose il Mazzagrogna; ma aveva le sopracciglia corrugate
-profondamente.
-
-Di nuovo, il soffio impetuoso portò un tumulto di grida lontane. Una
-cortina, sforzata dall'urto, si mise a sbattere e a garrire nell'aria
-come un gonfalone spiegato. Una porta si chiuse d'improvviso, con
-violenza e con fragore. I vetri ne tremarono. Le carte, accumulate
-sopra una tavola, si sparpagliarono per tutta la stanza.
-
-— Chiudi! Chiudi! — gridò il vecchio, con un moto di terrore. — Mio
-figlio dov'è?
-
-Egli ansava, sul letto, affogato dalla pinguedine, incapace di
-levarsi poichè aveva tutta la inferior parte del corpo impedita dalla
-paralisìa. Un continuo tremor paralitico gli agitava i muscoli del
-collo, i gomiti, le ginocchia. Le sue mani posavano sul lenzuolo,
-contorte e nodose come le ràdiche dei vecchi olivi. Un sudore abondante
-gli stillava dalla fronte e dal cranio calvo, rigandogli la larga
-faccia che era d'un color roseo disfatto, sottilissimamente venato di
-vermiglio come la milza dei buoi.
-
-— Diavolo! — mormorò fra i denti il Mazzagrogna, mentre chiudeva le
-imposte a viva forza.
-
-— Fanno davvero?
-
-Ora si scorgeva su la strada della Fara, alle prime case, una
-moltitudine d'uomini agitata e ondeggiante, come un rigurgito di
-flutti, che dava indizio d'un'altra maggior moltitudine non visibile,
-nascosta dalla linea dei tetti e dalle querci di San Pio. La legione
-ausiliaria delle campagne veniva dunque ad ingrossar la ribellione.
-A poco a poco la folla diminuiva, internandosi nelle vie del paese e
-scomparendo come un popolo di formiche nei labirinti d'un formicaio. Le
-grida, soffocate dalle mura o ripercosse, giungevano ora come un rombo
-continuo, indistinte. A volte mancavano; e allora si udiva il grande
-stormire degli elci dinanzi al palazzo che pareva più solo.
-
-— Mio figlio dov'è? — chiese di nuovo il vecchio, con una voce che lo
-sbigottimento rendeva più stridula. — Chiamalo! Lo voglio vedere.
-
-Tremava forte, sul letto, non soltanto perchè egli era paralitico,
-ma perchè aveva paura. Ai primi moti sediziosi del giorno innanzi,
-agli urli d'un centinaio di giovinastri venuti a schiamazzare sotto i
-balconi contro la più recente angheria del duca d'Ofena, egli era stato
-preso da una così pazza paura che aveva pianto come una femminetta
-ed aveva passata la notte invocando i santi del Paradiso. Il pensiero
-della morte o del pericolo dava un indicibile terrore a quel vecchio
-paralitico, già semispento, in cui gli ultimi guizzi della vita eran sì
-dolorosi. Egli non voleva morire.
-
-— Luigi! Luigi! — si mise a gridare, nell'ambascia, chiamando il
-figliuolo.
-
-Tutto il palazzo era pieno dell'acuto tintinnio de' vetri all'urto del
-vento. Di tratto in tratto si udiva il rimbombo d'un uscio sbattuto, o
-suono di passi precipitati e di voci brevi.
-
-— Luigi!
-
-
-II.
-
-Il duca accorse. Egli era un poco pallido e concitato, se bene cercasse
-di dominarsi. Alto di statura e robusto, aveva la barba ancor tutta
-nera su le mascelle assai grosse; la bocca tumida e imperiosa, piena
-d'un soffio veemente; gli occhi torbidi e voraci; il naso grande,
-palpitante, sparso di rossore.
-
-— Ebbene? — chiese Don Filippo, ansando con tal rantolo che pareva
-dovesse soffocarlo.
-
-— Non temete, padre; ci sono io — rispose il duca, appressandosi al
-letto, cercando di sorridere.
-
-Il Mazzagrogna stava in piedi, dinanzi a uno de' balconi, guardando di
-fuori, intento. Non giungevano più grida; non si vedeva più alcuno. Il
-sole declinava dal cielo puro, simile a un cerchio roseo di fiamma, che
-più s'ingrandiva e più s'accendeva nel raggiungere le cime dei colli.
-Tutta la campagna pareva ardere; e pareva che il garbino fosse l'alito
-dell'incendio. Il primo quarto della luna saliva di tra le macchie
-di Lisci. Poggio Rivelli, Ricciano, Rocca di Forca, in lontananza,
-mandavano lampi dai vetri delle finestre e a tratti suono di campane.
-Qualche fuoco incominciava a brillare qua e là. Il calore toglieva il
-respiro.
-
-— Questo — disse il duca d'Ofena con quella sua voce rauca e dura — ci
-viene dagli Scioli. Ma...
-
-E fece un gran gesto di minaccia. Poi s'accostò al Mazzagrogna.
-
-Egli era inquieto per Carletto Grua che non si vedeva ancora. Passeggiò
-in lungo e in largo nella stanza, con un passo pesante. Staccò da
-una panoplia due lunghe pistole d'arcione e le esaminò attentamente.
-Il padre seguiva ogni atto di lui con occhi dilatati; ansava come un
-giumento in agonia; di tratto in tratto scoteva con le mani deformi il
-lenzuolo, per aver refrigerio. Domandò due o tre volte al Mazzagrogna:
-
-— Che si vede?
-
-D'improvviso il Mazzagrogna esclamò:
-
-— Ecco Carletto che vien su correndo, con Gennaro.
-
-Si udirono, in fatti, colpi furiosi alla porta grande. Poco dopo,
-Carletto e il servo entrarono nella stanza, pallidi, sbigottiti,
-macchiati di sangue, coperti di polvere.
-
-Il duca, vedendo Carletto, gettò un grido. Lo prese fra le braccia, si
-mise a tastarlo in tutto il corpo per trovare la ferita.
-
-— Che t'hanno fatto? Di', che t'hanno fatto?
-
-Il giovine piangeva, come una donna.
-
-— Qui — disse fra i singhiozzi. Abbassò la testa e mostrò su la nuca
-alcune ciocche di capelli attaccate insieme dal sangue rappreso.
-
-Il duca mise le dita fra i capelli delicatamente, per iscoprir la
-ferita. Egli amava d'un tristo amore Carletto Grua; ed aveva per lui le
-cure d'un amante.
-
-— Ti fa dolore? — gli chiese.
-
-Il giovine singhiozzò più forte. Egli era esile come una fanciulla;
-aveva un volto femineo, a pena a pena ombrato d'una lanugine bionda;
-i capelli alquanto lunghi, bellissima la bocca, e la voce acuta come
-quella degli evirati. Era un orfano, figliuolo d'un confettiere di
-Benevento. Faceva da valletto al duca.
-
-— Ora verranno! — disse, con un tremito per tutta la persona, volgendo
-gli occhi pieni di lacrime al balcone d'onde ora di nuovo giungevano i
-clamori, più alti e più terribili.
-
-Il servo, che aveva una ferita profonda su la spalla destra e tutto
-il braccio intriso di sangue fino al gomito, raccontava balbettando
-come ambedue fossero stati rincorsi dalla folla inferocita; quando il
-Mazzagrogna, ch'era rimasto sempre a spiare, gridò:
-
-— Eccoli! Vengono al palazzo. Sono armati.
-
-Don Luigi, lasciando Carletto, corse a vedere.
-
-
-III.
-
-La moltitudine, in fatti, irrompeva su per l'ampia salita, urlando
-e scotendo nell'aria armi ed arnesi, con una tal furia concorde che
-non pareva un adunamento di singoli uomini ma la coerente massa d'una
-qualche cieca materia sospinta da una irresistibile forza. In pochi
-minuti fu sotto al palazzo, si allungò intorno come un gran serpente
-di molte spire, e chiuse in un denso cerchio tutto l'edifizio. Taluni
-dei ribelli portavano alti fasci di canne accesi, come fiaccole, che
-gittavano sui volti una luce mobile e rossastra, schizzavano faville
-e schegge ardenti, mettevano un crepitìo sonoro. Altri, in un gruppo
-compatto, sostenevano un'antenna alla cui cima penzolava un cadavere
-umano. Minacciavano la morte coi gesti e con le voci. Tra le contumelie
-ripetevano un nome:
-
-— Cassàura! Cassàura!
-
-Il duca d'Ofena si morse le mani, quando riconobbe in cima all'antenna
-il corpo mutilato di Vincenzio Murro, del messo ch'egli aveva spedito
-nella notte a chieder soccorso di gente d'arme. Additò l'impiccato al
-Mazzagrogna, il quale disse a bassa voce:
-
-— È finita!
-
-Ma l'udì don Filippo, e cominciò a fare un lagno così accorante che
-tutti si sentirono stringere il cuore e mancare gli spiriti.
-
-I servi si accalcavano su le soglie, smorti in faccia, tenuti dalla
-viltà. Alcuni lacrimavano, altri invocavano un santo, altri pensavano
-al tradimento. — Se, consegnando il padrone al popolo, avessero potuto
-aver salva la vita? — Cinque o sei, meno pusillanimi, tenevano perciò
-consiglio e si eccitavano a vicenda.
-
-— Al balcone! Al balcone! — gridava il popolo, tempestando. — Al
-balcone!
-
-Ora il duca d'Ofena parlava sommesso col Mazzagrogna, in disparte.
-
-Volgendosi a don Filippo, disse:
-
-— Mettetevi nella sedia, padre. Sarà meglio. Ci fu tra i servi un
-leggero mormorìo. Due si fecero innanzi per aiutare il paralitico a
-discendere dal letto. Altri due accostarono la sedia che scorreva su
-piccole ruote. L'operazione fu penosa.
-
-Il vecchio corpulento ansava e si lamentava forte, premendo con
-le braccia il collo dei servi che lo sostenevano. Egli era tutto
-grondante; e la stanza, essendo chiuse le imposte, era omai piena
-dell'insoffribile odore. Com'egli fu nella sedia, i suoi piedi con
-un moto ritmico presero a percuotere il pavimento. Il gran ventre
-tremolava floscio su le ginocchia, simile a un otre mezzo vuoto.
-
-Allora il duca disse al Mazzagrogna:
-
-— Giovanni, a te!
-
-E quegli, con un gesto risoluto, aprì le imposte ed uscì sul balcone.
-
-
-IV.
-
-Un urlo immenso l'accolse. Cinque, dieci, venti fasci di canne ardenti
-vennero lì sotto a radunarsi. Il chiarore illuminava i volti animati
-dalla bramosia della strage, l'acciaro degli schioppi, i ferri delle
-scuri. I portatori di fiaccole avevano tutta la faccia cospersa di
-farina, per difendersi dalle faville; e tra quel bianco i loro occhi
-sanguigni brillavano singolarmente. Il fumo nero saliva nell'aria,
-disperdendosi rapido. Tutte le fiamme si allungavano da una banda,
-spinte dal vento, sibilanti, come capellature infernali. Le canne più
-sottili e più secche si accendevano, si torcevano, rosseggiavano, si
-spezzavano, scoppiettavano come razzi, in un attimo. Ed era una vista
-allegra.
-
-— Mazzagrogna! Mazzagrogna! A morte il ruffiano! A morte il guercio! —
-gridavano tutti, accalcandosi per iscagliar più da vicino l'insulto.
-
-Il Mazzagrogna stese una mano, come per sedare i clamori; raccolse
-tutta la potenza vocale; e incominciò col nome del re, quasi
-promulgasse una legge, per incutere al popolo il rispetto.
-
-— In nome di S. M. Ferdinando II, per la grazia di Dio, re delle Due
-Sicilie, di Gerusalemme...
-
-— A morte il ladro!
-
-Due, tre schioppettate risonarono fra le grida; e l'arringatore,
-colpito al petto e alla fronte, vacillò, agitò in alto le mani e cadde
-in avanti. Nel cadere, la testa entrò fra l'un ferro e l'altro della
-ringhiera e penzolò di fuori come una zucca. Il sangue gocciolava sul
-terreno sottostante.
-
-Il caso rallegrò il popolo. Lo schiamazzo saliva alle stelle.
-
-Allora i portatori dell'antenna con l'impiccato vennero sotto il
-balcone e accostarono Vincenzio Murro al maggiordomo. Mentre l'antenna
-oscillava nell'aria, il popolo stava intento al congiungimento
-dei due morti, quasi ammutolito. Un poeta improvviso, alludendo
-all'occhio albino del Mazzagrogna e a quello cisposo del messo, gittò a
-squarciagola un sospetto:
-
- — _Affàccet' a 'ssa fenêstre, ùocchie fritte,
- Ca t' è mmenut' a ccandà 'lu scacazzate!_
-
-Un vasto scroscio di risa accolse lo scherno del poeta; e le risa si
-propagarono di bocca in bocca, come un tuono d'acque cadenti giù pe'
-sassi d'una china.
-
-Un poeta rivale gridò:
-
- — _Vide che ssòrt' ha da 'vé 'ssu cecàte!
- S' affranghe de chiude 'l'ùocchie quande se mòre._
-
-Le risa si rinnovellarono.
-
-Un terzo gridò:
-
- — _O faccia de cecòria mmàle còtte!
- Tenète lu chelòre de la mòrte!_
-
-Altri distici volarono al Mazzagrogna. Una gioia feroce aveva invaso
-gli animi. La vista e l'odore del sangue inebriavano i più vicini.
-Tommaso di Beffi e Rocco Furci vennero a contesa di destrezza nel
-colpire con una sassata il cranio penzoloni dell'ucciso ancor caldo.
-Ad ogni colpo il cranio si moveva e dava sangue. La pietra di Rocco
-Furci alla fine colpì nel mezzo, levando un suono secco. Gli spettatori
-applaudirono. Ma erano sazii ormai del Mazzagrogna.
-
-Di nuovo sorse il grido:
-
-— Cassàura! Cassàura! Il duca! A morte! Fabrizio e Ferdinandino
-Scioli s'insinuavano tra la folla ed istigavano i facinorosi. Una
-terribile sassaiuola si levò contro le finestre del palazzo, fitta
-come una grandine, mista di schioppettate. I vetri cadevano addosso
-agli assalitori. Le pietre rimbalzavano. Rimasero feriti non pochi dei
-circostanti.
-
-Terminati i sassi, consumato il piombo, Ferdinandino Scioli gridò:
-
-— A terra le porte!
-
-E il grido, ripetuto da tante bocche, tolse al duca d'Ofena ogni
-speranza di salvezza.
-
-
-V.
-
-Nessuno aveva osato di richiudere il balcone dov'era caduto il
-Mazzagrogna. Il cadavere giaceva in un'attitudine scomposta. Poichè
-i ribelli, per essere liberi, avevan lasciata l'antenna contro la
-ringhiera, anche il corpo sanguinoso del messo, a cui qualche membro
-era stato reciso con la scure, scorgevasi a traverso le cortine
-gonfiate dal vento. La sera era profonda. Le stelle riscintillavano
-senza fine. Qualche stoppia bruciava in lontananza.
-
-Udendo i colpi contro le porte, il duca d'Ofena volle ancora tentare
-una prova. Don Filippo, istupidito dal terrore, teneva gli occhi
-chiusi; non parlava più. Carletto Grua, con la testa fasciata, si
-rannicchiava tutto in un angolo, battendo i denti nella febbre e nella
-paura, seguendo con i poveri occhi fuori dell'orbita ogni passo, ogni
-gesto, ogni moto del suo signore. I servi erano rifugiati quasi tutti
-nelle soffitte. Pochi rimanevano nelle stanze contigue.
-
-Don Luigi li radunò, li rianimò; li armò di pistole o di fucile; quindi
-a ciascuno assegnò un posto dietro il davanzale d'una finestra o tra
-le persiane d'un balcone. Ciascuno doveva tirare su la folla, con la
-maggior possibile celerità di colpi, in silenzio, senza esporsi.
-
-— Avanti!
-
-Il fuoco incominciò. Don Luigi sperava nel pànico. Egli stesso caricava
-e scaricava le sue lunghe pistole con un meraviglioso vigore, senza
-stancarsi. Come la moltitudine era densa, nessun colpo falliva.
-Le grida, che si levavano ad ogni scarica, eccitavano i servi e
-n'aumentavano l'ardore. Già lo scompiglio invadeva gli ammutinati.
-Molti fuggivano, lasciando a terra i feriti.
-
-Allora dal servidorame partì un urlo di vittoria:
-
-— Viva il duca d'Ofena!
-
-Quelli uomini vili ora s'imbaldanzivano, vedendo le spalle del nemico.
-Non rimanevano più nascosti, nè più tiravano alla cieca, ma si erano
-alzati in piedi, fieramente, e cercavano di colpire nel segno. Ed ogni
-volta che vedevan cadere uno, gittavano l'urlo:
-
-— Viva il duca!
-
-In poco, il palazzo fu libero d'assedio. D'intorno i feriti si
-lamentavano. I residui delle canne, che ancora ardevano al suolo,
-gittavan su' corpi bagliori incerti, suscitavan riflessi da qualche
-pozza di sangue, o stridevano spegnendosi. Il vento era cresciuto;
-ed investiva gli elci con alto stormire. I latrati dei cani si
-rispondevano per tutta la valle.
-
-Inebriati dalla vittoria, grondanti per la fatica, i servi discesero a
-rifocillarsi. Tutti erano incolumi. Bevevano senza misura, e facevano
-gazzarra. Alcuni proclamavano i nomi di quelli che essi avevan colpito,
-e ne descrivevano il modo della caduta, buffonescamente. I bracchieri
-desumevano le similitudini dalla selvaggina. Un cuciniere si vantò
-d'aver ucciso il terribile Rocco Furci. Alimentate dal vino, le
-millanterie si moltiplicavano.
-
-
-VI.
-
-Ora, mentre il duca d'Ofena, sicuro d'aver per quella notte
-almeno scongiurato ogni pericolo, era solo intento a custodire il
-piagnucolante Carletto, improvvisi bagliori si ripercossero in uno
-specchio e nuovi clamori si levarono tra il fischiar del libeccio,
-sotto il palazzo. Al tempo medesimo apparvero quattro o cinque servi,
-che il fumo aveva quasi soffocati mentre dormivano ubriachi nelle
-stanze basse. Essi non avevano ancora riacquistati gli spiriti;
-barcollavano senza poter parlare poichè si sentivan la lingua torpida.
-Altri sopraggiunsero.
-
-— Il fuoco! Il fuoco!
-
-Tremavano gli uni addossati agli altri, come una greggia. La viltà
-nativa li occupava novamente. Avevano tutti i sensi ottusi, come in
-un sogno. Non sapevano quel che dovevano fare. Nè ancora la perfetta
-consapevolezza del pericolo li stimolava a cercare uno scampo.
-
-Sorpreso, il duca dapprima restò perplesso. Ma Carletto Grua, vedendo
-entrare il fumo e udendo quel singolare ruggito che fanno le fiamme
-nel nutrirsi, si mise a strillare così acutamente e a far gesti così
-forsennati che Don Filippo si destò dal grave sopore in cui era caduto
-e vide la morte.
-
-La morte era inevitabile. Il fuoco, sotto il costante soffio del
-vento, propagavasi con una stupenda celerità per tutta la vecchia
-ossatura dell'edifizio, divorando ogni cosa, suscitando da ogni cosa
-vampe mobili, fluide, canore. Le vampe correvano lievi su le pareti,
-lambivano le tappezzerie, esitavano un istante a fior del tessuto, si
-colorivano di tinte mutevoli e vaghe, penetravano nella trama con mille
-lingue sottilissime e vibranti, parevano infondere per un attimo nelle
-figure murali uno spirito, accendere per un attimo su la bocca delle
-ninfe e delle iddie un riso non mai veduto, muovere per un attimo le
-loro attitudini e i loro gesti immobili. Passavan oltre, in fuga sempre
-più luminosa; si avvolgevano alle suppellettili di legno, conservando
-fino all'ultimo la loro forma, così da farle apparire tutte materiate
-di piropi che d'un tratto si disgregavano e s'incenerivano come per
-incanti. Le voci delle vampe erano innumerevoli; formavano un vasto
-coro, una profonda armonia, come d'una selva dai milioni di foglie,
-come d'un organo dai milioni di canne. Già appariva ad intervalli,
-nelle aperture fragorose, il cielo puro con le sue corone di stelle.
-Omai tutto il palazzo era in potere del fuoco.
-
-— Salvami! Salvami! — gridò il vecchio, tentando invano di sorgere,
-sentendo già sotto di sè sprofondare il pavimento, sentendosi accecare
-dall'implacabile rossore. — Salvami!
-
-Con uno sforzo supremo giunse a levarsi. E si mise a correre, col
-tronco inclinato innanzi, saltellando a piccoli passi incalzanti,
-come spinto da un irresistibile impulso progressivo, agitando le mani
-informi, finchè cadde fulminato, già preda del fuoco, sgonfiandosi e
-rappigliandosi come una vescica.
-
-Ora di tratto in tratto le grida del popolo aumentavano, e salivan
-più alto dell'incendio. I servi, pazzi di terrore e di dolore, mezzo
-riarsi, si precipitavano dalle finestre e venivano a cadere morti sul
-suolo; o mal vivi, ed eran finiti. Ad ogni caduta rispondeva un maggior
-clamore.
-
-— Il duca! Il duca! — gridavano i barbari, malcontenti, perchè volevano
-veder precipitare il tirannello col suo bagascione.
-
-— Eccolo! Eccolo! È lui!
-
-— Giù! Giù! Ti vogliamo!
-
-— Muori, cane! Muori! Muori! Muori!
-
-Su la porta grande, proprio in cospetto del popolo, apparve Don
-Luigi con le vesti in fiamme portando su le spalle il corpo inerte di
-Carletto Grua. Egli aveva tutto il volto bruciato, irriconoscibile; non
-aveva quasi più capelli, nè barba. Ma camminava a traverso l'incendio,
-impavido, non anche morto, poichè valeva a sostener gli spiriti quello
-stesso atroce dolore.
-
-Da prima il popolo ammutolì. Poi di nuovo proruppe in urli e in gesti,
-aspettando con ferocia che la gran vittima venisse a spirargli dinanzi.
-
-— Qui, qui, cane! Ti vogliamo veder morire!
-
-Don Luigi udì, a traverso le fiamme, l'ultime ingiurie. Raccolse tutta
-l'anima in un atto di scherno indescrivibile. Quindi voltò le spalle; e
-disparve per sempre dove più ruggiva il fuoco.
-
-
-
-
-IL TRAGHETTATORE.
-
-
-I.
-
-Donna Laura Albònico stava nel giardino, sotto la pergola, prendendo il
-fresco all'ora meridiana.
-
-La villa taceva, tutta bianca, con le persiane chiuse tra le piante
-degli agrumi. Il sole raggiava un calore e un fulgore immensi. Era
-la metà di giugno; e i profumi degli aranci e dei limoni fioriti
-si mescolavano all'odor delle rose, nell'aria tranquilla. Le rose
-crescevano da per tutto, nel giardino, con una forza indomabile.
-Le masse magnifiche si movevano, lungo i viali, ad ogni soffio di
-vento, coprendo il terreno con l'abbondanza della loro neve odorante.
-In certi momenti l'aria, pregna dell'aroma, aveva un sapore dolce e
-possente come quello di un vino prelibato. Le fontane, invisibili tra
-la verzura, mormoravano. A tratti, la cima mobile scintillante degli
-zampilli appariva fuor del fogliame, scompariva, riappariva, con vari
-giochi; e alcuni zampilli bassi producevano nei fiori e nelle erbe
-un fruscìo e uno scompiglio singolari, sembrando bestie vive che vi
-corressero a traverso o vi pascolassero o vi scavassero tane. Gli
-uccelli, invisibili, cantavano.
-
-Donna Laura, seduta sotto la pergola, meditava.
-
-Ella era una donna già vecchia. Aveva il profilo fine e signorile;
-il naso lungo, lievemente aquilino, la fronte un po' troppo ampia, la
-bocca perfetta, ancora fresca, piena di benignità. I capelli canuti le
-si piegavano su le tempie e le facevano intorno al capo una specie di
-corona. Doveva essere stata molto bella, nella gioventù, ed amabile.
-
-Era venuta da due soli giorni in quella casa solitaria, col marito e
-con pochi servi. Aveva rinunziato alla villa magnatizia che sorgeva
-sopra un colle del Piemonte, abituale soggiorno estivo; aveva
-rinunziato al mare, per quella campagna deserta e quasi arida.
-
-— Ti prego, andiamo a Penti, — aveva detto al marito.
-
-Il barone settuagenario era rimasto da prima un po' stupefatto, a
-quello strano desiderio della moglie.
-
-— Perchè a Penti? Che s'andava a fare a Penti?
-
-— Ti prego, andiamo. Per mutare — aveva insistito Donna Laura.
-
-Il barone, come sempre, s'era lasciato persuadere.
-
-— Andiamo.
-
-Ora, Donna Laura custodiva un segreto.
-
-Nella giovinezza, la sua vita era stata attraversata dalla passione.
-A diciotto anni aveva sposato il barone Albònico, per ragioni di
-convenienza familiare. Il barone militava sotto il primo Napoleone,
-con molta prodezza; egli stava quasi sempre assente dalla sua casa,
-poichè seguiva ovunque il volo delle aquile imperiali. In una di quelle
-lunghe assenze, il marchese di Fontanella, un giovine signore che aveva
-moglie e figliuoli, fu preso d'amore per Donna Laura; e, come egli era
-bellissimo ed ardente, vinse alfine ogni resistenza dell'amata.
-
-Allora pei due amanti una stagione passò nella felicità più dolce. Essi
-vivevano nell'oblio di tutte le cose.
-
-Ma un giorno Donna Laura s'accorse d'essere incinta; pianse, si
-disperò, rimase in una terribile angoscia, non sapendo che risolvere,
-come salvarsi. Per consiglio del suo amico, partì alla volta della
-Francia; si nascose in un piccolo paese della Provenza, in una di
-quelle terre solatíe piene di verzieri, dove le donne parlano l'idioma
-dei trovatori.
-
-Abitava una casa di campagna, circondata da un grande orto. Gli alberi
-fiorivano: era la primavera. Fra i terrori e le nere malinconie, ella
-aveva intervalli d'una infinita dolcezza. Passava lunghe ore seduta
-all'ombra, in una specie d'inconsapevolezza, mentre il sentimento vago
-della maternità le dava a tratti a tratti un brivido profondo. I fiori
-in torno a lei emanavano un profumo acuto: leggiere nausee le salivano
-alla gola e le propagavano per tutte le membra una lassitudine immensa.
-Che giorni indimenticabili!
-
-E, quando il momento solenne si avvicinava, giunse, desiderato, il
-suo amico. La povera donna soffriva. Egli le stava accanto, pallido in
-viso, parlando poco, baciandole spesso le mani. Ella partorì di notte.
-Gridava, fra gli spasimi; si afferrava convulsamente alla lettiera;
-credeva di morire. I primi vagiti dell'infante le scossero l'anima
-dalle radici. Ella, supina, con la testa un po' arrovesciata oltre i
-guanciali, bianca bianca, senza più voce, senza più forza per tenere
-aperte le palpebre, agitava dinanzi a sè le mani esangui, debolmente,
-in certi piccoli movimenti vaghi, come fanno talvolta i moribondi verso
-la luce.
-
-Il giorno dopo, tutto il giorno, ella tenne seco, nel medesimo letto,
-sotto la medesima coperta, il bambino. Era un essere fragile, molle, un
-po' rossiccio, che vibrava d'una palpitazione incessante, di una vita
-palese, e in cui le forme umane non avevano certezza. Gli occhi stavano
-ancora chiusi, un po' gonfi; e dalla bocca usciva un lamento fioco,
-quasi un miagolío indistinto.
-
-La madre, rapita, non si saziava di riguardare, di toccare, di sentirsi
-su la guancia l'alito filiale. Dalla finestra entrava una luce bionda e
-si vedevano le terre provenzane tutte coperte di mèssi. Il giorno aveva
-una specie di santità. I canti dal fromento si avvicendavano, nell'aria
-quieta.
-
-Dopo, il bambino le fu tolto, fu nascosto, fu portato chi sa dove. Ella
-non lo rivide più. Ella tornò alla sua casa; e visse col marito la vita
-di tutte le donne, senza che nessun altro avvenimento sopraggiungesse a
-turbarla. Non ebbe altri figliuoli.
-
-Ma il ricordo, ma l'adorazione ideale di quella creatura ch'ella non
-vedeva più, ch'ella non sapeva più dove fosse, le occuparono l'anima
-per sempre. Ella non aveva se non quel pensiero; rammentava tutte le
-minime particolarità di quei giorni; rivedeva chiaramente il paese, la
-forma di certi alberi che stavano dinanzi alla casa, la linea d'una
-collina che chiudeva l'orizzonte, il colore e i disegni del tessuto
-che copriva il letto, una macchia nella vòlta della stanza, un piccolo
-piatto figurato su cui le portavano il bicchiere, tutto, tutto,
-chiaramente, minutamente. Ad ogni momento il fantasma di quelle cose
-lontane le sorgeva nella memoria, così, senza ordine, senza legame,
-come nei sogni. A volte ella ne rimaneva quasi stupita. Le tornavano
-dinanzi, precisi e viventi, i volti di certe persone vedute laggiù, i
-loro moti, un loro gesto insignificante, una loro attitudine, un loro
-sguardo. Le pareva di avere negli orecchi il vagito della creatura, di
-toccare le mani esilissime, rosee, molli, quelle manine che forse erano
-la sola parte già tutta formata perfettamente, simile alla miniatura
-d'una mano d'uomo, con le vene quasi impercettibili, con le falangi
-segnate di pieghe sottili, con le unghie trasparenti, tenere, appena
-appena suffuse di viola. Oh, quelle mani! Con che strano brivido la
-madre pensava alla loro carezza inconsapevole! Come ne sentiva l'odore,
-l'odore singolare che ricorda quello dei colombi nella prima piuma!
-
-Così Donna Laura, chiusa in questa specie di mondo interiore che ogni
-giorno più assumeva le apparenze della vita, passò gli anni, molti
-anni, sino alla vecchiezza. Tante volte aveva chiesto all'antico amante
-notizie del figliuolo. Ella avrebbe voluto rivederlo, sapere il suo
-stato.
-
-— Ditemi dov'è, almeno. Vi prego.
-
-Il marchese, temendo un'imprudenza, si rifiutava. «Ella non doveva
-vederlo. Ella non avrebbe saputo contenersi. Il figlio avrebbe
-indovinato tutto; si sarebbe valso del segreto per i suoi fini; avrebbe
-forse rivelato ogni cosa... No, no, ella non doveva vederlo.»
-
-Donna Laura, dinanzi a queste argomentazioni d'uomo pratico, rimaneva
-smarrita. Ella non sapeva imaginarsi che la sua creatura fosse
-cresciuta, fosse già adulta, fosse già presso al limitare della
-vecchiaia. Oramai erano passati circa quarant'anni dal giorno della
-nascita; eppure ella nel suo pensiero non vedeva se non un bambino,
-roseo, con gli occhi ancora chiusi.
-
-Ma il marchese di Fontanella venne a morire.
-
-Quando Donna Laura seppe la malattia del vecchio, fu presa da
-un'angoscia così penosa che una sera, non potendo più resistere allo
-spasimo, uscì sola, si diresse verso la casa dell'infermo, perchè un
-pensiero tenace la sospingeva, il pensiero del figlio. Prima che il
-vecchio morisse, ella voleva conoscere il segreto.
-
-Camminò lungo i muri, tutta raccolta, come per non farsi vedere. Le
-strade erano piene di gente; l'ultimo chiarore del tramonto faceva
-rosee le case; tra una casa e l'altra un giardino appariva tutto
-violaceo di lilla in fiore. Voli di rondini, rapidi e circolari,
-s'intrecciavano nel cielo luminoso. Frotte di bambini passavano a
-corsa, con grida e con richiami. Talvolta passava una femmina incinta,
-a braccio del marito; e l'ombra della sua gonfiezza si disegnava sul
-muro. Donna Laura pareva incalzata da tutta quella gioconda vitalità
-delle cose e delle persone. Ella affrettava il passo, fuggiva. Gli
-splendori varii delle vetrine, delle botteghe aperte, dei caffè le
-davano agli occhi un senso acuto di dolore. A poco a poco una specie
-di stordimento le occupava la testa; una specie di sbigottimento le
-prendeva lo spirito. — Che faceva? Dove andava? — In quel disordine
-della coscienza, le pareva quasi di commettere una colpa; le pareva che
-tutti la guardassero, la indagassero, indovinassero il suo pensiero.
-
-Ora la città s'invermigliava agli ultimi rossori del sole. Qua e là,
-dentro le cantine, i cori del vino si levavano.
-
-Come Donna Laura giunse alla porta, non ebbe forza di entrare. Passò
-oltre, fece venti passi; poi ritornò in dietro, ripassò. Finalmente
-varcò la soglia, salì le scale; si fermò, sfinita, nell'anticamera.
-
-Nella casa c'era quell'animazione silenziosa di cui i familiari
-circondano il letto dell'infermo. I domestici camminavano in punta
-di piedi, portando qualche cosa fra le mani. Avvenivano dialoghi a
-bassa voce, nel corridoio. Un signore calvo, tutto vestito di nero,
-attraversò la sala, s'inchinò a Donna Laura, ed uscì.
-
-Donna Laura chiese a un domestico, con la voce omai ferma:
-
-— La marchesa?
-
-Il domestico indicò rispettosamente col gesto un'altra stanza a Donna
-Laura. Quindi corse ad annunziare la visita.
-
-La marchesa apparve. Era una signora piuttosto pingue, con i capelli
-grigi. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Aperse le braccia all'amica,
-senza parlare, soffocata da un singulto.
-
-Dopo un poco, Donna Laura chiese, non alzando gli occhi:
-
-— Si può vedere?
-
-Profferite le parole, strinse le mascelle per reprimere un tremito
-violento.
-
-La marchesa disse:
-
-— Vieni.
-
-Le due donne entrarono nella stanza dell'infermo. La luce ivi era mite;
-l'odore di un farmaco, empiva l'aria; gli oggetti segnavano grandi e
-strane ombre. Il marchese di Fontanella, disteso nel letto, pallido,
-pieno di rughe, sorrise a Donna Laura, vedendola. Disse lentamente:
-
-— Grazie, baronessa.
-
-E le tese la mano ch'era umidiccia e tiepida.
-
-Egli pareva aver ripreso gli spiriti d'un tratto, per uno sforzo di
-volontà. Parlò di varie cose, curando le parole, come quando stava
-sano.
-
-Ma Donna Laura, all'ombra, lo fissava con uno sguardo così ardente di
-supplicazione che egli, indovinando, si volse alla moglie.
-
-— Giovanna, ti prego, preparami tu la pozione, come stamattina.
-
-La marchesa chiese licenza, ed uscì senza sospetto. Nel silenzio della
-casa si udirono i passi di lei allontanarsi su i tappeti.
-
-Allora Donna Laura, con un moto indescrivibile, si chinò sul vecchio,
-gli prese le mani, gli strappò le parole con gli occhi.
-
-— A Penti... Luca Marino... ha moglie, figli... una casa... Non lo
-vedere! Non lo vedere! — balbettò il vecchio, a fatica, preso da
-un terrore subitaneo che gli dilatava le pupille. — A Penti... Luca
-Marino... Non ti svelare mai!
-
-Già la marchesa veniva, con il medicamento.
-
-Donna Laura sedette; si contenne. L'infermo bevve; e i sorsi scendevano
-nella gola con un gorgoglio, a uno a uno, distinti, regolari.
-
-Poi successe un silenzio. E l'infermo parve preso da sopore: tutta
-la faccia gli si fece più cava; ombre più profonde, quasi nere, gli
-occuparono le occhiaie, le guance, le narici, la gola.
-
-Donna Laura si accommiatò dall'amica; se ne andò, trattenendo il
-respiro, pianamente.
-
-
-II.
-
-Tutte queste vicende ripensava la vecchia signora, sotto la pergola,
-nel giardino tranquillo. Che cosa ora dunque la tratteneva dal rivedere
-il figlio? Ella avrebbe avuto la forza di reprimersi; ella non si
-sarebbe svelata, no. Le bastava di rivederlo, il figlio suo, quello
-ch'ella aveva tenuto su le braccia un giorno solo, tanti anni a dietro,
-tanti, tanti anni! Era cresciuto? Era grande? Era bello? Com'era?
-
-E mentre così interrogava sè stessa, nel fondo del suo spirito ella non
-giungeva a raffigurarsi l'uomo. Sempre in lei l'imagine dell'infante
-persisteva, si sovrapponeva ad ogni altra imagine, vinceva con la
-nitida chiarezza delle sue forme ogni altra forma fantastica che
-tentasse di sorgere. Ella non preparava l'animo, si abbandonava
-debolmente al sentimento indeterminato. Il senso della realtà in quel
-momento le mancava.
-
-— Io lo vedrò! Io lo vedrò! — ripeteva in sè stessa, inebriandosi.
-
-Le cose in torno tacevano. Il vento faceva incurvare i roseti che,
-passato il soffio, seguitavano a muoversi pesantemente. Gli zampilli
-scintillavano e guizzavano, tra il verde, come stocchi.
-
-Donna Laura stette un poco in ascolto. Dal silenzio, nell'ora pànica,
-sorgeva qualcosa di grande e di inesorabile, che le infuse nell'animo
-uno sgomento misterioso. Ella esitò. Poi si mise pel viale, da prima
-con passi rapidi; giunse al cancello tutto abbracciato dalle piante
-e dai fiori; sostò, per guardarsi in dietro: aprì. Dinanzi a lei la
-campagna si stendeva deserta sotto il meriggio. Le case di Penti in
-lontananza biancheggiavano su l'azzurro del cielo, con un campanile,
-con una cupola, con due o tre pini. Il fiume si svolgeva nella pianura,
-tortuoso e lucentissimo, toccando le case.
-
-Donna Laura pensò: — Egli è là. — E tutte le sue fibre di madre
-vibrarono. Animata, riprese a camminare, guardando dinanzi a sè con gli
-occhi che il sole fastidiva, non curando il calore. A un certo punto
-della strada cominciarono gli alberi, magri pioppetti tutti canori di
-cicale. Due femmine scalze, ciascuna con un cesto sul capo, venivano
-incontro.
-
-— Sapete la casa di Luca Marino? — chiese la signora, presa da una
-voglia irresistibile di pronunziare quel nome a voce alta, liberamente.
-
-Le femmine la guardarono, stupefatte, soffermandosi.
-
-Una rispose con semplicità:
-
-— Noi non siamo di Penti.
-
-Donna Laura, malcontenta seguitò la via, provando già un poco di
-stanchezza nelle povere membra senili. Gli occhi, offesi dalla luce
-intensa, le facevano vedere alcune mobili macchie rosse nell'aria. Un
-leggero principio di vertigine le turbava il cervello.
-
-Penti si avvicinava sempre più. I primi tuguri apparvero tra molte
-piante di girasoli. Una femmina, mostruosa per l'adipe, stava seduta
-sopra una soglia; ed aveva su quel gran corpo una testa infantile, gli
-occhi dolci, i denti schietti, il sorriso placidissimo.
-
-— O signora, dove andate? — chiese la femmina, con un accento ingenuo
-di curiosità.
-
-Donna Laura si accostò. Aveva il volto tutto infiammato e la
-respirazione corta. Le forze erano per mancarle.
-
-— Mio Dio! Oh mio Dio! — gemeva ella, reggendosi le tempie con le
-palme. — Oh mio Dio!
-
-— Signora, riposatevi — diceva la femmina ospitale, invitandola ad
-entrare.
-
-La casa era bassa ed oscura; ed aveva quell'odor particolare che hanno
-tutti i luoghi dove molta gente agglomerata vive. Tre o quattro bambini
-nudi, anch'essi col ventre così gonfio che parevano idropici, si
-trascinavano sul suolo, borbottando, brancicando, portando alla bocca
-per istinto qualunque cosa capitasse loro sotto le mani.
-
-Mentre Donna Laura seduta riprendeva le forze, la femmina parlava
-oziosamente, tenendo fra le braccia un quinto bambino, tutto coperto di
-croste nerastre tra mezzo a cui si aprivano due grandi occhi, puri ed
-azzurri, come due fiori miracolosi.
-
-Donna Laura domandò:
-
-— Qual'è la casa di Luca Marino?
-
-L'ospite col gesto indicò una casa rossiccia,
-
-all'estremità del paese, in vicinanza del fiume, circondata quasi da un
-colonnato di alti pioppi.
-
-— È quella, perchè?
-
-La vecchia signora si sporse per guardare.
-
-Gli occhi le dolevano, feriti dalla luce solare, e le palpebre le
-battevano forte. Ma ella stette qualche minuto in quell'attitudine,
-respirando con fatica, senza rispondere, quasi soffocata da una
-sollevazione di sentimento materno. — Quella dunque era la casa del suo
-figliuolo? — Subitamente, le apparvero l'interno della stanza lontana,
-il paese di Provenza, le persone, le cose, come nel bagliore di un
-lampo, ma evidenti, nettissimi. Ella si lasciò ricadere su la sedia,
-e rimase muta, confusa, in una specie di ottusità fisica proveniente
-forse dall'azione del sole. Negli orecchi aveva un ronzío continuo.
-
-Disse l'ospite:
-
-— Volete passare il fiume?
-
-Donna Laura fece un cenno fievole, incantata da un turbinío di circoli
-rossi che le si producevano nella retina.
-
-— Luca Marino porta uomini e bestie da una riva all'altra. Ha una barca
-e una chiatta — seguitò l'ospite. — Se no, bisogna andare fino a Prezzi
-a cercare il guado. È trent'anni che fa il mestiere! È sicurissimo,
-signora.
-
-Donna Laura ora ascoltava, facendo uno sforzo per raccogliere i suoi
-spiriti che si disperdevano. Ma pure, dinanzi a quelle novelle del
-figliuolo, restava smarrita; quasi non comprendeva.
-
-— Luca non è del paese — riprese la femmina grassa, trascinata
-dalla nativa loquacità. — L'hanno allevato i Marino che non avevano
-figliuoli. E un signore, non di qui, gli ha dotata la moglie. Ora vive
-bene; lavora; ma ha il vizio del vino.
-
-La femmina diceva queste cose ed altre, con semplicità grande, senza
-malizia per l'origine sconosciuta di Luca.
-
-— Addio, addio — fece Donna Laura, levandosi, presa da un vigore
-fittizio. — Grazie, buona donna.
-
-Porse a uno dei bimbi una moneta; ed uscì alla luce.
-
-— Per quella viottola! — le gridò dietro, indicando, l'ospite.
-
-Donna Laura seguì la viottola. Un gran silenzio regnava intorno, e nel
-silenzio le cicale cantavano a distesa. Alcuni gruppi d'olivi contorti
-e nodosi sorgevano dal terreno disseccato. Il fiume, a sinistra,
-brillava.
-
-— Ooh, La Martinaaa! — chiamò una voce, in lontananza, dalla parte del
-fiume.
-
-Quella voce umana d'improvviso fece tremare le vene della vecchia.
-Ella guardò. Sul fiume navigava una barca, a pena visibile tra il
-vapor luminoso; e un'altra barca, ma a vela, biancheggiava a maggior
-distanza. Nella prima barca si scorgevano forme d'animali: erano forse
-cavalli.
-
-— Ooh, La Martinaaa! — richiamò la voce.
-
-Le due barche si avvicinavano l'una all'altra. Quello era il punto
-delle secche, dove i barcaiuoli pericolavano quando il carico pesava.
-
-Donna Laura, ferma sotto un olivo, appoggiata al tronco, seguiva
-con lo sguardo la vicenda. Il cuore le palpitava con tanta violenza
-che le pareva i battiti empissero tutta la campagna circostante. Il
-fruscío dei rami, il canto delle cicale, il lampeggío delle acque,
-tutte le apparenze la turbavano, le si confondevano nello spirito col
-disordine della demenza. L'accumulamento lento del sangue nel cervello,
-per l'azione del sole, le dava ora una visione leggermente rossa, un
-principio di vertigine.
-
-Le due barche, giunte a un gomito del fiume, non si videro più.
-
-Allora Donna Laura riprese a camminare, un po' barcollante, come
-un'ebra. Le apparve un gruppo di case riunite intorno a una specie di
-corte. Sei o sette mendicanti meriggiavano ammucchiati in un angolo:
-le loro carni rossastre, maculate dalle malattie della cute, uscivano
-di tra i cenci; nei loro volti deformi il sonno aveva una pesantezza
-bestiale. Qualcuno dormiva bocconi, con la faccia nascosta tra le
-braccia piegate a cerchio. Qualche altro dormiva supino, con le braccia
-aperte, nell'attitudine del Cristo crocifisso. Un nuvolo di mosche
-turbinava e ronzava su quelle povere carcasse umane, denso e laborioso,
-come sopra un cumulo di fimo. Dalle porte socchiuse veniva un rumore di
-telai.
-
-Donna Laura attraversò la piazzetta. Il suono de' suoi passi su le
-pietre fece risvegliare un mendicante che si levò su i gomiti e,
-tenendo gli occhi ancora chiusi, balbettò macchinalmente:
-
-— La carità, per l'amore di Dio!
-
-A quella voce tutti i mendicanti si risvegliarono, e tutti sorsero.
-
-— La carità, per l'amore di Dio!
-
-— La carità, per l'amore di Dio!
-
-La torma cenciosa si mise a seguitare la passante, chiedendo
-l'elemosina, tendendo le mani. Uno era storpio e camminava a piccoli
-salti, come una scimmia ferita. Un altro si trascinava sul sedere
-puntellandosi con ambo le braccia, come fanno con le zampe le locuste,
-poichè aveva tutta la parte inferiore del corpo morta. Un altro aveva
-un gran gozzo paonazzo e rugoso che ad ogni passo ondeggiava come una
-giogaia. Un altro aveva un braccio ritorto come una grossa radice.
-
-— La carità, per l'amore di Dio!
-
-Le loro voci erano varie, alcune cavernose e roche, altre acute e
-feminine come quelle degli evirati. Ripetevano sempre le stesse parole,
-con lo stesso accento, in un modo accorante.
-
-— La carità, per l'amore di Dio!
-
-Donna Laura, così inseguita da quella gente mostruosa, provava una
-voglia istintiva di fuggire, di salvarsi. Uno sbigottimento cieco la
-teneva. Avrebbe forse gridato, se avesse avuta la voce nella gola. I
-mendicanti le instavano da presso, le toccavano le braccia, con le mani
-tese. Volevano l'elemosina, tutti.
-
-La vecchia signora si cercò nella veste, prese alcune monete, le lasciò
-cadere dietro di sè. Gli affamati si fermarono, si gittarono avidamente
-su le monete, lottando, stramazzando sul terreno, dando calci,
-calpestandosi. Bestemmiavano.
-
-Tre rimasero con le mani vuote; e ripresero a seguitare la vecchia
-incattiviti.
-
-— Noi non l'abbiamo avuta! Noi non l'abbiamo avuta!
-
-Donna Laura, disperata per quella persecuzione, diede altre monete,
-senza volgersi. La lotta fu tra lo storpio e il gozzuto. Ambedue
-presero. Ma un povero epilettico idiota, che tutti opprimevano e
-dileggiavano, non ebbe nulla; e si mise a piagnucolare, leccandosi le
-lacrime e il moccio che gli colava dal naso, con un verso ridicolo:
-
-— Ahu, ahu, ahuuu!
-
-
-III.
-
-Donna Laura infine era giunta alla casa dei pioppi.
-
-Ella si sentiva sfinita: le si offuscava la vista, le tempie le
-battevano forte, la lingua le ardeva; le gambe sotto le si piegavano.
-Dinanzi a lei, un cancello stava aperto. Ella entrò.
-
-L'aia circolare era limitata da pioppi altissimi. Due degli alberi
-sostenevano un cumulo di paglia di fromento, tra mezzo a cui uscivano
-i rami fronzuti. Poichè in giro l'erba cresceva, due vacche falbe vi
-pascolavano pacificamente battendosi con la coda i fianchi nutriti; e
-tra le gambe a loro penzolavano le mammelle gonfie di latte, colorite
-come frutti succulenti. Molti arnesi di agricoltura stavano sparsi pel
-suolo. Le cicale, in su gli alberi, cantavano. Nel mezzo, tre o quattro
-cuccioli ruzzavano abbaiando verso le vacche o inseguendo le galline.
-
-— O signora, che cerchi? — chiese un vecchio, uscendo dalla casa. —
-Vuoi _passare_?
-
-Il vecchio, calvo, con la barba rasa, teneva tutto il corpo in avanti
-su le gambe inarcate. Le sue membra erano deformate dalle rudi fatiche,
-dall'opera dell'arare che fa sorgere la spalla sinistra e torcere il
-busto, dall'opera del falciare che fa tenere le ginocchia discoste,
-dall'opera del potare che curva in due la persona, da tutte le opere
-lente e pazienti della coltivazione. Egli, dicendo l'ultima parola,
-accennava al fiume.
-
-— Sì, sì — rispose Donna Laura non sapendo che dire, non sapendo che
-fare, smarrita.
-
-— Allora vieni. Ecco Luca che torna — soggiunse il vecchio, volgendosi
-al fiume dove navigava a forza di pertiche una chiatta carica di
-pecore.
-
-Egli condusse la passeggiera, a traverso un orto irrigato, fin sotto
-a una pergola dove altri passeggieri attendevano. Camminando innanzi,
-egli lodava le verzure e faceva pronostici, per consuetudine di
-agricoltore invecchiato tra le cose della terra.
-
-Volgendosi a un tratto, poichè la signora restava muta come se non
-udisse, vide che ella aveva i cigli pieni di lacrime.
-
-— Perchè piangi, signora? — le chiese con la stessa tranquillità con
-cui parlava delle verzure. — Ti senti male?
-
-— No, no... niente... — mormorò Donna Laura che si sentiva morire.
-
-Il vecchio non disse altro. Egli era così indurato alla vita, che i
-dolori altrui non lo commovevano. Egli vedeva, tutti i giorni, tanta
-gente diversa _passare_!
-
-— Siedi — fece, come giunse alla pergola.
-
-Là tre uomini della campagna attendevano, uomini giovani, carichi di
-fardelli. Tutt'e tre fumavano in grosse pipe, mettendo nel fumare una
-attenzione profonda, come per gustarne intera la voluttà, secondo il
-costume della gente campestre nei rari diletti. Ad intervalli, dicevano
-quelle lunghe cose insignificanti che l'agricoltore ripete senza fine e
-che appagano lo spirito di lui tardo ed angusto.
-
-Guardarono un poco, stupefatti, Donna Laura. Poi ripresero la loro
-impassibilità.
-
-Uno di loro avvertì, tranquillamente:
-
-— Ecco la chiatta.
-
-Un altro aggiunse:
-
-— Porta le pecore di Bidena.
-
-Il terzo:
-
-— Saranno quindici.
-
-E si levarono, insieme, intascando le pipe.
-
-Donna Laura era caduta in una specie di stupidimento inerte. Le lacrime
-le si erano fermate su i cigli. Ella avea perduto il senso della
-realità. Dov'era? Che faceva?
-
-La chiatta urtò leggermente contro la riva. Le pecore, strette le
-une contro le altre, belavano intimidite dall'acqua. Il pastore,
-il traghettatore ed il figlio le aiutavano a discendere a terra. Le
-pecore, appena discese, facevano una piccola corsa; poi si fermavano,
-si riunivano e si mettevano a belare ancora. Due o tre agnelli
-saltellavano su le gambe lunghe e deformi, tentando i capezzoli
-materni.
-
-Compiuta la bisogna, Luca Marino fermò la chiatta. Poi a grandi passi
-lenti salì la riva, verso l'orto. Era un uomo di quarant'anni circa,
-alto, magro, con la faccia rossiccia, calvo alle tempie. Aveva baffi
-di colore incerto e una manata di peli sparsa disugualmente per il
-mento e per le guance; l'occhio un po' torbido, senza alcuna vivacità
-d'intelligenza, venato di sanguigno, come quello dei bevitori. La
-camicia aperta lasciava vedere il petto velloso, un berretto carico
-d'untume copriva la testa.
-
-— Ahuf! — esclamò egli d'un tratto, in faccia alla pergola, fermandosi
-su le gambe aperte e nettandosi con le dita la fronte stillante di
-sudore.
-
-Passò dinanzi ai passeggieri, senza guardarli. In tutti i suoi gesti
-e in tutte le sue attitudini era incomposto e quasi brutale. Le mani,
-enormi, gonfie di vene sul dorso, le mani avvezze al remo parevano
-essergli d'impaccio. Egli le teneva penzoloni lungo i fianchi e le
-dondolava camminando.
-
-— Ahuf! Che sete!...
-
-Donna Laura stava come impietrita, senza più parole, senza più
-conscienza, senza più volontà.
-
-Quello era il suo figliuolo! Quello era il suo figliuolo!
-
-Una femmina gravida, che aveva già una figura senile, disfatta dal
-lavoro e dalla fecondità, venne a porgere al marito assetato un boccale
-di vino. L'uomo bevve d'un fiato. Poi si asciugò le labbra col dorso
-della mano e fece schioccare la lingua. Disse, bruscamente, come se la
-nuova fatica gli fosse dura:
-
-— Andiamo.
-
-Insieme col primogenito, ch'era un grosso fanciullo di quindici anni,
-preparò il legno: mise tra il bordo e la riva due tavole per rendere
-agevole ai passeggieri l'imbarco.
-
-— Perchè non monti, signora? — fece il vecchio di dianzi, vedendo che
-Donna Laura non si moveva e non parlava.
-
-Donna Laura si levò, macchinalmente, e seguì il vecchio che le diede
-aiuto nel salire. Perchè saliva ella? Perchè passava il fiume? Non
-pensò; non giudicò l'atto. Il suo spirito, così colpito, rimaneva ora
-inerte, quasi immobile in un punto. — Quello era il figlio. — E a poco
-a poco ella sentiva in sè qualche cosa estinguersi, svanire; sentiva
-nella mente a poco a poco farsi una gran vacuità. Non comprendeva più
-niente. Vedeva, udiva, come in un sogno.
-
-Quando il primogenito di Luca venne a lei per chiedere la mercè del
-traghetto, prima che la barca si staccasse dalla riva, ella non intese.
-Il fanciullo scoteva nel concavo delle mani le monete ricevute da uno
-dei passeggieri; e ripeteva la domanda a voce più alta, credendo che la
-signora fosse sorda per la vecchiezza.
-
-Ella, come vide gli altri due uomini mettere la mano in tasca e pagare,
-imitò quell'atto, risovvenendosi. Ma diede più del dovuto.
-
-Il fanciullo volle farle intendere ch'egli non poteva renderle
-l'avanzo, perchè non l'aveva. Ella non comprese. Il fanciullo prese
-tutto il danaro, con una smorfia di malizia. I presenti sorrisero, di
-quel sorriso astuto che hanno gli uomini campestri in conspetto di un
-inganno.
-
-Uno disse:
-
-— Andiamo?
-
-Luca, che fin allora stava intento a tirar l'áncora, spinse la barca
-che si mosse dolcemente su l'acqua gorgogliante. La riva parve fuggire,
-con le canne e con i pioppi, ed incurvarsi come una falce. Il sole
-incendiava tutto il fiume, appena inclinato verso il cielo occidentale,
-dove sorgevano vapori violetti. Si vedeva ora su la riva un gruppo
-di gente che gesticolava; ed erano i mendicanti addosso all'idiota. A
-tratti, col vento giungevano anche lembi di parole e di risa simili a
-un'agitazione di flutti.
-
-I rematori, nudi il busto, vogavano a gran forza per superare il filo
-della corrente. Donna Laura vedeva il dorso di Luca, nero, dove le
-costole si disegnavano e colava a rivoli il sudore Teneva gli occhi
-fissi, un po' dilatati, pieni di ebetudine.
-
-Uno dei passeggieri avvertì, prendendo sotto il banco le sue robe:
-
-— Ci siamo.
-
-Luca afferrò l'ancora e la gittò alla riva. La barca ridiscese con la
-corrente per tutta la lunghezza della corda; quindi si fermò con una
-stratta. I passeggieri furono a terra, d'un salto, ed aiutarono la
-vecchia signora, tranquillamente. Quindi si rimisero in cammino.
-
-La campagna da quella parte era coltivata a vigneti. Le viti, piccole
-e magre, verdeggiavano in filari. Alcuni alberi interrompevano qua e là
-il piano, con forme rotonde.
-
-Donna Laura si trovò sola, perduta, su quella riva senz'ombra, non
-avendo più conoscenza di sè che per il battito continuo delle arterie,
-per un romorío cupo ed assordante negli orecchi. Il suolo sotto i piedi
-le mancava e pareva affondarsi come fango o arena, ad ogni passo. Tutte
-le cose intorno turbinavano e si dileguavano; tutte le cose, ed anche
-la sua esistenza, le apparivano vagamente, lontane, dimenticate, finite
-per sempre. La follia le prendeva la mente. Ella, d'un tratto, vide
-uomini, case, un altro paese, un altro cielo. Urtò in un albero, cadde
-su una pietra; si rialzò. E il suo povero corpo sfinito traballava in
-moti terribili e insieme ridevoli; ma nessuna cosa intorno splendeva
-come i suoi capelli bianchi sotto il sole feroce.
-
-Ora, i mendicanti dall'altra riva avevano eccitato per dileggio
-l'idiota a passare il fiume a nuoto ed a raggiungere la donna per aver
-l'elemosina. Essi l'avevano spinto nell'acqua, dopo avergli strappati
-i cenci di dosso. E l'idiota nuotava come un cane, tra una pioggia di
-sassate che gl'impedivano di tornare addietro. Quegli uomini deformi
-fischiavano e urlavano, prendendo diletto nella crudeltà. Essi, come la
-corrente traeva l'idiota, arrancavano lungo la sponda e imperversavano.
-
-— Affoga! Affoga!
-
-L'idiota, con sforzi disperati, prese terra. E così ignudo, poichè in
-lui era morto con l'intelligenza il sentimento del pudore, si mise a
-camminare verso la donna, di traverso, com'era suo costume, tendendo la
-mano ad ogni tratto.
-
-La demente, rialzandosi, vide; e con un moto di orrore e con un grido
-acutissimo si diede a correre verso il fiume. Sapeva quel che faceva?
-Voleva morire? Che pensava ella, in quell'attimo?
-
-Giunta all'estremo limite, cadde nell'acqua. L'acqua gorgogliò, si
-chiuse pienamente; e tanti circoli successivi partirono dal luogo della
-caduta e si allargarono in lievi ondulazioni lucide e si dispersero.
-
-I mendicanti dall'altra riva gridavano verso una barca che si
-allontanava:
-
-— Oh Lucaaa! Oh Luca Marinooo!
-
-E correvano verso la casa dei pioppi a dare la novella.
-
-Allora, come seppe il caso, Luca spinse la barca verso il luogo che gli
-indicavano, e chiamò La Martina che se ne veniva placidamente con il
-suo legno in balía della corrente.
-
-Disse Luca:
-
-— C'è un'annegata laggiù.
-
-Non si curò di raccontare il fatto e di parlare della persona, poichè
-non amava le molte parole.
-
-I due fiumátici misero i legni a paro e remigarono con calma.
-
-Disse La Martina:
-
-— Hai tu provato il vino nuovo di Chiachiù? Ti dico!...
-
-E fece un gesto che rappresentava l'eccellenza della bevanda.
-
-Luca rispose:
-
-— Non ancora.
-
-Disse La Martina:
-
-— Ne prenderesti una goccia?
-
-Luca rispose:
-
-— Io sì.
-
-La Martina:
-
-— Dopo. Ci aspetta Iannangelo.
-
-Luca:
-
-— Va bene.
-
-Giunsero al luogo. L'idiota, che poteva meglio indicare il punto,
-era fuggito, e in mezzo alle vigne era stato preso da un accesso di
-epilessia. All'altra riva i curiosi cominciavano a radunarsi.
-
-Disse Luca al compagno:
-
-— Tu ferma la tua barca e salta nella mia. Uno rema e l'altro cerca.
-
-La Martina così fece. Egli remava su e giù per una ventina di metri, e
-Luca tentava il fondo del fiume con una lunga pertica. Ogni tanto Luca,
-sentendo qualche resistenza, mormorava:
-
-— Ecco.
-
-Ma s'ingannava sempre. Finalmente, dopo molte ricerche, Luca disse:
-
-— Questa volta c'è.
-
-E chinandosi e inarcando le gambe per far forza, sollevò piano piano il
-peso all'estremità della pertica. I bicipiti gli tremavano.
-
-La Martina chiese, lasciando il remo:
-
-— Vuoi che t'aiuti?
-
-Luca rispose:
-
-— Non importa.
-
-
-
-
-AGONIA.
-
-
-I.
-
-Quando entrò Donna Letizia tenendo l'infermo su le belle braccia
-carnose con un'attitudine di misericordia lacrimevole, tutte le figlie
-accorsero a torno intenerite ed esalarono la gentil pietà dell'animo
-in querele gemebonde. Le voci femminili risonavano così nella stanza
-confusamente tra i rumori che dal traffico della strada salivano per
-le vetrate aperte; e al compianto delle fanciulle si mescevano in quel
-punto le interiezioni d'un cerretano magnificatore d'acque angelicali e
-di polveri mirifiche.
-
-Il cane, su le braccia della signora, ebbe allora un lieve tremito
-che gli corse per tutto il dorso fino alla estremità della coda;
-tentò di sollevare le palpebre, di volgere alle carezze quei suoi
-enormi occhi pieni di gratitudine. Moveva la testa in certi sforzi
-penosi, come se le corde del collo gli si fossero irrigidite; aveva
-la bocca semiaperta, da cui il lembo della lingua tenuta tra i due
-denti sporgenti usciva come una foglia vermiglia solcata di venature
-violacee. E una bava molle gl'inumidiva il mento, quella piccola parte
-della mandibola inferiore dove la rarezza dei peli lasciava apparire
-la pelle rosea. E la fatica del respiro a volte gli s'inaspriva in
-una specie di raucedine sibilante, mentre le narici d'ora in ora si
-disseccavano e prendevano l'aspetto duro e scabro di un tartufo.
-
-— Oh, Sancio, povero Sancio, che t'hanno fatto? Povero bibì, eh? Povero
-vecchio mio!..
-
-Le commiserazioni delle fanciulle sensibili si facevano via via
-più tenere, finivano in un balbettío pargoleggiante di parole senza
-significato, di suoni lamentevoli, di lezii carezzevoli. Tutte volevano
-passar la mano su la testa dell'animale, prendere una delle zampe,
-toccare le narici. Donna Letizia sorreggeva il dolce peso maternamente;
-e le sue dita grasse e bianche, le cui falangi parevano gonfie quasi
-per un morbo, le sue dita vellicavano pianamente il ventre di Sancio,
-s'insinuavano tra il pelo.
-
-Nella stanza entrava la luce del pomeriggio e il fresco della marina,
-a traverso le tende verdognole. Otto stampe colorite, chiuse in cornici
-nere, adornavano le pareti coperte di una carta a fiorami gialli. Sopra
-un vecchio canterale del Settecento, con la lastra di marmo roseo e le
-borchie di ottone, posava tra due piccoli specchi retti da sostegni
-d'argento un trionfo di fiori di cera in una campana di cristallo.
-Sopra il caminetto scintillava una coppia di candelabri dorati, con
-le candele intatte. Un automa di cartapesta, raffigurante un macacco
-in abito moresco, meditava immobile dall'alto d'uno di quei tavolini
-intarsiati che vengono di Sorrento. Molte seggiole con su la spalliera
-vignette di favole pastorali, un canapè dell'Impero, due poltrone
-moderne, concorrevano alla discordia delle forme e dei colori.
-
-
-II.
-
-Come l'infermo venne adagiato in grembo a una delle poltrone, ci fu
-nella stanza un intervallo di silenzio. Sancio si levò un momento
-in piedi tremando, si rigirò più volte cercando una positura meno
-dolorosa, nella irrequietudine della sofferenza, tentò di poggiare la
-testa su uno dei bracciuoli, si piegò su le gambe di dietro; stette
-così alfine con le palpebre socchiuse, respirando a fatica, come preso
-da una sonnolenza improvvisa. Sul petto largo la pelle abbondante gli
-faceva, con tre o quattro crespe, quasi una piccola giogaia; sopra
-la collottola le crespe erano più grandi e più tonde; i lembi delle
-labbra ai lati della mandibola superiore pendevano flosciamente; e il
-povero animale aveva ora nella malattia quel non so che di ridevole
-insieme e di miserevole che hanno gli uomini nani oppressi dall'adipe e
-dall'asma.
-
-Le fanciulle dinanzi a quell'abbattimento restavano mute, invase
-da un rammarico immenso, colpite dal presentimento della sventura;
-poichè Sancio era stato per molti anni la loro cura amorosa, l'oggetto
-delle loro blandizie e dei loro vezzi, lo sfogo innocuo delle loro
-mollezze e delle loro tenerezze di adolescenti clorotiche. Sancio
-era nato e cresciuto nella casa, con quelle forme tozze e pesanti di
-razza imbastardita, con quelle rotondità di bestia eunuca oziosa e
-golosa; e a poco a poco eragli apparso negli occhi tondi uno sguardo
-pieno di umanità e di devozione. Soleva agitar vivamente il tronco
-della coda nelle ore di gioia, reggendosi su tre gambe sole e tutto
-raggomitolandosi con un singolar tremolío del pelame e trotterellando
-con la grazia d'un porcellino d'India in mezzo all'erbe primaverili.
-
-I bei ricordi ora travagliavano le animule delle fanciulle.
-
-— E il medico quando viene? — chiese, con la voce impaziente,
-Teodolinda, la figlia minore; che aveva una faccia di giovine
-bertuccia, tutta bianca di cipria, e su la fronte una larga frangia di
-capelli rossi.
-
-L'infermo a tratti metteva una specie di gemito fioco aprendo gli
-occhi e volgendo in torno lo sguardo supplichevole, uno sguardo lento
-e dolce, fatto più umano dall'increspamento nervoso degli angoli delle
-palpebre e da due linee brune che gli umori sgorganti avevano segnato
-sotto le orbite. E come Donna Letizia tentava di fargli prendere un
-cucchiaio di zuppa ristoratrice, egli agitava fuor della bocca la
-lingua flessibile in tutti i sensi per lo sforzo dell'inghiottire e non
-poteva chiudere le mascelle irrigidite.
-
-Allora si udì nell'anticamera la voce del dottore Zenzuino che era
-finalmente salito. Ed entrò nella stanza un signore dalla bella faccia
-lucida di giovialità e di sanità.
-
-— Oh Don Giovanni, guarite Sancio! Sta per morire — esclamò una voce
-flebile.
-
-Il medico guardò in torno tutta quella dolente famiglia che egli aveva
-nutrita d'arsenico, di ferro e d'olio ferruginoso e d'acqua di Levico
-per tanti anni in vano ed ebbe un lieve lampo di sorriso negli occhiali
-d'oro. Poi, osservando l'infermo con una curiosità d'uomo ricercatore,
-disse molto lentamente:
-
-— Credo sia un caso di paralisi della mandibola e delle glandole
-salivari sotto-mascellari. La malattia che ha sede in un'alterazione
-nervosa centrale probabilmente delle meningi e che per la sua eziologia
-può dipendere da una causa ereditaria o parassitaria, è d'indole
-progressiva. Il processo che tende a diffondersi, andrà parzialmente
-e progressivamente privando il corpo, organo per organo, della sua
-funzionalità; finchè giunto in breve ad agire sul centro di una
-delle funzioni vitali, sia della circolazione che della respirazione,
-produrrà la morte...
-
-Le terribili parole barbare misero un'ambascia suprema nelle
-animule blandule; e le guance floride di Donna Letizia in un momento
-impallidirono.
-
-— Io credo che abbia influito su lo sviluppo del morbo l'alimentazione
-— soggiunse Don Giovanni, senza pietà.
-
-A quella specie di accusa, il rimorso cominciò a tormentare le
-fanciulle che sempre per la golosità di Sancio erano state piene
-d'indulgenza colpevole. E Teodolinda, con un atto di sconforto
-ineffabile, chiese:
-
-— Non c'è dunque rimedio?
-
-— Tentiamo. Io consiglio l'applicazione di un cerotto vescicatorio alla
-nuca — rispose il dottore licenziandosi in ultimo amabilmente.
-
-Sancio voleva discendere dalla poltrona. Esitava su l'orlo, non avendo
-la forza di spiccare il salto, implorava l'aiuto con gli occhi fievoli
-che già si velavano come due acini d'uva nera suffusi dalla pruina
-argentea della maturità. Nella sua pinguedine il dolore a poco a
-poco scavava ombre senili; le tinte rosee del muso, dove i peli erano
-lunghi e radi, pareva si corrompessero divenendo quasi giallastre; le
-orecchie mozze avevano di tratto in tratto un tremolìo leggerissimo;
-e nello stesso tempo un brivido passava a traverso il pelame bianco
-visibilmente.
-
-Allora Isabella, la più eterea delle cinque fanciulle, che per crudeltà
-della sorte ereditava dal padre il pio naso borbonico e la fronte
-leprina, si accostò tutta commossa e prese l'infermo fra le mani
-delicate per posarlo a terra.
-
-Sancio prima rimase fermo un istante, senza poter muovere i passi,
-con il dorso arcuato, e la testa in alto, oppresso dall'affanno
-del respiro; poi cominciò a trascinarsi, barcollando, con lo stento
-doloroso di un animale ferito alle due cosce. Forse aveva sete, perchè
-quando gli fu accostata la scodella tentò di lambire con la lingua
-il liquido. Ma, come la paralisi crescente già gli impediva anche
-quell'atto, dopo sforzi inutili ed irosi egli si volse piegando su
-le gambe posteriori e con una delle zampe davanti cominciò a battersi
-la mascella, quasi per rimuovere alfine di là quell'ostacolo che gli
-faceva tanto dolore.
-
-E l'attitudine era così vivamente umana e le pupille erano così piene
-di supplicazione e di disperazione umana, che d'un tratto Donna Letizia
-scoppiò in pianto:
-
-— Oh, povero bibì! Chi te l'avesse mai detto, povero bibì mio!..
-
-In tutte le fanciulle la commozione raggiunse il supremo grado.
-Teodolinda raccolse il morituro, lo portò sul canapè, chiese le
-forbici. Era necessario un eroismo; bisognava infine esperimentare il
-rimedio, ad ogni costo.
-
-— Isabella, Maria, le forbici! Venite!
-
-Tutte trepide e pallide, si chinarono intorno a Sancio, che aveva
-di nuovo socchiuse le palpebre e alitava il fiato ardente nelle mani
-della soccorritrice. E questa, vinta la prima ripugnanza, cominciò a
-tagliare il pelo su la nuca dell'animale, pianamente, arrestandosi di
-tratto in tratto, mettendo via via un soffio su la parte rasa. Una
-specie di chierica irregolare si veniva allargando nella grassezza
-della collottola; e il tonsurato assumeva così un nuovo aspetto
-miserevolmente buffonesco.
-
-Le tende del balcone, investite dalla brezza, s'inarcavano come due
-vele. I clamori della strada salivano in confuso, vivi e giulivi;
-una prospettiva di case plebee s'intravedeva al fondo nella doratura
-pallida del tramonto; e un merlo fischiava.
-
-Allora discese dalle camere superiori Natalia, la bella nuora di Donna
-Letizia, con un bimbo su le braccia; ed entrò nella stanza. Ella aveva
-la faccia ovale, la pelle fine e rosea, solcata di vene, gli occhi
-chiarissimi, le narici diafane, tutta in somma la dolcezza di sangue
-della donna bionda, tra una nera ribellione di capelli; e aveva nella
-persona, nelle vesti, nell'incedere, quella negligenza semplice, quella
-felice placidità quasi direi bovina, quella specie di freschezza lattea
-delle giovani madri che nutrono con la propria mammella il figliuolo.
-
-Appena ella vide il cane tonsurato, un impeto così spontaneo d'ilarità
-la invase, che non potè ritenere le risa entro la chiostra dei denti.
-
-— Ah, ah, ah, ah, ah!..
-
-Come? Natalia osava ridere, mentre quel povero Sancio moriva? — Le
-innupte sensibili volsero un acre sguardo d'indignazione alla cognata
-irriverente e crudele. Ma questa, con una lieta incuranza, si appressò
-per tendere il bimbo verso l'animale. E il bimbo seminudo agitava le
-piccole mani irrequiete, cercando toccare, tutto vibrando di naturale
-gioia e barbugliando suoni incomprensibili nella bocca rorida ancora
-della bevanda materna. E l'animale, uso già a sottomettere la testa
-mansueta a quei cercamenti, aveva ancora nelle membra inferme una
-esitazione di festevolezza e negli occhi un supremo barlume di bontà
-conoscente.
-
-— Povero Sancio Panza! — mormorò alfine Natalia ritraendo il figliuolo
-che stava per bagnarsi di bava le dita. E, come il bimbo rincrespava le
-labbra per piangere, ella fece due o tre giri nella stanza cullandolo e
-palleggiandolo; poi, fermatasi dinanzi all'automa, volse la chiave del
-meccanismo.
-
-Il macacco aprì la bocca, battè le palpebre, attorcigliò la coda,
-tutto animandosi internamente al suono d'una gavotta ben nota. Quel
-voluttuoso ondeggiamento di danza moveva l'aria e la testa di Natalia
-per ritmo. La luce nella stanza era dolce; il profumo dei garofoli
-entrava dai vasi del balcone aperto.
-
-Sancio non udiva forse più. Al bruciore caustico del vescicante su la
-nuca, egli scoteva di tratto in tratto il dorso, e piegava la testa
-in basso, con un lamentìo fievole. La lingua ritirata fra i denti,
-violacea, quasi anzi nerastra, aveva già perduta ogni facoltà di
-moto. Gli occhi, ora, coperti da una specie di membrana turchiniccia
-e umidiccia, non conservavano altra espressione di spasimo che quella
-dell'apparir rapido d'un lembo bianco agli angoli delle orbite. La bava
-si produceva più copiosa e più densa. L'asfissia pareva imminente.
-
-— Oh Natalia, cessa! Ma non vedi che Sancio muore? — proruppe, con la
-voce piena d'acredine e di lagrime, Isabella.
-
-La gavotta non si poteva interrompere prima che la forza data dalla
-chiave alla macchina fosse esaurita. Le note continuavano, lente e
-molli, a spandersi su l'agonia del cane. Le ombre del crepuscolo,
-intanto, cominciavano a penetrare nell'interno e le tende sbattevano
-nella frescura.
-
-Allora, Donna Letizia, soffocata dai singhiozzi, non reggendo più allo
-strazio, uscì. Tutte le figlie la seguirono, a una a una, piangendo,
-con i teneri petti oppressi dal dolore. Soltanto Natalia per curiosità
-si fece da presso al moribondo.
-
-E, mentre la gavotta era su la ripresa, il buon Sancio spirò in musica,
-come l'eroe di un melodramma italiano.
-
-
-
-
-LA FINE DI CANDIA.
-
-
-I.
-
-Donna Cristina Lamonica, tre giorni dopo il convito pasquale che
-in casa Lamonica soleva essere grande per tradizione e magnifico e
-frequente di convitati, numerava la biancheria e l'argenteria delle
-mense e con perfetto ordine riponeva ogni cosa nei canterani e nei
-forzieri pei conviti futuri.
-
-Erano presenti, per solito, alla bisogna, e porgevano aiuto, la
-cameriera Maria Bisaccia e la lavandaia Candida Marcanda detta
-popolarmente Candia. Le vaste canestre ricolme di tele fini giacevano
-in fila sul pavimento. I vasellami di argento e gli altri strumenti da
-tavola rilucevano sopra una spasa; ed erano massicci, lavorati un po'
-rudemente da argentarii rustici, di forme quasi liturgiche, come sono
-tutti i vasellami che si trasmettono di generazione in generazione
-nelle ricche famiglie provinciali. Una fresca fragranza d bucato
-spandevasi nella stanza.
-
-Candia prendeva dalle canestre i mantili, le tovaglie, le salviette;
-faceva esaminare alla signora la tela intatta; e porgeva via via
-ciascun capo a Maria che riempiva i tiratoi, mentre la signora spargeva
-negli interstizi un aroma e segnava nel libro la cifra. Candia era una
-femmina alta, ossuta, segaligna, di cinquant'anni; aveva la schiena un
-po' curvata dall'attitudine abituale del suo mestiere, le braccia molto
-lunghe, una testa d'uccello rapace sopra un collo di testuggine. Maria
-Bisaccia era un'ortonese, un po' pingue di carnagione lattea, d'occhi
-chiarissimi; aveva la parlatura molle, e i gesti lenti e delicati
-come colei ch'era usa a esercitar le mani quasi sempre tra la pasta
-dolce, tra gli sciroppi, tra le conserve e tra le confetture. Donna
-Cristina, anche nativa di Ortona, educata nel monastero benedettino,
-era piccola di statura, con il busto un po' abbandonato sul davanti;
-aveva i capelli tendenti al rosso, la faccia sparsa di lentiggini, il
-naso lungo e grosso, i denti cattivi, gli occhi bellissimi e pudichi,
-somigliando un cherico vestito d'abiti muliebri.
-
-Le tre donne attendevano all'opera con molta cura; e spendevano così
-gran parte del pomeriggio.
-
-Ora, una volta, come Candia usciva con le canestre vuote, Donna
-Cristina numerando le posate trovò che mancava un cucchiaio.
-
-— Maria! Maria! — ella gridò, con una specie di spavento. — Conta!
-Manca _'na cucchiara_.... Conta tu!
-
-— Ma come? Non può essere, signó, — rispose Maria. — Mo' vediamo.
-
-E si mise a riscontrare le posate, dicendo il numero ad alta voce.
-Donna Cristina guardava, scotendo il capo. L'argento tintinniva
-chiaramente.
-
-— E vero! — esclamò alla fine Maria, con un atto di disperazione. — E
-mo' che facciamo?
-
-Ella era sicura da ogni sospetto. Aveva dato prove di fedeltà e di
-onestà per quindici anni, in quella famiglia. Era venuta da Ortona
-insieme con Donna Cristina, all'epoca delle nozze, quasi facendo parte
-dell'appannaggio matrimoniale; ed oramai nella casa aveva acquistata
-una certa autorità, sotto la protezione della signora. Ella era piena
-di superstizioni religiose, devota al suo santo e al suo campanile,
-astutissima. Con la signora aveva stretto una specie di alleanza ostile
-contro tutte le cose di Pescara, e specialmente contro il santo dei
-Pescaresi. Ad ogni occasione nominava il paese natale, le bellezze
-e le ricchezze del paese natale, gli splendori della sua basilica, i
-tesori di San Tommaso, la magnificenza delle cerimonie ecclesiastiche,
-in confronto alle miserie di San Cetteo che possedeva un solo piccolo
-braccio d'argento.
-
-Donna Cristina disse:
-
-— Guarda bene di là.
-
-Maria uscì dalla stanza per andare a cercare. Rovistò tutti gli angoli
-della cucina e della loggia inutilmente. Tornò a mani vuote.
-
-— Non c'è! Non c'è!
-
-Allora ambedue si misero a pensare, a cumular congetture, a investigar
-nella loro memoria. Uscirono su la loggia che dava nel cortile, su la
-loggia del lavatoio, per fare l'ultima ricerca. Come parlavano a voce
-alta, alle finestre delle case in torno si affacciarono le comari.
-
-— Che v'è successo, Donna Cristí? Dite! Dite! Donna Cristina e Maria
-raccontarono il fatto, con molte parole, con molti gesti.
-
-— Gesù! Gesù! Dunque ci stanno i ladri?
-
-In un momento il rumore del furto si sparse pel vicinato, per tutta
-Pescara. Uomini e donne si misero a discutere, a imaginare chi
-potesse essere il ladro. La novella, giungendo alle ultime case
-di Sant'Agostino, s'ingrandì: non si trattava più di un semplice
-cucchiaio, ma di tutta l'argenteria di casa Lamonica.
-
-Ora, come il tempo era bello e su la loggia le rose cominciavano a
-fiorire e due lucherini in gabbia cantavano, le comari si trattennero
-alle finestre per il piacere di ciarlare al bel tempo, con quel dolce
-calore. Le teste feminili apparivano tra i vasi di basilico e il
-ciaramellio pareva dilettare i gatti in su le gronde.
-
-Donna Cristina disse, congiungendo le mani:
-
-— Chi sarà stato?
-
-Donna Isabella Sertale, detta la Faina, che aveva i movimenti lesti e
-furtivi di un animaletto predatore, chiese con la voce stridula:
-
-— Chi ci stava con voi. Donna Cristí? Mi pare che ho visto ripassare
-Candia....
-
-— Aaaah! — esclamò donna Felicetta Margasanta, detta la Pica per la sua
-continua garrulità.
-
-— Ah! — ripeterono le altre comari.
-
-— E non ci pensavate?
-
-— E non ve n'accorgevate?
-
-— E non sapete chi è Candia?
-
-— Ve lo diciamo noi chi è Candia!
-
-— Sicuro!
-
-— Ve lo diciamo noi!
-
-— I panni li lava bene, non c'è che dire. È la meglio lavandaia che sta
-a Pescara, non c'è che dire. Ma tiene lu difetto delle cinque dita...
-Non lo sapevate, commà?
-
-— A me 'na volta mi mancò due mantili.
-
-— A me 'na tovaglia.
-
-— A me 'na camicia.
-
-— A me tre paia di calzette.
-
-— A me due fédere.
-
-— A me 'na sottana nuova.
-
-— Io non ho potuto riavere niente.
-
-— Io manco.
-
-— Io manco.
-
-— Io non l'ho cacciata; perchè chi prendo? Silvestra?
-
-— Ah! Ah!
-
-— Angelantonia? Babascetta?
-
-— Una peggio dell'altra!
-
-— Bisogna ave' pazienza.
-
-— Ma 'na cucchiara, mo'!
-
-— È troppo, mo'!
-
-— Non vi state zitta, Donna Cristí; non vi state zitta!
-
-— Che zitta e non zitta! — proruppe Maria Bisaccia che, quantunque
-avesse l'aspetto placido e benigno, non si lasciava sfuggire nessuna
-occasione per opprimere o per mettere in mala vista gli altri serventi
-della casa. — Ci penseremo noi, Donn'Isabbé, ci penseremo!
-
-E le ciarle dalla loggia alle finestre seguitavano. E l'accusa di bocca
-in bocca si propalò per tutto il paese.
-
-
-II.
-
-La mattina vegnente, mentre Candia Marcanda teneva le braccia nella
-lisciva, comparve su la soglia la guardia comunale Biagio Pesce
-soprannominato _il Caporaletto_.
-
-Egli disse alla lavatrice:
-
-— Ti vuole il signor Sindaco sopra il Comune, sùbito.
-
-— Che dici? — domandò Candia aggrottando le sopracciglia, ma senza
-tralasciare la sua bisogna.
-
-— Ti vuole il signor Sindaco sopra il Comune, sùbito.
-
-— Mi vuole? E perchè? — seguitò a domandare Candia, con un modo un
-po' brusco, non sapendo a che attribuire quella chiamata improvvisa,
-inalberandosi come fanno le bestie caparbie dinanzi a un'ombra.
-
-— Io non posso sapere perchè — rispose il Caporaletto. — Ho ricevuto
-l'ordine.
-
-— Che ordine?
-
-La donna, per una ostinazione naturale in lei, non cessava dalle
-domande. Ella non sapeva persuadersi della cosa.
-
-— Mi vuole il Sindaco? E perchè? E che ho fatto io? Non ci voglio
-venire. Io non ho fatto nulla.
-
-Il Caporaletto, impazientito, disse:
-
-— Ah, non ci vuoi venire? Bada a te!
-
-E se ne andò, con la mano su l'elsa della vecchia daga, mormorando.
-
-Intanto per il vico alcuni che avevano udito il dialogo uscirono su
-gli usci e si misero a guardare Candia che agitava la lisciva con le
-braccia. E, poichè sapevano del cucchiaio d'argento, ridevano tra loro
-e dicevano motti ambigui che Candia non comprendeva. A quelle risa e a
-quei motti, l'inquietudine prese l'animo della donna; e crebbe quando
-ricomparve il Caporaletto accompagnato dall'altra guardia.
-
-— Cammina! — disse il Caporaletto, risolutamente.
-
-Candia si asciugò le braccia, in silenzio; e andò. Per la piazza la
-gente si fermava. Rosa Panara, una nemica, dalla soglia della bottega
-gridò con una risata feroce:
-
-— Posa l'osso!
-
-La lavandaia, smarrita, non imaginando la causa di quella persecuzione,
-non seppe che rispondere.
-
-Dinanzi al Comune stava un gruppo di persone curiose che la volevano
-veder passare. Candia, presa dall'ira, salì le scale rapidamente;
-giunse in conspetto del Sindaco, affannata; chiese:
-
-— Ma che volete da me?
-
-Don Silla, uomo pacifico, rimase un momento turbato dalla voce aspra
-della lavandaia, e volse uno sguardo ai due fedeli custodi della
-dignità sindacale. Quindi disse, prendendo il tabacco nella scatola di
-corno:
-
-— Figlia mia, sedetevi.
-
-Candia rimase in piedi. Il suo naso ricurvo era gonfio di collera, e le
-sue guance rugose tremolavano alle contratture delle mascelle mordaci.
-
-— Dite, Don Sì.
-
-— Voi siete stata ieri a riporta' la biancheria a Donna Cristina
-Lamonica?
-
-— Be', che c'è? che c'è? Manca qualche cosa? Tutto contato, capo per
-capo... Non manca nulla. Che c'è, mo'?
-
-— Un momento, figlia mia! C'era nella stanza l'argenteria...
-
-Candia, indovinando, si voltò come un falchetto inviperito che stia per
-ghermire. E le labbra sottili le tremavano.
-
-— C'era nella stanza l'argenteria, e Donna Cristina trova mancante 'na
-cucchiara... Capite, figlia mia? L'avete presa voi... pe' sbaglio?
-
-Candia saltò come una locusta, a quell'accusa immeritata. Ella non
-aveva preso nulla, in verità.
-
-— Ah, io? Ah, io? Chi lo dice? Chi mi ha vista? Mi faccio meraviglia di
-voi, Don Sì! Mi faccio meraviglia di voi! Io ladra? io? io?...
-
-E la sua indignazione non aveva fine. Ella più era ferita dall'ingiusta
-accusa perchè si sentiva capace dell'azione che le addebitavano.
-
-— Dunque voi non l'avete presa? — interruppe Don Silla, ritirandosi in
-fondo alla sua grande sedia curule, prudentemente.
-
-— Mi faccio meraviglia! — garrì di nuovo la donna, agitando le lunghe
-braccia come due bastoni.
-
-— Be', andate. Si vedrà.
-
-Candia uscì, senza salutare, urtando contro lo stipite della porta.
-Ella era diventata verde: era fuori di sè. Mettendo il piede nella
-via, vedendo tutta la gente assembrata, comprese che oramai l'opinione
-popolare era contro di lei; che nessuno avrebbe creduto alla sua
-innocenza. Nondimeno si mise a gridare le sue discolpe. La gente
-rideva, dileguandosi. Ella, furibonda, tornò a casa; si disperò; si
-mise a singhiozzare su la soglia.
-
-Don Donato Brandimarte, che abitava a canto, le disse per beffa:
-
-— Piangi forte, piangi forte, che mo' passa la gente.
-
-Come i panni ammucchiati aspettavano il ranno, ella finalmente
-si acquetò; si nudò le braccia, e si rimise all'opera. Lavorando,
-pensava alla discolpa, architettava un metodo di difesa, cercava
-nel suo cervello di femmina astuta un mezzo artifizioso per provare
-l'innocenza; arzigogolando sottilissimamente, si giovava di tutti gli
-spedienti della dialettica plebea per mettere insieme un ragionamento
-che persuadesse gli increduli.
-
-Poi, quando ebbe terminata la bisogna, uscì; volle andare prima da
-Donna Cristina.
-
-Donna Cristina non si fece vedere. Maria Bisaccia ascoltò le molte
-parole di Candia scotendo il capo, senza risponder niente; e si
-ritrasse con dignità.
-
-Allora Candia fece il giro di tutte le sue clienti. Ad ognuna raccontò
-il fatto, ad ognuna espose la discolpa, aggiungendo sempre un nuovo
-argomento, aumentando le parole, accalorandosi, disperandosi dinanzi
-alla incredulità e alla diffidenza; e inutilmente. Ella sentiva che
-oramai non era più possibile la difesa. Una specie di abbattimento cupo
-le prese l'animo. — Che più fare! Che più dire!
-
-
-III.
-
-Donna Cristina Lamonica intanto mandò a chiamare la Cinigia, una
-femmina del volgo, che faceva professione di magia e di medicina
-empirica con molta fortuna. La Cinigia già qualche volta aveva scoperta
-la roba rubata; e si diceva ch'ella avesse diverse pratiche con i
-ladroncelli.
-
-Donna Cristina le disse:
-
-— Ritrovami la cucchiara, e ti darò 'na regalía forte.
-
-La Cinigia rispose:
-
-— Va bene. Mi bastano ventiquattr'ore.
-
-E, dopo ventiquattr'ore, ella portò la risposta. — Il cucchiaio si
-trova in una buca, nel cortile, vicino al pozzo.
-
-Donna Cristina e Maria discesero nel cortile, cercarono e trovarono,
-con grande meraviglia.
-
-Rapidamente, la novella si sparse per Pescara.
-
-Allora, trionfante, Candia Marcanda si diede a percorrere le vie. Ella
-pareva più alta; teneva la testa eretta, sorrideva, guardando tutti
-negli occhi come per dire:
-
-— Avete visto? Avete visto?
-
-La gente su le botteghe, vedendola passare, mormorava qualche parola
-e poi rompeva in uno sghignazzìo significativo. Filippo La Selvi, che
-stava bevendo un bicchiere d'acquavite fine nel caffè d'Angeladea,
-chiamò Candia.
-
-— 'Nu bicchiere pe' Candia, di questo qua!
-
-La donna, che amava i liquori ardenti, fece con le labbra un atto di
-cupidigia.
-
-Filippo La Selvi soggiunse:
-
-— Te lo meriti, non c'è che di'.
-
-Una torma di oziosi erasi ragunata innanzi al caffè. Tutti avevano su
-la faccia un'aria burlevole.
-
-Filippo La Selvi, rivoltosi all'uditorio, mentre la donna beveva:
-
-— L'ha saputa fa'; è vero? Volpe vecchia...
-
-E battè familiarmente la spalla ossuta della lavandaia.
-
-Tutti risero.
-
-Magnafave, un piccolo gobbo, scemo e bleso, unendo insieme l'indice
-della mano destra con quello della sinistra, e impuntandosi su le
-sillabe, disse:
-
-— Ca... ca... ca... Candia... la... la... Cinigia...
-
-E seguitò a gesticolare e a balbettare con un'aria furbesca, per
-indicare che Candia e la Cinigia erano comari. Tutti, a quella vista,
-si contorcevano nell'ilarità.
-
-Candia rimase un momento smarrita, co 'l bicchiere in mano. Poi, d'un
-tratto, comprese. — Non credevano alla sua innocenza. L'accusavano di
-aver riportato il cucchiaio d'argento segretamente, d'accordo con la
-strega, per non aver guai.
-
-Un impeto cieco di collera allora la invase. Ella non trovava parole.
-Si gittò su 'l più debole, su 'l piccolo gobbo, a tempestarlo di pugni
-e di graffi. La gente, con una gioia crudele, in cospetto di quella
-lotta, schiamazzava a torno in cerchio, come dinanzi a un combattimento
-d'animali; ed aizzava le due parti con le voci e con le gesticolazioni.
-
-Magnafave, sbigottito da quella furia improvvisa, cercava di fuggire,
-sgambettando come uno scimmiotto; e, tenuto dalle mani terribili della
-lavandaia, girava con rapidità crescente, come un sasso nella fionda,
-sinchè cadde con gran veemenza bocconi.
-
-Alcuni corsero a rialzarlo. Candia si allontanò tra i sibili; andò
-a chiudersi in casa; si gittò a traverso il letto, singhiozzando e
-mordendosi le dita, pe 'l gran dolore. La nuova accusa le coceva più
-della prima, tanto più ch'ella si sentiva capace di quel sotterfugio.
-— Come discolparsi ora? Come chiarire la verità? — Ella si disperava,
-pensando di non poter addurre in discolpa difficoltà materiali che
-avessero potuto impedire l'esecuzione dell'inganno. L'accesso al
-cortile era facilissimo: una porta, non chiusa, corrispondeva al primo
-pianerottolo della scalinata grande; per togliere l'immondizie o per
-altre bisogne una quantità di gente entrava ed usciva liberamente da
-quella porta. Dunque ella non poteva chiudere la bocca agli accusatori
-dicendo: — Come avrei fatto ad entrare? — I mezzi per condurre a
-termine l'impresa erano molti ed agevoli; e su questa agevolezza si
-fondava la credenza popolare.
-
-Candia allora cercò differenti argomenti di persuasione; aguzzò
-l'astuzia; imaginò tre, quattro, cinque casi diversi per spiegare
-come mai si trovasse il cucchiaio nella buca del cortile; ricorse ad
-artifizi e a cavilli d'ogni genere; sottilizzò con una ingegnosità
-singolare. Poi si mise a girare per le botteghe, per le case, cercando
-in tutti i modi di vincere l'incredulità delle persone. Le persone
-ascoltavano quei ragionamenti capziosi, dilettandosi. In ultimo
-dicevano:
-
-— Va bene! Va bene!
-
-Ma con tal suono di voce che Candia rimaneva annichilita. — Tutte le
-sue fatiche dunque erano inutili! Nessuno credeva! Nessuno credeva!
-— Ella, con una pertinacia mirabile, tornava all'assalto. Passava le
-notti intere pensando sempre a trovar nuove ragioni, a costruire nuovi
-edifizi, a superare nuovi ostacoli. E a poco a poco, in questo continuo
-sforzo, la sua mente s'indeboliva, non sosteneva più altro pensiero che
-non fosse quello del cucchiaio, non avea quasi più consapevolezza della
-vita comune. Più tardi, per la crudeltà della gente, una vera manìa
-prese il cervello della povera donna.
-
-Ella, trascurando le sue bisogne, s'era ridotta quasi alla miseria.
-Lavava male i panni, li perdeva, li faceva strappare. Quando scendeva
-alla riva del fiume, sotto il ponte di ferro, dove erano raccolte le
-altre lavandaie, a volte si lasciava fuggir di mano le tele che rapiva
-per sempre la corrente. Parlava continuamente, senza stancarsi mai,
-della medesima cosa. Per non udirla, le lavandaie giovani si mettevano
-a cantare e la beffavano nei canti con rime improvvise. Ella gridava e
-gesticolava, come una pazza.
-
-Nessuno più le dava lavoro. Per compassione le antiche clienti le
-mandavano qualche cosa da mangiare. A poco a poco ella si abituò a
-mendicare. Andava per le strade, tutta cenciosa, curva e disfatta. I
-monelli le gridavano dietro:
-
-— Mo' dicci la storia de la cucchiara, che nun la sapemo, zi' Ca'!
-
-Ella fermava i passanti sconosciuti, talvolta, per raccontare la storia
-e per arzigogolare su la discolpa. I giovinastri la chiamavano e per un
-soldo le facevano fare tre, quattro volte la narrazione; sollevavano
-difficoltà contro gli argomenti; ascoltavano sino alla fine, per poi
-ferirla con una sola parola. Ella scoteva il capo; passava oltre; si
-univa alle altre femmine mendicanti e ragionava con loro, sempre,
-sempre, infaticabile, invincibile. Prediligeva una femmina sorda,
-che aveva su la pelle una sorta di lebbra rossastra e zoppicava da un
-piede.
-
-Nell'inverno del 1874 la colse una febbre maligna. Fu assistita dalla
-femmina lebbrosa. Donna Cristina Lamonica le mandò un cordiale e un
-cassetto di brace.
-
-L'inferma, distesa su 'l giaciglio, farneticava del cucchiaio;
-si levava su i gomiti, tentava di agitar le mani, per secondare
-la perorazione. La lebbrosa le prendeva le mani e la riadagiava
-pietosamente.
-
-Nell'agonia, quando già gli occhi ingranditi sì velavano come per
-un'acqua torbida che vi salisse dall'interno, Candia balbettava:
-
-— No so' stata io, signó... vedete... perchè... la cucchiara...
-
-
-
-
-LA FATTURA.
-
-
-Quando nella piazza comunale strepitavano consecutivamente i sette
-starnuti di Mastro Peppe De Sieri, detto La Bravetta, tutti gli
-abitanti di Pescara sedevano alle mense e incominciavano il pasto.
-Sùbito dopo, la campana vibrava i tocchi del mezzodì. Un'ilarità
-unanime propagavasi nelle case.
-
-Per molti anni La Bravetta diede al popolo pescarese questo giocondo
-segnale cotidiano; e la fama delle sue meravigliose starnutazioni si
-sparse per il contado in torno e per le terre finitime. Ancora tra
-il buon volgo la memoria n'è viva e, fermata in un proverbio, durerà
-lungamente nei tempi a venire.
-
-
-I.
-
-Mastro Peppe La Bravetta era un plebeo di alquanta corpulenza, tozzo,
-con la faccia piena di una prospera stupidezza, con gli occhi simili
-a quelli d'un vitello poppante, con mani e piedi di straordinaria
-espansione. E come aveva un naso molto lungo e carnoso e singolarmente
-mobile, e come aveva le mascelle forti, egli nel ridere e nello
-starnutire pareva una di quelle foche a proboscide, che in conseguenza
-della pinguedine tremano tutte come una gelatina, secondo narrano i
-marinai. Anche di quelle foche egli aveva la pigrizia, la lentezza
-dei movimenti, la ridicolezza delle attitudini, l'amore del sonno. Non
-poteva passare dall'ombra al sole o dal sole all'ombra, senza che un
-irresistibile impeto d'aria gli rompesse per la bocca e per le narici.
-Lo strepito, in ispecie nelle ore tranquille, udivasi a gran distanza;
-e poichè si produceva in periodi determinati, serviva d'orario a quasi
-tutti i cittadini. Mastro Peppe nella sua gioventù aveva tenuto negozio
-di maccheroni; ed era cresciuto in una dolce balordaggine, tra le belle
-frange di pasta, tra il rumore eguale dei buratti e delle ruote, fra
-il tepore dell'aria invasa dal polverìo delle farine. Nella maturità
-egli s'era legato in nozze con una tal Donna Pelagia, del comune dei
-Castelli, e da allora, abbandonato il mestiere alimentario, aveva
-preso a rivendere stoviglie di maiolica e di terracotta, orci, piatti,
-boccali, tutto lo schietto vasellame fiorito di cui gli artefici
-castellesi allietano le mense della terra d'Abruzzi. Tra la rusticità
-e quasi direi la religiosità di quelle forme immutate da secoli e
-immutabili, egli viveva molto semplicemente, starnutando. E come la
-moglie era avara, a poco a poco l'avarizia conquistava e avviluppava
-anche l'animo di lui.
-
-Ora, possedeva egli su la destra riva del fiume un podere con una casa
-rurale, proprio in quel punto ove la corrente rivolgesi formando quasi
-un verde anfiteatro lacustre. Ivi il terreno irriguo rendeva, più che
-uve e cereali, gran copia d'erbaggi; il frutteto si moltiplicava;
-e un porco si impinguava annualmente, sotto una quercia ricca di
-ghiande. In ogni gennaio La Bravetta andava insieme con la moglie al
-podere, trattenendovisi co 'l favore di sant'Antonio, per assistere
-all'occisione e alla salatura del porco.
-
-Avvenne una volta che, essendo la moglie alquanto inferma, La Bravetta
-andò solo ad invigilare il supplicio.
-
-Sopra una tavola ampia l'animale, tenuto da due o tre coloni, fu
-scannato con un coltello forbitissimo. Risonarono i grugniti per tutta
-la solitudine fluviatile; poi subitamente divennero fiochi, si persero
-nel gorgogliare caldo e vermiglio del sangue che sgorgava dalla ferita
-slabbrante, mentre il gran corpo dava gli ultimi tratti. Il sole
-del novello anno beveva dalla riviera e dalle terre umide la nebbia.
-La Bravetta guardava, con una sorta di dilettosa ferocia, l'occisor
-Lepruccio bruciare con un ferro rovente gli occhi del porco profondati
-nel grasso; e gioiva, udendo stridere i bulbi, al pensiero del molto
-lardo e del molto prosciutto futuro.
-
-L'occiso fu sollevato, a forza di braccia, sino all'uncino d'una
-sorta di forca rusticale, e rimase péndulo con la testa in basso. Ivi
-con fasci di canne accese i coloni arsero tutte le setole; le fiamme
-crepitavano quasi invisibili alla maggior luce del giorno. Lepruccio
-in ultimo con una lama lucida si diede a raschiar quel corpo nerastro
-che un altr'uomo intanto aspergeva d'acqua bollente. La pelle, a mano
-a mano divenendo netta e tutta di un dubbio pallor roseo, fumigava nel
-sole. E Lepruccio, che aveva una faccia rugosa e untuosa di vecchia
-femmina con le campanelle d'oro agli orecchi, stringeva le labbra nella
-bisogna, allungandosi ed accorciandosi, giocando su i ginocchi.
-
-Quando l'opera fu fornita, Mastro Peppe ordinò che i coloni deponessero
-il porco in un luogo coperto. Mai, negli altri anni, più meravigliosa
-mole di carni egli aveva veduto; e si rammaricava in cuor suo che la
-moglie non ivi fosse a rallegrarsene.
-
-Allora (cadeva il pomeriggio) sopraggiunsero Matteo Puriello e Biagio
-Quaglia, amici, i quali venivano dalla prossima casa di Don Bergamino
-Campione, prete dato alla mercatura. Erano costoro gente di gaia vita,
-ricchi di consiglio, dediti alla crapula, vaghi d'ogni sollazzo; e,
-poichè avean saputo l'occisione del porco e l'assenza di Donna Pelagia,
-sperando in una qualche bella avventura venivano a tentar La Bravetta.
-
-Matteo Puriello, detto Ciávola, era un uomo in su i quarant'anni;
-cacciatore clandestino; alto e segaligno, con i capelli biondastri, la
-pelle del viso giallognola, i baffi duri e tagliati come una spazzola,
-tutta la testa avente l'aspetto di una effige di legno su cui fosse
-rimasta una traccia lievissima dell'antica doratura. I suoi occhi,
-tondi, vivi e mobili quasi per inquietudine come quelli delle bestie
-corritrici, lucevano simili a due monete nuove. In tutta la persona,
-vestita quasi sempre di un certo panno di color terrigno, egli aveva
-le attitudini, i movimenti, il passo dondolante di quei lunghi cani
-barbareschi che pigliano le lepri a corsa per le pianure.
-
-Biagio Quaglia, detto il Ristabilito, era in vece di statura mediocre,
-d'alcuni anni più giovane, rubicondo nella faccia e tutto gemmante
-come un mandorlo a primavera. Egli aveva una singolar virtù scimiatica
-di muovere indipendentemente gli orecchi e la pelle della fronte
-e la pelle del cranio, per non so che vivacità di muscoli: e aveva
-una tale versatilità di aspetti e una tal felice potenza vocale di
-contraffazioni e così prontamente sapeva cogliere il lato ridevole
-degli uomini e delle cose e in un sol gesto o in un sol motto
-rappresentarlo che tutte le brigate pescaresi per amor di allegria
-lo chiamavano e convitavano. Egli, in questa dolce vita parassitica,
-prosperava, sonando la chitarra alle mense nuziali e alle pompe dei
-battesimi. I suoi occhi brillavano come quelli d'un furetto. Il suo
-cranio era coperto d'una sorta di lanugine simile a quella del corpo
-spiumato di un'oca grassa che ancora sia da abbrustolire.
-
-Or dunque La Bravetta, come vide i due amici, li accolse con cera
-festevole, dicendo loro:
-
-— Qualu vente ve porte?
-
-E quindi, poi che le accoglienze oneste e liete furono iterate, egli
-traendoli nella stanza dove su una tavola giaceva il mirabile porco,
-soggiunse:
-
-— Che dicete de 'sta bellezze? Eh? Mo che ve pare?
-
-I due amici contemplavano il porco con una silenziosa meraviglia; e il
-Ristabilito faceva un cotal suo rumore con la lingua contro il palato.
-Ciávola chiese:
-
-— E che ce ne vuo' fa'?
-
-— Le vuojie salà — rispose La Bravetta con una voce in cui sentivasi
-fremere tutta la ghiotta gioia per le future delizie della gola.
-
-— Le vuo' salà? — gridò d'improvviso il Ristabilito, — le vuo' salà? —
-Ma, o Cià, si viste ma' 'n'ommene chiù stupide di custù? A farse scappa
-l'uccasïone!
-
-La Bravetta, stupito, guardava con i suoi occhi vitulini ora l'uno ora
-l'altro degli interlocutori.
-
-— Donna Pelagge t'ha sempre tenute assuggette — continuò il
-Ristabilito. — Sta vote che esse nen te guarde, vínnete lu porche; e
-magnémece li quatrine.
-
-— Ma Pelagge? Ma Pelagge? — balbettava La Bravetta, a cui il fantasma
-della moglie irata dava già uno sbigottimento immenso.
-
-— E tu dijie ca lu porche te se l'hanne arrubbate — fece il biondo
-Ciávola, con un vivo gesto d'impazienza.
-
-La Bravetta inorridì.
-
-— E coma facce a riì a la case nghe sa nutizie? Pelagge nen me crede;
-me cacce, me mene... Vu nen le sapete chi è Pelagge?
-
-— Uh, Pelagge! Uh, uh, Donna Pelagge! — squittirono in coro
-motteggiando i due insidiatori. E il Ristabilito, subito, imitando
-la voce piagnucolosa di Peppe e la voce acuta e stridula della donna,
-rappresentò una scena di comedia in cui Peppe era garrito e sculacciato
-come un bamboletto.
-
-Ciávola rideva sgambettando in torno al porco, senza potersi reggere.
-Il beffato, preso da un violento impeto di starnuti, agitava le braccia
-verso l'atto, volendo forse interrompere. Al frastuono i vetri della
-finestra tremavano. I fuochi dell'occaso percotevano i tre diversi
-volti umani.
-
-Come il Ristabilito tacque, Ciávola disse:
-
-— Mbé, jamocénne!
-
-— Se vulete cenà nghe me... — offerse, a bocca stretta, Mastro Peppe.
-
-— No, no, bello mio — interruppe Ciávola volgendosi verso l'uscio. — Tu
-súghete Pelagge e sálate lu porche.
-
-
-II.
-
-Camminarono gli amici lungo la riva del fiume.
-
-In lontananza le barche di Barletta cariche di sale scintillavano come
-edifizi di preziosi cristalli; e da Montecorno un serenissimo albore
-spandevasi nella rigidità delle aure, ripercotevasi dalla limpidità
-delle acque.
-
-Disse il Ristabilito al Ciávola, soffermandosi:
-
-— Cumbà, ce vuléme arrubbà sstanotte lu porche?
-
-Disse il Ciávola:
-
-— Eccome?
-
-Disse il Ristabilito:
-
-— Le sacce i' come, si lu porche arremane addó l'avéme viste.
-
-Disse Ciávola:
-
-— Embé, facémele! Ma, dapù?
-
-Il Ristabilito si soffermò di nuovo. I suoi piccoli occhi brillavano
-come due carbuncoli schietti; la sua faccia florida e rubiconda tra le
-orecchie faunesche vibrava tutta in una smorfia di gioia. Egli fece,
-laconico:
-
-— Le sacce i'.
-
-Veniva da lungi in contro ai due Don Bergamino Camplone, nero in tra la
-pioppaia ignuda e argentea. Subito che i due lo scorsero, sollecitarono
-il passo verso di lui. E il prete, veduta la lor cera giuliva, dimandò
-sorridendo:
-
-— Che me dicéte de bbelle?
-
-Comunicarono gli amici in brevi parole il lor proposito a Don
-Bergamino, il quale assentì con molto rallegramento. E il Ristabilito
-soggiunse, a bassa voce:
-
-— Aqquà avéme da fa' li cose a la furbesca maniere. Vu sapete ca Peppe,
-da quande s'ha pijiate chella brutta vijecchie de Donna Pelagge, s'ha
-fatte avare; e lu vine je piace assa'. 'Mbè, jémele a pijà e purtémele
-a la taverne d'Assaù. Vu, Don Bergamine, détece a beve a tutte e
-paghéte sempre vu. Peppe bevarrà quante chiù putarrà, senza caccià
-quatrine; e se pijarà 'na bona parrucche. Accuscì nu, dapù, putéme fa'
-mejie l'affare nuostre.
-
-Lodò Ciávola il consiglio del Ristabilito, e il prete s'accordò.
-Andarono insieme verso la casa dell'uomo, distante due tiri di fucile;
-e quando furono da presso, Ciávola diede la voce:
-
-— Ohe, La Bravettaa! Vuo' venì a la taverne d'Assaù? Ce sta lu prévete
-aqquà che ce paghe na carráfe. Oheee!
-
-La Bravetta non pose indugio a discendere su 'l sentiero, e tutti e
-quattro camminarono in fila, motteggiando, sotto il chiarore della
-nuova luna. Nella serenità il miagolío de' gatti presi d'amore saliva
-ad intervalli. E il Ristabilito fece:
-
-— O Pe', nen siente Pelagge che t'archiame?
-
-In su la sinistra riva splendevano i lumi della taverna d'Assaù
-ripercossi dall'acqua. Ora, come il corso del fiume era ivi per
-solito assai dolce, Assaù teneva un paliscalmo per traghettare gli
-avventori. Alle voci, si mosse infatti il paliscalmo e venne per
-l'acqua luminosa a prendere i sopraggiunti. Quando tutti i quattro
-salirono, tra amichevoli clamori, Ciávola con le sue lunghe gambe prese
-a far traballare e scricchiolare il legno per atterrire La Bravetta
-che in mezzo all'umidità fluviale fu assalito da un nuovo impeto di
-starnutazioni.
-
-Ma nella taverna, in torno a un desco di quercia, gli amici
-moltiplicarono le risa e i clamori. Ognuno mesceva da bere
-all'insidiato, a cui quel buon vermiglio succo delle vigne spoltoresi,
-brusco, quasi frizzante, ricco di sapore e di colore, scendeva
-agevolmente nel gorgozzúle.
-
-— 'N'atra carráfe! — ordinava Don Bergamino, battendo il pugno in su 'l
-desco.
-
-Assaù, un uomo tutto bestialmente villoso fin sotto gli occhi e di
-gambe storto, recava le caraffe arrubinate. Ciávola canticchiava una
-canzone di molta libertà bacchica, percotendo in ritmo il vetro dei
-bicchieri. La Bravetta, con la lingua già impedita, con gli occhi già
-natanti nella favolosa gioia del vino, balbettava non so che laudi
-del suo bel porco e teneva il prete per la manica affinchè ascoltasse.
-Sopra di loro pendevano dalla vôlta lunghe corone di poponelle d'acqua
-verdegialle; le lucerne mal nutrite d'olio fumigavano.
-
-Era buona ora di notte quando gli amici ripassarono il fiume, alla luna
-occidua. Nel discendere su la riva Mastro Peppe fu lì lì per cadere tra
-la melma, tanto egli aveva le gambe malferme e la vista torbida.
-
-Disse il Ristabilito:
-
-— Facéme 'n' ópera bbone. Arpurtéme a la case custù.
-
-E il ricondussero, sorreggendolo alle ascelle, su per la pioppaia.
-Balbettava l'ebro, travedendo i tronchi biancicanti nella notte:
-
-— Uh, quanta frate duminicane!...
-
-E Ciávola:
-
-— Vann' a la cerche pe' sant'Antuone.
-
-E l'ebro, dopo un poco:
-
-— O Leprucce, Leprucce, sette rótole de sale n'abbaste. Coma facéme?
-
-Giunti all'uscio di casa, i tre congiurati se ne andarono. Mastro Peppe
-salì a grande stento la scaletta, sempre farneticando di Lepruccio e
-del sale. Poi, senza rammentarsi d'aver lasciato aperto l'uscio, si
-gittò in su 'l letto pesantemente tra le braccia del sonno, e inerte vi
-rimase.
-
-Ciávola e il Ristabilito, come ebbero avuto ristoro alla cena di Don
-Bergamino, muniti di certi ordigni ritorti, se ne vennero cautamente
-all'impresa. Era il cielo, dopo l'occaso della luna, tutto smagliante
-di stelle; e un maestraletto gelido andava soffiando per la solitudine.
-I due avanzarono in silenzio, tendendo l'orecchio, soffermandosi ad ora
-ad ora; e tutte le virtù venatorie e le agilità di Matteo Puriello in
-quell'occorrenza si esercitavano.
-
-Quando essi giunsero alla mèta, il Ristabilito a pena potè trattenere
-una esclamazione di gioia accorgendosi dell'uscio aperto. Una perfetta
-quiete regnava nella casa, se non che si udiva il profondo russare del
-dormiente. Ciávola salì primo le scale, seguito dall'altro. Ambedue, al
-fievolissimo lume che entrava pe' vetri, scorsero subito la forma vaga
-del porco in su la tavola. Con infinita cautela sollevarono il peso e
-pianamente lo trassero fuori a gran forza di braccia. Stettero quindi
-in ascolto. Un gallo d'improvviso cantò e altri galli risposero dalle
-aie, consecutivamente.
-
-Allora i due gai ladroni si misero pe 'l sentiero, con il porco in su
-le spalle, ridendo d'un riso lungo e silenzioso; e a Ciávola pareva
-d'essere giù per una bandita recando un grosso capo di selvaggina
-predata. Come il porco era assai greve, essi giunsero alla casa del
-prete alenanti.
-
-
-III.
-
-La mattina Mastro Peppe, avendo digerito il vino, si risvegliò; e
-stette su 'l letto un poco ad allungar le membra e ad ascoltare le
-campane che salutavan la vigilia di Sant'Antonio. Egli già, in mezzo
-alla confusione del primo risvegliarsi, sentiva nell'animo espandersi
-la contentezza del possesso, e pregustava il diletto di veder Lepruccio
-mettere in pezzi e coprir con sale le pingui carni suine.
-
-Spinto da questo pensiero, egli si levò; e con sollecitudine uscì su
-'l pianerottolo, stropicciandosi gli occhi per meglio guardare. Su la
-tavola non rimaneva se non qualche macchia sanguigna, e sopra vi rideva
-il sole virginalmente.
-
-— Lu porche? Addó sta lu porche? — gridò, con una voce rauca, il
-derubato.
-
-Una furibonda agitazione l'invase. Egli discese le scale, vide l'uscio
-aperto, si percosse la fronte, irruppe fuori urlando, chiamando in
-torno a sè i lavoratori, chiedendo a tutti se avessero visto il porco,
-se l'avessero preso. Egli moltiplicava le querele, sollevava ognora
-più le voci; e il doloroso schiamazzo, risonando per tutta la riviera,
-giunse fino agli orecchi di Ciávola e del Ristabilito.
-
-Se ne vennero dunque costoro placidamente, in accordo, per godersi lo
-spettacolo e per continuare la beffa. E come furono giunti in vista,
-Mastro Peppe, rivolgendosi a loro, tutto dolente e lacrimante, esclamò:
-
-— Uh, pover'a me! Me l'hann'arrubbate lu porche! Uh, pover'a me! E coma
-facce mo? E coma facce?
-
-Biagio Quaglia stette un poco a considerare l'aspetto
-dell'infelicissimo, con socchiusi gli occhi tra la canzonatura e
-l'ammirazione, con china la testa verso una spalla, quasi in atto di
-giudicare un effetto d'arte mimetica. Poi, accostatosi, fece:
-
-— Eh, sì, sì.... nen ze po' di' de no.... Tu le fi' bbone la parte.
-
-Peppe, non comprendendo, levò la faccia tutta solcata di gocciole.
-
-— E, sì, sì.... sta vote li si fatte proprie da furbe — seguitò il
-Ristabilito, con una cert'aria di confidenza amichevole.
-
-Peppe, non comprendendo ancora, levò di nuovo la faccia; e le lacrime
-negli occhi pieni di stupore gli si arrestarono.
-
-— Ma, pe' di' la verità, accuscì maleziose nen te credeve — riprese a
-dire il Ristabilito. — Brave! brave! Me rallegre!
-
-— Ma tu che dice? — dimandò tra i singhiozzi La Bravetta. — Ma tu che
-dice? Uh, pover'a me! E coma facce mo a rijì a la case?
-
-— Brave! brave! Bena! — incalzava il Ristabilito. — Dajie mo! Strilla
-forte! Piagne forte! Tirete li capille! Fatte sentì! Accuscì! Falle
-créde'.
-
-E Peppe, piangendo:
-
-— Ma i' diche addavére ca me se l'hann'arrubbate. Uh die! Pover'a me!
-
-— Dajie! Dajie! Nen te fermà. Quante chiù tu strilla, chiù te nome
-créde. Dajie! Angóre! Angóre!
-
-Peppe, fuor di sè pe 'l dispetto e pe 'l dolore, sacramentava ripetendo:
-
-— I' diche addavére. Che me pozza murì, mo, sùbbite, se lu porche nen
-me se l'hann'arrubbate!
-
-— Uh, povere 'nnucende! — squittì per ischerno Ciávola. — Mettéteje
-lu ditucce 'mmocche. Coma putéme fa' a crédete, se jere avéme viste lu
-porche a là? Sant'Andonie j'ha date li 'scelle pe' vula?
-
-— Sant'Andonie bbenedette! È coma diche i'.
-
-— Ma po' esse?
-
-— Accuscì è.
-
-— Ma nen è cuscì.
-
-— È cuscì.
-
-— No.
-
-— Uh, uh, uh! È cuscì! È cuscì! I' so' mmorte. I' nen sacce coma pozze
-fa' a rijì a la case. Pelagge nen me crede; e se ppure me crede, nen me
-dà chiù pace... I' so' mmorte!
-
-— 'Mbè, ce vuléme créde — concluse il Ristabilito. — Ma bbade, Pe',
-ca Ciávule a jere t'ha 'nzegnate lu juchette. E i' nen vulesse ca tu
-gabbísse a Pelagge e a nu, tutte 'na vote. Tu fusse capace...
-
-Allora La Bravetta ricominciò a piangere, a gridare, a disperarsi
-con una così pazza irruzion di dolore, che il Ristabilito per pietà
-soggiunse:
-
-— 'Mbé, statte zitte. Te credéme. Ma, se è vere su fatte, s'ha da truvà
-'na maniere pe' armedià.
-
-— Quala maniere? — dimandò subito, rasserenandosi tra le lacrime, La
-Bravetta, nel cui animo la speranza risorgeva.
-
-— Ecc'a qua — propose Biagio Quaglia. — Certe, une di quille che
-stanne pe' qua attorne ha avute da esse; pecchè certe n'hanne vinute
-dall'India bbasse a pijarse lu porche a te. No, Pe'?
-
-— Va bbone, va bbone, — assentì l'uomo, che stava trepido a udire, col
-naso in alto tutto ancor pieno d'umor lacrimale.
-
-— Mo dunque (statte attende), — continuò il Ristabilito che a quella
-credula attenzione prendeva diletto, — mo dunque se nisciume ha vinute
-dall'India bbasse pe' venirte a rubbà, cert'è che quaccune di quille
-che stanne pe' qua attorne ha avute da esse lu latre. No, Pe'?
-
-— Va bbone, va bbone.
-
-— Mo che s'ha da fa'? S'ha da raunà tutte sti cafune e s'ha da
-sprementà cacche fatture pe' scuprì lu latre. Scuperte lu latre,
-scuperte lu porche.
-
-Gli occhi di mastro Peppe brillarono di desiderio; ed egli si fece più
-da presso, poichè l'accenno alla fattura aveva risvegliate in lui le
-native superstizioni.
-
-— Tu le sié; ce stanne tre specie de maggie: la bianche, la rosce e la
-nere, e ce stanne, tu le sié, a lu paese tre femmene dell'arte: Rosa
-Schiavona, Rusaria Pajara e la Ciniscia. Sta a te a scejie.
-
-Peppe stette un momento in forse. Poi elesse Rosaria Pajara che aveva
-gran fama d'incantatrice e aveva operato in altri tempi cose mirabili.
-
-— 'Mbé, su, — concluse il Ristabilito, — nen ce sta tembe da pérde.
-I' pe' te, propie pe' farte nu piacere, vajie sine a lu paese a pijà
-quelle che ce serve. Parle 'nghe Rusarie, me facce dà tutte cose, e me
-n'arvenghe, dentr'a sta matine. Damme li quatrine.
-
-Peppe si tolse dalla tasca del panciotto tre carlini ed esitando li
-porse.
-
-— Tre carline? — gridò l'altro, rifiutandoli. Tre carline? Ma ce ne vo'
-pe' lu mene diece.
-
-A sentir questo il marito di Pelagia ebbe quasi uno sbigottimento.
-
-— Come? Pe' na fatture, diece carline? — balbettò egli cercandosi con
-le dita tremule nella tasca. — Ècchetene otte. Nen ne tenghe chiù.
-
-Disse il Ristabilito, secco:
-
-— Va bbone. Quelle che posse fa' facce. Viene pure tu, Cià?
-
-I due compagni s'incamminarono verso Pescara, di buon passo, pe 'l
-sentiero degli alberi, l'uno innanzi, l'altro dietro. E Ciávola
-picchiava gran colpi di pugno su la schiena del Ristabilito, per
-dimostrare la sua allegrezza. Come essi giunsero al paese, si recarono
-nella bottega di un tal Don Daniele Pacentro speziale con cui erano
-in familiarità; ed ivi comperarono certi aròmati e droghe, facendone
-quindi comporre pallottole a guisa di pillole grosse, come noci, ben
-coperte di zucchero, sciloppate e cotte. Subito che lo speziale ebbe
-compiuta l'operazione, Biagio Quaglia (il quale nel frattempo era stato
-assente) tornò con una carta piena d'escrementi secchi di cane; e di
-quelli escrementi volle che lo speziale componesse due belle pillole,
-in tutto simili alle altre per la forma, se non che confettate prima in
-aloe e poi coperte leggermente di zucchero. Così lo speziale fece; e,
-perchè queste dalle altre si riconoscessero, vi mise, per consiglio del
-Ristabilito, un piccolo segno.
-
-I due ciurmadori ripresero la via della campagna, e furono alla casa
-di Mastro Peppe in su l'ora di mezzodì. Mastro Peppe stava con molto
-affanno aspettando. A pena vide sbucare di tra le alberelle il corpo
-lungo e sottile di Ciávola, gridò:
-
-— Mbé?
-
-— Tutte è all'ordene — rispose in suon di trionfo il Ristabilito,
-mostrando il cofano delle confetture incantate. — Mo tu, già che ogge
-è la viggilie de Sant'Andonie e li cafune fanne feste, arhunisce tutte
-quante all'are per dajie a beve. Tu hi da tené na certe butticelle de
-Montepulciane. Mitte mane a quelle pe' ogge! E quande tutte stanne bene
-arhunite, penze i' a fa' e a dice tutte quelle che s'ha da fa' e s'ha
-da di'.
-
-
-IV.
-
-Dopo due ore, come il pomeriggio era tiepido e chiarissimamente sereno,
-avendo La Bravetta fatto correre la voce, se ne vennero all'invito i
-coltivatori e i massai dei dintorni. Nell'aia si levavano alti mucchi
-di paglia, che percossi dal sole ornavansi d'un glorioso colore d'oro;
-quivi una torma di oche andava schiamazzando, bianca, lenta, con
-larghi becchi aranciati, chiedendo di nuotare; gli odori dello stabbio
-giungevano ad intervalli. E tutti quelli uomini rusticani, aspettando
-di bere, motteggiavano, tranquilli, su le loro gambe in arco difformate
-dalle rudi fatiche: alcuni con volti rugosi e rossastri come vecchi
-pomi, con occhi resi miti dalla lunga pazienza o resi vivi dalla lunga
-malizia; altri con barbe nascenti, con attitudini di gioventù, con
-nelle vesti rinnovate una manifesta cura d'amore.
-
-Ciávola e il Ristabilito non si fecero molto attendere. Tenendo in
-una mano la scatola delle confetture, il Ristabilito ordinò che tutti
-si mettessero in cerchio; e, stando egli nel mezzo, fece una breve
-concione, non senza una certa gravità di voce e di gesti.
-
-— Bon'uómmene! — disse — nisciune de vu, certe, sa pecche propie Mastre
-Peppe De Siere v'ha chiamate a qua...
-
-Un moto di stupore, a questo strano preambolo, si propagò in tutte le
-bocche degli ascoltanti; e la letizia pe 'l promesso vino si mutò in
-una inquietudine di diversa espettazione. Continuava l'oratore:
-
-— Ma, seccome po' succéde caccosa bbrutte e vu ve putassáte lagnà de
-me, ve vojie dice de che se tratte, prima de fa' la spirienze.
-
-Gli ascoltanti si guardavano l'un l'altro negli occhi, con un'aria
-smarrita; e quindi rivolgevano lo sguardo curioso e incerto al
-cofanetto che l'oratore teneva in una mano. Un d'essi, poichè il
-Ristabilito faceva pausa per considerare l'effetto delle parole,
-esclamò impaziente:
-
-— Ebbè?
-
-— Mo, mo, bell'uómmene mi'. La notta passate s'hann'arrubbate a Mastre
-Peppe nu bbone porche che s'ave' da salà. Chi ha state lu latre, nen
-ze sa; ma cert'è ca s'ha da truvà miezze a vu' áutre, pecchè nisciune
-venéve dall'India bbasse p' arrubbarse lu porche a Mastre Peppe!
-
-Fosse un giocondo effetto di questo peregrino argomento dell'India o
-fosse l'azione del tiepido sole, La Bravetta cominciò a starnutire.
-I villici si fecero in dietro; la tribù delle oche si disperse,
-sbigottita; e sette starnutazioni consecutive risonarono liberamente
-nell'aria, turbando la pace rurale. L'ilarità risorse negli animi, a
-quel fragore. L'adunanza, dopo un poco, si ricompose. Il Ristabilito
-continuò, sempre grave:
-
-— Pe' scuprì lu latre Mastre Peppe ha pensate de darve a magnà certe
-bbone cunfette e de darve a bere nu certe Montepulciane viecchie che
-j'ha messe mane ogge apposte. Ma pirò v'ajie da dice na cose. Lu latre,
-appena se mette mmocche lu cunfette, se sente la vocche accuscì amare,
-accuscì amare c'ha da sputà pe' fforze. Vulete sprementà? O pure lu
-latre, pe' nen esse sbruvegnate, se vo' cunfessà a lu prévete? Bell'uó,
-arspunnéte!
-
-— Nu vuléme magna e beve — risposero quasi in coro gli adunati.
-E un movimento incerto corse fra quella gente semplice. Ognuno,
-guardando il compagno, aveva negli occhi una punta d'investigazione.
-Ognuno, naturalmente, poneva nel ridere una tal quale ostentazione di
-spontaneitá.
-
-Disse Ciávola:
-
-— V'avete da mette tutt'a ffile, pe' la sprïenze. Nisciune s'ha da puté
-nnascónne.
-
-Ed egli, quando tutti furono disposti, prese il fiasco e i bicchieri,
-apprestandosi a mescere. Il Ristabilito si fece dall'un de' capi, e
-cominciò a distribuire pianamente i confetti che sotto le gagliarde
-dentature dei villani scricchiolavano e sparivano in un attimo. Come
-egli giunse a Mastro Peppe, prese uno dei confetti canini e glielo
-porse; e seguitò oltre, senza nulla dare a divedere.
-
-Mastro Peppe, che fin allora era stato con i grandissimi occhi
-intenti a cogliere in fallo qualcuno, si gittò in bocca il confetto
-prestamente, quasi con cupidigia di goloso, e prese a masticare. D'un
-tratto i pomelli delle gote gli salirono vivamente verso gli occhi, gli
-angoli della bocca e le tempie gli si empirono di crespe, la pelle del
-naso gli si arricciò, il mento gli si torse un poco, tutti i lineamenti
-della sua faccia ebbero una comune mimica involontaria di orrore; e
-una specie di brivido visibile gli corse dalla nuca per le spalle. E
-subito, poichè la lingua non poteva sostenere l'amaro dell'áloe e una
-resistenza invincibile saliva dallo stomaco per la gola ad impedire
-l'inghiottimento, il malcapitato fu costretto a sputare.
-
-— Ohe, Mastre Pè, tu che ccazze fiè? — garrì Tulespre dei Passeri, un
-vecchio capraro verdastro e peloso come una tartaruga di palude.
-
-Si rivolse, a quella voce agra, il Ristabilito che non anche aveva
-terminato di distribuire. Però, vedendo La Bravetta tutto contorcersi,
-disse con suon di benevolenza:
-
-— Mbé, quelle forse ere troppe cotte. To'! Ecchene n'áutre. 'Nglutte,
-Peppe!
-
-E con due dita gli cacciò in bocca la seconda pillola canina.
-
-Il pover'uomo la prese; e, sentendo sopra di sè fissi gli occhi maligni
-e acuti del capraro, fece un supremo sforzo per sostener l'amarezza;
-non masticò, non inghiottì; stette con la lingua immobile contro i
-denti. Ma, come al calore dell'alito e all'umidore della saliva l'áloe
-si discioglieva, egli non poteva più reggere: le labbra gli si torsero
-come dianzi; il naso gli si empì di lacrime; e certe gocciole grosse
-gli cominciarono a sgorgare dal cavo degli occhi e a rimbalzar, come
-perle scaramazze, giù per le gote. Alfine, sputò.
-
-— Ohe, Mastre Pé, e mo che ccazze fiè? — garrì di nuovo il capraro,
-mostrando in un suo ghigno le gencive bianchicce e vacue. — Ohe, e
-queste mo che signifeche?
-
-Tutti i villici ruppero l'ordine, e attorniarono La Bravetta; alcuni
-con risa di beffa, altri con parole irose. Le ribellioni di orgoglio
-subitanee e brutali che ha l'onore della gente campestre, le severità
-implacabili della superstizione scoppiarono d'improvviso in una
-tempesta di contumelie.
-
-— Pecché ci si' fatte venì a qua? Pe' jettè la cólepe a une de nu
-'nghe 'na fatture fáuze? Pe' cujunà a nu? Pecché? Si' fatte male li
-cunde! Latre, bbuciarde, nasó, fijie de cane, fijie de puttane! A nu vu
-cujunà? Pezze de fesse! Latre! Nasó! Te vuleme rompe tutte li pignate
-'n cocce. Fijie de puttane! Sangue de Criste, tu!
-
-E si dispersero, dopo aver rotto il fiasco e i bicchieri, gridando le
-ultime ingiurie di tra i pioppi.
-
-Allora rimasero nell'aia Ciávola, il Ristabilito, le oche e La
-Bravetta. Questi, pieno di vergogna, di rabbia, di confusione, con il
-palato ancora morso dalla perversità dell'áloe, non poteva profferire
-parola. Il Ristabilito stette a considerarlo crudelmente, percotendo
-il terreno con la punta del piede poggiato in su' l tacco, scotendo
-per ironia il capo. Ciávola squittì, con un indescrivibile suon di
-dileggio:
-
-— Ah, ah, ah, ah! Brave! Brave La Bbravette! Dicce nu poche; quante ci
-si' fatte? Diece ducate?
-
-
-
-
-I MARENGHI.
-
-
-Passacantando entrò, sbattendo forte le vetrate malferme. Scosse
-rudemente dalle spalle le gocce di pioggia; poi si guardò in torno,
-togliendosi dalla bocca la pipa e lasciando andare contro il banco
-padronale un lungo getto di saliva, con un atto di noncuranza
-sprezzante.
-
-Nella taverna il fumo del tabacco faceva come una gran nebbia
-turchiniccia, di mezzo a cui si intravedevano le facce varie dei
-bevitori e delle male femmine. C'era Pachiò, il marinaro invalido,
-a cui una untuosa benda verde copriva l'occhio destro infermo d'una
-infermità ributtante. C'era Binchi-Banche, il servitore dei finanzieri,
-un omiciattolo dal viso giallognolo e rugoso come un limone senza
-succo, curvo nella schiena, con le magre gambe sprofondate negli
-stivali fino ai ginocchi. C'era Magnasangue, il mezzano dei soldati,
-l'amico degli attori comici, dei giocolieri, dei saltimbanchi, delle
-sonnambule, dei domatori d'orsi, di tutta la gentaglia famelica e
-girovaga che si ferma nel paese per carpire agli oziosi un quattrino. E
-c'erano le belle del Fiorentino: tre o quattro femmine affloscite nel
-vizio, con le guance tinte d'un color di mattone, gli occhi bestiali,
-la bocca flaccida e quasi paonazza come un fico troppo maturo.
-
-Passacantando attraversò la taverna e andò a sedersi su una panca, tra
-la Pica e Peppuccia, contro il muro segnato di figure e di scritture
-invereconde. Egli era un giovinastro lungo e smilzo, tutto dinoccolato,
-con una faccia pallidissima da cui sporgeva il naso grosso, rapace,
-piegato molto da una parte. Le orecchie gli si spandevano ai due
-lati come cartocci sinuosi, l'uno più grande dell'altro; le labbra,
-sporgenti, vermiglie, e d'una certa mollezza di forma, avevano sempre
-agli angoli alcune piccole bolle di saliva bianchicce. Un berretto che
-l'untuosità rendeva consistente e malleabile come la cera, gli copriva
-i capelli bene curati, di cui una ciocca foggiata ad uncino scendeva
-fin su la radice del naso ed un'altra arrotondavasi su la tempia. Una
-specie di oscenità e di lascivia naturale emanava da ogni attitudine,
-da ogni gesto, da ogni modulazion di voce, da ogni sguardo di costui.
-
-— Ohe, — gridò egli — l'Africana, una fujetta! — percotendo il tavolo
-con la pipa d'argilla che al colpo s'infranse.
-
-L'Africana, la padrona della taverna, si mosse dal banco verso il
-tavolo, barcollando per la sua corpulenza grave; e posò dinanzi a
-Passacantando il vaso di vetro colmo di vino. Ella guardava l'uomo con
-uno sguardo pieno di supplicazione amorosa.
-
-Passacantando d'un tratto, dinanzi a lei, cinse co 'l braccio il collo
-di Peppuccia costringendola a bere, e quindi attaccò la bocca a quella
-bocca che ancora teneva il sorso del vino e fece atto di suggere.
-Peppuccia rideva, schermendosi; e per le risa il vino mal tracannato
-spruzzava la faccia del provocatore.
-
-L'Africana divenne livida. Si ritrasse dietro il banco. Di mezzo al
-fumo denso del tabacco le giungevano gli schiamazzi e le mozze parole
-di Peppuccia e della Pica.
-
-Ma la vetrata si aprì. E comparve su la soglia il Fiorentino, tutto
-avvolto in un pastrano, come uno sbirro.
-
-— Ehi, ragazze! — fece con la voce rauca. — È ora.
-
-Peppuccia, la Pica, le altre si levarono di tra gli uomini che le
-perseguitavano con le mani e con le parole; se ne uscirono, dietro il
-loro padrone, mentre pioveva e tutto il Bagno era un lago melmoso.
-Pachiò, Magnasangue, gli altri anche se ne uscirono, a uno a uno.
-Binchi-Banche rimase disteso sotto una tavola, immerso nel torpore
-dell'ebrietà. Il fumo nella taverna a poco a poco vaniva verso l'alto.
-Una tortora spennacchiata andava qua e là beccando le briciole del
-pane.
-
-
-Allora, come Passacantando fece per alzarsi, l'Africana gli mosse
-in contro, lentamente, con la persona deforme atteggiata a una
-lusinghevole mollezza d'amore. Il gran seno le ondeggiava da una
-parte all'altra; ed una smorfia grottesca le rincrespava la faccia
-plenilunare. Su la faccia ella aveva due o tre piccoli ciuffi di peli
-crescenti dai nei; una lanugine densa le copriva il labbro superiore e
-le guance; i capelli corti, crespi e duri le formavano su 'l capo una
-specie di casco; le sopracciglia le si riunivano alla radice del naso
-camuso folte; cosicchè ella pareva non so qual mostruoso ermafrodito
-affetto di elefanzia o di idrope.
-
-Quando fu presso all'uomo, ella gli afferrò la mano per trattenerlo.
-
-— Oh, Giuvà!
-
-— Che volete?
-
-— I' che t'hajie fatte?
-
-— Voi? Niende.
-
-— E allora pecchè me dai pene e turmende?
-
-— Io? Me facce meravijia... Bona sere! Nen tenghe tembe da perde, mo.
-
-E l'uomo, con un moto brutale, fece per andarsene. Ma l'Africana gli si
-gettò alla persona, stringendogli le braccia, e mettendogli il volto
-contro il volto, ed opprimendolo con tutta la mole delle carni, per
-un impeto di passione e di gelosia così terribilmente incomposto che
-Passacantando ne rimase atterrito.
-
-— Che vuo'? Che vuo'? Dimmele! Che vuo'? Che te serve? Tutte te denghe;
-ma statte'nghe me, statte'nghe me. Nen me fa murì di passijone... nen
-me fa ì 'n pazzía... Che te serve? Viene! Píjiate tutte quelle che
-truove... — Ed ella lo trasse verso il banco; aprì il cassetto; gli
-offerse tutto, con un gesto solo.
-
-Nel cassetto, lucido di untume, erano sparse alcune monete di rame
-tra cui luccicavano tre o quattro piccole monete d'argento. Potevano
-essere, insieme, cinque lire.
-
-Passacantando, senza dir nulla, raccolse le monete e si mise a contarle
-su 'l banco, lentamente, tenendo la bocca atteggiata al dispregio.
-L'africana guardava ora le monete, ora la faccia dell'uomo, ansando
-come una bestia stracca. Si udiva il tintinno del rame, il russare
-aspro di Binchi-Banche, il saltellare della tortora, in mezzo al
-continuo rumore della pioggia e del fiume giù per il Bagno e per la
-Bandiera.
-
-— Nen m'abbaste — disse finalmente Passacantando. — Ce vo' l'autre.
-Cacce l'autre, se no i' me ne vajie.
-
-Egli s'era schiacciato il berretto su la nuca. Il ciuffo rotondo
-gli copriva la fronte, e sotto il ciuffo gli occhi bianchicci,
-pieni d'impudenza e d'avarizia, guardavano l'Africana intentamente,
-involgendo quella femmina in una specie di fascinazione malefica.
-
-— I' nen tenghe chiù niende. Tu mi siè spujate. Quelle che truove,
-píjiatele... — balbettava l'Africana, supplichevole, carezzevole,
-mentre la pappagorgia e le labbra le tremavano, e le lagrime le
-sgorgavano dagli occhietti porcini.
-
-— Mbé, — fece Passacantando, a voce bassa, chinandosi verso di lei —
-mbé, e t'acride che i' nen sacce che maritete tene li marenghe d'ore?
-
-— Oh, Giuvanne... E coma facce pover'ammè?
-
-— Tu, mo, súbbito, vall'a pijà. I' t'aspett'a qua. Maritete dorme.
-Quest'è lu momende. Va; se no nen m'arvide chiù, pe' Sant'Andonie.
-
-— Oh, Giuvanne... I' tenghe pahure.
-
-— Che pahure e nen pahure! — strillò Passacantando. — Mo ce venghe pure
-i'. 'Jame!
-
-L'Africana si mise a tremare. Indicò Binchi-Banche che stava ancora
-disteso sotto la tavola, nel sonno pesante.
-
-— Chiudème prime la porte — ella consigliò, con sommessione.
-Passacantando destò con un calcio Binchi-Banche, che per lo spavento
-improvviso cominciò a urlare e a dimenarsi entro i suoi stivali finchè
-non fu quasi trascinato fuori, nella mota e nelle pozzanghere. La porta
-si chiuse. La lanterna rossa, che stava appiccata ad una delle imposte,
-illuminò la taverna d'un rossore sudicio; gli archi massicci si
-disegnarono in ombra profonda; la scala nell'angolo divenne misteriosa;
-tutta l'architettura prese un'apparenza tetra.
-
-— 'Jame! — ripetè Passacantando all'Africana che ancora tremava.
-
-
-Ambedue salirono adagio per la scala di mattoni che sorgeva nell'angolo
-più oscuro, la femmina innanzi, l'uomo indietro. In cima alla scala
-era una stanza bassa, impalcata di travature. Sopra una parete era
-incrostata una madonna di maiolica azzurrognola; e davanti le ardeva
-in un bicchiere pieno d'acqua e d'olio un lume, per voto. Le altre
-pareti copriva, come una lebbra multicolore, una quantità d'imagini di
-carta in brandelli. L'odore della miseria, l'odore del calore umano nei
-cenci, empiva la stanza.
-
-I due ladri si avanzavano verso il letto cautamente.
-
-Stava su 'l letto maritale il vecchio, immerso nel sonno, respirante
-con una specie di sibilo fioco a traverso le gengive senza denti, a
-traverso il naso umido e dilatato dal tabacco. La testa calva posava di
-sbieco sopra un guanciale di cotone rigato; su la bocca cava, simile a
-un taglio fatto su una zucca infracidita, si rizzavano i baffi ispidi
-e ingialliti dal tabacco; e uno degli orecchi visibile rassomigliava
-all'orecchio rovesciato di un cane, essendo pieno di peli, coperto di
-bolle, lucido di cerume. Un braccio usciva fuori delle coperte, nudo,
-scarno, con grossi rilievi di vene simili alle gonfiezze delle varici.
-La mano adunca teneva un lembo del lenzuolo, per abitudine di prendere.
-
-Ora, questo vecchio ebete possedeva da tempo due marenghi avuti in
-lascito non si sa da qual parente usuraio; e li conservava con gelosa
-cura dentro una tabacchiera di corno in mezzo al tabacco, come alcuni
-fanno di certi insetti muschiati. Erano due marenghi gialli e lucenti;
-ed il vecchio vedendoli ad ogni momento e ad ogni momento palpandoli
-nel prendere tra l'indice e il pollice l'aroma, sentiva in sè crescere
-la passione dell'avarizia e la voluttà del possesso.
-
-L'Africana si accostò pianamente, trattenendo il respiro, mentre
-Passacantando la incitava con i gesti al furto. Si udì per le scale
-un rumore Ambedue ristettero. La tortora spennacchiata e zoppa entrò
-saltellando nella stanza; trovò il nido in una ciabatta, a piè del
-letto maritale. Ma come ancora, nell'accomodarsi, faceva strepito,
-l'uomo con un moto rapido la serrò nel pugno, con una stretta la
-soffocò.
-
-— Ci sta? — chiese all'Africana.
-
-— Sì, ci sta, sott'a lu cuscine... — rispose quella mentre insinuava
-sotto il guanciale la mano.
-
-Il vecchio, nel sonno, si mosse, mettendo un gemito involontario, ed
-apparve tra le sue palpebre un po' del bianco degli occhi. Poi ricadde
-nell'ottusità del sopore senile.
-
-L'Africana, per l'immensa paura, divenne audace; spinse la mano d'un
-tratto, afferrò la tabacchiera, e, con un moto di fuga, si rivolse
-verso le scale; discese seguita da Passacantando.
-
-— O Die! O Die! Vide che so fatte pe' te!... — balbettava,
-abbandonandosi addosso all'uomo.
-
-Ed ambedue si misero insieme, con le mani malferme, ad aprire la
-tabacchiera, a cercare fra il tabacco le monete d'oro. L'acuto aroma
-saliva loro per le narici; ed ambedue, come sentivano l'eccitazione
-a starnutire, furono invasi d'improvviso da un impeto d'ilarità. E,
-soffocando il rumore degli starnuti, barcollavano e si sospingevano.
-Al gioco, la lussuria nella pinguedine dell'Africana insorgeva. Ella
-amava d'essere amorosamente morsicata e bezzicata e sballottata e qua
-e là percossa da Passacantando; fremeva tutta e tutta si ribrezzava
-nella sua bestiale orridezza. Ma, a un punto, prima si udì un brontolio
-indistinto e poi gridi rauchi proruppero su nella stanza. E il vecchio
-comparve in cima alla scala, livido alla luce rossastra della lanterna,
-magro, scheletrito, con le gambe nude, con una camicia a brandelli.
-Guardava in giù la coppia ladra; ed agitando le braccia gridava come
-un'anima dannata:
-
-— Li marenghe! Li marenghe! Li marenghe!
-
-
-
-
-LA MADIA.
-
-
-A pena Luca udì il rumore delle grucce, spalancò gli occhi e li volse
-ardenti e torbidi verso la porta, aspettando che il fratello comparisse
-sul limitare. Tutta la faccia, estenuata dalla sofferenza, divorata
-dalla febbre, sparsa di bolle rossastre, gli prese d'improvviso un
-aspetto di durezza e quasi d'ira. Egli afferrò le mani della madre,
-convulsamente, gridando, con la voce rauca e rotta:
-
-— Caccialo! Caccialo! Non lo voglio vedere. Capisci? Non lo voglio
-vedere; mai più. Capisci?
-
-Le parole lo soffocarono. Egli stringeva forte le mani della madre,
-tossendo con grande affanno, mentre la camicia sul petto gli palpitava
-e gli s'apriva un poco ad ogni sforzo. Aveva la bocca gonfia; e
-pel mento le bolle riseccate gli formavano come una crosta che si
-screpolava e sanguinava ad ogni sforzo.
-
-La madre cercava di placarlo.
-
-— Sì, sì, figlio mio. Non lo vedrai più. Farò come tu vuoi. Lo caccerò,
-lo caccerò. Questa è la casa tua, figlio, tutta tua. Mi senti?
-
-Luca le tossiva sul volto.
-
-— Ora, ora, sùbito — egli diceva, con una persistenza feroce,
-sollevandosi di sul letto, spingendo la madre verso la porta.
-
-— Sì, figlio mio. Ora, sùbito.
-
-Ciro comparve al limitare, reggendosi su le grucce. Egli era
-mingherlino, con una grossa testa pesante. I capelli erano così biondi
-che quasi parevan bianchi. Gli occhi eran dolci come quelli d'un
-agnello, azzurri fra le lunghe ciglia chiare.
-
-Entrando, non disse nulla; poichè era muto per una paralisia. Ma vide
-gli occhi dell'infermo, che lo guardavano intenti e crudeli; e si
-fermò nel mezzo della stanza, appoggiato alle grucce, irresoluto, non
-osando avanzare. La gamba destra, torta e raccorciata, aveva un piccolo
-tremito visibile.
-
-Luca disse alla madre:
-
-— Che viene a fare, questo stroppiato? Caccialo via! Voglio che tu lo
-cacci via. Capisci? Sùbito.
-
-Ciro intese, e guardò la matrigna che già era per levarsi. La guardò
-con occhi tanto supplichevoli, ch'ella non ebbe cuore di fargli
-violenza. Poi, tenendo sotto l'ascella una gruccia, con la mano libera
-fece un gesto disperato. E gittò uno sguardo vorace alla madia ch'era
-in un canto. Voleva dire:
-
-— Ho fame.
-
-— No, no; non gli dar niente — si mise a gridare Luca, agitandosi tutto
-sul letto, imponendo alla donna il suo capriccio malvagio. — Niente!
-Mandalo via.
-
-Ciro aveva chinato sul petto la grossa testa, tremando, con gli occhi
-pieni di lacrime. Quando la matrigna gli mise una mano su la spalla
-e lo spinse verso l'uscio, egli ruppe in singhiozzi; ma si lasciò
-condurre. Poi sentì chiuder l'uscio; e rimase sul pianerottolo, a
-singhiozzare. Singhiozzava forte e costante.
-
-Disse Luca alla madre, con un atto iroso:
-
-— Lo senti? Fa apposta, per farmi venir male.
-
-Il singhiozzo del fratello seguitava, interrotto qualche volta da un
-mugolìo singolare, accorante come il rantolo d'un giumento che sia per
-morire.
-
-— Ma lo senti? Va. Gettalo per le scale!
-
-La donna sorse con impeto; corse all'uscio, e levò sul muto le mani
-dure, avvezze a percuotere e ad incrudelire.
-
-Luca, sollevato in su' gomiti, ascoltava i colpi, dicendo:
-
-— Ancóra! ancóra!
-
-Sotto le percosse, Ciro tacque. Trattenendo il pianto, discese nella
-strada. Egli era famelico; non mangiava da quasi due giorni. A pena
-aveva la forza di trascinar le grucce.
-
-Passò in corsa una schiera di monelli, dietro il volo d'un aquilone che
-prendeva vento beccheggiando. Taluni gli diedero un urto, gridandogli:
-
-— Ehi, lo stroppiatino!
-
-Altri lo beffarono, gridandogli:
-
-— Vieni, bàrbero, alla carriera!
-
-Altri, alludendo alla sua gran testa, gli chiesero per dileggio:
-
-— Quanto la libbra il cervello, stroppiatino?
-
-Uno tra questi, più disumano, gli fece cadere una gruccia; e si mise
-a fuggire. Il muto barcollò; poi la raccolse a fatica, e si mosse. Gli
-strilli e le risa dei monelli si dileguavano verso il fiume. L'aquilone
-s'inalzava, come un uccello di paesi strani, in un cielo tutto rosato e
-soave.
-
-Compagnie di soldati cantavano in coro, lungo il Bagno. Era la bella
-stagione, sotto la festa di Pasqua.
-
-Ciro, sentendosi mordere le viscere dalla fame, pensò:
-
-— Ora chiedo l'elemosina.
-
-Dal forno veniva col vento primaverile la fragranza del pane recente.
-Passò un uomo vestito di bianco, portando in testa una lunga tavola su
-cui giacevano in ordine molti pani color d'oro, che ancora fumavano.
-Due cani lo seguivano, con il muso all'aria, dimenando la coda.
-
-Ciro si sentì quasi venir meno, di languore. Pensava:
-
-— Ora chiedo l'elemosina; se no, muoio.
-
-Il giorno cadeva lentamente. Il cielo diafano era tutto sparso
-d'aquiloni che si ritraevano verso terra ondeggiando. Le campane
-propagavano nell'aria sonora un rombo continuo e profondo.
-
-Ciro pensò:
-
-— Ora mi metto alla porta della chiesa.
-
-E si trascinò verso quel luogo.
-
-La chiesa in fatti era aperta. Si vedeva in fondo l'altare illuminato
-di fiammelle tremolanti, come una costellazione. Usciva fuori l'aroma
-dell'incenso e del belzuino, svanito. Di tanto in tanto, l'organo
-gittava un gran fascio di suoni.
-
-Ciro, d'improvviso, sentì velarsi gli occhi da nuove lacrime. Egli
-pregò nel suo cuor religioso:
-
-— O Signore, Dio mio, aiutami tu!
-
-L'organo mise un tuono che fece vibrare i pilastri come stromenti; poi
-si rallegrò di note chiare. Sorsero le voci dei cantori. E i devoti
-e le devote entravano, a due, a tre, per la porta unica. Ciro non
-osava ancora tendere la mano. Un mendicante, poco discosto, chiese
-lamentevole:
-
-— La carità, per l'amore di Dio!
-
-Allora il muto ebbe onta. Vide entrare nella chiesa la matrigna, tutta
-raccolta sotto la mantatura nera. Pensò:
-
-— Se andassi a casa, mentre la matrigna è fuori?
-
-La bramosia del cibo lo punse così forte, che egli non indugiò
-più oltre. Volava su le grucce, dietro la speranza del pane. Una
-femminetta, al passaggio, gli gridò ridendo: — Corri il palio,
-stroppiatino?
-
-Egli giunse alla casa, in un baleno, ansando e palpitando. Salì le
-scale con cautela infinita, senza rumore. Cercò la chiave a tentoni,
-in una cavità del muro, dove soleva metterla la matrigna uscendo. La
-trovò; e prima d'aprire guardò pel buco della serratura. Luca, sul
-letto, pareva sopito.
-
-Ciro pensò:
-
-— Se potessi prendere il pane senza svegliarlo!
-
-E girò la chiave, piano piano, trattenendo il respiro, temendo di
-svegliare il fratello con palpiti del cuore. Pareva che quei palpiti
-empissero tutta la casa, come d'un fragore altissimo.
-
-— E se si sveglia? — pensò Ciro con un brivido nelle midolle, quando
-sentì che la porta era aperta.
-
-Ma la fame lo rendeva audace. Egli entrò, puntando le grucce
-delicatamente, non togliendo mai gli occhi di sul fratello.
-
-— E se si sveglia?
-
-Il fratello, supino, respirava con affanno in quel sopore. Di tratto in
-tratto gli usciva dalle labbra quasi un fischio lieve. Una sola candela
-ardeva su la tavola, gittando alla parete larghe ombre variabili.
-
-Ciro, come fu presso alla madia, s'arrestò per vincere il tremore;
-guardò il dormiente; poi, reggendo ambo le grucce con l'ascelle, si
-mise a sollevare il coperchio. La madia scricchiolava forte.
-
-D'improvviso Luca diede un balzo, svegliandosi. Vide il fratello in
-quell'atto, e cominciò a gridargli contro, agitando le braccia, come un
-ossesso:
-
-— Ah, ladro! Ah, ladro! Aiuto!
-
-Ma il furore lo soffocava. Mentre il fratello, accecato dalla fame,
-chino su la madia, cercava con le mani tremanti un pezzo di pane, egli
-si gettò giù dal letto e gli corse sopra a impedirgli di prendere.
-
-— Ladro! Ladro! — gridava, fuori di sè.
-
-Fuori di sè, trasse il coperchio pesante sul collo di Ciro; che s'agitò
-come una vittima alla tagliuola, disperatamente. Resisteva Luca contro
-quelli sforzi, avendo perduto ogni coscienza della cosa, premendo con
-tutta la sua persona, quasi per decapitare il fratello. Il coperchio
-scricchiolava, penetrando nella viva carne della nuca, schiacciando le
-canne della gola, pestando le vene e i nervi. Penzolò dalla madia un
-corpo inerte, che più non dava alcun tratto. Allora, in conspetto dello
-storpio trucidato, uno sbigottimento pazzo invase l'animo del fratello.
-
-Due o tre volte, barcollando, egli attraversò la stanza che i guizzi
-della candela empivano di paure; mise le mani su le coperte, le tirò a
-sè, ci si avvoltolò tutto, coprendosi anche la testa; poi si accovacciò
-sotto il letto. E nel silenzio i suoi denti stridevano, come fa una
-lima sul ferro.
-
-
-
-
-MUNGIÀ.
-
-
-In tutto il contado pescarese, e a San Silvestro, a Fontanella, a San
-Rocco, perfino a Spoltore e nelle fattorie di Vallelonga oltre l'Alento
-e più specialmente nei piccoli borghi dei marinai presso la foce del
-fiume e in tutte quelle case di creta e di canne, dove si accende il
-fuoco con i rifiuti del mare, fiorisce da gran tempo la fama di un
-rapsodo cattolico che ha un nome di corsale barbaresco ed è cieco a
-simiglianza dell'antico Omero.
-
-Mungià comincia le sue peregrinazioni su i principii della primavera
-e le termina nel mese di ottobre, ai primi rigori. Va per le campagne,
-guidato da una femmina o da un fanciullo. Tra la grandezza e la forte
-serenità della coltivazione, reca ora i lamentevoli canti cristiani le
-antifone, gli invitatorii, i responsorii, i salmi dell'officio per i
-defunti. Come la sua figura a tutti è familiare, i cani dell'aia non
-latrano contro di lui. Egli dà l'annunzio con un trillo del clarinetto;
-ed al segnale ben noto le vecchie madri escono in su la soglia,
-accolgono onestamente il cantore, gli pongono una sedia all'ombra di
-qualche albero, gli chiedono le nuove della salute. Tutti i coloni
-cessano dal lavoro e si dispongono in cerchia, ancora alenanti,
-tergendosi il sudore con un gesto semplice della mano. Rimangono fermi,
-in attitudini di reverenza, tenendo gli strumenti dell'agricoltura.
-Nelle braccia, nelle gambe, nei piedi ignudi essi hanno la deformità
-che le fatiche lente e pazienti danno alle membra esercitate. I loro
-corpi nodosi, la cui pelle assume il color delle glebe, sorgendo dal
-suolo nella luce del giorno paiono quasi avere comuni con gli alberi le
-radici.
-
-Spandesi allora dall'uomo cieco su quella gente e su le cose in torno
-una solennità cristiana. Non il sole, non i presenti frutti della
-terra, non la letizia dell'opera alimentaria, non le canzoni dei
-cori lontani bastano a difendere gli animi dal raccoglimento e dalla
-tristezza della religione. Una delle madri indica il nome del parente
-morto a cui ella offre i cantici in suffragio. Mungià si scopre il
-capo.
-
-Appare il suo cranio largo e splendente, cinto di canizie; e tutta la
-faccia, simigliante nella quiete a una maschera corrosa, si raggrinza
-e vive nel movimento del prendere a bocca il clarinetto. Su le tempie,
-sotto la cavità degli occhi, lungo gli orecchi, e poi d'in torno alle
-narici e agli angoli delle labbra mille grinze sottili e fitte si
-compongono e si scompongono a seconda dell'inspirazione ritmica del
-fiato nello stromento. Rimangono tesi e lucidi e salienti gli zigomi,
-solcati da venature sanguigne simili a quelle che traspariscono in
-autunno nelle foglie della vite. E degli occhi, in fondo alle orbite,
-non si vede se non il segno rossiccio della palpebra inferiore rivolta.
-E su tutte le scabrosità della pelle, su tutta quella meravigliosa
-opera d'incisione e di rilievo fatta dalla magrezza e dalla vecchiezza,
-e di tra i peli duri e corti d'una barba mal rasa, e nei cavi e nelle
-corde del collo lungo e rigido la luce si frange, sfugge, si divide
-quasi direi per stille, come una rugiada su una zucca piena di porri e
-di muffe, gioca in mille maniere, vibra, si spenge, esita, dà talvolta
-a quella umile testa inaspettate arie di nobiltà e di mistero.
-
-Dal clarino di bossolo, a seconda dei movimenti delle dita su le
-chiavette malferme, escono suoni. Lo stromento ha in sè quasi direi una
-vita e quella inesprimibile apparenza di umanità che acquistano le cose
-per l'assiduo uso in servigio dell'uomo. Il bossolo ha una lucentezza
-untuosa; i buchi, che nei mesi d'inverno divengono nidi di piccoli
-ragni, sono ancora occupati dalle tele o dalla polvere; le chiavette,
-lente, sono macchiate di verderame; e qua e là la cera vergine e la
-pece chiudono i guasti; e la carta e il filo stringono le commessure; e
-ancora si veggono in torno all'orlo gli ornamenti della gioventù. Ma la
-voce è debole e incerta. Le dita del cieco si muovono macchinalmente,
-poichè non fanno se non ricercare quel preludio e quell'interludio da
-gran tempo.
-
-Le mani lunghe, deformate, con grossi nodi alla prima falange
-dell'anulare e del medio, con l'unghia del pollice depressa e violetta,
-somigliano le mani d'una scimmia decrepita; hanno su 'l dorso le
-tinte di certi frutti malsani, un misto di roseo, di giallognolo e di
-turchiniccio; su la palma hanno una laboriosa rete di solchi, e tra
-dito e dito la pelle escoriata.
-
-Come il preludio finisce, Mungià prende a cantare il _Libera me
-Domine_, e il _Ne recorderis_, lentamente, su una modulazione di cinque
-sole note. Nel canto, le terminazioni latine si congiungono alle forme
-dell'idioma natale; di tratto in tratto, quasi con un ritorno metrico,
-passa un avverbio in _ente_ seguito da molte gravi rime; e la voce ha
-una momentanea elevazion di tono; poi l'onda si riabbassa e segue a
-battere le linee men faticose. Il nome di Gesù ricorre spesso nella
-rapsodia; e la passione di Gesù è tutta narrata in strofe irregolari di
-settenarii e di quinarii, non senza un certo movimento dramatico.
-
-I coloni in torno ascoltano con animo devoto, guardando il cantore
-nella bocca. Viene talvolta dai campi su 'l vento un coro di
-vendemmiatrici o di mietitori, secondo la stagione, a contendere con
-la pia laude; e l'albero al vento si fa tutto musicale. Mungià, che
-ha fioco l'udito, continua a cantare i misteri della morte. Le labbra
-gli stanno aderenti alle gencive deserte, e gli comincia a colar giù
-pe 'l mento la saliva. Egli imbocca il clarinetto, suona l'intermezzo;
-poi riprende le strofe. Così va sino alla fine. Sua ricompensa è una
-piccola misura di frumento, o una caraffa di mosto, o una resta di
-cipolle, o anche una gallina.
-
-Egli s'alza dalla sedia. Ha una figura alta e macilenta, la schiena
-curva, i ginocchi volti un poco in dentro. Porta in capo una grande
-berretta verde e, in ogni stagione, su le spalle un mantello chiuso
-alla gola da due fermagli di ottone e cadente a mezza coscia. Cammina a
-fatica, talvolta soffermandosi per tossire.
-
-
-Quando, nell'ottobre, le vigne sono vendemmiate e le strade sono
-piene di fango o di ghiaia, egli si ritira in una soffitta; e là vive
-insieme con un sartore che ha la moglie paralitica e con uno spazzino
-che ha nove figliuoli afflitti dalla scrofola o dalla rachitide. Nei
-giorni sereni, egli si fa condurre sotto l'arco di Portanova; siede
-al sole, sopra un macigno, e si mette a cantare il _De profundis_,
-sommessamente, per esercizio della gola. Quasi sempre i mendicanti
-allora gli fanno cerchia. Uomini con le membra slogate, gobbi,
-storpi, epilettici, lebbrosi; vecchie piene di piaghe, o di croste,
-o di cicatrici, senza denti, senza cigli, senza capelli; fanciulli
-verdognoli come locuste, scarni, con gli occhi selvaggi degli uccelli
-di rapina, con la bocca già appassita, taciturni, che covano nel
-sangue un morbo ereditato; tutti quei mostri della povertà, tutti quei
-miserevoli avanzi d'una razza disfatta, quelle cenciose creature di
-Gesù, vengono a fermarsi in torno al cantore e gli parlano come a un
-eguale.
-
-Allora Mungià solleva la voce per benignità verso gli ascoltanti.
-Giunge, trascinandosi a fatica per terra con l'aiuto delle palme
-munite d'un disco di cuoio, Chiachiù, il nativo di Silvi; e si ferma,
-tenendosi tra le mani il piede destro ritorto come una radice. Giunge
-la Strigia, una figura ambigua, repugnante, di ermafrodito senile, che
-ha il collo pieno di foruncoli vermigli, su le tempie alcuni riccioli
-grigi di cui ella par vana, e tutto l'occipite coperto di peluria come
-quello degli avvoltoi. Giungono i Mammalucchi, i tre fratelli idioti
-che paiono essere nati dall'accoppiamento di un uomo con una pecora,
-così manifeste ne' loro volti sono le fattezze ovine. Il maggiore ha
-i bulbi visivi sgorganti fuor delle orbite, degenerati, molli, d'un
-colore azzurrognolo, simili al sacco ovale di un polpo che sia prossimo
-a putrefarsi. Il minore ha il lobo di un'orecchia smisuratamente
-gonfio, e paonazzo, simile a un fico. Tutti e tre vanno in comune, con
-le bisacce di corda dietro la schiena.
-
-Giunge l'Ossesso, un uomo scarno e serpentino, dalle palpebre
-arrovesciate come quelle dei piloti che navigano per mari ventosi,
-olivastro nella faccia, camuso, con un singolare aspetto di malizia
-e di fraudolenza palesante in lui l'origine zingaresca. Giunge la
-Catalana di Gissi, una femmina d'età incognita, con lunghi cernecchi
-rossicci, con su la pelle della fronte alcune macchie simili quasi
-a monete di rame, sfiancata come una cagna dopo il parto: la Venere
-dei mendicanti, l'amorosa fonte a cui va a dissetarsi chi patisce
-la sete. E giunge Jacobbe di Campli, il grande vecchio dal pelame
-verdastro come quello di certi artefici che lavorano l'ottone. Giunge
-l'industre Gargalà su 'l veicolo costrutto con rottami di barche
-ancora incatramati. Giunge Costantino di Corrópoli, il cinico, che,
-per una crescenza del labbro inferiore, pare tenga sempre fra i denti
-uno straccio di carne cruda. Altri giungono. Tutti gli iloti che
-hanno emigrato lungo il corso del fiume, dagli altipiani al mare, si
-raccolgono in torno al rapsodo, sotto il comun sole.
-
-Mungià canta allora con una varia ricerca di modi, tentando altitudini
-insolite. Una specie di orgoglio, un'aura di gloria gli invade l'animo,
-poichè egli allora esercita l'arte liberalmente, senza prender mercede.
-Sale dalla turba dei mendicanti, a tratti, un clamore di plauso ch'egli
-a pena ode.
-
-Al termine del canto, come il dolcissimo sole abbandonando quel luogo
-ascende su per le colonne corintie dell'Arco, i mendicanti salutano il
-cieco e si sbandano per le terre vicine. Rimangono, per consuetudine,
-Chiachiù di Silvi, con il piede ritorto fra le mani, e i fratelli
-Mammalucchi. Costoro chiedono ad alta voce l'elemosina a chi passa;
-mentre Mungià taciturno forse ripensa i trionfi della giovinezza,
-quando Lucicappelle, il Golpo di Càsoli e Quattòrece erano vivi.
-
-
-Oh gloriosa _paranzella_ di Mungià!
-
-La piccola orchestra aveva conquistata, in quasi tutta la valle
-inferiore della Pescara, una inclita fama.
-
-Sonava la viola ad arco il Golpo di Càsoli, un omuncolo tutto
-grigiastro come le lucertole dei tetti, con la pelle del volto e del
-collo tutta rugosa e membranosa come i tegumenti d'una testuggine cotta
-nell'acqua. Egli portava una specie di berretto frigio che per due
-ali aderiva agli orecchi; giocava d'arco con gesti rapidi, premendo su
-'l piè della viola il mento aguzzo, martellando le corde con le dita
-contratte, ostentando un visibile sforzo nell'azione del sonare, come
-fanno i macacchi dei saltimbanchi nòmadi.
-
-Dopo di lui, Quattòrece veniva co 'l violone appeso in su 'l ventre per
-mezzo d'una correggia di pelle d'asino. Lungo e smilzo come una candela
-di cera, Quattòrece aveva in tutta la persona un singolar predominio
-dei colori aranciati. Pareva una di quelle figure monocromatiche
-dipinte, su certi rustici vasi castellesi, in attitudini rigide.
-Ne' suoi occhi, come in quelli dei cani da pastore, brillava una
-trasparenza tra castanea ed aurea; la cartilagine delle sue grandi
-orecchie, aperte come quelle dei pipistrelli, contro la luce tingevasi
-d'un giallo roseo; le sue vesti erano di quel panno color tabacco
-chiaro, che per solito adoperano i cacciatori; e il vecchio violone,
-ornato di penne, di fili d'argento, di fiocchi, d'imaginette, di
-medaglie, di conterie, aveva l'aspetto di non so quale artifizioso
-stromento barbarico d'onde dovessero escire novissimi suoni.
-
-Ma Lucicappelle, tenendo a traverso il petto la sua immane chitarra a
-due corde accordate in diapente, veniva ultimo con un passo di danza
-e di baldanza, come un Figaro rusticale. Egli era il giocondo spirito
-della _paranzella_, il più verde d'anni e di forze, il più mobile, il
-più arguto. Un gran ciuffo di capelli crespi gli sporgeva su la fronte,
-di sotto a una specie di tòcco scarlatto; gli brillavano agli orecchi
-feminilmente due cerchi d'argento: le linee della sua faccia formavano
-un natural componimento di riso. Egli amava il vino, i brindisi in
-musica, le serenate in onor della bellezza, le danze all'aperto, i
-conviti larghi e clamorosi.
-
-Ovunque si celebrasse uno sposalizio, un battesimo, una festa votiva,
-un funerale, un triduo, correva la _paranzella_ di Mungià, desiderata,
-acclamata. Precedeva i cortei nuziali, per le vie tutte sparse di fiori
-di giunco e d'erbe odorifere, tra le salve di gioia e le salutazioni.
-Cinque mule inghirlandate recavano i doni. Un carro, tratto da due
-paia di bovi con le corna avvolte di nastri e con i dorsi coperti
-di gualdrappe, recava _la soma_. Le caldaie, le conche, i vasellami
-di rame tintinnivano agli scotimenti dell'incedere; gli scanni, le
-tavole, le arche, tutte quelle rudi forme antiche delle suppellettili
-casalinghe, oscillavano scricchiolando; le coperte di damasco, le gonne
-ricche di fiorami, i busti trapunti, i grembiali di seta, tutte quelle
-fogge di vestimenta muliebri risplendevano al sole in un miscuglio
-di gaiezza; e una conocchia, simbolo delle virtù familiari, eretta su
-'l culmine, carica di lino, pareva contra il cielo azzurro una mazza
-d'oro.
-
-Le donne della parentela, con su 'l capo un canestro di grano e su 'l
-grano un pane e su 'l pane un fiore, si avanzavano per ordine, tutte in
-una stessa attitudine semplice e quasi jeratica, simili alle canèfore
-dei bassirilievi ateniesi, cantando. Come giungevano alla casa, presso
-il talamo, si toglievano il canestro dal capo, prendevano un pugno
-di grano e, a una a una, lo spargevano su la sposa, pronunziando una
-formola d'augurio rituale in cui la fecondità e l'abbondanza erano
-invocate. Anche la madre compiva la cerimonia frumentaria, fra molte
-lacrime; e con un panello toccava alla figlia il petto, la fronte, le
-spalle, dicendole parole di dolente amore.
-
-Poi, nella corte, sotto un'ampia stuoia di canne o sotto un tetto di
-rami, incominciava il convito. Mungià, a cui non anche la virtù visiva
-era venuta meno nè eran sopraggiunti i mali della vecchiezza, diritto
-nella magnificenza di una zimarra verde, e tutto sudante e fiammante e
-soffiante entro il clarinetto la maggior forza dei pulmoni, incitava
-i compagni con battere di piedi su 'l terreno. Il Golpo di Càsoli
-fustigava la viola irosamente; Quattòrece con fatica teneva dietro
-alla crescente furia della moresca, sentendosi aspri traverso il
-ventre passar gli stridori dell'arco e delle corde. Lucicappelle, erto
-la testa in aria, stringendo con la sinistra in alto le chiavi della
-chitarra e con la destra pizzicando le due forti corde metalliche,
-sogguardava le femmine che ridevano luminose al fondo in tra la letizia
-delle fioriture.
-
-Allora il _Mastro delle cerimonie_ recava le vivande in amplissimi
-piatti dipinti; i vapori salivano come una nebbia disperdendosi nel
-fogliame; i vasi del vino, dalle anse bene usate, passavano d'uomo
-in uomo; le braccia allungandosi e intrecciandosi su la mensa, tra
-i pani cosparsi d'anice e i formaggi più tondi che il disco della
-luna, prendevano aranci, mandorle, olive; gli odori delle spezie si
-mescevano ai freschi effluvi vegetali; e di qua, di là, entro bicchieri
-di liquori limpidi i commensali offerivano alla sposa piccoli gioielli
-o collane dai grossi acini avvolte come grappoli d'oro. Su 'l finire,
-negli animi una gran gioia bacchica si accendeva; i clamori crescevano;
-fin che Mungià, avanzandosi, a capo scoperto, con in mano un bicchiere
-colmo, cantava il bel distico rituale che nei conviti della terra
-d'Abruzzi suol dischiudere ai brindisi le bocche amiche:
-
- Quistu vino é dòlige e galante;
- A la saluta de tutti quante!
-
-
-
-
-LA GUERRA DEL PONTE.
-
-FRAMMENTO DI CRONACA PESCARESE.
-
-
- . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
-
-Verso gli idi d'agosto (per tutte le campagne il grano lavato
-si asciugava felicemente al sole), Antonio Mengarino, un vecchio
-agricoltore pieno di probità e di saggezza, stando nel Consiglio del
-Comune a giudicare su le cose pubbliche, come udì taluni consiglieri
-cittadini discorrere a voce bassa del _cholèra_ che in qualche
-provincia d'Italia andavasi ampliando e udì altri proporre ordini a
-conservazion della salute ed altri esporre timori, si fece innanzi con
-un'aria tra di incredulità e di curiosità ad ascoltare.
-
-Erano con lui nel Consiglio, agricoltori, Giulio Citrullo della pianura
-e Achille di Russo dei colli; e il vecchio, mentre ascoltava, volgevasi
-di tratto in tratto a quei due con cenni delle palpebre e delle labbra
-come per avvertirli dell'inganno ch'egli credeva si celasse nelle
-parole dei consiglieri signori e del sindaco.
-
-Finalmente, non più potendo trattenersi, disse, con la sicurtà di un
-uomo che sa e vede molto:
-
-— Mbé, leváme ssti chiacchiere in tra di nu áutre. Le vuleme fa' veni
-nu poche de culere, u ne le vuleme fa' veni? Dicémecele 'n segrete, mo.
-
-A queste inaspettate parole, tutti i consiglieri furono da prima presi
-dalla meraviglia, e quindi dal riso.
-
-— Vatténne, Mengarì! Che ti mitte a dice, sangue de Crimie! — esclamò
-don Aiace, il grande assessore, spingendo con la mano una spalla del
-vecchio. E gli altri, scotendo il capo o battendo il pugno in sul
-tavolo sindacale, commentavano la pertinace ignoranza dei cafoni.
-
-— Mbè, ma ve pare mo ca nu credeme a ssi chiacchiera quisse? —
-fece Antonio Mengarino, con un gesto vivo, poichè sentivasi punto
-dall'ilarità che le sue parole avevano suscitata. Nell'animo di lui
-e in quello degli altri due agricoltori la diffidenza e la nativa
-ostilità contro _la signoria_ insorgevano. — Dunque essi erano esclusi
-dai segreti del Consiglio? Dunque ancora erano considerati come cafoni?
-Ah, brutte cose, per la Majella!...
-
-— Facéte vu. Nu ce ne jame — concluse il vecchio, acre, coprendosi
-il capo. E i tre villici uscirono dalla sala, con un passo pieno di
-dignità, in silenzio.
-
-Come furono fuori del paese nella campagna opulenta di vigne e di
-gran ciciliano, Giulio Citrullo, soffermatosi per accendere la pipa,
-sentenziò:
-
-— Ocche bádene a isse! Ca ssta vote sa coma va sgrizzenne li cocce, pe'
-la Majelle!... I nin vulesse esse' lu sìnnache.
-
-
-Intanto nel territorio contadino il timore del morbo imminente
-sconvolgeva tutti gli animi. In torno agli alberi fruttiferi, in torno
-alle viti, in torno alle cisterne, in torno ai pozzi, gli agricoltori
-vigilavano, sospettosi e minacciosi, con una costanza instancabile.
-Nella notte colpi di fucile frequenti turbavano il silenzio; i cani,
-aizzati, latravano fino all'alba. Le imprecazioni contro i Governanti
-scoppiavano di giorno in giorno con maggior violenza d'ira. Tutte
-le pacifiche ed auguste fatiche agresti erano intraprese con una
-sorta d'incuria e d'insofferenza. Sorgevano dai campi le canzoni di
-ribellione rimate all'improvviso.
-
-Poi, i vecchi rinnovavano i ricordi delle passate mortalità,
-confermando la credenza nei veleni. Un giorno, nel 54, alcuni
-vendemmiatori di Fontanella, avendo colto un uomo in cima a un albero
-di fico e avendolo costretto a discendere, videro che questi nascondeva
-una fiala piena di un unguento gialliccio. Con minacce essi gli fecero
-inghiottire tutto l'unguento; e d'un tratto l'uomo (ch'era uno dei
-Paduani) stramazzò, torcendo le membra su le zolle, livido, con gli
-occhi fissi, con il collo teso, con ai denti una schiuma verde. A
-Spoltore, nel 37, Zinicche, un fabbro, uccise in mezzo alla piazza il
-cancelliere Don Antonio Rapino; e le morti cessarono subitamente, il
-paese fu salvo.
-
-Poi, a poco a poco, le leggende si formavano e di bocca in bocca
-variavano, e, se bene recenti, divenivano meravigliose. Una diceva che
-al Palazzo del Comune erano giunte sette casse di veleno distribuito
-dai _Governanti_ perchè fosse sparso nelle campagne e mescolato nel
-sale. Le casse erano verdi, cerchiate di ferro, con tre serrature. Il
-sindaco aveva dovuto pagare settemila ducati per sotterrar le casse e
-liberare il paese. Un'altra voce recava che al sindaco i _Governanti_
-davano cinque ducati per ogni morto. La popolazione era troppo grande:
-toccava ai poveri morire. Il sindaco stava facendo le liste. Ah, si
-arricchiva, il _figlio di Sciore_, questa volta!
-
-
-Così il fermento cresceva. Gli agricoltori al mercato di Pescara nulla
-compravano, nè portavano mercanzia in traffico. I fichi dagli alberi,
-giunti a maturità, cadevano e si corrompevano su 'l suolo. I grappoli
-rimanevano intatti fra i pampini. I ladroneggi notturni più non
-seguivano, poichè i ladri temevano di cogliere frutti attossicati. Il
-sale, l'unica merce presa nelle botteghe della città, era prima offerto
-ai cani e ai gatti, per esperimento.
-
-Giunse quindi un giorno la novella che a Napoli i cristiani morivano
-in gran numero. E al nome di Napoli, di quel gran reame lontano
-dove _Ggiuanne senza pahure_ un dì trovò fortuna, le imaginazioni si
-accendevano.
-
-Sopravvennero le vendemmie. Ma, come i mercanti di Lombardia compravano
-le uve nostrali e le portavano nei paesi del settentrione per trarne
-vini artifiziosi, la letizia del rinato mosto fu scarsa e poco le
-gambe dei vendemmiatori si esercitarono a danzare nel tino e poco si
-esercitarono al canto le bocche feminili.
-
-Ma, quando tutte le opere della raccolta furono terminate e tutti gli
-alberi furono spogliati dei loro frutti, cominciarono i timori e i
-sospetti a dileguarsi; poichè oramai eran diminuite pe' i Governanti le
-opportunità di spargere il veleno.
-
-Grandi piogge beneficatrici caddero su le campagne. Il terreno ora,
-nutrito d'acqua, andavasi temperando pe 'l lavoro dell'aratro e per la
-seminagione, co 'l favore dei dolci soli autunnali; e la luna nel primo
-quarto influiva su la virtù dei semi.
-
-
-Una mattina, per tutto il territorio si sparse d'improvviso la voce
-che a Villareale, presso le querci di Don Settimio, su la riva destra
-del fiume, tre femmine erano morte dopo aver mangiato in comune una
-minestra di pasta comprata nella città. L'indignazione irruppe da
-tutti gli animi; e con maggior veemenza, poichè tutti oramai s'erano
-pacificati in una securtá fiduciosa.
-
-— Ah, va bbone; lu fije de Sciore nen ci ha vulute arnunzià a lì
-ducate... Ma a nu nen ce po fa' niente mo, pecché frutte nen ce ne sta,
-e a Piscare nen ci jeme.
-
-— Lu fije de Sciore joca na mala carte.
-
-— A nu ce vo fa' murì? Mbé, esse ha sbajate lu tembe, povere
-Sciurione...
-
-— Addó le po mette la pruvelette? A la paste, a lu sale... Ma la paste
-nu ne la magneme; e lu sale le deme prime a pruvà a li hatte e a li
-cane.
-
-— Ah, Signure birbune! Ch'aveme fatte nu, puveritte? Mannajia Crimie,
-ha da venì chilu journe...
-
-Così le mormorazioni si levavano da ogni parte, miste ai dileggi e alle
-contumelie contro gli uomini del Comune e contro i Governanti.
-
-A Pescara, d'un tratto, tre, quattro, cinque persone del volgo furono
-prese dal male. Cadeva la sera; e su tutte le case discendeva una
-grande paura funerea, insieme con l'umidità del fiume. Per le vie la
-gente si agitava correndo verso il Palazzo comunale; dove il sindaco
-e i consiglieri e i gendarmi, avvolti in una confusion miserevole,
-salivano e scendevano le scale parlando tutti insieme ad alta voce,
-dando contrari ordini, non sapendo che risolvere, dove andare, come
-provvedere. Per un natural fenomeno, il commovimento dell'animo si
-propagava al ventre.
-
-Tutti, sentendo dentro le viscere romorii cupi, si mettevano a
-tremare e a battere i denti; si guardavano in volto l'un l'altro;
-si allontanavano a rapidi passi; si chiudevano nelle case. Le cene
-rimasero intatte.
-
-Poi, a tarda ora, quando il primo tumulto del pánico fu sedato, le
-guardie cominciarono ad accendere su i canti delle vie fuochi di zolfo
-e di catrame. Il rossore delle fiamme illustrava i muri e le finestre;
-e l'inutile odore del bitume spandevasi per la città sbigottita. Da
-lontano, come la luna era serena, pareva che i calafati verso il mare
-spalmassero carene allegramente.
-
-
-Tale fu in Pescara l'entrata dell'Asiatico.
-
-E il male, serpeggiando lungo il fiume, s'insinuò nei borghi della
-Marina, in quelli adunamenti di casupole basse dove vivono i marinai e
-alcuni vecchi dediti a piccole industrie.
-
-Gli infermi morirono quasi tutti, poichè non volevano prendere i
-rimedi. Nessuna ragione e nessuna esperienza valse a persuaderli.
-Anisafine, un gobbo che vendeva ai soldati acqua mista a spirito di
-ánace, quando vide il bicchiere del medicamento, strinse forte le
-labbra e cominciò a scuotere il capo in segno di rifiuto. Il dottore
-prese ad eccitarlo con parole di persuasione; bevve egli pel primo la
-metà del liquido; e, dopo, quasi tutti gli assistenti accostarono la
-bocca all'orlo del bicchiere. Anisafine seguitava a scuotere il capo.
-
-— Ma vedi, — esclamò il dottore, — abbiamo bevuto prima noi...
-
-Anisafine si mise e ridere per beffa.
-
-— Ah, ah, ah! Ma vu, mo che arreuscite, ve pijate lu contravvelene, —
-disse. E, poco dopo, morì.
-
-Cianchine, un macellaio idiota, fece la stessa cosa. Il dottore, per
-ultima prova, gli versò a forza tra i denti il medicinale. Cianchine
-sputò tutto, con ira e con orrore. Poi si mise a scagliar vituperii
-contro gli astanti; tentò due o tre volte di levarsi per fuggire; e
-morì rabbiosamente, dinanzi a due gendarmi esterrefatti.
-
-Le cucine pubbliche, instituite per concorso spontaneo d'uomini
-caritatevoli, furono in su 'l principio credute dal volgo un
-laboratorio di tossici. I mendicanti pativano la fame più tosto che
-mangiare la carne cotta in quelle pentole. Costantino di Corròpoli, il
-cinico, andava spargendo i dubbi tra la sua tribù. Egli vagava in torno
-alle cucine, dicendo a voce alta, con un gesto indescrivibile:
-
-— A me nen mi ci acchiappe!
-
-La Catalana di Gissi fu la prima a vincere il timore. Ella, un poco
-esitante, entrò; mangiò a piccoli bocconi, esaminando in sè stessa
-l'effetto del cibo; bevve il vino a piccoli sorsi. Poi, sentendosi
-tutta ristorata e fortificata, sorrise di meraviglia e di piacere.
-Tutti i mendicanti attendevano ch'ella uscisse. Quando la rividero
-incolume si precipitarono per la porta; vollero anch'essi bere e
-mangiare.
-
-Le cucine sono in un vecchio teatro scoperto, nelle vicinanze di
-Portanova. Le caldaie bollono nel luogo dell'orchestra, il fumo invade
-il palco scenico: tra il fumo si vedono al fondo le scene raffiguranti
-un castel feudale illuminato dal plenilunio. Quivi, su 'l mezzodì, si
-raccoglie intorno a una mensa rustica la tribù dei poveri. Prima che
-l'ora scocchi, nella platea s'agita un brulichìo multicolore di cenci e
-si leva un mormorìo di voci roche. Alcune figure nuove appaiono tra le
-figure già cognite. Notabile una tal Liberata Lotta di Montenerodòmo,
-che ha una stupenda maschera di Minerva ottuagenaria, piena di regalità
-e di austerità nella fronte, con i capelli tutti tesi in su 'l cranio
-come un casco aderente. Ella tiene fra le mani un vaso di vetro verde,
-che par colmo di misteri; e resta in disparte, taciturna, aspettando
-d'essere chiamata.
-
-
-Ma il grande episodio epico di questa cronaca del _choléra_ è la Guerra
-del Ponte.
-
-Un'antica discordia dura tra Pescara e Castellammare Adriatico, tra i
-due comuni che il bel fiume divide.
-
-Le parti nemiche si esercitano assiduamente in offese e in
-rappresaglie, l'una osteggiando con tutte le forze il fiorire
-dell'altra. E poichè oggi è prima fonte di prosperità la mercatura,
-e poichè Pescara ha già molta dovizia d'industrie, i Castellammaresi
-da tempo mirano a trarre i mercanti su la loro riva con ogni sorta di
-astuzie e di allettamenti.
-
-Ora, un vecchio ponte di legname cavalca il fiume su grossi battelli
-tutti incatramati e incatenati e trattenuti da ormeggi. I canapi e
-le gómene s'intrecciano nell'aria artifiziosamente, scendendo dalle
-antenne alte dell'argine ai parapetti bassissimi; e dànno imagine
-di un qualche barbarico attrezzo ossidionale. Le tavole mal connesse
-scricchiolano al peso dei carri. Al passaggio delle schiere militari,
-tutta la mostruosa macchina acquatica oscilla e balza da un capo
-all'altro e risuona come un tamburo.
-
-Sorse un dì da questo ponte la popolar leggenda di san Cetteo
-liberatore; e il santo annualmente vi si ferma nel mezzo, con gran
-pompa cattolica, a ricevere le salutazioni che dalle barche ancorate
-mandano i marinai.
-
-Così, tra la vista di Montecorno e la vista del mare, l'umile
-costruzione sta quasi come un monumento della patria, ha quasi in sè
-la santità delle cose antiche e dà agli estranei indizio di genti che
-ancora vivano in una semplicità primordiale.
-
-Gli odii tra i Pescaresi e i Castellammaresi cozzano su quelle tavole
-che si consumano sotto i laboriosi traffici cotidiani. E, come per di
-là le industrie cittadine si riversano su la provincia teramana e vi si
-spandono felicemente, oh con qual gioia la parte avversa taglierebbe i
-canapi e respingerebbe i sette rei battelli a naufragare!
-
-Sopraggiunta dunque la bella opportunità, il gonfaloniere nemico con
-molto apparato di forze campestri impedì ai Pescaresi il passaggio
-nell'ampia strada che dal ponte si dilunga per gran tratto congiungendo
-innumerevoli paesi.
-
-Era nell'intendimento di colui chiudere la città rivale in una specie
-d'assedio, toglierle ogni modo di traffico ed interno ed esterno,
-attrarre al suo mercato i venditori e i compratori che per consuetudine
-praticavano su la destra riva; e, quindi, dopo avere ivi oppressa in
-una forzosa inerzia ogni arte dì lucro, sorgere trionfatore. Offerse
-egli ai padroni delle paranze pescaresi venti carlini per ogni cento
-libbre di pesce, mettendo come patto che tutte le paranze approdassero
-e scaricassero alla sua riva e che la convenzion del prezzo durasse
-fino al giorno della Natività di Cristo.
-
-Ora, nella settimana precedente la Natività, il prezzo del pesce suol
-salire a più che quindici ducati per ogni cento libbre. Manifesta
-appariva dunque l'insidia.
-
-I padroni rifiutarono ogni offerta, preferendo tenere inoperose le reti.
-
-Lo scaltro nemico fece ad arte spargere voce che una mortalità grande
-affliggeva Pescara. Si adoperò per via d'amicizia a sollevare tutti gli
-animi della provincia teramana e gli animi anche dei Chietini contro la
-pacifica città dove il morbo già era scomparso.
-
-Respinse con violenza o ritenne prigionieri alcuni onesti viandanti
-che, usando d'un comun diritto, prendevano la strada provinciale per
-recarsi altrove. Lasciò che su la linea di confine un branco di suoi
-lanzichenecchi stesse dall'alba al tramonto schiamazzando contro
-chiunque si avvicinava.
-
-La ribellione cominciò allora a fermentare nei Pescaresi, contro
-gli ingiusti arbitrii; poichè sopraggiungeva la miseria e tutta la
-numerosa classe dei lavoratori languiva nell'inerzia e tutti i mercanti
-incorrevano in gravissimi danni. Il _cholèra_, scomparso dalla città,
-accennava a scomparire anche dalla marina dove soltanto alcuni vecchi
-invalidi erano morti. Tutti i cittadini, fiorenti di salute, amavano
-riprendere le consuete fatiche.
-
-I tribuni sorsero: Francesco Pomárice, Antonio Sorrentino, Pietro
-D'Amico. Per le vie la gente si divideva in gruppi, ascoltava la
-parola tribunizia, applaudiva, proponeva, gittava gridi. Un gran
-tumulto andavasi preparando fra il popolo. Per eccezione, taluni
-raccontavano il fatto eroico del Moretto di Claudia. Il quale, preso
-dai lanzichenecchi a forza e imprigionato nel lazzeretto ed ivi
-trattenuto per cinque giorni senz'altro cibo che pane, riuscì a fuggire
-dalla finestra; passò a nuoto il fiume, e giunse tra i suoi grondante
-di acqua, alenante, famelico, raggiante di gloria e di gioia.
-
-Il sindaco, nel frattempo, sentendo il mugolio precursore della
-tempesta, si accinse a parlamentare co 'l Gran Nimico castellammarese.
-È il sindaco un piccolo dottor di legge cavaliere, tutto untuosamente
-ricciutello, con omeri sparsi di forfora, con chiari occhietti
-esercitati alle dolci simulazioni. E il Gran Nimico un degenere nepote
-del buon Gargantuasso; enorme, sbuffante, tonante, divorante. Il
-colloquio avvenne in terra neutrale; e presenti vi furono gli illustri
-prefetti di Teramo e di Chieti.
-
-Ma, verso il tramonto, un lanzichenecco, entrato in Pescara per recare
-un messaggio a un consiglier del Comune, si mise in cantina con altri
-bravi a bevere; e quindi prese bravamente a girovagare. Come lo videro
-i tribuni, gli corsero sopra. Tra le grida e le acclamazioni della
-plebe lo spinsero lungo la riva, sino al lazzeretto. Era il tramonto
-su le acque luminosissimo; e il bèllico rossore dell'aria inebriava gli
-animi plebei.
-
-Allora dall'opposta riva ecco una torma di Castellammaresi, uscente di
-tra i salici ed i vimini darsi con molta veemenza di gesti ad inveire
-contro l'oltraggio.
-
-Rispondevano i nostri con eguale furia. E il lanzichenecco imprigionato
-percoteva con tutta la forza dei piedi e delle mani la porta della
-prigione, gridando:
-
-— Apríteme! Apríteme!
-
-— Tu adduòrmete a esse, e nen te n'incaricà, — gli gridavano per beffa
-i popolani. E qualcuno crudelmente aggiungevagli:
-
-— Ah, si sapisse quante se n'hanne muorte a esse dendre! Siente
-l'uddore? Nen te s'ha cumenzate a smove nu poche la panze?
-
-— Urrà! Urrà!
-
-Verso la Bandiera scorgevasi un luccichío di canne di fucile. Il
-sindachetto veniva a capo di un manipolo militare per liberar dal
-carcere il lanzichenecco, a fin di non incorrere nelle ire del Gran
-Nimico.
-
-Subitamente la plebe, irritata, tumultuò; grida altissime si levarono
-contro quel vil liberatore di Castellammaresi.
-
-Per tutta la via, dal lazzeretto alla città, fu un clamoroso
-accompagnamento di sibili e di contumelie. Al lume delle torce, la
-gazzarra durò fin che le voci non furon roche.
-
-Dopo quel primo impeto, la rivolta si andò svolgendo a mano a mano con
-nuove peripezie. Tutte le botteghe si chiusero. Tutti i cittadini si
-raccolsero su la strada, ricchi e poveri, in familiarità, presi da una
-furiosa smania di parlare, di gridare, di gesticolare, di manifestare
-in mille diversi modi un unico pensiero.
-
-Ad ogni tratto giungeva un tribuno recando una notizia. I gruppi si
-scioglievano, si ricomponevano, variavano, secondo le correnti delle
-opinioni. E, poichè su tutte le teste la libertà del giorno era vitale
-e i sorsi dell'aria letificavano come sorsi di vino, si ridestò nei
-Pescaresi la nativa giocondità beffarda; ed essi seguitarono a far
-ribellione in una maniera gaia ed ironica, così, per il diletto, per il
-dispetto, per l'amore delle cose nuove.
-
-Gli stratagemmi del Gran Nimico si moltiplicavano. Qualunque accordo
-rimaneva inosservato a causa di abili temporeggiamenti che la debolezza
-del piccolo sindaco favoriva.
-
-
-Il mattino d'Ognissanti, verso la settima ora, mentre nelle chiese si
-celebravano i primi uffici festivi, i tribuni si misero in giro per la
-città, seguiti da una turba che ad ogni passo accrescevasi e diveniva
-più clamorosa. Quando l'intero popolo fu raccolto, Antonio Sorrentino
-arringò. La processione, in ordine, quindi si diresse al Palazzo
-comunale. Le strade erano ancora azzurre nell'ombra e le case erano
-coronate dal sole.
-
-In vista del Palazzo un immenso grido scoppiò. Tutte le bocche
-scagliavano vituperii contro il leguleio; tutti i pugni si levavano
-in attitudine di minaccia; tra un grido e l'altro, certe lunghe
-oscillazioni sonore rimanevano nell'aria, come prodotte da uno
-strumento; e su la confusion delle teste e delle vesti i lembi vermigli
-delle bandiere sbattevano, come agitati dal largo soffio popolare.
-
-Su 'l comunal balcone non appariva alcuno. Il sole discendeva a poco
-a poco dal tetto verso la gran meridiana tutta nera di cifre e di
-linee su cui lo gnomone vibrava l'ombra indicatrice. Dalla Torretta
-dei D'Annunzio al campanil badiale torme di colombe svolazzavano
-nell'azzurro superiore.
-
-Le grida si moltiplicarono. Una mano di animosi diede l'assalto alle
-scale del Palazzo. Il piccolo sindaco, pallido e pavido, si arrese al
-volere del popolo; lasciò il seggio; rinunziò all'ufficio; discese su
-la strada, tra i gendarmi, seguito dai consiglieri. Uscì quindi dalla
-città; si ritrasse su 'l colle di Spoltore.
-
-Le porte del Palazzo furono chiuse. Un'anarchia provvisoria si
-stabilì nella città. Le milizie, per impedire l'imminente lotta tra i
-Castellammaresi e i Pescaresi, fecero argine su l'estremità sinistra
-del ponte. La turba, deposte le bandiere, si avviò alla strada di
-Chieti; poichè di là era per giungere il Prefetto chiamato in furia da
-un Commissario reale. I proponimenti parevano feroci.
-
-Ma la mite virtù del sole a poco a poco pacificò le ire. Nell'ampia
-strada venivano, uscenti dalla chiesa, le femmine del contado tutte
-in vesti di seta multicolori e coperte di gioielli giganteschi,
-di filigrane d'argento, di collane d'oro. Lo spettacolo di quelle
-facce, rubiconde e gioconde come grandi pomi, rasserenava ogni animo.
-I motti e le risa nacquero spontaneamente; ed il non breve tempo
-dell'aspettazione parve quasi dilettevole.
-
-Su 'l mezzodì la vettura prefettizia giunse in vista. Il popolo
-si dispose in semicerchio per chiuderle la via. Antonio Sorrentino
-arringò, non senza un certo sfoggio di eloquenza fiorita. Gli altri,
-fra le pause dell'arringa, chiedevano in vari modi giustizia contro
-gli abusi, sollecitudine e validità di provvedimenti nuovi. Due grandi
-scheletri equini, ancora animati, scotevano di tratto in tratto le
-sonagliere, mostrando ai ribelli le gencive pallidicce, con una smorfia
-di derisione. E il delegato di polizia, simile non so a qual vecchio
-cantator di teatro che ancora portasse per divozione in torno al volto
-una finta barba di druido, moderava dall'altitudine del serpe l'ardor
-del tribuno, con cenni gravi della mano.
-
-Come il perorante nella foga saliva a culmini di eloquenza troppo
-audaci, il Prefetto, sorgendo su 'l predellino, colse il momento per
-interrompere. Proferì una frase ambigua e timida che le grida del
-popolo copersero.
-
-— A Pescara! A Pescara!
-
-La vettura camminò quasi sospinta dall'onda popolare ed entrò in città;
-e, poichè il Palazzo era chiuso, si fermò dinanzi alla Delegazione.
-Dieci nominati a voce dal popolo salirono insieme col Prefetto,
-per parlamentare. La turba occupò tutta la via. Impazienze qua e là
-scoppiavano.
-
-La via era angusta. Le case riscaldate dal sole irraggiavano un tepor
-dilettoso; e non so qual lenta mollezza emanava dal cielo oltremarino,
-dall'erbe fluttuanti lungo le gronde, dalle rose delle finestre, dalle
-mura bianche, dalla fama stessa del luogo. Ha il luogo fama d'albergare
-le più belle popolane pescaresi: vive e di generazione in generazione
-nella contrada si va perpetuando una tradizion di beltà. La immensa
-casa decrepita di Don Fiore Ussorio è un vivaio di bimbi floridi e
-di fanciulle leggiadre; ed è tutta coperta di piccole logge che sono
-esuberanti di garofani e che si reggono su rozze mènsole scolpite di
-mascheroni procaci.
-
-A poco a poco, le impazienze della folla si placavano. I parlari oziosi
-propagavansi da un capo all'altro; dall'uno all'altro bivio.
-
-Domenico di Matteo, una specie di Rodomonte villereccio, motteggiava
-ad alta voce sull'asinità e l'avidità dei dottori che facevano morire
-gli infermi per prendere dal Comune una maggior mercede. Egli narrava
-certe sue cure mirabili. Una volta egli aveva un gran dolore al petto
-ed era quasi prossimo all'agonia. Poichè il medico gli proibì di bere
-acqua, egli ardeva di sete. Una notte, mentre tutti dormivano, si levò
-piano piano, cercò a tentoni la conca, vi tuffò la testa e rimase lì
-a bevere come un giumento, fin che la conca non fu vuota. La mattina
-dopo egli era guarito. Un'altra volta egli ed un suo compare, avendo
-da lungo tempo la febbre terzana contro cui ogni virtù di chinino
-pareva inutile, deliberarono di fare una esperienza. Si trovavano su
-la riva del fiume, ed alla riva opposta una vigna solatia li allettava
-con i grappoli. Si spogliarono, si gittarono nelle fredde acque,
-tagliarono la corrente, toccarono l'altra riva, si saziarono d'uva;
-poi di nuovo attraversarono. La terzana disparve. Un'altra volta,
-essendo egli infermo di mal francioso ed avendo speso più di quindici
-ducati vanamente in opere di medici e di medicine, come vide la madre
-attendere al bucato, fu colto da un pensiero felice. Tracannò, l'un
-dopo l'altro, cinque bicchieri di lisciva; e si liberò.
-
-Ma ai balconi, alle finestre, alle logge il bello sciame muliebre
-si affacciava tumultuariamente. Tutti gli uomini dalla via levavano
-gli occhi a quelle apparizioni e restavano con la faccia al sole per
-guardare; e tutti, poichè la consueta ora del pasto era già trascorsa,
-si sentivano la testa un poco vacua e nello stomaco un languore
-infinito. Brevi dialoghi dalla via alle finestre si intrecciavano.
-I giovini gittarono motti salaci alle belle. Le belle risposero con
-gesti schivi, con scuotere di capo; o si ritrassero, o forte risero.
-Le fresche risa di quelle bocche si sgranellavano come collane di
-cristallo, cadendo su gli uomini che già il desio incominciava a
-pungere. Dalle mura il calore s'irradiava più largo e mescevasi al
-calor dei corpi agglomerati. I riverberi bianchissimi abbarbagliavano.
-Qualche cosa di snervante e di stupefacente discendeva su quella turba
-digiuna.
-
-Apparve su una loggia, d'improvviso, la Ciccarina, la bella delle
-belle, la rosa delle rose, l'amorosa pèsca, colei che tutti han
-desiato. Per un moto unanime, gli sguardi si volsero verso di lei.
-Ella, nel trionfo, stava semplicemente sorridendo, come una dogaressa
-dinanzi al suo popolo. Il sole le illuminava la piena faccia carnosa,
-che è simile alla polpa di un frutto succulento. I capelli, di quel
-color lionato di sotto a cui par trasparisca una fiamma d'oro, le
-invadevano la fronte, le tempie, il collo, mal frenati. Un natural
-fàscino venereo le emanava da tutta la persona. Ed ella stava
-semplicemente, tra due gabbie di merli, sorridendo, non sentendosi
-offesa dalle brame che lucevano in tutti quelli occhi intenti a lei.
-
-I merli fischiarono. I madrigali rustici batterono l'ali verso la
-loggia. La Ciccarina si ritrasse, sorridendo. La turba rimase nella
-via, quasi abbacinata dai riverberi, dalla vista di quella femmina,
-dalle prime vertigini della fame.
-
-Allora uno dei parlamentari, affacciatosi a una finestra della
-Delegazione, disse con voce squillante:
-
-— Cittadini, si risolverà la cosa fra tre ore!
-
- . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
-
-
-
-
-TURLENDANA RITORNA.
-
-
-La compagnia camminava lungo il mare.
-
-Già per i chiari poggi litorali ricominciava la primavera; l'umile
-catena era verde, e il verde di varie verdure distinto; e ciascuna
-cima aveva una corona d'alberi fioriti. Allo spirar del maestro quelli
-alberi si movevano; e nel moto forse si spogliavano di molti fiori,
-poichè alla breve distanza le alture parevano coprirsi d'un colore tra
-il roseo e il violaceo, e tutta la veduta un istante pareva tremare
-e impallidire come un'imagine a traverso il vel dell'acqua o come una
-pittura che lavata si stinge.
-
-Il mare si distendeva in una serenità quasi verginale, lungo la costa
-lievemente lunata verso austro, avendo nello splendore la vivezza d'una
-turchese della Persia. Qua e là, segnando il passaggio delle correnti,
-alcune zone di più cupa tinta serpeggiavano.
-
-Turlendana, in cui la conoscenza dei luoghi per i molti anni d'assenza
-era quasi intieramente smarrita e in cui per le lunghe peregrinazioni
-il sentimento della patria era quasi estinto, andava innanzi senza
-volgersi a riguardare, con quel suo passo affaticato e claudicante.
-
-Come il camello indugiava ad ogni cespo d'erbe selvatiche, egli gittava
-un breve grido rauco d'incitamento. E il gran quadrupede rossastro
-risollevava il collo lentamente, triturando fra le mandibole laboriose
-il cibo.
-
-— Hu, Barbarà!
-
-L'asina, la piccola e nivea Susanna, di tratto in tratto, sotto
-gli assidui tormenti del macacco si metteva a ragliare in suono
-lamentevole, chiedendo d'esser liberata dal cavaliere. Ma Zavalì,
-instancabile, senza tregua, con una specie di frenesia, con gesti
-rapidi e corti ora di collera e ora di gioco, percorreva tutta la
-schiena dell'animale, saltava su la testa afferrandosi alle grandi
-orecchie, prendeva fra le due mani la coda sollevandola e scotendone
-il ciuffo dei crini, cercava tra il pelo grattando con l'unghie
-ostinatamente e recandosi quindi l'unghie alla bocca e masticando con
-mille vari moti di tutti i muscoli della faccia. Poi, d'improvviso, si
-raccoglieva su 'l sedere, tenendosi in una delle mani il piede ritorto
-simile a una radice d'arbusto, immobile, grave, fissando verso le acque
-i tondi occhi color d'arancio che gli si empivano di meraviglia, mentre
-la fronte gli si corrugava e le orecchie fini e rosee gli tremavano
-quasi per inquietudine. Poi, d'improvviso, con un gesto di malizia
-ricominciava la giostra.
-
-— Hu, Barbarà!
-
-Il camello udiva; e si rimetteva in cammino.
-
-Quando la compagnia giunse al bosco dei salci, presso la foce della
-Pescara, su la riva sinistra (già si scorgevano i galli sopra le
-antenne delle paranze ancorate allo scalo della Bandiera), Turlendana
-si arrestò, poichè voleva dissetarsi al fiume.
-
-Il patrio fiume recava l'onda perenne della sua pace al mare. Le rive,
-coperte di piante fluviatili, tacevano e si riposavano, come affaticate
-dalla recente opera della fecondazione. Il silenzio era profondo su
-tutte le cose. Gli estuarii risplendevano al sole tranquilli, come
-spere, chiusi in una cornice di cristalli salini. Secondo le vicende
-del vento, i salci verdeggiavano o biancheggiavano.
-
-— La Pescara! — disse Turlendana soffermandosi, con un accento di
-curiosità e di riconoscimento istintivo. E stette a riguardare.
-
-Poi discese al margine, dove la ghiaia era polita; e si mise in
-ginocchio per attingere l'acqua con il concavo delle palme. Il camello
-curvò il collo, e bevve a sorsi lenti e regolari. L'asina anche bevve.
-E la scimmia imitò l'attitudine dell'uomo, facendo conca con le esili
-mani ch'erano violette come i fichi d'India acerbi.
-
-— Hu, Barbarà!
-
-Il camello udì e cessò di bere. Dalle labbra molli gli gocciolava
-l'acqua abbondantemente su le callosità del petto, e gli si vedevano le
-gencive pallidicce e i grossi denti giallognoli.
-
-Per il sentiero, segnato nel bosco dalla gente di mare, la compagnia
-riprese il viaggio. Cadeva il sole, quando giunse all'Arsenale di
-Rampigna.
-
-A un marinaio, che camminava lungo il parapetto di mattone, Turlendana
-domandò:
-
-— Quella è Pescara?
-
-Il marinaio, stupefatto alla vista delle bestie, rispose:
-
-— È quella.
-
-E tralasciò la sua faccenda per seguire il forestiero.
-
-Altri marinai si unirono al primo. In breve una torma di curiosi si
-raccolse dietro Turlendana che andava innanzi tranquillamente, non
-curandosi dei diversi comenti popolari. Al ponte delle barche il
-camello si rifiutò di passare.
-
-— Hu, Barbarà! Hu, hu!
-
-Turlendana prese ad incitarlo con le voci, pazientemente, scotendo
-la corda della cavezza con cui ora egli lo conduceva. Ma l'animale
-ostinato si coricò a terra e posò la testa nella polvere, come per
-rimanere ivi lungo tempo.
-
-I plebei d'in torno, riavutisi dalla prima stupefazione, schiamazzavano
-gridando in coro:
-
-— Barbarà! Barbarà!
-
-E, come avevano dimestichezza con le scimmie perchè talvolta i marinai
-dalle lunghe navigazioni le riportavano in patria insieme ai pappagalli
-e ai cacatua, provocavano Zavalì in mille modi e gli porgevano certe
-grosse mandorle verdi che il macacco apriva per mangiarne il seme
-fresco e dolce golosamente.
-
-Dopo molta persistenza di urti e di urli, alla fine Turlendana riuscì a
-vincere la tenacità del camello. E quella mostruosa architettura d'ossa
-e di pelle si risollevò barcollante, in mezzo alla folla che incalzava.
-
-Da tutte le parti i soldati e i cittadini accorrevano allo spettacolo,
-sopra il ponte delle barche. Dietro il Gran Sasso il sole cadendo
-irradiava per tutto il cielo primaverile una viva luce rosea: e, come
-dalle campagne umide e dalle acque del fiume e del mare e dagli stagni
-durante il giorno erano sorti molti vapori, le case e le vele e le
-antenne e le piante e tutte le cose apparivano rosee; e le forme,
-acquistando una specie di trasparenza, perdevano la certezza dei
-contorni e quasi fluttuavano sommerse in quella luce.
-
-Il ponte, sotto il peso, scricchiolava su le barche incatramate, simile
-ad una vastissima zattera galleggiante. La popolazione tumultuava
-giocondamente. Per la ressa, Turlendana con le sue bestie rimase fermo
-a mezzo il ponte. E il camello, enorme, sovrastante a tutte le teste,
-respirava contro il vento, movendo tardi il collo simile a un qualche
-favoloso serpente coperto di peli.
-
-Poichè già nella curiosità degli accorsi s'era sparso il nome
-dell'animale, tutti, per un nativo amore degli schiamazzi e per una
-concorde letizia che sorgeva a quella dolcezza del tramonto e della
-stagione, tutti gridavano:
-
-— Barbarà! Barbarà!
-
-Al clamore plaudente, Turlendana, che stava stretto contro il petto del
-camello, si sentiva invadere da un compiacimento quasi paterno.
-
-Ma l'asina d'un tratto prese a ragliare con sì alte ed ingrate
-variazioni di voci e con tanta sospirevole passione che un'ilarità
-unanime corse il popolo. E le schiette risa plebee si propagavano da un
-capo all'altro del ponte, come uno scroscio di scaturigine cadente giù
-pe' i sassi d'una china.
-
-Allora Turlendana ricominciò a muoversi attraverso la folla, non
-conosciuto da alcuno.
-
-Quando fu su la porta della città, dove le femmine vendevano la pesca
-recente dentro ampi canestri di giunco, Binchi-Banche, l'omiciattolo
-dal viso giallognolo e rugoso come un limone senza succo, gli si fece
-innanzi, e, secondo soleva con tutti i forestieri che capitavano nel
-paese, gli offerse i suoi servigi per l'alloggiamento.
-
-Prima chiese, accennando a Barbarà:
-
-— È feroce?
-
-Turlendana rispose che no, sorridendo.
-
-— Be'! — riprese Binchi-Banche, rassicurato — ci sta la casa di Rosa
-Schiavona.
-
-Ambedue volsero per la Pesceria e quindi per Sant'Agostino, seguiti
-dal popolo. Alle finestre e ai balconi le donne e i fanciulli
-si affacciavano guardando con stupore il passaggio del camello e
-ammiravano le minute grazie dell'asinetta bianca e ridevano ai lezii di
-Zavalì.
-
-A un punto Barbarà, vedendo pendere da una loggia bassa un'erba mezzo
-secca, tese il collo e sporse le labbra per giungerla, e la strappò. Un
-grido di terrore ruppe dalle donne che stavano su la loggia chine; e il
-grido si propagò nelle logge prossime. La gente dalla via rideva forte,
-gridando come in carnovale dietro le maschere:
-
-— Viva! Viva!
-
-Tutti erano inebriati dalla novità dello spettacolo e dall'aria della
-primavera.
-
-Dinanzi alla casa di Rosa Schiavona, in vicinanza di Portasale,
-Binchi-Banche accennò di sostare.
-
-— È qua — disse.
-
-La casa, molto umile, a un solo ordine di finestre, aveva le mura
-inferiori tutte segnate d'iscrizioni e di figurazioni oscene. Una fila
-di pipistrelli crocifissi ornava l'architrave; e una lanterna coperta
-di carta rossa pendeva sotto la finestra media.
-
-Ivi alloggiava ogni sorta di gente avveniticcia e girovaga: dormivano
-mescolati i carrettieri di Letto Manoppello grandi e panciuti; gli
-zingari di Sulmona, mercanti di giumenti e restauratori di caldaie; i
-fusari di Bucchianico; le femmine di Città Sant'Angelo venute a far
-pubblica professione d'impudicizia tra i soldati; gli zampognari di
-Atina; i montagnuoli domatori d'orsi, i cerretani, i falsi mendicanti,
-i ladri, le fattucchiere.
-
-Gran mezzano della marmaglia era Binchi-Banche. Giustissima
-proteggitrice, Rosa Schiavona.
-
-Come udì i rumori, la femmina venne su 'l limitare. Ella pareva in
-verità un essere generato da un uomo nano e da una scrofa.
-
-Chiese, da prima, con un'aria di diffidenza:
-
-— Che c'è?
-
-— C'è qua 'stu cristiano che vuo' alloggio co' le bestie, Donna Rosa.
-
-— Quante bestie?
-
-— Tre, vedete, Donna Rosa: 'na scimmia, 'n'asina e 'nu camelo.
-
-Il popolo non badava al dialogo. Alcuni incitavano Zavalì. Altri
-palpavano le gambe di Barbarà, osservando su le ginocchia e su 'l petto
-i duri dischi callosi. Due guardie del sale, che avevano viaggiato sino
-ai porti dell'Asia Minore, dicevano ad alta voce le varie virtù dei
-camelli e narravano confusamente d'averne visti taluni fare un passo di
-danza portando il lungo collo carico di musici e di femmine seminude.
-
-Gli ascoltatori, avidi di udire cose meravigliose, pregavano:
-
-— Dite! dite!
-
-Tutti stavano a torno, in silenzio, con gli occhi un po' dilatati,
-bramando quel diletto.
-
-Allora una delle guardie, un uomo vecchio che aveva le palpebre
-arrovesciate dai venti del mare, cominciò a favoleggiare dei paesi
-asiatici. E a poco a poco le parole sue stesse lo trascinavano e lo
-inebriavano.
-
-Una specie di mollezza esotica pareva spargersi nel tramonto.
-Sorgevano, nella fantasia popolare, le rive favoleggiate e luminavano.
-A traverso l'arco della Porta, già occupato dall'ombra, si vedevano le
-tanecche coperte di sale ondeggiar su 'l fiume; e, come il minerale
-assorbiva tutta la luce del crepuscolo, le tanecche sembravano
-materiate di cristalli preziosi. Nel cielo un po' verde saliva il primo
-quarto della luna.
-
-— Dite! dite! — ancora chiedevano i più giovini.
-
-Turlendana intanto aveva ricoverate le bestie e le aveva provviste
-di cibo; e quindi era uscito in compagnia di Binchi-Banche, mentre la
-gente rimaneva accolta innanzi all'uscio della stalla, dove la testa
-del camello appariva e spariva dietro le alte grate di corda.
-
-Per la via, Turlendana domandò:
-
-— Ci stanno cantine?
-
-Binchi-Banche rispose:
-
-— Sì, segnore; ci stanno.
-
-Poi, sollevando le grosse mani nerastre e prendendosi co 'l pollice
-e l'indice della destra successivamente la punta d'ogni dito della
-sinistra, enumerava:
-
-— La candina di Speranza, la candina di Buono, la candina di Assaù, la
-candina di Zarricante, la candina della cecata di Turlendana...
-
-— Ah — fece tranquillamente l'uomo.
-
-Binchi-Banche sollevò i suoi acuti occhiolini verdognoli.
-
-— Ci sei stato 'n'altra volta a qua, segnore?
-
-E, non aspettando la risposta, con la nativa loquacità della gente
-pescarese, seguitava:
-
-— La candina della cecata è grande e ci si vende lu meglio vino. La
-cecata è la femmina delli quattro mariti...
-
-Si mise a ridere, con un sorriso che gli increspava tutta la faccia
-gialliccia come il centopelle d'un ruminante.
-
-— Lu primo marito fu Turlendana, ch'era marinaro e andava su li
-bastimenti del re di Napoli, all'Indie basse e alla Francia e alla
-Spagna e infino all'America. Quello si perse in mare, e chi sa a dove,
-con tutto il legno; e non s'è trovato più. So' trent'anni. Teneva la
-forza di Sansone: tirava l'áncore co' un dito... Povero giovane! Eh,
-chi va pe' mare quella fine fa.
-
-Turlendana ascoltava, tranquillamente.
-
-— Lu secondo marito, dopo cinqu'anni di vedovanza, fu 'n'ortonese,
-lu figlio di Ferrante, 'n'anima dannata, che s'er'unito co' li
-contrabbandieri, a tempo che Napolione stava contro l'Inglesi.
-Facevano contrabbando da Francavilla infino a Silvi e a Montesilvano,
-di zucchero e di cafè, co' li legni inglesi. C'era, vicino a Silvi,
-'na torre delli Saracini, sotto il bosco, da dove si facevano
-li segnali. Come passava la pattuglia, plon plon, plon plon, noi
-'scivamo dall'alberi.... — Ora il parlatore accendevasi al ricordo;
-ed obliandosi descriveva con prolissità di parole tutta l'operazion
-clandestina, ed aiutava di gesti e di interiezioni vive il racconto. La
-sua piccola persona coriacea si raccorciava e si distendeva nell'atto.
-— In fine, il figlio di Ferrante era morto d'una schioppettata nelle
-reni, per mano de' soldati di Gioacchino Murat, di notte, su la
-costiera.
-
-— Lu terzo marito fu Titino Passacantando che morì nel letto suo, di
-male cattivo. Lu quarto vive. Ed è Verdura, bonomo, che no' mestura li
-vini. Sentarai, segnore.
-
-Quando giunsero alla cantina lodata, si separarono.
-
-— F'lice sera, segnore!
-
-— F'lice sera.
-
-Turlendana entrò, tranquillamente, fra la curiosità dei bevitori che
-sedevano a certe lunghe tavole in giro.
-
-Avendo chiesto da mangiare, egli fu da Verdura invitato a salire in una
-stanza superiore ove i deschi erano già pronti per le cene.
-
-Nessun cliente ancora stava nella stanza. Turlendana sedette e
-incominciò a mangiare a grandi bocconi, con la testa su 'l piatto,
-senza intervalli, come un uomo famelico. Egli era quasi intieramente
-calvo: una profonda cicatrice rossiccia gli solcava per lungo la
-fronte e gli scendeva fino a mezzo la guancia; la barba folta e grigia
-gli saliva fino ai pomelli emergenti; la pelle, bruna, secca, piena
-di asperità, corrosa dalle intemperie, riarsa dal sole, incavata
-dalle sofferenze, pareva non conservare più alcuna vivezza umana;
-gli occhi e tutti i lineamenti erano, da tempo, come pietrificati
-nell'impassibilità.
-
-Verdura, curioso, sedette di contro; e stette a riguardare il
-forestiero. Egli era piuttosto pingue, con la faccia d'un color roseo
-sottilissimamente venato di vermiglio come la milza dei buoi.
-
-Alla fine, domandò:
-
-— Da che paese venite?
-
-Turlendana, senza levar la faccia, rispose semplicemente:
-
-— Vengo di lontano.
-
-— E dove andate? — ridomandò Verdura.
-
-— Sto qua.
-
-Verdura, stupefatto, tacque. Turlendana levava ai pesci la testa e la
-coda; e li mangiava così a uno a uno, triturando le lische. Ad ogni due
-o tre pesci, beveva un sorso di vino.
-
-— Qua ci conoscete qualcuno? — riprese Verdura, bramoso di sapere.
-
-— Forse — rispose l'altro semplicemente.
-
-Sconfitto dalla brevità dell'interlocutore, il vinattiere una
-seconda volta ammutolì. Udivasi la masticazione lenta ed elaborata di
-Turlendana tra l'inferior clamore dei bevitori.
-
-Dopo un poco, Verdura riaprì la bocca.
-
-— Il camello in che siti nasce? Quelle due gobbe sono naturali? Una
-bestia così grande e forte come può essere mai addomesticata?
-
-Turlendana lasciava parlare, senza rimuoversi.
-
-— Il vostro nome, signor forestiere?
-
-L'interrogato sollevò il capo dal piatto; e rispose, semplicemente:
-
-— Io mi chiamo Turlendana.
-
-— Che?
-
-— Turlendana.
-
-— Ah!
-
-La stupefazione dell'oste non ebbe più limiti. E insieme una specie di
-vago sbigottimento cominciava a ondeggiare in fondo all'animo di lui.
-
-— Turlendana!... Di qua?
-
-— Di qua.
-
-Verdura dilatò i grossi occhi azzurri in faccia all'uomo.
-
-— Dunque non siete morto?
-
-— Non sono morto.
-
-— Dunque voi siete il marito di Rosalba Catena?
-
-— Sono il marito di Rosalba Catena.
-
-— E ora? — esclamò Verdura, con un gesto di perplessità. — Siamo due.
-
-— Siamo due.
-
-Un istante rimasero in silenzio. Turlendana masticava l'ultima crosta
-d'un pane, tranquillamente; e si udiva nel silenzio lo scricchiolío
-leggero. Per una naturale benigna incuranza dell'animo e per
-una fatuità gloriosa, Verdura non era compreso d'altro che della
-singolarità dell'avvenimento. Un improvviso impeto d'allegrezza lo
-prese, salendo spontaneo dai precordii.
-
-— Andiamo da Rosalba! andiamo! andiamo! andiamo!
-
-Egli traeva il reduce per un braccio, a traverso il fondaco dei
-bevitori, agitandosi, gridando:
-
-— Ecc'a qua Turlendana, Turlendana marinaro, lu marito de mógliema,
-Turlendana che s'era morto! Ecc'a qua Turlendana! Ecc'a qua Turlendana!
-
-
-
-
-TURLENDANA EBRO.
-
-
-Quando egli bevve l'ultimo bicchiere, all'orologio del Comune stavano
-per iscoccare due ore dopo la mezzanotte.
-
-Disse Biagio Quaglia, con la voce intorbidata dal vino, come i tocchi
-squillarono nel silenzio della luna chiarissimi:
-
-— Mannaggia! Ce ne vulemo i'?
-
-Ciávola, quasi disteso sotto la panca, agitando di tratto in tratto
-le lunghe gambe corritrici, farneticava di cacce clandestine nelle
-bandite del marchese di Pescara, poichè il sapor selvatico della lepre
-gli risaliva su per la gola e il vento recava l'odor resinoso dei pini
-dalla boscaglia marittima.
-
-Disse Biagio Quaglia, percotendo con i piedi il cacciatore biondo, e
-facendo atto di levarsi:
-
-— 'Jamo, Purié.
-
-E Ciávola con molto sforzo si rizzò dondolandosi, smilzo e lungo come
-un cane levriere.
-
-— 'Jamo; ca mo fanne lu passo — rispose, levando la mano verso
-l'alto quasi in atto di auspicio, poichè forse pensava a una qualche
-migrazione di uccelli.
-
-Turlendana anche si mosse; e, vedendo dietro di sè la vinattiera
-Zarricante che aveva fresche le gote e acerbe le poma del petto, volle
-abbracciarla. Ma Zarricante gli sfuggì di tra le braccia, gridandogli
-una contumelia.
-
-Su la porta, Turlendana chiese ai due amici un po' di compagnia e
-di sostegno per un tratto di cammino. Ma Biagio Quaglia e Ciávola,
-che facevano un bel paio, gli volsero le spalle sghignazzando e si
-allontanarono sotto la luna.
-
-Allora Turlendana si fermò a guardare la luna che era tonda e rossa
-come una faccia canonicale. I luoghi intorno tacevano. Le case
-biancicavano in fila. Un gatto miagolava alla notte di maggio, su i
-gradini della porta.
-
-L'uomo, avendo nell'ebrietà una singolare inclinazione alla tenerezza,
-tese la mano pianamente per accarezzare l'animale Ma l'animale, essendo
-di natura forastico, diede un balzo e disparve.
-
-Vedendo un cane errante avvicinarsi, l'uomo tentò di versare su quello
-la piena della sua benevolenza amorevole. Ma il cane passò oltre, senza
-rispondere al richiamo, e si mise in un canto del trivio a rosicare
-certe ossa. Il rumore dei denti laboriosi udivasi distintamente nel
-silenzio.
-
-Come dopo poco la porta della cantina si chiuse, Turlendana rimase solo
-nel gran plenilunio popolato di ombre e di nuvole in viaggio. E la sua
-mente rimase colpita da quel rapido allontanarsi di tutti gli esseri
-circostanti. Tutti dunque fuggivano? Che aveva egli fatto perchè tutti
-fuggissero?
-
-Cominciò a muovere i passi incertamente, verso il fiume. Il pensiero
-di quella fuga universale, a mano a mano ch'egli andava innanzi, gli
-occupava con maggior profondità il cervello alterato dai fumi bacchici.
-Avendo incontrato altri due cani spersi, si fermò presso di loro quasi
-per esperimentare e li chiamò. Le due bestie ignobili seguitarono a
-strisciarsi lungo i muri, con la coda fra le gambe; e scantonarono.
-Poi, quando furono più lontani, si misero a latrare; e subitamente da
-tutti i punti del paese, dal Bagno, da Sant'Agostino, dall'Arsenale,
-dalla Pescheria, da tutti i luoghi luridi e oscuri i cani erranti
-accorsero, come a un suon di battaglia. E il coro ostile di quella
-tribù famelica saliva fino alla luna.
-
-Turlendana stupefatto, mentre una specie d'inquietudine gli si
-svegliava nell'animo vagamente, riprese il cammino con passi più
-spediti, di tratto in tratto incespicando su le asperità del terreno.
-Quando giunse al canto dei bottari, dove le ampie botti di Zazzetta
-formavano cumuli biancastri simili a monumenti, egli sentì un
-interrotto respirar bestiale. E, poichè il pensiero fisso dell'ostilità
-delle bestie omai lo teneva, egli si accostò da quella parte, con una
-ostinazione di ebro, per esperimentare di nuovo.
-
-Dentro una stalla bassa i tre vecchi cavalli di Michelangelo ansavano
-faticosamente su la mangiatoia. Erano bestie decrepite che avevano
-logorata la vita trascinando su per la strada di Chieti due volte
-al giorno la gran carcassa d'una diligenza piena di mercanti e di
-mercanzie. Sotto i loro peli bruni, qua e là rasati dalle bardature, le
-coste sporgevano come tante canne secche di una tettoia in rovina; le
-gambe anteriori piegate non avevano quasi più ginocchia; la schiena era
-dentata come una sega; e il collo spelato, dove a pena rimaneva qualche
-vestigio della criniera, si curvava verso terra così che talvolta le
-froge senza più soffio toccavano quasi le ugne consunte.
-
-Un cancello di legno, malfermo, sbarrava la porta.
-
-Turlendana cominciò a fare:
-
-— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush!
-
-I cavalli non si movevano; ma respiravano insieme, umanamente. E le
-forme dei loro corpi apparivano confuse nell'ombra turchiniccia; e il
-fetore dei loro aliti si mesceva al fetore dello strame.
-
-— Ush, ush, ush! — seguitava Turlendana, in suono lamentevole, come
-quando spingeva Barbará ad abbeverarsi.
-
-I cavalli non si movevano
-
-— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush!
-
-Uno dei cavalli si volse e venne a mettere la grossa testa deforme
-su 'l cancello, guardando dagli occhi che rilucevano alla luna come
-ripieni d'un'acqua torbida. Il labbro inferiore gli penzolava simile
-a un lembo di pelle flaccida, scoprendo la genciva. Le froge ad ogni
-soffio ripalpitavano nel tenerume umidiccio del muso, e si chiudevano
-talvolta con la stessa mollezza d'una bolla d'aria in una massa di
-lievito che fermenta, e si richiudevano.
-
-Alla vista di quella testa senile, l'ebro si risovvenne. Perchè dunque
-s'era empito di vino, egli così sobrio per consuetudine? Un momento, in
-mezzo all'ebrietà obliosa, la forma di Barbarà moribondo gli ricomparve
-dinanzi, la forma del camello che giaceva su 'l terreno e teneva su
-la paglia il lungo collo inerte e tossiva come un uomo e si agitava
-debolmente di tratto in tratto, mentre ad ogni moto il ventre gonfio
-produceva il rumore d'un barile a metà pieno d'acqua.
-
-Una gran tenerezza pietosa lo invase; e l'agonia del camello, con
-quelle scosse improvvise e quegli strani singhiozzi rauchi che facevano
-sussultare e vibrare sonoramente tutto l'enorme carcame semivivo, e
-con quegli sfarzi affannosi del collo che si sollevava un istante per
-ricadere su la paglia dando un romor sordo e grave mentre le gambe si
-movevano quasi in atto di correre, e con quel tremore continuo degli
-orecchi e quell'immobilità del globo oculare che pareva già spento
-prima d'ogni altra parte sensibile, l'agonia del camello gli ritornò
-nella memoria lucidamente in tutta la sua miseria umana. Ed egli,
-appoggiato al cancello, per un moto macchinale della bocca seguitava a
-fare verso il cavallo di Michelangelo:
-
-— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush!
-
-Con la persistenza inconscia degli ebri, con una ebetudine crescente,
-seguitava, seguitava; ed era una lamentazione monotona accorante, quasi
-lugubre come il canto degli uccelli notturni.
-
-— Ush, ush, ush!
-
-Allora Michelangelo, che dal suo letto udiva, d'improviso si affacciò
-alla finestra soprastante; e in furia si diede a caricar di contumelie
-e di imprecazioni il disturbatore.
-
-— Fijie di puttane, vatt'a jettà a la Piscare! Vatténne da ecche!
-Vatténne, ca mo pijie na varre. Fijie di puttane a turmendà li
-cristiani vuo' venì? 'Mbriache 'vrette! Vatténne!
-
-Turlendana si rimise a camminare, verso il fiume, barcollando. Al
-trivio dei fruttaiuoli una torma di cani stava in conciliabolo amoroso.
-Come l'uomo si appressò, la torma si disperse correndo verso il Bagno.
-Dal vicolo di Gesidio un'altra torma sbucò e prese la via dei Bastioni.
-Tutto il paese di Pescara, nel dolce plenilunio primaverile, era pieno
-di amori e di combattimenti canini. Il mastino di Madrigale, incatenato
-a guardia d'un bove ucciso, di tratto in tratto faceva sentire la sua
-voce profonda che dominava tutte le altre voci. Di tratto in tratto,
-qualche cane sbandato passava di gran corsa, solo, dirigendosi al luogo
-della mischia. Nelle case, i cani prigionieri ululavano.
-
-Ora, un turbamento più strano prendeva il cervello dell'ebro.
-Dinanzi a lui, dietro a lui, in torno a lui, la fuga imaginaria delle
-cose ricominciava più rapida. Egli si avanzava, e tutte le cose si
-allontanavano: le nuvole, gli alberi, le pietre, le rive del fiume,
-le antenne delle barche, le case. Questa specie di repulsione e di
-reprobazione universale lo empì di terrore. Si fermò. Un gorgoglio
-prolungato gli moveva le viscere. Subito, nella mente scomposta, gli
-balenò un pensiero. — Il lepre! Anche il lepre di Ciávola non voleva
-più restar con lui! — Il terrore gli crebbe; un tremito gli prese le
-gambe e le braccia. Ma, incalzato, discese fra i salici teneri e le
-alte erbe su la riva.
-
-La luna piena, radiante, spandeva per tutto il cielo una dolce
-serenità nivale. Gli alberi s'inclinavano in attitudini pacifiche alla
-contemplazione delle acque fuggitive. Quasi un respiro lento e solenne
-emanava dal sonno del fiume sotto la luna. Le rane cantavano.
-
-Turlendana stava quasi nascosto tra le piante. Le mani gli tremavano
-su i ginocchi. D'improvviso, egli sentì sotto di sè muoversi qualche
-cosa di vivo: una rana! Gittò un grido, si levò, si diede a correre
-traballando, in mezzo ai salici che lo fustigavano. Pel disordine de'
-suoi spiriti, egli era atterrito come da un fatto soprannaturale.
-
-A un avvallamento del terreno cadde, bocconi, con la faccia su l'erba.
-Si rialzò a gran fatica, e stette un momento a riguardare in torno gli
-alberi.
-
-Le forme argentee dei pioppi sorgevano immobili nell'aria, taciturne;
-e parevano inalzarsi fino alla luna, per un prolungamento ingannevole
-delle loro cime. Le rive del fiume si dileguavano indefinite,
-quasi immateriali, come le imagini dei paesi nei sogni. Su la parte
-destra gli estuari risplendevano d'una bianchezza abbagliante, d'una
-bianchezza salina, su cui ad intervalli le ombre gittate dalle nuvole
-migratrici passavano mollemente come veli azzurri. Più lungi la selva
-chiudeva l'orizzonte. Il profumo della selva e il profumo del mare si
-mescolavano.
-
-— Oh Turlendana! ooooh! — gridò una voce, chiarissima.
-
-Turlendana, stupefatto, si volse.
-
-— Oh Turlendanaaaaa!
-
-E Binchi-Banche apparve in compagnia di un finanziere, su 'l principio
-di un sentiero praticato dai marinai tra il folto dei salci.
-
-— Addó vai a 'st'ora? A piagne lu camelo? — chiese Binchi-Banche
-avvicinandosi.
-
-Turlendana non rispose subito. Si reggeva con le mani le brache,
-teneva le ginocchia un po' piegate innanzi; e nella faccia aveva una
-così strana espression di stupidezza e balbettava così miseramente che
-Binchi-Banche e il finanziere scoppiarono in grasse risa.
-
-— Va, va — disse l'omiciattolo grinzoso, prendendo l'ebro per le spalle
-e incamminandola verso la marina.
-
-Turlendana andò innanzi. Binchi-Banche ed il finanziere seguitavano a
-distanza, ridendo e parlando a voce bassa.
-
-Ora la verdura terminava e incominciavano la sabbie. Si udiva mormorare
-la maretta alla foce della Pescara.
-
-In una specie di bassura arenosa, tra le dune, Turlendana si incontrò
-con la carogna di Barbarà non ancora sepolta. Il gran corpo, tutto
-spellato, era sanguinolento; le masse adipose della schiena anche
-erano scoperte ed apparivano d'un colore giallognolo; su le gambe e su
-le cosce la pelle rimaneva con tutti i peli e i dischi callosi; nella
-bocca si vedevano i due denti enormi, angolosi, ricurvi della mandibola
-superiore e la lingua bianchiccia; il labbro di sotto era, chi sa
-perchè, reciso; e il collo somigliava ad un tronco di serpente.
-
-Turlendana, in conspetto di quello strazio, si mise a gridare scotendo
-la testa. Faceva un verso singolare, che non pareva umano.
-
-— Ahò! Ahò! Ahò!
-
-Poi, volendo chinarsi su 'l camello, stramazzò; si agitò invano per
-rialzarsi; e, vinto dal torpore del vino, rimase senza conoscenza.
-
-Binchi-Banche e il finanziere, come lo videro cadere, sopraggiunsero.
-Lo presero, l'uno da capo e l'altro da piedi; lo sollevarono, e
-lo adagiarono lungo su 'l corpo di Barbarà, atteggiandolo a un
-abbracciamento d'amore. Sghignazzavano i due operando.
-
-E così Turlendana giacque co 'l camello, sino all'aurora.
-
-
-
-
-IL CERUSICO DI MARE.
-
-
-Il trabaccolo _Trinità_, carico di fromento, salpò alla volta della
-Dalmazia, verso sera. Navigò lungo il fiume tranquillo, fra le paranze
-di Ortona ancorate in fila, mentre su la riva si accendevano fuochi e
-i marinai reduci cantavano. Passando quindi pianamente la foce angusta,
-uscì nel mare.
-
-Il tempo era benigno. Nel cielo di ottobre, quasi a fior delle acque,
-la luna piena pendeva come una dolce lampada rosea. Le montagne e le
-colline, dietro, avevano forma di donne adagiate. In alto, passavano le
-oche selvatiche, senza gridare, e si dileguavano.
-
-I sei uomini e il mozzo prima manovrarono d'accordo per prendere il
-vento. Poi, come le vele si gonfiarono nell'aria tutte colorate in
-rosso e segnate di figure rudi, i sei uomini si misero a sedere e
-cominciarono a fumare tranquillamente.
-
-Il mozzo prese a cantarellare una canzone della patria, a cavalcioni su
-la prua.
-
-Disse Talamonte maggiore, gittando un lungo sprazzo di saliva su
-l'acqua e rimettendosi in bocca la pipa gloriosa:
-
-— Lu tembe n'n ze mandéne.
-
-Alla profezia, tutti guardarono verso il largo; e non parlarono. Erano
-marinai forti e indurati alle vicende del mare. Avevano altre volte
-navigato alle isole dàlmate, e a Zara, a Trieste, a Spàlato; sapevano
-la via. Alcuni anche rammentavano con dolcezza il vino di Dignano, che
-ha il profumo delle rose, e i frutti delle isole.
-
-Comandava il trabaccolo Ferrante La Selvi. I due fratelli Talamonte,
-Cirù, Massacese e Gialluca formavano l'equipaggio, tutti nativi di
-Pescara. Nazareno era il mozzo.
-
-Essendo il plenilunio, indugiarono su'l ponte. Il mare era sparso di
-paranze che pescavano. Ogni tanto una coppia di paranze passava accanto
-al trabaccolo; e i marinai si scambiavano voci, familiarmente. La
-pesca pareva fortunata. Quando le barche si allontanarono e le acque
-ridivennero deserte, Ferrante e i Talamonte discesero sotto coperta
-per riposare. Massacese e Gialluca, poi ch'ebbero finito di fumare,
-seguirono l'esempio. Cirù rimase di guardia.
-
-Prima di scendere, Gialluca, mostrando al compagno una parte del collo,
-disse:
-
-— Guarda che tenghe a qua.
-
-Massacese guardò e disse:
-
-— Na cosa da niente. N'n ce penzà.
-
-C'era un rossore simile a quello che produce la puntura di un insetto,
-e in mezzo al rossore un piccolo nodo.
-
-Gialluca soggiunse:
-
-— Me dole.
-
-Nella notte si mutò il vento; e il mare cominciò ad ingrossare. Il
-trabaccolo si mise a ballare sopra le onde, trascinato a levante,
-perdendo cammino. Gialluca, nella manovra, gittava ogni tanto un
-piccolo grido, perchè ad ogni movimento brusco del capo sentiva dolore.
-
-Ferrante La Scivi gli domandò:
-
-— Che tieni?
-
-Gialluca, alla luce dell'alba, mostrò il suo male. Su la cute il
-rossore era cresciuto, ed un piccolo tumore aguzzo appariva nel mezzo.
-
-Ferrante, dopo avere osservato, disse anche lui:
-
-— Na cosa da niente. N'n ce penzà.
-
-Gialluca prese un fazzoletto e si fasciò il collo. Poi si mise a fumare.
-
-Il trabaccolo, scosso dai cavalloni e trascinato dal vento contrario,
-fuggiva ancora verso levante. Il rumore del mare copriva le voci.
-Qualche ondata si spezzava sul ponte, ad intervalli, con un suono
-sordo.
-
-Verso sera la burrasca si placò; e la luna emerse come una cupola di
-fuoco. Ma poichè il vento cadde, il trabaccolo rimase quasi fermo nella
-bonaccia; le vele si afflosciarono. Di tanto in tanto sopravveniva un
-soffio passeggiero.
-
-Gialluca si lamentava del dolore. Nell'ozio, i compagni cominciarono
-ad occuparsi del suo male. Ciascuno suggeriva un rimedio differente.
-Cirù, ch'era il più anziano, si fece innanzi e suggerì un empiastro di
-mele e di farina. Egli aveva qualche vaga cognizione medica, perchè la
-moglie sua in terra esercitava la medicina insieme con l'arte magica e
-guariva i mali con i farmachi e con le cabale. Ma la farina e le mele
-mancavano. La galletta non poteva essere efficace.
-
-Allora Cirù prese una cipolla e un pugno di grano: pestò il grano,
-tagliuzzò la cipolla, e compose l'empiastro. Al contatto di quella
-materia, Gialluca sentì crescere il dolore. Dopo un'ora si strappò dal
-collo la fasciatura e gittò ogni cosa in mare, invaso da un'impazienza
-irosa. Per vincere il fastidio, si mise al timone e resse la sbarra
-lungo tempo. S'era levato il vento, e le vele palpitavano gioiosamente.
-Nella chiara notte un'isoletta, che doveva essere Pelagosa, apparve in
-lontananza come una nuvola posata su l'acqua.
-
-Alla mattina Cirù, che omai aveva impreso a curare il male, volle
-osservare il tumore. La gonfiezza erasi dilatata occupando gran parte
-del collo ed aveva assunta una nuova forma e un colore più cupo che su
-l'apice diveniva violetto.
-
-— E che è quesse? — egli esclamò, perplesso, con un suono di voce
-che fece trasalire l'infermo. E chiamò Ferrante, i due Talamonte, gli
-altri.
-
-Le opinioni furono varie. Ferrante imaginò un male terribile da cui
-Gialluca poteva rimanere soffocato. Gialluca, con gli occhi aperti
-straordinariamente, un po' pallido, ascoltava i prognostici. Come
-il cielo era coperto di vapori, e il mare appariva cupo e stormi
-di gabbiani si precipitavano verso la costa gridando, una specie di
-terrore scese nell'animo di lui.
-
-Alla fine Talamonte minore sentenziò:
-
-— È 'na fava maligna.
-
-Gli altri assentirono:
-
-— Eh, po èsse'.
-
-Infatti, il giorno dopo, la cuticola del tumore fu sollevata da un
-siero sanguigno e si lacerò. E tutta la parte prese l'apparenza d'un
-nido di vespe, d'onde sgorgavano materie purulente in abbondanza.
-L'infiammazione e la suppurazione si approfondivano e si estendevano
-rapidamente.
-
-Gialluca, atterrito, invocò san Rocco che guarisce le piaghe. Promise
-dieci libbre di cera, venti libbre. Egli s'inginocchiava in mezzo al
-ponte, tendeva le braccia verso il cielo, faceva i voti con un gesto
-solenne, nominava il padre, la madre, la moglie, i figliuoli. D'in
-torno, i compagni si facevano il segno della croce, gravemente, ad ogni
-invocazione.
-
-Ferrante La Selvi, che sentì giungere un gran colpo di vento, gridò con
-la voce rauca un comando, in mezzo al romorìo del mare. Il trabaccolo
-si piegò tutto sopra un fianco. Massacese, i Talamonte, Cirù si
-gittarono alla manovra. Nazareno strisciò lungo un albero. Le vele in
-un momento furono ammainate: rimasero i due fiocchi. E il trabaccolo,
-barcollando da banda a banda, si mise a correre a precipizio su la cima
-dei flutti.
-
-— Sante Rocche! Sante Rocche! — gridava con più fervore Gialluca,
-eccitato anche dal tumulto circostante, curvo su le ginocchia e su le
-mani per resistere al rullìo.
-
-Di tratto in tratto un'ondata più forte si rovesciava su la prua:
-l'acqua salsa invadeva il ponte da un capo all'altro.
-
-— Va a basse! — gridò Ferrante a Gialluca.
-
-Gialluca discese nella stiva. Egli sentiva un calore molesto e
-un'aridezza febrile per tutta la pelle: e la paura del male gli
-chiudeva lo stomaco. Là sotto, nella luce fievole, le forme delle cose
-assumevano apparenze singolari. Si udivano i colpi profondi del flutto
-contro i fianchi del naviglio e gli scricchiolii di tutta quanta la
-compagine.
-
-Dopo mezz'ora, Gialluca riapparve su 'l ponte, smorto come se uscisse
-da un sepolcro. Egli amava meglio stare all'aperto, esporsi all'ondata,
-vedere gli uomini, respirare il vento.
-
-Ferrante, sorpreso da quel pallore, gli domandò:
-
-— E mo' che tieni?
-
-Gli altri marinai, dai loro posti, si misero a discutere i rimedii;
-ad alta voce, quasi gridando, per superare il fragore della burrasca.
-Si animavano. Ciascuno aveva un metodo suo. Ragionavano con sicurezza
-di dottori. Dimenticavano il pericolo, nella disputa. Massacese aveva
-visto, due anni avanti, un vero medico operare sul fianco di Giovanni
-Margadonna, in un caso simile. Il medico tagliò, poi strofinò con pezzi
-di legno intinti in un liquido fumante, bruciò così la piaga. Levò
-con una specie di cucchiaio la carne arsa che somigliava fondiglio di
-caffè. E Margadonna fu salvo.
-
-Massacese ripeteva, quasi esaltato, come un cerusico feroce:
-
-— S'ha da tajià! S'ha da tajià!
-
-E faceva l'atto del taglio, con la mano, verso l'infermo.
-
-Cirù fu del parere di Massacese. I due Talamonte anche convennero.
-Ferrante La Selvi scoteva il capo.
-
-Allora Cirù fece a Gialluca la proposta. Gialluca si rifiutò.
-
-Cirù, in un impeto brutale ch'egli non potè trattenere gridò:
-
-— Muòrete!
-
-Gialluca divenne più pallido e guardò il compagno con due larghi occhi
-pieni di terrore
-
-Cadeva la notte. Il mare nell'ombra pareva che urlasse più forte. Le
-onde luccicavano, passando nella luce gittata dal fanale di prua.
-La terra era lontana. I marinai stavano afferrati a una corda per
-resistere contro i marosi. Ferrante governava il timone, gettando di
-tratto in tratto una voce nella tempesta:
-
-— Va a basse, Giallù!
-
-Gialluca, per una strana ripugnanza a trovarsi solo, non voleva
-discendere quantunque il male lo travagliasse. Anch'egli si teneva
-alla corda, stringendo i denti nel dolore. Quando veniva una ondata,
-i marinai abbassavano la testa e mettevano un grido concorde, simile a
-quello con cui sogliono accompagnare un comune sforzo nella fatica.
-
-Uscì la luna da una nuvola, diminuendo l'orrore. Ma il mare si mantenne
-grosso tutta la notte.
-
-La mattina Gialluca, smarrito, disse ai compagni:
-
-— Tajiáte.
-
-I compagni prima s'accordarono gravemente; tennero una specie di
-consulto decisivo. Poi osservarono il tumore ch'era eguale al pugno
-di un uomo. Tutte le aperture, che dianzi gli davano l'apparenza di un
-nido di vespe o di un crivello, ora ne formavano una sola.
-
-Disse Massacese:
-
-— Curagge! Avande!
-
-Egli doveva essere il cerusico. Provò su l'unghia la tempra delle lame.
-Scelse infine il coltello di Talamonte maggiore, ch'era affilato di
-fresco. Ripetè:
-
-— Curagge! Avande!
-
-Quasi un fremito d'impazienza scoteva lui e gli altri.
-
-L'infermo ora pareva preso da uno stupidimento cupo. Teneva gli occhi
-fissi su 'l coltello, senza dire niente, con la bocca semiaperta, con
-le mani penzoloni lungo i fianchi, come un idiota.
-
-Cirù lo fece sedere, gli tolse la fasciatura, mettendo con le labbra
-quei suoni istintivi che indicano il ribrezzo. Un momento, tutti si
-chinarono su la piaga, in silenzio, a guardare. Massacese disse:
-
-— Cusì e cusì, — indicando con la punta del coltello la direzione dei
-tagli.
-
-Allora, d'un tratto, Gialluca ruppe in un gran pianto. Tutto il suo
-corpo veniva scosso dai singhiozzi.
-
-— Curagge! Curagge! — gli ripetevano i marinai, prendendolo per le
-braccia.
-
-Massacese incominciò l'opera. Al primo contatto della lama, Gialluca
-gittò un urlo; poi stringendo i denti, metteva quasi un muggito
-soffocato.
-
-Massacese tagliava lentamente, ma con sicurezza; tenendo fuori la
-punta della lingua, per una abitudine ch'egli aveva nel condur le cose
-con attenzione. Come il trabaccolo barcollava, il taglio riusciva
-ineguale; il coltello ora penetrava più, ora meno. Un colpo di mare
-fece affondare la lama dentro i tessuti sani. Gialluca gittò un altro
-urlo, dibattendosi, tutto sanguinante, come una bestia tra le mani dei
-beccai. Egli non voleva più sottomettersi.
-
-— No, no, no!
-
-— Vien' a qua! Vien' a qua! — gli gridava Massacese, dietro, volendo
-seguitare la sua opera perchè temeva che il taglio interrotto fosse più
-pericoloso.
-
-Il mare, ancora grosso, romoreggiava in torno, senza fine. Nuvole in
-forma di trombe sorgevano dall'ultimo termine ed abbracciavano il
-cielo deserto d'uccelli. Oramai, in mezzo a quel frastuono, sotto
-quella luce, una eccitazione singolare prendeva quegli uomini.
-Involontariamente, essi nel lottare col ferito per tenerlo fermo,
-s'adiravano.
-
-— Vien' a qua!
-
-Massacese fece altre quattro o cinque incisioni, rapidamente, a
-caso. Sangue misto a materie biancastre sgorgava dalle aperture.
-Tutti n'erano macchiati, tranne Nazareno che stava a prua, tremante,
-sbigottito dinanzi all'atrocità della cosa.
-
-Ferrante La Selvi, che vedeva la barca pericolare, diede un comando a
-squarciagola:
-
-— Molla le scòtteee! Butta 'l timone a l'ôrsa!
-
-I due Talamonte, Massacese, Cirù manovrarono. Il trabaccolo riprese
-a correre beccheggiando. Si scorgeva Lissa in lontananza. Lunghe zone
-di sole battevano su le acque, sfuggendo di tra le nuvole; e variavano
-secondo le vicende celesti.
-
-Ferrante rimase alla sbarra. Gli altri marinai tornarono a Gialluca.
-Bisognava nettare le aperture, bruciare, mettere le filacce.
-
-Ora il ferito era in una prostrazione profonda. Pareva che non capisse
-più nulla. Guardava i compagni, con due occhi smorti, già torbidi come
-quelli degli animali che stanno per morire. Ripeteva ad intervalli,
-quasi fra sè:
-
-— So' morto! So' morto!
-
-Cirù, con un po' di stoppa grezza, cercava di pulire; ma aveva la mano
-rude, irritava la piaga. Massacese, volendo fino all'ultimo seguire
-l'esempio del cerusico di Margadonna, aguzzava certi pezzi di legno
-d'abete, con attenzione. I due Talamonte si occupavano del catrame,
-poichè il catrame bollente era stato scelto per bruciare la piaga.
-Ma era impossibile accendere il fuoco su 'l ponte che ad ogni momento
-veniva allagato. I due Talamonte discesero sotto coperta.
-
-Massacese gridò a Cirù:
-
-— Lava nghe l'acqua de mare!
-
-Cirù seguì il consiglio. Gialluca si sottometteva a tutto, facendo un
-lagno continuo, battendo i denti. Il collo gli era diventato enorme,
-tutto rosso, in alcuni punti quasi violaceo. In torno alle incisioni
-cominciavano ad apparire alcune chiazze brunastre. L'infermo provava
-difficoltà a respirare, a inghiottire; e lo tormentava la sete.
-
-— Arcummánnete a sante Rocche — gli disse Massacese che aveva finito di
-aguzzare i pezzi di legno e che aspettava il catrame.
-
-Spinto dal vento, il trabaccolo ora deviava in su, verso Sebenico,
-perdendo di vista l'isola. Ma quantunque le onde fossero ancora forti,
-la burrasca accennava a diminuire. Il sole era a mezzo del cielo, tra
-nuvole color di ruggine.
-
-I due Talamonte vennero con un vaso di terra pieno di catrame fumante.
-
-Gialluca s'inginocchiò, per rinnovare il voto al santo. Tutti si fecero
-il segno della croce.
-
-— Oh sante Rocche, sálveme! Te 'mprumette 'na lampa d'argente e
-l'uoglie pe' tutte l'anne e trenta libbre de ciere. Oh sante Rocche,
-sálveme tu! Tenghe la mojie e li fijie... Pietà! Misericordie, sante
-Rocche mi'!
-
-Gialluca teneva congiunte le mani; parlava con voce che pareva non
-fosse più la sua. Poi si rimise a sedere, dicendo semplicemente a
-Massacese:
-
-— Fa.
-
-Massacese avvolse in torno ai pezzi di legno un po' di stoppa; e a mano
-a mano ne tuffava uno nel catrame bollente e con quello strofinava la
-piaga. Per rendere più efficace e profonda la bruciatura, versò anche
-il liquido nelle ferite. Gialluca non mosse un lamento. Gli altri
-rabbrividivano, in conspetto di quello strazio.
-
-Disse Ferrante La Selvi, dal suo posto, scotendo il capo:
-
-— L'avet'accise!
-
-Gli altri portarono sotto coperta Gialluca semivivo; e l'adagiarono
-sopra una branda. Nazareno rimase a guardia, presso l'infermo. Si
-udivano di là le voci gutturali di Ferrante che comandava la manovra e
-i passi precipitati dei marinai. La _Trinità_ virava, scricchiolando. A
-un tratto Nazareno si accorse d'una falla in cui entrava acqua; chiamò.
-I marinai discesero, in tumulto. Gridavano tutti insieme, provvedendo
-in furia a riparare. Pareva un naufragio.
-
-Gialluca, benchè prostrato di forze e d'animo, si rizzò su la branda,
-imaginando che la barca andasse a picco; e s'aggrappò disperatamente a
-uno dei Talamonte. Supplicava, come una femmina:
-
-— Nen me lasciate! Nen me lasciate!
-
-Lo calmarono; lo riadagiarono. Egli ora aveva paura; balbettava
-parole insensate; piangeva; non voleva morire. Poichè l'infiammazione
-crescendo gli occupava tutto tutto il collo e la cervice e si
-diffondeva anche pe 'l tronco a poco a poco, e la gonfiezza diveniva
-ancor più mostruosa, egli si sentiva strozzare. Spalancava ogni tanto
-la bocca per bevere l'aria.
-
-— Portateme sopra! A qua me manghe l'arie; a qua me more....
-
-Ferrante richiamò gli uomini sul ponte. Il trabaccolo ora bordeggiando
-cercava di acquistare cammino. La manovra era complicata. Ferrante
-spiava il vento e dava il comando utile, stando al timone. Come più il
-vespro si avvicinava, le onde si placavano.
-
-Dopo qualche tempo, Nazareno venne sopra, tutto sbigottito, gridando:
-
-— Gialluca se more! Gialluca se more!
-
-I marinai corsero; e trovarono il compagno già morto su la branda, in
-un'attitudine scomposta, con gli occhi aperti, con la faccia tumida,
-come un uomo strangolato.
-
-Disse Talamonte maggiore:
-
-— È mo'?
-
-Gli altri tacquero, un po' smarriti, dinanzi al cadavere.
-
-Risalirono su 'l ponte, in silenzio. Talamonte ripeteva:
-
-— È mo'?
-
-Il giorno si ritirava lentamente dalle acque. Nell'aria veniva la
-calma. Un'altra volta le vele si afflosciavano e il naviglio rimaneva
-senza avanzare. Si scorgeva l'isola di Solta.
-
-I marinai, riuniti a poppa, ragionavano del fatto. Un'inquietudine
-viva occupava tutti gli animi: Massacese era pallido e pensieroso. Egli
-osservò:
-
-— Avéssene da dice che l'avéme fatte murì nu áutre? Avasséme da passà
-guai?
-
-Questo timore già tormentava lo spirito di quegli uomini superstiziosi
-e diffidenti. Essi risposero:
-
-— È lu vere.
-
-Massacese incalzò:
-
-— Mbé? Che facéme?
-
-Talamonte maggiore disse, semplicemente:
-
-— È morte? Jettámele a lu mare. Facéme vedé ca l'avéme pirdute 'n
-mezz'a lu furtunale... Certe, n'arrièsce.
-
-Gli altri assentirono. Chiamarono Nazareno.
-
-— Oh, tu... mute come nu pesce.
-
-E gli suggellarono il segreto nell'animo, con un segno minaccioso.
-
-Poi discesero a prendere il cadavere. Già le carni del collo davano
-odore malsano; le materie della suppurazione gocciolavano, ad ogni
-scossa.
-
-Massacese disse:
-
-— Mettémele dentr'a nu sacche.
-
-Presero un sacco; ma il cadavere ci entrava per metà. Legarono il sacco
-alle ginocchia, e le gambe rimasero fuori. Si guardavano d'in torno,
-istintivamente, facendo l'operazione mortuaria. Non si vedevano vele;
-il mare aveva un ondeggiamento largo e piano, dopo la burrasca; l'isola
-di Solta appariva tutt'azzurra, in fondo.
-
-Massacese disse:
-
-— Mettémece pure 'na preta.
-
-Presero una pietra fra la zavorra, e la legarono ai piedi di Gialluca.
-
-Massacese disse:
-
-— Avande!
-
-Sollevarono il cadavere fuori del bordo e lo lasciarono scivolare nel
-mare. L'acqua si richiuse gorgogliando; il corpo discese da prima con
-una oscillazione lenta; poi si dileguò.
-
-I marinai tornarono a poppa, ed aspettarono il vento. Fumavano, senza
-parlare. Massacese ogni tanto faceva un gesto involontario, come fanno
-talora gli uomini cogitabondi.
-
-Il vento si levò. Le vele si gonfiarono, dopo avere palpitato un
-istante. La _Trinità_ si mosse nella direzione di Solta. Dopo due ore
-di buona rotta, passò lo stretto.
-
-La luna illuminava le rive. Il mare aveva quasi una tranquillità
-lacustre. Dal porto di Spálato uscivano due navigli, e venivano
-incontro alla _Trinità_. Le due ciurme cantavano.
-
-Udendo la canzone, Cirù disse:
-
-— Toh! So' di Piscare.
-
-Vedendo le figure e le cifre delle vele, Ferrante disse:
-
-— So' li trabaccule di Raimonde Callare.
-
-E gittò la voce.
-
-I marinai paesani risposero con grandi clamori. Uno dei navigli era
-carico di fichi secchi, e l'altro di asinelli.
-
-Come il secondo dei navigli passò a dieci metri dalla _Trinità_, varii
-saluti corsero. Una voce gridò:
-
-— Oh Giallù! Addó sta Gialluche?
-
-Massacese rispose:
-
-— L'avéme pirdute a mare, 'n mezz'a lu furtunale. Dicétele a la mamme.
-
-Alcune esclamazioni allora sorsero dal trabaccolo degli asinelli; poi
-gli addii.
-
-— Addie! Addie! A Piscare! A Piscare!
-
-E allontanandosi le ciurme ripresero la canzone, sotto la luna.
-
-
-
-
-INDICE.
-
-
- Pag.
-
- La vergine Orsola 1
- La vergine Anna 86
- Gli idolatri 165
- L'eroe 186
- La veglia funebre 194
- La contessa d'Amalfi 209
- La morte del duca d'Ofena 255
- Il traghettatore 276
- Agonia 307
- La fine di Candia 319
- La fattura 337
- I marenghi 364
- La madia 374
- Mungià 383
- La guerra del Ponte 397
- Turlendana ritorna 421
- Turlendana ebro 437
- Il cerusico di mare 448
-
-
-
-
- _OPERE di GABRIELE D'ANNUNZIO_
-
- I ROMANZI DELLA ROSA:
-
- Il Piacere L. 5 —
- L'Innocente 4 —
- Trionfo della Morte 5 —
-
- I ROMANZI DEL GIGLIO:
-
- Le Vergini delle Rocce 5 —
- La Grazia *.
- L'Annunziazione *.
-
- I ROMANZI DEL MELAGRANO:
-
- Il Fuoco 5 —
- La Vittoria dell'Uomo *.
- Trionfo della Vita *.
-
- Le Novelle della Pescara 4 —
-
- POESIE:
-
- Canto novo; Intermezzo 4 —
- L'Isottéo; la Chimera 4 —
- Poema paradisiaco; Odi navali 4 —
- La Canzone di Garibaldi: La Notte di Caprera 1 50
- In morte di Giuseppe Verdi. Canzone preceduta da una
- Orazione ai giovani 1 —
- Nel primo centenario della nascita di Vittor
- Hugo — MDCCCII-MCMII — ode 1 —
- Laudi del Cielo, del Mare, della Terra e degli Eroi
- _Vol. I:_ Laus Vitæ. Legato in finta pergamena 8 —
- — Legato in vera pergamena 12 —
- _Vol. II:_ Elettra — Alcione. Legato in finta
- pergamena 10 —
- — Legato in vera pergamena 14 —
- L'Allegoria dell'Autunno 1 —
-
- DRAMI:
-
- Francesca da Rimini, tragedia in 5 atti 7 50
- — Legata in vera pergamena con fregi e nastri di
- stile antico 12 —
- Francesca da Rimini. Edizione econom. 4 —
- La Città morta, tragedia in 5 atti 4 —
- La Gioconda, tragedia in 4 atti 4 —
- La Gloria, tragedia in 5 atti 4 —
- La Figlia di Iorio, tragedia in 3 atti 4 —
-
- I Sogni delle Stagioni
- Sogno d'un mattino di primavera 2 —
- * Sogno d'un meriggio d'estate.
- Sogno d'un tramonto d'autunno 2 —
- * Sogno d'una notte d'inverno.
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici.
-
-
-
-
-
-End of Project Gutenberg's Le Novelle della Pescara, by Gabriele D'Annunzio
-
-*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LE NOVELLE DELLA PESCARA ***
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-Project Gutenberg's Le Novelle della Pescara, by Gabriele D'Annunzio
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-
-
-Title: Le Novelle della Pescara
-
-Author: Gabriele D'Annunzio
-
-Release Date: October 1, 2016 [EBook #53184]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LE NOVELLE DELLA PESCARA ***
-
-
-
-
-Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online
-Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This
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-
-
-
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-
-</pre>
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-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-Le Novelle della Pescara.
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver" />
-
-<div class="titlepage">
-<p class="x-large">
-Gabriele d'Annunzio
-</p>
-
-<p class="pad2 main-t">
-Le Novelle
-della Pescara
-</p>
-
-<p class="pad4 small">
-LA VERGINE ORSOLA. — LA VERGINE ANNA.<br />
-GLI IDOLATRI. — L'EROE. — LA VEGLIA FUNEBRE.<br />
-LA CONTESSA D'AMALFI. — LA MORTE DEL DUCA D'OFENA.<br />
-IL TRAGHETTATORE. — L'AGONIA. — LA FINE DI CANDIA. — LA FATTURA.<br />
-I MARENGHI. — LA MADIA. — MUNGIÀ. — LA GUERRA DEL PONTE.<br />
-TURLENDANA RITORNA. — TURLENDANA EBRO.<br />
-IL CERUSICO DI MARE.
-</p>
-
-<p class="pad6">
-MILANO<br />
-<span class="small">FRATELLI TREVES, EDITORI.<br />
-1904</span><br />
-—<br />
-<span class="small"><b>Settimo migliaio.</b></span>
-</p>
-</div>
-
-<div class="verso">
-<hr class="mid" />
-<p>
-PROPRIETÀ LETTERARIA
-</p>
-
-<p>
-<i>I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati
-per tutti i paesi, compreso il Regno di Svezia e di Norvegia</i>
-</p>
-
-<p>
-Tip. Fratelli Treves.
-</p>
-<hr class="mid" />
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr />
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr />
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span></p>
-
-<h2 id="orsola">LA VERGINE ORSOLA.</h2>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Il viatico uscì dalla porta della chiesa a mezzogiorno.
-Su tutte le strade era la primizia della
-neve, su tutte le case la neve. Ma in alto grandi
-isole azzurre apparivano tra le nuvole nevose,
-si dilatavano sul palazzo di Brina lentamente,
-s'illuminavano verso la Bandiera. E nell'aria
-bianca, sul paese bianco appariva ora subitamente
-il miracolo del sole.
-</p>
-
-<p>
-Il viatico s'incamminava alla casa di Orsola
-dell'Arca. La gente si fermava a veder passare
-il prete incedente a capo nudo, con la stola violacea,
-sotto l'ampio ombrello scarlatto, tra le
-lanterne portate dai clerici accese. La campanella
-squillava limpidamente accompagnando i
-salmi susurrati dal prete. I cani vagabondi si
-scansavano nei vicoli al passaggio. Mazzanti
-<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span>
-cessò di ammucchiare la neve all'angolo della
-piazza e si scoprì la zucca inchinandosi. Si spandeva
-in quel punto dal forno di Flaiano nell'aria
-l'odore caldo e sano del pane recente.
-</p>
-
-<p>
-Nella casa dell'inferma gli astanti udirono gli
-squilli, e udirono su per le scale il salire dei
-vegnenti. La vergine Orsola era sul letto, supina,
-tenuta dallo stupore della febbre, da una
-sonnolenza inerte, con la respirazione frequente
-rotta da i rantoli. Posava sul guanciale la testa
-quasi nuda di capelli, la faccia d'un colore quasi
-ceruleo ove le palpebre erano semichiuse sopra
-gli occhi vischiosi e le narici parevano annerite
-dal fumo. Ella faceva con le mani scarne piccoli
-gesti incerti, vaghi conati di prendere qualche
-cosa nel vuoto, strani segni improvvisi che
-davano quasi un senso di terrore a chi stava da
-presso; e nelle braccia pallide le passavano le
-contrazioni dei fasci muscolari, i sussulti dei tendini;
-e a volte un balbettamento inintelligibile
-le usciva dalle labbra, come se le parole le si
-impigliassero nella fuliggine della lingua, nel
-muco tenace delle gengive.
-</p>
-
-<p>
-Nella stanza si faceva quel silenzio tragico che
-suole precedere gli avvenimenti supremi, un silenzio
-dove il respiro dell'inferma e i gesticolamenti
-<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
-incerti e le irruzioni rauche della tosse
-aggravavano l'attesa della morte. Dalle finestre
-aperte entrava l'aria pura ed uscivano le esalazioni
-della malattia. Un vivo baglior bianco si
-rifrangeva dalla neve coprente i cornicioni e i
-capitelli corintii dell'arco di Portanova: il fiore
-cristallino dei ghiaccioli scintillava d'iridi all'altezza
-della stanza. Nell'interno, su le pareti, pendevano
-grandi medaglie sacre d'ottone, imagini
-di santi. Sotto un vetro una Madonna di Loreto
-tutta nera il volto il seno le braccia, come un
-idolo barbarico, luceva nella sua veste adorna
-di mezze lune d'oro. In un angolo, un piccolo
-altare candido portava un vecchio crocifisso di
-madreperla, tra due boccali turchini di Castelli
-pieni d'erbe aromatiche.
-</p>
-
-<p>
-Camilla, la sorella, l'unica parente, presso al
-letto, pallidissima, tergeva le labbra nerastre e
-i denti incrostati dell'inferma con un lino umido
-di aceto. Don Vincenzo Bucci, il medico, seduto,
-guardava il pomo d'argento della bella mazza,
-le belle corniole incise ch'egli aveva negli anelli
-delle dita, aspettando. Teodora La Jece, una
-tessitrice vicina, stava ritta, in silenzio, tutta intenta
-nell'atteggiare a dolore la faccia bianca e
-lentigginosa, gli occhi d'acciaio, la bocca crudele.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span>
-</p>
-
-<p>
-— <i>Pax huic domui</i> — disse il prete entrando.
-Apparve all'uscio Don Gennaro Tierno, lunghissimo
-e smilzo su piedi enormi, con i movimenti
-di un bruco che si snodi. Veniva dietro di lui
-Rosa Catena, una femmina che avea fatto pubblica
-professione d'impudicizia al suo tempo
-verde e che ora si salvava l'anima assistendo i
-moribondi, lavando i cadaveri, vestendoli e accomodandoli
-nella bara, senza prender mercede.
-</p>
-
-<p>
-Nella stanza di Orsola tutti erano in ginocchio,
-chini la faccia. L'inferma non udiva; una
-stupefazione intensa le teneva ancora i sensi.
-E l'aspersorio si levò su di lei, lucido nell'aria,
-aspergendo il letto.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Asperges me, Domine, hyssopo, et mundabor...</i>
-Ma Orsola non sentì l'onda purificatrice che
-la rendeva più bianca della neve innanzi al suo
-Signore.
-</p>
-
-<p>
-Ella stirava davanti a sè con le dita fragili
-le coperte, aveva un moto tremulo nelle labbra,
-nella gola il gorgoglio della parola che ella non
-poteva profferire.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Exaudi nos, Domine sancte...</i>
-</p>
-
-<p>
-Allora uno scoppio di pianto risonò fra le parole
-latine, e Camilla nascose nella sponda del
-letto la faccia rigata di lacrime. Il medico s'era
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-accostato e teneva fra le dita inanellate il polso
-di Orsola. Egli voleva scuoterla, apprestarla a
-ricevere il Sacramento dalle mani del sacerdote
-di Gesù Cristo, fare che ella porgesse la
-lingua all'ostia.
-</p>
-
-<p>
-Orsola balbettò, gesticolò ancora vagamente
-nel vuoto, mentre la sollevavano su i guanciali.
-Ella non udiva se non un tintinno nei nervi dell'orecchio
-perturbati, a tratti un gridìo, a tratti
-una musica. Come fu sollevata, subitamente il
-rossore livido della faccia si mutò in un pallore
-di cadavere; la vescica di ghiaccio cadde dalla
-testa sul lenzuolo.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Misereatur...</i>
-</p>
-
-<p>
-Porse ella finalmente la lingua tremante, coperta
-d'una crosta mista di muco e di sangue
-nerastro, dove l'ostia vergine si posò.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccata
-mundi...</i>
-</p>
-
-<p>
-Ma ella non ritirò la lingua a quel contatto,
-perchè non aveva conscienza di quel che faceva:
-lo stupidimento non era rotto dal lume dell'Eucaristia.
-Camilla guardava con gli occhi rossi
-pieni di terrore e di dolore quella faccia terrea
-dove ogni segno di vita mancava a poco a
-poco, quella bocca aperta che pareva la bocca
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-di uno strangolato. Il prete seguitava, nella solennità
-del suo ministerio, le preghiere latine
-lentamente. Tutti gli altri rimanevano genuflessi,
-sotto il diffuso albore che fuori dalla neve suscitava
-il meriggio. L'odore del pane caldo salì
-col vento e fece fremere le papille del naso ai
-clerici.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Oremus!...</i>
-</p>
-
-<p>
-Agli eccitamenti del medico Orsola richiuse
-le labbra. La riadagiarono supina; poichè il
-prete entrava nel sacramento dell'Estrema Unzione.
-I clerici genuflessi ripetevano sommessamente
-l'antifona dei sette Salmi penitenziali.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Ne reminiscaris.</i>
-</p>
-
-<p>
-Teodora La Jece metteva di tratto in tratto
-un singulto soffocato, coperta il volto con le
-palme, a' piedi del letto. Rosa Catena stava ritta,
-accanto, con un occhio semichiuso da cui le colava
-di continuo un liquido giallognolo e con
-l'altro occhio cieco e bianco per un'albùgine;
-scorreva un rosario, mormorando. E mentre i
-Salmi sommessamente dal pavimento si elevavano,
-su quel mormorio confuso dominava la
-formula sacra del prete ungente in croce gli occhi,
-gli orecchi, le narici, la bocca, le mani dell'inferma
-inerte.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-</p>
-
-<p>
-— <i>... indulgeat tibi Dominus quidquid per gressum
-deliquisti. Amen.</i>
-</p>
-
-<p>
-Fu Camilla che scoperse i piedi della sorella:
-apparvero tra le coperte due piedi gialli, squamosi,
-lividi nelle unghie, che al tatto davano
-un ribrezzo di membra morte. E su quella pelle
-secca le lacrime caddero, si mescolarono con
-l'unzione estrema.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrie eleison.
-Pater noster...</i>
-</p>
-
-<p>
-L'unta del Signore stava ora immobile, respirando,
-con gli occhi chiusi dinanzi alla luce, con
-le ginocchia sollevate e le mani strette fra le
-cosce, nell'atteggiamento abituale dei tifosi. E
-il prete, poi ch'ebbe premuto su le labbra di
-lei per l'ultima volta il crocefisso, fatto il segno
-della croce alto in mezzo alla stanza con la gran
-mano, uscì seguito dai clerici. Vagava ancora
-nella stanza quell'odore svanito d'incenso e di
-cera che hanno le vesti sacerdotali. Fuori, sotto
-le finestre, Matteo Puriello martellava le suola,
-canticchiando.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-I segni del male declinavano lentamente in
-favore: succedeva ora il quarto settenario, succedeva
-ora al sopore stupido la quiete naturale
-del sonno, una quiete durevole in cui a poco a
-poco tutte le perturbazioni della conscienza si
-sedavano e le facoltà del senso si facevano
-meno torbide e la frequenza della respirazione
-diminuiva. Ma una tosse aspra scoppiava a
-tratti nel petto dell'inferma, facendo sussultare
-le vertebre; una distruzione dolorosa della pelle
-e dei tessuti molli si compiva ai gomiti, alle
-ginocchia, all'estremità della schiena, di giorno
-in giorno. Quando Camilla si chinava sul letto
-chiamando: — Orsola! — la sorella tentava
-d'aprire gli occhi, di volgersi verso la voce. Ma
-la debolezza la opprimeva; lo stupore torpido
-le occupava di nuovo il senso.
-</p>
-
-<p>
-Ella aveva fame, aveva fame. Una bramosìa
-bestiale di cibo le torturava le viscere vuote,
-le dava alla bocca quel movimento vago delle
-mandibole chiedenti qualche cosa da masticare,
-le dava talvolta alle povere ossa delle mani
-quelle contrazioni prensili che hanno le dita
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-delle scimmie golose alla vista del pomo. Era
-la fame canina nella convalescenza del tifo,
-quella terribile avidità di nutrimento vitale in
-tutte le cellule del corpo impoverite dal lungo
-malore. Una scarsa onda di sangue restava a
-pena circolante pei tessuti; nel cervello debolmente
-irrigato ogni attività ristagnava come in
-una macchina a cui la forza motrice del liquido
-difetti. Soltanto, in quella materia disordinatamente
-ora si producevano certe vibrazioni determinanti
-certi atti che nella vita anteriore
-erano abituali; nè di quel lavorìo meccanico
-aveva la convalescente conscienza. Ella per lo
-più diceva ad alta voce le letanie; divideva in
-sillabe parole senza nesso; minacciava punizioni
-a discepoli; cantava le strofe quinarie di un inno
-a Gesù. Aveva per lo più nell'indice della mano
-sinistra un moto di indicazione scorrente su
-l'orlo del lenzuolo, come se ella con quel segno
-guidasse l'occhio dei discepoli su le righe del
-libro. Poi, talvolta, la sua voce si sollevava,
-prendeva una solennità quasi minacciosa, pronunciando
-le ammonizioni delle <i>sette trombe</i>, ricordando
-confusamente le parole di fra Bartolomeo
-da Saluzzo ai peccatori, avendo forse
-negli occhi stupefatti la visione di quelle vecchie
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-stampe impresse dal legno piene di deformi angeli
-tubanti e di demonii debellati. Ma negli occhi
-non mai aveva uno sguardo. Le palpebre
-pesanti coprivano l'iride a metà, quell'iride senza
-colore spersa nella sclerotica che pareva come
-velata da un muco giallastro. Ella stava nel suo
-letto distesa, con il capo su due guanciali. Quasi
-tutti i capelli le erano caduti nella malattia; un
-pallor terreo, di quei pallori sotto cui pare non
-anche possa rimanere la vita, le occupava la
-faccia, le cavità della faccia; e il teschio ne
-traspariva, e da tutta la restante aridezza della
-pelle lo scheletro traspariva, e intorno a tutto
-quell'ossame nei punti di pressione sul letto i
-tessuti aderenti degeneravano. Solo, un'immensa
-fame animava quella rovina, torturava gl'intestini
-ove le ulceri tifose si cicatrizzavano lentamente.
-</p>
-
-<p>
-Fuori, era la novena di Natale, la bella festività
-de' vecchi e de' fanciulli. Erano certi vespri
-chiari e rigidi, sotto cui tutto il paese di
-Pescara si popolava di marinari e si empiva
-dei suoni delle zampogne. L'odore acuto delle
-zuppe di pesce si propagava nell'aria dalle cantine
-aperte. Lentamente alle finestre, alle porte,
-nelle vie i lumi apparivano. Il sole indugiava
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-roseo su i terrazzi di pietra della casa di Farina,
-sui comignoli della casa di Memma, sul
-campanile di San Giacomo. Le altezze illustri
-dominavano come fari sul paese occupato dall'ombra.
-Poi, d'un tratto, la notte cominciava a
-constellare i firmamenti; sopra le case di Sant'Agostino
-una mezza luna si affacciava dal bastione
-tra il fanale rosso e il pino del telegrafo,
-crescendo.
-</p>
-
-<p>
-Alla stanza di Orsola tutta quell'animazione
-di vita saliva in un romorìo confuso di alveare
-che si sveglia.
-</p>
-
-<p>
-Le pastorali delle zampogne si avvicinavano,
-di casa in casa, di porta in porta. Avevano una
-religiosa e familiare letizia quei suoni che i ciociari
-di Atina traevano da un otre di pecora
-e da un gruppo di canne forate. La convalescente
-udiva, si sollevava sul letto; poichè quella
-sensazione le ridestava i fantasmi di altre sensazioni
-trascorse, e gli occhi le si empivano tutti
-di visione sacra, di presepi raggianti e di bianchi
-peregrinaggi d'angeli in azzurri immacolati.
-Ella si metteva a cantare le laudi, tendendo le
-braccia, restando talvolta con la bocca aperta
-mentre la voce negli organi le mancava; si
-metteva a laudare Gesù con una elevazione ardente
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-e dolce di amore, trasportata dai suoni
-delle pastorali appressantisi, allucinata dalle imagini
-sante delle pareti. Ascendeva ai cieli, tra
-le musiche dei cherubini, tra i vapori della mirra
-e dell'incenso.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Hosanna!</i>
-</p>
-
-<p>
-La voce le mancava. Ella tendeva le braccia.
-Camilla, da presso, voleva riadagiarla su i guanciali;
-si sentiva come soggiogare da quel cieco
-entusiasmo di fede: le tremavano le mani, le
-labbra. Orsola ricadeva stesa, con il capo abbandonato,
-scoperta la gola e il petto, mostrando
-degli occhi solo il bianco nel gran pallore, sorridente
-a qualche cosa invisibile, in un atteggiamento
-di vergine martire. Le zampogne passavano;
-tardi passavano le canzoni del vino
-urlate dai marinari nella notte tornanti alle barche
-della Pescara.
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-L'istinto della fame si ridestava vivissimo,
-come più chiara si faceva la coscienza. Quando
-dal forno di Flaiano saliva nell'aria l'odore
-caldo del pane, Orsola chiedeva; chiedeva con
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-un accento di mendicante famelica, tendeva la
-mano, supplicando, alla sorella. Divorava rapidamente,
-con un godimento brutale di tutto
-l'essere, guardando d'intorno se qualcuno tentasse
-strapparle di tra le mani il cibo, in sospetto.
-</p>
-
-<p>
-La convalescenza era lunga e lenta; ma
-già un senso mite di sollievo cominciava a
-spargersi per le membra, a liberare il capo.
-Per quella sana nutrizione di albume e di carne
-muscolare un sangue novello si produceva: i
-polmoni dilatati ora largamente dall'aria vivificavano
-il sangue carico di sostanze; e i
-tessuti irrigati dall'onda tiepida e rapida si colorivano
-ricomponendosi, si rinnovellavano nelle
-piaghe di decubito, si ricoprivano di cute a
-poco a poco; e le attività cerebrali a quell'affluire
-operavano sicure; e le innervazioni
-negli organi sensorii non più perturbate rendevano
-limpida la sensazione; e sul cranio i
-bulbi capilliferi rigermogliavano densi; e da
-quel riordinamento delle leggi meccaniche della
-vita, da quel dispiegarsi di energie prima
-latenti che la malattia aveva provocate, da
-quella intensa brama che la convalescente
-aveva di vivere e di sentirsi vivere, da tutto,
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-lentamente, quasi in una seconda nascita, una
-creatura migliore sorgeva.
-</p>
-
-<p>
-Erano i giorni primi di febbraio.
-</p>
-
-<p>
-Dal suo letto Orsola vedeva la sommità dell'arco
-di Portanova, i mattoni rossicci tra cui
-crescevano l'erbe, i capitelli sgretolati dove le
-rondini avrebbero appeso i nidi. Le viole di
-Sant'Anna nelle screpolature del fastigio non
-anche fiorivano. Il cielo sopra si apriva in una
-gentile beatitudine; e per l'aria a tratti giungevano
-dall'arsenale gli squilli delle fanfare.
-</p>
-
-<p>
-Fu allora che, quasi con un senso di meraviglia,
-ella riandò l'esistenza trascorsa. Le pareva
-quasi che quel passato non le appartenesse,
-non fosse suo: una lontananza smisurata
-ora la divideva da quei ricordi, una lontananza
-come di sogno. Ella non aveva più
-la valutazione sicura del tempo; ella doveva
-guardare gli oggetti che la circondavano, fare
-uno sforzo della mente, raccogliersi a lungo,
-per ricordare. Si toccava con le dita le tempie
-dove i capelli rigerminavano tenui, e un sorriso
-vago di smemorata le sfiorava le labbra
-pallide, le fuggiva negli occhi.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! — susurrò fioca; e il gesto delle
-dita alle tempie le ritornava, gentilmente.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-</p>
-
-<p>
-Era stata una vita triste ed uguale, in quelle
-tre stanze, fra tutte quelle piccole statue deformi
-di Santi, fra tutte quelle imagini di Madonne,
-fra tutti quei bimbi compitanti in coro
-ad alta voce per cinque ore del giorno le
-medesime parole scritte col gesso su la lavagna.
-Come le martiri gloriose della leggenda,
-come Santa Tecla di Licaonia e Santa Eufemia
-di Calcedonia, le due sorelle avevano
-consacrata la loro verginità allo Sposo celeste,
-al talamo di Gesù. Avevano mortificata la
-carne a furia di privazioni e di preghiere, respirando
-l'aria della chiesa, l'incenso e l'odore
-delle candele ardenti, cibandosi di legumi.
-</p>
-
-<p>
-Avevano stupefatto lo spirito in quell'esercizio
-arido e lungo di sillabazione, in quel freddo
-distillìo di parole, in quell'opera macchinale
-dell'ago e del filo su le eterne tele bianche
-odoranti di spigo e di santità. Mai le loro mani
-cercarono la dolcezza delle chiome infantili,
-il tepore di quel biondo angelico; mai le loro
-labbra cercarono la fronte dei discepoli, in una
-effusione di tenerezza improvvisa. Insegnavano
-la piccola dottrina, i piccoli canti della religione;
-facevano prostrare tutte quelle teste gioconde
-lungamente sotto le ammonizioni quaresimali;
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-parlavano del peccato, degli orrori del peccato,
-delle pene eterne, con la voce grave, mentre
-tutti quei grandi occhi si empivano di meraviglia
-e tutte quelle bocche rosee si aprivano allo
-stupore. Intorno, per le fantasie vive dei fanciulli
-le cose si animavano: dal fondo dei vecchi
-quadri uscivano certi profili giallognoli di santi
-misteriosi; e il Nazareno cinto di spine e di stille
-sanguigne guardava da ogni parte con gli
-occhi agonizzanti, perseguitando; e su per la
-gran cappa del camino ogni macchia di fumo
-prendeva una forma atroce. Così infondevano
-esse la fede in quelle anime inconsapevoli.
-</p>
-
-<p>
-Ora il ricordo di quella sterilità si destò in
-Orsola torbidamente. Ella risaliva, risaliva agli
-anni più lontani, per una naturale tendenza dello
-spirito, si rifugiava alle fonti; e una pienezza
-improvvisa di giubilo la inondò come se in
-un momento tutta la sua infanzia le rifluisse
-al cuore.
-</p>
-
-<p>
-— Camilla! Camilla! — chiamò. — Dove
-sei? — La sorella non rispose, non era nell'altra
-stanza; era forse andata giù, nella chiesa,
-al vespro. Allora la convalescente fu presa dalla
-tentazione di mettere i piedi a terra, di provare
-i passi sul pavimento, così, sola.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-</p>
-
-<p>
-Rideva d'un riso timido di bambina che
-esiti in un'impresa difficile; socchiudeva gli occhi
-soffermandosi nel nuovo diletto di quel
-pensiero: palpava con le dita le ginocchia, le
-caviglie esili, raccogliendosi, come per misurare
-la forza; e rideva, rideva poichè il riso
-le insinuava uno sfinimento dolce, una sottile
-delizia vibrante, in tutto l'essere.
-</p>
-
-<p>
-Una freccia di sole strisciava sul davanzale
-e feriva l'acqua di un bacile in un angolo:
-il riflesso mobile tremolava nella parete, come
-una fine trama di oro. Uno stuolo di colombi
-attraversò lo spazio e venne a posarsi su
-l'arco; parve un augurio. Ella pianamente
-scansò le coperte, esitò ancora: seduta su la
-sponda del letto cercava con la punta del piede
-scarno e giallo la pianella di lana. La trovò,
-trovò l'altra; ma ora una tenerezza subitanea
-l'assaliva e le si empivano di lacrime gli occhi,
-e tutto tremolava dinanzi a lei in un albore
-indistinto come se le cose in torno si facessero
-aeree ed evanissero. Le lacrime le rigavano
-le guance, le si fermavano alla bocca
-tiepide e salse: ella ne bevve alcune, ne sentì
-il sapore. Fuori, dall'arco i colombi a uno a
-due si rialzavano, frullando. Orsola con un
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-moto delle fauci respinse il groppo del pianto;
-poi si poggiò su la sponda, premette, si alzò finalmente
-in piedi; sorrise dagli occhi umidi, guardandosi.
-Non sapeva di essere così debole, di
-non potersi così reggere diritta su le gambe;
-aveva una strana sensazione di formicolìo negli
-stinchi, di vellicamento nei muscoli, quasi la
-sensazione d'un ferito che si levi quando l'osso
-infranto non anche è bene saldato. Tentò di
-muovere un passo, avanzò il piede, timidamente;
-ebbe paura, sedette di nuovo su la sponda, guardandosi
-in torno come per assicurarsi che non
-la spiava alcuno. Poi cercò un punto di meta,
-la finestra; e ricominciò, pianamente, con gli occhi
-fissi sul piede che avanzava, in equilibrio,
-stringendosi lo scialle verde al petto, invasa
-un poco dal freddo. Un subitaneo spavento la
-prese, a mezzo: ella barcollò, agitò le mani, si
-rivolse verso il letto, mise tre o quattro passi
-precipitosi, ricadde su la sponda. Stette un momento
-là, in affanno; rientrò sotto le coperte
-dove ancora restava il tepore, s'avvolse e si
-raccolse rabbrividendo.
-</p>
-
-<p>
-— Come sono debole, Signore!
-</p>
-
-<p>
-E guardava curiosa sul pavimento il luogo dove
-ella aveva fatto i passi, quasi vi cercasse le orme.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Di questo primo tentativo non disse nulla
-alla sorella. Quando sentì Camilla rientrare,
-chiuse gli occhi, stette immobile come una dormiente,
-provando uno strano piacere in sè di
-quell'inganno, ricacciando a forza indietro il
-riso che la vellicava a sommo del petto e le
-saliva alle labbra. Ella gioiva di quel piccolo
-segreto: tutti i giorni aspettava con un desiderio
-inquieto l'ora in cui Camilla scendeva le
-scale; restava un momento in ascolto, seduta
-sul letto, fin che giungeva il rumore del lento
-discendere; poi si levava, soffocando gli scoppi
-di riso, appoggiandosi alle pareti, ai mobili,
-mettendo gridi di paura sommessi ogni volta
-che le ginocchia minacciavano di piegarsi, ogni
-volta che l'equilibrio mancava.
-</p>
-
-<p>
-Dal forno di Flaiano a quell'ora saliva quasi
-sempre l'odore del pane ad irritarla. Ella si avvicinava
-alla finestra per cercare il vento; provava
-una tortura mista di voluttà nell'aspirare quella
-emanazione sana, con la lingua nuotante nell'acquolina
-e gli occhi vivi di cupidigia. Allora
-la prendeva una furia di frugare da per tutto,
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-di mettere da per tutto le mani, traendosi di
-quà di là con minore lentezza, facendo sforzi
-inutili e irosi su le serrature di cui Camilla
-aveva portato seco le chiavi. Una volta, in fondo
-al repostiglio di un tavolino trovò una mela e
-ci ficcò i denti golosamente. Da tempo nel regime
-severo della convalescenza, ella non assaporava
-un frutto. In quello era un fresco profumo
-di rosa, il profumo che in certe mele aggrinzite
-e scolorite si accoglie. Cercò di nuovo
-nel repostiglio, sperando; ma non trovò se non
-una specie di siliqua verdognola, chiusa, che
-doveva contenere forse un gruppo di semi; e
-la prese, la guardò curiosamente, la nascose
-sotto il guanciale.
-</p>
-
-<p>
-Passava così quell'ora, in segreto, con il godimento
-acre che danno ai fanciulli in guarigione
-le cose proibite, le infrazioni degli ordini
-dottorali, i piccoli furti. Solo testimone era un
-micio, tutto maculato come una pelle di serpente,
-che girava talvolta intorno a Orsola con
-un miagolìo familiare o si fermava teso invano
-a ghermire se fuori volavano su l'arco
-i colombi. A poco a poco Orsola prendeva
-amore a quel compagno discreto. Ella lo accoglieva
-nel tepore del letto, gli sussurrava parole
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-senza nesso, lo guardava lungamente leccarsi
-con la lingua rosea la zampa, porgere la
-gola di lucertola alla blandizia, una gola gialliccia
-che palpitava d'un suono rauco e dolce
-simile al tubare delle tortore nei boschi. Ella,
-forse per un naturale ricorso di quel suo misticismo
-anteriore, amava i bagliori tralucenti
-dagli occhi dell'animale nella penombra, quegli
-sprazzi di fosforo, che emanavano da una forma
-misteriosa e silenziosa nella tenebra.
-</p>
-
-<p>
-Camilla vedeva tutte queste strane predilezioni
-della sorella, con una specie di diffidenza
-ed anche di rammarico sordo, ma taceva. E
-lentamente, quasi insensibilmente, quelle due
-anime si distaccavano, si allontanavano per repulsa.
-</p>
-
-<p>
-Erano prima vissute in una comunione di
-abitudini e di sentimenti continua, perchè in
-loro ogni diversità d'indole e ogni insorgimento
-si agguagliava e placava nell'unica fede, nel
-culto infrangibile della deità di Cristo, in quel
-contemplamento ch'era divenuto lo scopo della
-vita loro. Ma come il culto le assorbiva intere,
-in loro i legami della consanguineità a poco a
-poco erano stati coperti e sopraffatti da quelli
-della comune religione; quindi non mai una
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-espansione di tenerezza le aveva ricongiunte,
-non mai un abbandono di confidenza e di ricordi
-o di speranze, come sorelle. Erano correligionarie,
-erano membri della grande famiglia
-di Gesù spersi su la terra e agognanti il Cielo.
-</p>
-
-<p>
-Così che a pena, per la rinnovazione operata
-prima dalla malattia e dopo dal regime, in Orsola
-si manifestarono inaspettati atteggiamenti
-d'indole e modi inconsueti, la repulsa avvenne
-inevitabile e la voce del comun sangue sopita
-non si potè levare a contrasto.
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-I discepoli tornarono: fu la prima volta una
-mattina del marzo nascente. Orsola s'era levata
-dal letto; stava seduta su la sponda, col
-calore del sole alla nuca ed agli omeri. Nella
-stanza si sentiva l'odore agro dell'aceto che
-Camilla aveva versato nei calamai muffiti; e
-dalle finestre raramente il vento recava gli effluvii
-delle viole già fiorite su l'arco.
-</p>
-
-<p>
-L'infanzia alitò nella stanza come un fiato di
-quel vento marzolino. Fu prima su l'uscio un
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-sospingersi tumultuoso di piccole teste che volevano
-sollevarsi le une su le altre per vedere;
-poi l'esitazione, la timidità, una specie di meraviglia
-ingenua dinanzi alla maestra pallida pallida
-e scarna che i discepoli riconoscevano a
-pena.
-</p>
-
-<p>
-Ma la vergine sorrideva, sotto un turbamento
-improvviso di tutto il suo sangue; li chiamava
-a sè, confondeva i loro nomi che le si affollavano
-alle labbra, tendeva loro le mani. A uno,
-a due, a tre, i bimbi si avanzavano, volevano
-prenderle le mani per metterci la bocca sopra,
-ridicevano le parole di augurio imparate a casa,
-ingoiando per la furia le sillabe.
-</p>
-
-<p>
-— No, no, non più! — esclamava Orsola, sopraffatta,
-ma abbandonando le mani a quelle
-bocche tiepide e molli. Si sentiva quasi mancare.
-</p>
-
-<p>
-— Camilla, tienili, tienili.
-</p>
-
-<p>
-Ogni bimbo recava un dono: erano fiori,
-erano frutta. Le violette avevano subito sparso
-il profumo nell'aria, e in quel profumo, in quella
-luce tutte quelle facce infantili invermigliate dal
-buon sangue plebeo sorridevano.
-</p>
-
-<p>
-Poi la lezione, nell'altra stanza, cominciò. La
-prima classe diceva a voce alta le vocali e i
-dittonghi, la seconda sillabava; e su quel coro
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-chiarissimo a tratti si levava l'ammonimento di
-Camilla.
-</p>
-
-<p>
-— <i>La, le, li, lo, lu...</i>
-</p>
-
-<p>
-Negli intervalli di silenzio, si udiva Matteo
-Puriello picchiare su le suola o il telaio della
-Jece sbattere.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Va, ve, vi, vo, vu...</i>
-</p>
-
-<p>
-Allora Orsola s'infastidì. La monotonia de' rumori
-e delle voci le dava al capo una pesantezza
-ingrata, le conciliava il sonno, mentre ella
-voleva essere desta, mentre ella sentiva ancora
-intorno a sè la respirazione dei fanciulli, il soffio
-giocondo di quelle vite.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Bal, bel, bil, bol, bul...</i>
-</p>
-
-<p>
-Prese i fiori, li mise in un bicchiere pieno
-d'acqua per conservarli. Li fiutò poi lungamente,
-stette con le narici tra quel fresco, chiudendo
-gli occhi, raccogliendosi tutta in quel peccato
-d'olfatto.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Gra, gre, gri, gro, gru...</i>
-</p>
-
-<p>
-Una gran nuvola bianca velò il sole. Orsola
-si accostò alla finestra, si porse al davanzale
-per guardar giù nella piazza. Di fronte, Donna
-Fermina Memma in una roba rosata stava sul
-balcone, tra i vasi dei garofani; e un gruppo
-di ufficiali passava sotto a lei ridendo e facendo
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-un tintinnìo di sciabole sul lastrico. Più in là,
-nel giardino pubblico le piante di lilla erano sul
-fiorire, la punta del gigantesco pino si piegava
-al vento. Dalla cantina di Lucitino usciva Verdura,
-l'eterno ubriaco, barcollando e vociferando.
-</p>
-
-<p>
-Orsola si ritrasse: era la prima volta, dopo
-tanto, che si affacciava su la piazza. Le parve
-di essere in alto in alto, guardando in giù; la
-prese una leggera vertigine.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Nar, ner, nir, nor, nur...</i>
-</p>
-
-<p>
-Il coro dentro seguitava, ancora, ancora, ancora.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Pla, ple, pli, plo, plu...</i>
-</p>
-
-<p>
-Orsola si sentiva soffocare, venir meno, a
-quella tortura: i suoi poveri nervi indeboliti cedevano.
-Il coro seguitava, al ritmo della bacchetta
-di Camilla battuta sul tavolino, implacabile.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Ram, rem, rim, rom, rum...</i>
-</p>
-
-<p>
-— <i>Sat, set, sit, sot, sut...</i>
-</p>
-
-<p>
-Allora un impeto subitaneo di singhiozzi
-squassò la convalescente, l'abbattè sul letto. Ella
-singhiozzava, così, bocconi, a braccia aperte,
-premendo la faccia su i guanciali, scossa dai
-sussulti, senza potersi frenare.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Tal, tel, til, tol, tul...</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-</p>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<p>
-Le erano ricresciuti tutti i capelli, crespi e castanei,
-come prima. Ella aveva ora una curiosità
-grande di guardarsi nello specchio; perchè Rosa
-Catena, con uno di quei lezii che sempre svelavano
-in lei l'antica femmina impudica, passandole
-la mano sul corpo le aveva detto: — Bellezza!
-</p>
-
-<p>
-Aspettò dunque che Camilla uscisse; poi scese
-dal letto, staccò dalla parete uno di quelli specchi
-<i>rococò</i> a cornice d'oro appannati di macchie
-verdi; con un lembo della coperta tolse la polvere
-e si guardò dentro, sorridendo. Ella aveva
-tutto il collo nudo e pe 'l collo certe vene azzurrognole
-quasi in rilievo, e nella testa piccola
-e lunga qualche cosa di caprino, la bocca fine,
-il mento acuto, gli occhi castanei come i capelli,
-ma più tendenti al giallo. Il pallore trasparente
-e il sorriso davano una grazia nuova, una nuova
-giovinezza ai suoi ventisette anni.
-</p>
-
-<p>
-Ella restò a guardarsi a lungo; e si piaceva di
-allontanare lentamente lo specchio e di veder
-sparire l'imagine in quella luce un po' glauca come
-in un velo d'acqua marina e quindi riemergere.
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-La vanità la conquistava, la occupava. Ella si
-accorse di tante piccole cose a cui prima non
-aveva badato mai; per esempio, di un neo simile
-a una lenticchia, che le macchiava la pelle
-su la tempia sinistra, e di una cicatrice leggera
-che le attraversava l'arco di un sopracciglio.
-Restò così, a lungo. Poi, assalita da una gioia
-repentina cercò in torno un qualche diletto.
-</p>
-
-<p>
-Quella capsula vegetale, ch'ella aveva trovato
-in fondo a un repostiglio, s'era aperta come in
-due valve scoprendo un grappolo denso di semi
-nerastri. Ogni seme pareva legato a filamenti
-sottilissimi d'una lucidità argentea; e il grappolo
-si manteneva compatto. Ma a pena la
-Vergine vi mise un soffio, un nuvolo di piumoline
-bianche si levò nell'aria e si sparpagliò qua e
-là brillando: erano le <i>spie</i>. I semi parevano alati,
-parevano insetti ésili ed evanescenti che si dissolvessero
-incontrando i raggi del sole o parevano
-lanugini di cigno a pena visibili; ondeggiavano,
-ricadevano, si mescolavano ai capelli
-di Orsola, le sfioravano la faccia, la coprivano
-tutta. Ella rideva, difendendosi da quell'invasione,
-cercando di scacciare quella pelurie che
-le vellicava la pelle e le si attaccava alle mani,
-ma le risa le impedivano i soffii.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-</p>
-
-<p>
-Alla fine si distese lunga sul letto, lasciò
-che tutta quella molle nevicata le scendesse sopra
-lentamente. Teneva gli occhi semichiusi per
-prolungare la dolcezza; e a mano a mano che
-il sopore la invadeva, si sentiva come sommergere
-in un giaciglio alto di piume. La luce che
-entrava nella stanza era una di quelle pallide
-chiarità pomeridiane del mese di marzo, ove il
-sole ride modestamente estinguendosi come un
-indizio di aurora in un gran cielo albeggiante.
-</p>
-
-<p>
-Camilla trovò la sorella ancora addormentata
-con accanto lo specchio, con ne' capelli le <i>spie</i>.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, Signore Gesù! oh Signore Gesù! — mormorò
-tra i denti, congiungendo le mani, in
-atto di compassione amara.
-</p>
-
-<p>
-La cristiana veniva dalla chiesa, dove aveva
-cantate le litanie per l'Annunciazione e aveva
-ascoltata la predica sul messaggio dell'Arcangelo
-all'ancella di Dio. <i>Ecce ancilla Domini</i>. L'eloquenza
-sonora del frate predicante l'aveva
-inebriata; le restavano ancora negli orecchi certe
-parole ammonitrici.
-</p>
-
-<p>
-Orsola si destava in quel momento con un
-lungo sbadiglio voluttuoso, e stirava le membra.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! sei tu, Camilla? — disse ella un po'
-confusa da quella presenza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sono io, sono io! Tu ti perderai, sciagurata,
-tu ti perderai — irruppe la devota, additando
-lo specchio sul letto. — Tu hai tra le
-mani lo strumento del demonio...
-</p>
-
-<p>
-Ed eccitata dalla prima invettiva, ella seguitava,
-sollevava la voce, gittava le frasi ardenti
-della predica con grandi gesti nell'aria, incalzava
-nelle minacce dei castighi eterni, non si
-rivolgeva soltanto alla pericolante, assorgeva ad
-ammonire l'universo dei peccatori.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Memento! Memento!</i>
-</p>
-
-<p>
-Orsola non intendeva più nulla, poichè tutta
-quella vociferazione l'aveva stordita.
-</p>
-
-<p>
-D'un tratto dall'angolo della piazza scoppiò la
-fanfara militare con uno squillo di venti trombe.
-</p>
-
-<h3>VII.</h3>
-
-<p>
-L'ultima stanza della casa era stretta e
-bassa, con le travi del soffitto annerite dal fumo,
-piena d'un lezzo di cipolle, di rigovernatura e
-di carbone spento. I vasi di rame pendevano
-alla parete in ordine, senza luccichìo; i piatti
-di Castelli stavano in ordine su la mensola con
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-le loro gioconde pitture di fiori, di uccelli e di
-teste ridenti; le antiche lucerne di ottone, le
-bottiglie vuote, le foglie di erbaggio non più
-fresche erano sparpagliate per le tavole; e su
-tutto dominava proteggitore San Vincenzo effigiato
-con il gran libro in una mano e la fiamma
-rossa in mezzo al cranio.
-</p>
-
-<p>
-Là, un tempo, Orsola stando in mezzo ai vapori
-dell'acqua bollente e alle esalazioni dei cibi
-vegetali, spesso aveva sentito giungersi sul capo
-dalla piccola finestra alta i ritornelli d'una canzone
-libertina e certi larghi schiamazzi di risa
-che s'inseguivano. I canti e le risa crescevano
-nelle sere di estate, tra i passagalli delle chitarre,
-fra gli urti della danza sul terreno. Tutti
-i romori della vita d'una suburra infima salivano,
-in certe ore, a quella altezza e facevano
-tremare d'orrore le povere spose di Gesù
-chine in umiltà su i tegami d'argilla pieni dell'eremitica
-innocenza dei legumi e delle verdure.
-Ma ora, al novel tempo e gaio, come un giorno
-udì Orsola le voci, una voglia nell'animo le
-corse di spinger la vista fuori.
-</p>
-
-<p>
-Camilla non stava nella casa; era la domenica
-quinta di Lazzaro. Urgeva nell'aria, dopo
-le brevi piogge, con un più dolce alito di
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-calore l'imminenza dell'aprile; e in quell'aria
-la pulzella più aveva pieno e chiaro il senso
-del suo rinascimento. E, in ozio, girando per
-le stanze, ebbe ella naturalmente la curiosità
-di guardare, presa al fascino malsano che gli
-spettacoli di lascivia esercitano anche sugli animi
-verecondi.
-</p>
-
-<p>
-Ella salì su una sedia all'altezza dell'apertura;
-ma prima di spingere lo sguardo innanzi, fu
-invasa da un turbamento di tremiti, e ritta su
-la sedia si volse intorno temente se non qualcuno
-la sorprendesse nell'atto.
-</p>
-
-<p>
-Intorno tutto era quieto; ogni tanto una gocciola
-d'acqua cadeva dall'alto in un bacile, sonando.
-Di fuori salivano le voci ed allettavano.
-</p>
-
-<p>
-La vergine rassicurata, guardò. Nel vicolo,
-sotto la pioggia il fradiciume aveva fermentato
-come un lievito; una melma nera copriva il lastrico,
-ove spoglie di frutta, residui di erbe,
-stracci, ciabatte marce, falde di cappello, tutto il
-ciarpame sfatto che la miseria gitta nella strada,
-si mescolavano. Su quella cloaca, in cui il sole
-suscitava insetti e miasmi, una fila di case nane
-pareva ansare addossata alla Caserma. Da tutte
-le finestre però, da tutti gli spiragli si riversavano
-le piante dei garofani non più contenute nei
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-vasi; e i grandi fiori rosei e rossi penzolavano
-al sole aperti magnificamente. E tra quei fiori
-apparivano le facce flosce e dipinte delle meretrici,
-passavano le oscenità delle canzonette,
-le risa gutturali; e giù sul lastrico, sotto le inferriate
-della caserma, altre femmine si tendevano
-verso i soldati parlando a voce alta, provocandoli.
-E i soldati, che sentivano nel sangue
-alla primavera rifiorire i mali di Venere, allungavano
-le mani di tra le sbarre pur di brancicare
-qualcosa, divoravano con gli occhi in fiamme
-quelle femmine disfatte già per anni dalla lascivia
-di tante ciurme briache e di tanti facchini fradici.
-</p>
-
-<p>
-Orsola stette lì stupidita allo spettacolo di tutta
-quella corruzione fermentante pe'l buon sole
-di quaresima e saliente fino a lei. Non si ritraeva
-ancora; ma come alzò gli occhi, vide in
-un abbaino sul tetto della caserma un uomo
-biondo che la guardava e sorrideva. Ella scese
-dalla sedia a precipizio, più pallida di prima,
-credendo di sentire la voce di Camilla. Corse
-nella sua stanza, e si gettò sul letto, sbigottita,
-senza respiro, come se l'avesse perseguitata
-qualcuno minacciandola.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-</p>
-
-<h3>VIII.</h3>
-
-<p>
-Da quel giorno, tutte l'ore, tutti i momenti in
-cui Camilla non era nella casa, la tentazione
-diabolica la trascinava a quello spettacolo. Ella
-prima pugnava, vanamente, senza forze, lasciandosi
-vincere. Andava là con l'ansia sospettosa di
-chi va a un ritrovo di amore; ci restava lungo
-tempo, dietro la persiana quasi cadente, mentre
-i miasmi del lupanare la turbavano e la corrompevano.
-</p>
-
-<p>
-Ella spiava tutto, acuendo lo sguardo, cercando
-di penetrare negli interni, cercando di
-scoprire qualche cosa tra i garofani che chiudevano
-le finestre. Il sole era caldo e pesante:
-sciami d'insetti turbinavano nell'aria. Ad intervalli,
-quando entrava nel vicolo qualche uomo,
-venivano dalle finestre i richiami delle aspettanti:
-femmine discinte, con il seno scoperto,
-uscivano fuori ad offerirsi. L'uomo spariva in
-una delle porte oscure con l'eletta. Le deluse
-gittavano scherni e risa dietro la coppia, e si
-rimettevano all'agguato tra i garofani.
-</p>
-
-<p>
-Così nella vergine si accendeva la brama. Il
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-bisogno dell'amore, prima latente, si levava ora
-da tutto il suo essere, diventava una tortura,
-un supplizio incessante e feroce da cui ella non
-sapeva difendersi.
-</p>
-
-<p>
-Un fiotto di sanità caldo la riempiva; certe
-sùbite allegrezze le muovevano il sangue, le
-suscitavan nel petto quasi battimenti d'ale, le
-inspiravano canti nella bocca. A volte un soffio,
-uno di quei piccoli fremiti dell'aria che si
-dilata sotto il sole, una canzone di mendicante,
-un odore, un nulla bastava a darle smarrimenti
-vaghi, abbandoni in cui le pareva di sentire
-su tutte le membra come il passaggio carezzevole
-del velluto d'un frutto maturo. Ella era
-così librata e perduta in abissi ignoti di dolcezza.
-L'irritazione della continenza, la sovrabbondanza
-insolita de' succhi, quel distendersi
-continuo dei nervi sotto gli stimoli la tenevano
-in una specie di stordimento simile al primo
-stadio dell'ebrezza. Il passato si dileguava, si
-assopiva in fondo alla memoria, non risorgeva
-più. E in ogni ora, in ogni luogo il desiderio le
-tendeva insidie: i santi delle mura, le madonne,
-i cristi crocefissi ignudi, le piccole figure di cera
-deformi, tutte le cose in torno, prendevano per
-lei apparenze impure. Da tutte le cose l'impurità
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-emanava e le alitava su la persona, affocantemente.
-</p>
-
-<p>
-— Ecco, ora scendo nella strada — diceva
-ella a sè stessa, non reggendo più.
-</p>
-
-<p>
-Poi le mani le tremavano su la porta, nell'aprire.
-Lo stridore del chiavistello scorrente negli
-anelli la sbigottiva. Ella tornava in dietro, si
-gettava sul letto quasi svenendosi, livida, sotto
-una larva d'uomo.
-</p>
-
-<h3>IX.</h3>
-
-<p>
-La domenica delle Palme ella uscì dopo tanti
-mesi, per la prima volta; poichè Camilla voleva
-condurla a render grazie della guarigione al
-Signore. Quando le campane si misero a squillare,
-Orsola s'affacciò. Tutto il paese era ridente
-nel grande riso pasquale del sole d'aprile.
-Tutto il contado invadeva le vie con il segno
-pacifico dei rami di olivo.
-</p>
-
-<p>
-Ella ora doveva vestirsi in festa: la gente
-nelle vie l'avrebbe guardata passare. Una furia
-di vanità sùbito la prese: si chiuse nella stanza,
-cercò in fondo alla cassa le vesti più chiare.
-Un odore acuto di canfora saliva da quei vecchi
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-tessuti conservati là dentro per anni: erano
-grandi gonne di seta a fiorami, verdi e violette
-e cangianti, che un tempo la crinolina avea forse
-gonfiate in torno alle anche di una sposa novella;
-erano lunghi busti con màniche ampie,
-mantelline color di tortora orlate di merletti
-bianchi, veli intrecciati di fili d'argento, collari
-di tela fina ricamati a giorno; tutte cose morte
-per l'uso, goffe, macchiate dall'umido.
-</p>
-
-<p>
-Orsola sceglieva, come guidata da un nuovo
-istinto, profumandosi di canfora le mani nel cercare.
-Tutta quella seta inutile e quei veli la irritavano.
-Non trovava alfine nulla che le andasse
-alla persona! Chiuse la cassa irosamente,
-la respinse sotto il letto con un urto del piede.
-Le campane sonavano per la terza volta. Ella
-si mise in furia il consueto abito triste color di
-cenere, in conspetto di Camilla, mordendosi le
-labbra per ricacciare in giù le lacrime.
-</p>
-
-<p>
-Le campane chiamavano. Per le vie i fasci
-delle palme mettevano un mobile luccicore argenteo;
-da ogni gruppo di villici sorgeva una
-selva di ramoscelli; e la candida clemenza della
-benedizione cristiana si diffondeva per tutta
-l'aria da quelle selve, come se si appressasse il
-Galileo, il re povero e dolce sedente su l'asina
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-fra la turba dei discepoli, in contro agli osanna
-del popolo redento. <i>Benedictus qui venit in nomine
-Domini. Hosanna in excelsis!</i>
-</p>
-
-<p>
-Nella chiesa la folla era immensa, sotto la
-selva delle palme. Per una di quelle correnti
-che si formano irresistibili nelle masse di popolo,
-Orsola fu divisa da Camilla; restò sola in quel
-rigurgito, in mezzo a tutti quei contatti, in mezzo
-a tutti quegli urti e quegli aliti. Ella tentava
-d'aprirsi un varco: le sue mani incontravano la
-schiena d'un uomo, altre mani tiepide il cui tocco
-la turbava. Ella si sentiva sfiorare il volto da
-una foglia d'olivo, contrastare il passo da un
-ginocchio, spingere il fianco da un gomito, offendere
-il petto, offendere le spalle da pressioni
-incognite. Sotto l'odore dell'incenso, sotto le
-palme benedette, nella penombra mistica, in
-tutto quell'ammasso di cristiani e di cristiane,
-piccole scintille erotiche scoccavano per attrito
-e si propagavano; amori segreti si ritrovavano
-e si congiungevano. Passavano accanto a Orsola
-fanciulle della campagna con palme sul petto,
-con un riso fuggente nel bianco degli occhi
-vòlto ad amatori che dietro le insidiavano; ed
-ella sentiva in torno a sè così passare l'amore,
-poneva il suo corpo tra quei corpi che si cercavano,
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-era un ostacolo a quei gesti che tentavano
-toccarsi, separava le strette di quelle
-mani, i legami di quelle braccia. Ma qualche
-cosa di quelle carezze interrotte le penetrava nel
-sangue. In un punto ella s'incontrò a faccia a
-faccia con un soldato biondo; quasi gli posò il
-capo su la tunica, perchè una colonna di gente
-dietro la spingeva. Ella levò gli occhi; e il giovine
-sorrise come aveva sorriso un giorno dall'abbaino
-della caserma. Dietro, l'urto seguitava:
-il vapore dell'incenso si spandeva più denso, e
-il Diacono dal fondo cantò:
-</p>
-
-<p>
-— <i>Procedamus in pace.</i>
-</p>
-
-<p>
-E il coro rispose:
-</p>
-
-<p>
-— <i>In nomine Christi. Amen.</i>
-</p>
-
-<p>
-Era l'annunzio della processione, che mise un
-sommovimento enorme in tutto il popolo. Per
-istinto, senza pensare, Orsola si attaccò all'uomo,
-come se già gli appartenesse; si lasciò quasi
-sollevare da quelle braccia che la prendevano
-ai fianchi, si sentì ne' capelli quel fiato virile
-che sapeva lievemente di tabacco. Ella andava
-così, indebolita, sfinita, oppressa da quella voluttà
-che l'aveva colta d'improvviso, non vedendo
-se non un barbaglio dinanzi a sè.
-</p>
-
-<p>
-Allora dall'altare maggiore si mosse il turiferario
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-spargendo nuvoli di fumo cerulo e dolce
-sul popolo; e una processione candida si svolse
-nel mezzo della chiesa. I celebranti portavano
-in mano rami d'olivo e cantavano.
-</p>
-
-<h3>X.</h3>
-
-<p>
-Tutta la settimana santa protesse delle sue
-complici ombre l'amore della vergine Orsola.
-Le chiese erano immerse nel crepuscolo della
-Passione, i crocifissi sugli altari erano coperti di
-drappi violacei; i sepolcri del Nazareno erano
-circondati di grandi erbe bianche cresciute nei
-sotterranei; un profumo di fiori e di belzuino
-pesava nell'aria.
-</p>
-
-<p>
-Là Orsola, inginocchiata, attendeva, fin che
-un passo leggero dietro di lei la faceva trasalire.
-Ella non poteva volgersi, perchè Camilla la vigilava;
-ma si sentiva tutta abbracciare dallo
-sguardo di quell'uomo, come da un fuoco sottile,
-e una tenerezza torbida le scendeva nella
-carne. Allora fissava i ceri digradanti su un
-triangolo di legno presso l'altare. I preti cantavano
-dinanzi a un gran libro; e ad uno ad
-uno i ceri venivano spenti. Non ne rimanevano
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-che cinque, non ne rimanevano che due; l'oscurità
-si avanzava dal fondo delle cappelle su la
-gente in preghiera. L'ultima fiammella finalmente
-spariva; tutte le panche risonavano sotto
-le battiture delle verghe. Orsola nel buio, a
-pena si sentiva toccare da due mani cercanti,
-scattava dal pavimento, con un sussulto, smarrita.
-Poi, quando usciva dalla chiesa, il pensiero
-d'aver violato un luogo sacro la empiva di rimorso:
-subitamente, la paura del castigo risorgeva.
-Ella s'inabissava poi come in un sogno
-dove la figura livida di Gesù morto e lo scroscio
-delle battiture e i brividi della carne sollecitata
-e l'odor grave dei fiori e gli aliti di quell'uomo
-biondo si mescolavano in un senso dubbio
-di dolore e di piacere.
-</p>
-
-<h3>XI.</h3>
-
-<p>
-Ma come Gesù trionfante risalì alla gloria dei
-cieli, gli aromi pasquali non più confortarono
-l'amore della vergine Orsola. Scena dell'amore
-fu allora il dominio dei gatti randagi e dei colombi
-torraioli. Dall'abbaino alla finestra i dolci
-segni correvano: tra mezzo, il lupanare si sprofondava
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-come un fossato d'acque limacciose a' cui
-cigli crescessero fiori alimentati dalla putredine.
-I colombi sorvolavano con il luccichio verde e
-grigio delle loro piume.
-</p>
-
-<p>
-L'amadore aveva un bel nome antico, si chiamava
-Marcello, e aveva un bel fregio rosso e
-d'argento su le maniche della tunica. Scriveva
-epistole piene di fuoco eterno, con frasi impetuose
-che davano all'amatrice deliquii di tenerezza
-e fremiti di voluttà mal contenuta. Orsola
-leggeva quei fogli in segreto, li teneva notte e
-giorno nel seno: pe 'l calore la scrittura violetta
-le s'imprimeva su la pelle, ed era come
-un gentile tatuaggio d'amore, di cui ella gioiva.
-Le risposte di lei non finivano mai: tutta la sapienza
-grammaticale di una maestra, tutto il tesoro
-delle apostrofi psalmistiche di una devota,
-tutta la fluente sentimentalità di una pulzella
-tardiva si riversava su la carta de' quaderni
-scolastici rigati di turchino. Ella scrivendo si
-obliava, si sentiva trascinare in un'onda di verbosità
-sonore. Pareva quasi che una facoltà novella
-si esplicasse in lei e prendesse forme maniache,
-d'improvviso. Quel gran sedimento di
-lirismo mistico accumulato per la lettura de'
-libri di preghiera in tanti anni di fedeltà allo
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-Sposo Celeste, ora, scosso dal tumulto dell'amore
-terreno, si levava su confusamente per
-assumere sapori di profanità nuovi. Così le lacrimose
-implorazioni a Gesù si mutavano in sospiri
-di speranza verso letizie d'amplessi non
-eterei, le offerte del fior dell'anima al Sommo
-Bene si mutavano in tenere dedizioni della carne
-al disio del biondo amante, e il lume afrodisiaco
-della luna si cingeva di tutti gli epiteti per cui
-va radioso lo Spirito Santo, nè gli zefiri della
-primavera mancavan di rapire gli aromi alle
-mense del Paradiso.
-</p>
-
-<h3>XII.</h3>
-
-<p>
-Era messaggero uno di quegli uomini che
-paion cresciuti su, come funghi, dall'umidità
-della strada immonda ed hanno in tutta la figura
-quasi una nativa tinta di fango; di quelli
-uomini bigi, che s'insinuano per tutto, che si
-trovano per tutto ov'è un centesimo da guadagnare,
-un po' di untume da leccare, uno straccio
-da sottrarre, oggi rigattieri e domani procaccianti
-in atto di serve o di male femmine,
-oggi falsi sensali di mercatanzia e domani accalappiatori
-di cani erratici.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-</p>
-
-<p>
-Costui aveva un nome melodrammatico, si
-chiamava Lindoro: dal quartiere dell'Ospedale
-al bastione di Sant'Agostino una popolarità
-grande s'era fatta in torno a questo nome. Nasceva
-costui dall'accoppiamento d'un sonatore
-ambulante di clarinetto con una piazzaiuola rivenditrice
-di fruttaglia, ereditando l'istinto nomade
-del padre e la naturale avarizia della madre.
-S'era prima strascicato per gli immondezzai
-di tutte le case, con la scopa o il canestro;
-aveva poi fatto il guattero in una bettola,
-dove soldati e marinai gli gettavano sul
-viso gli sgoccioli del bicchiere e le spine del
-pesce mal fritto. Dalla bettola era caduto in un
-forno, dove spingeva i pani con la lunga pala
-dentro le fiamme, tutta la notte, in sudore, accecandosi.
-Dal forno era passato all'uffizio di
-accenditore pubblico de' fanali, logorandosi una
-spalla sotto il peso della scala portatile. Scacciato
-da quell'uffizio perchè sottraeva il petrolio
-dalle grandi casse di zinco bianco, si mise alla
-ventura della strada, comprando e rivendendo
-abiti vecchi, facendo in tutte le case popolane
-i servigi più vili, offrendo ai soldati e ai forestieri
-i suoi ruffianesimi, lottando così per il
-tozzo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nel suo corpo e nella sua anima ogni mestiere
-aveva impresso una traccia, aveva lasciato un
-gesto abituale, uno sviluppo di singoli muscoli,
-l'indebolimento di un organo, una callosità, una
-cadenza di voce, una frase del gergo. Egli era
-di piccola statura, magro, con una testa enorme
-e quasi calva, con chiazze di peli radi su le
-guance, con pustole tra i peli. Il suo vestito
-era ibrido e mutevole; tutte le fogge passavano
-su la sua persona, si sovrapponevano a
-contrasto: nobili zimarrine verdognole e calzoni
-carichi di toppe, cappelli di feltro arrossenti
-e ciabatte servili, bottoni di metallo lucido,
-formelle d'osso bianco, galloni militari, trine,
-quel miscuglio di ricchezza sfatta e di miseria
-ignobile, che ingombra la bottega di un rigattiere
-ebreo.
-</p>
-
-<h3>XIII.</h3>
-
-<p>
-Ora costui fu il galeotto. Portava le epistole
-di Marcello con le conche piene d'acqua della
-Pescara su alla casa di Orsola e tornava giù
-con le conche vuote e con epistole di risposta.
-Orsola, quando lo sentiva salir le scale,
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-si faceva pallida; cercava pretesti per allontanare
-Camilla, per essere sola con l'uomo portatore
-d'acqua e di gioia. Avvenivano allora contatti
-rapidi, nel sotterfugio; passavano allora tra
-lei e il galeotto quegli sguardi obliqui d'intesa,
-quei fuggevoli accenni dei muscoli faciali, quei
-monosillabi sommessi, che son gli aiuti dell'astuzia
-umana e che a lungo andare stringono
-legami tra gli ingannatori. A poco a poco nell'amore
-di Orsola penetrava qualche cosa della
-viltà di Lindoro; una specie di domestichezza
-a poco a poco si stabiliva tra l'amatrice e l'ambasciatore.
-Ella, se costui giungeva nell'assenza
-di Camilla, lo incalzava di domande, gli parlava
-da presso facendogli sentire l'alito, qualche
-volta inavvedutamente gli posava su la spalla
-una mano. Lindoro scioglieva i freni della sua
-loquacità, intramezzando parole di gergo, reticenze
-impudiche, furbi sorrisi rivelatori, gesti
-ambigui, piccoli schiocchi di lingua e di labbra.
-</p>
-
-<p>
-Egli ruffianeggiava con arte, sapeva insinuare
-sottilmente la corruzione nell'animo di Orsola,
-sapeva trascinare lentamente all'insidia di Marcello
-quella preda. E la vergine stava ad ascoltarlo
-intenta, con in fondo agli occhi una fiamma
-che cresceva, con in bocca l'aridezza prodotta
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-dall'orgasmo lascivo, senza più interrompere.
-Lindoro s'accorgeva subito di aver suscitato
-nella femmina la brama; e dinanzi a quella figura
-tutta protesa e tutta sconvolta si risvegliava
-in lui il maschio d'un tratto e l'assaliva
-la tentazione di cogliere quel fiore ch'egli apprestava
-al piacere di un altro. Ma la paura sorgente
-dal fondo della sua viltà lo tratteneva e
-gli ghiacciava l'ardore.
-</p>
-
-<p>
-Così Orsola al fine aveva concesso a Marcello
-un ritrovo. Si sarebbero ritrovati in una
-casa remota del sobborgo, in fondo a un vico
-deserto, dove nessuno li avrebbe spiati, una domenica
-di giugno, stando Camilla nella chiesa
-più lungo tempo, facendo buona guardia Lindoro.
-</p>
-
-<p>
-Nei giorni precedenti quel gran fatto, Orsola
-era tenuta da una eccitazione amara, da
-una specie di febbre che a volte le dava il battito
-dei denti e le vampe alla faccia e i brividi
-alla radice dei capelli, alla nuca. Ella non poteva
-più star ferma, non poteva più star seduta;
-poichè una furia di mobilità le sollecitava tutte
-le membra. Nella scuola, in mezzo al coro eguale
-dei discepoli, in mezzo a quello stillicidio continuo
-di sillabe, uno spirito di ribellione le abbagliava
-la vista all'improvviso, ed ella avrebbe
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-voluto balzare tra i fanciulli, sconvolgere con le
-mani tutte quelle capigliature, rovesciare la lavagna,
-le tabelle, le panche, rompere in grida,
-spezzare qualche cosa, stordirsi. Sotto lo sguardo
-freddo e scrutatore di Camilla, poco mancava
-che ella non svenisse per lo spasimo, per la bile,
-per l'immenso sforzo interiore di dissimulazione.
-</p>
-
-<p>
-Poi, quando Camilla usciva, ella si agitava
-per tutte le stanze, moveva le sedie, morsicchiava
-un fiore, beveva d'un fiato un gran bicchier
-d'acqua, si guardava nello specchio, si affacciava
-alla finestra, si abbatteva a traverso
-il letto, sfogava in mille modi l'irrequietudine,
-l'esuberanza della vitalità sensuale. Tutto il suo
-corpo, nel tardivo fermento della verginità, si
-era arricchito ed espanto. La sua testa non era
-bella, non aveva la quadratura vigorosa, lo splendore
-olivastro di certe razze d'Abruzzo, quelle
-pure linee del naso e del mento svolgentisi grecamente
-nella latina ampiezza della faccia. Ma
-ella, inconsapevole, sotto la goffaggine delle
-vesti grige, sotto la cascaggine delle pieghe incomposte,
-celava un bel corpo delicato.
-</p>
-
-<p>
-Erano i giorni primi di giugno: sorgeva l'estate
-dalla primavera, come da un campo d'erbe
-un àloe. Tra il mare e il fiume tutto il paese
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-di Pescara godeva nella ventilazione salina e
-nel refrigerio fluviale, come distendendo le braccia
-verso quei naturali confini d'acqua amara e
-d'acqua dolce. Salivano alla stanza di Orsola
-allora le blandizie della temperie; insetti lucidi
-urtavano ai vetri e rimbalzavano, come una
-grandine d'oro.
-</p>
-
-<p>
-La vergine, se era sola, provava un bisogno di
-distendersi, di gettare lungi le vesti, di giacere,
-e di raccogliere su la pelle quella blandizia
-ignota che fluttuava nell'aria.
-</p>
-
-<p>
-Cominciava lentamente a spogliarsi, con gesti
-pigri, indugiando con le dita in torno alle allacciature
-e ai fermagli, facendo piccoli sforzi
-svogliati nel cacciar fuori le braccia dalle maniche,
-fermandosi a mezzo e abbandonando in
-dietro la testa dai capelli crespi e corti, quella
-sua testa di giovincello. Lentamente, sotto l'amorosa
-fatica, dalla informità delle vesti, come
-dalla scoria del tempo una statua diseppellita,
-il corpo ignudo si rivelava. Un mucchio di lana
-e di tela vile era ai piedi della pulzella così purificata,
-e da quel mucchio ella come da un piedestallo
-sorgeva nella luce coronandosi con le
-braccia, mentre al contatto dell'aria una vibrazione
-a pena visibile le correva a fior della pelle.
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-In quell'attitudine momentanea tutte le linee del
-torso si distendevano e salivano verso il capo
-ricinto: si appianava la leggera onda del ventre
-non anche deturpato dalla concezione; gli archi
-delle coste si disegnavano in rilievo. Poi, se un
-insetto entrava nella stanza, il ronzìo aliante in
-torno ed accennante ad attingere la nudità, il
-ronzìo sbigottiva Orsola; ed era allora un difendersi
-dalla puntura mal temuta, erano movimenti
-serpentini, scatti di muscoli sotto la cute,
-paurosi raggruppamenti di membra, falli dei malleoli
-non bene forti al gioco.
-</p>
-
-<p>
-Poi, così eccitata dal moto e calda, ella aveva
-voglie nuove. Apriva l'uscio, cauta in sospetto;
-e metteva fuori il capo guardando nell'altra stanza.
-C'era un odore di chiuso, quello squallore
-inanimato che hanno le scuole senza fanciulli.
-Nelle tabelle quadrate l'alfabeto cubitale e i
-gruppi dei dittonghi e delle sillabe stavano muti
-dominatori del luogo. Orsola si avanzava evitando
-co' piedi nudi gli interstizii del pavimento
-smosso, provando la titubanza di chi cammina
-scalzo per la prima volta su un piano aspro e
-la confusione di una donna che non sente più
-in torno al suo passo l'impedimento abituale della
-veste. Andava così fino alla terza stanza, dov'era
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-l'acqua. Intingeva le mani, si spruzzava tutta, coraggiosamente,
-sussultando se una gocciola più
-grossa le rigava l'epidermide. Usciva di là, tutta
-sparsa di rugiada: andava verso lo specchio di
-un antico canterano.
-</p>
-
-<p>
-Restavano in quel canterano ancora frammenti
-d'intarsio qua e là. Lo specchio, che celava un
-armario sovrastante, aveva in torno fregi misti
-d'oro e di colori e in alto due puttini decapitati.
-Orsola saliva fin là, attratta da una irresistibile
-curiosità di vedersi nuda. La sua persona tutta
-ancora fresca di gocciole sorgeva nell'offuscamento
-dello specchio come in un verdazzurro
-fondo marino. Ella si guardava sorridendo. Il
-sorriso, ogni movimento dei muscoli pareva far
-tremolare tutte le linee della nudità nello specchio
-come quelle di una imagine dentro le acque. Allora
-ella cominciava una specie di mimica vanitosa,
-guardando riprodursi tutti i suoi gesti nella lastra,
-aprendo le labbra per mostrare i denti, alzando le
-braccia per mostrare le ascelle, presentando la
-schiena arcata e forzando il capo a volgersi in
-dietro; fin che un pazzo impeto di ilarità, dinanzi
-a quello spettacolo di sè, le scuoteva tutta la persona.
-In fondo in fondo, dietro la donna, si rifletteva
-dalla parete avversa la tabella dell'alfabeto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-</p>
-
-<h3>XIV.</h3>
-
-<p>
-Ora avvenne che in uno di quei momenti
-battesse alla porta della scala Lindoro venuto
-su con le conche. Orsola gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Aspetta!
-</p>
-
-<p>
-E raccolse da terra le vesti, in furia; se le
-mise addosso, in furia; andò ad aprire.
-</p>
-
-<p>
-Erano le sei di sera: il riverbero bianco del
-palazzo di Brina entrava nella stanza; tutto il
-paese di Pescara, grande ospizio di rondini,
-cantava.
-</p>
-
-<p>
-I due, in mezzo, ritti, parlarono del ritrovo
-imminente. Lindoro con la sua loquacità cercava
-di vincere le estreme esitazioni della pulzella;
-poichè egli già teneva una parte della mercede,
-e l'adescava il resto. L'artifizio persuasore gli avvivava
-le parole, gli occhi, i gesti. Egli aveva
-nel fiato l'odore del vino, e nella faccia, su le
-tempie, pe 'l passaggio recente del rasoio, piccole
-macchie rosee e violacee. Mentre parlava
-gli si scopriva la fila dei denti eguale e schietta,
-una di quelle forti chiostre che spesso armano
-le bocche plebee; e la singolarità emergeva vivacemente
-dalla generale turpitudine dell'uomo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-</p>
-
-<p>
-Orsola opponeva dubbii, paure, ad interrompere;
-ma già, poi che l'impudicizia a mano a
-mano sorgendo più calda dal fòmite del vino
-bevuto si insinuò nelle persuasioni del galeotto,
-ella cominciava a turbarsi. S'era ritirata a poco
-a poco verso il muro, appoggiandovisi. Dalle
-aperture, lasciate qua e là nell'abito per la furia
-del rivestirsi, si intravedevano i lembi del lino.
-La gola era tutta scoperta, i piedi senza calze
-nascondevano nelle pianelle soltanto le dita.
-</p>
-
-<p>
-Ma ella, a un punto, involontariamente, per
-quel cieco istinto da cui una donna è avvertita
-d'essere innanzi a un uomo bramoso, corse con
-la mano a chiudere sotto la gola, sul petto gli
-uncinelli. Quell'atto, col quale Orsola così riconosceva
-nel mezzano l'uomo, quell'improvviso
-atto fece scattare dall'abbiezione di Lindoro un
-impeto di orgoglio maschile. — Ah, egli dunque
-aveva potuto per sè stesso turbare una
-donna! — E si fece più da presso; e, come il
-coraggio del vino lo animava, quella volta nessun
-ritegno di viltà trattenne il bruto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-</p>
-
-<h3>XV.</h3>
-
-<p>
-Orsola rimase inerte, lunga su i mattoni, con
-nelle vesti, con in tutta la figura lo scompiglio
-della donna violata.
-</p>
-
-<p>
-Ma, quando udì i passi di Camilla nella scala,
-dal fondo della sua languidezza si levò su un
-gomito; rapidamente passò le mani su le vesti
-sconvolte; ritrovò le parole per dire alla sorella
-che una sùbita mancanza di forze l'aveva fatta
-cadere nel mezzo della stanza.
-</p>
-
-<p>
-Fuori, annottava. Sul paese si spandeva la
-grande frescura glauca della sera di giugno,
-originante dall'Adriatico. Voci e risa empivano
-la piazza; giù pe 'l casamento cantava la gioia
-sabatina degli abitanti sollevati. Dal secondo pianerottolo
-Teodora La Jece gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Comare Camilla, comare Orsola, venite?
-</p>
-
-<p>
-Orsola seguì la sorella, senza parlare, senza
-pensare. Durava fatica a ricordarsi: una specie
-di ebetudine le teneva ancora la memoria. Teodora
-le empiva gli orecchi del suo chiacchierio di
-femmina maldicente e petulante.
-</p>
-
-<p>
-— Sapete, comare, la figlia di Rachela Catena
-si marita.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah.
-</p>
-
-<p>
-— Sapete, piglia Giovannino Speranza, quel
-rosso che tiene locanda alla Pesceria e ha il
-mal di San Donato, liberanosdòmine.
-</p>
-
-<p>
-— Ah.
-</p>
-
-<p>
-— Sapete, comare; Checchina Madrigale se
-n'è scappata un'altra volta a Francavilla. Voi la
-conoscete: quella grassa che sta di casa a Gloria,
-nera, col naso a becco.... quella.
-</p>
-
-<p>
-Teodora seguitando aveva preso il passo di
-Orsola. Camilla veniva un poco in dietro, a capo
-chino, senza badare ai peccati di mormorazione
-che la lingua della tessitrice commetteva contro
-il prossimo. Per le vie tutta la gente godeva
-l'aria; gruppi di donne passavano, in vesti di
-tela, con braccia nude sino al gómito.
-</p>
-
-<p>
-— Comare, guardate Graziella Potavigna che
-falbalà s'è messo! Guardate Rosa Zazzetta, con
-un sergente avanti e uno dietro.... Ah, voi non
-sapete?
-</p>
-
-<p>
-E qui una storia d'amorazzi piena d'indiscrezioni
-salaci, susurrata quasi all'orecchio. Per
-obliare, Orsola si immerse nel pettegolezzo intieramente,
-con una specie di furia convulsa, non
-dando a sè stessa il tempo di ripensare, interrogando,
-eccitando Teodora alla chiacchiera, temendo
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-gli intervalli di silenzio, riempiendoli con
-sussulti di riso. Ella aveva quasi un godimento
-amaro a sentire i vituperii degli altri.
-</p>
-
-<p>
-— Oh! ecco Don Paolo!
-</p>
-
-<p>
-Veniva in contro con la sua bella placidezza
-Don Paolo Seccia, un ottuagenario ancora aspro
-e verde come un ginepro.
-</p>
-
-<p>
-— Venite con noi, Don Paolo: usciamo
-fuori.
-</p>
-
-<p>
-Tutti i macelli per la via di qua, di là, avevano
-i loro manzi freschi penzolanti in mezzo
-alla porta: l'odore della carne bovina si spandeva
-dalle ventraie aperte e assaliva le nari.
-Più in su, lunghe file di maccheroni stavano
-attelate al lume della luna che le guardava dalla
-cima di un'antenna soperchiante la caserma.
-Gruppi di soldati si affollavano in torno alle
-rivenditrici di frutta, vociferando.
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo alla Bandiera — disse Teodora,
-dando la precedenza a Don Paolo ed a Camilla.
-</p>
-
-<p>
-Orsola passò in mezzo a tutti quei romori e
-quegli odori forti, stordita. Cominciava alfine
-uno sbigottimento vago a sommuoversi dal fondo,
-a torcerle la bocca nel riso, nelle parole, a
-impedirle la lingua. Anche certi piccoli tormenti
-fisici la molestavano e la richiamavano alla realità
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-delle cose. Ella non sapeva più sfuggire a
-sè stessa: le moriva la voce fra i denti, l'angoscia
-le serrava la gola, il fantasma del peccato
-enorme e irrimediabile le si drizzava dinanzi.
-Ella ora si sentiva morire dalla fatica di
-reggersi in piedi, di mettere i passi: si sentiva
-percossa dalla spietata animazione della vita
-nella strada che è di tutti.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque, comare mia, quel guercio del marito
-senza saper nulla di nulla... — diceva Teodora
-riannodando la maldicenza interrotta.
-</p>
-
-<p>
-Andavano per la Bandiera. Il ponte a battelli,
-su la sinistra, cavalcava il fiume. Dall'altro
-lato, la mole cupa e grave del bastione si disegnava
-nel chiarore. I vecchi cannoni di ferro,
-piantati con la bocca nel terreno, si dilungavano
-in fila trattenendo le gómene; grandi áncore
-di ferro ingombravano lo scalo. Nelle tolde, a
-riva, i marinari sotto le tende mangiavano e
-fumavano: le tende illuminate contrastavano con
-un rossore sanguigno l'albore della luna. Intorno
-alle proe, su l'acqua larghe chiazze come
-di materia liquefatta fluttuavano lentamente.
-</p>
-
-<p>
-— ... mandò a chiamare Don Nereo Memma,
-figuratevi! — seguitava Teodora, implacabile.
-</p>
-
-<p>
-— Chi parla del dottor Dulcamara? — fece
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-Don Paolo, a cui era giunto quel nome, ridendo
-dalla franca bocca ancora armata di avorii.
-</p>
-
-<p>
-Orsola non sentiva più: ella era pallida come
-la faccia della luna. Da prima, tutta quella gran
-pace luminosa piovente dal cielo sul fiume e
-tutte quelle lunghe vene di odore marino correnti
-pe 'l fresco le avevano dato sollievo; poichè
-dinanzi a quello spettacolo di dolcezza i fantasmi
-vagheggiati dell'amore in fondo a lei si
-risollevavano e le sommità del sentimento al
-raggio lunare riscintillavano. Fu, súbito dopo,
-un tumulto confuso in cui ella udiva battere le
-arterie con un susurrìo assordante che parve
-dilatarsi e riempire tutta l'aria d'un tratto. Le
-mancava sotto i piedi il suolo fermo. Il limite
-delle acque si confuse, per la vertigine; il fiume
-invase la strada; acque acque acque si spársero
-in torno. Poi, d'un tratto, uno scintillìo
-di bagliori si accese dentro gli occhi di lei, un
-tremolìo crescente di fiammelle fatue che rompevano,
-si intrecciavano, si allontanavano, e si
-fondevano e perdevano serpentinamente nell'ombra.
-In quella illuminazione la figura di Marcello
-compariva e spariva, con una rapidità e
-una mutabilità di sogno. La vertigine cessò. Orsola
-riconobbe i riflessi della luna nel fiume placido;
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-continuò a camminare, stupefatta, indebolita,
-quasi in punto di venir meno.
-</p>
-
-<p>
-— Stanca, eh? comare; voi non siete abituata,
-si sa. Appoggiatevi a me, appoggiatevi — diceva
-Teodora. — La figlia di Donna Mentina
-Ussoria, quella più piccola, butterata, stava proprio
-innanzi alla bottega, sapete, su la piazzetta...
-</p>
-
-<p>
-Erano alla caserma dei finanzieri. Grandi mucchi
-di carrùbe mandavano un odore forte come
-di pelli conciate; e la strada seminata di scaglie
-d'ostriche scricchiolava sotto i passi. Due sciàbiche,
-presso la riva, facevano pesca d'anguille,
-in silenzio, con la luna propizia. Ma la sonorità
-del mare empiva di grandezza il silenzio. Annunziavano
-la foce gli ondeggiamenti del sale
-superanti il lieve fiore dell'acqua dolce.
-</p>
-
-<p>
-— Torniamo in dietro, belle figliuole — disse
-Don Paolo, prendendo una carruba dal mucchio
-vicino.
-</p>
-
-<p>
-Orsola si lasciava condurre. Ella durava fatica
-a rattenere l'ansia del respiro; poichè ora
-il suo stato, con una terribilità incalzante, le si
-ripresentava dinanzi e schiacciava tutti gli aneliti
-e i tumulti del sentimento suscitati dalla voluttà
-della notte lunare. Ella vedeva, nella fissazione
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-del suo pensiero, la figura di Lindoro levarsi
-e vivere; si sentiva un'altra volta afferrare e
-palpare da quelle mani aspre, soffocare da quel
-fiato caldo di vino e di libidine, violare su i
-mattoni della stanza. Ma in quel momento, pensava,
-ella non aveva resistito, non aveva gridato,
-non aveva fatto nessun moto per opporsi;
-ella aveva soggiaciuto, senza forze, non distinguendo
-più nulla, non sentendo se non una gran
-gioia mista di dolore inondarle le fibre. Allora
-il ribrezzo e il languore si avvicendarono nella
-sua carne, agghiacciandola, affocandola. Inconsapevole,
-guardava innanzi a sè, pallida e con gli
-occhi ingranditi e più neri.
-</p>
-
-<p>
-— Sentite come il vino canta! — disse Don
-Paolo, soffermandosi.
-</p>
-
-<p>
-Nelle barche i marinai stavano distesi tra i
-cordami, in mezzo al fumo del tabacco di Dalmazia,
-e cantavano di femmine belle, in gran
-coro.
-</p>
-
-<h3>XVI.</h3>
-
-<p>
-Camilla, su l'inginocchiatoio, pregò a voce
-bassa, co 'l capo prostrato, con giunte le mani,
-lungamente; poi accese la lampada votiva a
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-Maria Vergine, per la notte; piegò poi nel sonno
-tenendo il dolce cuore di Gesù tra i fiori vizzi
-del seno. Il suo respiro di dormiente era religioso
-come se sfiorasse l'ostia sacra su la paténa
-d'argento. Nella volta le ombre seguivano
-le oscillazioni della fiammella alimentata dall'olio.
-I rumori del legno che si dilata e dei tarli
-che ródono, le voci misteriose dei vecchi mobili
-nella calma notturna, rompevano il silenzio.
-</p>
-
-<p>
-Orsola stava nello stesso letto, a fianco di
-Camilla, distesa, senza muoversi, senza chiudere
-gli occhi, poichè una grande stanchezza insonne
-le occupava le membra e la vigilanza assidua
-dell'angoscia le martoriava l'anima tapina. Ella
-ascoltava il silenzio; spiava sè stessa con una
-curiosità ansiosa, come per sentire qual mutamento
-si fosse compiuto nell'essere suo.
-</p>
-
-<p>
-A un tratto, Camilla nel sonno cominciò a
-mormorare parole confuse, frammenti di parole
-incomprensibili, movendo appena le labbra, mettendo
-lunghi respiri. La testa di lei, scarna, affilata,
-scolpita rigidamente dalla penitenza e dal
-digiuno, ingiallita dal lume della lampada, posava
-su la bianchezza del guanciale come una
-effigie mal dorata di santa sopra una raggiera.
-Piccole ombre violacee segnavano l'interno delle
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-narici, i solchi del collo teso e pieno di corde, le
-fosse delle gote, le occhiaie d'onde sporgeva
-grande il globo coperto dalla pelle molle della
-pálpebra. Ella pareva così il cadavere di una
-martire, dentro cui scendesse lo spirito di Dio.
-</p>
-
-<p>
-Benchè quello dei soliloquii notturni non fosse
-il primo, Orsola sentì freddo in mezzo ai capelli:
-un terrore improvviso l'assalì e la oppresse. Ella
-istintivamente si rannicchiò, cercò di allontanarsi
-dal corpo della sorella ritraendosi su l'orlo della
-sponda; stette immobile, sospesa negli intervalli
-di silenzio, con gli occhi fissi su la bocca della
-dormiente, provando un sordo sussulto in mezzo
-al petto se quelle labbra si movevano a profferire
-nuove parole. Ella non comprendeva; ma
-qualche cosa di lontanamente profondo e di solenne
-era in quel mormorìo interrotto, un mistero
-soprannaturale si levava da quel corpo
-inerte e inconsapevole che parlava senza udire
-la propria voce. Nella stanza passava l'alito del
-sepolcro; per la fantasia sconvolta dell'insonne
-le ombre oscillanti prendevano forme spaventose
-e minacciose di spettri; l'aria pareva solcata da
-romori ignoti. Tutte le cose su cui l'allucinata si
-rifugiava con lo sguardo, tutte le cose si trasformavano
-e si animavano ed andavano verso di lei.
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-Allora l'idea del castigo e della pena eterna ancora
-una volta le risorse nella conscienza e la
-incalzò. Ella si abbattè sotto l'incubo del suo
-peccato, mettendo in croce le braccia sul petto
-per difendersi dalle minacce dei demoni, tentando
-pregare con la lingua impedita dal terrore,
-aggrappandosi con un supremo slancio all'áncora
-del pentimento, all'ultima salvezza. Ella si
-sentiva perduta, chiedeva misericordia dall'intimo
-del suo cuore al divino Sposo tradito, a
-Gesù buono e grande, a Colui che perdona.
-</p>
-
-<p>
-La voce di Camilla si esalava in sospiri, si
-confondeva in un borboglìo tremulo, si spegneva
-nella respirazione lenta ed eguale, a mano a
-mano che l'entusiasmo del sogno mistico si andava
-placando. Le ombre seguitavano ad oscillare.
-Non ancora il Crocefisso discendeva dalla
-parete a raccogliere con le dolcissime braccia
-la pecorella tornante all'ovile.
-</p>
-
-<h3>XVII.</h3>
-
-<p>
-— Ha detto il Signore per bocca del profeta
-Gioele, figlio di Petuel: «Avverrà che io spanderò
-il mio Spirito sopra ogni carne, e i vostri
-figliuoli e le vostre figliuole profetizzeranno; i
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-vostri vecchi sogneranno sogni, i vostri giovani
-vedranno visioni.»
-</p>
-
-<p>
-Questo Spirito di cui gli Apostoli ebbero le
-primizie e la beatitudine, fu per essi e per noi
-uno Spirito di verità, uno Spirito di santità e
-uno Spirito di forza... O divino amore, o sacro
-legame che unisci il Padre e il Figlio, Spirito
-onnipotente, fedele consolatore degli afflitti, pénetra
-negli abissi profondi del nostro cuore e
-infondici la tua gran luce!&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-Così predicava Don Gennaro Tierno nella
-Pentecoste, dall'altare maggiore, volto al popolo
-ascoltante. Sopra di lui, in alto, la terza persona
-della SS. Trinità apriva l'arco radioso delle ali
-d'oro, e nella chiesa l'illuminazione dei ceri spandeva
-un rossore simile a un riflesso d'incendio.
-Gli enormi pilastri di pietra sostenenti le due
-navate, coperti di barbare sculture cristiane,
-cavalcavano verso l'altare pesantemente; su le
-pareti gli avanzi dei mosaici rilucevano: qualche
-testa di Apostolo, qualche braccio rigido di santa,
-qualche ala d'angelo emergeva ancora nell'offuscamento
-e nello scrostamento operato dai secoli.
-Tra i mosaici pendevano piccole navi ex-voto dedicate
-al tempio dai naufraghi supérstiti. E in
-mezzo alle pietre rudi e alle croste fosche si elevava
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-agile un gruppo di colonne rosee a spira
-sorreggenti il pergamo anche marmoreo fiorito
-di acanti e animato di bassirilievi.
-</p>
-
-<p>
-— Spandi la tua dolce rugiada su questa terra
-deserta, a fin che cessi la sua lunga aridità.
-Manda i raggi celesti del tuo amore fino al
-santuario dell'anima nostra, a fin che penetrandoci
-accendano fiamme consumatrici delle nostre
-debolezze, delle nostre negligenze, dei nostri
-languori! — seguitava il prete, salendo ai supremi
-culmini della sua eloquenza e della sua
-potenza vocale.
-</p>
-
-<p>
-Orsola, da presso, ascoltava, tutta raccolta.
-Ella si era rifugiata nella casa del Signore, era
-tornata al talamo; voleva che il Signore la purificasse
-e la ricevesse un'altra volta nella benignità
-del suo grande abbracciamento. Quel
-barbaglio subitaneo di fede la abbacinava, le
-faceva quasi dimenticare ogni fallo anteriore.
-Le pareva che subitamente dalla sua anima le
-macchie si cancellassero e dalla sua carne cadessero
-le scorie della impurità terrena. Giammai
-ella si era accostata all'altare di Dio con
-un più profondo tremito di speranza; giammai
-aveva ascoltato la parola di Dio con una più
-lunga ebrezza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-</p>
-
-<p>
-Dall'istante in cui l'orrore della dannazione
-le si levò nella conoscenza, ella si compresse in
-una specie di raccoglimento cupo, sorvegliando
-sè stessa, sorvegliando i propri atti, i propri
-pensieri, i minimi moti pe 'l timore che quella
-veemenza di pentimento si esalasse, per l'ansia
-di conservare intatto dentro di sè quel fiore di
-fede rigermogliato d'improvviso. Fu una specie
-d'assunzione verso Gesù, con un ripudio di ogni
-legame umano. Ella si esaltò nella lettura dei
-libri sacri; si gettò nella contemplazione delle
-imagini e dei misteri; lottò contro le molli viltà
-della carne, contro i calori della giornata, contro
-l'insidie della notte, contro i profumi che le portava
-il vento, contro il soffio che saliva dai suoi
-ricordi impuri, contro le voci che parevano vellicarle
-l'udito e susurrarle segreti nuovi di piacere.
-</p>
-
-<p>
-Dopo quella settimana solitaria di passione,
-ella ora deponeva il sacrificio ai piedi dell'altare;
-beveva il balsamo della parola di Dio, fissando
-gli occhi in alto alla colomba radiosa e
-sentendosi a poco a poco naufragare nel pèlago
-dell'estasi.
-</p>
-
-<p>
-— Vieni dunque, vieni, dolce consolatore delle
-anime desolate, rifugio nei pericoli, protettore
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-nella sventura. Vieni, o tu che purifichi l'anime
-da ogni macchia e ne guarisci le piaghe. Vieni,
-forza del debole, appoggio di quegli che cade.
-Vieni, stella dei naviganti, speranza dei poveri,
-salute di chi è per morire — incalzava Don
-Gennaro Tierno, alto nella pianeta d'argento,
-vermiglio in volto, con occhi forzanti le órbite,
-con gesti che parevano toccare il cielo.
-</p>
-
-<p>
-Nella chiesa una calura grave si era addensata
-su i cristiani. Le navate si schiacciavano
-su i pilastri; in una vetrata la testa di S. Luca
-evangelista raggiava percossa dal sole e il gran
-manto metteva nell'aria una zona di crepuscolo
-verde. L'ambone marmoreo si levava come un
-miracoloso fiore mistico, in quel vapore di luce.
-</p>
-
-<p>
-— Vieni, o Spirito, vieni ed abbi misericordia
-di noi!
-</p>
-
-<p>
-Orsola teneva gli occhi all'alto: su l'onda di
-tutte quelle invocazioni ella ascendeva verso il
-nimbo, penetrata dalla ineffabile soavità che attira
-l'anime all'odore degli aromi spirituali. Le
-parve un istante di vedere la colomba d'oro
-balenarle un lampo di assentimento, e il cuore
-le balzò di giubilo nel seno come San Giovanni
-nelle viscere d'Elisabetta alla visita della Vergine
-Maria.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Per nostro signore Gesù Cristo. Amen.
-</p>
-
-<p>
-Il prete, tutto d'argento, si volse verso la custodia,
-dicendo a bassa voce un credo. Due turiferarii
-bianchi ai lati cominciarono a scuotere
-i turiboli fumanti e odoranti. Un nuvolo di incenso
-avvolse la vergine violata che stava da
-presso; e subitamente un invincibile fiotto di
-náusea dal fondo della maternità le salì alla gola
-e le fece torcere la bocca.
-</p>
-
-<h3>XVIII.</h3>
-
-<p>
-Non c'era dunque scampo? — Più giorni ancora
-ella oscillò nel dubbio, aspettando l'ultima
-prova. Vertigini la prendevano al levarsi, quando
-ella metteva a terra i piedi; sfinimenti vaghi
-la invadevano su la sera, fievolezze in cui il
-pensiero, la volontà, i ricordi parevano quasi
-avere la confusione, la sonnolenza fluttuante
-delle prime ore mattutine. Ella faceva le cose
-per abitudine, con gesti di sonnambula, stancamente.
-Nella scuola, se veniva sul vento l'odore
-del pane caldo dal forno, ella si sentiva
-morire, sentiva tutte le viscere montarle d'un
-tratto alla bocca; e un sapore di lisciva le si spandeva
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-nella lingua. Un giorno, mentre un bimbo
-succhiava una ciliegia, una voglia violenta di quel
-frutto la fece contorcere su la sedia, impallidire e
-sudare. Poi, ella, dopo il pasto, tutta amara di
-nausea, si metteva lunga sul letto, si lasciava
-occupare dal sopore: il caldo era pesante, le mosche
-ronzavano, le grida d'un venditore di occhiali
-passavano sotto la finestra, rauche nel silenzio.
-</p>
-
-<p>
-Sfiduciata, ella non cercò più la chiesa: l'incenso
-anche la ributtava.
-</p>
-
-<p>
-Ella non pensò più a Marcello; non lo vide più,
-non ebbe di lui se non un ricordo incerto, come
-d'un sogno remoto. L'ansia presente la teneva
-tutta.
-</p>
-
-<p>
-Lindoro saliva a portar acqua, come prima.
-Egli giungeva su, rosso e stillante di sudore;
-posava le conche, lanciando sguardi di sbieco
-alla vittima. Orsola si ritirava nell'altra stanza
-o si curvava sul lavoro stringendo i denti nella
-collera repressa. Lindoro se ne andava, come un
-cane frustato; ma il pensiero di aver posseduto
-quella donna gli turbava il sangue: avrebbe voluto
-ora trascinarsela con sè, tenersela, esserne
-il padrone come di una merce da usare e da vendere.
-Cupidigia sensuale e avidità di guadagno
-in lui si mescevano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-</p>
-
-<p>
-Una sera egli aspettò che Camilla uscisse,
-alla porta di strada; poi salì a precipizio per
-sorprendere Orsola, per trovarla sola nella casa.
-Quando egli battè all'uscio Orsola lo riconobbe
-e si sentì rimescolare.
-</p>
-
-<p>
-— Che vuoi da me, che vuoi? — chiese ella
-con la voce soffocata, senza aprire.
-</p>
-
-<p>
-— Sentimi un momento, sentimi! Non aver
-paura; non ti faccio male...
-</p>
-
-<p>
-— Vattene, cane, infame, assassino... — proruppe
-la donna, con una veemenza stridula di
-vituperii, togliendo il freno a tutto l'odio accumulato
-contro colui. — Vattene, vattene!
-</p>
-
-<p>
-E, sfinita, si ritrasse nella sua stanza, si gettò
-su i guanciali mordendoli fra le lagrime.
-</p>
-
-<h3>XIX.</h3>
-
-<p>
-Non c'era più scampo. — La figlia di Maria
-Camastra aveva bevuto il vetriolo ed era morta
-così, con un bimbo di tre mesi nel ventre. La figlia
-di Clemenza Iorio s'era precipitata dal ponte,
-ed era morta così, nella fanga della Pescarina.
-Bisognava dunque morire.
-</p>
-
-<p>
-Quando questo pensiero balenò alla mente di
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-Orsola, cadeva il pomeriggio. Tutte le campane
-sonavano a gloria, nella vigilia del <i>Corpus
-Domini</i>; grandi tribù di rondini schiamazzavano
-e turbinavano sul palazzo di Brina, si
-assembravano a parlamento su l'Arco. Una nuvola
-rossa sovrastava le case, simile forse a
-quella che versò bitume ardente su l'empietà di
-Sodoma.
-</p>
-
-<p>
-Orsola al baleno di quel pensiero si smarrì,
-ebbe paura. Poi a mano a mano che il sentimento
-della vergogna la persuadeva al passo,
-in fondo a lei una sorda ribellione di vitalità
-cominciava a levitare, le viscere fremevano. Ella
-d'un tratto sentì il rossore e il calore del suo
-sangue chiazzarle la fronte, le guance. Si levò
-dalla sedia, torcendosi le braccia nell'agitazione
-della lotta. E, con un impeto di forza nervosa, finalmente
-uscì dalla stanza, entrò nella cucina,
-cercò su le tavole un bicchiere e il mazzo degli
-zolfanelli. L'odore forte del carbone le turbava
-lo stomaco; la vertigine le prendeva il cervello.
-Ella trovò tutto: mise gli zolfanelli a disciogliersi
-nell'acqua; rientrò nella sua stanza e nascose
-in un angolo, sotto un mobile, il bicchiere
-letale.
-</p>
-
-<p>
-— Dio mio! Dio mio!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ella aveva ora paura di trovarsi così, sola,
-dinanzi al suo proponimento. Le tornò subitamente
-nella fantasia il cadavere di Cristina Iorio
-intraveduto quel giorno mentre lo portavano su
-la barella alla casa della madre: un corpo gonfio
-come un otre, con la melma ne' capelli, nel
-cavo degli occhi, nella bocca, tra le dita de' piedi
-violetti...
-</p>
-
-<p>
-— Dio mio, Dio mio, morire!
-</p>
-
-<p>
-E sussultò come se una mano fredda e rigida
-le si fosse posata sul capo: un brivido le corse
-tutte le membra, le durò un momento sul cranio
-con l'impressione di una lama che vi penetrasse
-per distaccarne la pelle.
-</p>
-
-<p>
-— No, no, no! — disse con la voce alterata,
-come se volesse scacciare da sè il contatto di
-qualche cosa orribile. E andò alla finestra, sporse
-il capo fuori, cercando un rifugio.
-</p>
-
-<p>
-Ella rimase là, inchiodata, attònita dinanzi a
-quella visione d'incendio biblico e a quella tregenda
-di uccelli neri. Quando si volse un poco,
-intravide nell'ombra della stanza un bagliore
-strano: il luccichìo delle mezzelune d'oro su la
-veste della Madonna di Loreto e il luccichìo
-delle medaglie. Ebbe ancora paura; si schiacciò
-sul davanzale, si sporse di più; stette là,
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-senza avere il coraggio di muoversi. Allora, in
-quella immobilità, l'indebolimento serale cominciò
-ad invaderla; ed ella si strinse la testa grave
-tra le palme, socchiuse le pàlpebre.
-</p>
-
-<p>
-— Ah!
-</p>
-
-<p>
-D'improvviso le si era aperto nell'animo uno
-spiràcolo. — Sì, sì, ella se ne rammentava! Spacone,
-il mago, quel vecchio con la barba lunga,
-quello che faceva i miracoli e aveva le medicine
-per ogni male... Era venuto al paese qualche
-volta a cavalcioni di una muletta bianca,
-con due triangoli d'oro agli orecchi, con una
-fila di bottoni larghi come cucchiai d'argento
-senza mànico. Tante donne uscivano su gli usci
-e lo chiamavano, e lo benedicevano. Egli aveva
-guarito ogni sorta di malattie con certe erbe
-e certe acque e certi segni del dito pollice e
-certe parole magiche. Egli doveva avere i rimedii
-pure per quella cosa... sì, sì, li doveva avere!
-</p>
-
-<p>
-E Orsola rivisse in un barlume di speranza,
-mentre il languore saliva saliva. Dinanzi a lei,
-le cose annegavano nel crepuscolo; il giorno
-vermiglio, penetrato dalle ceneri della notte vicina,
-mancava in un lento scoloramento, senza
-contrasti. Una rondine, come un pipistrello, passò
-radendole il capo. Il sùbito alito dell'estate le
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-soffiò nella faccia, le toccò ogni vena, le scosse
-fin le radici infime della vita.
-</p>
-
-<p>
-Ella, con un moto involontario e inconsapevole,
-mise le mani sul ventre e le tenne così
-un istante. L'indefinito sentimento della maternità
-le attraversava l'anima. E dal fondo, misteriosamente,
-un ricordo della convalescenza lontana
-si svegliò. — Ah, era di marzo... una gran
-bianchezza ridente... e sopra di lei le <i>spie</i>, le lanugini
-molli piovevano.
-</p>
-
-<h3>XX.</h3>
-
-<p>
-Così fu che la mattina dopo ella uscì dalla
-casa, di sotterfugio; e s'incamminò sola fuori
-del paese, per la strada nuova di Chieti.
-</p>
-
-<p>
-Nelle vicinanze di San Rocco abitava Spacone.
-Sotto la maestà di una quercia druidica, egli
-compiva i miracoli e formulava i responsi. Tutto
-il contado, in venti miglia di circuito, ricorreva
-a lui, come a un apostolo della Providenza.
-Nelle epidemie del bestiame indigeno, mandre
-di bovi e di cavalli si raccoglievano in torno
-alla quercia per ricevere il talismano preservante
-dal morbo: le orme delle unghie equine
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-e bovine facevano come un circolo d'incanti su
-l'erbe semplici del terreno.
-</p>
-
-<p>
-Quando Orsola s'incamminò, era nella terra
-pescarese un gran giuoco d'ombre e di luci. Le
-nuvole nòmadi trasmigravano dalla marina alla
-montagna, come carovane con buone salmerìe
-d'acqua, per quel cielo arabico del mese di
-giugno. A intervalli, larghe zone di terra si
-sommergevano nell'ombra, altre zone emergevano
-illustrate; e, come l'ombra era turchina e
-mobile, la campagna così dava apparenza di
-un arcipelago che galleggiasse copioso d'alberi
-e di fromento. Il canto degli uccelli lodava la
-maturità delle biade.
-</p>
-
-<p>
-Al primo spettacolo Orsola ebbe un insolito
-ristoro; poichè la libertà della campagna, la felicità
-della luce sul fogliame, gli odori cordiali
-dell'aria circondandole d'un tratto la persona le
-mossero il sangue, e la nuova speranza in lei
-al dispiegarsi dell'orizzonte si fortificò ed esultò.
-Ella si alleggeriva di tutte le angosce, vivendo
-per due sentimenti soli, per la speranza della
-salvazione corporea e pel desiderio di raggiungere
-la meta. In fondo, alla meta, ella vedeva
-nella sua fantasia sorgere il vecchio benefico e
-illuminarsi misticamente. Per una nativa tendenza
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-superstiziosa, ella trasformava quella figura, la
-ingigantiva e la vestiva di una dolcezza cristiana,
-la cingeva di nimbo. Allora tutte le dicerie
-che correvano tra il volgo le tornarono alla
-memoria confusamente e gittarono sprazzi di luce
-meravigliosa su la fronte di Spacone. Allora ella
-si rammentò che Rosa Catena, in un giorno lontano
-della malattia, aveva parlato del Vecchio
-con una reverenza devota citando miracoli. — Un
-cieco di Torre de' Passeri era andato a San Rocco
-ed era tornato dopo tre dì con gli occhi che ci vedevano
-e con una cifra turchina su la tempia.
-Una femmina di Spoltore, invasa dagli spiriti
-maligni, era tornata mansueta come un'agnella,
-dopo aver bevuto due sorsi d'un'acqua custodita
-in una piccola zucca secca.
-</p>
-
-<p>
-Così a poco a poco, lungo il cammino, pel
-concorso di tanti elementi sparsi si venne formando
-nella mente di Orsola una specie di leggenda.
-E a poco a poco, giacchè nulla possono
-gli uomini senza l'assistenza di Dio, sorse anche
-la persuasione che il vecchio fosse un inviato
-del cielo, un redentore delle anime dalla dipendenza
-corporale, un distributore di grazie celesti
-su la terra ai caduti. — La speranza estrema
-non era discesa su la peccatrice improvvisamente,
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-quasi per influsso divino, fra i segnali
-accesi nell'aria? E nella Pentecoste la colomba
-non aveva balenato dall'alto, agli occhi della
-pregante, un lampo di buona promessa?
-</p>
-
-<p>
-La promessa ora si compiva nel santo giorno
-del <i>Corpus Domini</i>. Orsola dunque, tutta calda
-di fede e di giubilo, andava su la polvere della
-via nuova, non curando la fatica dei passi. Ai
-due lati, le siepi biancheggiavano come coperte
-di escrementi d'uccelli. Gruppi di pioppi sonori
-stavano su i limiti; e i tronchi inargentati riverberavano
-le variazioni della luce. Le contadine
-della Villa del Fuoco, nane, co 'l naso
-camuso, con le labbra schiacciate, femmine cafre
-dalla pelle bianca, venivano incontro a due, a
-tre. Le vicende delle nuvole occupavano l'immenso
-teatro della campagna.
-</p>
-
-<p>
-Orsola passò il Mulino, passò la Villa. Una
-energìa nervosa le animava il passo. Ella si
-sentiva battere il vento su la nuca e sentiva
-sul capo a intervalli stormire i pioppi. Ma
-l'oscillare delle ombre e la polvere cominciavano
-a turbarle un poco la visione; il calore del
-moto le affluiva alla testa; la volontà era tutta
-occupata nell'insolito sforzo materiale dell'incedere.
-Ella così andò innanzi in una specie di
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-stordimento crescente che si mutava in malessere;
-e, vinta dalla fatica e dal caldo, si lasciò
-allettare da un mucchio di olivi messi in salita
-a sinistra.
-</p>
-
-<p>
-Passavano quattro o cinque zingari seminudi,
-bronzini, con amuleti luccicanti sul petto, a cavalcioni
-di certi asini rossastri. Uno di loro fischiava
-urtando con le calcagna il ventre della
-sua bestia. Tutti avevano in mano canne e portavano
-bisacce di pelle su le cosce. Guardarono
-la donna rifugiata sotto gli olivi e mormorarono
-ridendo.
-</p>
-
-<p>
-Orsola ebbe paura di quegli occhi che mostravano
-il bianco nello sguardo, e stette sbigottita
-finchè il gruppo non si allontanò. Lo
-scoraggiamento incominciava a impadronirsi di
-lei; la solitudine cominciava ad esserle paventosa,
-poichè nella campagna correva per lunghi
-brividi l'annunzio della pioggia e un silenzio
-quasi lugubre scendeva nell'aria dalle nuvole
-raccolte. Ella s'era appoggiata ad un tronco:
-freschi soffi intermessi le investivano la persona
-e le gelavano il sudore nei pori, soffi che accorrevano
-a lei co 'l fruscìo di un animale furtivo
-nell'erba; mentre in torno il tremolìo del sole
-pareva un riverbero d'acque lontane. Pallidi
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-fiori d'un giallo sulfureo facevano onda a pie'
-degli olivi.
-</p>
-
-<p>
-Un ricordo scese allora dai buoni alberi su
-l'animo della donna. — La chiesa era tutta
-piena di palme benedette e di aromi, quel
-giorno; ed ella andava tra il popolo sorretta
-dalle braccia di Marcello, in un gran tremore...
-Ma, come ella si soffermò in quel pensiero, le si
-smarrì la memoria; tutto le sfuggì in una incertezza
-di sogno. Soltanto, colpi sordi le batterono
-il cuore, sussulti d'angoscia le affannarono
-il respiro. Ella aveva ora la sensazione
-ottusa di un sopore che le cadesse sul cervello
-con la pesantezza d'un colpo di maglio.
-Un resto di volontà vigile le bastò a scuotersi
-debolmente e a discendere nella strada.
-</p>
-
-<p>
-Le nuvole raccolte verso la Maiella avevano
-preso il colore diafano e grigio di una massa
-pendula d'acque. Larghe trombe si avvicinavano
-dalla marina più cariche; e ancora qualche
-azzurro campo si dilatava nell'alto. Un odore
-di umidità già saliva dalla polvere, da tutta la
-campagna ansante nell'aspettazione. Gli alberi
-immobili parevano assorbire la luce, si levavano
-anneriti in mezzo alla fumea dell'aria, popolavano
-di forme incerte la lontananza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-</p>
-
-<p>
-Orsola camminava con una fatica immensa,
-sentendo che le forze stavano per abbandonarla. — Ecco,
-pensava, arriverò a quell'albero
-e poi cadrò. — Ma non cadeva. Si scorgevano
-a destra le case di San Rocco. Un contadino veniva
-in contro a corsa.
-</p>
-
-<p>
-— Buon uomo, è quello San Rocco?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, sì, voltate alla prima scorciatoia.
-</p>
-
-<p>
-Grosse gocce sonanti cominciarono a cadere;
-poi d'un tratto la pioggia crescente rigò l'aria
-di lunghe frecce bianche, di lunghe sferze che
-percotendo schioccavano. Un sommovimento
-mostruoso agitò allora le nuvole: sprazzi di
-raggi eruppero di qua, di là. Tutte le colline,
-in fondo, a traverso le liste della pioggia si
-accesero un attimo e si rispensero. Una fievole
-serenità d'argento si levò su la Maiella, parve
-acuirsi come una spada sottile.
-</p>
-
-<p>
-Orsola tentava di correre verso la quercia distante
-un tiro di schioppo. Le gocce le battevano
-su la nuca, le scivolavano per la schiena,
-le colpivano la faccia; e già le vesti erano tutte
-molli sino alla pelle. I passi le mancavano sul
-terreno sdrucciolevole. Ella cadde e si rialzò,
-due volte. Poi, quasi folle, si mise a gridare
-verso la casa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Aiuto! aiuto!
-</p>
-
-<p>
-Una femmina uscì dalla porta e venne a sorreggerla,
-seguita da due cani che abbaiavano.
-</p>
-
-<p>
-Orsola si lasciò condurre senza poter più proferire
-una parola a traverso i denti serrati, livida,
-con la faccia stravolta. Non si riscosse se
-non dopo qualche tempo, per le domande che
-l'ospite le faceva. E allora, repentinamente, all'udire
-il nome di Spacone, si ricordò di tutto.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, dov'è Spacone? — chiese.
-</p>
-
-<p>
-— È a Popoli, donna santa: l'hanno chiamato.
-</p>
-
-<p>
-Orsola non resse più: cominciò a singhiozzare
-e a strapparsi i capelli.
-</p>
-
-<p>
-— Che volete, donna santa? che volete? Io
-sono la moglie; ci son qua io... — miagolava
-la strega, trattenendole i polsi, incitandola a
-parlare.
-</p>
-
-<p>
-Orsola esitò un momento; poi disse tutto, a
-precipizio, tra i singulti, coprendosi la faccia.
-</p>
-
-<p>
-— Aspettate. Il rimedio c'è; ma costa cinquanta
-soldi, donna santa — fece la strega in
-quel suo idioma tutto molle di vocali, cantando
-quel bello appellativo per intercalare.
-</p>
-
-<p>
-Orsola sciolse un nodo nel fazzoletto e offerse
-cinque piccole monete d'argento. Poi aspettò,
-più calma.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-</p>
-
-<p>
-La stanza era vasta, ma bassa. Le pareti, su
-cui qua e là il salnitro fioriva, apparivano scagliose
-e verdastre. Rozzi idoli cristiani di maiolica
-popolavano quel fondo di spelonca; forme
-strane di utensili e di stromenti ingombravano
-le tavole. Era come un aspro santuario custodito
-da un semplicista monaco.
-</p>
-
-<p>
-La moglie di Spacone, dinanzi al camino,
-componeva il suo filtro, in silenzio. Era una
-femmina alta e ossuta, bianchissima in faccia,
-co 'l naso guasto, violetto come un fico, con i capelli
-rossi e lisci su le tempie, con due piccoli
-occhi di albina, tatuata nel mento, nella fronte,
-nel dorso delle mani.
-</p>
-
-<p>
-— Ecco, donna santa! Coraggio!
-</p>
-
-<p>
-Orsola ingoiò il liquido, d'un fiato; ma si
-sentì, subito dopo, da un'amarezza atroce mordere
-il palato e le viscere. Restò con la bocca
-aperta, premendosi il ventre con le mani, battendo
-rapidamente un piede sul pavimento, nello
-spasimo della prima contrazione uterina.
-</p>
-
-<p>
-— Coraggio, donna santa, coraggio! — le
-ripeteva la strega, fissandola con quegli occhi
-bianchicci, soffregandole le reni. Avete tempo di
-arrivare a Pescara... Via! via!
-</p>
-
-<p>
-Orsola non poteva rispondere: alla bocca non
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-le venivano che urli. I crampi le serravano lo
-stomaco, le irrigidivano i muscoli respiratorii,
-le eccitavano il vomito. I bulbi visivi le ruotavano
-in alto, come se ella fosse entrata ne' sintomi
-di una convulsione epilettica. In tutto il suo
-debole organismo la potenza eccessiva della bevanda
-operava ora effetti inaspettati. Il parto
-falso si produsse quasi d'improvviso, con una di
-quelle terribili perdite per ove le forze della
-vita se ne vanno mollemente, insensibilmente,
-fluendo.
-</p>
-
-<p>
-— Gesù, Gesù, Gesù! — mormorava la strega,
-inquieta, presa da una sùbita paura dinanzi a
-quel povero corpo riverso — Gesù, aiutatemi!
-</p>
-
-<p>
-Alle sollecitazioni di lei, Orsola rinvenne. E
-come dopo qualche tempo il profluvio parve arrestarsi,
-la meschina si potè levare in piedi; sospinta
-dalla femmina, uscire; giungere fino alla
-strada nuova, barcollando, pallida come se non
-le fosse rimasta sotto la pelle una goccia di
-sangue, ma tenuta viva dalla speranza che il
-maggior pericolo fosse omai superato.
-</p>
-
-<p>
-Ora la campagna era tutta frescamente luminosa
-dopo la pioggia. Passava una fila di carretti
-carichi di gesso, e i grossi carrettieri di
-Letto Manoppello, pieni di vino, sdraiati sui sacchi
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-fumavano. Come Orsola si mise dietro la fila,
-uno di quelli, l'estremo, gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Ohè, volete che vi porti, bella figliuola?
-</p>
-
-<p>
-Quasi inconscia Orsola si lasciò tirar su dalle
-forti braccia dell'uomo, e stette così seduta sopra
-i sacchi. Non intendeva le grosse risa e i motti
-osceni che di carro in carro si propagavano.
-</p>
-
-<p>
-Con l'energia dell'istinto teneva le ginocchia
-serrate per impedire al flusso la via. Sentiva
-a poco a poco una specie di ottusità occuparle
-i sensi, così che gli sbalzi frequenti delle ruote
-su la ghiaia le davano appena un dolor sordo e
-il lezzo delle pipe le feriva appena le nari. Poi
-cominciò un susurro lontano agli orecchi, un
-tremante bagliore alla vista. Più volte ella sarebbe
-caduta se non l'avessero sorretta le mani
-del carrettiere, che incoraggiato dalla muta docilità
-di lei tentava qualche brutale carezza.
-</p>
-
-<p>
-Il paese di Pescara apparve in cima alla strada,
-in mezzo al sole, mandando suoni sul vento.
-</p>
-
-<p>
-— Fanno la processione — disse uno degli
-uomini. Tutti gli altri sferzarono; e la strada
-risonò sotto il trotto pesante, al tintinnìo de'
-sonagli, allo schiocco delle fruste.
-</p>
-
-<p>
-Quella violenza di scosse e di fragore richiamò
-per un momento Orsola al senso della
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-realtà circostante. Ma, poichè l'uomo le cingeva
-i fianchi con un braccio e le soffiava il fiato
-vinoso nella guancia, ella per un cieco impeto
-si mise a gridare e a gesticolare quasi l'avesse
-presa il delirio. E il fantasma di Lindoro subitamente
-le si rizzò dinanzi agli occhi offuscati e
-potè anco suscitarle il ribrezzo dell'orrore in
-quel poco di sensibilità che le restava nei nervi.
-Appena il carro si fermò, discese a terra dai
-sacchi scivolando; tentò di muovere i passi, con
-la furia affannosa di chi cerchi raggiungere un
-luogo sicuro per cadere.
-</p>
-
-<p>
-Venivano in contro nella strada le verginelle
-coperte di veli candidi, con in mano i cèrei
-dipinti, e cantavano. Dietro la torma angelica,
-un grande sventolìo di drappi e di baldacchini
-ampliava l'aria beneficata dalla pioggia recente.
-E cantavano:
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p><i>Tantum ergo sacramentum</i></p>
-<p><i>Veneremur cernui...</i></p>
-</div>
-
-<p>
-Orsola, intravedendo, voltò nel vicolo; giunse
-alla casa di Rosa Catena, entrò; presa dalla
-vertigine, cadde in mezzo al pavimento. E, come
-il profluvio del sangue ricominciava, la paralisi
-le occupò la metà inferiore del corpo, ogni facoltà
-di moto volontario in lei si spense.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-</p>
-
-<p>
-Rosa non era nella casa: la processione
-aveva attirato tutto il paese, quel giorno. In un
-angolo della stanza Muà, il padre, un mostro
-di vecchiaia umana, un cieco inchiodato per
-anni sul legname di una sedia dall'artrite deformante,
-tentava vagamente con la punta del
-bastone i mattoni intorno a sè per scoprire la
-causa del rumore improvviso; e un borbottìo
-bavoso gli esciva dalla bocca sdentata.
-</p>
-
-<p>
-Allora, ai piedi del mostro orrendo, in mezzo
-al sangue del peccato, con i pollici stretti nei
-pugni, senza grida, la sposa violata del Signore
-per alcuni attimi si agitò nella convulsione mortale.
-</p>
-
-<p>
-— Via! Via! Passa via! Via di qua!
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio, credendo che fosse entrato il mastino
-del beccaio, allungava il bastone per scacciarlo;
-e percoteva la moribonda.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span></p>
-
-<h2 id="anna">LA VERGINE ANNA.</h2>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Luca Minella, nato nel 1789 a Ortona in una
-delle case di Porta Caldara, fu marinaio. Nella
-prima giovinezza navigò per qualche tempo
-sul trabaccolo <i>Santa Liberata</i>, dalla rada di Ortona
-ai porti della Dalmazia, caricando legnami,
-frumento e frutta secche. Poi, per vaghezza
-di cambiar padrone, si mise al servizio di Don
-Rocco Panzavacante, e su una tanecca nuova
-fece molti viaggi in commercio d'agrumi al
-promontorio di Roto, che è una grande e
-dilettosa altura su la costa italica, tutta coperta
-da una selva di aranci e di limoni.
-</p>
-
-<p>
-Su i ventisette anni egli si accese d'amore
-per Francesca Nobile; e dopo alcuni mesi
-strinse le nozze.
-</p>
-
-<p>
-Luca, uomo di statura bassa e fortissimo,
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-aveva una dolce barba bionda intorno al viso
-colorito; e, come le femmine, agli orecchi portava
-due cerchietti d'oro. Amava il vino ed
-il tabacco; professava una devozione ardente
-per il santo apostolo Tommaso; e, poichè era
-di natura superstizioso e inchinevole allo stupore,
-raccontava singolari avventure e meraviglie
-dei paesi d'oltremare e novellava delle
-genti dálmate e delle isole adriatiche come di
-tribù e di terre prossime al polo.
-</p>
-
-<p>
-Francesca, donna di gioventù già schiusa,
-aveva della razza ortonese la floridissima carne
-e i lineamenti molli. Ella amava la chiesa, le
-funzioni religiose, le pompe sacre, le musiche
-dei tridui; viveva in gran semplicità di costumi;
-e, poichè la sua intelligenza era fievole,
-credeva le più incredibili cose e lodava in
-ogni suo atto il Signore.
-</p>
-
-<p>
-Dal congiungimento nacque Anna; e fu nel
-mese di giugno del 1817. Siccome il parto
-veniva difficile e si temeva di qualche sventura,
-il sacramento del battesimo fu amministrato
-sul ventre della madre, prima che uscisse
-alla luce l'infante. Dopo molto travaglio
-il parto si compì. La creatura bevve il latte
-dalle mammelle materne e crebbe in salute e
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-in letizia. Francesca scendeva verso sera alla
-marina, con la poppante su le braccia, quando
-la tanecca doveva tornare carica da Roto; e
-Luca sbarcando aveva la camicia tutta odorosa
-dei frutti meridionali. Risalendo insieme
-verso le case alte, si fermavano allora un momento
-alla chiesa e s'inginocchiavano. Nelle
-cappelle già ardevano le lampade votive; e
-in fondo, a traverso i sette cancelli di bronzo,
-il busto dell'Apostolo luccicava come un tesoro.
-Le preghiere invocavano la benedizione
-celeste sul capo della figliuola. Nell'uscire,
-quando la madre bagnava la fronte di Anna
-con l'acqua della pila, gli strilli infantili echeggiavano
-a lungo per quelle navate sonanti
-come grandi conche di metallo puro.
-</p>
-
-<p>
-L'infanzia di Anna passava pianamente, senza
-alcuno avvenimento notevole. Nel maggio del
-1823 ella fu vestita da cherubino, con una
-corona di rose e un velo bianco; e, confusa
-in mezzo allo stuolo angelico, seguì la processione
-tenendo in mano un cero sottile. La
-madre nella chiesa volle sollevarla su le braccia
-per farle baciare il santo protettore. Ma, come
-le altre madri sorreggenti gli altri cherubini spingevano
-in folla, uno dei ceri appiccò il fuoco
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-al velo d'Anna e d'improvviso la fiamma avvolse
-il corpo tenerello. Un moto di paura si
-propagò allora nella moltitudine, e ciascuno tentava
-d'essere primo ad uscire. Francesca, se
-bene aveva le mani quasi impedite dal terrore,
-riuscì a strappare la veste ardente; si
-strinse contro il petto la figliuola nuda e tramortita;
-gittandosi dietro ai fuggenti, invocava
-Gesù con alte grida.
-</p>
-
-<p>
-Per le ustioni Anna stette inferma lungo
-tempo in pericolo. Ella giaceva nel letto, con
-l'esile faccia esangue, senza parlare, come fosse
-diventata muta; e aveva negli occhi aperti e
-fissi un'espressione di stupore immemore più
-che di dolore. Nell'autunno guarì: e andò ad
-appendere un voto.
-</p>
-
-<p>
-Quando la temperie era dolce, la famiglia
-scendeva nella barca pel pasto della sera. Sotto
-la tenda, Francesca accendeva il fuoco e sul
-fuoco metteva i pesci: l'odor cordiale degli alimenti
-si spandeva lungo il Molo mescendosi
-al profumo derivante dai verzieri della Villa
-Onofria. Il mare dinanzi era così tranquillo
-che si udiva a pena tra gli scogli il risucchio,
-e l'aria così limpida che la punta di
-San Vito si vedeva in lontananza emergere
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-con tutto il cumulo delle case. Luca si metteva
-a cantare, insieme con gli altri uomini;
-Anna faceva atto di aiutare la madre. Dopo
-il pasto, come la luna saliva il cielo, i marinai
-apprestavano la tanecca per salpare. Intanto
-Luca, nel calore del vino e del cibo, preso
-da quella sua naturale avidità di narrazioni
-mirabili, cominciava a parlare dei litorali lontani. — C'era,
-più in là di Roto, una montagna
-tutta abitata dalle scimmie e da <i>uomini
-dell'India</i>, altissima, con piante che producevano
-le pietre preziose.... — La moglie e la
-figlia ascoltavano, in silenzio, attonite. Poi le
-vele si spiegavano lungo gli alberi lentamente,
-tutte segnate di figure nere e di simboli cattolici,
-come vecchi gonfaloni della patria. E
-Luca partiva.
-</p>
-
-<p>
-Nel febbraio del 1826 Francesca si sgravò
-d'un bimbo morto. Nella primavera del 1830
-Luca volle condurre Anna al promontorio. Anna
-era allora su l'adolescenza. Il viaggio fu felice.
-Nell'alto mare incontrarono una nave di mercanti,
-una gran nave che faceva cammino per
-forza di immense vele bianche. I delfini nuotavano
-nella scia; l'acqua si moveva dolcemente
-intorno, scintillando, come se sopra vi galleggiassero
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-tappeti di penne di paone. Anna seguì
-a lungo con gli occhi mai sazii la nave in lontananza.
-Poi una specie di nuvola azzurra sorse
-su la linea dell'orizzonte; ed era la montagna
-fruttifera. Le coste della Puglia si designavano
-a poco a poco sotto il sole. Il profumo degli
-agrumi veniva spandendosi nell'aria gioviale.
-Quando Anna discese su la riva, fu presa da
-un senso di letizia; e stette curiosa a guardare
-le piantagioni e gli uomini nativi del luogo. Il
-padre la condusse nella casa di una donna non
-giovane che parlava con una lieve balbuzie.
-Restarono là due giorni. Anna vide una volta
-il padre baciare la donna ospite su la bocca;
-ma non comprese. Al ritorno la tanecca era carica
-di aranci; e il mare era ancora mite.
-</p>
-
-<p>
-Anna conservò di quel viaggio un ricordo
-come di sogno; e, poichè per natura era taciturna,
-raccontò non molte cose alle coetanee
-che la incalzavano di interrogazioni.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Nel maggio seguente, alle feste dell'Apostolo
-intervenne l'arcivescovo di Orsogna. La chiesa
-era tutta parata di drappi rossi e di fogliami
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-d'oro; dinanzi ai cancelli di bronzo ardevano
-undici lampade d'argento lavorate dagli orefici
-per religione; e tutte le sere l'orchestra sonava
-un oratorio solenne con un bel coro di
-voci bianche. Il sabato si doveva esporre il
-busto dell'Apostolo. I devoti peregrinavano da
-tutti i paesi marittimi e interni; salivano la costa
-cantando e portando in mano i voti, nel
-conspetto del mare.
-</p>
-
-<p>
-Anna il venerdì fece la prima comunione.
-L'arcivescovo era un vecchio venerando e mite:
-quando sollevava la mano per benedire, la gemma
-dell'anello risplendeva simile ad un occhio divino.
-Anna, appena sentì su la lingua l'ostia
-eucaristica, smarrì la vista per un'improvvisa
-onda di gaudio che le irrigò i capelli con la
-dolcezza d'un bagno tiepido e odoroso. Dietro
-di lei un susurro correva nella moltitudine;
-allato, altre verginelle prendevano il sacramento
-e chinavano la faccia sul gradino, in gran compunzione.
-</p>
-
-<p>
-La sera Francesca volle dormire, com'è costume
-dei fedeli, sul pavimento della basilica,
-aspettando l'ostensione mattutina del santo. Ella
-era incinta da sette mesi, e molto l'affaticava
-il peso del ventre. Sul pavimento i pellegrini
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-giacevano accumulati; dai loro corpi esalava il
-calore e montava nell'aria. Alcune voci confuse
-uscivano a tratti da qualche bocca inconscia nel
-sonno; le fiammelle tremolavano e si riflettevano
-su l'olio nei bicchieri sospesi tra gli archi;
-e nei vani delle larghe porte aperte scintillavano
-le stelle alla notte primaverile.
-</p>
-
-<p>
-Francesca vegliò per due ore in travaglio,
-poichè l'esalazione dei dormienti le dava la
-nausea. Ma, determinata a resistere e a soffrire
-pel bene dell'anima, vinta dalla stanchezza,
-piegò alfine il capo. Su l'alba si destò. L'aspettazione
-cresceva negli animi degli astanti e altra
-gente sopraggiungeva: in ciascuno ardeva il
-desiderio d'essere primo a vedere l'Apostolo.
-Fu aperto il cancello esterno; e il romore dei
-cardini risonò nitidamente nel silenzio, si ripercosse
-in tutti i cuori. Fu aperto il secondo
-cancello, poi il terzo, poi il quarto, il quinto, il
-sesto, l'ultimo. Parve allora come una tromba
-d'uragano investisse la moltitudine. La massa
-degli uomini si precipitò verso il tabernacolo;
-grida acute squillarono nell'aria mossa da quell'impeto;
-dieci, quindici persone rimasero schiacciate
-e soffocate; una preghiera tumultuaria
-si levò.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-</p>
-
-<p>
-I morti furono tratti fuori all'aperto. Il corpo
-di Francesca, tutto contuso e livido, fu portato
-alla famiglia. Molti curiosi in torno si accalcarono;
-e i parenti gemevano compassionevolmente.
-</p>
-
-<p>
-Anna, quando vide la madre distesa sul letto
-tutta violacea nella faccia e macchiata di sangue,
-cadde a terra senza conoscenza. Poi, per molti
-mesi fu tormentata dal mal caduco.
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Nell'estate del 1835 Luca partiva per un
-porto della Grecia sul trabaccolo <i>Trinità</i> di
-Don Giovanni Camaccione. Siccome egli aveva
-nell'animo un segreto pensiero, prima di navigare
-vendè le masserizie e pregò i parenti
-d'accogliere Anna nella casa fin che egli non
-tornasse. Di là a qualche tempo il trabaccolo
-tornò carico di fichi secchi e d'uva di Corinto,
-dopo aver toccata la spiaggia di Roto. Luca
-non era tra la ciurma; e si vociferò poi ch'egli
-fosse rimasto nel <i>paese dei portogalli</i> con una
-femmina amorosa.
-</p>
-
-<p>
-Anna si ricordava dell'antica ospite balbuziente.
-Una gran tristezza allora discese nella
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-sua vita. La casa dei parenti era sotto la strada
-orientale, in vicinanza del Molo. I marinai venivano
-a bere il vino in una stanza bassa, ove
-quasi tutto il giorno le canzoni sonavano tra
-il fumo delle pipe. Anna passava in mezzo ai
-bevitori portando i boccali colmi; e il primo
-istinto de' suoi pudori si risvegliava a quel
-contatto assiduo, a quell'assidua comunione di
-vita con uomini bestiali. Ad ogni momento ella
-doveva soffrire i motti inverecondi, le risa crudeli,
-i gesti ambigui, la malvagità delle ciurme
-inasprite dalle fatiche della navigazione. Ella
-non osava lamentarsi, poichè mangiava il pane
-nella casa degli altri. Ma quel supplizio di tutte
-le ore la rendeva ebete: una imbecillità grave
-le opprimeva a poco a poco l'intelligenza indebolita.
-</p>
-
-<p>
-Per una naturale inclinazione affettiva dell'animo,
-ella poneva amore agli animali. Un
-asino di molta età era ricoverato sotto una
-tettoia di paglia e di argilla, dietro la casa.
-Il quadrupede mansueto portava cotidianamente
-some di vino da Sant'Apollinare alla tavernella;
-e, se bene i suoi denti cominciavano a ingiallire
-e le sue unghie a sfaldarsi, se bene il
-suo cuoio era già secco e non aveva quasi
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-più pelo, talvolta al conspetto di una fiorita di
-cardi ridirizzava le orecchie e si metteva a
-ragliare vivacemente in un'attitudine giovenile.
-</p>
-
-<p>
-Anna empiva di profenda la greppia e di
-acqua l'abbeveratoio. Quando il calore era
-grande, ella veniva sotto la tettoia a meriggiare.
-L'asino triturava i fili di paglia tra le mandibole
-laboriose, ed ella con un ramo fronzuto
-faceva opera di pietà liberandogli la schiena
-dalla molestia degli insetti. Di tanto in tanto
-l'asino volgeva la testa orecchiuta, per un
-increspamento delle labbra flosce mostrando le
-gencive quasi in un rossastro riso animalesco
-di gratitudine e mostrando per un moto obliquo
-dell'occhio nell'orbita il globo giallognolo e
-venato di paonazzo come una vescica di fiele.
-Gli insetti turbinavano con un ronzìo pesante,
-su 'l fimo; non dalla terra nè dal mare venivano
-romori o voci; e un senso infinito di
-pace occupava allora l'animo della donna.
-</p>
-
-<p>
-Nell'aprile del 1842 Pantaleo, l'uomo che
-guidava il somiere al viaggio cotidiano, morì
-di coltello. Da quel tempo ad Anna fu commesso
-l'ufficio. Ed ella partiva su l'alba e
-tornava sul mezzogiorno o partiva sul mezzogiorno
-e tornava su la sera. La strada volgeva
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-per una collina solatia piantata d'olivi,
-discendeva per una terra irrigua messa a pasture,
-e risalendo tra i vigneti giungeva alle
-fattorie di Sant'Apollinare. L'asino camminava
-innanzi, con le orecchie basse, a fatica: una
-frangia verde tutta logora e stinta gli batteva
-le coste e i lombi; nel basto luccicavano alcuni
-frammenti di làmine d'ottone.
-</p>
-
-<p>
-Quando l'animale si soffermava per riprender
-fiato, Anna gli dava qualche piccolo urto
-carezzevole sul collo e l'eccitava con la voce;
-poichè ella aveva misericordia di quella decrepitezza.
-Ogni tanto strappando dalle siepi
-un pugno di foglie, le porgeva in ristoro; e
-s'inteneriva sentendo su la palma il movimento
-molle delle labbra che ricevevano l'offerta. Le
-siepi erano fiorite; e i fiori del bianco spino
-avevano un sapore di mandorle amare.
-</p>
-
-<p>
-Sul confine dell'oliveto stava una gran cisterna,
-e accanto alla cisterna un lungo canale
-di pietra dove le vacche venivano ad abbeverarsi.
-Tutti i giorni Anna faceva sosta in quel
-luogo; ed ella e l'asino si dissetavano prima
-di seguire il cammino. Una volta ella s'incontrò
-col custode dell'armento, che era nativo
-di Tollo e aveva la guardatura un poco
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-losca e il labbro leporino. L'uomo le volse
-il saluto; e ambedue cominciarono a ragionare
-dei pascoli e dell'acqua, e poi dei santuarii
-e dei miracoli. Anna ascoltava con benignità
-e con frequenza di sorriso. Ella era
-macilente e bianca; aveva gli occhi chiarissimi
-e la bocca stragrande, e i capelli castanei pieganti
-indietro tutti senza spartizione. Nel collo
-le si vedevano le cicatrici rossicce delle bruciature
-e le si vedevano le arterie battere d'un
-palpito incessante.
-</p>
-
-<p>
-Da allora i colloquii si reiterarono. Per l'erba
-le vacche stavano sparse; e giacevano ruminando
-o pascolavano in piedi. Quelle moventi
-forme pacifiche aumentavano la tranquillità della
-solitudine pastorale. Anna, seduta su l'orlo della
-cisterna, ragionava semplicemente; e l'uomo
-dal labbro fesso pareva preso d'amore. Un
-giorno ella, per un improvviso spontaneo rifiorir
-del ricordo, narrò la navigazione alla
-montagna di Roto. E, poichè la lontananza
-del tempo le ingannava la memoria, ella diceva
-con accento di verità cose meravigliose. L'uomo
-stupefatto ascoltava senza batter le palpebre.
-Quando Anna tacque, ad ambedue il silenzio
-e la solitudine d'intorno parvero più grandi;
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-ed ambedue restarono in pensiero. Venivano
-le vacche, tratte dalla consuetudine, all'abbeveratoio;
-e a tutte penzolava fra le gambe
-il gruppo delle mammelle rifornite di latte dalla
-pastura. Come esse avanzavano il muso nel
-canale, l'acqua diminuiva ai loro sorsi lenti e
-regolari.
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Su gli ultimi giorni di giugno l'asino infermò.
-Non prendeva cibo nè bevanda da quasi una
-settimana. I viaggi s'interruppero. Una mattina
-che Anna discese alla tettoia, scorse la bestia
-tutta ripiegata su lo strame in un avvilimento
-miserevole. Una specie di tosse roca e tenace
-scoteva di tratto in tratto la gran carcassa malcoperta
-di cuoio; sopra gli occhi s'erano formate
-due cavità profonde, come due orbite vacue; e
-gli occhi parevano due grosse bolle gonfie di
-siero. Quando l'asino udì le voci di Anna, tentò
-di levarsi: il corpo gli traballava su le zampe e
-il collo gli si abbatteva giù dalle spalle acute e
-le orecchie gli penzolavano con i movimenti involontari
-e incomposti di un enorme giocattolo
-che avesse guaste le commessure. Un liquido
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-mucoso gli colava dalle nari, talvolta allungandosi
-in filamenti sino ai ginocchi. Le chiazze
-nude nel pelame avevano il colore azzurrognolo
-e quasi cangiante della lavagna. I guidaleschi
-qua e là sanguinavano.
-</p>
-
-<p>
-Anna, allo spettacolo, si sentì stringere da
-una angoscia pietosa; e, poichè ella per natura
-e per uso non provava alcuna ripugnanza fisica
-in contatto della materia immonda, si accostò a
-toccare l'animale. Con una mano gli sorreggeva
-la mascella inferiore, con l'altra una spalla; e
-così cercava di fargli muovere i passi, sperando
-in qualche virtù dell'esercizio. L'animale prima
-esitava, squassato da nuovi sussulti di tosse;
-poi finalmente prese a camminare per la china
-dolce che scendeva al lido. Le acque, dinanzi,
-nella natività del giorno biancheggiavano; e i
-calafati verso la Penna spalmavano una carena.
-Come Anna levò il sostegno delle mani e trasse
-la corda della cavezza, l'asino per un fallo de'
-piedi anteriori stramazzò d'improvviso. La gran
-macchina delle ossa ebbe un scricchiolío interno
-di rotture, e la pelle del ventre e dei fianchi
-risonò sordamente e palpitò. Le gambe fecero
-l'atto di correre; per l'urto, dalla gengiva uscì
-un poco di sangue e tra i denti si diffuse.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-</p>
-
-<p>
-Allora la donna si mise a gridare andando
-verso la casa. Ma i calafati, sopraggiunti, in cospetto
-dell'asino giacente ridevano e motteggiavano.
-Uno di loro percosse col piede il ventre
-del moribondo. Un altro gli afferrò le orecchie
-e gli sollevò il capo che ricadde pesantemente
-a terra. Gli occhi si chiusero; qualche brivido
-corse fra il pelame bianco del ventre aprendone
-le spighe, come un soffio; una delle gambe di
-dietro battè due o tre volte nell'aria. Poi tutto
-fu immobile; se non che nella spalla ov'era
-un'ulcera, si produsse un lieve tremolìo, simile
-a quello che per la molestia d'un insetto avveniva
-dianzi volontario nella carne vivente.
-Quando Anna tornò sul luogo, trovò i calafati
-che tiravano per la coda la carogna, e cantavano
-un <i>Requiem</i> con false voci asinine.
-</p>
-
-<p>
-Così Anna rimase in solitudine; e per lungo
-tempo ancora visse nella casa dei parenti ed
-ivi appassì, adempiendo umili uffici, e sopportando
-con molta pazienza cristiana le vessazioni.
-Nel 1845 il mal caduco riapparve con violenza;
-sparve dopo alcuni mesi. La fede religiosa in
-quell'epoca divenne in lei più profonda e più
-calda. Ella saliva alla basilica tutte le mattine e
-tutte le sere; e s'inginocchiava abitualmente
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-in un angolo oscuro protetto da una gran pila
-di marmo dov'era figurata con rozza opera di
-bassorilievo la fuga della Sacra Famiglia in
-Egitto. Da prima scelse ella forse quell'angolo
-attratta dal docile asinello trasportante il pargolo
-Gesù e la Madre alla terra dell'idolatria? Una
-gran quietudine d'amore le discendeva su lo
-spirito, quando aveva piegate le ginocchia nell'ombra;
-e la preghiera le sgorgava puramente
-dal petto come da una fonte naturale, poichè
-ella pregava soltanto per la voluttà cieca dell'adorazione,
-non per la speranza d'ottener grazia
-di beni nella vita terrena. Ella pregava, con la
-testa china su la sedia; e come i cristiani nell'accedere
-e nell'uscire attingevano con le dita
-l'acqua della pila, e si segnavano, ella a quando
-a quando trasaliva sentendo su' capelli qualche
-stilla benedetta cadere.
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-Quando nel 1851 Anna venne la prima
-volta al paese di Pescara, era prossima la
-festa del Rosario, che si celebra nella prima
-domenica di ottobre. La donna si mosse da
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-Ortona a piedi, per sciogliere un voto; e, portando
-chiuso in un fazzoletto di seta un piccolo
-cuore d'argento, camminò religiosamente
-lungo la riva del mare; poichè la strada provinciale
-non ancora in quel tempo era praticata,
-e un bosco di pini occupava molta
-estensione di terreno vergine. La giornata pareva
-dolce, se non che nel mare le onde andavano
-crescendo, ed all'estremo limite andavano
-crescendo in forma di trombe i vapori.
-Anna avanzava tutta assorta in pensieri
-di santità. Nel far della sera, come ella fu
-sul luogo delle Saline, cadde d'improvviso
-la pioggia, da prima pianamente e dopo in
-grande abbondanza; così che, non essendovi
-in torno riparo alcuno, ella n'ebbe le vesti
-tutte molli. Più in qua, la foce dell'Alento
-portava acqua; ed ella si scalzò per guadare.
-In vicinanza di Vallelonga la pioggia restò:
-ed il bosco dei pini rinasceva serenante nell'aria
-con odor quasi d'incenso. Anna, rendendo
-grazie nell'animo al Signore, seguì il
-cammino del litorale ma con più rapidi passi,
-poichè sentiva penetrarsi nelle ossa l'umidità
-malsana, e cominciava a battere i denti pel
-ribrezzo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-</p>
-
-<p>
-A Pescara, ella fu subito presa dalla febbre
-palustre, e ricoverata per misericordia nella
-casa di Donna Cristina Basile. Dal letto, udendo
-i cantici della pompa sacra, e vedendo
-le cime degli stendardi ondeggiare all'altezza
-della finestra, ella si mise a dire le preghiere
-e a invocare la guarigione. Quando passò la
-Vergine, ella scorse soltanto la corona gemmata,
-e fece atto di mettersi in ginocchio su
-i guanciali per adorare.
-</p>
-
-<p>
-Dopo tre settimane guarì; e, avendole Donna
-Cristina offerto di rimanere, ella rimase in
-qualità di domestica. Ebbe allora una piccola
-stanza guardante sul cortile. Le pareti erano
-imbiancate di calce; un vecchio paravento coperto
-di figure profane chiudeva un angolo;
-e fra i travicelli del soffitto molti ragni tendevano
-in pace le tele laboriose. Sotto la finestra
-sporgeva un tetto breve, e più giù s'apriva
-il cortile pieno di volatili mansueti. Sul
-tetto vegetava, da un mucchio di terra chiuso
-fra cinque tegole, una pianta di tabacco. Il sole
-vi s'indugiava dalle prime ore antimeridiane
-alle prime ore del pomeriggio. Ogni estate la
-pianta dava fiori.
-</p>
-
-<p>
-Anna, nella nuova vita, nella nuova casa, a
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-poco a poco si sentì sollevare e rivivere. La sua
-naturale inclinazione all'ordine si dispiegò. Ella
-attendeva a tutti i suoi uffici tranquillamente,
-senza far parole. Anche, in lei la credenza nelle
-cose soprannaturali ingigantì. Due o tre leggende
-s'erano per antico formate su due o tre luoghi
-della casa Basile, e di generazione in generazione
-si tramandavano. Nella <i>camera gialla</i> del
-secondo piano abbandonato viveva l'anima di
-Donna Isabella. In un ricettacolo ingombro, dove
-una scala discendeva a gomito sino a una porta
-che non s'apriva da tempo, viveva l'anima di Don
-Samuele. Quei due nomi esercitavano un singolar
-fàscino sui nuovi abitatori, e diffondevano
-per tutto il vecchio edificio una specie di solennità
-conventuale. Come poi il cortile interno
-era circondato di molti tetti, i gatti su la loggia
-si riunivano in conciliaboli e miagolavano con
-una dolcezza misteriosa, chiedendo ad Anna gli
-avanzi del pasto familiare.
-</p>
-
-<p>
-Nel marzo del 1853 il marito di Donna Cristina
-morì d'una malattia urinaria, dopo lunghe
-settimane di spasimi. Egli era un uomo timorato
-di Dio, casalingo e caritatevole; era capo
-d'una congrega di possidenti religiosi; leggeva
-le opere dei teologi, e sapeva sonare sul gravicembalo
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-alcune semplici arie di antichi maestri
-napolitani. Quando venne il viatico, magnifico
-per numero di ministri e per ricchezza di
-arnesi, Anna s'inginocchiò su la porta, e si mise
-a pregare ad alta voce. La stanza si empì d'un
-vapor d'incenso, in mezzo a cui il ciborio raggiava
-e raggiavano i turiboli, oscillando come
-lampade accese. Si udirono singhiozzi; poi le
-voci dei ministri, raccomandando l'anima all'Altissimo,
-si sollevarono. Anna, rapita dalla solennità
-di quel sacramento, perdè ogni orrore
-della morte, e da allora pensò che la morte dei
-cristiani fosse un trapasso dolce e gaudioso.
-</p>
-
-<p>
-Donna Cristina tenne chiuse tutte le finestre
-della casa durante un mese intero. Continuava
-a piangere il marito nell'ora del pranzo e nell'ora
-della cena; faceva in nome di lui le elemosine
-ai mendicanti; e, più volte nel giorno,
-con una coda di volpe levava la polvere dal
-gravicembalo come da una reliquia, emettendo
-sospiri. Ella era una donna di quarant'anni, tendente
-alla pinguedine, ancora fresca nelle sue
-forme che la sterilità aveva conservate. E poichè
-ereditava dal defunto una dovizia considerevole,
-i cinque più maturi celibi del paese cominciarono
-a tenderle insidie e ad allettarla alle
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-nuove nozze con arti lusingatrici. I campioni
-furono: Don Ignazio Cespa, persona dolcigna,
-di sesso ambiguo, con una faccia di vecchia
-pettegola butterata dal vaiuolo e una capellatura
-impregnata di olii cosmetici, con le dita
-cariche di anelli e gli orecchi forati da due minuscoli
-cerchi d'oro; Don Paolo Nervegna, dottor
-di legge, uomo parlatore e accorto, che
-aveva le labbra sempre increspate come se
-masticasse l'erba sardonica e su la fronte una
-specie di crescimento rossastro innascondibile;
-Don Fileno D'Amelio, nuovo capo della congrega,
-uomo pieno d'unzione e di compunzione,
-un po' calvo, con la fronte sfuggente indietro
-e l'occhio pecorinamente opaco; Don Pompeo
-Pepe, uomo giocondo, amante del vino e delle
-donne e dell'ozio, ubertoso in tutta la corporatura
-e più nella faccia, sonoro nelle risa e nelle
-parole; Don Fiore Ussorio, uomo di spiriti pugnaci,
-gran leggitore di opere politiche e citator
-trionfante di esempi storici in ogni disputa,
-pallido d'un pallor terrigno, con una sottil corona
-di barba intorno agli zigomi e una bocca
-singolarmente atteggiata in linea obliqua. A costoro
-si aggiungeva, ausiliare della resistenza
-di Donna Cristina, l'abate Egidio Cennamele
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-che, volendo trarre l'erede ai benefizi della
-chiesa, osteggiava con ben coperta astuzia di
-impedimenti le lusinghe.
-</p>
-
-<p>
-La gran contesa, che sarà un giorno narrata
-dal cronista per diffuso, durò molto tempo ed
-ebbe molta varietà di vicende. E principal teatro
-della prima azione fu il cenacolo, sala rettangolare
-dove su la carta francesca delle pareti
-erano francescamente rappresentati i fatti di
-Ulisse naufragante all'isola di Calipso. Quasi
-tutte le sere i campioni si riunivano intorno
-all'inclita vedova; e facevano il giuoco della
-briscola e il giuoco dell'amore alternativamente.
-</p>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<p>
-Anna fu candida testimone. Introduceva i visitatori,
-tendeva il tappeto su la tavola, e a
-mezzo della veglia portava i bicchierini pieni
-d'un rosolio verdognolo composto dalle monache
-con droghe speciali. Una volta ella sentì
-su per le scale Don Fiore Ussorio gridare nel
-calore della disputa un'ingiuria contro l'abate
-Cennamele che parlava sommesso; e poichè
-l'irriverenza le parve mostruosa, ella da allora
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-in poi tenne Don Fiore per un uomo diabolico
-e al comparir di lui si faceva rapidamente il
-segno della croce e mormorava un <i>Pater</i>.
-</p>
-
-<p>
-Nella primavera del 1856, un giorno, mentre
-sul greto della Pescara ella sbatteva i panni
-lavati, vide una torma di barche passare la foce
-e navigar lentamente contro la forza dell'acqua.
-Il sole era sereno; le due rive si rispecchiavano
-in fondo abbracciandosi; alcuni ramoscelli verdi
-e alcune ceste di giunchi natavano nel mezzo
-della corrente, come simboli pacifici, verso il
-mare; e le barche, aventi quasi tutte la mitria
-di san Tommaso dipinta per insegna in un angolo
-della vela, avanzavano così nel bel fiume
-santificato dalla leggenda di san Cetteo Liberatore.
-I ricordi del paese natale si svegliarono
-nell'animo della donna con un tumulto improvviso,
-a quello spettacolo; ed ella, pensando al
-padre, fu invasa da una gran tenerezza.
-</p>
-
-<p>
-Le barche erano tanecche ortonesi e venivano
-dal promontorio di Roto con un carico di
-agrumi. Anna, come le ancore furono gettate,
-si avvicinò ai marinai; e li guardava con una
-curiosità benevola e trepidante, senza far parole.
-Uno di loro, colpito dalla insistenza, la
-ravvisò e la interrogò famigliarmente. — Chi
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-cercava? Cosa voleva? — Allora Anna, tratto
-in disparte l'uomo, gli chiese se non per caso
-egli avesse veduto al <i>paese dei portogalli</i> Luca
-Minella, il padre. — Non l'aveva veduto? Non
-stava ancora con <i>quella femmina</i>? — L'uomo rispose
-che Luca era morto da qualche tempo. — Era
-vecchio. Poteva campar di più? — Allora
-Anna contenne le lagrime; volle sapere molte
-cose. L'uomo le disse molte cose. — Luca
-aveva strette le nozze con <i>quella femmina</i>;
-ne aveva avuti due figliuoli. Il maggiore dei
-due navigava sopra un trabaccolo e veniva
-qualche volta a Pescara per negozii. — Anna
-trasalì. Un turbamento indeterminato, una specie
-di smarrimento confuso le occupava l'animo.
-Ella non giungeva a ritrovar l'equilibrio e la
-lucidità del giudizio dinanzi a quel fatto troppo
-complesso. Ella aveva ora due fratelli dunque?
-Doveva amarli? Doveva cercare di vederli?
-Ora che doveva dunque fare?
-</p>
-
-<p>
-Così, titubante, tornò a casa. E dopo, per
-molte sere, quando entravano nel fiume le
-barche, ella andava lungo lo scalo a guardare
-i marinai. Qualche trabaccolo portava dalla
-Dalmazia un carico di asini e di cavalli nani.
-Le bestie prendendo terra scalpitavano; l'aria
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-sonava di ragli e di nitriti. Anna, nel passare,
-batteva con la mano le grosse teste degli asinelli.
-</p>
-
-<h3>VII.</h3>
-
-<p>
-Verso quel tempo ebbe in dono dal fattore
-di campagna una testuggine. Il nuovo ospite
-tardo e taciturno fu diletto e cura della donna
-nelle ore d'ozio. Camminava da un punto all'altro
-della stanza sollevando a stento dal
-suolo il grave peso del corpo su le zampe simili
-a moncherini olivastri, e, come era giovine,
-le piastre del suo scudo dorsale, gialle
-maculate di nero, tralucevano talvolta al sole
-con un nitor d'ambra. La testa coperta di
-scaglie, compressa nel muso, giallognola, sporgeva
-tentennando con una mansuetudine timorosa;
-e pareva talvolta la testa di un vecchio
-serpe estenuato che uscisse dal guscio
-di un crostaceo. Anna prediligeva nell'animale
-i costumi: il silenzio, la frugalità, la modestia,
-l'amor della casa. Gli dava per cibo foglie di
-verdura, radici e vermi, restando estatica ad
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-osservare il moto delle piccole mandibole cornee
-dentellate nel lor duplice margine. Ella, in quell'atto,
-provava quasi un sentimento di maternità;
-eccitava pianamente l'animale con le
-voci e sceglieva per lui le erbe più tenere e
-più dolci.
-</p>
-
-<p>
-Fu la testuggine allora auspice d'un idillio.
-Il fattore, venendo più volte al giorno nella
-casa, s'intratteneva su la loggia a ragionare
-con Anna. Ed essendo egli uomo d'umili spiriti,
-divoto, prudente e giusto, godeva veder
-riflesse le sue pie virtù nell'animo della donna.
-Per la consuetudine sorse quindi tra i due a
-poco a poco una famigliarità amorevole. Ella
-aveva già qualche capello bianco su le tempie,
-ed in tutta la faccia diffuso un placido candore.
-Egli, Zacchiele, superava di alcuni anni
-l'età di lei; aveva una gran testa dalla fronte
-sporgente e due miti e rotondi occhi di coniglio.
-Tutt'e due, nei colloquii, sedevano per
-lo più su la loggia. Sopra di loro, fra i tetti,
-il cielo pareva una cupola luminosa; e ad intervalli
-i voli dei colombi domestici, bianchi
-come il Paraclito, traversavano la quiete celestiale.
-I colloquii volgevano su le raccolte,
-su la bontà dei terreni, su le semplici norme
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-della coltivazione; ed erano pieni di esperienza
-e di rettitudine.
-</p>
-
-<p>
-Poichè Zacchiele amava talvolta, per una
-ingenua vanità naturale, di far pompa del suo
-sapere, in conspetto della donna ignorante e
-credula, questa concepì per lui una stima e
-un'ammirazione senza limiti. Ella imparò che
-la terra è divisa in cinque parti e che cinque
-sono le razze degli uomini: la bianca, la gialla,
-la rossa, la nera e la bruna. Imparò che la terra
-è di forma rotonda, che Romolo e Remo furono
-nutricati da una lupa, e che le rondini
-su l'autunno vanno oltremare nell'Egitto dove
-anticamente regnavano i Faraoni. — Ma gli
-uomini non avevano tutti un colore, a imagine
-e somiglianza di Dio? Potevamo noi camminare
-sopra una palla? Chi erano i re Faraoni? — Ella
-non riusciva a comprendere, e rimaneva
-così tutta smarrita. Però da allora ella
-considerò le rondini con reverenza e le tenne
-per uccelli dotati di saggezza umana.
-</p>
-
-<p>
-Un giorno Zacchiele le mostrò una Storia
-sacra dell'antico Testamento, illustrata di figure.
-Anna guardava con lentezza, ascoltando
-le spiegazioni. Ed ella vide Adamo ed Eva
-tra le lepri ed i cervi, Noè seminudo inginocchiato
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-innanzi a un altare, i tre angeli di
-Abramo, Mosè salvato dalle acque; vide con
-gioia finalmente un Faraone nel conspetto della
-verga di Mosè cangiata in serpe, e la regina
-di Saba, la festa dei Tabernacoli, il martirio
-dei Maccabei. Il fatto dell'asina di Balaam la
-empì di meraviglia e di tenerezza. Il fatto della
-coppa di Giuseppe nel sacco di Beniamino la
-fece rompere in lacrime. Ed ella imaginava gli
-Israeliti camminanti per un deserto tutto coperto
-di quaglie, sotto una rugiada che si chiamava
-la manna ed era bianca come la neve e più dolce
-del pane.
-</p>
-
-<p>
-Dopo la Storia sacra, preso da una singolare
-ambizione, Zacchiele cominciò a leggerle le imprese
-dei Reali di Francia da Costantino imperatore
-sino ad Orlando conte d'Anglante. Un
-gran tumulto sconvolse allora la mente della
-donna: le battaglie dei Filistei e dei Siriaci si
-confusero con le battaglie dei Saraceni, Oloferne
-si confuse con Rizieri, il re Saul col re
-Mambrino, Eleazaro con Balante, Noemi con
-Galeana. Ed ella, affaticata, non seguiva più il
-filo delle narrazioni, ma si riscoteva soltanto
-ad intervalli quando udiva passare nella voce
-di Zacchiele i suoni di qualche nome prediletto.
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-E predilesse Dusolina e il duca Bovetto
-che prese tutta l'Inghilterra innamorandosi della
-figliuola del re di Frisia.
-</p>
-
-<p>
-Erano le calende di settembre. Nell'aria
-temperata dalla pioggia recente, si andava diffondendo
-una placida chiarità autunnale. La
-stanza di Anna divenne il luogo delle letture.
-Un giorno Zacchiele, seduto, leggeva <i>come
-Galeana, figliuola del re Galafro, s'innamorò di
-Mainetto e volle da lui la ghirlanda dell'erba</i>.
-Anna, poichè la favola pareva semplice e campestre,
-e poichè la voce del lettore pareva
-addolcirsi di accenti novelli, ascoltava con visibile
-assiduità. La testuggine si traeva in
-mezzo ad alcune foglie di lattuga, pianamente;
-il sole su la finestra illuminava una gran tela
-di ragno, e gli ultimi fiori rosei del tabacco
-si vedevano a traverso la sottile opera di filo
-d'oro.
-</p>
-
-<p>
-Quando il capitolo fu finito, Zacchiele depose
-il libro; e, guardando la donna, sorrise
-d'uno di quei sorrisi fatui che solevano increspargli
-le tempie e gli angoli della bocca.
-Poi cominciò a parlarle vagamente, con la peritanza
-di colui che non sa in qual modo giungere
-al punto desiderato. Finalmente ardì. — Ella
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-non aveva pensato mai al matrimonio? — Anna
-alla domanda non rispose. Stettero ambedue
-in silenzio ed ambedue sentivano nell'animo
-una dolcezza confusa, quasi un risveglio
-attonito della giovinezza sepolta e un
-umano richiamo dell'amore. E n'erano turbati
-come dal fumo d'un vino troppo forte che
-montasse al loro cervello indebolito.
-</p>
-
-<h3>VIII.</h3>
-
-<p>
-Ma una tacita promessa di nozze fu data
-molti giorni dopo, in ottobre, nella prima natività
-dell'olio d'oliva e nell'ultima migrazione
-delle rondini. Con licenza di Donna Cristina, un
-lunedì Zacchiele condusse Anna alla fattoria dei
-colli, dov'era il frantoio. Uscirono da Portasale,
-a piedi, e presero la via Salaria, volgendo
-le spalle al fiume. Dal giorno della favola di
-Galeana e di Mainetto, essi provavano l'un
-verso l'altra una specie di trepidazione, un
-misto di temenza vergogna e rispetto. Avevano
-perduta quella bella famigliarità d'una
-volta; parlavano poco insieme e sempre con
-un tal riserbo esitante, senza mai guardarsi
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-nel volto, con incerti sorrisi, confondendosi
-talora per un subitaneo rossore, indugiando così
-in questi timidi bamboleggiamenti d'innocenza.
-</p>
-
-<p>
-Camminarono in silenzio, da prima, ciascuno
-seguendo lo stretto sentiero asciutto che i passi
-dei viandanti avevano praticato sui due margini
-della via; e li divideva il mezzo della
-via fangoso e segnato di solchi profondi dalle
-ruote dei veicoli. Una libera gioia vendemmiale
-occupava le campagne: i canti del mosto
-per la pianura si avvicendavano. Zacchiele si
-teneva un poco indietro, rompendo a tratti
-a tratti il silenzio con qualche parola su la
-temperie, su le vigne, su la raccolta delle olive.
-Anna guardava curiosa tutti i cespugli rosseggianti
-di bacche, i campi lavorati, le acque
-dei fossi; e a poco a poco le nasceva nell'animo
-una letizia vaga, quale di chi dopo
-lungo tempo sia dilettato da sensazioni già
-innanzi conosciute. Come il cammino prese a
-volgere su pel declivio tra i ricchi oliveti di
-Cardirusso, chiaramente le sorse nell'animo il
-ricordo di Sant'Apollinare e dell'asino e del
-custode degli armenti. Ed ella sentì quasi rifluirsi
-al cuore tutto il sangue, d'improvviso.
-Quell'episodio obliato della sua giovinezza le si
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-coordinò nella memoria con una perspicuità
-meravigliosa; l'imagine dei luoghi le si formò
-dinanzi; e nella scena illusoria ella rivide
-l'uomo dal labbro leporino, ne riudì la voce,
-provando un turbamento nuovo senza sapere
-perchè.
-</p>
-
-<p>
-La fattoria si avvicinava; fra gli alberi soffiava
-il vento facendo cadere le ulive mature;
-una zona di mare sereno si scopriva dall'altitudine.
-Zacchiele s'era messo a fianco della
-donna e la guardava di tratto in tratto con
-una pia supplicazione di tenerezza. — A che
-pensava ella dunque? — Anna si volse, con
-un'aria quasi di sbigottimento, come fosse
-stata colta in fallo. — A niente pensava.&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-Giunsero al frantoio, dove i coloni macinavano
-la prima raccolta delle olive cadute
-precocemente dall'albero. La stanza delle macine
-era bassa e oscura; dalla vôlta luccicante
-di salnitro pendevano lucerne di ottone
-e fumigavano; un giumento bendato girava
-una mola gigantesca, con passo regolare; e i
-coloni, vestiti di certe lunghe tuniche simili
-a sacchi, nudi le gambe e le braccia, muscolosi,
-oleosi, versavano il liquido nelle giare,
-nelle conche, negli orci.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-</p>
-
-<p>
-Anna si mise a considerare l'opera, attentamente;
-e, come Zacchiele impartiva ordini
-ai faticatori, e girava tra le macine, osservando
-la qualità delle olive con una grande
-sicurezza di giudice, ella sentì per lui in quel
-momento crescere l'ammirazione. Poi, come
-Zacchiele dinanzi a lei prese un gran boccale
-colmo e versando nell'orcio quell'olio purissimo
-e luminoso nominò la grazia di Dio, ella
-si fece il segno della croce, tutta compresa
-di venerazione per l'opulenza della terra.
-</p>
-
-<p>
-Venivano intanto su la porta le due femmine
-della fattoria; e ciascuna teneva contro
-il seno un poppante, e si traeva un bel grappolo
-di figliuoli dietro le gonne. Si misero
-a conversare placidamente; e, poichè Anna
-tentava di accarezzare i fanciulli, ciascuna si
-compiaceva della propria fecondità, e con una
-ridente onestà di parole ragionava dei parti.
-La prima aveva avuti sette figliuoli; la seconda
-undici. — Era la volontà di Gesù Cristo; e
-per la campagna poi ci volevano braccia.
-</p>
-
-<p>
-Allora la conversazione volse in materie famigliari.
-Albarosa, una delle madri, fece molte
-domande ad Anna. — Ella non aveva avuto
-mai figliuoli? — Anna, nel rispondere che non
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-s'era maritata, provò per la prima volta una
-specie di umiliazione e di rammarico, dinanzi a
-quella possente e casta maternità. Poi, cambiando
-discorso, ella tese la mano sul più vicino
-dei bimbi. Gli altri guardavano con occhi vasti
-che pareva avessero assunto un limpido color
-vegetale dallo spettacolo continuo delle cose
-verdi. L'odore delle olive infrante si spandeva
-nell'aria, ed entrava nelle fauci ad eccitare il
-palato. I gruppi dei faticatori apparivano e sparivano
-sotto il rossore delle lucerne.
-</p>
-
-<p>
-Zacchiele, che fino a quel momento aveva invigilato
-su la misura dell'olio, si accostò alle
-donne. Albarosa lo accolse con un volto festevole. — Quanto
-voleva aspettare Don Zacchiele
-a prender moglie? — Zacchiele sorrise
-con un po' di confusione, a quella domanda; e
-diede un'occhiata sfuggente ad Anna che accarezzava
-ancora il bimbo selvatico e fingeva
-di non aver inteso. Albarosa, per una benevola
-arguzia contadinesca, riunendo visibilmente con
-l'ammiccar degli occhi bovini il capo d'Anna
-e quello di Zacchiele, seguitò le incitazioni. — Erano
-una coppia benedetta da Dio. Che aspettavano? — I
-coloni, avendo sospesa l'opera per
-attendere al pasto, facevano in torno cerchia. E
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-la coppia, anche più confusa per quella testimonianza,
-restava muta in un'attitudine tra di
-sorriso tremulo e di pudica modestia. Qualcuno
-dei giovini fra i testimoni, esilarato dalla faccia
-amorosamente compunta di Don Zacchiele, sospingeva
-con urti di gomiti i compagni. Il giumento
-nitrì, per fame.
-</p>
-
-<p>
-Fu apprestato il pasto. Un 'attività diligente
-invase la gran famiglia rustica. Su lo spiazzo,
-all'aperto, tra gli olivi pacifici e in conspetto del
-sottostante mare, gli uomini sedevano alla mensa.
-I piatti dei legumi conditi d'olio novello fumavano;
-il vino scintillava nelle semplici forme liturgiche
-dei vasi; e il cibo frugale dispariva rapidamente
-entro gli stomachi dei faticatori.
-</p>
-
-<p>
-Anna ora si sentiva come assalire da un tumulto
-di giubilo, e si sentiva d'un tratto quasi
-legata da una specie di dimestichezza amichevole
-con le due donne. Queste la condussero
-nell'interno della casa, dove le stanze erano
-larghe e luminose benchè antichissime. Su le
-pareti le imagini sacre si alternavano con le
-palme pasquali; provvigioni di carni suine pendevano
-dai soffitti; i talami dal pavimento si elevavano
-ampi ed altissimi con a canto le culle;
-da tutto emanava la serenità della concordia familiare.
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-Anna, considerando quell'ordine, sorrideva
-timidamente a una dolcezza interiore; e
-in un punto fu presa da una strana commozione
-quasi che tutte le sue latenti virtù di madre casalinga
-e i suoi istinti di allevatrice fremessero
-e insorgessero d'improvviso.
-</p>
-
-<p>
-Quando le donne ridiscesero su lo spiazzo, gli
-uomini stavano ancora in torno alla tavola; Zacchiele
-parlava con loro. Albarosa prese un piccolo
-pane di frumento, lo divise nel mezzo, lo
-consperse d'olio e di sale, e l'offerì ad Anna.
-L'olio novello, allora allora gemuto dal frutto,
-spandeva nella bocca un saporoso aroma asprino;
-ed Anna allettata mangiò tutto il pane.
-Bevve anche il vino. Poi, come il vespro cadeva,
-ella e Zacchiele ripresero il cammino del declivio.
-</p>
-
-<p>
-Dietro di loro i coloni cantarono. Molti altri
-canti sorsero dalla campagna, e si dispiegarono
-nella sera con la piana larghezza di un salmo
-gregoriano. Il vento soffiava fra gli oliveti più
-umido; un chiarore moriente tra roseo e violaceo
-indugiava effuso pel cielo.
-</p>
-
-<p>
-Anna camminò innanzi, con passo celere, rasente
-i tronchi. Zacchiele la seguì, pensando alle
-parole ch'egli voleva dire. Ambedue, da poi che
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-si sentivano soli, provavano una trepidazione infantile.
-A un punto Zacchiele chiamò la donna
-per nome; ed ella si volse umile e palpitante. — Che
-voleva? — Zacchiele non disse più altro;
-fece due passi, giunse al fianco di lei. E così
-continuarono il cammino, in silenzio, finchè la
-via Salaria non li divise. Come nell'andare, essi
-presero ciascuno il sentiero del margine, a destra
-e a manca. E rientrarono a Portasale.
-</p>
-
-<h3>IX.</h3>
-
-<p>
-Per una nativa irresolutezza, Anna differiva
-continuamente il matrimonio. Dubbii religiosi la
-tormentavano. Ella aveva sentito dire che soltanto
-le vergini sarebbero ammesse a far corona
-in torno alla Madre di Dio, nel paradiso.
-Dunque? Doveva ella rinunciare a quella dolcezza
-celeste per un bene terreno? Un più vivo
-ardore di divozione allora la invase. In tutte le
-ore libere ella andava alla chiesa del Rosario;
-s'inginocchiava innanzi al gran confessionale di
-quercia, e rimaneva immobile in quell'attitudine
-di preghiera. La chiesa era semplice e povera;
-il pavimento era coperto di lapidi mortuarie;
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-una sola lampada di metallo vile ardeva innanzi
-all'altare. E la donna rimpiangeva nell'animo il
-fasto della sua basilica, la solennità delle cerimonie,
-le undici lampade d'argento, i tre altari
-di marmo prezioso.
-</p>
-
-<p>
-Ma nella Settimana Santa del 1857, sorse un
-grande avvenimento. Tra la Confraternita capitanata
-da Don Fileno d'Amelio e l'abate Cennamele,
-coadiuvato dai satelliti parrocchiali, scoppiò
-la guerra; e ne fu causa un contrasto per
-la processione di Gesù morto. Don Fileno voleva
-che la pompa, fornita dai congregati, uscisse
-dalla chiesa della Confraternita; l'abate
-voleva che la pompa uscisse dalla chiesa parrocchiale.
-La guerra attrasse e avviluppò tutti
-i cittadini e le milizie del Re di Napoli, residenti
-nel forte. Nacquero tumulti popolari; le
-vie furono occupate da assembramenti di gente
-fanatica; pattuglie armigere andarono in volta
-per impedire i disordini; il conte arcivescovo di
-Chieti fu assediato da innumerevoli messi d'ambo
-le parti; corse molta pecunia per corruzioni;
-un mormorio di congiure misteriose si sparse
-nella città. Focolare degli odii la casa di Donna
-Cristina Basile. Don Fiore Ussorio sfolgorò per
-mirabili stratagemmi e per audacie novissime,
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-in quei giorni di lotta. Don Paolo Nervegna
-ebbe un grave spargimento di bile. Don Ignazio
-Cespa adoperò in vano tutte le sue blande arti
-conciliative e i suoi sorrisi melliflui. La vittoria
-fu contrastata con un accanimento implacabile,
-fino all'ora rituale della pompa funeraria. Il popolo
-fremeva nell'aspettazione; il comandante
-de le milizie, partigiano dell'abbadia, minacciava
-castighi ai facinorosi della Confraternita. La rivolta
-stava per irrompere. Quand'ecco giungere
-su la piazza un soldato a cavallo latore di un
-messaggio episcopale che dava la vittoria ai
-congregati.
-</p>
-
-<p>
-L'ordine della pompa si dispiegò allora con
-insolita magnificenza per le vie sparse di fiori.
-Un coro di cinquanta voci bianche cantò gli inni
-della Passione; e dieci turiferarii incensarono
-tutta la città. I baldacchini, gli stendardi, i ceri
-per la nuova ricchezza empirono gli astanti
-di meraviglia. L'abate sconfitto non intervenne;
-ed in sua vece Don Pasquale Carabba, il Gran
-Coadiutore, vestito dei paramenti badiali, seguì
-con molta solennità d'incesso il feretro di Gesù.
-</p>
-
-<p>
-Anna, nel frangente, aveva fatto voti per la
-vittoria dell'abate. Ma la suntuosità della cerimonia
-la abbagliò; una specie di rapimento la invase,
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-allo spettacolo; ed ella sentì gratitudine
-anche per Don Fiore Ussorio che passava reggendo
-nel pugno un cero immane. Poi, come
-l'ultima schiera dei celebranti le giunse dinanzi,
-ella si mescolò alla turba fanatica degli uomini,
-delle donne e de' fanciulli; e andò così, quasi
-senza toccar terra, tenendo sempre gli occhi fissi
-al serto culminante della <i>Mater dolorosa</i>. In alto,
-dall'uno all'altro balcone, stavano tesi i drappi
-signorili consecutivamente; dalle case dei panettieri
-pendevano rustiche forme d'agnelli materiate
-di fromento; ad intervalli, nei trivii, nei
-quadrivii, un braciere acceso spandeva fumo di
-aròmati.
-</p>
-
-<p>
-La processione non passò sotto le finestre
-dell'abate. Di tratto in tratto una specie di movimento
-irregolare correva lungo le file, come
-se la schiera antesignana incontrasse un ostacolo.
-E n'era causa il contrasto tra il crocifero della
-Confraternita e il luogotenente delle milizie, i
-quali ambedue avevano ricevuto il comando di
-seguire un itinerario diverso. Poichè il luogotenente
-non poteva usar violenza senza commetter
-sacrilegio, vinse il crocifero. I congregati
-esultavano; il comandante generale ardeva
-d'ira; il popolo s'empiva di curiosità.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-</p>
-
-<p>
-Quando la pompa, in vicinanza dell'arsenale,
-si rivolse per rientrare nella chiesa di San Giacomo,
-Anna prese un vicolo obliquo e in pochi
-passi fu su la porta madre. S'inginocchiò. Giungeva
-primo verso di lei l'uomo portante il crocifisso
-gigantesco; seguivano gli stendardieri che
-tenevano l'altissima asta in equilibrio su la fronte
-o sul mento, atteggiandosi con dotto giuoco
-di muscoli. Poi, quasi in mezzo a una nuvola
-d'incenso, venivano le altre schiere, i cori angelici,
-gli incappati, le vergini, i signori, il clero,
-le milizie. Lo spettacolo era grande. Una specie
-di terrore mistico teneva l'animo della donna.
-</p>
-
-<p>
-Si avanzò sul vestibolo, secondo la consuetudine,
-un accolito munito d'un largo piatto
-d'argento per ricevere i ceri. Anna guardava.
-Allora fu che il comandante, spezzando tra i
-denti aspre parole contro la Confraternita, gittò
-violentemente il suo cero nel piatto e voltò
-le spalle con piglio minaccioso. Tutti rimasero
-allibiti. E nel momentaneo silenzio si udì tintinnare
-la spada di colui che si allontanava.
-Solo Don Fiore Ussorio ebbe la temerità di
-sorridere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-</p>
-
-<h3>X.</h3>
-
-<p>
-I fatti per moltissimo tempo incitarono l'attività
-vocale dei cittadini e furono causa di turbolenze.
-Come Anna era stata testimone dell'ultima
-scena, alcuni vennero a lei per ragguagli.
-Ella raccontava sempre con le stesse parole,
-pazientemente. La sua vita da allora fu tutta
-spesa tra le pratiche religiose, gli uffici domestici
-e l'amore della testuggine. Ai primi tepori d'aprile
-la testuggine uscì dal letargo. Un giorno,
-d'improvviso, sbucò di sotto allo scudo la testa
-serpentina e tentennò debolmente mentre i piedi
-erano ancora immersi nel torpore. I piccoli occhi
-rimasero coperti a mezzo dalla palpebra. E
-l'animale, forse non più consapevole d'essere
-captivo, si mosse finalmente con un moto pigro
-e incerto, tastando co' piedi il suolo, spinto
-dal bisogno di trovarsi il cibo come nella sabbia
-del suo bosco natale.
-</p>
-
-<p>
-Anna, innanzi a quel risveglio, fu invasa da
-una tenerezza ineffabile e stette a guardare
-con occhi umidi di lacrime. Poi prese la testuggine,
-la mise sul letto, le offerì alcune foglie
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-verdi. La testuggine esitava a toccare le foglie,
-e nell'aprire le mandibole mostrava la lingua
-carnosa come quella dei pappagalli. Gli indumenti
-del collo e delle zampe parevano membrane
-flosce e giallognole di un corpo estinto.
-La donna a quella vista si sentiva stringere da
-una gran misericordia; ed eccitava al ristoro il
-bene amato, con le blandizie di una madre
-pel figliuolo convalescente. Unse d'olio dolce
-lo scudo osseo; e, come il sole vi percoteva
-sopra, le piastre pulite risplendevano più belle.
-</p>
-
-<p>
-In queste cure passarono i mesi della primavera.
-Ma Zacchiele, consigliato dalla stagione
-novella a maggiori impeti di amore, incalzò la
-donna con così tenere supplicazioni che n'ebbe
-alfine una promessa solenne. Le nozze si sarebbero
-celebrate il giorno precedente la Natività
-di Gesù Cristo.
-</p>
-
-<p>
-Allora l'idillio rifiorì. Mentre Anna attendeva
-alle opere dell'ago pel corredo nuziale,
-Zacchiele leggeva ad alta voce la storia del
-Nuovo Testamento. Le nozze di Cana, i prodigi
-del Redentore in Cafarnao, il morto di
-Naim, la moltiplicazione dei pani e dei pesci,
-la liberazione della figliuola della Cananea, i
-dieci lebbrosi, il cieco nato, la risurrezione di
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-Lazzaro, tutte quelle narrazioni miracolose rapirono
-l'animo della donna. Ed ella pensò lungamente
-a Gesù che entrava in Gerusalemme
-cavalcando un'asina, mentre i popoli stendevano
-su la sua via le vesti e spargevano fronde.
-</p>
-
-<p>
-Nella stanza l'erbe di timo odoravano in un
-vaso di terra. La testuggine veniva talvolta
-alla cucitrice e le tentava con la bocca il lembo
-delle tele o le morsicchiava il cuoio sporgente
-delle scarpe. Un giorno Zacchiele, nel leggere
-la parabola del Figliuol Prodigo, sentendosi
-d'improvviso qualche cosa di mobile tra i piedi,
-per un involontario moto di ribrezzo diede co'
-piedi un urto; e la testuggine urtata andò a
-battere contro la parete e rimase capovolta. Il
-guscio dorsale si scheggiò in più parti; un po'
-di sangue apparve da una delle zampe che
-l'animale agitava inutilmente per riprendere la
-posizione primitiva.
-</p>
-
-<p>
-Se bene l'infelice amante si mostrò atterrito
-del fatto e inconsolabile, Anna dopo quel giorno
-si chiuse in una specie di severità diffidente,
-non parlò più, non volle più ascoltare la lettura.
-E così il figliuol prodigo rimase per sempre
-sotto gli alberi delle ghiande a guardare i
-porci del suo signore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-</p>
-
-<h3>XI.</h3>
-
-<p>
-Nella grande alluvione dell'ottobre (1857) Zacchiele
-morì. La cascina dov'egli abitava, nei
-dintorni dei Cappuccini, fuori di Porta-Giulia, fu
-invasa dalle acque. Le acque inondarono tutta
-la campagna, dal colle d'Orlando fino al Colle
-di Castellammare; e, poichè avevano attraversato
-vastissimi sedimenti d'argilla, erano sanguigne
-come nella favola antica. Le cime degli
-alberi emergevano qua e là su quel sangue
-melmoso ed estuoso. Per intervalli, dinanzi al
-forte passavano in precipizio tronchi enormi
-con tutte le radici, masserizie, materie di forme
-irriconoscibili, gruppi di bestiami non ancora
-morti che urlavano e sparivano e riapparivano
-e si perdevano in lontananza. I branchi dei
-bovi, in ispecie, davano uno spettacolo mirabile:
-i grossi corpi biancastri s'incalzavano l'un
-l'altro, le teste si ergevano disperatamente fuori
-dell'acqua, furiosi intrecciamenti di corna avvenivano
-nell'impeto del terrore. Come il mare
-era di levante, le onde alla foce rigurgitavano.
-Il lago salso della Palata e gli estuarii si riunirono
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-col fiume. Il forte divenne un'isola perduta.
-</p>
-
-<p>
-Nell'interno le vie si sommersero; la casa di
-Donna Cristina ebbe la linea delle acque sino
-a metà della scala. Il fragore cresceva di continuo,
-mentre le campane sonavano a distesa.
-I forzati, dentro le carceri, urlavano.
-</p>
-
-<p>
-Anna, credendo a qualche supremo castigo
-dell'Altissimo, ricorse alla salvezza delle preghiere.
-Il secondo giorno, come salì su la sommità
-della colombaia, non vide che acque e
-acque in torno sotto le nuvole, e scorse poi
-cavalli sbigottiti che galoppavano in furia su
-le troniere di San Vitale. Discese, stupida,
-con la mente sconvolta; e la persistenza del
-fragore e l'oscurità dell'aria le fecero smarrire
-ogni nozione del luogo e del tempo.
-</p>
-
-<p>
-Quando l'alluvione cominciò a decrescere, la
-gente del contado entrò nella città per mezzo
-di palischermi. Uomini, donne e fanciulli, avevano
-su la faccia e negli occhi la stupefazione
-dolorosa. Tutti narravano fatti tristi. E un bifolco
-dei Cappuccini venne alla casa Basile per
-annunziare che Don Zacchiele se n'era andato
-<i>a marina</i>. Il bifolco parlava semplicemente, narrando
-la morte. Disse che in vicinanza dei Cappuccini
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-certe femmine avevano legato i figliuoli
-lattanti su la cima di un grande albero per salvarli
-dall'acqua e che i vortici avevano sradicato
-l'albero trascinandosi le cinque creature.
-Don Zacchiele stava sul tetto con altri cristiani
-in un mucchio compatto, urlando; e il
-tetto stava già per sommergersi; e cadaveri
-d'animali e rami rotti venivano già a urtare
-contro i disperati. Quando finalmente l'albero
-dei lattanti passò di là sopra, la violenza fu
-così terribile che dopo il suo passaggio non si
-vide più traccia di tetto nè di cristiani.
-</p>
-
-<p>
-Anna ascoltò senza piangere; e nella sua
-mente percossa il racconto di quella morte,
-con quell'albero dei cinque pargoli e con quelli
-uomini ammucchiati tutti sopra un tetto e con
-quei cadaveri di bestie che andavano a urtar
-contro, suscitò una specie di meraviglia superstiziosa
-simile a quella suscitatale da certe narrazioni
-del Vecchio Testamento. Ella salì con
-lentezza alla sua stanza, e cercò di raccogliersi.
-Il sole modesto splendeva sul davanzale; la
-testuggine in un angolo dormiva ricoverata
-sotto il suo scudo; un cinguettío di passeri veniva
-dagli émbrici. Tutte queste cose naturali,
-questa usuale tranquillità della vita circonstante,
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-a poco a poco la rasserenarono. Dal fondo di
-quella momentanea calma alfine sorse chiaro il
-dolore; ed ella chinò la testa sul petto, in un
-grande sconforto.
-</p>
-
-<p>
-Allora le punse l'animo il rimorso d'aver serbato
-contro Zacchiele quella specie di muto
-rancore per tanto tempo; e i ricordi a uno a
-uno vennero ad assalirla; e le virtù del defunto
-le rifulgevano ora alla memoria più religiosamente.
-Poichè l'onda del dolore cresceva, ella
-si alzò, andò verso il letto, vi si distese bocconi.
-E i suoi singhiozzi risonavano tra il cinguettío
-degli uccelli.
-</p>
-
-<p>
-Dopo, quando le lacrime si arrestarono, la
-quiete della rassegnazione cominciò a discenderle
-nell'animo; ed ella pensò che tutte le
-cose della terra sono caduche, e che noi dobbiamo
-conformarci alla volontà del Signore.
-L'unzione di questo semplice atto d'abbandono
-le sparse sul cuore un'abbondanza di dolcezza.
-Ella si sentì libera da ogni inquietudine,
-e trovò il riposo in quell'umile e ferma confidenza.
-Da allora nella sua regola non fu che
-questa clausola: — La soprana volontà di Dio,
-sempre giusta, sempre adorabile, sia fatta in tutte
-le cose, sia lodata ed esaltata per tutta l'eternità.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-</p>
-
-<h3>XII.</h3>
-
-<p>
-Così alla figlia di Luca fu aperta la vera
-strada del paradiso. E il giro del tempo per lei
-non fu determinato se non dalle ricorrenze ecclesiastiche.
-Quando il fiume rientrò nell'alveo,
-uscirono per ordine consecutivo di giorni molte
-processioni nella città e nelle campagne. Ella
-le seguì tutte, insieme con il popolo, cantando
-il <i>Te Deum</i>. Le vigne in torno erano devastate;
-il terreno era molle e l'aria pregna di vapori
-biondi, singolarmente luminosa, come nelle primavere
-palustri.
-</p>
-
-<p>
-Poi venne la festa d'Ognissanti; poi, la solennità
-dei Morti. Grandi messe furono celebrate
-in suffragio delle vittime dell'alluvione.
-Nel Natale Anna volle fare il presepe; comprò
-un bambino di cera, Maria, san Giuseppe, il
-bove, l'asino, i re Magi e i pastori. Accompagnata
-dalla figlia del sagrestano, ella andò per
-i fossati della via Salaria a cercare il musco.
-Sotto la vitrea serenità iemale i latifondi riposavano
-pingui di limo; la fattoria d'Albarosa si
-scorgeva sul colle tra gli olivi; nessuna voce turbava
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-il silenzio. Anna, come scopriva il musco,
-si chinava e con un coltello tagliava la zolla.
-Al contatto delle fredde erbe le sue mani divenivano
-lievemente violacee. Di tratto in tratto,
-alla vista di una zolla più verde, le sfuggiva
-una esclamazione di contentezza. Quando il
-canestro fu pieno, ella sedette sul ciglio del
-fossato, con la fanciulla. I suoi occhi salirono
-pel sentiero dell'oliveto, lentamente, e si fermarono
-alle mura bianche della fattoria che
-pareva un edifizio claustrale. Allora ella chinò
-la fronte, assalita da un pensiero. Poi d'un
-tratto si volse alla compagna. — Non aveva
-mai veduto macinare le olive? — E cominciò
-a figurar l'opera delle macine con molta prolissità
-di parole; e, come parlava, a poco a
-poco le salivano dall'animo altri ricordi, le venivano
-su la bocca spontaneamente a uno a
-uno, e le passavano nella voce con un piccolo
-tremito.
-</p>
-
-<p>
-Quella fu l'ultima debolezza. Nell'aprile
-del 1858, poco dopo la Pasqua maggiore, ella
-infermò. Stette nel letto quasi durante un mese,
-tormentata dall'infiammazione pulmonare. Donna
-Cristina veniva la mattina e la sera nella stanza
-a visitarla. Una vecchia fantesca, che faceva
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-pubblica professione d'assistere i malati, le somministrava
-i medicamenti. Poi la testuggine le
-rallegrò i giorni della convalescenza. E come
-l'animale era estenuato dal digiuno, ed era
-tutto aridamente pelloso, Anna vedendosi macilente,
-e sentendosi anch'essa affievolita, provava
-quella specie di appagamento interiore
-che noi proviamo quando una stessa sofferenza
-ci accomuna alla persona diletta. Un tepore
-molle saliva dagli émbrici coperti di licheni,
-verso i convalescenti; nel cortile i galli cantavano:
-e una mattina due rondini entrarono
-d'improvviso, batterono l'ali in torno alla stanza
-e fuggirono.
-</p>
-
-<p>
-Quando Anna tornò la prima volta nella
-chiesa, dopo la guarigione, era la Pasqua delle
-rose. Ella, nell'entrare, aspirò il profumo dell'incenso
-cupidamente. Camminò piano, lungo
-la navata, per ritrovare il posto dove soleva
-prima inginocchiarsi; e si sentì prendere da
-una sùbita gioia, quando scorse finalmente tra
-le lapidi mortuarie quella che portava nel mezzo
-un bassorilievo tutto consunto. Vi piegò i ginocchi
-sopra, e si mise a pregare. La gente
-aumentava. A un certo punto della cerimonia
-due accoliti scesero dal coro con due bacini
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-d'argento colmi di rose, e cominciarono a spargere
-i fiori su le teste dei prostrati, mentre
-l'organo sonava un inno giocondo. Anna era
-rimasta china, in una specie di estasi che le
-davano la beatitudine del misterio celebrato e
-il senso vagamente voluttuoso della guarigione.
-Come alcune rose vennero a caderle su la persona,
-ella n'ebbe un fremito lungo. E la povera
-donna nulla aveva provato nella sua vita di
-più dolce che quel fremito di delizia mistica e
-il susseguito languore.
-</p>
-
-<p>
-La Pasqua rosata rimase perciò la festività
-prediletta di Anna, e ritornò periodicamente
-senza alcun episodio notevole. Nel 1860 la città
-fu turbata da gravi agitazioni. Si udivano spesso
-nella notte i rulli dei tamburi, gli allarmi delle
-sentinelle, i colpi della moschetteria. Nella casa
-di Donna Cristina si manifestò un più vivo fervore
-di azione tra i cinque proci. Anna non si
-sbigottì; ma visse in un raccoglimento profondo,
-non prendendo conoscenza degli avvenimenti
-pubblici nè di quelli domestici, adempiendo ai
-suoi uffici con un'esattezza macchinale.
-</p>
-
-<p>
-Nel mese di settembre la fortezza di Pescara
-fu evacuata; le milizie borboniche si sbandarono,
-gittando armi e bagagli nelle acque del
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-fiume; stuoli di cittadini corsero le vie con liberali
-acclamazioni di gioia. Anna, come seppe
-che l'abate Cennamele era fuggito precipitosamente,
-pensò che i nemici della Chiesa di Dio
-avessero ottenuto il trionfo; e n'ebbe molto
-dolore.
-</p>
-
-<p>
-Dopo, la sua vita si svolse in pace, lungo
-tempo. Lo scudo della testuggine crebbe in latitudine
-e divenne più opaco; la pianta del tabacco
-annualmente sorse, fiorì e cadde; le
-sagge rondini in ogni autunno partirono per la
-terra dei Faraoni. Nel 1865 alfine la gran contesa
-dei proci terminò con la vittoria di Don
-Fileno d'Amelio. Le nozze si celebrarono nel
-mese di marzo, con solenne giocondità di conviti.
-E vennero allora ad ammannire vivande
-preziose due padri cappuccini, Fra Vittorio e
-Fra Mansueto.
-</p>
-
-<p>
-Erano costoro i due che di tutta la compagnia
-rimanevano, dopo la soppressione, a
-custodire il cenobio. Fra Vittorio era un sessagenario
-invermigliato fortificato e letificato dal
-succo dell'uva. Una piccola benda verde gli
-copriva l'infermità dell'occhio destro, e il sinistro
-gli scintillava pieno di vivezza penetrante. Egli
-esercitava fin dalla gioventù l'arte farmaceutica;
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-e, come aveva pratica molta di cucina, i signori
-solevano chiamarlo in occasione di festeggiamenti.
-Nell'opere aveva gesti rudi che gli scoprivano
-fuor delle ampie maniche le braccia
-villose; la sua barba si moveva tutta ad ogni
-moto della bocca; la sua voce si frangeva in
-stridori. Fra Mansueto in vece era un vecchio
-macilente, con una testa caprina da cui pendeva
-una barbicola candida, con due occhi giallognoli
-pieni di sommissione. Egli coltivava
-l'orto, e questuando portava l'erbe mangerecce
-per le case. Nell'aiutare il compagno prendeva
-attitudini modeste, zoppicava da un piede; parlava
-nel molle idioma patrio di Ortona, e, forse
-in memoria della leggenda di san Tommaso,
-esclamava: — <i>Pe' li Turchi!</i> — ad ogni momento,
-lisciandosi con una mano il cranio polito.
-</p>
-
-<p>
-Anna attendeva a porgere i piatti, gli arnesi,
-i vasellami di rame. Le pareva ora che la cucina
-assumesse una sorta di solennità sacra
-per la presenza dei frati. Ella restava intenta
-a guardare tutti gli atti di Fra Vittorio, presa
-da quella trepidazione che le persone semplici
-provano in cospetto degli uomini dotati di qualche
-virtù superiore. Ammirava ella in ispecie
-il gesto infallibile con cui il gran cappuccino
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-spargeva su gli intingoli certe sue droghe segrete,
-certi suoi aromi particolari. Ma l'umiltà,
-la mitezza, la modesta arguzia di Fra Mansueto
-a poco a poco la conquistarono. E i legami
-della comune patria e quelli più sensibili del
-comune idioma strinsero l'una e l'altro d'amicizia.
-</p>
-
-<p>
-Come essi conversavano, i ricordi del passato
-pullulavano nelle loro parole. Fra Mansueto
-aveva conosciuto Luca Minella e si
-trovava nella basilica quando accadde la morte
-di Francesca Nobile tra i pellegrini. — <i>Pe'
-li Turchi!</i> — Egli aveva anzi dato aiuto a
-trasportare il cadavere fino alle case di Porta
-Caldara; e si ricordava che la morta aveva
-addosso una veste di seta gialla e tante collane
-d'oro...
-</p>
-
-<p>
-Anna divenne triste. Nella sua memoria il
-fatto fino a quel momento era rimasto confuso,
-vago, quasi incerto, attenuato dal lunghissimo
-stupore inerte che aveva seguito i primi accessi
-del mal caduco. Ma quando Fra Mansueto disse
-che la morta stava in paradiso, perchè chi
-muore per causa di religione va fra i santi,
-Anna provò una dolcezza indicibile e si sentì
-d'un tratto crescere nell'animo una immensa
-adorazione per la santità della madre.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-</p>
-
-<p>
-Allora, per rammentare i luoghi del paese nativo,
-ella si mise a discorrere su la basilica dell'Apostolo,
-minutamente, determinando le forme
-degli altari, la positura delle cappelle, il numero
-degli arredi, le figurazioni della cupola, le attitudini
-delle immagini, le divisioni del pavimento, i
-colori delle vetrate. Fra Mansueto la secondava
-con benignità; e, poichè egli era stato ad Ortona
-alcuni mesi innanzi, raccontò le nuove cose
-vedute. — L'Arcivescovo di Orsogna aveva
-donato alla basilica un ciborio d'oro con incrostature
-di pietre preziose. La Confraternita del
-SS. Sacramento aveva rinnovato tutti i legnami
-e i corami degli stalli. Donna Blandina
-Onofrii aveva fornita una intera muta di parati
-consistente in pianete dalmatiche stole piviali
-cotte.
-</p>
-
-<p>
-Anna ascoltava avidamente; e il desiderio
-di vedere le nuove cose e di riveder le antiche
-cominciò a tormentarla. Ella, quando il
-cappuccino tacque, si rivolse a lui con un'aria
-tra di letizia e di timidezza. — La festa di
-maggio si avvicinava. Se andassero?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-</p>
-
-<h3>XIII.</h3>
-
-<p>
-Alle calende di maggio la donna, avuta licenza
-da Donna Cristina, fece gli apparecchi.
-Inquietudine le nacque nell'animo per la testuggine. — Doveva
-lasciarla? o portarla seco? — Stette
-lungamente in forse; e infine deliberò
-di portarla, per sicurezza. La pose dentro
-un canestro, tra i panni suoi e le scatole
-di confetture che Donna Cristina inviava a
-Donna Veronica Monteferrante, abadessa del
-monastero di Santa Caterina.
-</p>
-
-<p>
-Su l'alba Anna e Fra Mansueto si misero in
-cammino. Anna aveva in principio il passo
-spedito, l'aspetto gaio: i capelli, già quasi tutti
-canuti, le si piegavano lucidi sotto il fazzoletto.
-Il frate zoppicava reggendosi a una mazza, e
-le bisacce vuote gli penzolavano dalle spalle.
-Come essi giunsero al bosco dei pini, fecero
-la prima sosta.
-</p>
-
-<p>
-Il bosco, al mattino di maggio, ondeggiava
-immerso nel suo profumo natale, voluttuosamente,
-tra il sereno del cielo e il sereno del
-mare. I tronchi gemevano la ragia. I merli
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-fischiavano. Tutte le fonti della vita parevano
-aperte su la trasfigurazione della terra.
-</p>
-
-<p>
-Anna sedette sopra l'erba; offerse al cappuccino
-pane e frutta; e si mise a discorrere
-della festività, ad intervalli, mangiando. La
-testuggine tentava con le zampe anteriori l'orlo
-del canestro, e la sua timida testa serpigna
-sporgeva e si ritraeva negli sforzi. Poi che
-Anna l'aiutò a discendere, la bestia prese ad
-avanzare sul musco verso un cespuglio di
-mirto, con minor lentezza, forse sentendo in
-sè levarsi confusamente la gioia della primitiva
-libertà. E il suo scudo tra il verde pareva più
-bello.
-</p>
-
-<p>
-Allora Fra Mansueto fece alcune riflessioni
-morali e lodò la Provvidenza che dà alla testuggine
-una casa e le dà il sonno durante la
-stagione dell'inverno. Anna raccontò alcuni
-fatti che dimostravano nella testuggine un gran
-candore e una gran rettitudine. Poi soggiunse;
-«Che penserà?» E dopo un poco: «Gli animali
-che penseranno?»
-</p>
-
-<p>
-Il frate non rispose. Ambedue rimasero perplessi.
-Scendeva giù per la corteccia di un
-pino una fila di formiche e si dilungava pel
-terreno: ciascuna formica trascinava un frammento
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-di cibo e tutta l'innumerevole famiglia
-compiva il lavoro con ordine diligente. Anna
-guardava, e le si svegliavano nella mente le
-credenze ingenue dell'infanzia. Ella parlò di
-abitazioni meravigliose che le formiche scavano
-sotto la terra. Il frate disse, con accento
-di fede intensa: «Dio sia lodato!» E ambedue
-rimasero cogitabondi, sotto i verdi alberi,
-adorando nel loro cuore Iddio.
-</p>
-
-<p>
-Nella prima ora del pomeriggio arrivarono
-al paese di Ortona. Anna battè alla porta del
-monastero e chiese di vedere l'abadessa. All'entrare
-si presentava un piccolo cortile con
-nel mezzo una cisterna di pietra bianca e nera.
-Il parlatorio era una stanza bassa, con poche
-sedie intorno: due pareti erano occupate dalle
-grate, le altre due da un crocefisso e da imagini.
-Anna fu subito presa da un senso di venerazione
-per la pace solenne che regnava in
-quel luogo. Quando la madre Veronica apparve
-d'improvviso dietro le grate, alta e severa nell'abito
-monastico, ella provò un turbamento indicibile
-come dinanzi all'apparizione di una
-forma soprannaturale. Poi, rianimata dal buon
-sorriso dell'abadessa, ella compì il messaggio
-in brevi parole; depose nel cavo della ruota
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-le scatole, ed attese. La madre Veronica le si
-rivolse con benignità, guardandola da que' suoi
-belli occhi lionati; le donò un'effigie della Vergine;
-nel licenziarla le tese la mano signorile
-pel bacio, a traverso la grata, e disparve.
-</p>
-
-<p>
-Anna uscì trepidante. Mentre passava il vestibolo,
-le giunse un coro di litanie, un canto
-che veniva forse da una cappella sotterranea,
-ugualissimo e dolce. Mentre passava il cortile,
-vide a sinistra in cima al muro sporgere un
-ramo carico di melarance. E, come pose il piede
-su la via, le parve di aver lasciato dietro di sè
-un giardino di beatitudine.
-</p>
-
-<p>
-Allora si diresse verso la strada Orientale per
-cercare i parenti. Su la porta della vecchia
-casa una donna sconosciuta stava appoggiata
-allo stipite. Anna le si avvicinò timidamente e
-le chiese novelle della famiglia di Francesca
-Nobile. La donna l'interruppe: — Perchè?
-Perchè? Che voleva? — con una voce dura e
-uno sguardo investigante. Poi, quando Anna si
-palesò, ella le permise di entrare.
-</p>
-
-<p>
-I parenti erano quasi tutti o morti o emigrati.
-Restava nella casa un vecchio infermo, zi'
-Mingo, che aveva sposato in seconde nozze <i>la
-figlia di Sblendore</i> e viveva con lei quasi in miseria.
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-Il vecchio da prima non riconobbe Anna.
-Egli stava seduto su un'alta sedia ecclesiastica
-di cui la stoffa rossastra pendeva a brandelli:
-le sue mani posavano su i braccioli, contorte ed
-enormi per la mostruosità della chiragra; i suoi
-piedi con un moto ritmico percotevano il terreno;
-un continuo tremore paralitico gli agitava
-i muscoli del collo, i gomiti, le ginocchia. Ed
-egli guardò Anna, tenendo a fatica dischiuse le
-palpebre infiammate. Finalmente si risovvenne.
-</p>
-
-<p>
-Come Anna andava esponendo il proprio
-stato, la figlia di Sblendore odorando il denaro
-cominciava a concepire nell'animo speranze di
-usurpazione e per virtù delle speranze diveniva
-in volto più benigna. Subito che Anna terminò,
-ella le offerse l'ospitalità per la notte; le prese
-il canestro dei panni e lo ripose; promise di
-aver cura della testuggine; poi fece alcune
-querele compassionevoli su la infermità del
-vecchio e su la miseria della casa, non senza
-lacrime. Ed Anna uscì, con l'animo pieno di riconoscenza
-e di misericordia; risalì per la costa,
-verso lo scampanìo della basilica, provando
-un'ansia crescente nell'appressarsi.
-</p>
-
-<p>
-In torno al palazzo Farnese il popolo rigurgitava
-ondoso; e quella gran reliquia feudale
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-sovrastava ornata di paramenti, magnificata
-dal sole. Anna passò in mezzo alla folla, lungo
-i banchi degli argentarii artefici di arredi sacri
-e di oggetti votivi. A tutto quel candido scintillare
-di forme liturgiche il cuore le si dilatava
-per allegrezza; ed ella si faceva il segno
-della croce dinanzi a ogni banco come dinanzi
-a un altare. Quando giunse alla porta della basilica
-e intravide la luminaria e traudì il cantico
-del rito, ella non più contenne la veemenza
-della gioia; si avanzò fin verso il pulpito, con
-passi quasi vacillanti. Le ginocchia le si piegarono:
-le lacrime le sgorgarono dagli occhi allucinati.
-Ella rimase là, in contemplazione dei
-candelabri, dell'ostensorio, di tutte le cose che
-erano su l'altare, con la testa vacua, poichè
-dalla mattina non aveva più mangiato. E le
-prendeva le vene una debolezza immensa; l'anima
-le veniva meno in una specie di annientamento.
-</p>
-
-<p>
-Sopra di lei, lungo la nave centrale le lampade
-di vetro componevano una triplice corona
-di fuochi. In fondo, quattro massicci tronchi di
-cera fiammeggiavano ai lati del tabernacolo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-</p>
-
-<h3>XIV.</h3>
-
-<p>
-I cinque giorni della festa Anna visse così,
-dentro la chiesa, dall'ora mattutina fino all'ora
-in cui le porte si chiudevano, fedelissima, respirando
-quell'aria calda che le infondeva nei
-sensi un torpore beatifico, nell'anima una felicità
-piena di umiltà. Le orazioni, le genuflessioni,
-le salutazioni, tutte quelle formule, tutti
-quei gesti rituali ripetuti incessantemente, la
-istupidivano. Il fumo dell'incenso le nascondeva
-la terra.
-</p>
-
-<p>
-Rosaria, la figlia di Sblendore, intanto ne
-traeva profitto, movendo la pietà di lei con
-false querimonie e con lo spettacolo miserevole
-del vecchio paralitico. Ella era una femmina
-malvagia, esperta nelle frodi, dedita alla crapula;
-aveva tutta la faccia sparsa di umori
-vermigli e serpiginosi, i capelli canuti, il ventre
-obeso. Legata al paralitico dai comuni vizi e
-dalle nozze, ella insieme con lui aveva disperse
-in breve tempo le già scarse sostanze, bevendo
-e gozzovigliando. Ambedue nella miseria, inveleniti
-dalla privazione, arsi da sete di vino
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-e di liquori ignei, affranti da infermità senili,
-ora espiavano il loro lungo peccato.
-</p>
-
-<p>
-Anna, con uno spontaneo moto caritatevole,
-diede a Rosaria tutto il denaro tenuto per le
-elemosine, tutti i panni superflui; si tolse gli
-orecchini, due anelli d'oro, la collana di corallo;
-promise altri soccorsi. E riprese quindi il cammino
-di Pescara, in compagnia di Fra Mansueto,
-portando nel canestro la testuggine.
-</p>
-
-<p>
-In cammino, come le case di Ortona si allontanavano,
-una gran tristezza scendeva su
-l'animo della donna. Stuoli di pellegrini volgevano
-per altre vie, cantando: e i loro canti
-rimanevano a lungo nell'aria, monotoni e lenti.
-Anna li ascoltava; e un desiderio senza fine
-la traeva a raggiungerli, a seguirli, a vivere
-così pellegrinando di santuario in santuario, di
-contrada in contrada, per esaltare i miracoli
-d'ogni santo, le virtù d'ogni reliquia, le bontà
-d'ogni Maria.
-</p>
-
-<p>
-«Vanno a Cucullo,» le disse Fra Mansueto,
-accennando col braccio a un paese lontano.
-E ambedue si misero a parlare di san Domenico
-che protegge dal morso dei serpenti gli
-uomini, e le semenze dai bruchi; poi d'altri
-patroni. — A Bugnara, sul Ponte del Rivo,
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-più di cento giumenti, tra cavalli asini e muli,
-carichi di frumento vanno in processione alla
-Madonna della Neve: i devoti cavalcano su le
-some, con serti di spighe in capo, con tracolle
-di pasta; e depongono ai piedi dell'imagine
-i doni cereali. A Bisenti, molte giovinette, con
-in capo canestre di grano, conducono per le
-vie un asino che porta su la groppa una maggiore
-canestra: ed entrano nella chiesa della
-Madonna degli Angeli, per l'offerta, cantando.
-A Torricella Peligna, uomini e fanciulli, coronati
-di rose e di bacche rosee, salgono in pellegrinaggio
-alla Madonna delle Rose, sopra una
-rupe dov'è l'orma di Sansone. A Loreto Aprutino
-un bue candido, impinguato durante l'anno
-con abbondanza di pastura, va in pompa dietro
-la statua di san Zopito. Una gualdrappa vermiglia
-lo copre, e lo cavalca un fanciullo. Come
-il santo rientra nella chiesa, il bue s'inginocchia
-sul limitare; poi si rialza lentamente, e
-segue il santo tra il plauso del popolo. Giunto
-nel mezzo della chiesa, manda fuora gli escrementi
-del cibo; e i devoti da quella materia
-fumante traggono gli auspicii per l'agricoltura.
-</p>
-
-<p>
-Di queste usanze religiose Anna e Fra Mansueto
-parlavano, quando giunsero alla foce dell'Alento.
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-L'alveo portava le acque di primavera
-tra le vitalbe non anche fiorenti. E il cappuccino
-disse della Madonna dell'Incoronata, dove
-per la festa di san Giovanni i devoti si cingono
-il capo di vitalbe, e nella notte vanno sul
-fiume Gizio a <i>passar l'acqua</i> con grandi allegrezze.
-</p>
-
-<p>
-Anna si scalzò per guadare. Ella sentiva ora
-nell'animo un'immensa venerazione d'amore per
-tutte le cose, per gli alberi, per le erbe, per gli
-animali, per tutte le cose che quelle usanze cattoliche
-avevano santificato. E dal fondo della
-sua ignoranza e della sua semplicità sorgeva
-l'istinto dell'idolatria.
-</p>
-
-<p>
-Alcuni mesi dopo il ritorno, scoppiò nel paese
-un'epidemia colerica; e la mortalità fu grande.
-Anna prestò le sue cure agli infermi poveri. Fra
-Mansueto morì. Anna n'ebbe molto dolore; e
-nel 1866, per la ricorrenza della festa, volle
-prendere congedo e rimpatriare per sempre,
-poichè vedeva in sonno tutte le notti san Tommaso
-che le comandava di partire. Ella prese
-la testuggine, le sue robe e i suoi risparmii;
-baciò le mani di Donna Cristina, piangendo; e
-partì questa volta sopra un carretto, insieme
-con due monache questuanti.
-</p>
-
-<p>
-A Ortona ella abitò nella casa dello zio paralitico;
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-dormì su un pagliericcio; non si cibò
-se non di pane e di legumi. Dedicava tutte le ore
-del giorno alle pratiche della chiesa, con un
-fervore meraviglioso; e la sua mente vie più
-perdeva ogni altra facoltà che non fosse quella
-di contemplare i misteri cristiani, di adorare i
-simboli, d'imaginare il paradiso. Ella era tutta
-rapita nella carità divina, era tutta compresa di
-quella divina passione che i sacerdoti manifestano
-sempre con gli stessi segni e con le stesse
-parole. Ella non comprendeva se non quell'unico
-linguaggio; non aveva se non quell'unico ricovero,
-tiepido e solenne, dove tutto il cuore le
-si dilatava in una pia securtà di pace, e gli
-occhi le s'inumidivano in un'ineffabile soavità di
-lacrime.
-</p>
-
-<p>
-Soffrì, per amor di Gesù, le miserie domestiche;
-fu dolce e sommessa; non mai profferì
-un lamento, o un rimprovero, o una minaccia.
-Rosaria le sottrasse a poco a poco tutti i risparmii;
-e cominciò quindi a farle patire la fame,
-ad angariarla, a chiamarla con nomi disonesti,
-a perseguitarle la testuggine con insistenza feroce.
-Il vecchio paralitico metteva continuamente
-una specie di mugolìo rauco, aprendo la bocca
-ove la lingua tremava, onde colava in abbondanza
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-la saliva continuamente. Un giorno, poichè
-la moglie avida beveva innanzi a lui un
-liquore e gli negava il bicchiere sfuggendo, egli
-si levò dalla sedia con uno sforzo, e si mise a
-camminare verso di lei: le gambe gli vacillavano,
-i piedi si posavano sul terreno con un'involontaria
-percussione ritmica. D'un tratto egli
-si accelerò, col tronco inclinato in avanti, saltellando
-a piccoli passi incalzanti, come spinto
-da un impulso irresistibile, finchè cadde bocconi
-su l'orlo delle scale fulminato.
-</p>
-
-<h3>XV.</h3>
-
-<p>
-Allora Anna, afflitta, prese la testuggine, e
-andò a chieder soccorso a Donna Veronica
-Monteferrante. Come la povera donna già negli
-ultimi tempi faceva alcuni servizi pel monastero,
-l'abadessa misericordiosa le diede l'ufficio
-di conversa.
-</p>
-
-<p>
-Anna, se bene non aveva gli ordini, vestì l'abito
-monacale: la tunica nera, il soggólo, la
-cuffia dalle ampie tese candide. Le parve, in
-quell'abito, di essere santificata. E, da prima,
-quando all'aria le tese le sbattevano in torno
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-al capo con un fremito d'ali, ella trasaliva per
-un turbamento improvviso di tutto il suo sangue.
-E, da prima, quando le tese percosse dal
-sole le riflettevano nella faccia un vivo chiaror
-di neve, ella d'improvviso credevasi illuminata
-da un baleno mistico.
-</p>
-
-<p>
-Con l'andar del tempo, le estasi si fecero più
-frequenti. La vergine canuta era colpita a quando
-a quando da suoni angelici, da echi lontani
-d'organo, da romori e voci non percettibili agli
-orecchi altrui. Figure luminose le si presentavano
-dinanzi, nel buio; odori paradisiaci la rapivano.
-</p>
-
-<p>
-Così pel monastero una specie di sacro orrore
-cominciò a diffondersi, come per la presenza
-di un qualche potere occulto, come per l'imminenza
-di un qualche avvenimento soprannaturale.
-Per cautela, la nuova conversa fu dispensata
-da ogni obbligo d'opere servili. Tutte le
-attitudini di lei, tutte le parole, tutti gli sguardi
-furono osservati, comentati con superstizione.
-E la leggenda della santità incominciò a fiorire.
-</p>
-
-<p>
-Su le calende di febbraio dell'anno di Nostro
-Signore 1873, la voce della vergine Anna divenne
-singolarmente rauca e profonda. Poi la
-virtù della parola d'un tratto scomparve.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-</p>
-
-<p>
-L'inaspettato ammutolimento sbigottì gli animi
-delle religiose. E tutte, stando in torno alla
-conversa, ne consideravano con mistico terrore
-gli atteggiamenti estatici, i movimenti vaghi
-della bocca mutola, la immobilità degli occhi,
-d'onde a tratti sgorgavano profluvii di lacrime. I
-lineamenti dell'inferma, estenuati dai lunghi digiuni,
-avevano ora assunto una purità quasi
-eburnea; e tutte le trame delle vene e delle
-arterie ora trasparivano così visibili, e sporgevano
-con così forti rilievi, e così incessantemente
-palpitavano, che dinanzi a quel palesato
-pálpito del sangue una specie di raccapriccio
-prendeva le monache come dinanzi a un corpo
-spoglio di sua pelle cristiana.
-</p>
-
-<p>
-Quando fu prossimo il Mese di Maria, un'amorosa
-diligenza sollecitò le Benedettine al paramento
-dell'oratorio. Si spargevano elleno nel verziere
-claustrale tutto fiorente di rose e fruttificante
-di melarance, raccogliendo la messe del
-maggio novello per deporla ai piedi dell'altare.
-Anna, tornata nella calma, discendeva anch'ella
-ad aiutare la pia opera; e significava talvolta
-con i gesti il pensiero che la perdurante mutezza
-le toglieva di esprimere. S'indugiavano
-al sole tutte quelle spose del Signore, incedenti
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-tra le fonti letifiche del profumo. Fuggiva
-lungo un lato del verziere un portico; e
-come nell'animo delle vergini i profumi risvegliavano
-imagini sopite, così il sole penetrando
-sotto li archi bassi ravvivava nell'intonico i residui
-dell'oro bisantino.
-</p>
-
-<p>
-L'oratorio fu pronto per il giorno del primo
-ufficio. La cerimonia ebbe principio dopo il vespro.
-Una suora salì su l'organo. Subitamente
-dalle canne armoniche il fremito della passione
-si propagò in tutte le cose; tutte le fronti s'inclinarono;
-i turiboli diedero fumi di belgiuino;
-le fiammelle dei ceri palpitarono tra corone di
-fiori. Poi sorsero i cantici, le litanie piene di
-appellazioni simboliche e di supplichevole tenerezza.
-Come le voci salivano con forza crescente,
-Anna nell'immenso impeto del fervore
-gridò. Colpita dal prodigio, cadde supina; agitò
-le braccia, volle rialzarsi. Le litanie s'interruppero.
-Delle suore, alcune, quasi atterrite, erano
-rimaste un istante nell'immobilità; altre davano
-soccorso all'inferma. Il miracolo appariva inopinato,
-fulgidissimo, supremo.
-</p>
-
-<p>
-Allora a poco a poco allo stupore, al murmure
-incerto, alle titubanze successe un giubilo
-senza limiti, un coro di esaltazioni clamorose,
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-un'alata ebrietà canora. Anna, in ginocchio,
-ancora assorta nel rapimento del miracolo, non
-aveva conoscenza di quel che in torno avveniva.
-Ma quando i cantici con una maggior
-veemenza furono ripresi, ella cantò. La sua nota
-su dalla cadente onda del coro ad intervalli emerse,
-poichè le divote diminuivano la forza
-delle voci per ascoltare quella unica che dalla
-grazia divina era stata riconcessa. E la Vergine
-nei cantici a volta a volta fu l'incensiere
-d'oro onde esalavano i balsami più dolci, la
-lampada che dì e notte rischiarava il santuario,
-l'urna che racchiudeva la manna del cielo, il roveto
-che ardeva senza consumarsi, lo stelo di
-Iesse che portava il più bello di tutti i fiori.
-</p>
-
-<p>
-Dopo, la fama del miracolo si sparse dal monastero
-in tutto il paese di Ortona, e dal paese
-in tutte le terre finitime, aumentando nel viaggio.
-E il monastero sorse in grande onore. Donna
-Blandina Onofrii, la magnifica, offerse alla Madonna
-dell'oratorio una veste di broccato d'argento
-e una rara collana di turchesi venuta
-dall'isola di Smirne. Le altre gentildonne ortonesi
-offersero altri minori doni. L'arcivescovo
-d'Orsogna fece con pompa una visita gratulatoria,
-in cui rivolse parole di edificante eloquenza
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-ad Anna che «con la purità della vita
-si era resa degna dei doni celesti.»
-</p>
-
-<p>
-Nell'agosto del 1876 sopravvennero nuovi prodigi.
-L'inferma, quando si avvicinava il vespro,
-cadeva in uno stato di estasi con catalessia; donde
-sorgeva poi quasi con impeto. E in piedi, conservando
-sempre la medesima attitudine, cominciava
-a parlare, da prima lentamente, e quindi
-gradatamente accelerando, come sotto l'urgenza
-di un'ispirazione mistica. Il suo eloquio non era
-se non un miscuglio tumultuario di parole, di
-frasi, di interi periodi già innanzi appresi, che ora
-nella sua inconsapevolezza si riproducevano,
-frammentandosi o combinandosi senza legge.
-Le native forme dialettali s'innestavano alle
-forme auliche, s'insinuavano nelle iperboli del
-linguaggio biblico; e mostruosi congiungimenti
-di sillabe, inauditi accordi di suoni avvenivano
-nel disordine. Ma il profondo tremito della voce,
-ma i cangiamenti repentini dell'inflessione, l'alterno
-ascendere e discendere del tono, la spiritualità
-della figura estatica, il mistero dell'ora,
-tutto concorreva a soggiogare gli animi delle
-astanti.
-</p>
-
-<p>
-Gli effetti si ripeterono cotidianamente, con
-una regolarità periodica. Sul vespro, nell'oratorio
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-si accendevano le lampade; le monache
-facevano la cerchia inginocchiandosi; e la rappresentazione
-sacra incominciava. Come l'inferma
-entrava nell'estasi catalettica, i preludii
-vaghi dell'organo rapivano gli animi delle religiose
-in una sfera superiore. Il lume delle lampade
-si diffondeva fievole dall'alto, dando un'incertitudine
-aerea e quasi una morente dolcezza
-all'apparenza delle cose. A un punto l'organo taceva.
-La respirazione nell'inferma diveniva più
-profonda; le braccia le si distendevano così che
-nei polsi scarnificati i tendini vibravano simili
-alle corde di uno strumento. Poi, d'un tratto,
-l'inferma balzava in piedi, incrociava le braccia
-sul petto, restando nell'atteggiamento mistico
-delle cariatidi d'un battistero. E la sua voce risonava
-nel silenzio, ora dolce, ora lugubre, ora
-quasi canora, quasi sempre incomprensibile.
-</p>
-
-<p>
-Su i principii del 1877 questi accessi diminuirono
-di frequenza; si presentarono due o tre
-volte la settimana; poi disparvero totalmente,
-lasciando il corpo della donna in uno stato miserevole
-di debolezza. E allora alcuni anni passarono,
-in cui la povera idiota visse tra sofferenze
-atroci, con le membra rese inerti dagli
-spasimi articolari. Ella non aveva più alcuna
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-cura della nettezza; non si cibava se non di pane
-molle e di pochi erbaggi; teneva in torno al
-collo, sul petto, una gran quantità di piccole
-croci, di reliquie, d'imagini, di corone; parlava
-balbettando per la mancanza dei denti; e i suoi
-capelli cadevano, i suoi occhi erano già torbidi
-come quelli dei vecchi giumenti che stanno per
-morire.
-</p>
-
-<p>
-Una volta, di maggio, mentre ella soffriva deposta
-sotto il portico e le suore in torno coglievano
-per Maria le rose, le passò dinanzi la
-testuggine che ancora traeva la sua vita pacifica
-e innocente nel verziere claustrale. La
-vecchia vide quella forma muoversi e a poco
-a poco allontanarsi. Nessun ricordo le si destò
-nell'anima. La testuggine si perse tra i cespi
-dei timi.
-</p>
-
-<p>
-Ma le suore consideravano la imbecillità e la
-infermità della donna come una di quelle supreme
-prove di martirio a cui il Signore chiama
-gli eletti per santificarli e glorificarli poi nel paradiso;
-e circondavano di venerazione e di cure
-l'idiota.
-</p>
-
-<p>
-Nell'estate del 1881 apparvero i segni della
-morte prossima. Consunto e piagato, quel miserabile
-corpo omai nulla più conservava di umano.
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-Lente deformazioni avevano viziata la
-positura delle membra; tumori grossi come
-pomi sporgevano sotto un fianco, su una spalla,
-dietro la nuca.
-</p>
-
-<p>
-La mattina del 10 settembre, verso l'ottava
-ora, un sussulto della terra scosse dalle fondamenta
-Ortona. Molti edifici precipitarono, altri
-furono offesi nei tetti e nelle pareti, altri s'inclinarono
-e s'abbassarono. E tutta la buona
-gente di Ortona, con pianti, con grida, con invocazioni,
-con gran chiamare di santi e di madonne,
-uscì fuori delle porte, e si raunò sul
-piano di San Rocco, temendo maggiori pericoli.
-Le monache, prese dal pànico, infransero la
-clausura; irruppero su la via, scarmigliate, cercando
-salvezza. Quattro di loro portavano Anna
-sopra una tavola. E tutte trassero al piano, verso
-il popolo incolume.
-</p>
-
-<p>
-Come esse giunsero in vista del popolo, unanimi
-clamori si levarono, poichè la presenza
-delle religiose parve propizia. In ogni parte,
-d'in torno, giacevano infermi, vecchi impediti,
-fanciulli in fasce, donne stupide per la paura.
-Un bellissimo sole mattutino illustrava le teste
-tumultuanti, il mare, i vigneti; e accorrevano
-dalla spiaggia inferiore i marinai, cercando le
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-mogli, chiamando i figli per nome, ansanti per
-la salita, rochi; e da Caldara cominciavano a
-venire mandre di pecore e di bovi con i pastori,
-branchi di gallinacci con le femmine guardiane,
-giumenti; poichè tutti temevano la solitudine,
-e tutti, uomini e bestie, nel frangente si
-accomunavano.
-</p>
-
-<p>
-Anna, adagiata sul suolo, sotto un olivo, sentendo
-prossima la morte, si rammaricava con
-un balbettìo fievole, perchè non voleva morire
-senza i sacramenti; e le monache d'in torno le
-davano conforto; e gli astanti la guardavano con
-pietà. Ora, d'improvviso, tra il popolo una voce
-si sparse, che da Porta-Caldara sarebbe uscito
-il busto dell'Apostolo. Le speranze risorgevano;
-canti di rogazione risorgevano nell'aria. Come
-da lungi vibrò un incognito luccichío, le donne
-s'inginocchiarono; e con i capelli disciolti, lacrimose,
-si misero a camminare su le ginocchia,
-in contro al luccichío, salmodiando.
-</p>
-
-<p>
-Anna agonizzava. Sostenuta da due suore,
-udì le preghiere, udì l'annunzio; e forse in
-un'ultima illusione travide l'Apostolo veniente,
-poichè nella faccia cava le passò quasi un sorriso
-di gaudio. Alcune bolle di saliva le apparvero
-su le labbra; un'ondulazione brusca le
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-corse e ricorse, visibile, le estremità del corpo;
-su gli occhi le palpebre le caddero, rossastre
-come per sangue stravasato; il capo le si ritrasse
-nelle spalle. E la vergine Anna così alfine spirò.
-Quando il luccichío si fece più da presso alle
-donne adoranti, si chiarì nel sole la forma di
-un giumento che portava in bilico su la groppa,
-secondo il costume, una banderuola di metallo.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span></p>
-
-<h2 id="idolatri">GLI IDOLATRI.</h2>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-La gran piazza sabbiosa scintillava come sparsa
-di pomice in polvere. Tutte le case a torno imbiancate
-di calce parevano roventi come muraglie
-d'una immensa fornace che fosse per estinguersi.
-In fondo, i pilastri della chiesa riverberavano l'irradiamento
-delle nuvole e si facevano roggi
-come di granito; le vetrate balenavano quasi
-contenessero lo scoppio d'un incendio interno;
-le figurazioni sacre prendevano un'aria viva
-di colori e di attitudini; tutta la mole ora, sotto
-lo splendore della meteora crepuscolare, assumeva
-una più alta potenza di dominio su le
-case dei Radusani.
-</p>
-
-<p>
-Volgevano dalle strade alla piazza gruppi
-d'uomini e di femmine vociferando e gesticolando.
-In tutti gli animi il terrore superstizioso
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-ingigantiva rapidamente; da tutte quelle fantasie
-incolte mille imagini terribili di castigo
-divino si levavano; i commenti, le contestazioni
-ardenti, le scongiurazioni lamentevoli, i racconti
-sconnessi, le preghiere, le grida si mescevano
-in un rumorìo cupo d'uragano imminente.
-Già da più giorni quei rossori sanguigni
-indugiavano nel cielo dopo il tramonto, invadevano
-la tranquillità della notte, illuminavano
-tragicamente i sonni delle campagne, suscitavano
-gli urli dei cani.
-</p>
-
-<p>
-— Giacobbe! Giacobbe! — gridavano, agitando
-le braccia, alcuni che fin allora avevano
-parlato a voce bassa, innanzi alla chiesa, stretti
-in torno a un pilastro del vestibolo. — Giacobbe!
-</p>
-
-<p>
-Usciva dalla porta madre e si accostava agli
-appellanti un uomo lungo e macilento che pareva
-infermo di febbre etica, calvo su la sommità
-del cranio e coronato alle tempie e alla
-nuca di certi lunghi capelli rossicci. I suoi piccoli
-occhi cavi erano animati come dall'ardore
-di una passione profonda, un po' convergenti
-verso la radice del naso, d'un colore incerto.
-La mancanza dei due denti d'avanti nella mascella
-superiore dava all'atto della sua bocca
-nel profferire le parole e al moto del mento
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-aguzzo sparso di peli una singolare apparenza
-di senilità faunesca. Tutto il resto del corpo
-era una miserabile architettura di ossa mal celata
-nei panni; e su le mani, su i polsi, sul riverso
-delle braccia, sul petto la cute era piena
-di segni turchini, di incisioni fatte a punta di
-spillo e a polvere d'indaco, in memoria de' santuarii
-visitati, delle grazie ricevute, dei voti sciolti.
-</p>
-
-<p>
-Come il fanatico giunse presso al gruppo del
-pilastro, una confusione di domande si levò da
-quelli uomini ansiosi. — Dunque? Che aveva
-detto Don Cònsolo? Facevano uscire soltanto
-il braccio d'argento? E tutto il busto non era
-meglio? Quando tornava Pallura con le candele?
-Erano cento libbre di cera? Soltanto
-cento libbre? E quando cominciavano le campane
-a suonare? Dunque? Dunque?
-</p>
-
-<p>
-I clamori aumentarono in torno a Giacobbe;
-i più lontani si strinsero verso la chiesa; da tutte
-le strade la gente si riversò su la piazza e la
-riempì. E Giacobbe rispondeva agli interroganti,
-parlava a voce bassa, come se rivelasse segreti
-terribili, come se apportasse profezie da
-lontano. Egli aveva veduto nell'alto, in mezzo
-al sangue, una mano minacciosa, e poi un velo
-nero, e poi una spada e una tromba...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-</p>
-
-<p>
-«Racconta! racconta!» incitavano gli altri,
-guardandosi in faccia, presi da una strana avidità
-di ascoltare cose meravigliose; mentre la
-favola di bocca in bocca si spandeva rapidamente
-per la moltitudine assembrata.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-La gran plaga vermiglia dall'orizzonte saliva
-lentamente verso lo zenit, tendeva ad occupare
-tutta la cupola del cielo. Un vapore di fusi metalli
-pareva ondeggiare su i tetti delle case;
-e nel chiarore discendente dal crepuscolo raggi
-sulfurei e violetti si mescolavano con un tremolìo
-d'iridescenza. Una lunga striscia più luminosa
-fuggiva verso una strada sboccante su
-l'argine dei fiume; e s'intravedeva al fondo il
-fiammeggiamento delle acque tra i fusti lunghi e
-smilzi dei pioppetti; poi un lembo di campagna
-brulla, dove le vecchie torri saracene si levavano
-confusamente come isolotti di pietra fra le
-caligini. Le emanazioni affocanti del fieno mietuto
-si spandevano nell'aria: era a tratti come
-un odore di bachi putrefatti tra la frasca. Stuoli
-di rondini attraversavano lo spazio con molto
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-schiamazzo di stridi, trafficando dai greti del
-fiume alle gronde.
-</p>
-
-<p>
-Nella moltitudine il mormorìo era interrotto
-da silenzii di aspettazione. Il nome di Pallura circolava
-per le bocche; impazienze irose scoppiavano
-qua e là. Lungo la strada del fiume non
-si vedeva ancora apparire il traino; le candele
-mancavano; Don Cònsolo indugiava per questo
-ad esporre le reliquie, a fare gli esorcismi; e
-il pericolo soprastava. Il pànico invadeva tutta
-quella gente ammassata come una mandra di
-bestie, non osante più di sollevare gli occhi al
-cielo. Dai petti delle femmine cominciarono a
-rompere i singhiozzi; e una costernazione suprema
-oppresse e istupidì le coscienze al suono
-di quel pianto.
-</p>
-
-<p>
-Allora le campane finalmente squillarono
-Come i bronzi stavano a poca altezza, il fremito
-cupo del rintocco sfiorò tutte le teste; e una
-specie di ululato continuo si propagava nell'aria
-tra un colpo e l'altro.
-</p>
-
-<p>
-— San Pantaleone! San Pantaleone!
-</p>
-
-<p>
-Fu un immenso grido unanime di disperati
-che chiedevano aiuto. Tutti in ginocchio, con le
-mani tese, con la faccia bianca, imploravano.
-</p>
-
-<p>
-— San Pantaleone!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-</p>
-
-<p>
-Apparve su la porta della chiesa, in mezzo al
-fumo di due turiboli, Don Cònsolo scintillante in
-una pianeta violetta a ricami d'oro. Egli teneva
-in alto il sacro braccio d'argento, e scongiurava
-l'aria gridando le parole latine:
-</p>
-
-<p>
-— <i>Ut fidelibus tuis aeris serenitatem concedere
-digneris, Te rogamus, audi nos.</i>
-</p>
-
-<p>
-L'apparizione della reliquia eccitò un delirio di
-tenerezza nella moltitudine. Scorrevano lagrime
-da tutti gli occhi; e a traverso il velo lucido delle
-lagrime gli occhi vedevano un miracoloso fulgore
-celeste emanare dalle tre dita in alto atteggiate
-a benedire. La figura del braccio pareva ora più
-grande nell'aria accesa; i raggi crepuscolari suscitavano
-barbagli variissimi nelle pietre preziose;
-il balsamo dell'incenso si spargeva rapidamente
-per le nari devote.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Te rogamus, audi nos!</i>
-</p>
-
-<p>
-Ma, quando il braccio rientrò e le campane
-si arrestarono, nel momentaneo silenzio un tintinnìo
-prossimo di sonagli si udì, che veniva
-dalla strada del fiume. E avvenne allora un repentino
-movimento di concorso verso quella
-parte e molti dicevano:
-</p>
-
-<p>
-— È Pallura con le candele! È Pallura che arriva!
-Ecco Pallura!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il traino si avanzava scricchiolando su la
-ghiaia, al passo di una pesante cavalla grigia a
-cui il gran corno d'ottone brillava, simile a una
-bella mezzaluna, su la groppa. Come Giacobbe
-e gli altri si fecero in contro, la pacifica bestia
-si fermò soffiando forte dalle narici. E Giacobbe,
-che s'accostò primo, subito vide disteso in fondo
-al traino il corpo di Pallura tutto sanguinante,
-e si mise a urlare agitando le braccia verso la
-folla:
-</p>
-
-<p>
-— È morto! E morto!
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-La triste novella si propagò in un baleno. La
-gente si accalcava in torno al traino, tendeva il
-collo per vedere qualche cosa, non pensava più
-alle minacce dell'alto, colpita dal nuovo caso
-inaspettato, invasa da quella natural curiosità feroce
-che gli uomini hanno in cospetto del sangue.
-</p>
-
-<p>
-— È morto? Come è morto?
-</p>
-
-<p>
-Pallura giaceva supino su le tavole, con una
-larga ferita in mezzo alla fronte, con un orecchio
-lacerato, con strappi per le braccia, nei fianchi,
-in una coscia. Un rivo tiepido gli colava per
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-il cavo degli occhi giù giù sino al mento ed
-al collo, gli chiazzava la camicia, gli formava
-grumi nerastri e lucenti sul petto, su la cintola
-di cuoio, fin su le brache. Giacobbe stava chino
-sopra quel corpo; tutti gli altri a torno attendevano;
-una luce d'aurora illuminava i volti perplessi;
-e, in quel momento di silenzio, dalla riva
-del fiume si levava il cantico delle rane, e i pipistrelli
-passavano e ripassavano rasente le
-teste.
-</p>
-
-<p>
-D'improvviso Giacobbe drizzandosi, con una
-gota macchiata di sangue, gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Non è morto. Respira ancora.
-</p>
-
-<p>
-Un mormorìo sordo corse per la folla, e i più
-vicini si protesero per guardare; e l'inquietudine
-dei lontani cominciò a rompere in clamori. Due
-donne portarono un boccale d'acqua, un'altra
-portò qualche brandello di tela; un giovinetto
-offerse una zucca piena di vino. Fu lavata la faccia
-al ferito, fu fermato il flusso del sangue alla
-fronte, fu rialzato il capo. Sorsero quindi alte le
-voci, chiedendo le cause del fatto. — Le cento
-libbre di cera mancavano; appena pochi frantumi
-di candela rimanevano tra gli interstizi delle tavole
-nel fondo del traino.
-</p>
-
-<p>
-I giudizii, in mezzo al sommovimento, di più
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-in più si accendevano e s'inasprivano e cozzavano.
-E, come un antico odio ereditario ferveva
-contro il paese di Mascálico, posto di contro su
-l'altra riva del fiume, Giacobbe disse con la voce
-rauca, velenosamente:
-</p>
-
-<p>
-— Che i ceri sieno serviti a S. Gonselvo?
-</p>
-
-<p>
-Allora fu come una scintilla d'incendio. Lo spirito
-di chiesa si risvegliò d'un tratto in quella
-gente abbrutita per tanti anni nel culto cieco e
-feroce del suo unico idolo. Le parole del fanatico
-di bocca in bocca si propagarono. E, sotto
-il rossore tragico del crepuscolo, la moltitudine
-tumultuante aveva apparenza d'una tribù di negri
-ammutinati.
-</p>
-
-<p>
-Il nome del santo rompeva da tutte le gole,
-come un grido di guerra. I più ardenti gittavano
-imprecazioni contro la parte del fiume,
-agitando le braccia, tendendo i pugni. Poi, tutti
-quei volti accesi dalla collera e dalla luce, larghi
-e possenti, a cui i cerchi d'oro degli orecchi e
-il gran ciuffo della fronte davano uno strano
-aspetto di barbarie, tutti quei volti si tesero
-verso il giacente, si addolcirono di misericordia.
-Fu in torno al traino una sollecitudine pietosa
-di femmine che volevano rianimare l'agonizzante:
-tante mani amorevoli gli cambiarono le
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-strisce di tela su le ferite, gli spruzzarono
-d'acqua la faccia, gli accostarono alle labbra
-bianche la zucca del vino, gli composero una
-specie di guanciale più molle sotto la testa.
-</p>
-
-<p>
-— Pallura, povero Pallura, non rispondi?
-</p>
-
-<p>
-Egli stava supino, con gli occhi chiusi, con
-la bocca semiaperta, con una lanugine bruna
-su le gote e sul mento, con una mite beltà di
-giovinezza ancora trasparente dai tratti tesi
-nella convulsione del dolore. Di sotto alla fasciatura
-della fronte gli colava un fil di sangue
-giù per la tempia; agli angoli della bocca apparivano
-piccole bolle di schiuma rossigna; e dalla
-gola gli usciva una specie di sibilo fioco, interrotto.
-Intorno a lui le cure, le domande, gli
-sguardi febbrili crescevano. La cavalla ogni tanto
-scoteva la testa e nitriva verso le case. Un'ansietà
-come d'uragano imminente pesava su
-tutto il paese.
-</p>
-
-<p>
-S'intesero allora grida feminili verso la piazza,
-grida di madre, che parvero più alte in mezzo
-al subitaneo ammutolimento di tutte le altre
-voci. E una donna enorme, soffocata dall'adipe,
-attraversò la folla, giunse gridando presso al
-traino. Come ella era grave e non poteva salirvi,
-s'abbattè su i piedi del figlio, con parole
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-d'amore tra i singhiozzi, con laceramenti così
-acuti di voce rotta e con una espressione di
-dolore così terribilmente bestiale che per tutti
-gli astanti corse un brivido e tutti rivolsero altrove
-la faccia.
-</p>
-
-<p>
-— Zaccheo! Zaccheo! cuore mio! gioia mia! — gridava
-la vedova, senza finire, baciando i piedi
-del ferito, attraendolo a sè verso terra.
-</p>
-
-<p>
-Il ferito si rimosse, torse la bocca per lo spasimo,
-aprì gli occhi in alto; ma certo non potè
-vedere, perchè una specie di pellicola umida
-gli copriva lo sguardo. Grosse lagrime incominciarono
-a sgorgargli dagli angoli delle palpebre
-e a scorrere giù per le guance e pel
-collo; la bocca gli rimase torta; nel sibilo fioco
-della gola si sentì un vano sforzo di favella. E
-in torno incalzavano:
-</p>
-
-<p>
-— Parla, Pallura! Chi t'ha ferito? Chi t'ha
-ferito? Parla! Parla!
-</p>
-
-<p>
-E sotto la domanda fremevano le ire, si addensavano
-i furori, un sordo tumulto di vendicazione
-si riscoteva, e l'odio ereditario ribolliva
-nell'animo di tutti.
-</p>
-
-<p>
-— Parla! Chi t'ha ferito? Dillo a noi! Dillo
-a noi!
-</p>
-
-<p>
-Il moribondo aprì gli occhi un'altra volta; e
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-come gli tenevano serrate ambo le mani, forse
-per quel vivo contatto di calore gli spiriti un
-istante gli si ridestarono, lo sguardo si illuminò.
-Egli ebbe su le labbra un balbettamento vago,
-tra la schiuma che sopravveniva più copiosa e
-più sanguigna. Non si capivano ancora le parole.
-Si udì nel silenzio la respirazione della
-moltitudine anelante, e gli occhi ebbero in fondo
-una sola fiamma, poichè tutti gli animi attendevano
-una parola sola.
-</p>
-
-<p>
-— ... Ma... Ma... Ma... scálico...
-</p>
-
-<p>
-— Mascálico! Mascálico! urlò Giacobbe che
-stava chino, con l'orecchio teso, ad afferrare le
-sillabe fievoli da quella bocca morente.
-</p>
-
-<p>
-Un fragore immenso accolse il grido. Nella
-moltitudine fu dapprima un mareggiamento confuso
-di tempesta. Poi, quando una voce soverchiante
-il tumulto gittò l'allarme, la moltitudine
-a furia si sbandò. Un pensiero solo incalzava
-quelli uomini, un pensiero che pareva balenato
-a tutte le menti in un attimo: armarsi di qualche
-cosa per colpire. Su tutte le coscienze instava
-una specie di fatalità sanguinaria, sotto il gran
-chiaror torvo del crepuscolo, in mezzo all'odore
-elettrico emanante dalla campagna ansiosa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-E la falange, armata di falci, di ronche, di
-scuri, di zappe, di schioppi, si riunì su la piazza,
-dinanzi alla chiesa. E gli idolatri gridavano:
-</p>
-
-<p>
-— San Pantaleone!
-</p>
-
-<p>
-Don Cònsolo, atterrito dallo schiamazzo, s'era
-rifugiato in fondo a uno stallo, dietro l'altare.
-Un manipolo di fanatici, condotto da Giacobbe,
-penetrò nella cappella maggiore, forzò le grate
-di bronzo, giunse nel sotterraneo, dove il busto
-del santo si custodiva. Tre lampade, alimentate
-d'olio d'oliva, ardevano dolcemente nell'aria
-umida del sacrario; dietro un cristallo, l'idolo
-cristiano scintillava con la testa bianca in mezzo
-a un gran disco solare; e le pareti sparivano
-sotto la ricchezza dei doni.
-</p>
-
-<p>
-Quando l'idolo, portato su le spalle da quattro
-ercoli, si mostrò alfine tra i pilastri del
-vestibolo, e s'irraggiò alla luce aurorale, un
-lungo anelito di passione corse il popolo aspettante,
-un fremito come d'un vento di gioia volò
-sopra tutte le fronti. E la colonna si mosse. E
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-la testa enorme del santo oscillava in alto,
-guardando innanzi a sè dalle due orbite vuote.
-</p>
-
-<p>
-Nel cielo ora, in mezzo all'accensione eguale
-e cupa, a tratti passavano solchi di meteore
-più vive; gruppi di nuvole sottili si distaccavano
-dall'orlo della zona, e galleggiavano lentamente
-dissolvendosi. Tutto il paese di Radusa
-appariva in dietro come un monte di cenere
-che covasse il fuoco; e, dinanzi, le masse
-della campagna si perdevano con un luccichìo
-indistinto. Un gran cantico di rane empiva la
-sonorità della solitudine.
-</p>
-
-<p>
-Su la strada del fiume il traino di Pallura
-fece ostacolo all'incedere. Era vuoto, ma conservava
-tracce di sangue in più parti. Imprecazioni
-irose scoppiarono d'improvviso nel silenzio.
-Giacobbe gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Mettiamoci il santo!
-</p>
-
-<p>
-E il busto fu posato su le tavole e tirato a
-forza di braccia nel guado. La processione di
-battaglia così attraversava il confine. Lungo le
-file correvano lampi metallici; le acque invase
-rompevano in sprazzi luminosi, e tutta una corrente
-rossa fiammeggiava fra i pioppetti, nel
-lontano, verso le torri quadrangolari. Mascálico
-si scorgeva su una piccola altura, in mezzo agli
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-olivi, dormente. I cani abbaiavano qua e là,
-con una furiosa persistenza di risposte. La colonna,
-uscita dal guado, abbandonando la via
-comune, avanzava a passi rapidi per una linea
-diretta che tagliava i campi. Il busto d'argento
-era portato di nuovo a spalle, dominava le teste
-degli uomini tra il grano altissimo, odorante
-e tutto stellante di lucciole vive.
-</p>
-
-<p>
-D'improvviso, un pastore, che stava dentro
-un covile di paglia a guardare il grano, invaso
-da un pazzo sbigottimento in cospetto di tanta
-gente armata, si diede a fuggire su per la costa,
-strillando a squarciagola:
-</p>
-
-<p>
-— Aiuto! aiuto!
-</p>
-
-<p>
-E gli strilli echeggiavano nell'oliveto.
-</p>
-
-<p>
-Allora fu che i Radusani fecero impeto. Fra
-i tronchi degli alberi, fra le canne secche, il
-santo di argento traballava, dava tintinni sonori
-agli urti dei rami, s'illuminava di lampi
-vivissimi ad ogni accenno di precipizio. Dieci,
-dodici, venti schioppettate grandinarono in un
-balenìo vibrante, una dopo l'altra su la massa
-delle case. Si udirono crepiti, poi grida; poi
-si udì un gran sommovimento clamoroso: alcune
-porte si aprirono, altre si chiusero; caddero
-vetri in frantumi, caddero vasi di basilico,
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-spezzati su la via. Un fumo bianco si levava
-nell'aria placidamente, dietro la corsa degli assalitori,
-su per l'incandescenza celeste. Tutti,
-accecati, in una furia belluina, gridavano:
-</p>
-
-<p>
-— A morte! a morte!
-</p>
-
-<p>
-Un gruppo di idolatri si manteneva in torno a
-san Pantaleone. Vituperii atroci contro san Gonselvo
-irrompevano tra l'agitazione delle falci
-e delle ronche brandite.
-</p>
-
-<p>
-— Ladro! Ladro! Pezzente! Le candele! Le
-candele!
-</p>
-
-<p>
-Altri gruppi prendevano d'assalto le porte
-delle case, a colpi d'accetta. E, come le porte
-sgangherate e scheggiate cadevano, i Pantaleonidi
-saltavano nell'interno urlando, per uccidere.
-Femmine seminude si rifugiavano negli
-angoli, implorando pietà; si difendevano dai
-colpi, afferrando le armi e tagliandosi le dita;
-rotolavano distese sul pavimento, in mezzo a
-mucchi di coperte e di lenzuoli da cui uscivano
-le loro flosce carni nutrite di rape.
-</p>
-
-<p>
-Giacobbe alto smilzo rossastro, fascio di
-aride ossa reso formidabile dalla passione, condottiero
-della strage, si arrestava ad ogni tratto
-per fare un largo gesto imperatorio sopra tutte
-le teste con una gran falce fienaia. Andava innanzi,
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-impavido, senza cappello, nel nome di
-san Pantaleone. Più di trenta uomini lo seguivano.
-E tutti avevano la sensazione confusa e
-ottusa di camminare in mezzo a un incendio,
-sopra un terreno oscillante, sotto una vôlta ardente
-che fosse per crollare.
-</p>
-
-<p>
-Ma da ogni parte cominciarono ad accorrere
-i difensori, i Mascalicesi forti e neri come mulatti,
-sanguinarii, che si battevano con lunghi
-coltelli a scatto, e tiravano al ventre e alla
-gola, accompagnando di voci gutturali il colpo.
-La mischia si ritraeva a poco a poco verso la
-chiesa; dai tetti di due o tre case già scoppiavano
-le fiamme; un'orda di femmine e di
-fanciulli fuggiva a precipizio tra gli olivi, presa
-dal pánico, senza più lume negli occhi.
-</p>
-
-<p>
-Allora tra i maschi, senza impedimento di
-lagrime e di lamenti, la lotta a corpo a corpo
-si strinse più feroce. Sotto il cielo color di ruggine,
-il terreno si copriva di cadaveri. Stridevano
-vituperii mozzi tra i denti dei colpiti; e
-continuo tra i clamori persisteva il grido dei
-Radusani:
-</p>
-
-<p>
-— Le candele! Le candele!
-</p>
-
-<p>
-Ma la porta della chiesa restava sbarrata,
-enorme, tutta di quercia, stellante di chiodi. I
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-Mascalicesi la difendevano contro gli urti e contro
-le scuri. Il santo d'argento, impassibile e bianco,
-oscillava nel folto della mischia, ancora sostenuto
-su le spalle dei quattro ercoli che sanguinavano
-tutti dalla testa ai piedi, non volendo
-cadere. Ed era nel supremo voto degli assalitori
-mettere l'idolo su l'altare del nemico.
-</p>
-
-<p>
-Ora mentre i Mascalicesi si battevano da
-leoni, prodigiosamente, sul gradino di pietra,
-Giacobbe disparve all'improvviso, girò il fianco
-dell'edifizio, cercando un varco non difeso per
-penetrare nel sacrario. E come vide un'apertura
-a poca altezza da terra, vi si arrampicò,
-vi rimase tenuto ai fianchi dall'angustia, vi si
-contorse, fin che non giunse a far passare il
-suo lungo corpo giù per lo spiraglio. Il cordiale
-aroma dell'incenso vaniva nel gelo notturno
-della casa di Dio. A tentoni nel buio, guidato
-dal fragore della pugna esterna, quell'uomo
-camminò verso la porta, inciampando nelle sedie,
-ferendosi alla faccia, alle mani. Rimbombava
-già il lavorio furioso delle accette radusane
-su la durezza della quercia, quando egli
-cominciò con un ferro a forzare le serrature,
-anelante, soffocato da una violenta palpitazione
-di ambascia che gli diminuiva la forza, con
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-la vista attraversata da bagliori fatui, con le ferite
-che gli dolevano e gli mettevano un'onda
-tiepida giù per la cute.
-</p>
-
-<p>
-— San Pantaleone! San Pantaleone! — gridarono
-di fuori le voci rauche de' suoi che
-sentivano cedere lentamente la porta, raddoppiando
-gli urti e i colpi di scure. A traverso il
-legno giungeva lo schianto grave dei corpi
-che stramazzavano, il colpo secco del coltello
-che inchiodava là qualcuno per le reni. E pareva
-a Giacobbe che tutta la navata rimbombasse
-al battito del suo selvaggio cuore.
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-Dopo un ultimo sforzo, la porta si aprì. I Radusani
-si precipitarono con un immenso urlo
-di vittoria, passando su i corpi degli uccisi,
-traendo il santo d'argento all'altare. E una
-viva oscillazione di riverberi invase d'un tratto
-l'oscurità della navata, fece brillare l'oro dei
-candelabri, le canne dell'organo, in alto. E in
-quel chiaror fulvo, che or sì or no dall'incendio
-delle prossime case vibrava dentro, una seconda
-lotta si strinse. I corpi avviluppati rotolavano
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-su i mattoni, non si distaccavano più,
-balzavano insieme qua e là nei divincolamenti
-della rabbia, urtavano e finivano sotto le panche,
-su i gradini delle cappelle, contro gli spigoli dei
-confessionali. Nella concavità raccolta della casa
-di Dio, il suono agghiacciante del ferro che
-penetra nelle carni o che scivola su le ossa,
-quell'unico gemito rotto dell'uomo che è colpito
-in una parte vitale, quello scricchiolìo che
-dà la cassa del cranio nell'infrangersi al colpo,
-il ruggito di chi non vuol morire, l'ilarità atroce
-di chi è giunto ad uccidere, tutto distintamente
-si ripercoteva. E il mite odore dell'incenso vagava
-sul conflitto.
-</p>
-
-<p>
-L'idolo d'argento non anche aveva attinto
-la gloria dell'altare, poichè un cerchio ostile
-ne precludeva l'accesso. Giacobbe si batteva
-con la falce, ferito in più parti, senza cedere
-un palmo del gradino che primo aveva conquistato.
-Non rimanevano se non due a sorreggere
-il santo. L'enorme testa bianca barcollava
-come ebra sul bulicame del sangue iroso.
-I Mascalicesi imperversavano.
-</p>
-
-<p>
-Allora san Pantaleone cadde sul pavimento,
-dando un tintinno acuto che penetrò nel cuore
-di Giacobbe più a dentro che punta di coltello.
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-Come il rosso falciatore si slanciò per rialzarlo,
-un gran diavolo d'uomo con un colpo di ronca
-stese il nemico su la schiena. Due volte questi
-si risollevò, e altri due colpi lo rigettarono. Il
-sangue gli inondava tutta la faccia e il petto
-e le mani; per le spalle e per le braccia le ossa
-gli biancicavano scoperte nei tagli profondi; ma
-pure egli si ostinava a riavventarsi. Inviperiti
-da quella feroce tenacità di vita, tre, quattro,
-cinque bifolchi insieme gli diedero a furia nel
-ventre d'onde le viscere sgorgarono. Il fanatico
-cadde riverso, battè la nuca sul busto
-d'argento, si rivoltò d'un tratto bocconi con
-la faccia contro il metallo, con le branche stese
-innanzi, con le gambe contratte. E san Pantaleone
-fu perduto.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span></p>
-
-<h2 id="eroe">L'EROE.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Già i grandi stendardi di San Gonselvo erano
-usciti su la piazza ed oscillavano nell'aria pesantemente.
-Li reggevano in pugno uomini di
-statura erculea, rossi in volto e con il collo gonfio
-di forza, che facevano giuochi.
-</p>
-
-<p>
-Dopo la vittoria su i Radusani, la gente di
-Mascalico celebrava la festa di settembre con
-magnificenza nuova. Un meraviglioso ardore di
-religione teneva gli animi. Tutto il paese sacrificava
-la recente ricchezza del fromento a gloria
-del Patrono. Su le vie, da una finestra all'altra,
-le donne avevano tese le coperte nuziali.
-Gli uomini avevano inghirlandato di verzura le
-porte e infiorato le soglie. Come soffiava il
-vento, per le vie era un ondeggiamento immenso
-e abbarbagliante di cui la turba si inebriava.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-</p>
-
-<p>
-Dalla chiesa la processione seguitava a svolgersi
-e ad allungarsi su la piazza. Dinanzi all'altare,
-dove san Pantaleone era caduto, otto
-uomini, i privilegiati, aspettavano il momento di
-sollevare la statua di san Gonselvo; e si chiamavano:
-Giovanni Curo, l'Ummálido, Mattalà,
-Vincenzio Guanno, Rocco di Céuzo, Benedetto
-Galante, Biagio di Clisci, Giovanni Senzapaura.
-Essi stavano in silenzio, compresi della dignità
-del loro ufficio, con la testa un po' confusa.
-Parevano assai forti; avevano l'occhio ardente
-dei fanatici; portavano agli orecchi, come le femmine,
-due cerchi d'oro. Di tanto in tanto si toccavano
-i bicipiti e i polsi, come per misurarne
-la vigoria; o tra loro si sorridevano fuggevolmente.
-</p>
-
-<p>
-La statua del Patrono era enorme, di bronzo
-vuoto, nerastra, con la testa e con le mani di
-argento, pesantissima.
-</p>
-
-<p>
-Disse Mattalà:
-</p>
-
-<p>
-— Avande!
-</p>
-
-<p>
-In torno, il popolo tumultuava per vedere.
-Le vetrate della chiesa romoreggiavano ad ogni
-colpo di vento. La navata fumigava di incenso
-e di belzuino. I suoni degli stromenti giungevano
-ora sì ora no. Una specie di febbre religiosa
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-prendeva gli otto uomini, in mezzo a
-quella turbolenza. Essi tesero le braccia, pronti.
-Disse Mattalà:
-</p>
-
-<p>
-— Una!... Dua!... Trea!...
-</p>
-
-<p>
-Concordemente, gli uomini fecero Io sforzo per
-sollevare la statua di su l'altare. Ma il peso era
-soverchiante: la statua barcollò a sinistra. Gli
-uomini non avevano potuto ancora bene accomodare
-le mani intorno alla base per prendere.
-Si curvavano tentando di resistere. Biagio di
-Clisci e Giovanni Curo, meno abili, lasciarono
-andare. La statua piegò tutta da una parte, con
-violenza. L'Ummálido gittò un grido.
-</p>
-
-<p>
-— Abbada! Abbada! — vociferavano intorno,
-vedendo pericolare il Patrono. Dalla piazza veniva
-un frastuono grandissimo che copriva le
-voci.
-</p>
-
-<p>
-L'Ummálido era caduto in ginocchio; e la
-sua mano destra era rimasta sotto il bronzo.
-Così, in ginocchio, egli teneva gli occhi fissi alla
-mano che non poteva liberare, due occhi larghi,
-pieni di terrore e di dolore; ma la sua
-bocca torta non gridava più. Alcune gocce di
-sangue rigavano l'altare.
-</p>
-
-<p>
-I compagni, tutt'insieme, fecero forza un'altra
-volta per sollevare il peso. L'operazione era
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-difficile. L'Ummálido, nello spasimo, torceva la
-bocca. Le femmine spettatrici rabbrividivano.
-</p>
-
-<p>
-Finalmente la statua fu sollevata; e l'Ummálido
-ritrasse la mano schiacciata e sanguinolenta
-che non aveva più forma.
-</p>
-
-<p>
-— Va a la casa, mo! Va a la casa! — gli
-gridava la gente, sospingendolo verso la porta
-della chiesa.
-</p>
-
-<p>
-Una femmina si tolse il grembiule e gliel'offerse
-per fasciatura. L'Ummálido rifiutò. Egli
-non parlava; guardava un gruppo d'uomini che
-gesticolavano in torno alla statua e contendevano.
-</p>
-
-<p>
-— Tocca a me!
-</p>
-
-<p>
-— No, no! Tocca a me!
-</p>
-
-<p>
-— No! a me!
-</p>
-
-<p>
-Cicco Ponno, Mattia Scafarola e Tommaso
-di Clisci gareggiavano per sostituire nell'ottavo
-posto di portatore l'Ummálido.
-</p>
-
-<p>
-Costui si avvicinò ai contendenti. Teneva la
-mano rotta lungo il fianco, e con l'altra mano
-si apriva il passo.
-</p>
-
-<p>
-Disse semplicemente:
-</p>
-
-<p>
-— Lu poste è lu mi'.
-</p>
-
-<p>
-E porse la spalla sinistra a sorreggere il Patrono.
-Egli soffocava il dolore stringendo i denti,
-con una volontà feroce.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-</p>
-
-<p>
-Mattalà gli chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Tu che vuo' fa'?
-</p>
-
-<p>
-Egli rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Quelle che vo' sante Gunzelve.
-</p>
-
-<p>
-E, insieme con gli altri, si mise a camminare.
-</p>
-
-<p>
-La gente lo guardava passare, stupefatta.
-</p>
-
-<p>
-Di tanto in tanto, qualcuno, vedendo la ferita
-che dava sangue e diventava nericcia, gli chiedeva
-al passaggio:
-</p>
-
-<p>
-— L'Ummá, che tieni?
-</p>
-
-<p>
-Egli non rispondeva. Andava innanzi gravemente,
-misurando il passo al ritmo delle musiche,
-con la mente un po' alterata, sotto le vaste
-coperte che sbattevano al vento, tra la calca che
-cresceva.
-</p>
-
-<p>
-All'angolo d'una via cadde, tutt'a un tratto.
-Il santo si fermò un istante e barcollò, in mezzo
-a uno scompiglio momentaneo: poi si rimise in
-cammino. Mattia Scafarola subentrò nel posto
-vuoto. Due parenti raccolsero il tramortito e lo
-portarono nella casa più vicina.
-</p>
-
-<p>
-Anna di Céuzo, ch'era una vecchia femmina
-esperta nel medicare le ferite, guardò il membro
-informe e sanguinante; e poi scosse la
-testa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Che ce pozze fa'?
-</p>
-
-<p>
-Ella non poteva far niente con l'arte sua.
-</p>
-
-<p>
-L'Ummálido, che aveva ripreso gli spiriti, non
-aprì bocca. Seduto, contemplava la sua ferita,
-tranquillamente. La mano pendeva, con le ossa
-stritolate, oramai perduta.
-</p>
-
-<p>
-Due o tre vecchi agricoltori vennero a vederla.
-Ciascuno, con un gesto o con una parola,
-espresse lo stesso pensiero.
-</p>
-
-<p>
-L'Ummálido chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Chi ha purtate lu Sante?
-</p>
-
-<p>
-Gli risposero:
-</p>
-
-<p>
-— Mattia Scafarola.
-</p>
-
-<p>
-Di nuovo, chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Mo che si fa?
-</p>
-
-<p>
-Risposero:
-</p>
-
-<p>
-— Lu vespre 'n múseche.
-</p>
-
-<p>
-Gli agricoltori salutarono. Andarono al vespro.
-Un grande scampanìo veniva dalla chiesa
-madre.
-</p>
-
-<p>
-Uno dei parenti mise accanto al ferito un secchio
-d'acqua fredda, dicendo:
-</p>
-
-<p>
-— Ogne tante mitte la mana a qua. Nu mo
-veniamo. Jame a sentì lu vespre.
-</p>
-
-<p>
-L'Ummálido rimase solo. Lo scampanìo cresceva,
-mutando metro. La luce del giorno cominciava
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-a diminuire. Un ulivo, investito dal
-vento, batteva i rami contro la finestra bassa.
-</p>
-
-<p>
-L'Ummálido, seduto, si mise a bagnare la
-mano, a poco a poco. Come il sangue e i grumi
-cadevano, il guasto appariva maggiore.
-</p>
-
-<p>
-L'Ummálido pensò:
-</p>
-
-<p>
-— È tutt'inutile! È pirdute. Sante Gunzelve,
-a te le offre.
-</p>
-
-<p>
-Prese un coltello, e uscì. Le vie erano deserte.
-Tutti i devoti erano nella chiesa. Sopra
-le case correvano le nuvole violacee del tramonto
-di settembre, come mandre fuggiasche.
-</p>
-
-<p>
-Nella chiesa la moltitudine agglomerata cantava
-quasi in coro, al suono degli stromenti, per
-intervalli misurati. Un calore intenso emanava
-dai corpi umani e dai ceri accesi. La testa argentea
-di san Gonselvo scintillava dall'alto
-come un faro.
-</p>
-
-<p>
-L'Ummálido entrò. Fra la stupefazione di tutti,
-camminò sino all'altare.
-</p>
-
-<p>
-Egli disse, con voce chiara, tenendo nella sinistra
-il coltello:
-</p>
-
-<p>
-— Sante Gunzelve, a te le offre.
-</p>
-
-<p>
-E si mise a tagliare in torno al polso destro,
-pianamente, in cospetto del popolo che inorridiva.
-La mano informe si distaccava a poco a
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-poco, tra il sangue. Penzolò un istante trattenuta
-dagli ultimi filamenti. Poi cadde nel bacino
-di rame che raccoglieva le elargizioni di pecunia,
-ai piedi del Patrono.
-</p>
-
-<p>
-L'Ummálido allora sollevò il moncherino sanguinoso;
-e ripetè con voce chiara:
-</p>
-
-<p>
-— Sante Gunzelve, a te le offre.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span></p>
-
-<h2 id="veglia">LA VEGLIA FUNEBRE.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Il cadavere del sindaco Biagio Mila, già tutto
-vestito e con la faccia coperta d'una pezzuola
-umida d'acqua e d'aceto, stava disteso nel letto,
-quasi in mezzo alla stanza tra quattro ceri.
-Vegliavano, nella stanza, la moglie e il fratello
-del morto ai due lati.
-</p>
-
-<p>
-Rosa Mila poteva avere circa venticinque anni.
-Era una donna fiorita, di carnagione chiara, con
-la fronte un po' bassa, le sopracciglia lungamente
-arcuate, gli occhi grigi e larghi e nell'iride variegati
-come agate. Possedendo in grande abbondanza
-capelli, ella quasi sempre aveva la
-nuca e le tempie e gli occhi nascosti da molte
-ciocche ribelli. In tutta la persona le splendeva
-la nitidezza della sanità; e la sua fresca pelle
-aveva il profumo dei frutti prelibati.
-</p>
-
-<p>
-Emidio Mila, il cherico, poteva avere circa la
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-stessa età. Era magro, con nel volto il colore
-bronzino di chi vive nella campagna al pieno
-sole. Una molle lanugine rossiccia gli copriva
-le guance; i denti forti e bianchi davano al suo
-sorriso una bellezza virile; e gli occhi suoi giallognoli
-lucevano talvolta come due zecchini
-nuovi.
-</p>
-
-<p>
-Ambedue tacevano: l'una scorrendo con le
-dita un rosario di vetro, l'altro guardando il
-rosario scorrere. Ambedue avevano l'indifferenza
-che la nostra gente campestre suole avere dinanzi
-al mistero della morte.
-</p>
-
-<p>
-Emidio disse, con un lungo sospiro:
-</p>
-
-<p>
-— Fa caldo, stanotte.
-</p>
-
-<p>
-Rosa sollevò gli occhi per assentire.
-</p>
-
-<p>
-Nella stanza un poco bassa la luce oscillava
-secondo i moti delle fiammelle. Le ombre si raccoglievano
-ora in un angolo ora in una parete,
-variando di forme e di intensità. Le vetrate
-della finestra erano aperte, ma le persiane restavano
-chiuse. Di tratto in tratto le tende di
-mussolo bianco si movevano come per un fiato.
-Sul candore del letto il corpo di Biagio pareva
-dormire.
-</p>
-
-<p>
-Le parole di Emidio caddero nel silenzio. La
-donna chinò di nuovo la testa, e ricominciò a
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-scorrere il rosario lentamente. Alcune stille di
-sudore le imperlavano la fronte, e la respirazione
-le era faticosa.
-Emidio, dopo un poco, domandò:
-</p>
-
-<p>
-— A che ora verranno a prenderlo, domani?
-</p>
-
-<p>
-Ella rispose, nel natural suono della sua voce:
-</p>
-
-<p>
-— Alle dieci, con la congregazione del Sacramento.
-</p>
-
-<p>
-Quindi ancora tacquero. Dalla campagna giungeva
-il gracidare assiduo delle rane, giungevano
-a quando a quando gli odori delle erbe.
-Nella tranquillità perfetta Rosa udì una specie
-di gorgoglìo roco escir dal cadavere, e con un
-atto di orrore si levò dalla sedia, e fece per
-allontanarsi.
-</p>
-
-<p>
-— Non abbiate paura, Rosa. Sono umori — disse
-il cognato, tendendole la mano per rassicurarla.
-</p>
-
-<p>
-Ella prese la mano, istintivamente; e la tenne,
-stando in piedi. Tendeva gli orecchi per ascoltare,
-ma guardava altrove. I gorgoglìi si prolungavano
-dentro il ventre del morto, e parevano
-salire verso la bocca.
-</p>
-
-<p>
-— Non è nulla, Rosa. Quietatevi — soggiunse
-il cognato, accennandole di sedere sopra un cassone
-da nozze coperto d'un lungo cuscino a fiorami.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ella sedette, accanto a lui, tenendolo ancora
-per mano, nel turbamento. Come il cassone non
-era molto grande, i gomiti dei seduti si toccavano.
-</p>
-
-<p>
-Il silenzio tornò. Un canto di trebbiatori sorse
-di fuori in lontananza.
-</p>
-
-<p>
-— Fanno le trebbie di notte, al lume della
-luna — disse la donna, volendo parlare per ingannar
-la paura e la stanchezza.
-</p>
-
-<p>
-Emidio non aprì bocca. E la donna ritrasse
-la mano, poichè quel contatto ora cominciava a
-darle un senso vago d'inquietudine.
-</p>
-
-<p>
-Ambedue ora erano occupati da uno stesso
-pensiero che li aveva colti d'improvviso; ambedue
-ora erano tenuti da uno stesso ricordo,
-da un ricordo di amori agresti nel tempo della
-pubertà.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Essi, in quel tempo, vivevano nelle case di
-Caldore, su la collina solatìa, al quadrivio. Sul
-limite d'un campo di fromento sorgeva un muro
-alto costruito di sassi e di terra argillosa. Dal
-lato di mezzodì, che i parenti di Rosa possedevano,
-come ivi era più lento e dolce il calor
-del sole, una famiglia di alberi fruttiferi prosperava
-e moltiplicava. Alla primavera gli alberi fiorivano
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-in comunione di letizia; e le cupole argentee
-o rosee o violacee s'incurvavano sul
-cielo coronando il muro e dondolavano come
-per inalzarsi nell'aria e facevano insieme un
-ronzío sonnifero come d'api mellificanti.
-</p>
-
-<p>
-Dietro il muro, dalla parte degli alberi Rosa
-in quel tempo soleva cantare.
-</p>
-
-<p>
-La voce limpida e fresca zampillava come
-una fontana, sotto le corone dei fiori.
-</p>
-
-<p>
-Per una lunga stagione di convalescenza Emidio
-aveva udito quel canto. Egli era debole e
-famelico. Per sfuggire alla dieta, scendeva dalla
-casa furtivamente, celando sotto gli abiti un gran
-pezzo di pane, e camminava lungo il muro, nell'ultimo
-solco del grano, fin che non giungeva
-al luogo della beatitudine.
-</p>
-
-<p>
-Allora si sedeva, con le spalle contro i sassi
-riscaldati, e cominciava a mangiare. Mordeva
-il pane e sceglieva una spiga tenera: ogni granello
-aveva in sè una minuta stilla di succo simile
-a latte e aveva un fresco sapor di farina.
-La voluttà del gusto e la voluttà dell'udito
-nel convalescente si confondevano quasi in una
-sola sensazione infinitamente dilettosa. Cosicchè
-in quell'ozio, tra quel calore, tra quelli odori
-che davano all'aria quasi la cordial saporità del
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-vino, anche la voce femminile diveniva per lui
-un naturale alimento di rinascenza e come un
-nutrimento fisico che gli si fondeva nelle vene.
-</p>
-
-<p>
-Il canto di Rosa era dunque una causa di
-guarigione. E, quando la guarigione fu compiuta,
-la voce di Rosa ebbe sempre sul beneficato
-una virtù sensuale.
-</p>
-
-<p>
-Dopo d'allora, poichè tra le due famiglie la
-dimestichezza divenne grande, sorse in Emidio
-uno di quei taciturni e timidi e solitarii amori
-che divorano le forze dell'adolescenza.
-</p>
-
-<p>
-Di settembre, prima che Emidio partisse pel
-seminario, le due famiglie riunite andarono in
-un pomeriggio a merendare nel bosco, lungo
-il fiume.
-</p>
-
-<p>
-La giornata era molle, e i tre carri tirati dai
-bovi avanzavano lungo i canneti fioriti.
-</p>
-
-<p>
-Nel bosco la merenda fu fatta su l'erba, in
-una radura circolare limitata da fusti di pioppi
-giganteschi. L'erba corta era tutta piena di certi
-piccoli fiori violacei che esalavano un profumo
-sottile; qua e là nell'interno discendevano tra
-il fogliame larghe zone di sole; e la riviera
-in basso pareva ferma, aveva una pace lacustre,
-una pura trasparenza ove le piante acquatiche
-dormivano immote.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-</p>
-
-<p>
-Dopo la merenda, alcuni si sparpagliarono
-per la riva, altri rimasero distesi supini.
-</p>
-
-<p>
-Rosa ed Emidio si trovarono insieme; si presero
-a braccio e cominciarono a camminare per
-un sentiero segnato tra i cespugli.
-</p>
-
-<p>
-Ella si appoggiava tutta su lui; rideva, strappava
-le foglie ai virgulti nel passaggio, morsicchiava
-gli steli amari, rovesciava la testa in dietro
-per guardar le ghiandaie fuggiasche. Nel
-moto il pettine di tartaruga le scivolò dai capelli
-che d'un tratto le si diffusero su le spalle con
-una stupenda ricchezza.
-</p>
-
-<p>
-Emidio si chinò insieme a lei per raccogliere
-il pettine. Nel rialzarsi, le due teste si urtarono
-un poco. Rosa, reggendosi la fronte tra le mani,
-gridava tra le risa:
-</p>
-
-<p>
-— Ahi! Ahi!
-</p>
-
-<p>
-Il giovinetto la guardava, sentendosi fremere
-sin nelle midolle e sentendosi impallidire e temendo
-di tradirsi.
-</p>
-
-<p>
-Ella distaccò con l'unghie da un tronco una
-lunga spirale d'edera, se l'avvolse alle trecce con
-un attorcigliamento rapido e fermò la ribellione
-su la nuca con i denti del pettine. Le foglie
-verdi, talune rossastre, mal contenute, rompevano
-fuori irregolarmente. Ella chiese:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Così vi piaccio?
-</p>
-
-<p>
-Ma Emidio non aprì bocca; non seppe che
-rispondere.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, non va bene! Siete forse muto?
-</p>
-
-<p>
-Egli aveva voglia di cadere in ginocchio.
-E, come Rosa rideva d'un riso scontento, egli
-si sentiva quasi salire il pianto agli occhi per
-l'angoscia di non poter trovare una parola sola.
-</p>
-
-<p>
-Seguitarono a camminare. In un punto un'alberella
-abbattuta impediva il passaggio. Emidio
-con ambe le mani sollevò il fusto, e Rosa passò
-di sotto ai rami verdeggianti che un istante la
-incoronarono.
-</p>
-
-<p>
-Più in là incontrarono un pozzo ai cui fianchi
-stavano due bacini di pietra rettangolari. Gli alberi
-densi formavano intorno e sopra il pozzo
-una chiostra di verdura. Ivi l'ombra era profonda,
-quasi umida. La vôlta vegetale si rispecchiava
-perfettamente nell'acqua che giungeva a
-metà dei parapetti di mattone.
-</p>
-
-<p>
-Rosa disse, distendendo le braccia:
-</p>
-
-<p>
-— Come si sta bene qui!
-</p>
-
-<p>
-Poi raccolse l'acqua nel concavo della palma,
-con un'attitudine di grazia, e sorseggiò. Le gocciole
-le cadevano di tra le dita e le imperlavano
-la veste.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-</p>
-
-<p>
-Quando fu dissetata, con tutt'e due le palme
-raccolse altr'acqua, e l'offerse al compagno lusinghevolmente:
-</p>
-
-<p>
-— Bevete!
-</p>
-
-<p>
-— Non ho sete — balbettò Emidio istupidito.
-</p>
-
-<p>
-Ella gli gettò l'acqua in viso, facendo con il
-labbro inferiore una smorfia quasi di dispregio.
-Poi si distese dentro uno dei bacini asciutti,
-come in una culla, tenendo i piedi fuori dell'orlo,
-e scotendoli irrequietamente. A un tratto
-si rialzò, guardò Emidio con uno sguardo singolare:
-</p>
-
-<p>
-— Dunque? Andiamo.
-</p>
-
-<p>
-Si rimisero in cammino, tornarono al luogo
-della riunione, sempre in silenzio. I merli fischiavano
-su le loro teste; fasci orizzontali di raggi
-attraversavano i loro passi; e il profumo del bosco
-cresceva intorno a loro.
-</p>
-
-<p>
-Alcuni giorni dopo, Emidio partiva.
-</p>
-
-<p>
-Alcuni mesi dopo, il fratello d'Emidio prendeva
-in moglie Rosa.
-</p>
-
-<p>
-Nei primi anni di seminario il cherico aveva
-pensato spesso alla nuova cognata. Nella scuola,
-mentre i preti spiegavano l'<i>Epitome historiæ sacræ</i>,
-egli aveva fantasticato di lei. Nello studio,
-mentre i suoi vicini, nascosti dai leggii aperti, si
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-davano fra loro a pratiche oscene, egli aveva
-chiuso la faccia tra le mani, e s'era abbandonato
-ad immaginazioni impure. Nella chiesa,
-mentre le litanie alla Vergine sonavano, egli,
-dietro l'invocazione alla <i>Rosa mystica</i>, era fuggito
-lontano.
-</p>
-
-<p>
-E, come aveva appresa dai condiscepoli la corruzione,
-la scena del bosco gli era apparsa in
-una nuova luce. E il sospetto di non avere indovinato,
-il rammarico di non aver saputo cogliere
-un frutto che gli si offriva, allora lo tormentarono
-stranamente.
-</p>
-
-<p>
-Dunque era così? Dunque Rosa un giorno lo
-aveva amato? Dunque egli era passato inconsapevole
-accanto a una grande gioia?
-</p>
-
-<p>
-E questo pensiero ogni giorno si faceva più
-acuto, più insistente, più incalzante, più angustioso.
-E ogni giorno egli se ne pasceva con
-maggiore intensità di sofferenza; finchè, nella
-lunga monotonia della vita sacerdotale, questo
-pensiero divenne per lui una specie di morbo
-immedicabile, e dinanzi alla irrimediabilità della
-cosa egli fu preso da uno scoramento immenso,
-da una melanconia senza fine.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque egli non aveva saputo!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nella stanza ora i ceri lacrimavano. Di tra
-le stecche delle persiane chiuse entravano soffi
-di vento più forti, e facevano inarcare le tende.
-</p>
-
-<p>
-Rosa, invasa pianamente dal sopore, chiudeva
-di tanto in tanto le palpebre; e come la
-testa le cadeva sul petto, le riapriva subitamente.
-</p>
-
-<p>
-— Siete stanca? — chiese con molta dolcezza
-il cherico.
-</p>
-
-<p>
-— Io, no — rispose la donna, riprendendo gli
-spiriti ed ergendosi su la vita.
-</p>
-
-<p>
-Ma nel silenzio di nuovo il sopore le occupò
-i sensi. Ella teneva la testa appoggiata alla parete:
-i capelli le empivano tutto il collo, dalla
-bocca semiaperta le usciva la respirazione lenta
-e regolare. Così ella era bella; e nulla in lei
-era più voluttuoso che il ritmo del seno e la
-visibile forma dei ginocchi sotto la gonna leggiera.
-Un soffio repentino fece gemere le tende
-e spense i due ceri più vicini alla finestra.
-</p>
-
-<p>
-— S'io la baciassi? — pensò Emidio, per una
-suggestione improvvisa della carne guardando
-l'assopita.
-</p>
-
-<p>
-Ancora i canti umani si propagavano nella
-notte di giugno, con la solennità delle cadenze
-liturgiche; e sorgevano di lontananza in lontananza
-le risposte in diversi toni, senza compagnia
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-di stromenti. Poichè il plenilunio doveva
-essere alto, il fioco lume interno non valeva a
-vincere l'albore che pioveva copioso su le persiane,
-e si versava fra gli intervalli del legno.
-</p>
-
-<p>
-Emidio si volse verso il letto mortuario. I suoi
-occhi, scorrendo la linea rigida e nera del cadavere,
-si fermarono involontariamente su la
-mano, su una mano gonfia e giallastra, un po'
-adunca, solcata di trame livide nel dorso; e prestamente
-si ritrassero. Piano piano, nell'inconsapevolezza
-del sonno, la testa di Rosa, quasi
-segnando su la parete un semicerchio, si chinò
-verso il cherico turbato. La reclinazione della
-bella testa muliebre fu in atto dolcissima; e, poichè
-il movimento alterò un poco il sonno, tra
-le palpebre a pena a pena sollevate apparve un
-lembo d'iride e scomparve nel bianco, quasi come
-una foglia di viola nel latte.
-</p>
-
-<p>
-Emidio rimase immobile, tenendo contro l'omero
-il peso. Egli frenava il respiro per tema
-di destare la dormiente, e un'angoscia enorme
-l'opprimeva per il battito del cuore e dei polsi
-e delle tempie, che pareva empire tutta la stanza.
-Ma, come il sonno di Rosa continuava, a poco
-a poco egli si sentì illanguidire e mancare in
-una mollezza invincibile, guardando quella gola
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-femminea che le collane di Venere segnavano
-di voluttà, aspirando quell'alito caldo e l'odor
-dei capelli.
-</p>
-
-<p>
-Un nuovo soffio, carico di profumo notturno,
-piegò la terza fiammella e la spense.
-</p>
-
-<p>
-Allora senza più pensare, senza più temere,
-abbandonandosi tutto alla tentazione, il vegliante
-baciò la donna in bocca.
-</p>
-
-<p>
-Al contatto, ella si destò di soprassalto; aprì
-gli occhi stupefatti in faccia al cognato, divenne
-pallida pallida.
-</p>
-
-<p>
-Poi, lentamente si raccolse i capelli su la nuca;
-e stette là, con il busto eretto, tutta vigile, guardando
-dinanzi a sè nelle ombre varianti.
-</p>
-
-<p>
-— Chi ha spento i ceri?
-</p>
-
-<p>
-— Il vento.
-</p>
-
-<p>
-Non altro dissero. Ambedue rimanevano sul
-cassone da nozze, come prima, seduti a canto,
-sfiorandosi con i gomiti, in una incertezza penosa,
-evitando con una specie di artificio mentale
-che la loro coscienza giudicasse il fatto e lo
-condannasse. Spontaneamente ambedue rivolsero
-l'attenzione alle cose esteriori, in quest'operazione
-dello spirito mettendo un'intensità fittizia, concorrendovi
-pure con l'attitudine della persona. E a
-poco a poco una specie di ebrietà li conquistava.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-</p>
-
-<p>
-I canti, nella notte, seguitavano e s'indugiavano
-per l'aria lunghissimamente, e s'ammollivano
-lusinghevolmente di risposta in risposta.
-Le voci maschili e le voci feminili facevano
-un componimento amoroso. Talvolta una sola
-voce emergeva su le altre altissima, dando una
-nota unica, in torno a cui gli accordi concorrevano
-come onde in torno al medio filo d'una
-corrente fluviatile. Ora, ad intervalli, sul principio
-di ciascun canto, si udiva la vibrazione metallica
-di una chitarra accordata in diapente; e
-tra una ripresa e l'altra si udivano gli urti misurati
-delle trebbie in sul terreno.
-</p>
-
-<p>
-I due ascoltavano.
-</p>
-
-<p>
-Forse per una vicenda del vento, ora gli odori
-non erano più gli stessi. Venivano, forse dalla
-collina d'Orlando, i profumi possenti dell'agrumeto;
-forse dai giardini di Scalia i profumi delle
-rose, così densi che davano all'aria il sapore
-delle confetture nuziali; forse dal padule della
-Farnia le fragranze umide dei giaggioli, che respirate
-deliziavano come un sorso d'acqua.
-</p>
-
-<p>
-I due rimanevano ancora taciturni, sul cassone,
-immobili, oppressi dalla voluttà della notte
-lunare. Dinanzi a loro l'ultima fiammella oscillava
-rapidamente, e curvandosi faceva lacrimare
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-il cero consunto. Ad ogni tratto, pareva sul punto
-di spegnersi. I due non si movevano. Stavano
-là ansiosi, con gli occhi dilatati e fissi, a guardare
-la tremula fiammella moritura. D'improvviso
-il vento inebriante la spense. Allora, senza
-temere l'ombra, con un'avidità concorde, nel medesimo
-tempo, l'uomo e la donna si strinsero
-l'uno all'altra, si allacciarono, si cercarono con la
-bocca, perdutamente, ciecamente, senza parlare,
-soffocandosi di carezze.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span></p>
-
-<h2 id="contessa">LA CONTESSA D'AMALFI.</h2>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Quando, verso le due del pomeriggio, Don Giovanni
-Ussorio stava per mettere il piede su la
-soglia della casa di Violetta Kutufà, Rosa Catana
-apparve in cima alle scale e disse a voce
-bassa, tenendo il capo chino:
-</p>
-
-<p>
-— Don Giovà, la signora è partita.
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni, alla novella improvvisa, rimase
-stupefatto; e stette un momento, con gli occhi
-spalancati, con la bocca aperta, a guardare in
-su, quasi aspettando altre parole esplicative. Poichè
-Rosa taceva, in cima alle scale, torcendo
-fra le mani un lembo del grembiule e un poco
-dondolandosi, egli chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Ma come? ma come?...
-</p>
-
-<p>
-E salì alcuni gradini, ripetendo con una lieve
-balbuzie:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ma come? ma come?
-</p>
-
-<p>
-— Don Giovà, che v'ho da dire? È partita.
-</p>
-
-<p>
-— Ma come?
-</p>
-
-<p>
-— Don Giovà, io non saccio, mo.
-</p>
-
-<p>
-E Rosa fece qualche passo nel pianerottolo,
-verso l'uscio dell'appartamento vuoto. Ella era
-una femmina piuttosto magra, con i capelli rossastri,
-con la pelle del viso tutta sparsa di lentiggini.
-I suoi larghi occhi cinerognoli avevano
-però una vitalità singolare. La eccessiva distanza
-tra il naso e la bocca dava alla parte inferiore
-del viso un'apparenza scimmiesca.
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni spinse l'uscio socchiuso ed entrò
-nella prima stanza, poi entrò nella seconda, poi
-nella terza; fece il giro di tutto l'appartamento,
-a passi concitati; si fermò nella piccola camera
-del bagno. Il silenzio quasi lo sbigottì; un'angoscia
-enorme gli prese l'animo.
-</p>
-
-<p>
-— È vero! È vero! — balbettava, guardandosi
-a torno, smarrito.
-</p>
-
-<p>
-Nella camera i mobili erano al loro posto consueto.
-Mancavano però su la tavola, a piè dello
-specchio rotondo, le fiale di cristallo, i pettini
-di tartaruga, le scatole, le spazzole, tutti quei
-minuti oggetti che servono alla cura della bellezza
-muliebre. Stava in un angolo una specie
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-di gran bacino di zinco in forma di chitarra; e
-dentro il bacino l'acqua traluceva, tinta lievemente
-di roseo da una essenza. L'acqua esalava
-un profumo sottile che si mesceva nell'aria col
-profumo della cipria. L'esalazione aveva in sè
-qualche cosa di carnale.
-</p>
-
-<p>
-— Rosa! Rosa! — chiamò Don Giovanni, con
-la voce soffocata, sentendosi invadere da un rammarico
-immenso.
-</p>
-
-<p>
-La femmina comparve.
-</p>
-
-<p>
-— Racconta com'è stato! Per dove è partita?
-E quando è partita? E perchè? — chiedeva Don
-Giovanni, facendo con la bocca una smorfia puerile
-e buffa come per rattenere il pianto o per
-respingere il singhiozzo. Egli aveva presi ambedue
-i polsi di Rosa; e così la sollecitava a
-parlare, a rivelare.
-</p>
-
-<p>
-— Io non saccio, signore... Stamattina ha messa
-la roba nelle valige; ha mandato a chiamare la
-carrozza di Leone; e se n'è andata senza dire
-niente. Che ci volete fare? Tornerà.
-</p>
-
-<p>
-— Torneràaa? — piagnucolò Don Giovanni,
-sollevando gli occhi dove già le lacrime incominciavano
-a sgorgare. — Te l'ha detto? Parla!
-</p>
-
-<p>
-E quest'ultimo verbo fu uno strillo quasi minaccioso
-e rabbioso.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Eh... veramente a me m'ha detto: «Addio,
-Rosa. Non ci vediamo più...» Ma... insomma...
-chi lo sa!... Tutto può essere.
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni si accasciò sopra una sedia, a
-queste parole; e si mise a singhiozzare con tanto
-impeto di dolore che la femmina ne fu quasi intenerita.
-</p>
-
-<p>
-— Don Giovà, mo che fate? Non ci stanno
-altre femmine a questo mondo? Don Giovà, mo
-vi pare?...
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni non intendeva. Seguitava a singhiozzare
-come un bambino, nascondendo la
-faccia nel grembiule di Rosa Catana; e tutto il
-suo corpo era scosso dai sussulti del pianto.
-</p>
-
-<p>
-— No, no, no... Voglio Violetta! Voglio Violetta!
-</p>
-
-<p>
-A quello stupido pargoleggiare, Rosa non potè
-tenersi di sorridere. E si diede a lisciare il cranio
-calvo di Don Giovanni, mormorando parole di
-consolazione:
-</p>
-
-<p>
-— Ve la ritrovo io Violetta; ve la ritrovo io...
-Zitto! Zitto! Non piangete più, Don Giovannino.
-La gente che passa può sentire. Mo vi pare, mo?
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni, a poco a poco, sotto la carezza
-amorevole, frenava le lacrime: si asciugava gli
-occhi al grembiule.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Oh! Oh! che cosa! — esclamò, dopo essere
-stato un momento con lo sguardo fisso al bacino
-di zinco, dove l'acqua scintillava ora sotto un
-raggio. — Oh! Oh! che cosa! Oh!
-</p>
-
-<p>
-E si prese la testa fra le mani, e due o tre
-volte oscillò come fanno talora gli scimmioni prigionieri.
-</p>
-
-<p>
-— Via, Don Giovannino, via! — diceva Rosa
-Catana, prendendolo pianamente per un braccio
-e tirandolo.
-</p>
-
-<p>
-Nella piccola camera il profumo pareva crescere.
-Le mosche ronzavano innumerevoli in
-torno a una tazza dov'era un residuo di caffè.
-Il riflesso dell'acqua nella parete tremolava come
-una sottil rete di oro.
-</p>
-
-<p>
-— Lascia tutto così! — raccomandò Don Giovanni
-alla femmina, con una voce interrotta dai
-singulti mal repressi. E discese le scale, scotendo
-il capo su la sua sorte. Egli aveva gli occhi gonfi
-e rossi, a fior di testa, simili a quelli di certi
-cani imbastarditi. Il suo corpo rotondo, dal
-ventre prominente, gravava su due gambette un
-poco volte in dentro. In torno al suo cranio calvo
-girava una corona di lunghi capelli arricciati, che
-parevano non crescere dalla cotenna ma dalle
-spalle e salire verso la nuca e le tempie. Egli
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-con le mani inanellate, di tanto in tanto, soleva
-accomodare qualche ciocca scomposta: gli anelli
-preziosi e vistosi gli rilucevano perfino nel pollice,
-e un bottone di corniola grosso come una
-fragola gli fermava lo sparato della camicia a
-mezzo il petto.
-</p>
-
-<p>
-Come uscì alla luce viva della piazza, provò
-di nuovo uno smarrimento invincibile. Alcuni
-ciabattini attendevano all'opera loro, lì accanto,
-mangiando fichi. Un merlo in gabbia fischiava
-l'inno di Garibaldi, continuamente, ricominciando
-sempre da capo, con una persistenza accorante.
-</p>
-
-<p>
-— Servo suo, Don Giovanni! — disse Don
-Domenico Oliva passando e togliendosi il cappello
-con quella sua gloriosa cordialità napoletana.
-E, mosso a curiosità dall'aspetto sconvolto
-del signore, dopo poco ripassò e risalutò con
-maggior larghezza di gesto e di sorriso. Egli
-era un uomo che aveva il busto lunghissimo e
-le gambe corte e l'atteggiamento della bocca
-involontariamente irrisorio. I cittadini di Pescara
-lo chiamavano Culinterra.
-</p>
-
-<p>
-— Servo suo!
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni, in cui un'ira velenosa cominciava
-a fermentare poichè le risa dei mangiatori
-di fichi e i sibili del merlo lo irritavano, al secondo
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-saluto voltò dispettoso le spalle e si mosse,
-credendo quel saluto un'irrisione.
-</p>
-
-<p>
-Don Domenico, stupefatto, lo seguiva.
-</p>
-
-<p>
-— Ma... Don Giovà!... sentite... ma...
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni non voleva ascoltare. Camminava
-innanzi a passi lesti, verso la sua casa. Le
-fruttivendole e i maniscalchi lungo la via guardavano,
-senza capire, l'inseguimento di quei due
-uomini affannati e gocciolanti di sudore sotto il
-solleone.
-</p>
-
-<p>
-Giunto alla porta, Don Giovanni, che quasi
-stava per scoppiare, si voltò come un aspide,
-giallo e verde per la rabbia.
-</p>
-
-<p>
-— Don Domè, o Don Domè, io ti do in capo!
-</p>
-
-<p>
-Ed entrò, dopo la minaccia; e chiuse la
-porta dietro di sè con violenza.
-</p>
-
-<p>
-Don Domenico, sbigottito, rimase senza parole
-in bocca. Poi rifece la via, pensando quale potesse
-essere la causa del fatto. Matteo Verdura,
-uno dei mangiatori di fichi, chiamò:
-</p>
-
-<p>
-— Venite! venite! Vi debbo dire 'na cosa
-grande.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa? — chiese l'uomo di schiena
-lunga, avvicinandosi.
-</p>
-
-<p>
-— Non sapete niente?
-</p>
-
-<p>
-— Che?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah! Ah! Non sapete niente ancora?
-</p>
-
-<p>
-— Ma che?
-</p>
-
-<p>
-Verdura si mise a ridere; e gli altri ciabattini
-lo imitarono. Un momento tutti quelli uomini sussultarono
-d'uno stesso riso rauco e incomposto,
-in diverse attitudini.
-</p>
-
-<p>
-— Pagate tre soldi di fichi se ve lo dico?
-</p>
-
-<p>
-Don Domenico, ch'era tirchio, esitò un poco.
-Ma la curiosità lo vinse.
-</p>
-
-<p>
-— Be', pago.
-</p>
-
-<p>
-Verdura chiamò una femmina e fece ammonticchiare
-sul suo desco le frutta. Poi disse:
-</p>
-
-<p>
-— Quella signora che stava là sopra, Donna
-Viuletta, sapete?... Quella del teatro, sapete?...
-</p>
-
-<p>
-— Be'?
-</p>
-
-<p>
-— Se n'è scappata stamattina. Tombola!
-</p>
-
-<p>
-— Da vero?
-</p>
-
-<p>
-— Da vero, Don Domè.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, mo capisco! — esclamò Don Domenico,
-ch'era un uomo fino, sogghignando crudelissimamente.
-</p>
-
-<p>
-E, come voleva vendicarsi della contumelia di
-Don Giovanni e rifarsi dei tre soldi spesi per la
-notizia, andò subito verso il <i>casino</i> per divulgare
-la cosa, per ingrandire la cosa.
-</p>
-
-<p>
-Il <i>casino</i>, una specie di bottega del caffè, stava
-<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
-immerso nell'ombra; e su dal tavolato sparso di
-acqua saliva un singolare odore di polvere e di
-muffa. Il dottore Panzoni russava abbandonato
-sopra una sedia con le braccia penzolanti. Il barone
-Cappa, un vecchio appassionato per i cani
-zoppi e per le fanciulle tenerelle, sonnecchiava
-discretamente su una gazzetta. Don Ferdinando
-Giordano moveva le bandierine su una carta
-rappresentante il teatro della guerra franco-prussiana.
-Don Settimio de Marinis discuteva di
-Pietro Metastasio col dottor Fiocca, non senza
-molti scoppi di voce e non senza una certa eloquenza
-fiorita di citazioni poetiche. Il notaro
-Gaiulli, non sapendo con chi giocare, maneggiava
-le carte da giuoco solitariamente e le metteva
-in fila sul tavolino. Don Paolo Seccia girava in
-torno al quadrilatero del biliardo, con passi misurati
-per favorire la digestione.
-</p>
-
-<p>
-Don Domenico Oliva entrò con tale impeto che
-tutti si voltarono verso di lui, tranne il dottore
-Panzoni il quale rimase tra le braccia del sonno.
-</p>
-
-<p>
-— Sapete? sapete?
-</p>
-
-<p>
-Don Domenico era così ansioso di dire la cosa
-e così affannato che da prima balbettava senza
-farsi intendere. Tutti quei galantuomini in torno
-a lui pendevano dalle sue labbra, presentivano
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-con gioia un qualche strano avvenimento che
-alimentasse alfine le loro chiacchiere pomeridiane.
-Don Paolo Seccia, che era un poco sordo da
-un orecchio, disse impazientito:
-</p>
-
-<p>
-— Ma che v'hanno legata la lingua, Don Domè?
-</p>
-
-<p>
-Don Domenico ricominciò da capo la narrazione,
-con più calma e più chiarezza. Disse tutto;
-ingrandì i furori di Don Giovanni Ussorio; aggiunse
-particolarità fantastiche; s'inebriò delle parole. — Capite?
-capite? E poi questo; e poi
-quest'altro...
-</p>
-
-<p>
-Il dottore Panzoni al clamore aperse le palpebre;
-volgendo i grossi globi visivi ancora
-stupidi di sonno e russando ancora pel naso
-tutto vegetante di nèi mostruosi, disse o russò,
-nasalmente:
-</p>
-
-<p>
-— Che c'è? Che c'è?
-</p>
-
-<p>
-E con fatica puntellandosi al bastone si levò
-piano piano e venne nel crocchio per udire.
-</p>
-
-<p>
-Il barone Cappa ora narrava, con alquanta
-saliva nella bocca, una storiella grassa, a proposito
-di Violetta Kutufà. Nelle pupille degli ascoltatori
-intenti passavano luccicori, a tratti. Gli
-occhiolini verdognoli di Don Paolo Seccia scintillavano
-come immersi in un umore esilarante.
-Alla fine, le risa scoppiarono.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma il dottor Panzoni, così ritto, s'era riaddormentato;
-poichè a lui sempre il sonno, grave come un
-morbo, siedeva dentro le nari. E rimase a russare,
-solo nel mezzo, con il capo chino sul petto;
-mentre gli altri si disperdevano per tutto il paese
-a divulgare la novella, di famiglia in famiglia.
-</p>
-
-<p>
-E la novella, divulgata, mise a rumore Pescara.
-Verso sera, co 'l fresco della marina e
-con la luna crescente, tutti i cittadini uscirono
-per le vie e per le piazzette. Il chiacchierío fu
-infinito. Il nome di Violetta Kutufà correva su
-tutte le bocche. Don Giovanni Ussorio non fu
-veduto.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Violetta Kutufà era venuta a Pescara nel mese
-di gennaio, in tempo di carnevale, con una compagnia
-di cantatori. Ella diceva d'essere una Greca
-dell'Arcipelago, di aver cantato in un teatro
-di Corfù al cospetto del re degli Elleni e di
-aver fatto impazzire d'amore un ammiraglio d'Inghilterra.
-Era una donna di forme opulente, di
-pelle bianchissima. Aveva due braccia straordinariamente
-carnose e piene di piccole fosse che
-apparivano rosee ad ogni moto; e le piccole fosse
-e le anella e tutte le altre grazie proprie di un
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-corpo infantile rendevano singolarmente piacevole
-e fresca e quasi ridente la sua pinguedine.
-I lineamenti del volto erano un po' volgari: gli
-occhi color tané, pieni di pigrizia; le labbra grandi,
-piatte e come schiacciate. Il naso non rivelava
-l'origine greca: era corto, un poco erto, con le
-narici larghe e respiranti. I capelli, neri, abbondavano.
-Ed ella parlava con un accento molle,
-esitando ad ogni parola, ridendo quasi sempre.
-La sua voce spesso diventava roca, d'improvviso.
-</p>
-
-<p>
-Quando la compagnia giunse, i Pescaresi smaniavano
-nell'aspettazione. I cantatori forestieri
-furono ammirati per le vie, nei loro gesti, nel
-loro incedere, nel loro vestire, e in ogni loro
-attitudine. Ma la persona su cui tutta l'attenzione
-converse fu Violetta Kutufà.
-</p>
-
-<p>
-Ella portava una specie di giacca scura orlata
-di pelliccia e chiusa da alamari d'oro, e sul
-capo una specie di tôcco tutto di pelliccia, chino
-un po' da una parte. Andava sola, camminando
-speditamente; entrava nelle botteghe, trattava
-con un certo disdegno i bottegai, si lagnava
-della mediocrità delle merci, usciva senza aver
-nulla comprato: cantarellava, con noncuranza.
-</p>
-
-<p>
-Per le vie, nelle piazzette, su tutti i muri,
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-grandi scritture a mano annunziavano la rappresentazione
-della <i>Contessa d'Amalfi</i>. Il nome
-di Violetta Kutufà risplendeva in lettere vermiglie.
-Gli animi dei Pescaresi si accendevano. La
-sera aspettata giunse.
-</p>
-
-<p>
-Il teatro era in una sala dell'antico Ospedal
-militare, all'estremità del paese, verso la marina.
-La sala era bassa, stretta e lunga come un
-corridoio: il palco scenico, tutto di legname e
-di carta dipinta, s'inalzava pochi palmi da terra;
-contro le pareti maggiori stavano le tribune,
-costruite d'assi e di tavole, ricoperte di bandiere
-tricolori, ornate di festoni. Il sipario, opera insigne
-di Cucuzzitto figlio di Cucuzzitto, raffigurava
-la Tragedia, la Comedia e la Musica allacciate
-come le tre Grazie e trasvolanti sul
-ponte a battelli sotto cui passava la Pescara
-turchina. Le sedie, tolte alle chiese, occupavano
-metà della platea. Le panche, tolte alle scuole,
-occupavano il resto.
-</p>
-
-<p>
-Verso le sette la banda comunale prese a sonare
-in piazza e sonando fece il giro del paese;
-e si fermò quindi al teatro. La marcia fragorosa
-sollevava gli animi al passaggio. Le signore
-fremevano d'impazienza, nei loro belli abiti di
-seta. La sala rapidamente si empì.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
-</p>
-
-<p>
-Su le tribune raggiava una corona di signore
-e di signorine gloriosissima. Teodolinda Pomàrici,
-la filodrammatica sentimentale e linfatica,
-sedeva accanto a Fermina Memma la <i>mascula</i>.
-Le Fusilli, venute da Castellammare, grandi fanciulle
-dagli occhi nerissimi, vestite di una eguale
-stoffa rosea, tutte con i capelli stretti in treccia
-giù per la schiena, ridevano forte e gesticolavano.
-Emilia d'Annunzio volgeva attorno i belli
-occhi lionati con un'aria di tedio infinito. Mariannina
-Cortese faceva segni col ventaglio a
-Donna Rachele Profeta che stava di fronte.
-Donna Rachele Bucci con Donna Rachele Carabba
-ragionava di tavolini parlanti e di apparizioni.
-Le maestre Del Gado, vestite tutt'e due
-di seta cangiante, con mantellette di moda antichissime
-e con certe cuffie luccicanti di pagliuzze
-d'acciaio, tacevano, compunte, forse
-stordite dalla novità del caso, forse pentite d'esser
-venute a uno spettacolo profano. Costanza
-Lesbii tossiva continuamente, rabbrividendo sotto
-lo scialle rosso; bianca bianca, bionda bionda, sottile
-sottile.
-</p>
-
-<p>
-Nelle prime sedie della platea sedevano gli ottimati.
-Don Giovanni Ussorio primeggiava, bene
-curato nella persona, con magnifici calzoni a
-<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
-quadri bianchi e neri, con soprabito di castoro
-lucido, con alle dita e alla camicia una gran
-quantità di oreficeria chietina. Don Antonio Brattella,
-membro dell'Areopago di Marsiglia, un
-uomo spirante la grandezza da tutti i pori e
-specialmente dal lobo auricolare sinistro ch'era
-grosso come un'albicocca acerba, raccontava, a
-voce alta, il dramma lirico di Giovanni Peruzzini;
-e le parole, uscendo dalla sua bocca, acquistavano
-una rotondità ciceroniana. Gli altri
-su le sedie si agitavano con maggiore o minore
-importanza. Il dottore Panzoni lottava in vano
-contro le lusinghe del sonno e di tanto in tanto
-faceva un rumore che si confondeva con il la
-degli strumenti preludianti.
-</p>
-
-<p>
-— Pss! psss! pssss!
-</p>
-
-<p>
-Nel teatro il silenzio divenne profondo. All'alzarsi
-della tela, la scena era vuota. Il suono
-d'un violoncello veniva di tra le quinte. Uscì
-Tilde, e cantò. Poi uscì Sertorio, e cantò. Poi entrò
-una torma di allievi e di amici, e intonò un coro.
-Poi Tilde si avvicinò pianamente alla finestra.
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>Oh! come lente l'ore</p>
-<p>Sono al desio!...</p>
-</div>
-
-<p>
-Nel pubblico incominciava la commozione, poichè
-doveva essere imminente un duetto di amore.
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-Tilde, in verità, era un <i>primo soprano</i> non molto
-giovine; portava un abito azzurro; aveva una
-capellatura biondastra che le ricopriva insufficentemente
-il cranio; e, con la faccia bianca di
-cipria, rassomigliava a una costoletta cruda e
-infarinata che fosse nascosta dentro una parrucca
-di canapa.
-</p>
-
-<p>
-Egidio venne. Egli era il tenore giovine. Come
-aveva il petto singolarmente incavato, le gambe
-un po' curve, rassomigliava un cucchiaio a doppio
-manico, su 'l quale fosse appiccicata una di quelle
-teste di vitello raschiate e pulite che si veggono
-talvolta nelle mostre dei beccai.
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>Tilde! il tuo labbro è muto,</p>
-<p>Abbassi al suol gli sguardi.</p>
-<p>Un tuo gentil saluto,</p>
-<p>Dimmi, perchè mi tardi?</p>
-<p>È la tua man tremante....</p>
-<p>Fanciulla mia, perchè?</p>
-</div>
-
-<p>
-E Tilde, con un impeto di sentimento:
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>In sì solenne istante</p>
-<p>Tu lo domandi a me?</p>
-</div>
-
-<p>
-Il duetto crebbe in tenerezza. Le melodie del
-cavaliere Petrella deliziavano le orecchie degli uditori.
-Tutte le signore stavano chinate sul parapetto
-delle tribune, immobili, attente; e i loro
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-volti, battuti dal riflesso del verde delle bandiere,
-impallidivano.
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>Un cangiar di paradiso</p>
-<p>Il morir ci sembrerà!</p>
-</div>
-
-<p>
-Tilde uscì; ed entrò, cantando, il duca Carnioli
-ch'era un uomo corpulento e truculento e
-zazzeruto come ad un baritono si addice. Egli
-cantava fiorentinamente, aspirando le c iniziali,
-anzi addirittura sopprimendole talvolta.
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>Non sai tu che piombo è a ippiede</p>
-<p>La atena oniugale?</p>
-</div>
-
-<p>
-Ma quando nel suo canto nominò alfine <i>d'Amalfi
-la contessa</i>, corse nel pubblico un fremito lungo.
-La contessa era desiderata, invocata.
-</p>
-
-<p>
-Chiese Don Giovanni Ussorio a Don Antonio
-Brattella:
-</p>
-
-<p>
-— Quando viene?
-</p>
-
-<p>
-Rispose Don Antonio, lasciando cadere dall'alto
-la risposta:
-</p>
-
-<p>
-— Oh, mio Dio, Don Giovà! Non sapete? Nell'atto
-secondo! Nell'atto secondo!
-</p>
-
-<p>
-Il sermone di Sertorio fu ascoltato con una
-certa impazienza. Il sipario calò fra applausi deboli.
-Il trionfo di Violetta Kutufà così incominciava.
-Un gran susurro correva per la platea, per
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-le tribune, crescendo, mentre si udivano dietro il
-sipario i colpi di martello dei macchinisti. Quel lavorìo
-invisibile aumentava l'aspettazione.
-</p>
-
-<p>
-Quando il sipario si alzò, una specie di stupore
-invase gli animi. L'apparato scenico parve meraviglioso.
-Tre arcate si prolungavano in prospettiva,
-illuminate; e quella di mezzo terminava in
-un giardino fantastico. Alcuni paggi stavano sparsi
-qua e là, e s'inchinavano. La contessa d'Amalfi,
-tutta vestita di velluto rosso, con uno strascico
-regale, con le braccia e le spalle nude, rosea nella
-faccia, entrò a passi concitati.
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>Fu una sera d'ebrezza, e l'alma mia</p>
-<p>N'è piena ancor....</p>
-</div>
-
-<p>
-La sua voce era disuguale, talvolta stridula,
-ma spesso poderosa, acutissima. Produsse nel pubblico
-un effetto singolare, dopo il miagolìo tenero
-di Tilde. Subitamente il pubblico si divise in due
-fazioni: le donne stavano per Tilde; gli uomini,
-per Leonora.
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>A' vezzi miei resistere</p>
-<p>Non è sì facil gioco...</p>
-</div>
-
-<p>
-Leonora aveva nelle attitudini, nei gesti, nei
-passi, una procacità che inebriava ed accendeva
-i celibi avvezzi alle flosce Veneri del vico di
-Sant'Agostino, e i mariti stanchi delle scipitezze
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-coniugali. Tutti guardavano, ad ogni volgersi della
-cantatrice, le spalle grasse e bianche, dove al gioco
-delle braccia rotonde due fossette parevano ridere.
-</p>
-
-<p>
-Alla fine dell'<i>a solo</i> gli applausi scoppiarono
-con un fragore immenso. Poi lo svenimento della
-contessa, le simulazioni dinanzi al duca Carnioli,
-il principio del duetto, tutte le scene suscitarono
-applausi. Nella sala s'era addensato il calore: per
-le tribune i ventagli s'agitavano confusamente,
-e nello sventolìo le facce feminili apparivano e
-sparivano. Quando la contessa si appoggiò a una
-colonna, in un'attitudine d'amorosa contemplazione,
-e fu rischiarata dalla luce lunare d'un <i>bengala</i>,
-mentre Egidio cantava la romanza soave.
-Don Antonio Brattella disse forte:
-</p>
-
-<p>
-— È grande!
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni Ussorio, con un impeto subitaneo,
-si mise a battere le mani, solo. Gli altri imposero
-silenzio, poichè volevano ascoltare. Don Giovanni
-rimase confuso.
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>Tutto d'amore, tutto ha favella:</p>
-<p>La luna, il zeffiro, le stelle, il mar....</p>
-</div>
-
-<p>
-Le teste degli uditori, al ritmo della melodia
-petrelliana, ondeggiavano, se bene la voce di Egidio
-era ingrata; e gli occhi si deliziavano, se bene
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-la luce della luna era fumosa e un po' giallognola.
-Ma quando, dopo un contrasto di passione e di
-seduzione, la contessa d'Amalfi incamminandosi
-verso il giardino riprese la romanza, la romanza
-che ancora vibrava nelle anime, il diletto degli uditori
-fu tanto che molti sollevavano il capo e l'abbandonavano
-un poco in dietro quasi per gorgheggiare
-insieme con la sirena perdentesi tra i fiori.
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>La barca è presta.... deh vieni, o bella!</p>
-<p>Amor c'invita.... vivere è amar.</p>
-</div>
-
-<p>
-In quel punto Violetta Kutufà conquistò intero
-Don Giovanni Ussorio che, fuori di sè, preso da
-una specie di furore musicale ed erotico, acclamava
-senza fine:
-</p>
-
-<p>
-— Brava! Brava! Brava!
-</p>
-
-<p>
-Disse Don Paolo Seccia, forte:
-</p>
-
-<p>
-— 'O vi', 'o vi', s'è 'mpazzito Ussorio!
-</p>
-
-<p>
-Tutte le signore guardavano Ussorio, stordite,
-smarrite. Le maestre Del Gado scorrevano il rosario,
-sotto le mantelline. Teodolinda Pomàrici rimaneva
-estatica. Soltanto le Fusilli conservavano
-la loro vivacità e cinguettavano, tutte rosee, facendo
-guizzare nei movimenti le trecce serpentine.
-Nel terzo atto, non i morenti sospiri di Tilde
-<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
-che le donne proteggevano, non le rampogne di
-Sertorio e Carnioli, non le canzonette dei popolani,
-non il monologo del malinconico Egidio, non
-le allegrezze delle dame e dei cavalieri ebbero
-virtù di distrarre il pubblico dalla voluttà antecedente. — Leonora!
-Leonora!
-</p>
-
-<p>
-E Leonora ricomparve a braccio del conte di
-Lara, scendendo da un padiglione. E toccò il culmine
-del trionfo.
-</p>
-
-<p>
-Ella aveva ora un abito violetto, ornato di galloni
-d'argento e di fermagli enormi. Si volse verso
-la platea, dando un piccolo colpo di piede allo strascico
-e scoprendo nell'atto la caviglia. Poi, inframmezzando
-le parole di mille vezzi e di mille
-lezii, cantò fra giocosa e beffarda:
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>Io son la farfalla che scherza tra i fiori....</p>
-</div>
-
-<p>
-Quasi un delirio prese il pubblico a quell'aria
-già nota. La contessa d'Amalfi, sentendo salire
-fino a sè l'ammirazione ardente degli uomini e la
-cupidigia, s'inebriò, moltiplicò le seduzioni del
-gesto e del passo; salì con la voce a supreme altitudini.
-La sua gola carnosa, segnata dalla collana
-di Venere, palpitava ai gorgheggi, scoperta.
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>Son l'ape che solo di mèle si pasce;</p>
-<p>M'inebrio all'azzurro d'un limpido ciel....</p>
-</div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni Ussorio, rapito, guardava con
-tale intensità che gli occhi parevano volergli uscir
-fuori delle orbite. Il barone Cappa faceva un po' di
-bava, incantato. Don Antonio Brattella, membro
-dell'Areopago di Marsiglia, gonfiò, gonfiò, fin che
-disse, in ultimo:
-</p>
-
-<p>
-— Colossale!
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-E Violetta Kutufà così conquistò Pescara.
-</p>
-
-<p>
-Per oltre un mese le rappresentazioni dell'opera
-del cavaliere Petrella si seguirono con favore
-crescente. Il teatro era sempre pieno, gremito.
-Le acclamazioni a Leonora scoppiavano
-furiose ad ogni fine di romanza. Un singolare
-fenomeno avveniva: tutta la popolazione di Pescara
-pareva presa da una specie di manìa musicale;
-tutta la vita pescarese pareva chiusa nel
-circolo magico di una melodia unica, di quella
-ov'è la farfalla che scherza tra i fiori. Da per
-tutto, in tutte le ore, in tutti i modi, in tutte le
-possibili variazioni, in tutti gli strumenti, con una
-persistenza stupefacente, quella melodia si ripeteva;
-e l'imagine di Violetta Kutufà collegavasi
-alle note cantanti, come, Dio mi perdoni,
-agli accordi dell'organo l'imagine del Paradiso.
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-Le facoltà musiche e liriche, le quali nel popolo
-aternino sono nativamente vivissime, ebbero allora
-una espansione senza limiti. I monelli fischiavano
-per le vie; tutti i dilettanti sonatori
-provavano. Donna Lisetta Memma sonava l'aria
-sul gravicembalo, dall'alba al tramonto; Don
-Antonio Brattella la sonava sul flauto; Don Domenico
-Quaquino sul clarinetto; Don Giacomo
-Palusci, il prete, su una sua vecchia spinetta rococò;
-Don Vincenzo Rapagnetta sul violoncello;
-Don Vincenzo Ranieri su la tromba; Don Nicola
-d'Annunzio sul violino. Dai bastioni di
-Sant'Agostino all'Arsenale e dalla Pescheria alla
-Dogana, i vari suoni si mescolavano e contrastavano
-e discordavano. Nelle prime ore del
-pomeriggio il paese pareva un qualche grande
-ospizio di pazzi incurabili. Perfino gli arrotini,
-affilando i coltelli alla ruota, cercavano di seguire
-con lo stridore del ferro e della cote il
-ritmo.
-</p>
-
-<p>
-Com'era tempo di carnevale, nella sala del
-teatro fu dato un festino pubblico.
-</p>
-
-<p>
-Il giovedì grasso, alle dieci di sera, la sala
-fiammeggiava di candele steariche, odorava di
-mortelle, risplendeva di specchi. Le maschere
-entravano a stuoli. I pulcinelli predominavano.
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-Sopra un palco, fasciato di veli verdi e constellato
-di stelle di carta argentea, l'orchestra incominciò
-a sonare. Don Giovanni Ussorio entrò.
-</p>
-
-<p>
-Egli era vestito da gentiluomo spagnuolo, e
-pareva un conte di Lara più grasso. Un berretto
-azzurro con una lunga piuma bianca gli
-copriva la calvizie; un piccolo mantello di velluto
-rosso gli ondeggiava su le spalle, gallonato
-d'oro. L'abito metteva più in vista la prominenza
-del ventre e la picciolezza delle gambe.
-I capelli, lucidi di olii cosmetici, parevano una
-frangia artificiale attaccata intorno al berretto
-ed erano più neri del consueto.
-</p>
-
-<p>
-Un pulcinella impertinente, passando, strillò
-con la voce falsa:
-</p>
-
-<p>
-— Mamma mia!
-</p>
-
-<p>
-E fece un gesto di orrore così buffonesco, dinanzi
-al travestimento di Don Giovanni, che in
-torno molte risa scampanellarono. La Ciccarina,
-tutta rosea dentro il cappuccio nero della bautta,
-simile a un bel fiore di carne, rideva d'un riso
-luminosissimo, dondolandosi fra due arlecchini
-cenciosi.
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni si perse tra la folla, con dispetto.
-Egli cercava Violetta Kutufà. I sarcasmi
-delle altre maschere lo inseguivano e lo ferivano.
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-D'un tratto egli s'incontrò in un secondo
-gentiluomo di Spagna, in un secondo conte di
-Lara. Riconobbe Don Antonio Brattella, ed ebbe
-una fitta al cuore. Già tra quei due uomini la
-rivalità era scoppiata.
-</p>
-
-<p>
-— Quanto 'sta nespola? — squittì Don Donato
-Brandimarte, velenosamente, alludendo all'escrescenza
-carnosa che il membro dell'Areopago di
-Marsiglia aveva nell'orecchio sinistro.
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni esultò di una gioia feroce. I
-due rivali si guardarono e si osservarono dal
-capo alle piante; e si mantennero sempre l'uno
-poco discosto dall'altro, pur girando tra la folla.
-</p>
-
-<p>
-Alle undici, nella folla corse una specie di
-agitazione. Violetta Kutufà entrava.
-</p>
-
-<p>
-Ella era vestita diabolicamente, con un dominò
-nero a lungo cappuccio scarlatto e con
-una mascherina scarlatta su la faccia. Il mento
-rotondo e niveo, la bocca grossa e rossa si
-vedevano a traverso un sottil velo. Gli occhi,
-allungati e resi un po' obliqui dalla maschera,
-parevano ridere.
-</p>
-
-<p>
-Tutti la riconobbero, subito; e tutti quasi fecero
-ala al passaggio di lei. Don Antonio Brattella
-si avanzò, leziosamente, da una parte. Dall'altra
-si avanzò Don Giovanni. Violetta Kutufà
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-ebbe un rapido sguardo per gli anelli che
-brillavano alle dita di quest'ultimo. Indi prese
-il braccio dell'Areopagita. Ella rideva, e camminava
-con un certo vivace ondeggiare de'
-lombi. L'Areopagita, parlandole e dicendole le
-sue solite gonfie stupidezze, la chiamava contessa,
-e intercalava nel discorso i versi lirici di
-Giovanni Peruzzini. Ella rideva e si piegava
-verso di lui e premeva il braccio di lui, ad
-arte, perchè gli ardori e gli sdilinquimenti di quel
-brutto e vano signore la dilettavano. A un
-certo punto, l'Areopagita, ripetendo le parole
-del conte di Lara nel melodramma petrelliano,
-disse, anzi sommessamente cantò:
-</p>
-
-<p>
-— Poss'io dunque sperarrr?
-</p>
-
-<p>
-Violetta Kutufà rispose, come Leonora:
-</p>
-
-<p>
-— Chi ve lo vieta?... Addio.
-</p>
-
-<p>
-E, vedendo Don Giovanni poco discosto, si
-staccò dal cavaliere affascinato e si attaccò all'altro
-che già da qualche tempo seguiva con
-occhi pieni d'invidia e di dispetto gli avvolgimenti
-della coppia tra la folla danzante.
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni tremò, come un giovincello al
-primo sguardo della fanciulla adorata. Poi, preso
-da un impeto glorioso, trasse la cantatrice nella
-danza. Egli girava affannosamente, con il naso
-<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
-sul seno della donna; e il mantello gli svolazzava
-dietro, la piuma gli si piegava, rivi di
-sudore misti ad olii cosmetici gli colavano giù
-per le tempie. Non potendo più, si fermò. Traballava
-per la vertigine. Due mani lo sorressero;
-e una voce beffarda gli disse nell'orecchio:
-</p>
-
-<p>
-— Don Giovà, riprendete fiato!
-</p>
-
-<p>
-Era la voce dell'Areopagita, il quale a sua
-volta trasse la bella nella danza.
-</p>
-
-<p>
-Egli ballava tenendo il braccio sinistro arcuato
-sul fianco, battendo il piede ad ogni cadenza,
-cercando parer leggiero e molle come
-una piuma, con atti di grazia così goffi e con
-smorfie così scimmiescamente mobili che intorno
-a lui le risa e i motti dei pulcinelli cominciarono
-a grandinare.
-</p>
-
-<p>
-— Un soldo si paga, signori!
-</p>
-
-<p>
-— Ecco l'orso della Polonia, che balla come
-un cristiano! Mirate, signori!
-</p>
-
-<p>
-— Chi vuol nespoleeee? Chi vuol nespoleeee?
-</p>
-
-<p>
-— 'O vi'! 'O vi'! L'urangutango!
-</p>
-
-<p>
-Don Antonio fremeva, dignitosamente, pur
-seguitando a ballare.
-</p>
-
-<p>
-In torno a lui altre coppie giravano. La sala
-si era empita di gente variissima; e nel gran
-calore le candele ardevano con una fiamma
-<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
-rossiccia, tra i festoni di mortella. Tutta quella
-agitazione multicolore si rifletteva negli specchi.
-</p>
-
-<p>
-La Ciccarina, la figlia di Montagna, la figlia
-di Suriano, le sorelle Montanaro apparivano e
-sparivano, mettendo nella folla l'irraggiamento
-della loro fresca bellezza plebea. Donna Teodolinda
-Pomàrici, alta e sottile, vestita di raso
-azzurro, come una madonna, si lasciava portare
-trasognata; e i capelli sciolti in anella le fluttuavano
-su gli omeri. Costanzella Caffè, la più agile e
-la più infaticabile fra le danzatrici e la più bionda,
-volava da una estremità all'altra in un baleno.
-Amalia Solofra, la rossa dai capelli quasi fiammeggianti,
-vestita da forosetta, con audacia senza pari,
-aveva il busto di seta sostenuto da un solo nastro
-che contornava l'appiccatura del braccio; e, nella
-danza, a tratti le si vedeva una macchia scura
-sotto le ascelle. Amalia Gagliano, la bella dagli
-occhi cisposi, vestita da maga, pareva una cassa
-funeraria che camminasse verticalmente. Una
-specie di ebrietà teneva tutte quelle fanciulle. Esse
-erano alterate dall'aria calda e densa, come da un
-falso vino. Il lauro e la mortella formavano un
-odore singolare, quasi ecclesiastico.
-</p>
-
-<p>
-La musica cessò. Ora tutti salivano i gradini
-conducenti alla sala dei rinfreschi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni Ussorio venne ad invitare Violetta
-a cena. L'Areopagita, per mostrare d'essere
-in grande intimità con la cantatrice, si
-chinava verso di lei e le susurrava qualche cosa
-all'orecchio e poi si metteva a ridere. Don Giovanni
-non si curò del rivale.
-</p>
-
-<p>
-— Venite, contessa? — disse, tutto cerimonioso,
-porgendo il braccio.
-</p>
-
-<p>
-Violetta accettò. Ambedue salirono i gradini,
-lentamente, con Don Antonio dietro.
-</p>
-
-<p>
-— Io vi amo! — avventurò Don Giovanni, tentando
-di dare alla sua voce un accento di passione
-appreso dal <i>primo amoroso giovine</i> d'una
-compagnia drammatica di Chieti.
-</p>
-
-<p>
-Violetta Kutufà non rispose. Ella si divertiva
-a guardare il concorso della gente verso il
-banco di Andreuccio che distribuiva rinfreschi
-gridando il prezzo ad alta voce, come in una
-fiera campestre. Andreuccio aveva una testa
-enorme, il cranio polito, un naso che si curvava
-su la sporgenza del labbro inferiore poderosamente;
-e somigliava una di quelle grandi lanterne
-di carta, che hanno la forma d'una testa
-umana. I mascherati mangiavano e bevevano con
-una cupidigia bestiale, spargendosi su gli abiti le
-briciole delle paste dolci e le gocce dei liquori.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-</p>
-
-<p>
-Vedendo Don Giovanni, Andreuccio gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Signò, comandate?
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni aveva molte ricchezze, era vedovo,
-senza parenti prossimi; cosicchè tutti si
-mostravano servizievoli per lui e lo adulavano.
-</p>
-
-<p>
-— Na' cenetta, rispose. Ma!...
-</p>
-
-<p>
-E fece un segno espressivo per indicare che
-la cosa doveva essere eccellente e rara.
-</p>
-
-<p>
-Violetta Kutufà sedette e con un gesto pigro
-si tolse la mascherina dal volto ed aprì un poco
-sul seno il dominò. Dentro il cappuccio scarlatto
-la sua faccia, animata dal calore, pareva
-più procace. Per l'apertura del dominò si vedeva
-una specie di maglia rosea che dava l'illusione
-della carne viva.
-</p>
-
-<p>
-— Salute! — esclamò Don Pompeo Nervi fermandosi
-dinanzi alla tavola imbandita e sedendosi,
-attirato da un piatto di aragoste succulente.
-</p>
-
-<p>
-E allora sopraggiunse Don Tito De Sieri e
-prese posto, senza complimenti; sopraggiunse
-Don Giustino Franco insieme con Don Pasquale
-Virgilio e con Don Federico Sicoli. La tavola
-s'ingrandì. Dopo molto rigirare tortuoso, venne
-anche Don Antonio Brattella. Tutti costoro erano
-per lo più i convitati ordinari di Don Giovanni;
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-gli formavano intorno una specie di corte adulatoria;
-gli davano il voto nelle elezioni del Comune;
-ridevano ad ogni sua facezia; lo chiamavano,
-per antonomasia, <i>il principale</i>.
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni disse i nomi di tutti a Violetta
-Kutufà. I parassiti si misero a mangiare, chinando
-sui piatti le bocche voraci. Ogni parola,
-ogni frase di Don Antonio Brattella veniva accolta
-con un silenzio ostile. Ogni parola, ogni
-frase di Don Giovanni veniva applaudita con
-sorrisi di compiacenza, con accenni del capo.
-Don Giovanni, tra la sua corte, trionfava. Violetta
-Kutufà gli era benigna, poichè sentiva
-l'oro; e, ormai liberata dal cappuccio, con i capelli
-un po' in ribellione per la fronte e per la
-nuca, si abbandonava alla sua naturale giocondità
-un po' clamorosa e puerile.
-</p>
-
-<p>
-D'in torno, la gente movevasi variamente. In
-mezzo alla folla tre o quattro arlecchini camminavano
-sul pavimento, con le mani e con i
-piedi; e si rotolavano, simili a grandi scarabei.
-Amalia Solofra, ritta sopra una sedia, con alte
-le braccia ignude, rosse ai gomiti, agitava un
-tamburello. Sotto di lei una coppia saltava alla
-maniera rustica, gittando brevi gridi; e un
-gruppo di giovani stava a guardare con gli occhi
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-levati, un poco ebri di desio. Di tanto in
-tanto dalla sala inferiore giungeva la voce di
-Don Ferdinando Giordano che comandava le
-quadriglie con gran bravura:
-</p>
-
-<p>
-— <i>Balanzé! Turdemé! Rondagósce!</i>
-</p>
-
-<p>
-A poco a poco la tavola di Violetta Kutufà
-diveniva amplissima. Don Nereo Pica, Don Sebastiano
-Pica, Don Grisostomo Troilo, altri della
-corte ussoriana, sopraggiunsero; poi anche Don
-Cirillo d'Amelio, Don Camillo D'Angelo, Don
-Rocco Mattace. Molti estranei d'intorno stavano
-a guardar mangiare, con volti stupidi. Le donne
-invidiavano. Di tanto in tanto, dalla tavola si
-levava uno scoppio di risa rauche; e, di tanto
-in tanto, saltava un turacciolo e le spume del
-vino si riversavano.
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni amava spruzzare i convitati,
-specialmente i calvi, per far ridere Violetta. I
-parassiti levavano le facce arrossite; e sorridevano,
-ancora masticando, al <i>principale</i>, sotto la
-pioggia nivea. Ma Don Antonio Brattella s'impermalì
-e fece per andarsene. Tutti gli altri, contro
-di lui, misero un clamore basso che pareva
-un abbaiamento.
-</p>
-
-<p>
-Violetta disse:
-</p>
-
-<p>
-— Restate.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-</p>
-
-<p>
-Don Antonio restò. Poi fece un brindisi poetico
-in quinari.
-</p>
-
-<p>
-Don Federico Sicoli, mezzo ebro, fece anche
-un brindisi a gloria di Violetta e di Don Giovanni,
-in cui si parlava persino di <i>sacre tede</i> e
-di <i>felice imene</i>. Egli declamò a voce alta. Era
-un uomo lungo e smilzo e verdognolo come
-un cero. Viveva componendo epitalami e strofette
-per gli onomastici e laudazioni per le festività
-ecclesiastiche. Ora, nell'ebrietà, le rime gli
-uscivano dalla bocca senza ordine, vecchie rime
-e nuove. A un certo punto egli, non reggendosi
-su le gambe, si piegò come un cero ammollito
-dal calore; e tacque.
-</p>
-
-<p>
-Violetta Kutufà si diffondeva in risa. La gente
-accalcavasi intorno alla tavola, come ad uno
-spettacolo.
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo, — disse Violetta, a un certo punto,
-rimettendosi la maschera e il cappuccio.
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni, al culmine dell'entusiasmo amoroso,
-tutto invermigliato e sudante, porse il braccio.
-I parassiti bevvero l'ultimo bicchiere e si
-levarono confusamente, dietro la coppia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Pochi giorni dopo, Violetta Kutufà abitava
-un appartamento in una casa di Don Giovanni,
-su la piazza comunale; e una gran diceria correva
-Pescara. La compagnia dei cantatori partì,
-senza la contessa d'Amalfi, per Brindisi. Nella
-grave quiete quaresimale, i Pescaresi si dilettarono
-della mormorazione e della calunnia, modestamente.
-Ogni giorno una novella nuova faceva
-il giro della città, e ogni giorno dalla fantasia
-popolare sorgeva una favola.
-</p>
-
-<p>
-La casa di Violetta Kutufà stava proprio dalla
-parte di Sant'Agostino, in contro al palazzo di
-Brina, accosto al palazzo di Memma. Tutte le
-sere le finestre erano illuminate. I curiosi, sotto,
-si assembravano.
-</p>
-
-<p>
-Violetta riceveva i visitatori in una stanza
-tappezzata di carta francese su cui erano francescamente
-rappresentati taluni fatti mitologici.
-Due canterali panciuti del Settecento occupavano
-i due lati del caminetto. Un canapè giallo stendevasi
-lungo la parete opposta, tra due portiere
-di stoffa simile. Sul caminetto s'alzava una Venere
-<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
-di gesso, una piccola Venere de' Medici, tra
-due candelabri dorati. Su i canterali posavano
-vari vasi di porcellana, un gruppo di fiori artificiali
-sotto una campana di cristallo, un canestro
-di frutta di cera, una casetta svizzera di legno,
-un blocco d'allume, alcune conchiglie, una noce
-di cocco.
-</p>
-
-<p>
-Da prima i signori avevano esitato, per una
-specie di pudicizia, a salire le scale della cantatrice.
-Poi, a poco a poco, avevano vinta ogni
-esitazione. Anche gli uomini più gravi facevano
-di tanto in tanto la loro comparsa nel salotto di
-Violetta Kutufà, anche gli uomini di famiglia; e ci
-andavano quasi trepidando, con un piacere furtivo,
-come se andassero a commettere una piccola
-infedeltà alle mogli loro, come se andassero
-in un luogo di dolce perdizione e di peccato. Si
-univano in due, in tre; formavano leghe, per
-maggior sicurezza e per giustificarsi; ridevano tra
-loro e si spingevano i gomiti a vicenda per
-incoraggiamento. Poi la luce delle finestre e i
-suoni del pianoforte e il canto della contessa
-d'Amalfi e le voci e gli applausi degli altri visitatori
-li inebriavano. Essi erano presi da un entusiasmo
-improvviso; ergevano il busto e la testa, con un
-moto giovanile; salivano risolutamente, pensavano
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-che infine bisognava godersi la vita e cogliere
-le occasioni del piacere.
-</p>
-
-<p>
-Ma i ricevimenti di Violetta avevano un'aria
-di grande convenienza, erano quasi cerimoniosi.
-Violetta accoglieva con gentilezza i nuovi venuti
-ed offriva loro sciroppi nell'acqua e rosolii. I
-nuovi venuti rimanevano un po' attoniti, non sapevano
-come muoversi, dove sedere, che dire.
-La conversazione si versava sul tempo, su le
-notizie politiche, su la materia delle prediche
-quaresimali, su altri argomenti volgari e tediosi.
-Don Giuseppe Postiglione parlava della candidatura
-del principe prussiano Hohenzollern al
-trono di Spagna; Don Antonio Brattella amava talvolta
-discutere dell'immortalità dell'anima e d'altre
-cose edificanti. La dottrina dell'Areopagita era
-grandissima. Egli parlava lento e rotondo, di
-tanto in tanto pronunziando rapidamente una parola
-difficile e mangiandosi qualche sillaba. Secondo
-la cronaca veridica, una sera, prendendo
-una bacchetta e piegandola, disse: «Com'è <i>flebile</i>!»
-per dire <i>flessibile</i>; un'altra sera, indicando il
-palato e scusandosi di non potere suonare il flauto,
-disse: «Mi s'è infiammata tutta la <i>platea</i>!» e un'altra
-sera, indicando l'orificio di un vaso, disse
-che, perchè i fanciulli prendessero la medicina,
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-bisognava spargere di qualche materia dolce
-tutta l'<i>oreficeria</i> del bicchiere.
-</p>
-
-<p>
-Di tratto in tratto, Don Paolo Seccia, spirito
-incredulo, udendo raccontare fatti troppo singolari,
-saltava su:
-</p>
-
-<p>
-— Ma, Don Antò, voi che dite?
-</p>
-
-<p>
-Don Antonio assicurava, con una mano sul
-cuore:
-</p>
-
-<p>
-— Testimone <i>oculista!</i> Testimone <i>oculista!</i>
-Una sera egli venne, camminando a fatica; e
-piano piano si mise a sedere: aveva un reuma
-<i>lungo il reno</i>. Un'altra sera venne, con la guancia
-destra un po' illividita: era caduto <i>di soppiatto</i>,
-cioè aveva sdrucciolato battendo la guancia sul
-suolo.
-</p>
-
-<p>
-— Come mai,. Don Antò? — chiese qualcuno.
-</p>
-
-<p>
-— Eh guardate! Ho perfino un <i>impegno</i> rotto,
-egli rispose, indicando il tomaio che nel dialetto
-nativo si chiama <i>'mbígna</i>, come nel proverbio
-<i>Senza 'mbígna nen ze mandé la scarpe</i>.
-</p>
-
-<p>
-Questi erano i belli ragionari di quella gente.
-Don Giovanni Ussorio, presente sempre, aveva
-delle arie padronali; ogni tanto si avvicinava a
-Violetta e le mormorava qualche cosa nell'orecchio,
-con familiarità, per ostentazione. Avvenivano
-lunghi intervalli di silenzio, in cui Don Grisostomo
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-Troilo si soffiava il naso e Don Federico
-Sicoli tossiva come un macacco tisico portando
-ambo le mani alla bocca ed agitandole.
-</p>
-
-<p>
-La cantatrice ravvivava la conversazione narrando
-i suoi trionfi di Corfù, di Ancona, di Bari.
-Ella a poco a poco si eccitava, si abbandonava
-tutta alla fantasia; con reticenze discrete, parlava
-di amori principeschi, di favori reali, di avventure
-romantiche; evocava tutti i suoi tumultuarii
-ricordi di letture fatte in altro tempo: confidava
-largamente nella credulità degli ascoltatori. Don
-Giovanni in quei momenti le teneva addosso gli
-occhi pieni d'inquietudine, quasi smarrito, pur
-provando un orgasmo singolare che aveva una
-vaga e confusa apparenza di gelosia.
-</p>
-
-<p>
-Violetta finalmente s'interrompeva, sorridendo
-d'un sorriso fatuo.
-</p>
-
-<p>
-Di nuovo, la conversazione languiva.
-</p>
-
-<p>
-Allora Violetta si metteva al pianoforte e cantava.
-Tutti ascoltavano, con attenzione profonda.
-Alla fine, applaudivano.
-</p>
-
-<p>
-Poi sorgeva l'Areopagita, col flauto. Una malinconia
-immensa prendeva gli uditori, a quel
-suono, uno sfinimento dell'anima e del corpo.
-Tutti stavano col capo basso, quasi chino sul
-petto, in attitudini di sofferenza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
-</p>
-
-<p>
-In ultimo, tutti uscivano l'uno dietro l'altro.
-Come avevano presa la mano di Violetta, un
-po' di profumo, d'un forte profumo muschiato,
-restava loro nelle dita; e n'erano turbati alquanto.
-Allora, nella via, si riunivano in crocchio,
-tenevano discorsi libertini, si rinfocolavano,
-cercavano d'imaginare le occulte forme della
-cantatrice; abbassavano la voce o tacevano, se
-qualcuno s'appressava. Pianamente se ne andavano
-sotto il palazzo di Brina, dall'altra parte
-della piazza. E si mettevano a spiare le finestre
-di Violetta ancora illuminate. Su i vetri passavano
-ombre indistinte. A un certo punto, il
-lume spariva, attraversava due o tre stanze;
-e si fermava nell'ultima, illuminando l'ultima finestra.
-Dopo poco, una figura veniva innanzi
-a chiudere le imposte. E i riguardanti credevano
-riconoscere la figura di Don Giovanni.
-Seguitavano ancora a discorrere, sotto le stelle;
-e di tanto in tanto ridevano, dandosi piccole
-spinte a vicenda, gesticolando. Don Antonio
-Brattella, forse per effetto della luce d'un lampione
-comunale, pareva di color verde. I parassiti,
-a poco a poco, nel discorso, cacciavan
-fuori una certa animosità contro la cantatrice
-che spiumava con tanto garbo il loro anfitrione.
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-Essi temevano che i larghi pasti corressero pericolo.
-Già Don Giovanni era più parco d'inviti.
-«Bisognava aprire gli occhi a quel poveretto.
-Un'avventuriera!..... Puah! Ella sarebbe stata
-capace di farsi sposare. Come no? E poi lo
-scandalo....»
-</p>
-
-<p>
-Don Pompeo Nervi, scotendo la grossa testa
-vitulina, assentiva:
-</p>
-
-<p>
-— È vero! È vero! Bisogna pensarci.
-</p>
-
-<p>
-Don Nereo Pica, la faina, proponeva qualche
-mezzo, escogitava stratagemmi, egli uomo pio,
-abituato alle secrete e laboriose guerre della
-sacrestia, scaltro nel seminar le discordie.
-</p>
-
-<p>
-Così quei mormoratori s'intrattenevano a
-lungo; e i discorsi grassi ritornavano nelle
-loro bocche amare. Come era la primavera, gli
-alberi del giardino pubblico odoravano e ondeggiavano
-bianchi di fioriture, dinanzi a loro:
-e pei vicoli vicini si vedevano sparire figure di
-meretrici discinte.
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-Quando dunque Don Giovanni Ussorio, dopo
-aver saputo da Rosa Catana la partenza di
-Violetta Kutufà, rientrò nella casa vedovile e
-sentì il suo pappagallo modulare l'aria della
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-farfalla e dell'ape, fu preso da un nuovo e più
-profondo sgomento.
-</p>
-
-<p>
-Nell'andito, tutto candido, entrava una zona
-di sole. A traverso il cancello di ferro si vedeva
-il giardino tranquillo, pieno di eliotropii.
-Un servo dormiva sopra una stuoia, co'l cappello
-di paglia su la faccia.
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni non risvegliò il servo. Salì con
-fatica le scale, tenendo gli occhi fissi ai gradini,
-soffermandosi, mormorando:
-</p>
-
-<p>
-— Oh, che cosa! Oh, oh, che cosa!
-</p>
-
-<p>
-Giunto alla sua stanza, si gettò sul letto, con
-la bocca contro i guanciali; e ricominciò a singhiozzare.
-Poi si sollevò. Il silenzio era grande.
-Gli alberi del giardino, alti sino alla finestra,
-ondeggiavano appena, nella quiete dell'ora.
-Nulla di straordinario avevano le cose in torno.
-Egli quasi n'ebbe meraviglia.
-</p>
-
-<p>
-Si mise a pensare. Stette lungo tempo a rammentarsi
-le attitudini, i gesti, le parole, i minimi
-cenni della fuggitiva. La forma di lei gli
-appariva chiara, come se fosse presente. Ad
-ogni ricordo, il dolore cresceva; fino a che una
-specie di ebetudine gli occupò il cervello.
-</p>
-
-<p>
-Egli rimase a sedere sul letto, quasi immobile,
-con gli occhi rossi, con le tempie tutte annerite
-<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span>
-dalla tintura dei capelli mista al sudore,
-con la faccia solcata da rughe diventate più
-profonde all'improvviso, invecchiato di dieci
-anni in un'ora; ridevole e miserevole.
-</p>
-
-<p>
-Venne Don Grisostomo Troilo, che aveva saputo
-la novella; ed entrò. Era un uomo d'età,
-di piccola statura, con una faccia rotonda e
-gonfia, d'onde uscivan fuori due baffi acuti e
-sottili, bene incerati, simili a due aculei. Disse:
-</p>
-
-<p>
-— Be', Giovà, che è questo?
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni non rispose; ma scosse le spalle
-come per rifiutare ogni conforto. Don Grisostomo
-allora si mise a riprenderlo amorevolmente,
-con unzione, senza parlare di Violetta Kutufà.
-</p>
-
-<p>
-Sopraggiunse Don Cirillo D'Amelio con Don
-Nereo Pica. Tutt'e due, entrando, avevano quasi
-un'aria trionfante.
-</p>
-
-<p>
-— Hai visto? Hai visto? Giovà? Noi lo dicevaaamo!
-Noi lo dicevaaamo!
-</p>
-
-<p>
-Essi avevano ambedue una voce nasale e una
-cadenza acquistata nella consuetudine del cantare
-su l'organo, poichè appartenevano alla Congregazione
-del Santissimo Sacramento. Cominciarono
-a imperversare contro Violetta, senza
-misericordia. «Ella faceva questo, questo e quest'altro».
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span>
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni, straziato, tentava di tanto in
-tanto un gesto per interrompere, per non udire
-quelle vergogne. Ma i due seguitavano. Sopraggiunsero
-anche Don Pasquale Virgilio, Don Pompeo
-Nervi, Don Federico Sicoli, Don Tito De
-Sieri, quasi tutti i parassiti, insieme. Essi, così
-collegati, diventavano feroci. «Violetta Kutufà
-s'era data a Tizio, a Caio, a Sempronio... Sicuro!
-Sicuro!» Esponevano particolarità precise, luoghi
-precisi.
-</p>
-
-<p>
-Ora Don Giovanni ascoltava, con gli occhi accesi,
-avido di sapere, invaso da una curiosità
-terribile. Quelle rivelazioni, in vece di disgustarlo,
-alimentavano in lui la brama. Violetta gli parve
-più desiderabile, ancora più bella; ed egli si
-sentì mordere dentro da una gelosia furiosa che
-si confondeva col dolore. Subitamente, la donna
-gli apparve nel ricordo atteggiata ad una posa
-molle. Egli più non la vide se non in quell'atto.
-Quell'imagine permanente gli dava le vertigini.
-«Oh Dio! Oh Dio! Oh! Oh!» Egli ricominciò
-a singhiozzare. I presenti si guardarono in
-volto e contennero il riso. In verità, il dolore di
-quell'uomo pingue calvo e deforme aveva
-un'espressione così ridicola che non pareva
-reale.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Andatevene ora! — balbettò tra le lacrime
-Don Giovanni.
-</p>
-
-<p>
-Don Grisostomo Troilo diede l'esempio. Gli
-altri seguirono. E per le scale cicalavano.
-</p>
-
-<p>
-Come venne la sera, l'abbandonato si sollevò, a
-poco a poco. Una voce feminile chiese all'uscio:
-</p>
-
-<p>
-— È permesso, Don Giovanni?
-</p>
-
-<p>
-Egli riconobbe Rosa Catana e provò d'un
-tratto una gioia istintiva. Corse ad aprire. Rosa
-Catana apparve, nella penombra della stanza.
-</p>
-
-<p>
-Egli disse:
-</p>
-
-<p>
-— Vieni! Vieni!
-</p>
-
-<p>
-La fece sedere a canto a sè, la fece parlare,,
-l'interrogò in mille modi. Gli pareva di soffrir
-meno, ascoltando quella voce familiare in cui
-egli per illusione trovava qualche cosa della
-voce di Violetta. Le prese le mani.
-</p>
-
-<p>
-— Tu la pettinavi; è vero?
-</p>
-
-<p>
-Le accarezzò le mani ruvide, chiudendo gli
-occhi, co 'l cervello un po' svanito, pensando
-all'abbondante capellatura disciolta che quelle
-mani avevano tante volte toccata. Rosa, da prima,
-non comprendeva; credeva a qualche subitaneo
-desiderio di Don Giovanni, e ritirava le
-mani mollemente, dicendo qualche parola ambigua,
-ridendo. Ma Don Giovanni mormorò:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span>
-</p>
-
-<p>
-— No, no!... Zitta! Tu la pettinavi; è vero?
-Tu la mettevi nel bagno; è vero?
-</p>
-
-<p>
-Egli si mise a baciare le mani di Rosa, quelle
-mani che pettinavano, che lavavano, che vestivano
-Violetta. Tartagliava, baciandole; faceva
-versi così strani che Rosa a fatica poteva ritenere
-le risa. Ma ella finalmente comprese; e da
-femmina accorta, sforzandosi di rimanere in serietà,
-calcolò tutti i vantaggi ch'ella avrebbe
-potuto trarre dalla melensa commedia di Don
-Giovanni. E fu docile; si lasciò accarezzare;
-si lasciò chiamare Violetta; si servì di tutta
-l'esperienza acquistata guardando dal buco della
-chiave ed origliando tante volte all'uscio della
-padrona; cercò anche di rendere la voce più dolce.
-</p>
-
-<p>
-Nella stanza ci si vedeva appena. Dalla finestra
-aperta entrava un chiarore roseo; e gli alberi
-del giardino, quasi neri, stormivano. Dai
-pantani dell'Arsenale giungeva il gracidare lungo
-delle rane. Il romorìo delle strade cittadine era
-indistinto.
-</p>
-
-<p>
-Don Giovanni attirò la donna su le sue ginocchia;
-e, tutto smarrito, come se avesse bevuto
-qualche liquore troppo ardente, balbettava
-mille leziosaggini puerili, pargoleggiava, senza
-fine, accostando la sua faccia a quella di lei.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Violettuccia bella! Cocò mio! Non te ne
-vai, Cocò!... Se te ne vai, Ninì tuo muore. Povero
-Ninì!... Baubaubaubauuu!
-</p>
-
-<p>
-E seguitava ancora, stupidamente, come faceva
-prima con la cantatrice. E Rosa Catana,
-paziente, gli rendeva le piccole carezze, come
-a un bambino malaticcio e viziato; gli prendeva
-la testa e se la teneva contro la spalla; gli baciava
-gli occhi gonfi e lagrimanti; gli palpava
-il cranio calvo; gli ravviava i capelli untuosi.
-</p>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<p>
-Così Rosa Catana a poco a poco guadagnò
-l'eredità di Don Giovanni Ussorio, che nel
-marzo del 1871 moriva di paralisía.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span></p>
-
-<h2 id="duca">LA MORTE DEL DUCA D'OFENA.</h2>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Quando giunse di lontano il primo clamor
-confuso della ribellione, Don Filippo Cassàura
-aprì subitamente le palpebre che per solito gli
-pesavano su gli occhi, infiammate agli orli e
-arrovesciate come quelle de' piloti che navigano
-per mari ventosi.
-</p>
-
-<p>
-— Hai sentito? — chiese al Mazzagrogna
-che gli stava da presso. E il tremito della voce
-tradiva lo sbigottimento interiore.
-</p>
-
-<p>
-Rispose il maggiordomo, sorridendo:
-</p>
-
-<p>
-— Non abbiate paura, Eccellenza. Oggi è
-San Pietro. Cantano i mietitori.
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio stette un poco in ascolto, poggiato
-sul gomito, con lo sguardo ai balconi. Le cortine
-ondeggiavano ai soffi caldi del libeccio.
-<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
-Le rondini a stormi passavano e ripassavano,
-rapide come freccie, nell'aria ardentissima. Tutti
-i tetti delle case sottostanti fiammeggiavano,
-quali rossastri, quali grigi. Oltre i tetti si distendeva
-la campagna immensa ed opulenta,
-quasi tutta d'oro in tempo di mietitura.
-Di nuovo chiese il vecchio:
-</p>
-
-<p>
-— Ma, Giovanni, hai sentito?
-</p>
-
-<p>
-Giungevano, infatti, clamori che non parevano
-di gioia. Il vento, rafforzandoli a intervalli
-e spegnendoli o mescendoli al suo fischio,
-li rendeva più singolari.
-</p>
-
-<p>
-— Non ci badate, Eccellenza — rispose il
-Mazzagrogna. — Gli orecchi v'ingannano. State
-quieto.
-</p>
-
-<p>
-Ed egli si levò per andare verso uno dei
-balconi.
-</p>
-
-<p>
-Era un uomo tarchiato, con le gambe in arco,
-con le mani enormi, coperte di peli sul dorso,
-bestiali. Aveva gli occhi un poco obliqui, biancastri
-come quelli degli albini, tutta la faccia
-sparsa di lentiggini, pochi capelli rossi su le
-tempie, e l'occipite occupato da certe escrescenze
-dure e scure in forma di castagne.
-</p>
-
-<p>
-Rimase in piedi alquanto, fra le due cortine
-che si gonfiavano come due vele, a investigare
-<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
-il piano sottoposto. Un alto polverìo levavasi
-dalla strada della Fara, come per passaggio di
-greggi numerose; e i folti nugoli, gonfiati dal
-vento, crescevano in forma di trombe. Di tratto
-in tratto, anche, i nugoli balenavano come se
-chiudessero gente armata.
-</p>
-
-<p>
-— Ebbene? — chiese don Filippo, inquieto.
-</p>
-
-<p>
-— Nulla — rispose il Mazzagrogna; ma
-aveva le sopracciglia corrugate profondamente.
-</p>
-
-<p>
-Di nuovo, il soffio impetuoso portò un tumulto
-di grida lontane. Una cortina, sforzata
-dall'urto, si mise a sbattere e a garrire nell'aria
-come un gonfalone spiegato. Una porta
-si chiuse d'improvviso, con violenza e con fragore.
-I vetri ne tremarono. Le carte, accumulate
-sopra una tavola, si sparpagliarono per tutta
-la stanza.
-</p>
-
-<p>
-— Chiudi! Chiudi! — gridò il vecchio, con
-un moto di terrore. — Mio figlio dov'è?
-</p>
-
-<p>
-Egli ansava, sul letto, affogato dalla pinguedine,
-incapace di levarsi poichè aveva tutta la
-inferior parte del corpo impedita dalla paralisìa.
-Un continuo tremor paralitico gli agitava i muscoli
-del collo, i gomiti, le ginocchia. Le sue
-mani posavano sul lenzuolo, contorte e nodose
-come le ràdiche dei vecchi olivi. Un sudore
-<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
-abondante gli stillava dalla fronte e dal cranio
-calvo, rigandogli la larga faccia che era d'un
-color roseo disfatto, sottilissimamente venato di
-vermiglio come la milza dei buoi.
-</p>
-
-<p>
-— Diavolo! — mormorò fra i denti il Mazzagrogna,
-mentre chiudeva le imposte a viva forza.
-</p>
-
-<p>
-— Fanno davvero?
-</p>
-
-<p>
-Ora si scorgeva su la strada della Fara, alle
-prime case, una moltitudine d'uomini agitata e
-ondeggiante, come un rigurgito di flutti, che
-dava indizio d'un'altra maggior moltitudine
-non visibile, nascosta dalla linea dei tetti e
-dalle querci di San Pio. La legione ausiliaria
-delle campagne veniva dunque ad ingrossar la
-ribellione. A poco a poco la folla diminuiva,
-internandosi nelle vie del paese e scomparendo
-come un popolo di formiche nei labirinti d'un
-formicaio. Le grida, soffocate dalle mura o ripercosse,
-giungevano ora come un rombo continuo,
-indistinte. A volte mancavano; e allora
-si udiva il grande stormire degli elci dinanzi
-al palazzo che pareva più solo.
-</p>
-
-<p>
-— Mio figlio dov'è? — chiese di nuovo il
-vecchio, con una voce che lo sbigottimento
-rendeva più stridula. — Chiamalo! Lo voglio
-vedere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span>
-</p>
-
-<p>
-Tremava forte, sul letto, non soltanto perchè
-egli era paralitico, ma perchè aveva paura. Ai
-primi moti sediziosi del giorno innanzi, agli urli
-d'un centinaio di giovinastri venuti a schiamazzare
-sotto i balconi contro la più recente
-angheria del duca d'Ofena, egli era stato preso
-da una così pazza paura che aveva pianto come
-una femminetta ed aveva passata la notte
-invocando i santi del Paradiso. Il pensiero della
-morte o del pericolo dava un indicibile terrore
-a quel vecchio paralitico, già semispento, in cui
-gli ultimi guizzi della vita eran sì dolorosi. Egli
-non voleva morire.
-</p>
-
-<p>
-— Luigi! Luigi! — si mise a gridare, nell'ambascia,
-chiamando il figliuolo.
-</p>
-
-<p>
-Tutto il palazzo era pieno dell'acuto tintinnio
-de' vetri all'urto del vento. Di tratto in tratto
-si udiva il rimbombo d'un uscio sbattuto, o
-suono di passi precipitati e di voci brevi.
-</p>
-
-<p>
-— Luigi!
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Il duca accorse. Egli era un poco pallido e
-concitato, se bene cercasse di dominarsi. Alto
-di statura e robusto, aveva la barba ancor tutta
-<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
-nera su le mascelle assai grosse; la bocca tumida
-e imperiosa, piena d'un soffio veemente;
-gli occhi torbidi e voraci; il naso grande, palpitante,
-sparso di rossore.
-</p>
-
-<p>
-— Ebbene? — chiese Don Filippo, ansando
-con tal rantolo che pareva dovesse soffocarlo.
-</p>
-
-<p>
-— Non temete, padre; ci sono io — rispose
-il duca, appressandosi al letto, cercando di sorridere.
-</p>
-
-<p>
-Il Mazzagrogna stava in piedi, dinanzi a
-uno de' balconi, guardando di fuori, intento.
-Non giungevano più grida; non si vedeva più
-alcuno. Il sole declinava dal cielo puro, simile
-a un cerchio roseo di fiamma, che più s'ingrandiva
-e più s'accendeva nel raggiungere le
-cime dei colli. Tutta la campagna pareva ardere;
-e pareva che il garbino fosse l'alito dell'incendio.
-Il primo quarto della luna saliva di
-tra le macchie di Lisci. Poggio Rivelli, Ricciano,
-Rocca di Forca, in lontananza, mandavano
-lampi dai vetri delle finestre e a tratti
-suono di campane. Qualche fuoco incominciava
-a brillare qua e là. Il calore toglieva il respiro.
-</p>
-
-<p>
-— Questo — disse il duca d'Ofena con quella
-sua voce rauca e dura — ci viene dagli Scioli.
-Ma...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
-</p>
-
-<p>
-E fece un gran gesto di minaccia. Poi s'accostò
-al Mazzagrogna.
-</p>
-
-<p>
-Egli era inquieto per Carletto Grua che non
-si vedeva ancora. Passeggiò in lungo e in largo
-nella stanza, con un passo pesante. Staccò da
-una panoplia due lunghe pistole d'arcione e
-le esaminò attentamente. Il padre seguiva ogni
-atto di lui con occhi dilatati; ansava come un
-giumento in agonia; di tratto in tratto scoteva
-con le mani deformi il lenzuolo, per aver
-refrigerio. Domandò due o tre volte al Mazzagrogna:
-</p>
-
-<p>
-— Che si vede?
-</p>
-
-<p>
-D'improvviso il Mazzagrogna esclamò:
-</p>
-
-<p>
-— Ecco Carletto che vien su correndo, con
-Gennaro.
-</p>
-
-<p>
-Si udirono, in fatti, colpi furiosi alla porta
-grande. Poco dopo, Carletto e il servo entrarono
-nella stanza, pallidi, sbigottiti, macchiati
-di sangue, coperti di polvere.
-</p>
-
-<p>
-Il duca, vedendo Carletto, gettò un grido. Lo
-prese fra le braccia, si mise a tastarlo in tutto
-il corpo per trovare la ferita.
-</p>
-
-<p>
-— Che t'hanno fatto? Di', che t'hanno fatto?
-</p>
-
-<p>
-Il giovine piangeva, come una donna.
-</p>
-
-<p>
-— Qui — disse fra i singhiozzi. Abbassò la
-<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span>
-testa e mostrò su la nuca alcune ciocche di capelli
-attaccate insieme dal sangue rappreso.
-</p>
-
-<p>
-Il duca mise le dita fra i capelli delicatamente,
-per iscoprir la ferita. Egli amava d'un tristo
-amore Carletto Grua; ed aveva per lui le cure
-d'un amante.
-</p>
-
-<p>
-— Ti fa dolore? — gli chiese.
-</p>
-
-<p>
-Il giovine singhiozzò più forte. Egli era esile
-come una fanciulla; aveva un volto femineo, a
-pena a pena ombrato d'una lanugine bionda;
-i capelli alquanto lunghi, bellissima la bocca, e
-la voce acuta come quella degli evirati. Era un
-orfano, figliuolo d'un confettiere di Benevento.
-Faceva da valletto al duca.
-</p>
-
-<p>
-— Ora verranno! — disse, con un tremito
-per tutta la persona, volgendo gli occhi pieni
-di lacrime al balcone d'onde ora di nuovo giungevano
-i clamori, più alti e più terribili.
-</p>
-
-<p>
-Il servo, che aveva una ferita profonda su la
-spalla destra e tutto il braccio intriso di sangue
-fino al gomito, raccontava balbettando come ambedue
-fossero stati rincorsi dalla folla inferocita;
-quando il Mazzagrogna, ch'era rimasto sempre
-a spiare, gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Eccoli! Vengono al palazzo. Sono armati.
-</p>
-
-<p>
-Don Luigi, lasciando Carletto, corse a vedere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-La moltitudine, in fatti, irrompeva su per
-l'ampia salita, urlando e scotendo nell'aria
-armi ed arnesi, con una tal furia concorde che
-non pareva un adunamento di singoli uomini
-ma la coerente massa d'una qualche cieca materia
-sospinta da una irresistibile forza. In pochi
-minuti fu sotto al palazzo, si allungò intorno
-come un gran serpente di molte spire, e chiuse
-in un denso cerchio tutto l'edifizio. Taluni dei
-ribelli portavano alti fasci di canne accesi, come
-fiaccole, che gittavano sui volti una luce mobile
-e rossastra, schizzavano faville e schegge
-ardenti, mettevano un crepitìo sonoro. Altri, in
-un gruppo compatto, sostenevano un'antenna
-alla cui cima penzolava un cadavere umano.
-Minacciavano la morte coi gesti e con le voci.
-Tra le contumelie ripetevano un nome:
-</p>
-
-<p>
-— Cassàura! Cassàura!
-</p>
-
-<p>
-Il duca d'Ofena si morse le mani, quando riconobbe
-in cima all'antenna il corpo mutilato
-di Vincenzio Murro, del messo ch'egli aveva
-spedito nella notte a chieder soccorso di gente
-<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
-d'arme. Additò l'impiccato al Mazzagrogna, il
-quale disse a bassa voce:
-</p>
-
-<p>
-— È finita!
-</p>
-
-<p>
-Ma l'udì don Filippo, e cominciò a fare un
-lagno così accorante che tutti si sentirono stringere
-il cuore e mancare gli spiriti.
-</p>
-
-<p>
-I servi si accalcavano su le soglie, smorti in
-faccia, tenuti dalla viltà. Alcuni lacrimavano,
-altri invocavano un santo, altri pensavano al
-tradimento. — Se, consegnando il padrone al
-popolo, avessero potuto aver salva la vita? — Cinque
-o sei, meno pusillanimi, tenevano perciò
-consiglio e si eccitavano a vicenda.
-</p>
-
-<p>
-— Al balcone! Al balcone! — gridava il popolo,
-tempestando. — Al balcone!
-</p>
-
-<p>
-Ora il duca d'Ofena parlava sommesso col
-Mazzagrogna, in disparte.
-</p>
-
-<p>
-Volgendosi a don Filippo, disse:
-</p>
-
-<p>
-— Mettetevi nella sedia, padre. Sarà meglio.
-Ci fu tra i servi un leggero mormorìo. Due
-si fecero innanzi per aiutare il paralitico a discendere
-dal letto. Altri due accostarono la sedia
-che scorreva su piccole ruote. L'operazione
-fu penosa.
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio corpulento ansava e si lamentava
-forte, premendo con le braccia il collo dei servi
-<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span>
-che lo sostenevano. Egli era tutto grondante;
-e la stanza, essendo chiuse le imposte, era omai
-piena dell'insoffribile odore. Com'egli fu nella
-sedia, i suoi piedi con un moto ritmico presero
-a percuotere il pavimento. Il gran ventre tremolava
-floscio su le ginocchia, simile a un otre
-mezzo vuoto.
-</p>
-
-<p>
-Allora il duca disse al Mazzagrogna:
-</p>
-
-<p>
-— Giovanni, a te!
-</p>
-
-<p>
-E quegli, con un gesto risoluto, aprì le imposte
-ed uscì sul balcone.
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Un urlo immenso l'accolse. Cinque, dieci,
-venti fasci di canne ardenti vennero lì sotto a
-radunarsi. Il chiarore illuminava i volti animati
-dalla bramosia della strage, l'acciaro degli
-schioppi, i ferri delle scuri. I portatori di fiaccole
-avevano tutta la faccia cospersa di farina,
-per difendersi dalle faville; e tra quel bianco i
-loro occhi sanguigni brillavano singolarmente.
-Il fumo nero saliva nell'aria, disperdendosi rapido.
-Tutte le fiamme si allungavano da una
-banda, spinte dal vento, sibilanti, come capellature
-<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
-infernali. Le canne più sottili e più secche
-si accendevano, si torcevano, rosseggiavano,
-si spezzavano, scoppiettavano come razzi, in un
-attimo. Ed era una vista allegra.
-</p>
-
-<p>
-— Mazzagrogna! Mazzagrogna! A morte il
-ruffiano! A morte il guercio! — gridavano
-tutti, accalcandosi per iscagliar più da vicino
-l'insulto.
-</p>
-
-<p>
-Il Mazzagrogna stese una mano, come per
-sedare i clamori; raccolse tutta la potenza vocale;
-e incominciò col nome del re, quasi promulgasse
-una legge, per incutere al popolo il
-rispetto.
-</p>
-
-<p>
-— In nome di S. M. Ferdinando II, per la
-grazia di Dio, re delle Due Sicilie, di Gerusalemme...
-</p>
-
-<p>
-— A morte il ladro!
-</p>
-
-<p>
-Due, tre schioppettate risonarono fra le grida;
-e l'arringatore, colpito al petto e alla fronte,
-vacillò, agitò in alto le mani e cadde in avanti.
-Nel cadere, la testa entrò fra l'un ferro e l'altro
-della ringhiera e penzolò di fuori come
-una zucca. Il sangue gocciolava sul terreno sottostante.
-</p>
-
-<p>
-Il caso rallegrò il popolo. Lo schiamazzo saliva
-alle stelle.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
-</p>
-
-<p>
-Allora i portatori dell'antenna con l'impiccato
-vennero sotto il balcone e accostarono
-Vincenzio Murro al maggiordomo. Mentre l'antenna
-oscillava nell'aria, il popolo stava intento
-al congiungimento dei due morti, quasi ammutolito.
-Un poeta improvviso, alludendo all'occhio
-albino del Mazzagrogna e a quello
-cisposo del messo, gittò a squarciagola un sospetto:
-</p>
-
-<p>
-— <i>Affàccet' a 'ssa fenêstre, ùocchie fritte,<br />
-Ca t' è mmenut' a ccandà 'lu scacazzate!</i>
-</p>
-
-<p>
-Un vasto scroscio di risa accolse lo scherno
-del poeta; e le risa si propagarono di bocca in
-bocca, come un tuono d'acque cadenti giù pe'
-sassi d'una china.
-</p>
-
-<p>
-Un poeta rivale gridò:
-</p>
-
-<p>
-— <i>Vide che ssòrt' ha da 'vé 'ssu cecàte!<br />
-S' affranghe de chiude 'l'ùocchie quande se mòre.</i>
-</p>
-
-<p>
-Le risa si rinnovellarono.
-</p>
-
-<p>
-Un terzo gridò:
-</p>
-
-<p>
-— <i>O faccia de cecòria mmàle còtte!<br />
-Tenète lu chelòre de la mòrte!</i>
-</p>
-
-<p>
-Altri distici volarono al Mazzagrogna. Una
-gioia feroce aveva invaso gli animi. La vista
-e l'odore del sangue inebriavano i più vicini.
-<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
-Tommaso di Beffi e Rocco Furci vennero a
-contesa di destrezza nel colpire con una sassata
-il cranio penzoloni dell'ucciso ancor caldo.
-Ad ogni colpo il cranio si moveva e dava sangue.
-La pietra di Rocco Furci alla fine colpì
-nel mezzo, levando un suono secco. Gli spettatori
-applaudirono. Ma erano sazii ormai del
-Mazzagrogna.
-</p>
-
-<p>
-Di nuovo sorse il grido:
-</p>
-
-<p>
-— Cassàura! Cassàura! Il duca! A morte!
-Fabrizio e Ferdinandino Scioli s'insinuavano
-tra la folla ed istigavano i facinorosi. Una terribile
-sassaiuola si levò contro le finestre del
-palazzo, fitta come una grandine, mista di schioppettate.
-I vetri cadevano addosso agli assalitori.
-Le pietre rimbalzavano. Rimasero feriti non
-pochi dei circostanti.
-</p>
-
-<p>
-Terminati i sassi, consumato il piombo, Ferdinandino
-Scioli gridò:
-</p>
-
-<p>
-— A terra le porte!
-</p>
-
-<p>
-E il grido, ripetuto da tante bocche, tolse al
-duca d'Ofena ogni speranza di salvezza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-Nessuno aveva osato di richiudere il balcone
-dov'era caduto il Mazzagrogna. Il cadavere
-giaceva in un'attitudine scomposta. Poichè i ribelli,
-per essere liberi, avevan lasciata l'antenna
-contro la ringhiera, anche il corpo sanguinoso
-del messo, a cui qualche membro era stato reciso
-con la scure, scorgevasi a traverso le cortine
-gonfiate dal vento. La sera era profonda.
-Le stelle riscintillavano senza fine. Qualche
-stoppia bruciava in lontananza.
-</p>
-
-<p>
-Udendo i colpi contro le porte, il duca d'Ofena
-volle ancora tentare una prova. Don Filippo,
-istupidito dal terrore, teneva gli occhi
-chiusi; non parlava più. Carletto Grua, con la
-testa fasciata, si rannicchiava tutto in un angolo,
-battendo i denti nella febbre e nella paura, seguendo
-con i poveri occhi fuori dell'orbita ogni
-passo, ogni gesto, ogni moto del suo signore.
-I servi erano rifugiati quasi tutti nelle soffitte.
-Pochi rimanevano nelle stanze contigue.
-</p>
-
-<p>
-Don Luigi li radunò, li rianimò; li armò di
-pistole o di fucile; quindi a ciascuno assegnò
-un posto dietro il davanzale d'una finestra o
-<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
-tra le persiane d'un balcone. Ciascuno doveva
-tirare su la folla, con la maggior possibile celerità
-di colpi, in silenzio, senza esporsi.
-</p>
-
-<p>
-— Avanti!
-</p>
-
-<p>
-Il fuoco incominciò. Don Luigi sperava nel
-pànico. Egli stesso caricava e scaricava le sue
-lunghe pistole con un meraviglioso vigore,
-senza stancarsi. Come la moltitudine era densa,
-nessun colpo falliva. Le grida, che si levavano
-ad ogni scarica, eccitavano i servi e n'aumentavano
-l'ardore. Già lo scompiglio invadeva gli
-ammutinati. Molti fuggivano, lasciando a terra
-i feriti.
-</p>
-
-<p>
-Allora dal servidorame partì un urlo di vittoria:
-</p>
-
-<p>
-— Viva il duca d'Ofena!
-</p>
-
-<p>
-Quelli uomini vili ora s'imbaldanzivano, vedendo
-le spalle del nemico. Non rimanevano
-più nascosti, nè più tiravano alla cieca, ma si
-erano alzati in piedi, fieramente, e cercavano
-di colpire nel segno. Ed ogni volta che vedevan
-cadere uno, gittavano l'urlo:
-</p>
-
-<p>
-— Viva il duca!
-</p>
-
-<p>
-In poco, il palazzo fu libero d'assedio. D'intorno
-i feriti si lamentavano. I residui delle
-canne, che ancora ardevano al suolo, gittavan
-<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span>
-su' corpi bagliori incerti, suscitavan riflessi da
-qualche pozza di sangue, o stridevano spegnendosi.
-Il vento era cresciuto; ed investiva gli
-elci con alto stormire. I latrati dei cani si rispondevano
-per tutta la valle.
-</p>
-
-<p>
-Inebriati dalla vittoria, grondanti per la fatica,
-i servi discesero a rifocillarsi. Tutti erano incolumi.
-Bevevano senza misura, e facevano gazzarra.
-Alcuni proclamavano i nomi di quelli che
-essi avevan colpito, e ne descrivevano il modo
-della caduta, buffonescamente. I bracchieri desumevano
-le similitudini dalla selvaggina. Un
-cuciniere si vantò d'aver ucciso il terribile
-Rocco Furci. Alimentate dal vino, le millanterie
-si moltiplicavano.
-</p>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<p>
-Ora, mentre il duca d'Ofena, sicuro d'aver
-per quella notte almeno scongiurato ogni pericolo,
-era solo intento a custodire il piagnucolante
-Carletto, improvvisi bagliori si ripercossero
-in uno specchio e nuovi clamori si levarono
-tra il fischiar del libeccio, sotto il palazzo.
-Al tempo medesimo apparvero quattro o cinque
-<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
-servi, che il fumo aveva quasi soffocati mentre
-dormivano ubriachi nelle stanze basse. Essi
-non avevano ancora riacquistati gli spiriti; barcollavano
-senza poter parlare poichè si sentivan
-la lingua torpida. Altri sopraggiunsero.
-</p>
-
-<p>
-— Il fuoco! Il fuoco!
-</p>
-
-<p>
-Tremavano gli uni addossati agli altri, come
-una greggia. La viltà nativa li occupava novamente.
-Avevano tutti i sensi ottusi, come in
-un sogno. Non sapevano quel che dovevano
-fare. Nè ancora la perfetta consapevolezza del
-pericolo li stimolava a cercare uno scampo.
-</p>
-
-<p>
-Sorpreso, il duca dapprima restò perplesso.
-Ma Carletto Grua, vedendo entrare il fumo e
-udendo quel singolare ruggito che fanno le
-fiamme nel nutrirsi, si mise a strillare così acutamente
-e a far gesti così forsennati che Don
-Filippo si destò dal grave sopore in cui era
-caduto e vide la morte.
-</p>
-
-<p>
-La morte era inevitabile. Il fuoco, sotto il costante
-soffio del vento, propagavasi con una
-stupenda celerità per tutta la vecchia ossatura
-dell'edifizio, divorando ogni cosa, suscitando da
-ogni cosa vampe mobili, fluide, canore. Le
-vampe correvano lievi su le pareti, lambivano
-le tappezzerie, esitavano un istante a fior del
-<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span>
-tessuto, si colorivano di tinte mutevoli e vaghe,
-penetravano nella trama con mille lingue sottilissime
-e vibranti, parevano infondere per un
-attimo nelle figure murali uno spirito, accendere
-per un attimo su la bocca delle ninfe e
-delle iddie un riso non mai veduto, muovere
-per un attimo le loro attitudini e i loro gesti
-immobili. Passavan oltre, in fuga sempre più
-luminosa; si avvolgevano alle suppellettili di
-legno, conservando fino all'ultimo la loro forma,
-così da farle apparire tutte materiate di piropi
-che d'un tratto si disgregavano e s'incenerivano
-come per incanti. Le voci delle vampe
-erano innumerevoli; formavano un vasto coro,
-una profonda armonia, come d'una selva dai
-milioni di foglie, come d'un organo dai milioni di
-canne. Già appariva ad intervalli, nelle aperture
-fragorose, il cielo puro con le sue corone di
-stelle. Omai tutto il palazzo era in potere del
-fuoco.
-</p>
-
-<p>
-— Salvami! Salvami! — gridò il vecchio, tentando
-invano di sorgere, sentendo già sotto di
-sè sprofondare il pavimento, sentendosi accecare
-dall'implacabile rossore. — Salvami!
-</p>
-
-<p>
-Con uno sforzo supremo giunse a levarsi. E
-si mise a correre, col tronco inclinato innanzi,
-<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
-saltellando a piccoli passi incalzanti, come spinto
-da un irresistibile impulso progressivo, agitando
-le mani informi, finchè cadde fulminato, già
-preda del fuoco, sgonfiandosi e rappigliandosi
-come una vescica.
-</p>
-
-<p>
-Ora di tratto in tratto le grida del popolo
-aumentavano, e salivan più alto dell'incendio.
-I servi, pazzi di terrore e di dolore, mezzo
-riarsi, si precipitavano dalle finestre e venivano
-a cadere morti sul suolo; o mal vivi, ed eran
-finiti. Ad ogni caduta rispondeva un maggior
-clamore.
-</p>
-
-<p>
-— Il duca! Il duca! — gridavano i barbari,
-malcontenti, perchè volevano veder precipitare
-il tirannello col suo bagascione.
-</p>
-
-<p>
-— Eccolo! Eccolo! È lui!
-</p>
-
-<p>
-— Giù! Giù! Ti vogliamo!
-</p>
-
-<p>
-— Muori, cane! Muori! Muori! Muori!
-</p>
-
-<p>
-Su la porta grande, proprio in cospetto del
-popolo, apparve Don Luigi con le vesti in fiamme
-portando su le spalle il corpo inerte di Carletto
-Grua. Egli aveva tutto il volto bruciato, irriconoscibile;
-non aveva quasi più capelli, nè barba.
-Ma camminava a traverso l'incendio, impavido,
-non anche morto, poichè valeva a sostener gli
-spiriti quello stesso atroce dolore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
-</p>
-
-<p>
-Da prima il popolo ammutolì. Poi di nuovo
-proruppe in urli e in gesti, aspettando con ferocia
-che la gran vittima venisse a spirargli
-dinanzi.
-</p>
-
-<p>
-— Qui, qui, cane! Ti vogliamo veder morire!
-</p>
-
-<p>
-Don Luigi udì, a traverso le fiamme, l'ultime
-ingiurie. Raccolse tutta l'anima in un atto di
-scherno indescrivibile. Quindi voltò le spalle; e
-disparve per sempre dove più ruggiva il fuoco.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span></p>
-
-<h2 id="traghettatore">IL TRAGHETTATORE.</h2>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Donna Laura Albònico stava nel giardino, sotto
-la pergola, prendendo il fresco all'ora meridiana.
-</p>
-
-<p>
-La villa taceva, tutta bianca, con le persiane
-chiuse tra le piante degli agrumi. Il sole raggiava
-un calore e un fulgore immensi. Era la
-metà di giugno; e i profumi degli aranci e dei
-limoni fioriti si mescolavano all'odor delle rose,
-nell'aria tranquilla. Le rose crescevano da per
-tutto, nel giardino, con una forza indomabile.
-Le masse magnifiche si movevano, lungo i viali,
-ad ogni soffio di vento, coprendo il terreno con
-l'abbondanza della loro neve odorante. In certi
-momenti l'aria, pregna dell'aroma, aveva un
-sapore dolce e possente come quello di un vino
-prelibato. Le fontane, invisibili tra la verzura,
-mormoravano. A tratti, la cima mobile scintillante
-<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span>
-degli zampilli appariva fuor del fogliame,
-scompariva, riappariva, con vari giochi; e alcuni
-zampilli bassi producevano nei fiori e nelle erbe
-un fruscìo e uno scompiglio singolari, sembrando
-bestie vive che vi corressero a traverso
-o vi pascolassero o vi scavassero tane. Gli uccelli,
-invisibili, cantavano.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura, seduta sotto la pergola, meditava.
-</p>
-
-<p>
-Ella era una donna già vecchia. Aveva il profilo
-fine e signorile; il naso lungo, lievemente
-aquilino, la fronte un po' troppo ampia, la bocca
-perfetta, ancora fresca, piena di benignità. I capelli
-canuti le si piegavano su le tempie e le
-facevano intorno al capo una specie di corona.
-Doveva essere stata molto bella, nella gioventù,
-ed amabile.
-</p>
-
-<p>
-Era venuta da due soli giorni in quella casa
-solitaria, col marito e con pochi servi. Aveva
-rinunziato alla villa magnatizia che sorgeva sopra
-un colle del Piemonte, abituale soggiorno estivo;
-aveva rinunziato al mare, per quella campagna
-deserta e quasi arida.
-</p>
-
-<p>
-— Ti prego, andiamo a Penti, — aveva detto
-al marito.
-</p>
-
-<p>
-Il barone settuagenario era rimasto da prima
-<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span>
-un po' stupefatto, a quello strano desiderio della
-moglie.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè a Penti? Che s'andava a fare a
-Penti?
-</p>
-
-<p>
-— Ti prego, andiamo. Per mutare — aveva
-insistito Donna Laura.
-</p>
-
-<p>
-Il barone, come sempre, s'era lasciato persuadere.
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo.
-</p>
-
-<p>
-Ora, Donna Laura custodiva un segreto.
-</p>
-
-<p>
-Nella giovinezza, la sua vita era stata attraversata
-dalla passione. A diciotto anni aveva
-sposato il barone Albònico, per ragioni di convenienza
-familiare. Il barone militava sotto il
-primo Napoleone, con molta prodezza; egli stava
-quasi sempre assente dalla sua casa, poichè seguiva
-ovunque il volo delle aquile imperiali. In
-una di quelle lunghe assenze, il marchese di
-Fontanella, un giovine signore che aveva moglie
-e figliuoli, fu preso d'amore per Donna Laura;
-e, come egli era bellissimo ed ardente, vinse
-alfine ogni resistenza dell'amata.
-</p>
-
-<p>
-Allora pei due amanti una stagione passò
-nella felicità più dolce. Essi vivevano nell'oblio
-di tutte le cose.
-</p>
-
-<p>
-Ma un giorno Donna Laura s'accorse d'essere
-<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span>
-incinta; pianse, si disperò, rimase in una
-terribile angoscia, non sapendo che risolvere,
-come salvarsi. Per consiglio del suo amico,
-partì alla volta della Francia; si nascose in un
-piccolo paese della Provenza, in una di quelle
-terre solatíe piene di verzieri, dove le donne
-parlano l'idioma dei trovatori.
-</p>
-
-<p>
-Abitava una casa di campagna, circondata da
-un grande orto. Gli alberi fiorivano: era la primavera.
-Fra i terrori e le nere malinconie, ella
-aveva intervalli d'una infinita dolcezza. Passava
-lunghe ore seduta all'ombra, in una specie d'inconsapevolezza,
-mentre il sentimento vago della
-maternità le dava a tratti a tratti un brivido profondo.
-I fiori in torno a lei emanavano un profumo
-acuto: leggiere nausee le salivano alla gola
-e le propagavano per tutte le membra una lassitudine
-immensa. Che giorni indimenticabili!
-</p>
-
-<p>
-E, quando il momento solenne si avvicinava,
-giunse, desiderato, il suo amico. La povera donna
-soffriva. Egli le stava accanto, pallido in viso,
-parlando poco, baciandole spesso le mani. Ella
-partorì di notte. Gridava, fra gli spasimi; si afferrava
-convulsamente alla lettiera; credeva di
-morire. I primi vagiti dell'infante le scossero
-l'anima dalle radici. Ella, supina, con la testa
-<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span>
-un po' arrovesciata oltre i guanciali, bianca
-bianca, senza più voce, senza più forza per tenere
-aperte le palpebre, agitava dinanzi a sè le
-mani esangui, debolmente, in certi piccoli movimenti
-vaghi, come fanno talvolta i moribondi
-verso la luce.
-</p>
-
-<p>
-Il giorno dopo, tutto il giorno, ella tenne seco,
-nel medesimo letto, sotto la medesima coperta,
-il bambino. Era un essere fragile, molle, un po'
-rossiccio, che vibrava d'una palpitazione incessante,
-di una vita palese, e in cui le forme umane
-non avevano certezza. Gli occhi stavano ancora
-chiusi, un po' gonfi; e dalla bocca usciva un lamento
-fioco, quasi un miagolío indistinto.
-</p>
-
-<p>
-La madre, rapita, non si saziava di riguardare,
-di toccare, di sentirsi su la guancia l'alito filiale.
-Dalla finestra entrava una luce bionda e si vedevano
-le terre provenzane tutte coperte di mèssi.
-Il giorno aveva una specie di santità. I canti dal
-fromento si avvicendavano, nell'aria quieta.
-</p>
-
-<p>
-Dopo, il bambino le fu tolto, fu nascosto, fu
-portato chi sa dove. Ella non lo rivide più. Ella
-tornò alla sua casa; e visse col marito la vita
-di tutte le donne, senza che nessun altro avvenimento
-sopraggiungesse a turbarla. Non ebbe
-altri figliuoli.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma il ricordo, ma l'adorazione ideale di quella
-creatura ch'ella non vedeva più, ch'ella non sapeva
-più dove fosse, le occuparono l'anima per
-sempre. Ella non aveva se non quel pensiero;
-rammentava tutte le minime particolarità di quei
-giorni; rivedeva chiaramente il paese, la forma
-di certi alberi che stavano dinanzi alla casa, la
-linea d'una collina che chiudeva l'orizzonte, il
-colore e i disegni del tessuto che copriva il
-letto, una macchia nella vòlta della stanza, un
-piccolo piatto figurato su cui le portavano il
-bicchiere, tutto, tutto, chiaramente, minutamente.
-Ad ogni momento il fantasma di quelle cose
-lontane le sorgeva nella memoria, così, senza
-ordine, senza legame, come nei sogni. A volte
-ella ne rimaneva quasi stupita. Le tornavano
-dinanzi, precisi e viventi, i volti di certe persone
-vedute laggiù, i loro moti, un loro gesto
-insignificante, una loro attitudine, un loro sguardo.
-Le pareva di avere negli orecchi il vagito della
-creatura, di toccare le mani esilissime, rosee,
-molli, quelle manine che forse erano la sola parte
-già tutta formata perfettamente, simile alla miniatura
-d'una mano d'uomo, con le vene quasi
-impercettibili, con le falangi segnate di pieghe
-sottili, con le unghie trasparenti, tenere, appena
-<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span>
-appena suffuse di viola. Oh, quelle mani! Con
-che strano brivido la madre pensava alla loro
-carezza inconsapevole! Come ne sentiva l'odore,
-l'odore singolare che ricorda quello dei colombi
-nella prima piuma!
-</p>
-
-<p>
-Così Donna Laura, chiusa in questa specie di
-mondo interiore che ogni giorno più assumeva
-le apparenze della vita, passò gli anni, molti anni,
-sino alla vecchiezza. Tante volte aveva chiesto all'antico
-amante notizie del figliuolo. Ella avrebbe
-voluto rivederlo, sapere il suo stato.
-</p>
-
-<p>
-— Ditemi dov'è, almeno. Vi prego.
-</p>
-
-<p>
-Il marchese, temendo un'imprudenza, si rifiutava.
-«Ella non doveva vederlo. Ella non avrebbe
-saputo contenersi. Il figlio avrebbe indovinato
-tutto; si sarebbe valso del segreto per
-i suoi fini; avrebbe forse rivelato ogni cosa...
-No, no, ella non doveva vederlo.»
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura, dinanzi a queste argomentazioni
-d'uomo pratico, rimaneva smarrita. Ella non sapeva
-imaginarsi che la sua creatura fosse cresciuta,
-fosse già adulta, fosse già presso al limitare
-della vecchiaia. Oramai erano passati circa
-quarant'anni dal giorno della nascita; eppure ella
-nel suo pensiero non vedeva se non un bambino,
-roseo, con gli occhi ancora chiusi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma il marchese di Fontanella venne a morire.
-</p>
-
-<p>
-Quando Donna Laura seppe la malattia del
-vecchio, fu presa da un'angoscia così penosa che
-una sera, non potendo più resistere allo spasimo,
-uscì sola, si diresse verso la casa dell'infermo,
-perchè un pensiero tenace la sospingeva, il pensiero
-del figlio. Prima che il vecchio morisse,
-ella voleva conoscere il segreto.
-</p>
-
-<p>
-Camminò lungo i muri, tutta raccolta, come
-per non farsi vedere. Le strade erano piene di
-gente; l'ultimo chiarore del tramonto faceva rosee
-le case; tra una casa e l'altra un giardino appariva
-tutto violaceo di lilla in fiore. Voli di rondini,
-rapidi e circolari, s'intrecciavano nel cielo
-luminoso. Frotte di bambini passavano a corsa,
-con grida e con richiami. Talvolta passava una
-femmina incinta, a braccio del marito; e l'ombra
-della sua gonfiezza si disegnava sul muro.
-Donna Laura pareva incalzata da tutta quella
-gioconda vitalità delle cose e delle persone. Ella
-affrettava il passo, fuggiva. Gli splendori varii delle
-vetrine, delle botteghe aperte, dei caffè le davano
-agli occhi un senso acuto di dolore. A poco
-a poco una specie di stordimento le occupava
-la testa; una specie di sbigottimento le prendeva
-lo spirito. — Che faceva? Dove andava? — In
-<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
-quel disordine della coscienza, le pareva quasi
-di commettere una colpa; le pareva che tutti la
-guardassero, la indagassero, indovinassero il suo
-pensiero.
-</p>
-
-<p>
-Ora la città s'invermigliava agli ultimi rossori
-del sole. Qua e là, dentro le cantine, i cori del
-vino si levavano.
-</p>
-
-<p>
-Come Donna Laura giunse alla porta, non ebbe
-forza di entrare. Passò oltre, fece venti passi;
-poi ritornò in dietro, ripassò. Finalmente varcò
-la soglia, salì le scale; si fermò, sfinita, nell'anticamera.
-</p>
-
-<p>
-Nella casa c'era quell'animazione silenziosa di
-cui i familiari circondano il letto dell'infermo.
-I domestici camminavano in punta di piedi, portando
-qualche cosa fra le mani. Avvenivano dialoghi
-a bassa voce, nel corridoio. Un signore
-calvo, tutto vestito di nero, attraversò la sala,
-s'inchinò a Donna Laura, ed uscì.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura chiese a un domestico, con la
-voce omai ferma:
-</p>
-
-<p>
-— La marchesa?
-</p>
-
-<p>
-Il domestico indicò rispettosamente col gesto
-un'altra stanza a Donna Laura. Quindi corse ad
-annunziare la visita.
-</p>
-
-<p>
-La marchesa apparve. Era una signora piuttosto
-<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span>
-pingue, con i capelli grigi. Aveva gli occhi
-pieni di lacrime. Aperse le braccia all'amica,
-senza parlare, soffocata da un singulto.
-</p>
-
-<p>
-Dopo un poco, Donna Laura chiese, non alzando
-gli occhi:
-</p>
-
-<p>
-— Si può vedere?
-</p>
-
-<p>
-Profferite le parole, strinse le mascelle per reprimere
-un tremito violento.
-</p>
-
-<p>
-La marchesa disse:
-</p>
-
-<p>
-— Vieni.
-</p>
-
-<p>
-Le due donne entrarono nella stanza dell'infermo.
-La luce ivi era mite; l'odore di un farmaco,
-empiva l'aria; gli oggetti segnavano
-grandi e strane ombre. Il marchese di Fontanella,
-disteso nel letto, pallido, pieno di rughe, sorrise
-a Donna Laura, vedendola. Disse lentamente:
-</p>
-
-<p>
-— Grazie, baronessa.
-</p>
-
-<p>
-E le tese la mano ch'era umidiccia e tiepida.
-</p>
-
-<p>
-Egli pareva aver ripreso gli spiriti d'un tratto,
-per uno sforzo di volontà. Parlò di varie cose, curando
-le parole, come quando stava sano.
-</p>
-
-<p>
-Ma Donna Laura, all'ombra, lo fissava con
-uno sguardo così ardente di supplicazione che
-egli, indovinando, si volse alla moglie.
-</p>
-
-<p>
-— Giovanna, ti prego, preparami tu la pozione,
-come stamattina.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
-</p>
-
-<p>
-La marchesa chiese licenza, ed uscì senza
-sospetto. Nel silenzio della casa si udirono i passi
-di lei allontanarsi su i tappeti.
-</p>
-
-<p>
-Allora Donna Laura, con un moto indescrivibile,
-si chinò sul vecchio, gli prese le mani,
-gli strappò le parole con gli occhi.
-</p>
-
-<p>
-— A Penti... Luca Marino... ha moglie, figli...
-una casa... Non lo vedere! Non lo vedere! — balbettò
-il vecchio, a fatica, preso da un terrore
-subitaneo che gli dilatava le pupille. — A Penti...
-Luca Marino... Non ti svelare mai!
-</p>
-
-<p>
-Già la marchesa veniva, con il medicamento.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura sedette; si contenne. L'infermo
-bevve; e i sorsi scendevano nella gola con un gorgoglio,
-a uno a uno, distinti, regolari.
-</p>
-
-<p>
-Poi successe un silenzio. E l'infermo parve
-preso da sopore: tutta la faccia gli si fece più
-cava; ombre più profonde, quasi nere, gli occuparono
-le occhiaie, le guance, le narici, la
-gola.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura si accommiatò dall'amica; se ne
-andò, trattenendo il respiro, pianamente.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Tutte queste vicende ripensava la vecchia signora,
-sotto la pergola, nel giardino tranquillo.
-Che cosa ora dunque la tratteneva dal rivedere
-il figlio? Ella avrebbe avuto la forza di reprimersi;
-ella non si sarebbe svelata, no. Le bastava
-di rivederlo, il figlio suo, quello ch'ella aveva
-tenuto su le braccia un giorno solo, tanti anni
-a dietro, tanti, tanti anni! Era cresciuto? Era
-grande? Era bello? Com'era?
-</p>
-
-<p>
-E mentre così interrogava sè stessa, nel fondo
-del suo spirito ella non giungeva a raffigurarsi
-l'uomo. Sempre in lei l'imagine dell'infante persisteva,
-si sovrapponeva ad ogni altra imagine,
-vinceva con la nitida chiarezza delle sue forme
-ogni altra forma fantastica che tentasse di sorgere.
-Ella non preparava l'animo, si abbandonava
-debolmente al sentimento indeterminato. Il
-senso della realtà in quel momento le mancava.
-</p>
-
-<p>
-— Io lo vedrò! Io lo vedrò! — ripeteva in sè
-stessa, inebriandosi.
-</p>
-
-<p>
-Le cose in torno tacevano. Il vento faceva incurvare
-i roseti che, passato il soffio, seguitavano
-<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span>
-a muoversi pesantemente. Gli zampilli scintillavano
-e guizzavano, tra il verde, come stocchi.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura stette un poco in ascolto. Dal silenzio,
-nell'ora pànica, sorgeva qualcosa di grande
-e di inesorabile, che le infuse nell'animo uno
-sgomento misterioso. Ella esitò. Poi si mise pel
-viale, da prima con passi rapidi; giunse al cancello
-tutto abbracciato dalle piante e dai fiori;
-sostò, per guardarsi in dietro: aprì. Dinanzi a lei
-la campagna si stendeva deserta sotto il meriggio.
-Le case di Penti in lontananza biancheggiavano
-su l'azzurro del cielo, con un campanile,
-con una cupola, con due o tre pini. Il fiume si
-svolgeva nella pianura, tortuoso e lucentissimo,
-toccando le case.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura pensò: — Egli è là. — E tutte
-le sue fibre di madre vibrarono. Animata, riprese
-a camminare, guardando dinanzi a sè con
-gli occhi che il sole fastidiva, non curando il calore.
-A un certo punto della strada cominciarono
-gli alberi, magri pioppetti tutti canori di cicale.
-Due femmine scalze, ciascuna con un cesto sul
-capo, venivano incontro.
-</p>
-
-<p>
-— Sapete la casa di Luca Marino? — chiese la
-signora, presa da una voglia irresistibile di pronunziare
-quel nome a voce alta, liberamente.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span>
-</p>
-
-<p>
-Le femmine la guardarono, stupefatte, soffermandosi.
-</p>
-
-<p>
-Una rispose con semplicità:
-</p>
-
-<p>
-— Noi non siamo di Penti.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura, malcontenta seguitò la via, provando
-già un poco di stanchezza nelle povere
-membra senili. Gli occhi, offesi dalla luce intensa,
-le facevano vedere alcune mobili macchie rosse
-nell'aria. Un leggero principio di vertigine le
-turbava il cervello.
-</p>
-
-<p>
-Penti si avvicinava sempre più. I primi tuguri
-apparvero tra molte piante di girasoli. Una femmina,
-mostruosa per l'adipe, stava seduta sopra
-una soglia; ed aveva su quel gran corpo una
-testa infantile, gli occhi dolci, i denti schietti, il
-sorriso placidissimo.
-</p>
-
-<p>
-— O signora, dove andate? — chiese la femmina,
-con un accento ingenuo di curiosità.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura si accostò. Aveva il volto tutto
-infiammato e la respirazione corta. Le forze
-erano per mancarle.
-</p>
-
-<p>
-— Mio Dio! Oh mio Dio! — gemeva ella, reggendosi
-le tempie con le palme. — Oh mio Dio!
-</p>
-
-<p>
-— Signora, riposatevi — diceva la femmina
-ospitale, invitandola ad entrare.
-</p>
-
-<p>
-La casa era bassa ed oscura; ed aveva quell'odor
-<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span>
-particolare che hanno tutti i luoghi dove
-molta gente agglomerata vive. Tre o quattro
-bambini nudi, anch'essi col ventre così gonfio
-che parevano idropici, si trascinavano sul suolo,
-borbottando, brancicando, portando alla bocca
-per istinto qualunque cosa capitasse loro sotto
-le mani.
-</p>
-
-<p>
-Mentre Donna Laura seduta riprendeva le
-forze, la femmina parlava oziosamente, tenendo
-fra le braccia un quinto bambino, tutto coperto
-di croste nerastre tra mezzo a cui si aprivano
-due grandi occhi, puri ed azzurri, come due fiori
-miracolosi.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Qual'è la casa di Luca Marino?
-</p>
-
-<p>
-L'ospite col gesto indicò una casa rossiccia,
-</p>
-
-<p>
-all'estremità del paese, in vicinanza del fiume,
-circondata quasi da un colonnato di alti pioppi.
-</p>
-
-<p>
-— È quella, perchè?
-</p>
-
-<p>
-La vecchia signora si sporse per guardare.
-</p>
-
-<p>
-Gli occhi le dolevano, feriti dalla luce solare,
-e le palpebre le battevano forte. Ma ella stette
-qualche minuto in quell'attitudine, respirando con
-fatica, senza rispondere, quasi soffocata da una
-sollevazione di sentimento materno. — Quella
-dunque era la casa del suo figliuolo? — Subitamente,
-<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
-le apparvero l'interno della stanza lontana,
-il paese di Provenza, le persone, le cose, come
-nel bagliore di un lampo, ma evidenti, nettissimi.
-Ella si lasciò ricadere su la sedia, e rimase
-muta, confusa, in una specie di ottusità
-fisica proveniente forse dall'azione del sole. Negli
-orecchi aveva un ronzío continuo.
-</p>
-
-<p>
-Disse l'ospite:
-</p>
-
-<p>
-— Volete passare il fiume?
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura fece un cenno fievole, incantata
-da un turbinío di circoli rossi che le si producevano
-nella retina.
-</p>
-
-<p>
-— Luca Marino porta uomini e bestie da una
-riva all'altra. Ha una barca e una chiatta — seguitò
-l'ospite. — Se no, bisogna andare fino a
-Prezzi a cercare il guado. È trent'anni che fa
-il mestiere! È sicurissimo, signora.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura ora ascoltava, facendo uno sforzo
-per raccogliere i suoi spiriti che si disperdevano.
-Ma pure, dinanzi a quelle novelle del figliuolo,
-restava smarrita; quasi non comprendeva.
-</p>
-
-<p>
-— Luca non è del paese — riprese la femmina
-grassa, trascinata dalla nativa loquacità. — L'hanno
-allevato i Marino che non avevano figliuoli.
-E un signore, non di qui, gli ha dotata
-<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span>
-la moglie. Ora vive bene; lavora; ma ha il vizio
-del vino.
-</p>
-
-<p>
-La femmina diceva queste cose ed altre, con
-semplicità grande, senza malizia per l'origine
-sconosciuta di Luca.
-</p>
-
-<p>
-— Addio, addio — fece Donna Laura, levandosi,
-presa da un vigore fittizio. — Grazie, buona
-donna.
-</p>
-
-<p>
-Porse a uno dei bimbi una moneta; ed uscì
-alla luce.
-</p>
-
-<p>
-— Per quella viottola! — le gridò dietro, indicando,
-l'ospite.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura seguì la viottola. Un gran silenzio
-regnava intorno, e nel silenzio le cicale
-cantavano a distesa. Alcuni gruppi d'olivi contorti
-e nodosi sorgevano dal terreno disseccato.
-Il fiume, a sinistra, brillava.
-</p>
-
-<p>
-— Ooh, La Martinaaa! — chiamò una voce, in
-lontananza, dalla parte del fiume.
-</p>
-
-<p>
-Quella voce umana d'improvviso fece tremare
-le vene della vecchia. Ella guardò. Sul fiume
-navigava una barca, a pena visibile tra il vapor
-luminoso; e un'altra barca, ma a vela, biancheggiava
-a maggior distanza. Nella prima barca
-si scorgevano forme d'animali: erano forse cavalli.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ooh, La Martinaaa! — richiamò la voce.
-</p>
-
-<p>
-Le due barche si avvicinavano l'una all'altra.
-Quello era il punto delle secche, dove i barcaiuoli
-pericolavano quando il carico pesava.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura, ferma sotto un olivo, appoggiata
-al tronco, seguiva con lo sguardo la vicenda.
-Il cuore le palpitava con tanta violenza
-che le pareva i battiti empissero tutta la campagna
-circostante. Il fruscío dei rami, il canto
-delle cicale, il lampeggío delle acque, tutte le
-apparenze la turbavano, le si confondevano
-nello spirito col disordine della demenza. L'accumulamento
-lento del sangue nel cervello, per
-l'azione del sole, le dava ora una visione leggermente
-rossa, un principio di vertigine.
-</p>
-
-<p>
-Le due barche, giunte a un gomito del fiume,
-non si videro più.
-</p>
-
-<p>
-Allora Donna Laura riprese a camminare, un
-po' barcollante, come un'ebra. Le apparve un
-gruppo di case riunite intorno a una specie di
-corte. Sei o sette mendicanti meriggiavano ammucchiati
-in un angolo: le loro carni rossastre,
-maculate dalle malattie della cute, uscivano
-di tra i cenci; nei loro volti deformi il sonno
-aveva una pesantezza bestiale. Qualcuno dormiva
-bocconi, con la faccia nascosta tra le
-<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span>
-braccia piegate a cerchio. Qualche altro dormiva
-supino, con le braccia aperte, nell'attitudine del
-Cristo crocifisso. Un nuvolo di mosche turbinava
-e ronzava su quelle povere carcasse umane,
-denso e laborioso, come sopra un cumulo di fimo.
-Dalle porte socchiuse veniva un rumore di telai.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura attraversò la piazzetta. Il suono
-de' suoi passi su le pietre fece risvegliare un
-mendicante che si levò su i gomiti e, tenendo
-gli occhi ancora chiusi, balbettò macchinalmente:
-</p>
-
-<p>
-— La carità, per l'amore di Dio!
-</p>
-
-<p>
-A quella voce tutti i mendicanti si risvegliarono,
-e tutti sorsero.
-</p>
-
-<p>
-— La carità, per l'amore di Dio!
-</p>
-
-<p>
-— La carità, per l'amore di Dio!
-</p>
-
-<p>
-La torma cenciosa si mise a seguitare la passante,
-chiedendo l'elemosina, tendendo le mani.
-Uno era storpio e camminava a piccoli salti,
-come una scimmia ferita. Un altro si trascinava
-sul sedere puntellandosi con ambo le braccia,
-come fanno con le zampe le locuste, poichè
-aveva tutta la parte inferiore del corpo morta.
-Un altro aveva un gran gozzo paonazzo e rugoso
-che ad ogni passo ondeggiava come una giogaia.
-Un altro aveva un braccio ritorto come
-una grossa radice.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span>
-</p>
-
-<p>
-— La carità, per l'amore di Dio!
-</p>
-
-<p>
-Le loro voci erano varie, alcune cavernose
-e roche, altre acute e feminine come
-quelle degli evirati. Ripetevano sempre le stesse
-parole, con lo stesso accento, in un modo accorante.
-</p>
-
-<p>
-— La carità, per l'amore di Dio!
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura, così inseguita da quella gente
-mostruosa, provava una voglia istintiva di fuggire,
-di salvarsi. Uno sbigottimento cieco la teneva.
-Avrebbe forse gridato, se avesse avuta
-la voce nella gola. I mendicanti le instavano da
-presso, le toccavano le braccia, con le mani tese.
-Volevano l'elemosina, tutti.
-</p>
-
-<p>
-La vecchia signora si cercò nella veste, prese
-alcune monete, le lasciò cadere dietro di sè. Gli
-affamati si fermarono, si gittarono avidamente
-su le monete, lottando, stramazzando sul terreno,
-dando calci, calpestandosi. Bestemmiavano.
-</p>
-
-<p>
-Tre rimasero con le mani vuote; e ripresero
-a seguitare la vecchia incattiviti.
-</p>
-
-<p>
-— Noi non l'abbiamo avuta! Noi non l'abbiamo
-avuta!
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura, disperata per quella persecuzione,
-diede altre monete, senza volgersi. La
-lotta fu tra lo storpio e il gozzuto. Ambedue
-<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span>
-presero. Ma un povero epilettico idiota, che
-tutti opprimevano e dileggiavano, non ebbe nulla;
-e si mise a piagnucolare, leccandosi le lacrime
-e il moccio che gli colava dal naso, con un verso
-ridicolo:
-</p>
-
-<p>
-— Ahu, ahu, ahuuu!
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Donna Laura infine era giunta alla casa dei
-pioppi.
-</p>
-
-<p>
-Ella si sentiva sfinita: le si offuscava la vista,
-le tempie le battevano forte, la lingua le ardeva;
-le gambe sotto le si piegavano. Dinanzi a lei,
-un cancello stava aperto. Ella entrò.
-</p>
-
-<p>
-L'aia circolare era limitata da pioppi altissimi.
-Due degli alberi sostenevano un cumulo di paglia
-di fromento, tra mezzo a cui uscivano i rami
-fronzuti. Poichè in giro l'erba cresceva, due
-vacche falbe vi pascolavano pacificamente battendosi
-con la coda i fianchi nutriti; e tra le
-gambe a loro penzolavano le mammelle gonfie
-di latte, colorite come frutti succulenti. Molti
-arnesi di agricoltura stavano sparsi pel suolo.
-Le cicale, in su gli alberi, cantavano. Nel mezzo,
-<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span>
-tre o quattro cuccioli ruzzavano abbaiando verso
-le vacche o inseguendo le galline.
-</p>
-
-<p>
-— O signora, che cerchi? — chiese un vecchio,
-uscendo dalla casa. — Vuoi <i>passare</i>?
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio, calvo, con la barba rasa, teneva
-tutto il corpo in avanti su le gambe inarcate. Le
-sue membra erano deformate dalle rudi fatiche,
-dall'opera dell'arare che fa sorgere la spalla sinistra
-e torcere il busto, dall'opera del falciare
-che fa tenere le ginocchia discoste, dall'opera
-del potare che curva in due la persona, da tutte le
-opere lente e pazienti della coltivazione. Egli, dicendo
-l'ultima parola, accennava al fiume.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, sì — rispose Donna Laura non sapendo
-che dire, non sapendo che fare, smarrita.
-</p>
-
-<p>
-— Allora vieni. Ecco Luca che torna — soggiunse
-il vecchio, volgendosi al fiume dove navigava
-a forza di pertiche una chiatta carica di
-pecore.
-</p>
-
-<p>
-Egli condusse la passeggiera, a traverso un
-orto irrigato, fin sotto a una pergola dove altri
-passeggieri attendevano. Camminando innanzi,
-egli lodava le verzure e faceva pronostici, per
-consuetudine di agricoltore invecchiato tra le
-cose della terra.
-</p>
-
-<p>
-Volgendosi a un tratto, poichè la signora restava
-<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span>
-muta come se non udisse, vide che ella
-aveva i cigli pieni di lacrime.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè piangi, signora? — le chiese con la
-stessa tranquillità con cui parlava delle verzure. — Ti
-senti male?
-</p>
-
-<p>
-— No, no... niente... — mormorò Donna Laura
-che si sentiva morire.
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio non disse altro. Egli era così indurato
-alla vita, che i dolori altrui non lo commovevano.
-Egli vedeva, tutti i giorni, tanta gente
-diversa <i>passare</i>!
-</p>
-
-<p>
-— Siedi — fece, come giunse alla pergola.
-</p>
-
-<p>
-Là tre uomini della campagna attendevano,
-uomini giovani, carichi di fardelli. Tutt'e tre
-fumavano in grosse pipe, mettendo nel fumare
-una attenzione profonda, come per gustarne intera
-la voluttà, secondo il costume della gente
-campestre nei rari diletti. Ad intervalli, dicevano
-quelle lunghe cose insignificanti che l'agricoltore
-ripete senza fine e che appagano lo spirito di
-lui tardo ed angusto.
-</p>
-
-<p>
-Guardarono un poco, stupefatti, Donna Laura.
-Poi ripresero la loro impassibilità.
-</p>
-
-<p>
-Uno di loro avvertì, tranquillamente:
-</p>
-
-<p>
-— Ecco la chiatta.
-</p>
-
-<p>
-Un altro aggiunse:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Porta le pecore di Bidena.
-</p>
-
-<p>
-Il terzo:
-</p>
-
-<p>
-— Saranno quindici.
-</p>
-
-<p>
-E si levarono, insieme, intascando le pipe.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura era caduta in una specie di stupidimento
-inerte. Le lacrime le si erano fermate
-su i cigli. Ella avea perduto il senso della realità.
-Dov'era? Che faceva?
-</p>
-
-<p>
-La chiatta urtò leggermente contro la riva.
-Le pecore, strette le une contro le altre, belavano
-intimidite dall'acqua. Il pastore, il traghettatore
-ed il figlio le aiutavano a discendere a
-terra. Le pecore, appena discese, facevano
-una piccola corsa; poi si fermavano, si riunivano
-e si mettevano a belare ancora. Due o tre agnelli
-saltellavano su le gambe lunghe e deformi, tentando
-i capezzoli materni.
-</p>
-
-<p>
-Compiuta la bisogna, Luca Marino fermò la
-chiatta. Poi a grandi passi lenti salì la riva, verso
-l'orto. Era un uomo di quarant'anni circa, alto,
-magro, con la faccia rossiccia, calvo alle tempie.
-Aveva baffi di colore incerto e una manata di
-peli sparsa disugualmente per il mento e per le
-guance; l'occhio un po' torbido, senza alcuna vivacità
-d'intelligenza, venato di sanguigno, come
-quello dei bevitori. La camicia aperta lasciava
-<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span>
-vedere il petto velloso, un berretto carico d'untume
-copriva la testa.
-</p>
-
-<p>
-— Ahuf! — esclamò egli d'un tratto, in faccia
-alla pergola, fermandosi su le gambe aperte e
-nettandosi con le dita la fronte stillante di sudore.
-</p>
-
-<p>
-Passò dinanzi ai passeggieri, senza guardarli.
-In tutti i suoi gesti e in tutte le sue attitudini
-era incomposto e quasi brutale. Le mani, enormi,
-gonfie di vene sul dorso, le mani avvezze al remo
-parevano essergli d'impaccio. Egli le teneva penzoloni
-lungo i fianchi e le dondolava camminando.
-</p>
-
-<p>
-— Ahuf! Che sete!...
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura stava come impietrita, senza più
-parole, senza più conscienza, senza più volontà.
-</p>
-
-<p>
-Quello era il suo figliuolo! Quello era il suo
-figliuolo!
-</p>
-
-<p>
-Una femmina gravida, che aveva già una figura
-senile, disfatta dal lavoro e dalla fecondità,
-venne a porgere al marito assetato un boccale
-di vino. L'uomo bevve d'un fiato. Poi si asciugò
-le labbra col dorso della mano e fece schioccare
-la lingua. Disse, bruscamente, come se la nuova
-fatica gli fosse dura:
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo.
-</p>
-
-<p>
-Insieme col primogenito, ch'era un grosso fanciullo
-di quindici anni, preparò il legno: mise tra
-<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span>
-il bordo e la riva due tavole per rendere agevole
-ai passeggieri l'imbarco.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè non monti, signora? — fece il vecchio
-di dianzi, vedendo che Donna Laura non si moveva
-e non parlava.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura si levò, macchinalmente, e seguì
-il vecchio che le diede aiuto nel salire. Perchè
-saliva ella? Perchè passava il fiume? Non pensò;
-non giudicò l'atto. Il suo spirito, così colpito, rimaneva
-ora inerte, quasi immobile in un punto. — Quello
-era il figlio. — E a poco a poco ella sentiva
-in sè qualche cosa estinguersi, svanire; sentiva
-nella mente a poco a poco farsi una gran
-vacuità. Non comprendeva più niente. Vedeva,
-udiva, come in un sogno.
-</p>
-
-<p>
-Quando il primogenito di Luca venne a lei per
-chiedere la mercè del traghetto, prima che la
-barca si staccasse dalla riva, ella non intese. Il
-fanciullo scoteva nel concavo delle mani le monete
-ricevute da uno dei passeggieri; e ripeteva
-la domanda a voce più alta, credendo che la signora
-fosse sorda per la vecchiezza.
-</p>
-
-<p>
-Ella, come vide gli altri due uomini mettere
-la mano in tasca e pagare, imitò quell'atto, risovvenendosi.
-Ma diede più del dovuto.
-</p>
-
-<p>
-Il fanciullo volle farle intendere ch'egli non
-<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span>
-poteva renderle l'avanzo, perchè non l'aveva.
-Ella non comprese. Il fanciullo prese tutto il danaro,
-con una smorfia di malizia. I presenti sorrisero,
-di quel sorriso astuto che hanno gli uomini
-campestri in conspetto di un inganno.
-</p>
-
-<p>
-Uno disse:
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo?
-</p>
-
-<p>
-Luca, che fin allora stava intento a tirar l'áncora,
-spinse la barca che si mosse dolcemente
-su l'acqua gorgogliante. La riva parve fuggire,
-con le canne e con i pioppi, ed incurvarsi come
-una falce. Il sole incendiava tutto il fiume, appena
-inclinato verso il cielo occidentale, dove sorgevano
-vapori violetti. Si vedeva ora su la riva
-un gruppo di gente che gesticolava; ed erano
-i mendicanti addosso all'idiota. A tratti, col vento
-giungevano anche lembi di parole e di risa simili
-a un'agitazione di flutti.
-</p>
-
-<p>
-I rematori, nudi il busto, vogavano a gran
-forza per superare il filo della corrente. Donna
-Laura vedeva il dorso di Luca, nero, dove le
-costole si disegnavano e colava a rivoli il sudore
-Teneva gli occhi fissi, un po' dilatati, pieni
-di ebetudine.
-</p>
-
-<p>
-Uno dei passeggieri avvertì, prendendo sotto
-il banco le sue robe:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ci siamo.
-</p>
-
-<p>
-Luca afferrò l'ancora e la gittò alla riva. La
-barca ridiscese con la corrente per tutta la lunghezza
-della corda; quindi si fermò con una
-stratta. I passeggieri furono a terra, d'un salto,
-ed aiutarono la vecchia signora, tranquillamente.
-Quindi si rimisero in cammino.
-</p>
-
-<p>
-La campagna da quella parte era coltivata a
-vigneti. Le viti, piccole e magre, verdeggiavano
-in filari. Alcuni alberi interrompevano qua e là
-il piano, con forme rotonde.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura si trovò sola, perduta, su quella
-riva senz'ombra, non avendo più conoscenza di
-sè che per il battito continuo delle arterie, per un
-romorío cupo ed assordante negli orecchi. Il suolo
-sotto i piedi le mancava e pareva affondarsi come
-fango o arena, ad ogni passo. Tutte le cose intorno
-turbinavano e si dileguavano; tutte le cose,
-ed anche la sua esistenza, le apparivano vagamente,
-lontane, dimenticate, finite per sempre. La
-follia le prendeva la mente. Ella, d'un tratto, vide
-uomini, case, un altro paese, un altro cielo. Urtò in
-un albero, cadde su una pietra; si rialzò. E il suo
-povero corpo sfinito traballava in moti terribili e
-insieme ridevoli; ma nessuna cosa intorno splendeva
-come i suoi capelli bianchi sotto il sole feroce.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ora, i mendicanti dall'altra riva avevano eccitato
-per dileggio l'idiota a passare il fiume a
-nuoto ed a raggiungere la donna per aver l'elemosina.
-Essi l'avevano spinto nell'acqua, dopo
-avergli strappati i cenci di dosso. E l'idiota nuotava
-come un cane, tra una pioggia di sassate
-che gl'impedivano di tornare addietro. Quegli uomini
-deformi fischiavano e urlavano, prendendo
-diletto nella crudeltà. Essi, come la corrente
-traeva l'idiota, arrancavano lungo la sponda e
-imperversavano.
-</p>
-
-<p>
-— Affoga! Affoga!
-</p>
-
-<p>
-L'idiota, con sforzi disperati, prese terra. E
-così ignudo, poichè in lui era morto con l'intelligenza
-il sentimento del pudore, si mise a camminare
-verso la donna, di traverso, com'era suo
-costume, tendendo la mano ad ogni tratto.
-</p>
-
-<p>
-La demente, rialzandosi, vide; e con un moto
-di orrore e con un grido acutissimo si diede a
-correre verso il fiume. Sapeva quel che faceva?
-Voleva morire? Che pensava ella, in quell'attimo?
-</p>
-
-<p>
-Giunta all'estremo limite, cadde nell'acqua.
-L'acqua gorgogliò, si chiuse pienamente; e tanti
-circoli successivi partirono dal luogo della caduta
-e si allargarono in lievi ondulazioni lucide
-e si dispersero.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span>
-</p>
-
-<p>
-I mendicanti dall'altra riva gridavano verso
-una barca che si allontanava:
-</p>
-
-<p>
-— Oh Lucaaa! Oh Luca Marinooo!
-</p>
-
-<p>
-E correvano verso la casa dei pioppi a dare
-la novella.
-</p>
-
-<p>
-Allora, come seppe il caso, Luca spinse la barca
-verso il luogo che gli indicavano, e chiamò La
-Martina che se ne veniva placidamente con il
-suo legno in balía della corrente.
-</p>
-
-<p>
-Disse Luca:
-</p>
-
-<p>
-— C'è un'annegata laggiù.
-</p>
-
-<p>
-Non si curò di raccontare il fatto e di parlare
-della persona, poichè non amava le molte parole.
-</p>
-
-<p>
-I due fiumátici misero i legni a paro e remigarono
-con calma.
-</p>
-
-<p>
-Disse La Martina:
-</p>
-
-<p>
-— Hai tu provato il vino nuovo di Chiachiù?
-Ti dico!...
-</p>
-
-<p>
-E fece un gesto che rappresentava l'eccellenza
-della bevanda.
-</p>
-
-<p>
-Luca rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Non ancora.
-</p>
-
-<p>
-Disse La Martina:
-</p>
-
-<p>
-— Ne prenderesti una goccia?
-</p>
-
-<p>
-Luca rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Io sì.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span>
-</p>
-
-<p>
-La Martina:
-</p>
-
-<p>
-— Dopo. Ci aspetta Iannangelo.
-</p>
-
-<p>
-Luca:
-</p>
-
-<p>
-— Va bene.
-</p>
-
-<p>
-Giunsero al luogo. L'idiota, che poteva meglio
-indicare il punto, era fuggito, e in mezzo alle
-vigne era stato preso da un accesso di epilessia.
-All'altra riva i curiosi cominciavano a radunarsi.
-</p>
-
-<p>
-Disse Luca al compagno:
-</p>
-
-<p>
-— Tu ferma la tua barca e salta nella mia. Uno
-rema e l'altro cerca.
-</p>
-
-<p>
-La Martina così fece. Egli remava su e giù
-per una ventina di metri, e Luca tentava il fondo
-del fiume con una lunga pertica. Ogni tanto Luca,
-sentendo qualche resistenza, mormorava:
-</p>
-
-<p>
-— Ecco.
-</p>
-
-<p>
-Ma s'ingannava sempre. Finalmente, dopo
-molte ricerche, Luca disse:
-</p>
-
-<p>
-— Questa volta c'è.
-</p>
-
-<p>
-E chinandosi e inarcando le gambe per far
-forza, sollevò piano piano il peso all'estremità
-della pertica. I bicipiti gli tremavano.
-</p>
-
-<p>
-La Martina chiese, lasciando il remo:
-</p>
-
-<p>
-— Vuoi che t'aiuti?
-</p>
-
-<p>
-Luca rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Non importa.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span></p>
-
-<h2 id="agonia">AGONIA.</h2>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Quando entrò Donna Letizia tenendo l'infermo
-su le belle braccia carnose con un'attitudine di
-misericordia lacrimevole, tutte le figlie accorsero
-a torno intenerite ed esalarono la gentil pietà
-dell'animo in querele gemebonde. Le voci femminili
-risonavano così nella stanza confusamente
-tra i rumori che dal traffico della strada salivano
-per le vetrate aperte; e al compianto delle
-fanciulle si mescevano in quel punto le interiezioni
-d'un cerretano magnificatore d'acque angelicali
-e di polveri mirifiche.
-</p>
-
-<p>
-Il cane, su le braccia della signora, ebbe allora
-un lieve tremito che gli corse per tutto il
-dorso fino alla estremità della coda; tentò di sollevare
-le palpebre, di volgere alle carezze quei
-suoi enormi occhi pieni di gratitudine. Moveva
-<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span>
-la testa in certi sforzi penosi, come se le corde
-del collo gli si fossero irrigidite; aveva la bocca
-semiaperta, da cui il lembo della lingua tenuta
-tra i due denti sporgenti usciva come una foglia
-vermiglia solcata di venature violacee. E una
-bava molle gl'inumidiva il mento, quella piccola
-parte della mandibola inferiore dove la rarezza
-dei peli lasciava apparire la pelle rosea. E la
-fatica del respiro a volte gli s'inaspriva in una
-specie di raucedine sibilante, mentre le narici
-d'ora in ora si disseccavano e prendevano l'aspetto
-duro e scabro di un tartufo.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, Sancio, povero Sancio, che t'hanno fatto?
-Povero bibì, eh? Povero vecchio mio!..
-</p>
-
-<p>
-Le commiserazioni delle fanciulle sensibili si
-facevano via via più tenere, finivano in un balbettío
-pargoleggiante di parole senza significato,
-di suoni lamentevoli, di lezii carezzevoli. Tutte
-volevano passar la mano su la testa dell'animale,
-prendere una delle zampe, toccare le narici.
-Donna Letizia sorreggeva il dolce peso maternamente;
-e le sue dita grasse e bianche, le cui
-falangi parevano gonfie quasi per un morbo, le
-sue dita vellicavano pianamente il ventre di
-Sancio, s'insinuavano tra il pelo.
-</p>
-
-<p>
-Nella stanza entrava la luce del pomeriggio
-<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span>
-e il fresco della marina, a traverso le tende verdognole.
-Otto stampe colorite, chiuse in cornici
-nere, adornavano le pareti coperte di una carta
-a fiorami gialli. Sopra un vecchio canterale del
-Settecento, con la lastra di marmo roseo e le
-borchie di ottone, posava tra due piccoli specchi
-retti da sostegni d'argento un trionfo di fiori di
-cera in una campana di cristallo. Sopra il caminetto
-scintillava una coppia di candelabri dorati,
-con le candele intatte. Un automa di cartapesta,
-raffigurante un macacco in abito moresco, meditava
-immobile dall'alto d'uno di quei tavolini
-intarsiati che vengono di Sorrento. Molte seggiole
-con su la spalliera vignette di favole pastorali,
-un canapè dell'Impero, due poltrone
-moderne, concorrevano alla discordia delle forme
-e dei colori.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Come l'infermo venne adagiato in grembo a
-una delle poltrone, ci fu nella stanza un intervallo
-di silenzio. Sancio si levò un momento in
-piedi tremando, si rigirò più volte cercando una
-positura meno dolorosa, nella irrequietudine della
-sofferenza, tentò di poggiare la testa su uno dei
-<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span>
-bracciuoli, si piegò su le gambe di dietro; stette
-così alfine con le palpebre socchiuse, respirando
-a fatica, come preso da una sonnolenza improvvisa.
-Sul petto largo la pelle abbondante gli
-faceva, con tre o quattro crespe, quasi una piccola
-giogaia; sopra la collottola le crespe erano
-più grandi e più tonde; i lembi delle labbra ai
-lati della mandibola superiore pendevano flosciamente;
-e il povero animale aveva ora nella malattia
-quel non so che di ridevole insieme e di
-miserevole che hanno gli uomini nani oppressi
-dall'adipe e dall'asma.
-</p>
-
-<p>
-Le fanciulle dinanzi a quell'abbattimento restavano
-mute, invase da un rammarico immenso,
-colpite dal presentimento della sventura; poichè
-Sancio era stato per molti anni la loro cura
-amorosa, l'oggetto delle loro blandizie e dei loro
-vezzi, lo sfogo innocuo delle loro mollezze e delle
-loro tenerezze di adolescenti clorotiche. Sancio
-era nato e cresciuto nella casa, con quelle
-forme tozze e pesanti di razza imbastardita, con
-quelle rotondità di bestia eunuca oziosa e golosa;
-e a poco a poco eragli apparso negli occhi
-tondi uno sguardo pieno di umanità e di devozione.
-Soleva agitar vivamente il tronco della
-coda nelle ore di gioia, reggendosi su tre gambe
-<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span>
-sole e tutto raggomitolandosi con un singolar
-tremolío del pelame e trotterellando con la grazia
-d'un porcellino d'India in mezzo all'erbe primaverili.
-</p>
-
-<p>
-I bei ricordi ora travagliavano le animule delle
-fanciulle.
-</p>
-
-<p>
-— E il medico quando viene? — chiese, con la
-voce impaziente, Teodolinda, la figlia minore; che
-aveva una faccia di giovine bertuccia, tutta bianca
-di cipria, e su la fronte una larga frangia di capelli
-rossi.
-</p>
-
-<p>
-L'infermo a tratti metteva una specie di gemito
-fioco aprendo gli occhi e volgendo in torno
-lo sguardo supplichevole, uno sguardo lento e
-dolce, fatto più umano dall'increspamento nervoso
-degli angoli delle palpebre e da due linee
-brune che gli umori sgorganti avevano segnato
-sotto le orbite. E come Donna Letizia tentava
-di fargli prendere un cucchiaio di zuppa ristoratrice,
-egli agitava fuor della bocca la lingua
-flessibile in tutti i sensi per lo sforzo dell'inghiottire
-e non poteva chiudere le mascelle irrigidite.
-</p>
-
-<p>
-Allora si udì nell'anticamera la voce del dottore
-Zenzuino che era finalmente salito. Ed entrò
-nella stanza un signore dalla bella faccia lucida
-di giovialità e di sanità.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Oh Don Giovanni, guarite Sancio! Sta per
-morire — esclamò una voce flebile.
-</p>
-
-<p>
-Il medico guardò in torno tutta quella dolente
-famiglia che egli aveva nutrita d'arsenico, di ferro
-e d'olio ferruginoso e d'acqua di Levico per tanti
-anni in vano ed ebbe un lieve lampo di sorriso
-negli occhiali d'oro. Poi, osservando l'infermo
-con una curiosità d'uomo ricercatore, disse molto lentamente:
-</p>
-
-<p>
-— Credo sia un caso di paralisi della mandibola
-e delle glandole salivari sotto-mascellari. La
-malattia che ha sede in un'alterazione nervosa
-centrale probabilmente delle meningi e che per
-la sua eziologia può dipendere da una causa ereditaria
-o parassitaria, è d'indole progressiva. Il
-processo che tende a diffondersi, andrà parzialmente
-e progressivamente privando il corpo, organo
-per organo, della sua funzionalità; finchè
-giunto in breve ad agire sul centro di una delle
-funzioni vitali, sia della circolazione che della respirazione,
-produrrà la morte...
-</p>
-
-<p>
- Le terribili parole barbare misero un'ambascia
-suprema nelle animule blandule; e le guance
-floride di Donna Letizia in un momento impallidirono.
-</p>
-
-<p>
-— Io credo che abbia influito su lo sviluppo del
-<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span>
-morbo l'alimentazione — soggiunse Don Giovanni,
-senza pietà.
-</p>
-
-<p>
-A quella specie di accusa, il rimorso cominciò
-a tormentare le fanciulle che sempre per la golosità
-di Sancio erano state piene d'indulgenza
-colpevole. E Teodolinda, con un atto di sconforto
-ineffabile, chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Non c'è dunque rimedio?
-</p>
-
-<p>
-— Tentiamo. Io consiglio l'applicazione di un
-cerotto vescicatorio alla nuca — rispose il dottore
-licenziandosi in ultimo amabilmente.
-</p>
-
-<p>
-Sancio voleva discendere dalla poltrona. Esitava
-su l'orlo, non avendo la forza di spiccare
-il salto, implorava l'aiuto con gli occhi fievoli che
-già si velavano come due acini d'uva nera suffusi
-dalla pruina argentea della maturità. Nella
-sua pinguedine il dolore a poco a poco scavava
-ombre senili; le tinte rosee del muso, dove i
-peli erano lunghi e radi, pareva si corrompessero
-divenendo quasi giallastre; le orecchie
-mozze avevano di tratto in tratto un tremolìo
-leggerissimo; e nello stesso tempo un brivido
-passava a traverso il pelame bianco visibilmente.
-</p>
-
-<p>
-Allora Isabella, la più eterea delle cinque fanciulle,
-che per crudeltà della sorte ereditava dal
-padre il pio naso borbonico e la fronte leprina,
-<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span>
-si accostò tutta commossa e prese l'infermo fra
-le mani delicate per posarlo a terra.
-</p>
-
-<p>
-Sancio prima rimase fermo un istante, senza
-poter muovere i passi, con il dorso arcuato, e
-la testa in alto, oppresso dall'affanno del respiro;
-poi cominciò a trascinarsi, barcollando, con lo
-stento doloroso di un animale ferito alle due cosce.
-Forse aveva sete, perchè quando gli fu accostata
-la scodella tentò di lambire con la lingua
-il liquido. Ma, come la paralisi crescente già
-gli impediva anche quell'atto, dopo sforzi inutili
-ed irosi egli si volse piegando su le gambe posteriori
-e con una delle zampe davanti cominciò a
-battersi la mascella, quasi per rimuovere alfine
-di là quell'ostacolo che gli faceva tanto dolore.
-</p>
-
-<p>
-E l'attitudine era così vivamente umana e le
-pupille erano così piene di supplicazione e di disperazione
-umana, che d'un tratto Donna Letizia
-scoppiò in pianto:
-</p>
-
-<p>
-— Oh, povero bibì! Chi te l'avesse mai detto,
-povero bibì mio!..
-</p>
-
-<p>
-In tutte le fanciulle la commozione raggiunse il
-supremo grado. Teodolinda raccolse il morituro,
-lo portò sul canapè, chiese le forbici. Era necessario
-un eroismo; bisognava infine esperimentare
-il rimedio, ad ogni costo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Isabella, Maria, le forbici! Venite!
-</p>
-
-<p>
-Tutte trepide e pallide, si chinarono intorno
-a Sancio, che aveva di nuovo socchiuse le palpebre
-e alitava il fiato ardente nelle mani della
-soccorritrice. E questa, vinta la prima ripugnanza,
-cominciò a tagliare il pelo su la nuca dell'animale,
-pianamente, arrestandosi di tratto in tratto,
-mettendo via via un soffio su la parte rasa. Una
-specie di chierica irregolare si veniva allargando
-nella grassezza della collottola; e il tonsurato assumeva
-così un nuovo aspetto miserevolmente
-buffonesco.
-</p>
-
-<p>
-Le tende del balcone, investite dalla brezza,
-s'inarcavano come due vele. I clamori della
-strada salivano in confuso, vivi e giulivi; una
-prospettiva di case plebee s'intravedeva al fondo
-nella doratura pallida del tramonto; e un merlo
-fischiava.
-</p>
-
-<p>
-Allora discese dalle camere superiori Natalia,
-la bella nuora di Donna Letizia, con un bimbo
-su le braccia; ed entrò nella stanza. Ella aveva
-la faccia ovale, la pelle fine e rosea, solcata di
-vene, gli occhi chiarissimi, le narici diafane, tutta
-in somma la dolcezza di sangue della donna
-bionda, tra una nera ribellione di capelli; e aveva
-nella persona, nelle vesti, nell'incedere, quella
-<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span>
-negligenza semplice, quella felice placidità quasi
-direi bovina, quella specie di freschezza lattea
-delle giovani madri che nutrono con la propria
-mammella il figliuolo.
-</p>
-
-<p>
-Appena ella vide il cane tonsurato, un impeto
-così spontaneo d'ilarità la invase, che non potè
-ritenere le risa entro la chiostra dei denti.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, ah, ah, ah, ah!..
-</p>
-
-<p>
-Come? Natalia osava ridere, mentre quel povero
-Sancio moriva? — Le innupte sensibili volsero
-un acre sguardo d'indignazione alla cognata
-irriverente e crudele. Ma questa, con una lieta
-incuranza, si appressò per tendere il bimbo verso
-l'animale. E il bimbo seminudo agitava le piccole
-mani irrequiete, cercando toccare, tutto vibrando
-di naturale gioia e barbugliando suoni
-incomprensibili nella bocca rorida ancora della
-bevanda materna. E l'animale, uso già a sottomettere
-la testa mansueta a quei cercamenti,
-aveva ancora nelle membra inferme una esitazione
-di festevolezza e negli occhi un supremo
-barlume di bontà conoscente.
-</p>
-
-<p>
-— Povero Sancio Panza! — mormorò alfine
-Natalia ritraendo il figliuolo che stava per bagnarsi
-di bava le dita. E, come il bimbo rincrespava
-le labbra per piangere, ella fece due
-<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span>
-o tre giri nella stanza cullandolo e palleggiandolo;
-poi, fermatasi dinanzi all'automa, volse
-la chiave del meccanismo.
-</p>
-
-<p>
-Il macacco aprì la bocca, battè le palpebre,
-attorcigliò la coda, tutto animandosi internamente
-al suono d'una gavotta ben nota. Quel voluttuoso
-ondeggiamento di danza moveva l'aria e la
-testa di Natalia per ritmo. La luce nella stanza
-era dolce; il profumo dei garofoli entrava dai vasi
-del balcone aperto.
-</p>
-
-<p>
-Sancio non udiva forse più. Al bruciore caustico
-del vescicante su la nuca, egli scoteva di
-tratto in tratto il dorso, e piegava la testa in
-basso, con un lamentìo fievole. La lingua ritirata
-fra i denti, violacea, quasi anzi nerastra,
-aveva già perduta ogni facoltà di moto. Gli occhi,
-ora, coperti da una specie di membrana turchiniccia
-e umidiccia, non conservavano altra
-espressione di spasimo che quella dell'apparir
-rapido d'un lembo bianco agli angoli delle orbite.
-La bava si produceva più copiosa e più
-densa. L'asfissia pareva imminente.
-</p>
-
-<p>
-— Oh Natalia, cessa! Ma non vedi che Sancio
-muore? — proruppe, con la voce piena d'acredine
-e di lagrime, Isabella.
-</p>
-
-<p>
-La gavotta non si poteva interrompere prima
-<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span>
-che la forza data dalla chiave alla macchina fosse
-esaurita. Le note continuavano, lente e molli, a
-spandersi su l'agonia del cane. Le ombre del
-crepuscolo, intanto, cominciavano a penetrare
-nell'interno e le tende sbattevano nella frescura.
-</p>
-
-<p>
-Allora, Donna Letizia, soffocata dai singhiozzi,
-non reggendo più allo strazio, uscì. Tutte le figlie
-la seguirono, a una a una, piangendo, con
-i teneri petti oppressi dal dolore. Soltanto Natalia
-per curiosità si fece da presso al moribondo.
-</p>
-
-<p>
-E, mentre la gavotta era su la ripresa, il buon
-Sancio spirò in musica, come l'eroe di un melodramma
-italiano.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span></p>
-
-<h2 id="candia">LA FINE DI CANDIA.</h2>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Donna Cristina Lamonica, tre giorni dopo il
-convito pasquale che in casa Lamonica soleva
-essere grande per tradizione e magnifico e frequente
-di convitati, numerava la biancheria e l'argenteria
-delle mense e con perfetto ordine riponeva
-ogni cosa nei canterani e nei forzieri pei
-conviti futuri.
-</p>
-
-<p>
-Erano presenti, per solito, alla bisogna, e porgevano
-aiuto, la cameriera Maria Bisaccia e la
-lavandaia Candida Marcanda detta popolarmente
-Candia. Le vaste canestre ricolme di tele fini giacevano
-in fila sul pavimento. I vasellami di argento
-e gli altri strumenti da tavola rilucevano
-sopra una spasa; ed erano massicci, lavorati un
-po' rudemente da argentarii rustici, di forme quasi
-liturgiche, come sono tutti i vasellami che si trasmettono
-<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span>
-di generazione in generazione nelle ricche
-famiglie provinciali. Una fresca fragranza d
-bucato spandevasi nella stanza.
-</p>
-
-<p>
-Candia prendeva dalle canestre i mantili, le
-tovaglie, le salviette; faceva esaminare alla signora
-la tela intatta; e porgeva via via ciascun
-capo a Maria che riempiva i tiratoi, mentre la
-signora spargeva negli interstizi un aroma e segnava
-nel libro la cifra. Candia era una femmina
-alta, ossuta, segaligna, di cinquant'anni; aveva la
-schiena un po' curvata dall'attitudine abituale del
-suo mestiere, le braccia molto lunghe, una testa
-d'uccello rapace sopra un collo di testuggine.
-Maria Bisaccia era un'ortonese, un po' pingue
-di carnagione lattea, d'occhi chiarissimi; aveva
-la parlatura molle, e i gesti lenti e delicati come
-colei ch'era usa a esercitar le mani quasi sempre
-tra la pasta dolce, tra gli sciroppi, tra le conserve
-e tra le confetture. Donna Cristina, anche
-nativa di Ortona, educata nel monastero benedettino,
-era piccola di statura, con il busto un
-po' abbandonato sul davanti; aveva i capelli tendenti
-al rosso, la faccia sparsa di lentiggini, il
-naso lungo e grosso, i denti cattivi, gli occhi
-bellissimi e pudichi, somigliando un cherico vestito
-d'abiti muliebri.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span>
-</p>
-
-<p>
-Le tre donne attendevano all'opera con molta
-cura; e spendevano così gran parte del pomeriggio.
-</p>
-
-<p>
-Ora, una volta, come Candia usciva con le canestre
-vuote, Donna Cristina numerando le posate
-trovò che mancava un cucchiaio.
-</p>
-
-<p>
-— Maria! Maria! — ella gridò, con una specie
-di spavento. — Conta! Manca <i>'na cucchiara</i>....
-Conta tu!
-</p>
-
-<p>
-— Ma come? Non può essere, signó, — rispose
-Maria. — Mo' vediamo.
-</p>
-
-<p>
-E si mise a riscontrare le posate, dicendo il
-numero ad alta voce. Donna Cristina guardava,
-scotendo il capo. L'argento tintinniva chiaramente.
-</p>
-
-<p>
-— E vero! — esclamò alla fine Maria, con un
-atto di disperazione. — E mo' che facciamo?
-</p>
-
-<p>
-Ella era sicura da ogni sospetto. Aveva dato
-prove di fedeltà e di onestà per quindici anni, in
-quella famiglia. Era venuta da Ortona insieme con
-Donna Cristina, all'epoca delle nozze, quasi facendo
-parte dell'appannaggio matrimoniale; ed
-oramai nella casa aveva acquistata una certa autorità,
-sotto la protezione della signora. Ella era
-piena di superstizioni religiose, devota al suo
-santo e al suo campanile, astutissima. Con la signora
-<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span>
-aveva stretto una specie di alleanza ostile
-contro tutte le cose di Pescara, e specialmente
-contro il santo dei Pescaresi. Ad ogni occasione
-nominava il paese natale, le bellezze e le ricchezze
-del paese natale, gli splendori della sua
-basilica, i tesori di San Tommaso, la magnificenza
-delle cerimonie ecclesiastiche, in confronto
-alle miserie di San Cetteo che possedeva un solo
-piccolo braccio d'argento.
-</p>
-
-<p>
-Donna Cristina disse:
-</p>
-
-<p>
-— Guarda bene di là.
-</p>
-
-<p>
-Maria uscì dalla stanza per andare a cercare.
-Rovistò tutti gli angoli della cucina e della loggia
-inutilmente. Tornò a mani vuote.
-</p>
-
-<p>
-— Non c'è! Non c'è!
-</p>
-
-<p>
-Allora ambedue si misero a pensare, a cumular
-congetture, a investigar nella loro memoria. Uscirono
-su la loggia che dava nel cortile, su la loggia
-del lavatoio, per fare l'ultima ricerca. Come parlavano
-a voce alta, alle finestre delle case in torno
-si affacciarono le comari.
-</p>
-
-<p>
-— Che v'è successo, Donna Cristí? Dite! Dite!
-Donna Cristina e Maria raccontarono il fatto,
-con molte parole, con molti gesti.
-</p>
-
-<p>
-— Gesù! Gesù! Dunque ci stanno i ladri?
-</p>
-
-<p>
-In un momento il rumore del furto si sparse
-<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span>
-pel vicinato, per tutta Pescara. Uomini e donne
-si misero a discutere, a imaginare chi potesse essere
-il ladro. La novella, giungendo alle ultime
-case di Sant'Agostino, s'ingrandì: non si trattava
-più di un semplice cucchiaio, ma di tutta l'argenteria
-di casa Lamonica.
-</p>
-
-<p>
-Ora, come il tempo era bello e su la loggia
-le rose cominciavano a fiorire e due lucherini in
-gabbia cantavano, le comari si trattennero alle
-finestre per il piacere di ciarlare al bel tempo,
-con quel dolce calore. Le teste feminili apparivano
-tra i vasi di basilico e il ciaramellio pareva
-dilettare i gatti in su le gronde.
-</p>
-
-<p>
-Donna Cristina disse, congiungendo le mani:
-</p>
-
-<p>
-— Chi sarà stato?
-</p>
-
-<p>
-Donna Isabella Sertale, detta la Faina, che
-aveva i movimenti lesti e furtivi di un animaletto
-predatore, chiese con la voce stridula:
-</p>
-
-<p>
-— Chi ci stava con voi. Donna Cristí? Mi pare
-che ho visto ripassare Candia....
-</p>
-
-<p>
-— Aaaah! — esclamò donna Felicetta Margasanta,
-detta la Pica per la sua continua garrulità.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! — ripeterono le altre comari.
-</p>
-
-<p>
-— E non ci pensavate?
-</p>
-
-<p>
-— E non ve n'accorgevate?
-</p>
-
-<p>
-— E non sapete chi è Candia?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ve lo diciamo noi chi è Candia!
-</p>
-
-<p>
-— Sicuro!
-</p>
-
-<p>
-— Ve lo diciamo noi!
-</p>
-
-<p>
-— I panni li lava bene, non c'è che dire. È
-la meglio lavandaia che sta a Pescara, non c'è
-che dire. Ma tiene lu difetto delle cinque dita...
-Non lo sapevate, commà?
-</p>
-
-<p>
-— A me 'na volta mi mancò due mantili.
-</p>
-
-<p>
-— A me 'na tovaglia.
-</p>
-
-<p>
-— A me 'na camicia.
-</p>
-
-<p>
-— A me tre paia di calzette.
-</p>
-
-<p>
-— A me due fédere.
-</p>
-
-<p>
-— A me 'na sottana nuova.
-</p>
-
-<p>
-— Io non ho potuto riavere niente.
-</p>
-
-<p>
-— Io manco.
-</p>
-
-<p>
-— Io manco.
-</p>
-
-<p>
-— Io non l'ho cacciata; perchè chi prendo?
-Silvestra?
-</p>
-
-<p>
-— Ah! Ah!
-</p>
-
-<p>
-— Angelantonia? Babascetta?
-</p>
-
-<p>
-— Una peggio dell'altra!
-</p>
-
-<p>
-— Bisogna ave' pazienza.
-</p>
-
-<p>
-— Ma 'na cucchiara, mo'!
-</p>
-
-<p>
-— È troppo, mo'!
-</p>
-
-<p>
-— Non vi state zitta, Donna Cristí; non vi
-state zitta!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Che zitta e non zitta! — proruppe Maria
-Bisaccia che, quantunque avesse l'aspetto placido
-e benigno, non si lasciava sfuggire nessuna occasione
-per opprimere o per mettere in mala vista
-gli altri serventi della casa. — Ci penseremo noi,
-Donn'Isabbé, ci penseremo!
-</p>
-
-<p>
-E le ciarle dalla loggia alle finestre seguitavano.
-E l'accusa di bocca in bocca si propalò
-per tutto il paese.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-La mattina vegnente, mentre Candia Marcanda
-teneva le braccia nella lisciva, comparve su la
-soglia la guardia comunale Biagio Pesce soprannominato
-<i>il Caporaletto</i>.
-</p>
-
-<p>
-Egli disse alla lavatrice:
-</p>
-
-<p>
-— Ti vuole il signor Sindaco sopra il Comune,
-sùbito.
-</p>
-
-<p>
-— Che dici? — domandò Candia aggrottando
-le sopracciglia, ma senza tralasciare la sua
-bisogna.
-</p>
-
-<p>
-— Ti vuole il signor Sindaco sopra il Comune,
-sùbito.
-</p>
-
-<p>
-— Mi vuole? E perchè? — seguitò a domandare
-Candia, con un modo un po' brusco, non sapendo
-a che attribuire quella chiamata improvvisa, inalberandosi
-<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span>
-come fanno le bestie caparbie dinanzi
-a un'ombra.
-</p>
-
-<p>
-— Io non posso sapere perchè — rispose il
-Caporaletto. — Ho ricevuto l'ordine.
-</p>
-
-<p>
-— Che ordine?
-</p>
-
-<p>
-La donna, per una ostinazione naturale in lei,
-non cessava dalle domande. Ella non sapeva
-persuadersi della cosa.
-</p>
-
-<p>
-— Mi vuole il Sindaco? E perchè? E che ho
-fatto io? Non ci voglio venire. Io non ho fatto
-nulla.
-</p>
-
-<p>
-Il Caporaletto, impazientito, disse:
-</p>
-
-<p>
-— Ah, non ci vuoi venire? Bada a te!
-</p>
-
-<p>
-E se ne andò, con la mano su l'elsa della
-vecchia daga, mormorando.
-</p>
-
-<p>
-Intanto per il vico alcuni che avevano udito
-il dialogo uscirono su gli usci e si misero a guardare
-Candia che agitava la lisciva con le braccia.
-E, poichè sapevano del cucchiaio d'argento, ridevano
-tra loro e dicevano motti ambigui che
-Candia non comprendeva. A quelle risa e a quei
-motti, l'inquietudine prese l'animo della donna;
-e crebbe quando ricomparve il Caporaletto accompagnato
-dall'altra guardia.
-</p>
-
-<p>
-— Cammina! — disse il Caporaletto, risolutamente.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span>
-</p>
-
-<p>
-Candia si asciugò le braccia, in silenzio; e andò.
-Per la piazza la gente si fermava. Rosa Panara,
-una nemica, dalla soglia della bottega gridò con
-una risata feroce:
-</p>
-
-<p>
-— Posa l'osso!
-</p>
-
-<p>
-La lavandaia, smarrita, non imaginando la
-causa di quella persecuzione, non seppe che rispondere.
-</p>
-
-<p>
-Dinanzi al Comune stava un gruppo di persone
-curiose che la volevano veder passare. Candia,
-presa dall'ira, salì le scale rapidamente;
-giunse in conspetto del Sindaco, affannata; chiese:
-</p>
-
-<p>
-— Ma che volete da me?
-</p>
-
-<p>
-Don Silla, uomo pacifico, rimase un momento
-turbato dalla voce aspra della lavandaia, e volse
-uno sguardo ai due fedeli custodi della dignità
-sindacale. Quindi disse, prendendo il tabacco nella
-scatola di corno:
-</p>
-
-<p>
-— Figlia mia, sedetevi.
-</p>
-
-<p>
-Candia rimase in piedi. Il suo naso ricurvo
-era gonfio di collera, e le sue guance rugose
-tremolavano alle contratture delle mascelle mordaci.
-</p>
-
-<p>
-— Dite, Don Sì.
-</p>
-
-<p>
-— Voi siete stata ieri a riporta' la biancheria
-a Donna Cristina Lamonica?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Be', che c'è? che c'è? Manca qualche cosa?
-Tutto contato, capo per capo... Non manca nulla.
-Che c'è, mo'?
-</p>
-
-<p>
-— Un momento, figlia mia! C'era nella stanza
-l'argenteria...
-</p>
-
-<p>
-Candia, indovinando, si voltò come un falchetto
-inviperito che stia per ghermire. E le labbra
-sottili le tremavano.
-</p>
-
-<p>
-— C'era nella stanza l'argenteria, e Donna Cristina
-trova mancante 'na cucchiara... Capite, figlia
-mia? L'avete presa voi... pe' sbaglio?
-</p>
-
-<p>
-Candia saltò come una locusta, a quell'accusa
-immeritata. Ella non aveva preso nulla, in verità.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, io? Ah, io? Chi lo dice? Chi mi ha
-vista? Mi faccio meraviglia di voi, Don Sì! Mi
-faccio meraviglia di voi! Io ladra? io? io?...
-</p>
-
-<p>
-E la sua indignazione non aveva fine. Ella più
-era ferita dall'ingiusta accusa perchè si sentiva
-capace dell'azione che le addebitavano.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque voi non l'avete presa? — interruppe
-Don Silla, ritirandosi in fondo alla sua grande
-sedia curule, prudentemente.
-</p>
-
-<p>
-— Mi faccio meraviglia! — garrì di nuovo
-la donna, agitando le lunghe braccia come due
-bastoni.
-</p>
-
-<p>
-— Be', andate. Si vedrà.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span>
-</p>
-
-<p>
-Candia uscì, senza salutare, urtando contro lo
-stipite della porta. Ella era diventata verde: era
-fuori di sè. Mettendo il piede nella via, vedendo
-tutta la gente assembrata, comprese che oramai
-l'opinione popolare era contro di lei; che nessuno
-avrebbe creduto alla sua innocenza. Nondimeno
-si mise a gridare le sue discolpe. La gente rideva,
-dileguandosi. Ella, furibonda, tornò a casa;
-si disperò; si mise a singhiozzare su la soglia.
-</p>
-
-<p>
-Don Donato Brandimarte, che abitava a canto,
-le disse per beffa:
-</p>
-
-<p>
-— Piangi forte, piangi forte, che mo' passa
-la gente.
-</p>
-
-<p>
-Come i panni ammucchiati aspettavano il ranno,
-ella finalmente si acquetò; si nudò le braccia, e
-si rimise all'opera. Lavorando, pensava alla discolpa,
-architettava un metodo di difesa, cercava
-nel suo cervello di femmina astuta un mezzo artifizioso
-per provare l'innocenza; arzigogolando sottilissimamente,
-si giovava di tutti gli spedienti
-della dialettica plebea per mettere insieme un
-ragionamento che persuadesse gli increduli.
-</p>
-
-<p>
-Poi, quando ebbe terminata la bisogna, uscì;
-volle andare prima da Donna Cristina.
-</p>
-
-<p>
-Donna Cristina non si fece vedere. Maria Bisaccia
-ascoltò le molte parole di Candia scotendo
-<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span>
-il capo, senza risponder niente; e si ritrasse con
-dignità.
-</p>
-
-<p>
-Allora Candia fece il giro di tutte le sue clienti.
-Ad ognuna raccontò il fatto, ad ognuna espose
-la discolpa, aggiungendo sempre un nuovo argomento,
-aumentando le parole, accalorandosi, disperandosi
-dinanzi alla incredulità e alla diffidenza;
-e inutilmente. Ella sentiva che oramai
-non era più possibile la difesa. Una specie di
-abbattimento cupo le prese l'animo. — Che più
-fare! Che più dire!
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Donna Cristina Lamonica intanto mandò a
-chiamare la Cinigia, una femmina del volgo, che
-faceva professione di magia e di medicina empirica
-con molta fortuna. La Cinigia già qualche
-volta aveva scoperta la roba rubata; e si diceva
-ch'ella avesse diverse pratiche con i ladroncelli.
-</p>
-
-<p>
-Donna Cristina le disse:
-</p>
-
-<p>
-— Ritrovami la cucchiara, e ti darò 'na regalía
-forte.
-</p>
-
-<p>
-La Cinigia rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Va bene. Mi bastano ventiquattr'ore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span>
-</p>
-
-<p>
-E, dopo ventiquattr'ore, ella portò la risposta. — Il
-cucchiaio si trova in una buca, nel cortile,
-vicino al pozzo.
-</p>
-
-<p>
-Donna Cristina e Maria discesero nel cortile,
-cercarono e trovarono, con grande meraviglia.
-</p>
-
-<p>
-Rapidamente, la novella si sparse per Pescara.
-</p>
-
-<p>
-Allora, trionfante, Candia Marcanda si diede
-a percorrere le vie. Ella pareva più alta; teneva
-la testa eretta, sorrideva, guardando tutti negli
-occhi come per dire:
-</p>
-
-<p>
-— Avete visto? Avete visto?
-</p>
-
-<p>
-La gente su le botteghe, vedendola passare,
-mormorava qualche parola e poi rompeva in uno
-sghignazzìo significativo. Filippo La Selvi, che
-stava bevendo un bicchiere d'acquavite fine nel
-caffè d'Angeladea, chiamò Candia.
-</p>
-
-<p>
-— 'Nu bicchiere pe' Candia, di questo qua!
-</p>
-
-<p>
-La donna, che amava i liquori ardenti, fece
-con le labbra un atto di cupidigia.
-</p>
-
-<p>
-Filippo La Selvi soggiunse:
-</p>
-
-<p>
-— Te lo meriti, non c'è che di'.
-</p>
-
-<p>
-Una torma di oziosi erasi ragunata innanzi al
-caffè. Tutti avevano su la faccia un'aria burlevole.
-</p>
-
-<p>
-Filippo La Selvi, rivoltosi all'uditorio, mentre
-la donna beveva:
-</p>
-
-<p>
-— L'ha saputa fa'; è vero? Volpe vecchia...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span>
-</p>
-
-<p>
-E battè familiarmente la spalla ossuta della
-lavandaia.
-</p>
-
-<p>
-Tutti risero.
-</p>
-
-<p>
-Magnafave, un piccolo gobbo, scemo e bleso,
-unendo insieme l'indice della mano destra con
-quello della sinistra, e impuntandosi su le sillabe,
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— Ca... ca... ca... Candia... la... la... Cinigia...
-</p>
-
-<p>
-E seguitò a gesticolare e a balbettare con
-un'aria furbesca, per indicare che Candia e la
-Cinigia erano comari. Tutti, a quella vista, si
-contorcevano nell'ilarità.
-</p>
-
-<p>
-Candia rimase un momento smarrita, co 'l bicchiere
-in mano. Poi, d'un tratto, comprese. — Non
-credevano alla sua innocenza. L'accusavano
-di aver riportato il cucchiaio d'argento segretamente,
-d'accordo con la strega, per non aver guai.
-</p>
-
-<p>
-Un impeto cieco di collera allora la invase.
-Ella non trovava parole. Si gittò su 'l più debole,
-su 'l piccolo gobbo, a tempestarlo di pugni
-e di graffi. La gente, con una gioia crudele, in
-cospetto di quella lotta, schiamazzava a torno in
-cerchio, come dinanzi a un combattimento d'animali;
-ed aizzava le due parti con le voci e con
-le gesticolazioni.
-</p>
-
-<p>
-Magnafave, sbigottito da quella furia improvvisa,
-<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span>
-cercava di fuggire, sgambettando come uno
-scimmiotto; e, tenuto dalle mani terribili della
-lavandaia, girava con rapidità crescente, come
-un sasso nella fionda, sinchè cadde con gran veemenza
-bocconi.
-</p>
-
-<p>
-Alcuni corsero a rialzarlo. Candia si allontanò
-tra i sibili; andò a chiudersi in casa; si gittò a
-traverso il letto, singhiozzando e mordendosi le
-dita, pe 'l gran dolore. La nuova accusa le coceva
-più della prima, tanto più ch'ella si sentiva
-capace di quel sotterfugio. — Come discolparsi
-ora? Come chiarire la verità? — Ella si disperava,
-pensando di non poter addurre in discolpa
-difficoltà materiali che avessero potuto impedire
-l'esecuzione dell'inganno. L'accesso al cortile era
-facilissimo: una porta, non chiusa, corrispondeva
-al primo pianerottolo della scalinata grande; per
-togliere l'immondizie o per altre bisogne una
-quantità di gente entrava ed usciva liberamente
-da quella porta. Dunque ella non poteva chiudere
-la bocca agli accusatori dicendo: — Come avrei
-fatto ad entrare? — I mezzi per condurre a termine
-l'impresa erano molti ed agevoli; e su questa
-agevolezza si fondava la credenza popolare.
-</p>
-
-<p>
-Candia allora cercò differenti argomenti di persuasione;
-aguzzò l'astuzia; imaginò tre, quattro,
-<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span>
-cinque casi diversi per spiegare come mai si
-trovasse il cucchiaio nella buca del cortile; ricorse
-ad artifizi e a cavilli d'ogni genere; sottilizzò
-con una ingegnosità singolare. Poi si mise
-a girare per le botteghe, per le case, cercando
-in tutti i modi di vincere l'incredulità delle persone.
-Le persone ascoltavano quei ragionamenti
-capziosi, dilettandosi. In ultimo dicevano:
-</p>
-
-<p>
-— Va bene! Va bene!
-</p>
-
-<p>
-Ma con tal suono di voce che Candia rimaneva
-annichilita. — Tutte le sue fatiche dunque
-erano inutili! Nessuno credeva! Nessuno credeva! — Ella,
-con una pertinacia mirabile, tornava
-all'assalto. Passava le notti intere pensando
-sempre a trovar nuove ragioni, a costruire nuovi
-edifizi, a superare nuovi ostacoli. E a poco a poco,
-in questo continuo sforzo, la sua mente s'indeboliva,
-non sosteneva più altro pensiero che non
-fosse quello del cucchiaio, non avea quasi più
-consapevolezza della vita comune. Più tardi,
-per la crudeltà della gente, una vera manìa prese
-il cervello della povera donna.
-</p>
-
-<p>
-Ella, trascurando le sue bisogne, s'era ridotta
-quasi alla miseria. Lavava male i panni, li perdeva,
-li faceva strappare. Quando scendeva alla
-riva del fiume, sotto il ponte di ferro, dove erano
-<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span>
-raccolte le altre lavandaie, a volte si lasciava
-fuggir di mano le tele che rapiva per sempre
-la corrente. Parlava continuamente, senza stancarsi
-mai, della medesima cosa. Per non udirla,
-le lavandaie giovani si mettevano a cantare e la
-beffavano nei canti con rime improvvise. Ella
-gridava e gesticolava, come una pazza.
-</p>
-
-<p>
-Nessuno più le dava lavoro. Per compassione
-le antiche clienti le mandavano qualche cosa da
-mangiare. A poco a poco ella si abituò a mendicare.
-Andava per le strade, tutta cenciosa, curva
-e disfatta. I monelli le gridavano dietro:
-</p>
-
-<p>
-— Mo' dicci la storia de la cucchiara, che nun
-la sapemo, zi' Ca'!
-</p>
-
-<p>
-Ella fermava i passanti sconosciuti, talvolta,
-per raccontare la storia e per arzigogolare su
-la discolpa. I giovinastri la chiamavano e per un
-soldo le facevano fare tre, quattro volte la narrazione;
-sollevavano difficoltà contro gli argomenti;
-ascoltavano sino alla fine, per poi ferirla con una
-sola parola. Ella scoteva il capo; passava oltre;
-si univa alle altre femmine mendicanti e ragionava
-con loro, sempre, sempre, infaticabile, invincibile.
-Prediligeva una femmina sorda, che
-aveva su la pelle una sorta di lebbra rossastra
-e zoppicava da un piede.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nell'inverno del 1874 la colse una febbre maligna.
-Fu assistita dalla femmina lebbrosa. Donna
-Cristina Lamonica le mandò un cordiale e un
-cassetto di brace.
-</p>
-
-<p>
-L'inferma, distesa su 'l giaciglio, farneticava
-del cucchiaio; si levava su i gomiti, tentava di
-agitar le mani, per secondare la perorazione.
-La lebbrosa le prendeva le mani e la riadagiava
-pietosamente.
-</p>
-
-<p>
-Nell'agonia, quando già gli occhi ingranditi sì
-velavano come per un'acqua torbida che vi salisse
-dall'interno, Candia balbettava:
-</p>
-
-<p>
-— No so' stata io, signó... vedete... perchè...
-la cucchiara...
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span></p>
-
-<h2 id="fattura">LA FATTURA.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Quando nella piazza comunale strepitavano
-consecutivamente i sette starnuti di Mastro Peppe
-De Sieri, detto La Bravetta, tutti gli abitanti di
-Pescara sedevano alle mense e incominciavano
-il pasto. Sùbito dopo, la campana vibrava i tocchi
-del mezzodì. Un'ilarità unanime propagavasi
-nelle case.
-</p>
-
-<p>
-Per molti anni La Bravetta diede al popolo
-pescarese questo giocondo segnale cotidiano; e
-la fama delle sue meravigliose starnutazioni si
-sparse per il contado in torno e per le terre finitime.
-Ancora tra il buon volgo la memoria n'è
-viva e, fermata in un proverbio, durerà lungamente
-nei tempi a venire.
-</p>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Mastro Peppe La Bravetta era un plebeo di
-alquanta corpulenza, tozzo, con la faccia piena di
-una prospera stupidezza, con gli occhi simili a
-<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span>
-quelli d'un vitello poppante, con mani e piedi di
-straordinaria espansione. E come aveva un naso
-molto lungo e carnoso e singolarmente mobile,
-e come aveva le mascelle forti, egli nel ridere
-e nello starnutire pareva una di quelle foche a
-proboscide, che in conseguenza della pinguedine
-tremano tutte come una gelatina, secondo narrano
-i marinai. Anche di quelle foche egli aveva
-la pigrizia, la lentezza dei movimenti, la ridicolezza
-delle attitudini, l'amore del sonno. Non poteva
-passare dall'ombra al sole o dal sole all'ombra,
-senza che un irresistibile impeto d'aria gli
-rompesse per la bocca e per le narici. Lo strepito,
-in ispecie nelle ore tranquille, udivasi a
-gran distanza; e poichè si produceva in periodi determinati,
-serviva d'orario a quasi tutti i cittadini.
-Mastro Peppe nella sua gioventù aveva tenuto
-negozio di maccheroni; ed era cresciuto in una
-dolce balordaggine, tra le belle frange di pasta,
-tra il rumore eguale dei buratti e delle ruote,
-fra il tepore dell'aria invasa dal polverìo delle
-farine. Nella maturità egli s'era legato in nozze
-con una tal Donna Pelagia, del comune dei Castelli,
-e da allora, abbandonato il mestiere alimentario,
-aveva preso a rivendere stoviglie di
-maiolica e di terracotta, orci, piatti, boccali, tutto
-<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span>
-lo schietto vasellame fiorito di cui gli artefici castellesi
-allietano le mense della terra d'Abruzzi.
-Tra la rusticità e quasi direi la religiosità di
-quelle forme immutate da secoli e immutabili,
-egli viveva molto semplicemente, starnutando. E
-come la moglie era avara, a poco a poco l'avarizia
-conquistava e avviluppava anche l'animo
-di lui.
-</p>
-
-<p>
-Ora, possedeva egli su la destra riva del fiume
-un podere con una casa rurale, proprio in quel
-punto ove la corrente rivolgesi formando quasi
-un verde anfiteatro lacustre. Ivi il terreno irriguo
-rendeva, più che uve e cereali, gran copia d'erbaggi;
-il frutteto si moltiplicava; e un porco si
-impinguava annualmente, sotto una quercia ricca
-di ghiande. In ogni gennaio La Bravetta andava
-insieme con la moglie al podere, trattenendovisi
-co 'l favore di sant'Antonio, per assistere all'occisione
-e alla salatura del porco.
-</p>
-
-<p>
-Avvenne una volta che, essendo la moglie
-alquanto inferma, La Bravetta andò solo ad invigilare
-il supplicio.
-</p>
-
-<p>
-Sopra una tavola ampia l'animale, tenuto da
-due o tre coloni, fu scannato con un coltello
-forbitissimo. Risonarono i grugniti per tutta la
-solitudine fluviatile; poi subitamente divennero
-<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span>
-fiochi, si persero nel gorgogliare caldo e vermiglio
-del sangue che sgorgava dalla ferita slabbrante,
-mentre il gran corpo dava gli ultimi tratti.
-Il sole del novello anno beveva dalla riviera e
-dalle terre umide la nebbia. La Bravetta guardava,
-con una sorta di dilettosa ferocia, l'occisor
-Lepruccio bruciare con un ferro rovente gli occhi
-del porco profondati nel grasso; e gioiva, udendo
-stridere i bulbi, al pensiero del molto lardo e del
-molto prosciutto futuro.
-</p>
-
-<p>
-L'occiso fu sollevato, a forza di braccia, sino
-all'uncino d'una sorta di forca rusticale, e rimase
-péndulo con la testa in basso. Ivi con fasci di
-canne accese i coloni arsero tutte le setole; le
-fiamme crepitavano quasi invisibili alla maggior
-luce del giorno. Lepruccio in ultimo con una lama
-lucida si diede a raschiar quel corpo nerastro
-che un altr'uomo intanto aspergeva d'acqua bollente.
-La pelle, a mano a mano divenendo netta
-e tutta di un dubbio pallor roseo, fumigava nel
-sole. E Lepruccio, che aveva una faccia rugosa
-e untuosa di vecchia femmina con le campanelle
-d'oro agli orecchi, stringeva le labbra nella bisogna,
-allungandosi ed accorciandosi, giocando
-su i ginocchi.
-</p>
-
-<p>
-Quando l'opera fu fornita, Mastro Peppe ordinò
-<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span>
-che i coloni deponessero il porco in un
-luogo coperto. Mai, negli altri anni, più meravigliosa
-mole di carni egli aveva veduto; e si
-rammaricava in cuor suo che la moglie non ivi
-fosse a rallegrarsene.
-</p>
-
-<p>
-Allora (cadeva il pomeriggio) sopraggiunsero
-Matteo Puriello e Biagio Quaglia, amici, i quali
-venivano dalla prossima casa di Don Bergamino
-Campione, prete dato alla mercatura. Erano costoro
-gente di gaia vita, ricchi di consiglio, dediti
-alla crapula, vaghi d'ogni sollazzo; e, poichè
-avean saputo l'occisione del porco e l'assenza
-di Donna Pelagia, sperando in una qualche bella
-avventura venivano a tentar La Bravetta.
-</p>
-
-<p>
-Matteo Puriello, detto Ciávola, era un uomo
-in su i quarant'anni; cacciatore clandestino;
-alto e segaligno, con i capelli biondastri, la pelle
-del viso giallognola, i baffi duri e tagliati come
-una spazzola, tutta la testa avente l'aspetto di
-una effige di legno su cui fosse rimasta una
-traccia lievissima dell'antica doratura. I suoi
-occhi, tondi, vivi e mobili quasi per inquietudine
-come quelli delle bestie corritrici, lucevano simili
-a due monete nuove. In tutta la persona, vestita
-quasi sempre di un certo panno di color
-terrigno, egli aveva le attitudini, i movimenti,
-<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span>
-il passo dondolante di quei lunghi cani barbareschi
-che pigliano le lepri a corsa per le pianure.
-</p>
-
-<p>
-Biagio Quaglia, detto il Ristabilito, era in vece
-di statura mediocre, d'alcuni anni più giovane,
-rubicondo nella faccia e tutto gemmante come
-un mandorlo a primavera. Egli aveva una singolar
-virtù scimiatica di muovere indipendentemente
-gli orecchi e la pelle della fronte e la
-pelle del cranio, per non so che vivacità di muscoli:
-e aveva una tale versatilità di aspetti e
-una tal felice potenza vocale di contraffazioni e
-così prontamente sapeva cogliere il lato ridevole
-degli uomini e delle cose e in un sol gesto
-o in un sol motto rappresentarlo che tutte le brigate
-pescaresi per amor di allegria lo chiamavano
-e convitavano. Egli, in questa dolce vita
-parassitica, prosperava, sonando la chitarra alle
-mense nuziali e alle pompe dei battesimi. I suoi
-occhi brillavano come quelli d'un furetto. Il suo
-cranio era coperto d'una sorta di lanugine simile
-a quella del corpo spiumato di un'oca grassa che
-ancora sia da abbrustolire.
-</p>
-
-<p>
-Or dunque La Bravetta, come vide i due amici,
-li accolse con cera festevole, dicendo loro:
-</p>
-
-<p>
-— Qualu vente ve porte?
-</p>
-
-<p>
-E quindi, poi che le accoglienze oneste e liete
-<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span>
-furono iterate, egli traendoli nella stanza dove
-su una tavola giaceva il mirabile porco, soggiunse:
-</p>
-
-<p>
-— Che dicete de 'sta bellezze? Eh? Mo che
-ve pare?
-</p>
-
-<p>
-I due amici contemplavano il porco con una
-silenziosa meraviglia; e il Ristabilito faceva un
-cotal suo rumore con la lingua contro il palato.
-Ciávola chiese:
-</p>
-
-<p>
-— E che ce ne vuo' fa'?
-</p>
-
-<p>
-— Le vuojie salà — rispose La Bravetta con
-una voce in cui sentivasi fremere tutta la ghiotta
-gioia per le future delizie della gola.
-</p>
-
-<p>
-— Le vuo' salà? — gridò d'improvviso il Ristabilito, — le
-vuo' salà? — Ma, o Cià, si viste
-ma' 'n'ommene chiù stupide di custù? A farse
-scappa l'uccasïone!
-</p>
-
-<p>
-La Bravetta, stupito, guardava con i suoi occhi
-vitulini ora l'uno ora l'altro degli interlocutori.
-</p>
-
-<p>
-— Donna Pelagge t'ha sempre tenute assuggette — continuò
-il Ristabilito. — Sta vote che
-esse nen te guarde, vínnete lu porche; e magnémece
-li quatrine.
-</p>
-
-<p>
-— Ma Pelagge? Ma Pelagge? — balbettava
-La Bravetta, a cui il fantasma della moglie irata
-dava già uno sbigottimento immenso.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span>
-</p>
-
-<p>
-— E tu dijie ca lu porche te se l'hanne arrubbate — fece
-il biondo Ciávola, con un vivo gesto
-d'impazienza.
-</p>
-
-<p>
-La Bravetta inorridì.
-</p>
-
-<p>
-— E coma facce a riì a la case nghe sa nutizie?
-Pelagge nen me crede; me cacce, me mene...
-Vu nen le sapete chi è Pelagge?
-</p>
-
-<p>
-— Uh, Pelagge! Uh, uh, Donna Pelagge! — squittirono
-in coro motteggiando i due insidiatori.
-E il Ristabilito, subito, imitando la voce
-piagnucolosa di Peppe e la voce acuta e stridula
-della donna, rappresentò una scena di comedia
-in cui Peppe era garrito e sculacciato come un
-bamboletto.
-</p>
-
-<p>
-Ciávola rideva sgambettando in torno al porco,
-senza potersi reggere. Il beffato, preso da un
-violento impeto di starnuti, agitava le braccia
-verso l'atto, volendo forse interrompere. Al
-frastuono i vetri della finestra tremavano. I
-fuochi dell'occaso percotevano i tre diversi volti
-umani.
-</p>
-
-<p>
-Come il Ristabilito tacque, Ciávola disse:
-</p>
-
-<p>
-— Mbé, jamocénne!
-</p>
-
-<p>
-— Se vulete cenà nghe me... — offerse, a bocca
-stretta, Mastro Peppe.
-</p>
-
-<p>
-— No, no, bello mio — interruppe Ciávola
-<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span>
-volgendosi verso l'uscio. — Tu súghete Pelagge
-e sálate lu porche.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Camminarono gli amici lungo la riva del fiume.
-</p>
-
-<p>
-In lontananza le barche di Barletta cariche di
-sale scintillavano come edifizi di preziosi cristalli;
-e da Montecorno un serenissimo albore
-spandevasi nella rigidità delle aure, ripercotevasi
-dalla limpidità delle acque.
-</p>
-
-<p>
-Disse il Ristabilito al Ciávola, soffermandosi:
-</p>
-
-<p>
-— Cumbà, ce vuléme arrubbà sstanotte lu
-porche?
-</p>
-
-<p>
-Disse il Ciávola:
-</p>
-
-<p>
-— Eccome?
-</p>
-
-<p>
-Disse il Ristabilito:
-</p>
-
-<p>
-— Le sacce i' come, si lu porche arremane addó
-l'avéme viste.
-</p>
-
-<p>
-Disse Ciávola:
-</p>
-
-<p>
-— Embé, facémele! Ma, dapù?
-</p>
-
-<p>
-Il Ristabilito si soffermò di nuovo. I suoi piccoli
-occhi brillavano come due carbuncoli schietti;
-la sua faccia florida e rubiconda tra le orecchie
-faunesche vibrava tutta in una smorfia di gioia.
-Egli fece, laconico:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Le sacce i'.
-</p>
-
-<p>
-Veniva da lungi in contro ai due Don Bergamino
-Camplone, nero in tra la pioppaia ignuda
-e argentea. Subito che i due lo scorsero, sollecitarono
-il passo verso di lui. E il prete, veduta
-la lor cera giuliva, dimandò sorridendo:
-</p>
-
-<p>
-— Che me dicéte de bbelle?
-</p>
-
-<p>
-Comunicarono gli amici in brevi parole il lor
-proposito a Don Bergamino, il quale assentì con
-molto rallegramento. E il Ristabilito soggiunse,
-a bassa voce:
-</p>
-
-<p>
-— Aqquà avéme da fa' li cose a la furbesca
-maniere. Vu sapete ca Peppe, da quande s'ha
-pijiate chella brutta vijecchie de Donna Pelagge,
-s'ha fatte avare; e lu vine je piace assa'. 'Mbè,
-jémele a pijà e purtémele a la taverne d'Assaù.
-Vu, Don Bergamine, détece a beve a tutte e
-paghéte sempre vu. Peppe bevarrà quante chiù
-putarrà, senza caccià quatrine; e se pijarà 'na
-bona parrucche. Accuscì nu, dapù, putéme fa'
-mejie l'affare nuostre.
-</p>
-
-<p>
-Lodò Ciávola il consiglio del Ristabilito, e il
-prete s'accordò. Andarono insieme verso la casa
-dell'uomo, distante due tiri di fucile; e quando
-furono da presso, Ciávola diede la voce:
-</p>
-
-<p>
-— Ohe, La Bravettaa! Vuo' venì a la taverne
-<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span>
-d'Assaù? Ce sta lu prévete aqquà che ce paghe
-na carráfe. Oheee!
-</p>
-
-<p>
-La Bravetta non pose indugio a discendere
-su 'l sentiero, e tutti e quattro camminarono in
-fila, motteggiando, sotto il chiarore della nuova
-luna. Nella serenità il miagolío de' gatti presi
-d'amore saliva ad intervalli. E il Ristabilito fece:
-</p>
-
-<p>
-— O Pe', nen siente Pelagge che t'archiame?
-</p>
-
-<p>
-In su la sinistra riva splendevano i lumi della
-taverna d'Assaù ripercossi dall'acqua. Ora, come
-il corso del fiume era ivi per solito assai dolce,
-Assaù teneva un paliscalmo per traghettare gli
-avventori. Alle voci, si mosse infatti il paliscalmo
-e venne per l'acqua luminosa a prendere i sopraggiunti.
-Quando tutti i quattro salirono, tra
-amichevoli clamori, Ciávola con le sue lunghe
-gambe prese a far traballare e scricchiolare il
-legno per atterrire La Bravetta che in mezzo
-all'umidità fluviale fu assalito da un nuovo impeto
-di starnutazioni.
-</p>
-
-<p>
-Ma nella taverna, in torno a un desco di quercia,
-gli amici moltiplicarono le risa e i clamori.
-Ognuno mesceva da bere all'insidiato, a cui quel
-buon vermiglio succo delle vigne spoltoresi, brusco,
-quasi frizzante, ricco di sapore e di colore,
-scendeva agevolmente nel gorgozzúle.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span>
-</p>
-
-<p>
-— 'N'atra carráfe! — ordinava Don Bergamino,
-battendo il pugno in su 'l desco.
-</p>
-
-<p>
-Assaù, un uomo tutto bestialmente villoso fin
-sotto gli occhi e di gambe storto, recava le caraffe
-arrubinate. Ciávola canticchiava una canzone
-di molta libertà bacchica, percotendo in
-ritmo il vetro dei bicchieri. La Bravetta, con la
-lingua già impedita, con gli occhi già natanti
-nella favolosa gioia del vino, balbettava non so
-che laudi del suo bel porco e teneva il prete
-per la manica affinchè ascoltasse. Sopra di loro
-pendevano dalla vôlta lunghe corone di poponelle
-d'acqua verdegialle; le lucerne mal nutrite
-d'olio fumigavano.
-</p>
-
-<p>
-Era buona ora di notte quando gli amici ripassarono
-il fiume, alla luna occidua. Nel discendere
-su la riva Mastro Peppe fu lì lì per cadere
-tra la melma, tanto egli aveva le gambe malferme
-e la vista torbida.
-</p>
-
-<p>
-Disse il Ristabilito:
-</p>
-
-<p>
-— Facéme 'n' ópera bbone. Arpurtéme a la
-case custù.
-</p>
-
-<p>
-E il ricondussero, sorreggendolo alle ascelle,
-su per la pioppaia. Balbettava l'ebro, travedendo
-i tronchi biancicanti nella notte:
-</p>
-
-<p>
-— Uh, quanta frate duminicane!...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span>
-</p>
-
-<p>
-E Ciávola:
-</p>
-
-<p>
-— Vann' a la cerche pe' sant'Antuone.
-</p>
-
-<p>
-E l'ebro, dopo un poco:
-</p>
-
-<p>
-— O Leprucce, Leprucce, sette rótole de sale
-n'abbaste. Coma facéme?
-</p>
-
-<p>
-Giunti all'uscio di casa, i tre congiurati se ne
-andarono. Mastro Peppe salì a grande stento
-la scaletta, sempre farneticando di Lepruccio e
-del sale. Poi, senza rammentarsi d'aver lasciato
-aperto l'uscio, si gittò in su 'l letto pesantemente
-tra le braccia del sonno, e inerte vi rimase.
-</p>
-
-<p>
-Ciávola e il Ristabilito, come ebbero avuto
-ristoro alla cena di Don Bergamino, muniti di
-certi ordigni ritorti, se ne vennero cautamente all'impresa.
-Era il cielo, dopo l'occaso della luna,
-tutto smagliante di stelle; e un maestraletto gelido
-andava soffiando per la solitudine. I due avanzarono
-in silenzio, tendendo l'orecchio, soffermandosi
-ad ora ad ora; e tutte le virtù venatorie
-e le agilità di Matteo Puriello in quell'occorrenza
-si esercitavano.
-</p>
-
-<p>
-Quando essi giunsero alla mèta, il Ristabilito
-a pena potè trattenere una esclamazione di gioia
-accorgendosi dell'uscio aperto. Una perfetta quiete
-regnava nella casa, se non che si udiva il profondo
-russare del dormiente. Ciávola salì primo
-<span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span>
-le scale, seguito dall'altro. Ambedue, al fievolissimo
-lume che entrava pe' vetri, scorsero subito
-la forma vaga del porco in su la tavola.
-Con infinita cautela sollevarono il peso e pianamente
-lo trassero fuori a gran forza di braccia.
-Stettero quindi in ascolto. Un gallo d'improvviso
-cantò e altri galli risposero dalle aie, consecutivamente.
-</p>
-
-<p>
-Allora i due gai ladroni si misero pe 'l sentiero,
-con il porco in su le spalle, ridendo d'un riso lungo
-e silenzioso; e a Ciávola pareva d'essere giù
-per una bandita recando un grosso capo di selvaggina
-predata. Come il porco era assai greve,
-essi giunsero alla casa del prete alenanti.
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-La mattina Mastro Peppe, avendo digerito il
-vino, si risvegliò; e stette su 'l letto un poco
-ad allungar le membra e ad ascoltare le campane
-che salutavan la vigilia di Sant'Antonio.
-Egli già, in mezzo alla confusione del primo risvegliarsi,
-sentiva nell'animo espandersi la contentezza
-del possesso, e pregustava il diletto di
-veder Lepruccio mettere in pezzi e coprir con
-sale le pingui carni suine.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span>
-</p>
-
-<p>
-Spinto da questo pensiero, egli si levò; e con
-sollecitudine uscì su 'l pianerottolo, stropicciandosi
-gli occhi per meglio guardare. Su la tavola
-non rimaneva se non qualche macchia sanguigna,
-e sopra vi rideva il sole virginalmente.
-</p>
-
-<p>
-— Lu porche? Addó sta lu porche? — gridò,
-con una voce rauca, il derubato.
-</p>
-
-<p>
-Una furibonda agitazione l'invase. Egli discese
-le scale, vide l'uscio aperto, si percosse la fronte,
-irruppe fuori urlando, chiamando in torno a sè i
-lavoratori, chiedendo a tutti se avessero visto il
-porco, se l'avessero preso. Egli moltiplicava le
-querele, sollevava ognora più le voci; e il doloroso
-schiamazzo, risonando per tutta la riviera,
-giunse fino agli orecchi di Ciávola e del Ristabilito.
-</p>
-
-<p>
-Se ne vennero dunque costoro placidamente,
-in accordo, per godersi lo spettacolo e per continuare
-la beffa. E come furono giunti in vista,
-Mastro Peppe, rivolgendosi a loro, tutto dolente
-e lacrimante, esclamò:
-</p>
-
-<p>
-— Uh, pover'a me! Me l'hann'arrubbate lu
-porche! Uh, pover'a me! E coma facce mo?
-E coma facce?
-</p>
-
-<p>
-Biagio Quaglia stette un poco a considerare
-l'aspetto dell'infelicissimo, con socchiusi gli occhi
-<span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span>
-tra la canzonatura e l'ammirazione, con china
-la testa verso una spalla, quasi in atto di giudicare
-un effetto d'arte mimetica. Poi, accostatosi,
-fece:
-</p>
-
-<p>
-— Eh, sì, sì.... nen ze po' di' de no.... Tu le
-fi' bbone la parte.
-</p>
-
-<p>
-Peppe, non comprendendo, levò la faccia tutta
-solcata di gocciole.
-</p>
-
-<p>
-— E, sì, sì.... sta vote li si fatte proprie da
-furbe — seguitò il Ristabilito, con una cert'aria
-di confidenza amichevole.
-</p>
-
-<p>
-Peppe, non comprendendo ancora, levò di
-nuovo la faccia; e le lacrime negli occhi pieni
-di stupore gli si arrestarono.
-</p>
-
-<p>
-— Ma, pe' di' la verità, accuscì maleziose nen
-te credeve — riprese a dire il Ristabilito. — Brave!
-brave! Me rallegre!
-</p>
-
-<p>
-— Ma tu che dice? — dimandò tra i singhiozzi
-La Bravetta. — Ma tu che dice? Uh, pover'a me!
-E coma facce mo a rijì a la case?
-</p>
-
-<p>
-— Brave! brave! Bena! — incalzava il Ristabilito. — Dajie
-mo! Strilla forte! Piagne forte!
-Tirete li capille! Fatte sentì! Accuscì! Falle créde'.
-</p>
-
-<p>
-E Peppe, piangendo:
-</p>
-
-<p>
-— Ma i' diche addavére ca me se l'hann'arrubbate.
-Uh die! Pover'a me!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Dajie! Dajie! Nen te fermà. Quante chiù tu
-strilla, chiù te nome créde. Dajie! Angóre! Angóre!
-</p>
-
-<p>
-Peppe, fuor di sè pe 'l dispetto e pe 'l dolore,
-sacramentava ripetendo:
-</p>
-
-<p>
-— I' diche addavére. Che me pozza murì, mo,
-sùbbite, se lu porche nen me se l'hann'arrubbate!
-</p>
-
-<p>
-— Uh, povere 'nnucende! — squittì per ischerno
-Ciávola. — Mettéteje lu ditucce 'mmocche. Coma
-putéme fa' a crédete, se jere avéme viste lu porche
-a là? Sant'Andonie j'ha date li 'scelle pe' vula?
-</p>
-
-<p>
-— Sant'Andonie bbenedette! È coma diche i'.
-</p>
-
-<p>
-— Ma po' esse?
-</p>
-
-<p>
-— Accuscì è.
-</p>
-
-<p>
-— Ma nen è cuscì.
-</p>
-
-<p>
-— È cuscì.
-</p>
-
-<p>
-— No.
-</p>
-
-<p>
-— Uh, uh, uh! È cuscì! È cuscì! I' so' mmorte.
-I' nen sacce coma pozze fa' a rijì a la case. Pelagge
-nen me crede; e se ppure me crede, nen
-me dà chiù pace... I' so' mmorte!
-</p>
-
-<p>
-— 'Mbè, ce vuléme créde — concluse il Ristabilito. — Ma
-bbade, Pe', ca Ciávule a jere
-t'ha 'nzegnate lu juchette. E i' nen vulesse ca tu
-gabbísse a Pelagge e a nu, tutte 'na vote. Tu
-fusse capace...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span>
-</p>
-
-<p>
-Allora La Bravetta ricominciò a piangere, a
-gridare, a disperarsi con una così pazza irruzion
-di dolore, che il Ristabilito per pietà soggiunse:
-</p>
-
-<p>
-— 'Mbé, statte zitte. Te credéme. Ma, se è
-vere su fatte, s'ha da truvà 'na maniere pe' armedià.
-</p>
-
-<p>
-— Quala maniere? — dimandò subito, rasserenandosi
-tra le lacrime, La Bravetta, nel cui
-animo la speranza risorgeva.
-</p>
-
-<p>
-— Ecc'a qua — propose Biagio Quaglia. — Certe,
-une di quille che stanne pe' qua attorne
-ha avute da esse; pecchè certe n'hanne vinute
-dall'India bbasse a pijarse lu porche a te. No,
-Pe'?
-</p>
-
-<p>
-— Va bbone, va bbone, — assentì l'uomo,
-che stava trepido a udire, col naso in alto tutto
-ancor pieno d'umor lacrimale.
-</p>
-
-<p>
-— Mo dunque (statte attende), — continuò il
-Ristabilito che a quella credula attenzione prendeva
-diletto, — mo dunque se nisciume ha vinute
-dall'India bbasse pe' venirte a rubbà, cert'è
-che quaccune di quille che stanne pe' qua attorne
-ha avute da esse lu latre. No, Pe'?
-</p>
-
-<p>
-— Va bbone, va bbone.
-</p>
-
-<p>
-— Mo che s'ha da fa'? S'ha da raunà tutte
-sti cafune e s'ha da sprementà cacche fatture
-<span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span>
-pe' scuprì lu latre. Scuperte lu latre, scuperte lu
-porche.
-</p>
-
-<p>
-Gli occhi di mastro Peppe brillarono di desiderio;
-ed egli si fece più da presso, poichè l'accenno
-alla fattura aveva risvegliate in lui le native
-superstizioni.
-</p>
-
-<p>
-— Tu le sié; ce stanne tre specie de maggie:
-la bianche, la rosce e la nere, e ce stanne, tu
-le sié, a lu paese tre femmene dell'arte: Rosa
-Schiavona, Rusaria Pajara e la Ciniscia. Sta a
-te a scejie.
-</p>
-
-<p>
-Peppe stette un momento in forse. Poi elesse
-Rosaria Pajara che aveva gran fama d'incantatrice
-e aveva operato in altri tempi cose mirabili.
-</p>
-
-<p>
-— 'Mbé, su, — concluse il Ristabilito, — nen
-ce sta tembe da pérde. I' pe' te, propie pe' farte
-nu piacere, vajie sine a lu paese a pijà quelle
-che ce serve. Parle 'nghe Rusarie, me facce dà
-tutte cose, e me n'arvenghe, dentr'a sta matine.
-Damme li quatrine.
-</p>
-
-<p>
-Peppe si tolse dalla tasca del panciotto tre
-carlini ed esitando li porse.
-</p>
-
-<p>
-— Tre carline? — gridò l'altro, rifiutandoli.
-Tre carline? Ma ce ne vo' pe' lu mene diece.
-</p>
-
-<p>
-A sentir questo il marito di Pelagia ebbe quasi
-uno sbigottimento.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_356">[356]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Come? Pe' na fatture, diece carline? — balbettò
-egli cercandosi con le dita tremule
-nella tasca. — Ècchetene otte. Nen ne tenghe
-chiù.
-</p>
-
-<p>
-Disse il Ristabilito, secco:
-</p>
-
-<p>
-— Va bbone. Quelle che posse fa' facce. Viene
-pure tu, Cià?
-</p>
-
-<p>
-I due compagni s'incamminarono verso Pescara,
-di buon passo, pe 'l sentiero degli alberi,
-l'uno innanzi, l'altro dietro. E Ciávola picchiava
-gran colpi di pugno su la schiena del Ristabilito,
-per dimostrare la sua allegrezza. Come
-essi giunsero al paese, si recarono nella bottega
-di un tal Don Daniele Pacentro speziale con cui
-erano in familiarità; ed ivi comperarono certi
-aròmati e droghe, facendone quindi comporre
-pallottole a guisa di pillole grosse, come noci,
-ben coperte di zucchero, sciloppate e cotte. Subito
-che lo speziale ebbe compiuta l'operazione,
-Biagio Quaglia (il quale nel frattempo era stato
-assente) tornò con una carta piena d'escrementi
-secchi di cane; e di quelli escrementi volle che
-lo speziale componesse due belle pillole, in tutto
-simili alle altre per la forma, se non che confettate
-prima in aloe e poi coperte leggermente
-di zucchero. Così lo speziale fece; e, perchè
-<span class="pagenum" id="Page_357">[357]</span>
-queste dalle altre si riconoscessero, vi mise, per
-consiglio del Ristabilito, un piccolo segno.
-</p>
-
-<p>
-I due ciurmadori ripresero la via della campagna,
-e furono alla casa di Mastro Peppe in
-su l'ora di mezzodì. Mastro Peppe stava con
-molto affanno aspettando. A pena vide sbucare
-di tra le alberelle il corpo lungo e sottile di Ciávola,
-gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Mbé?
-</p>
-
-<p>
-— Tutte è all'ordene — rispose in suon di
-trionfo il Ristabilito, mostrando il cofano delle
-confetture incantate. — Mo tu, già che ogge
-è la viggilie de Sant'Andonie e li cafune fanne
-feste, arhunisce tutte quante all'are per dajie a
-beve. Tu hi da tené na certe butticelle de Montepulciane.
-Mitte mane a quelle pe' ogge! E
-quande tutte stanne bene arhunite, penze i' a fa'
-e a dice tutte quelle che s'ha da fa' e s'ha da di'.
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Dopo due ore, come il pomeriggio era tiepido
-e chiarissimamente sereno, avendo La Bravetta
-fatto correre la voce, se ne vennero all'invito i
-coltivatori e i massai dei dintorni. Nell'aia si
-levavano alti mucchi di paglia, che percossi
-<span class="pagenum" id="Page_358">[358]</span>
-dal sole ornavansi d'un glorioso colore d'oro;
-quivi una torma di oche andava schiamazzando,
-bianca, lenta, con larghi becchi aranciati, chiedendo
-di nuotare; gli odori dello stabbio giungevano
-ad intervalli. E tutti quelli uomini rusticani,
-aspettando di bere, motteggiavano, tranquilli,
-su le loro gambe in arco difformate dalle
-rudi fatiche: alcuni con volti rugosi e rossastri
-come vecchi pomi, con occhi resi miti dalla lunga
-pazienza o resi vivi dalla lunga malizia; altri con
-barbe nascenti, con attitudini di gioventù, con
-nelle vesti rinnovate una manifesta cura d'amore.
-</p>
-
-<p>
-Ciávola e il Ristabilito non si fecero molto
-attendere. Tenendo in una mano la scatola delle
-confetture, il Ristabilito ordinò che tutti si mettessero
-in cerchio; e, stando egli nel mezzo, fece
-una breve concione, non senza una certa gravità
-di voce e di gesti.
-</p>
-
-<p>
-— Bon'uómmene! — disse — nisciune de vu,
-certe, sa pecche propie Mastre Peppe De Siere
-v'ha chiamate a qua...
-</p>
-
-<p>
-Un moto di stupore, a questo strano preambolo,
-si propagò in tutte le bocche degli ascoltanti;
-e la letizia pe 'l promesso vino si mutò in
-una inquietudine di diversa espettazione. Continuava
-l'oratore:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_359">[359]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ma, seccome po' succéde caccosa bbrutte
-e vu ve putassáte lagnà de me, ve vojie dice de
-che se tratte, prima de fa' la spirienze.
-</p>
-
-<p>
-Gli ascoltanti si guardavano l'un l'altro negli
-occhi, con un'aria smarrita; e quindi rivolgevano
-lo sguardo curioso e incerto al cofanetto che
-l'oratore teneva in una mano. Un d'essi, poichè
-il Ristabilito faceva pausa per considerare l'effetto
-delle parole, esclamò impaziente:
-</p>
-
-<p>
-— Ebbè?
-</p>
-
-<p>
-— Mo, mo, bell'uómmene mi'. La notta passate
-s'hann'arrubbate a Mastre Peppe nu bbone
-porche che s'ave' da salà. Chi ha state lu latre,
-nen ze sa; ma cert'è ca s'ha da truvà
-miezze a vu' áutre, pecchè nisciune venéve dall'India
-bbasse p' arrubbarse lu porche a Mastre
-Peppe!
-</p>
-
-<p>
-Fosse un giocondo effetto di questo peregrino
-argomento dell'India o fosse l'azione del tiepido
-sole, La Bravetta cominciò a starnutire. I villici
-si fecero in dietro; la tribù delle oche si disperse,
-sbigottita; e sette starnutazioni consecutive risonarono
-liberamente nell'aria, turbando la pace
-rurale. L'ilarità risorse negli animi, a quel fragore.
-L'adunanza, dopo un poco, si ricompose.
-Il Ristabilito continuò, sempre grave:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_360">[360]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Pe' scuprì lu latre Mastre Peppe ha pensate
-de darve a magnà certe bbone cunfette e
-de darve a bere nu certe Montepulciane viecchie
-che j'ha messe mane ogge apposte. Ma pirò
-v'ajie da dice na cose. Lu latre, appena se mette
-mmocche lu cunfette, se sente la vocche accuscì
-amare, accuscì amare c'ha da sputà pe' fforze. Vulete
-sprementà? O pure lu latre, pe' nen esse
-sbruvegnate, se vo' cunfessà a lu prévete? Bell'uó,
-arspunnéte!
-</p>
-
-<p>
-— Nu vuléme magna e beve — risposero
-quasi in coro gli adunati. E un movimento incerto
-corse fra quella gente semplice. Ognuno, guardando
-il compagno, aveva negli occhi una punta
-d'investigazione. Ognuno, naturalmente, poneva
-nel ridere una tal quale ostentazione di spontaneitá.
-</p>
-
-<p>
-Disse Ciávola:
-</p>
-
-<p>
-— V'avete da mette tutt'a ffile, pe' la sprïenze.
-Nisciune s'ha da puté nnascónne.
-</p>
-
-<p>
-Ed egli, quando tutti furono disposti, prese il
-fiasco e i bicchieri, apprestandosi a mescere. Il
-Ristabilito si fece dall'un de' capi, e cominciò a
-distribuire pianamente i confetti che sotto le gagliarde
-dentature dei villani scricchiolavano e
-sparivano in un attimo. Come egli giunse a Mastro
-<span class="pagenum" id="Page_361">[361]</span>
-Peppe, prese uno dei confetti canini e glielo
-porse; e seguitò oltre, senza nulla dare a divedere.
-</p>
-
-<p>
-Mastro Peppe, che fin allora era stato con i
-grandissimi occhi intenti a cogliere in fallo qualcuno,
-si gittò in bocca il confetto prestamente,
-quasi con cupidigia di goloso, e prese a masticare.
-D'un tratto i pomelli delle gote gli salirono
-vivamente verso gli occhi, gli angoli della
-bocca e le tempie gli si empirono di crespe, la
-pelle del naso gli si arricciò, il mento gli si torse
-un poco, tutti i lineamenti della sua faccia ebbero
-una comune mimica involontaria di orrore;
-e una specie di brivido visibile gli corse dalla
-nuca per le spalle. E subito, poichè la lingua non
-poteva sostenere l'amaro dell'áloe e una resistenza
-invincibile saliva dallo stomaco per la gola
-ad impedire l'inghiottimento, il malcapitato fu
-costretto a sputare.
-</p>
-
-<p>
-— Ohe, Mastre Pè, tu che ccazze fiè? — garrì
-Tulespre dei Passeri, un vecchio capraro verdastro
-e peloso come una tartaruga di palude.
-</p>
-
-<p>
-Si rivolse, a quella voce agra, il Ristabilito
-che non anche aveva terminato di distribuire.
-Però, vedendo La Bravetta tutto contorcersi,
-disse con suon di benevolenza:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_362">[362]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Mbé, quelle forse ere troppe cotte. To'! Ecchene
-n'áutre. 'Nglutte, Peppe!
-</p>
-
-<p>
-E con due dita gli cacciò in bocca la seconda
-pillola canina.
-</p>
-
-<p>
-Il pover'uomo la prese; e, sentendo sopra di
-sè fissi gli occhi maligni e acuti del capraro, fece
-un supremo sforzo per sostener l'amarezza; non
-masticò, non inghiottì; stette con la lingua immobile
-contro i denti. Ma, come al calore dell'alito
-e all'umidore della saliva l'áloe si discioglieva,
-egli non poteva più reggere: le labbra
-gli si torsero come dianzi; il naso gli si empì
-di lacrime; e certe gocciole grosse gli cominciarono
-a sgorgare dal cavo degli occhi e a rimbalzar,
-come perle scaramazze, giù per le gote.
-Alfine, sputò.
-</p>
-
-<p>
-— Ohe, Mastre Pé, e mo che ccazze fiè? — garrì
-di nuovo il capraro, mostrando in un suo
-ghigno le gencive bianchicce e vacue. — Ohe,
-e queste mo che signifeche?
-</p>
-
-<p>
-Tutti i villici ruppero l'ordine, e attorniarono
-La Bravetta; alcuni con risa di beffa, altri con
-parole irose. Le ribellioni di orgoglio subitanee e
-brutali che ha l'onore della gente campestre, le
-severità implacabili della superstizione scoppiarono
-d'improvviso in una tempesta di contumelie.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_363">[363]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Pecché ci si' fatte venì a qua? Pe' jettè la
-cólepe a une de nu 'nghe 'na fatture fáuze? Pe'
-cujunà a nu? Pecché? Si' fatte male li cunde!
-Latre, bbuciarde, nasó, fijie de cane, fijie de puttane!
-A nu vu cujunà? Pezze de fesse! Latre!
-Nasó! Te vuleme rompe tutte li pignate 'n cocce.
-Fijie de puttane! Sangue de Criste, tu!
-</p>
-
-<p>
-E si dispersero, dopo aver rotto il fiasco e i
-bicchieri, gridando le ultime ingiurie di tra i
-pioppi.
-</p>
-
-<p>
-Allora rimasero nell'aia Ciávola, il Ristabilito,
-le oche e La Bravetta. Questi, pieno di vergogna,
-di rabbia, di confusione, con il palato ancora
-morso dalla perversità dell'áloe, non poteva profferire
-parola. Il Ristabilito stette a considerarlo
-crudelmente, percotendo il terreno con la punta
-del piede poggiato in su' l tacco, scotendo per
-ironia il capo. Ciávola squittì, con un indescrivibile
-suon di dileggio:
-</p>
-
-<p>
-— Ah, ah, ah, ah! Brave! Brave La Bbravette!
-Dicce nu poche; quante ci si' fatte? Diece
-ducate?
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_364">[364]</span></p>
-
-<h2 id="marenghi">I MARENGHI.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Passacantando entrò, sbattendo forte le vetrate
-malferme. Scosse rudemente dalle spalle le gocce
-di pioggia; poi si guardò in torno, togliendosi
-dalla bocca la pipa e lasciando andare contro il
-banco padronale un lungo getto di saliva, con
-un atto di noncuranza sprezzante.
-</p>
-
-<p>
-Nella taverna il fumo del tabacco faceva come
-una gran nebbia turchiniccia, di mezzo a cui si
-intravedevano le facce varie dei bevitori e delle
-male femmine. C'era Pachiò, il marinaro invalido,
-a cui una untuosa benda verde copriva l'occhio
-destro infermo d'una infermità ributtante.
-C'era Binchi-Banche, il servitore dei finanzieri,
-un omiciattolo dal viso giallognolo e rugoso come
-un limone senza succo, curvo nella schiena, con
-le magre gambe sprofondate negli stivali fino ai
-ginocchi. C'era Magnasangue, il mezzano dei
-soldati, l'amico degli attori comici, dei giocolieri,
-dei saltimbanchi, delle sonnambule, dei domatori
-<span class="pagenum" id="Page_365">[365]</span>
-d'orsi, di tutta la gentaglia famelica e girovaga
-che si ferma nel paese per carpire agli oziosi
-un quattrino. E c'erano le belle del Fiorentino:
-tre o quattro femmine affloscite nel vizio, con le
-guance tinte d'un color di mattone, gli occhi bestiali,
-la bocca flaccida e quasi paonazza come
-un fico troppo maturo.
-</p>
-
-<p>
-Passacantando attraversò la taverna e andò a
-sedersi su una panca, tra la Pica e Peppuccia,
-contro il muro segnato di figure e di scritture
-invereconde. Egli era un giovinastro lungo e
-smilzo, tutto dinoccolato, con una faccia pallidissima
-da cui sporgeva il naso grosso, rapace, piegato
-molto da una parte. Le orecchie gli si spandevano
-ai due lati come cartocci sinuosi, l'uno
-più grande dell'altro; le labbra, sporgenti, vermiglie,
-e d'una certa mollezza di forma, avevano
-sempre agli angoli alcune piccole bolle di saliva
-bianchicce. Un berretto che l'untuosità rendeva
-consistente e malleabile come la cera, gli copriva
-i capelli bene curati, di cui una ciocca foggiata
-ad uncino scendeva fin su la radice del naso ed
-un'altra arrotondavasi su la tempia. Una specie
-di oscenità e di lascivia naturale emanava da ogni
-attitudine, da ogni gesto, da ogni modulazion di
-voce, da ogni sguardo di costui.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_366">[366]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ohe, — gridò egli — l'Africana, una fujetta!
-— percotendo il tavolo con la pipa d'argilla
-che al colpo s'infranse.
-</p>
-
-<p>
-L'Africana, la padrona della taverna, si mosse
-dal banco verso il tavolo, barcollando per la sua
-corpulenza grave; e posò dinanzi a Passacantando
-il vaso di vetro colmo di vino. Ella guardava
-l'uomo con uno sguardo pieno di supplicazione
-amorosa.
-</p>
-
-<p>
-Passacantando d'un tratto, dinanzi a lei, cinse
-co 'l braccio il collo di Peppuccia costringendola
-a bere, e quindi attaccò la bocca a quella
-bocca che ancora teneva il sorso del vino e fece
-atto di suggere. Peppuccia rideva, schermendosi;
-e per le risa il vino mal tracannato spruzzava
-la faccia del provocatore.
-</p>
-
-<p>
-L'Africana divenne livida. Si ritrasse dietro il
-banco. Di mezzo al fumo denso del tabacco le
-giungevano gli schiamazzi e le mozze parole di
-Peppuccia e della Pica.
-</p>
-
-<p>
-Ma la vetrata si aprì. E comparve su la soglia
-il Fiorentino, tutto avvolto in un pastrano, come
-uno sbirro.
-</p>
-
-<p>
-— Ehi, ragazze! — fece con la voce rauca. — È
-ora.
-</p>
-
-<p>
-Peppuccia, la Pica, le altre si levarono di tra
-<span class="pagenum" id="Page_367">[367]</span>
-gli uomini che le perseguitavano con le mani e
-con le parole; se ne uscirono, dietro il loro padrone,
-mentre pioveva e tutto il Bagno era un
-lago melmoso. Pachiò, Magnasangue, gli altri anche
-se ne uscirono, a uno a uno. Binchi-Banche rimase
-disteso sotto una tavola, immerso nel torpore
-dell'ebrietà. Il fumo nella taverna a poco a poco
-vaniva verso l'alto. Una tortora spennacchiata
-andava qua e là beccando le briciole del pane.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Allora, come Passacantando fece per alzarsi,
-l'Africana gli mosse in contro, lentamente, con
-la persona deforme atteggiata a una lusinghevole
-mollezza d'amore. Il gran seno le ondeggiava
-da una parte all'altra; ed una smorfia grottesca
-le rincrespava la faccia plenilunare. Su la
-faccia ella aveva due o tre piccoli ciuffi di peli
-crescenti dai nei; una lanugine densa le copriva
-il labbro superiore e le guance; i capelli corti,
-crespi e duri le formavano su 'l capo una specie
-di casco; le sopracciglia le si riunivano alla radice
-del naso camuso folte; cosicchè ella pareva
-non so qual mostruoso ermafrodito affetto di elefanzia
-o di idrope.
-</p>
-
-<p>
-Quando fu presso all'uomo, ella gli afferrò la
-mano per trattenerlo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_368">[368]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Oh, Giuvà!
-</p>
-
-<p>
-— Che volete?
-</p>
-
-<p>
-— I' che t'hajie fatte?
-</p>
-
-<p>
-— Voi? Niende.
-</p>
-
-<p>
-— E allora pecchè me dai pene e turmende?
-</p>
-
-<p>
-— Io? Me facce meravijia... Bona sere! Nen
-tenghe tembe da perde, mo.
-</p>
-
-<p>
-E l'uomo, con un moto brutale, fece per andarsene.
-Ma l'Africana gli si gettò alla persona,
-stringendogli le braccia, e mettendogli il volto
-contro il volto, ed opprimendolo con tutta la mole
-delle carni, per un impeto di passione e di gelosia
-così terribilmente incomposto che Passacantando
-ne rimase atterrito.
-</p>
-
-<p>
-— Che vuo'? Che vuo'? Dimmele! Che vuo'?
-Che te serve? Tutte te denghe; ma statte'nghe
-me, statte'nghe me. Nen me fa murì di passijone...
-nen me fa ì 'n pazzía... Che te serve? Viene!
-Píjiate tutte quelle che truove... — Ed ella lo
-trasse verso il banco; aprì il cassetto; gli offerse
-tutto, con un gesto solo.
-</p>
-
-<p>
-Nel cassetto, lucido di untume, erano sparse
-alcune monete di rame tra cui luccicavano tre
-o quattro piccole monete d'argento. Potevano
-essere, insieme, cinque lire.
-</p>
-
-<p>
-Passacantando, senza dir nulla, raccolse le monete
-<span class="pagenum" id="Page_369">[369]</span>
-e si mise a contarle su 'l banco, lentamente,
-tenendo la bocca atteggiata al dispregio. L'africana
-guardava ora le monete, ora la faccia dell'uomo,
-ansando come una bestia stracca. Si udiva
-il tintinno del rame, il russare aspro di Binchi-Banche,
-il saltellare della tortora, in mezzo al
-continuo rumore della pioggia e del fiume giù
-per il Bagno e per la Bandiera.
-</p>
-
-<p>
-— Nen m'abbaste — disse finalmente Passacantando. — Ce
-vo' l'autre. Cacce l'autre, se no
-i' me ne vajie.
-</p>
-
-<p>
-Egli s'era schiacciato il berretto su la nuca.
-Il ciuffo rotondo gli copriva la fronte, e sotto il
-ciuffo gli occhi bianchicci, pieni d'impudenza e
-d'avarizia, guardavano l'Africana intentamente,
-involgendo quella femmina in una specie di fascinazione
-malefica.
-</p>
-
-<p>
-— I' nen tenghe chiù niende. Tu mi siè spujate.
-Quelle che truove, píjiatele... — balbettava l'Africana,
-supplichevole, carezzevole, mentre la pappagorgia
-e le labbra le tremavano, e le lagrime
-le sgorgavano dagli occhietti porcini.
-</p>
-
-<p>
-— Mbé, — fece Passacantando, a voce bassa,
-chinandosi verso di lei — mbé, e t'acride che
-i' nen sacce che maritete tene li marenghe d'ore?
-</p>
-
-<p>
-— Oh, Giuvanne... E coma facce pover'ammè?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_370">[370]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Tu, mo, súbbito, vall'a pijà. I' t'aspett'a qua.
-Maritete dorme. Quest'è lu momende. Va; se no
-nen m'arvide chiù, pe' Sant'Andonie.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, Giuvanne... I' tenghe pahure.
-</p>
-
-<p>
-— Che pahure e nen pahure! — strillò Passacantando. — Mo
-ce venghe pure i'. 'Jame!
-</p>
-
-<p>
-L'Africana si mise a tremare. Indicò Binchi-Banche
-che stava ancora disteso sotto la tavola,
-nel sonno pesante.
-</p>
-
-<p>
-— Chiudème prime la porte — ella consigliò,
-con sommessione. Passacantando destò con un
-calcio Binchi-Banche, che per lo spavento improvviso
-cominciò a urlare e a dimenarsi entro
-i suoi stivali finchè non fu quasi trascinato fuori,
-nella mota e nelle pozzanghere. La porta si chiuse.
-La lanterna rossa, che stava appiccata ad una
-delle imposte, illuminò la taverna d'un rossore sudicio;
-gli archi massicci si disegnarono in ombra
-profonda; la scala nell'angolo divenne misteriosa;
-tutta l'architettura prese un'apparenza tetra.
-</p>
-
-<p>
-— 'Jame! — ripetè Passacantando all'Africana
-che ancora tremava.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Ambedue salirono adagio per la scala di mattoni
-che sorgeva nell'angolo più oscuro, la femmina
-innanzi, l'uomo indietro. In cima alla scala
-<span class="pagenum" id="Page_371">[371]</span>
-era una stanza bassa, impalcata di travature.
-Sopra una parete era incrostata una madonna
-di maiolica azzurrognola; e davanti le ardeva
-in un bicchiere pieno d'acqua e d'olio un lume,
-per voto. Le altre pareti copriva, come una lebbra
-multicolore, una quantità d'imagini di carta
-in brandelli. L'odore della miseria, l'odore del
-calore umano nei cenci, empiva la stanza.
-</p>
-
-<p>
-I due ladri si avanzavano verso il letto cautamente.
-</p>
-
-<p>
-Stava su 'l letto maritale il vecchio, immerso
-nel sonno, respirante con una specie di sibilo
-fioco a traverso le gengive senza denti, a traverso
-il naso umido e dilatato dal tabacco. La
-testa calva posava di sbieco sopra un guanciale
-di cotone rigato; su la bocca cava, simile a un
-taglio fatto su una zucca infracidita, si rizzavano
-i baffi ispidi e ingialliti dal tabacco; e uno degli
-orecchi visibile rassomigliava all'orecchio rovesciato
-di un cane, essendo pieno di peli, coperto
-di bolle, lucido di cerume. Un braccio usciva fuori
-delle coperte, nudo, scarno, con grossi rilievi di
-vene simili alle gonfiezze delle varici. La mano
-adunca teneva un lembo del lenzuolo, per abitudine
-di prendere.
-</p>
-
-<p>
-Ora, questo vecchio ebete possedeva da tempo
-<span class="pagenum" id="Page_372">[372]</span>
-due marenghi avuti in lascito non si sa da qual
-parente usuraio; e li conservava con gelosa cura
-dentro una tabacchiera di corno in mezzo al tabacco,
-come alcuni fanno di certi insetti muschiati.
-Erano due marenghi gialli e lucenti; ed il vecchio
-vedendoli ad ogni momento e ad ogni momento
-palpandoli nel prendere tra l'indice e il
-pollice l'aroma, sentiva in sè crescere la passione
-dell'avarizia e la voluttà del possesso.
-</p>
-
-<p>
-L'Africana si accostò pianamente, trattenendo
-il respiro, mentre Passacantando la incitava con
-i gesti al furto. Si udì per le scale un rumore
-Ambedue ristettero. La tortora spennacchiata e
-zoppa entrò saltellando nella stanza; trovò il nido
-in una ciabatta, a piè del letto maritale. Ma come
-ancora, nell'accomodarsi, faceva strepito, l'uomo
-con un moto rapido la serrò nel pugno, con una
-stretta la soffocò.
-</p>
-
-<p>
-— Ci sta? — chiese all'Africana.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, ci sta, sott'a lu cuscine... — rispose
-quella mentre insinuava sotto il guanciale la mano.
-</p>
-
-<p>
-Il vecchio, nel sonno, si mosse, mettendo un
-gemito involontario, ed apparve tra le sue palpebre
-un po' del bianco degli occhi. Poi ricadde
-nell'ottusità del sopore senile.
-</p>
-
-<p>
-L'Africana, per l'immensa paura, divenne audace;
-<span class="pagenum" id="Page_373">[373]</span>
-spinse la mano d'un tratto, afferrò la tabacchiera,
-e, con un moto di fuga, si rivolse verso
-le scale; discese seguita da Passacantando.
-</p>
-
-<p>
-— O Die! O Die! Vide che so fatte pe' te!... — balbettava,
-abbandonandosi addosso all'uomo.
-</p>
-
-<p>
-Ed ambedue si misero insieme, con le mani
-malferme, ad aprire la tabacchiera, a cercare fra
-il tabacco le monete d'oro. L'acuto aroma saliva
-loro per le narici; ed ambedue, come sentivano
-l'eccitazione a starnutire, furono invasi d'improvviso
-da un impeto d'ilarità. E, soffocando il rumore
-degli starnuti, barcollavano e si sospingevano.
-Al gioco, la lussuria nella pinguedine dell'Africana
-insorgeva. Ella amava d'essere amorosamente
-morsicata e bezzicata e sballottata e
-qua e là percossa da Passacantando; fremeva
-tutta e tutta si ribrezzava nella sua bestiale orridezza.
-Ma, a un punto, prima si udì un brontolio
-indistinto e poi gridi rauchi proruppero su
-nella stanza. E il vecchio comparve in cima alla
-scala, livido alla luce rossastra della lanterna,
-magro, scheletrito, con le gambe nude, con una
-camicia a brandelli. Guardava in giù la coppia
-ladra; ed agitando le braccia gridava come un'anima
-dannata:
-</p>
-
-<p>
-— Li marenghe! Li marenghe! Li marenghe!
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_374">[374]</span></p>
-
-<h2 id="madia">LA MADIA.</h2>
-</div>
-
-<p>
-A pena Luca udì il rumore delle grucce, spalancò
-gli occhi e li volse ardenti e torbidi verso
-la porta, aspettando che il fratello comparisse
-sul limitare. Tutta la faccia, estenuata dalla sofferenza,
-divorata dalla febbre, sparsa di bolle
-rossastre, gli prese d'improvviso un aspetto di
-durezza e quasi d'ira. Egli afferrò le mani della
-madre, convulsamente, gridando, con la voce
-rauca e rotta:
-</p>
-
-<p>
-— Caccialo! Caccialo! Non lo voglio vedere.
-Capisci? Non lo voglio vedere; mai più. Capisci?
-</p>
-
-<p>
-Le parole lo soffocarono. Egli stringeva forte
-le mani della madre, tossendo con grande affanno,
-mentre la camicia sul petto gli palpitava
-e gli s'apriva un poco ad ogni sforzo. Aveva
-la bocca gonfia; e pel mento le bolle riseccate
-gli formavano come una crosta che si screpolava
-e sanguinava ad ogni sforzo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_375">[375]</span>
-</p>
-
-<p>
-La madre cercava di placarlo.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, sì, figlio mio. Non lo vedrai più. Farò
-come tu vuoi. Lo caccerò, lo caccerò. Questa
-è la casa tua, figlio, tutta tua. Mi senti?
-</p>
-
-<p>
-Luca le tossiva sul volto.
-</p>
-
-<p>
-— Ora, ora, sùbito — egli diceva, con una
-persistenza feroce, sollevandosi di sul letto, spingendo
-la madre verso la porta.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, figlio mio. Ora, sùbito.
-</p>
-
-<p>
-Ciro comparve al limitare, reggendosi su le
-grucce. Egli era mingherlino, con una grossa
-testa pesante. I capelli erano così biondi che
-quasi parevan bianchi. Gli occhi eran dolci come
-quelli d'un agnello, azzurri fra le lunghe ciglia
-chiare.
-</p>
-
-<p>
-Entrando, non disse nulla; poichè era muto
-per una paralisia. Ma vide gli occhi dell'infermo,
-che lo guardavano intenti e crudeli; e si
-fermò nel mezzo della stanza, appoggiato alle
-grucce, irresoluto, non osando avanzare. La
-gamba destra, torta e raccorciata, aveva un piccolo
-tremito visibile.
-</p>
-
-<p>
-Luca disse alla madre:
-</p>
-
-<p>
-— Che viene a fare, questo stroppiato? Caccialo
-via! Voglio che tu lo cacci via. Capisci?
-Sùbito.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_376">[376]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ciro intese, e guardò la matrigna che già
-era per levarsi. La guardò con occhi tanto supplichevoli,
-ch'ella non ebbe cuore di fargli violenza.
-Poi, tenendo sotto l'ascella una gruccia,
-con la mano libera fece un gesto disperato. E
-gittò uno sguardo vorace alla madia ch'era in
-un canto. Voleva dire:
-</p>
-
-<p>
-— Ho fame.
-</p>
-
-<p>
-— No, no; non gli dar niente — si mise a
-gridare Luca, agitandosi tutto sul letto, imponendo
-alla donna il suo capriccio malvagio. — Niente!
-Mandalo via.
-</p>
-
-<p>
-Ciro aveva chinato sul petto la grossa testa,
-tremando, con gli occhi pieni di lacrime. Quando
-la matrigna gli mise una mano su la spalla e
-lo spinse verso l'uscio, egli ruppe in singhiozzi;
-ma si lasciò condurre. Poi sentì chiuder l'uscio;
-e rimase sul pianerottolo, a singhiozzare. Singhiozzava
-forte e costante.
-</p>
-
-<p>
-Disse Luca alla madre, con un atto iroso:
-</p>
-
-<p>
-— Lo senti? Fa apposta, per farmi venir male.
-</p>
-
-<p>
-Il singhiozzo del fratello seguitava, interrotto
-qualche volta da un mugolìo singolare, accorante
-come il rantolo d'un giumento che sia per
-morire.
-</p>
-
-<p>
-— Ma lo senti? Va. Gettalo per le scale!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_377">[377]</span>
-</p>
-
-<p>
-La donna sorse con impeto; corse all'uscio,
-e levò sul muto le mani dure, avvezze a percuotere
-e ad incrudelire.
-</p>
-
-<p>
-Luca, sollevato in su' gomiti, ascoltava i colpi,
-dicendo:
-</p>
-
-<p>
-— Ancóra! ancóra!
-</p>
-
-<p>
-Sotto le percosse, Ciro tacque. Trattenendo
-il pianto, discese nella strada. Egli era famelico;
-non mangiava da quasi due giorni. A pena
-aveva la forza di trascinar le grucce.
-</p>
-
-<p>
-Passò in corsa una schiera di monelli, dietro
-il volo d'un aquilone che prendeva vento beccheggiando.
-Taluni gli diedero un urto, gridandogli:
-</p>
-
-<p>
-— Ehi, lo stroppiatino!
-</p>
-
-<p>
-Altri lo beffarono, gridandogli:
-</p>
-
-<p>
-— Vieni, bàrbero, alla carriera!
-</p>
-
-<p>
-Altri, alludendo alla sua gran testa, gli chiesero
-per dileggio:
-</p>
-
-<p>
-— Quanto la libbra il cervello, stroppiatino?
-</p>
-
-<p>
-Uno tra questi, più disumano, gli fece cadere
-una gruccia; e si mise a fuggire. Il muto barcollò;
-poi la raccolse a fatica, e si mosse. Gli
-strilli e le risa dei monelli si dileguavano verso
-il fiume. L'aquilone s'inalzava, come un uccello
-di paesi strani, in un cielo tutto rosato e soave.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_378">[378]</span>
-</p>
-
-<p>
-Compagnie di soldati cantavano in coro, lungo
-il Bagno. Era la bella stagione, sotto la festa
-di Pasqua.
-</p>
-
-<p>
-Ciro, sentendosi mordere le viscere dalla fame,
-pensò:
-</p>
-
-<p>
-— Ora chiedo l'elemosina.
-</p>
-
-<p>
-Dal forno veniva col vento primaverile la fragranza
-del pane recente. Passò un uomo vestito
-di bianco, portando in testa una lunga
-tavola su cui giacevano in ordine molti pani
-color d'oro, che ancora fumavano. Due cani lo
-seguivano, con il muso all'aria, dimenando la
-coda.
-</p>
-
-<p>
-Ciro si sentì quasi venir meno, di languore.
-Pensava:
-</p>
-
-<p>
-— Ora chiedo l'elemosina; se no, muoio.
-</p>
-
-<p>
-Il giorno cadeva lentamente. Il cielo diafano
-era tutto sparso d'aquiloni che si ritraevano
-verso terra ondeggiando. Le campane propagavano
-nell'aria sonora un rombo continuo e
-profondo.
-</p>
-
-<p>
-Ciro pensò:
-</p>
-
-<p>
-— Ora mi metto alla porta della chiesa.
-</p>
-
-<p>
-E si trascinò verso quel luogo.
-</p>
-
-<p>
-La chiesa in fatti era aperta. Si vedeva in
-fondo l'altare illuminato di fiammelle tremolanti,
-<span class="pagenum" id="Page_379">[379]</span>
-come una costellazione. Usciva fuori l'aroma
-dell'incenso e del belzuino, svanito. Di tanto in
-tanto, l'organo gittava un gran fascio di suoni.
-</p>
-
-<p>
-Ciro, d'improvviso, sentì velarsi gli occhi da
-nuove lacrime. Egli pregò nel suo cuor religioso:
-</p>
-
-<p>
-— O Signore, Dio mio, aiutami tu!
-</p>
-
-<p>
-L'organo mise un tuono che fece vibrare i
-pilastri come stromenti; poi si rallegrò di note
-chiare. Sorsero le voci dei cantori. E i devoti
-e le devote entravano, a due, a tre, per la porta
-unica. Ciro non osava ancora tendere la mano.
-Un mendicante, poco discosto, chiese lamentevole:
-</p>
-
-<p>
-— La carità, per l'amore di Dio!
-</p>
-
-<p>
-Allora il muto ebbe onta. Vide entrare nella
-chiesa la matrigna, tutta raccolta sotto la mantatura
-nera. Pensò:
-</p>
-
-<p>
-— Se andassi a casa, mentre la matrigna è
-fuori?
-</p>
-
-<p>
-La bramosia del cibo lo punse così forte, che
-egli non indugiò più oltre. Volava su le grucce,
-dietro la speranza del pane. Una femminetta,
-al passaggio, gli gridò ridendo: — Corri
-il palio, stroppiatino?
-</p>
-
-<p>
-Egli giunse alla casa, in un baleno, ansando
-<span class="pagenum" id="Page_380">[380]</span>
-e palpitando. Salì le scale con cautela infinita,
-senza rumore. Cercò la chiave a tentoni, in una
-cavità del muro, dove soleva metterla la matrigna
-uscendo. La trovò; e prima d'aprire
-guardò pel buco della serratura. Luca, sul letto,
-pareva sopito.
-</p>
-
-<p>
-Ciro pensò:
-</p>
-
-<p>
-— Se potessi prendere il pane senza svegliarlo!
-</p>
-
-<p>
-E girò la chiave, piano piano, trattenendo il
-respiro, temendo di svegliare il fratello con
-palpiti del cuore. Pareva che quei palpiti empissero
-tutta la casa, come d'un fragore altissimo.
-</p>
-
-<p>
-— E se si sveglia? — pensò Ciro con un brivido
-nelle midolle, quando sentì che la porta
-era aperta.
-</p>
-
-<p>
-Ma la fame lo rendeva audace. Egli entrò,
-puntando le grucce delicatamente, non togliendo
-mai gli occhi di sul fratello.
-</p>
-
-<p>
-— E se si sveglia?
-</p>
-
-<p>
-Il fratello, supino, respirava con affanno in
-quel sopore. Di tratto in tratto gli usciva dalle
-labbra quasi un fischio lieve. Una sola candela
-ardeva su la tavola, gittando alla parete larghe
-ombre variabili.
-</p>
-
-<p>
-Ciro, come fu presso alla madia, s'arrestò per
-<span class="pagenum" id="Page_381">[381]</span>
-vincere il tremore; guardò il dormiente; poi,
-reggendo ambo le grucce con l'ascelle, si mise
-a sollevare il coperchio. La madia scricchiolava
-forte.
-</p>
-
-<p>
-D'improvviso Luca diede un balzo, svegliandosi.
-Vide il fratello in quell'atto, e cominciò a
-gridargli contro, agitando le braccia, come un
-ossesso:
-</p>
-
-<p>
-— Ah, ladro! Ah, ladro! Aiuto!
-</p>
-
-<p>
-Ma il furore lo soffocava. Mentre il fratello,
-accecato dalla fame, chino su la madia, cercava
-con le mani tremanti un pezzo di pane, egli si
-gettò giù dal letto e gli corse sopra a impedirgli
-di prendere.
-</p>
-
-<p>
-— Ladro! Ladro! — gridava, fuori di sè.
-</p>
-
-<p>
-Fuori di sè, trasse il coperchio pesante sul
-collo di Ciro; che s'agitò come una vittima alla
-tagliuola, disperatamente. Resisteva Luca contro
-quelli sforzi, avendo perduto ogni coscienza della
-cosa, premendo con tutta la sua persona, quasi
-per decapitare il fratello. Il coperchio scricchiolava,
-penetrando nella viva carne della nuca,
-schiacciando le canne della gola, pestando le
-vene e i nervi. Penzolò dalla madia un corpo
-inerte, che più non dava alcun tratto.
-Allora, in conspetto dello storpio trucidato,
-<span class="pagenum" id="Page_382">[382]</span>
-uno sbigottimento pazzo invase l'animo del fratello.
-</p>
-
-<p>
-Due o tre volte, barcollando, egli attraversò
-la stanza che i guizzi della candela empivano
-di paure; mise le mani su le coperte, le tirò a
-sè, ci si avvoltolò tutto, coprendosi anche la
-testa; poi si accovacciò sotto il letto. E nel silenzio
-i suoi denti stridevano, come fa una lima
-sul ferro.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_383">[383]</span></p>
-
-<h2 id="mungia">MUNGIÀ.</h2>
-</div>
-
-<p>
-In tutto il contado pescarese, e a San Silvestro,
-a Fontanella, a San Rocco, perfino a Spoltore
-e nelle fattorie di Vallelonga oltre l'Alento
-e più specialmente nei piccoli borghi dei marinai
-presso la foce del fiume e in tutte quelle case di
-creta e di canne, dove si accende il fuoco con i
-rifiuti del mare, fiorisce da gran tempo la fama
-di un rapsodo cattolico che ha un nome di corsale
-barbaresco ed è cieco a simiglianza dell'antico
-Omero.
-</p>
-
-<p>
-Mungià comincia le sue peregrinazioni su i
-principii della primavera e le termina nel mese
-di ottobre, ai primi rigori. Va per le campagne,
-guidato da una femmina o da un fanciullo. Tra
-la grandezza e la forte serenità della coltivazione,
-reca ora i lamentevoli canti cristiani le antifone,
-<span class="pagenum" id="Page_384">[384]</span>
-gli invitatorii, i responsorii, i salmi dell'officio per
-i defunti. Come la sua figura a tutti è familiare,
-i cani dell'aia non latrano contro di lui. Egli dà
-l'annunzio con un trillo del clarinetto; ed al segnale
-ben noto le vecchie madri escono in su
-la soglia, accolgono onestamente il cantore, gli
-pongono una sedia all'ombra di qualche albero,
-gli chiedono le nuove della salute. Tutti i coloni
-cessano dal lavoro e si dispongono in cerchia,
-ancora alenanti, tergendosi il sudore con un gesto
-semplice della mano. Rimangono fermi, in
-attitudini di reverenza, tenendo gli strumenti dell'agricoltura.
-Nelle braccia, nelle gambe, nei piedi
-ignudi essi hanno la deformità che le fatiche
-lente e pazienti danno alle membra esercitate.
-I loro corpi nodosi, la cui pelle assume il color
-delle glebe, sorgendo dal suolo nella luce del
-giorno paiono quasi avere comuni con gli alberi
-le radici.
-</p>
-
-<p>
-Spandesi allora dall'uomo cieco su quella gente
-e su le cose in torno una solennità cristiana.
-Non il sole, non i presenti frutti della terra, non
-la letizia dell'opera alimentaria, non le canzoni
-dei cori lontani bastano a difendere gli animi
-dal raccoglimento e dalla tristezza della religione.
-Una delle madri indica il nome del parente morto
-<span class="pagenum" id="Page_385">[385]</span>
-a cui ella offre i cantici in suffragio. Mungià si
-scopre il capo.
-</p>
-
-<p>
-Appare il suo cranio largo e splendente, cinto
-di canizie; e tutta la faccia, simigliante nella
-quiete a una maschera corrosa, si raggrinza e
-vive nel movimento del prendere a bocca il clarinetto.
-Su le tempie, sotto la cavità degli occhi,
-lungo gli orecchi, e poi d'in torno alle narici e
-agli angoli delle labbra mille grinze sottili e fitte
-si compongono e si scompongono a seconda
-dell'inspirazione ritmica del fiato nello stromento.
-Rimangono tesi e lucidi e salienti gli zigomi,
-solcati da venature sanguigne simili a quelle che
-traspariscono in autunno nelle foglie della vite.
-E degli occhi, in fondo alle orbite, non si vede
-se non il segno rossiccio della palpebra inferiore
-rivolta. E su tutte le scabrosità della pelle, su tutta
-quella meravigliosa opera d'incisione e di rilievo
-fatta dalla magrezza e dalla vecchiezza, e di tra
-i peli duri e corti d'una barba mal rasa, e nei
-cavi e nelle corde del collo lungo e rigido la luce
-si frange, sfugge, si divide quasi direi per stille,
-come una rugiada su una zucca piena di porri
-e di muffe, gioca in mille maniere, vibra, si
-spenge, esita, dà talvolta a quella umile testa
-inaspettate arie di nobiltà e di mistero.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_386">[386]</span>
-</p>
-
-<p>
-Dal clarino di bossolo, a seconda dei movimenti
-delle dita su le chiavette malferme, escono
-suoni. Lo stromento ha in sè quasi direi una vita
-e quella inesprimibile apparenza di umanità che
-acquistano le cose per l'assiduo uso in servigio
-dell'uomo. Il bossolo ha una lucentezza untuosa;
-i buchi, che nei mesi d'inverno divengono nidi
-di piccoli ragni, sono ancora occupati dalle tele
-o dalla polvere; le chiavette, lente, sono macchiate
-di verderame; e qua e là la cera vergine
-e la pece chiudono i guasti; e la carta e il filo
-stringono le commessure; e ancora si veggono
-in torno all'orlo gli ornamenti della gioventù.
-Ma la voce è debole e incerta. Le dita del cieco
-si muovono macchinalmente, poichè non fanno se
-non ricercare quel preludio e quell'interludio da
-gran tempo.
-</p>
-
-<p>
-Le mani lunghe, deformate, con grossi nodi
-alla prima falange dell'anulare e del medio, con
-l'unghia del pollice depressa e violetta, somigliano
-le mani d'una scimmia decrepita; hanno
-su 'l dorso le tinte di certi frutti malsani, un
-misto di roseo, di giallognolo e di turchiniccio;
-su la palma hanno una laboriosa rete di solchi,
-e tra dito e dito la pelle escoriata.
-</p>
-
-<p>
-Come il preludio finisce, Mungià prende a cantare
-<span class="pagenum" id="Page_387">[387]</span>
-il <i>Libera me Domine</i>, e il <i>Ne recorderis</i>, lentamente,
-su una modulazione di cinque sole note.
-Nel canto, le terminazioni latine si congiungono
-alle forme dell'idioma natale; di tratto in tratto,
-quasi con un ritorno metrico, passa un avverbio
-in <i>ente</i> seguito da molte gravi rime; e la voce
-ha una momentanea elevazion di tono; poi l'onda
-si riabbassa e segue a battere le linee men faticose.
-Il nome di Gesù ricorre spesso nella rapsodia;
-e la passione di Gesù è tutta narrata in
-strofe irregolari di settenarii e di quinarii, non
-senza un certo movimento dramatico.
-</p>
-
-<p>
-I coloni in torno ascoltano con animo devoto,
-guardando il cantore nella bocca. Viene talvolta
-dai campi su 'l vento un coro di vendemmiatrici
-o di mietitori, secondo la stagione, a contendere
-con la pia laude; e l'albero al vento si
-fa tutto musicale. Mungià, che ha fioco l'udito,
-continua a cantare i misteri della morte. Le labbra
-gli stanno aderenti alle gencive deserte, e
-gli comincia a colar giù pe 'l mento la saliva.
-Egli imbocca il clarinetto, suona l'intermezzo; poi
-riprende le strofe. Così va sino alla fine. Sua
-ricompensa è una piccola misura di frumento, o
-una caraffa di mosto, o una resta di cipolle, o
-anche una gallina.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_388">[388]</span>
-</p>
-
-<p>
-Egli s'alza dalla sedia. Ha una figura alta e
-macilenta, la schiena curva, i ginocchi volti un
-poco in dentro. Porta in capo una grande berretta
-verde e, in ogni stagione, su le spalle un
-mantello chiuso alla gola da due fermagli di ottone
-e cadente a mezza coscia. Cammina a fatica,
-talvolta soffermandosi per tossire.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Quando, nell'ottobre, le vigne sono vendemmiate
-e le strade sono piene di fango o di ghiaia,
-egli si ritira in una soffitta; e là vive insieme
-con un sartore che ha la moglie paralitica e con
-uno spazzino che ha nove figliuoli afflitti dalla
-scrofola o dalla rachitide. Nei giorni sereni, egli
-si fa condurre sotto l'arco di Portanova; siede
-al sole, sopra un macigno, e si mette a cantare
-il <i>De profundis</i>, sommessamente, per esercizio
-della gola. Quasi sempre i mendicanti allora gli
-fanno cerchia. Uomini con le membra slogate,
-gobbi, storpi, epilettici, lebbrosi; vecchie piene
-di piaghe, o di croste, o di cicatrici, senza denti,
-senza cigli, senza capelli; fanciulli verdognoli come
-locuste, scarni, con gli occhi selvaggi degli uccelli
-di rapina, con la bocca già appassita, taciturni,
-che covano nel sangue un morbo ereditato; tutti
-quei mostri della povertà, tutti quei miserevoli
-<span class="pagenum" id="Page_389">[389]</span>
-avanzi d'una razza disfatta, quelle cenciose creature
-di Gesù, vengono a fermarsi in torno al
-cantore e gli parlano come a un eguale.
-</p>
-
-<p>
-Allora Mungià solleva la voce per benignità
-verso gli ascoltanti. Giunge, trascinandosi a fatica
-per terra con l'aiuto delle palme munite d'un
-disco di cuoio, Chiachiù, il nativo di Silvi; e si
-ferma, tenendosi tra le mani il piede destro ritorto
-come una radice. Giunge la Strigia, una
-figura ambigua, repugnante, di ermafrodito senile,
-che ha il collo pieno di foruncoli vermigli,
-su le tempie alcuni riccioli grigi di cui ella par
-vana, e tutto l'occipite coperto di peluria come
-quello degli avvoltoi. Giungono i Mammalucchi,
-i tre fratelli idioti che paiono essere nati dall'accoppiamento
-di un uomo con una pecora, così
-manifeste ne' loro volti sono le fattezze ovine.
-Il maggiore ha i bulbi visivi sgorganti fuor
-delle orbite, degenerati, molli, d'un colore azzurrognolo,
-simili al sacco ovale di un polpo che
-sia prossimo a putrefarsi. Il minore ha il lobo
-di un'orecchia smisuratamente gonfio, e paonazzo,
-simile a un fico. Tutti e tre vanno in comune,
-con le bisacce di corda dietro la schiena.
-</p>
-
-<p>
-Giunge l'Ossesso, un uomo scarno e serpentino,
-dalle palpebre arrovesciate come quelle
-<span class="pagenum" id="Page_390">[390]</span>
-dei piloti che navigano per mari ventosi, olivastro
-nella faccia, camuso, con un singolare aspetto
-di malizia e di fraudolenza palesante in lui l'origine
-zingaresca. Giunge la Catalana di Gissi,
-una femmina d'età incognita, con lunghi cernecchi
-rossicci, con su la pelle della fronte alcune
-macchie simili quasi a monete di rame,
-sfiancata come una cagna dopo il parto: la Venere
-dei mendicanti, l'amorosa fonte a cui va
-a dissetarsi chi patisce la sete. E giunge Jacobbe
-di Campli, il grande vecchio dal pelame
-verdastro come quello di certi artefici che lavorano
-l'ottone. Giunge l'industre Gargalà su 'l
-veicolo costrutto con rottami di barche ancora
-incatramati. Giunge Costantino di Corrópoli, il
-cinico, che, per una crescenza del labbro inferiore,
-pare tenga sempre fra i denti uno straccio
-di carne cruda. Altri giungono. Tutti gli iloti che
-hanno emigrato lungo il corso del fiume, dagli
-altipiani al mare, si raccolgono in torno al rapsodo,
-sotto il comun sole.
-</p>
-
-<p>
-Mungià canta allora con una varia ricerca di
-modi, tentando altitudini insolite. Una specie di
-orgoglio, un'aura di gloria gli invade l'animo,
-poichè egli allora esercita l'arte liberalmente,
-senza prender mercede. Sale dalla turba dei
-<span class="pagenum" id="Page_391">[391]</span>
-mendicanti, a tratti, un clamore di plauso ch'egli
-a pena ode.
-</p>
-
-<p>
-Al termine del canto, come il dolcissimo sole
-abbandonando quel luogo ascende su per le colonne
-corintie dell'Arco, i mendicanti salutano
-il cieco e si sbandano per le terre vicine. Rimangono,
-per consuetudine, Chiachiù di Silvi,
-con il piede ritorto fra le mani, e i fratelli Mammalucchi.
-Costoro chiedono ad alta voce l'elemosina
-a chi passa; mentre Mungià taciturno
-forse ripensa i trionfi della giovinezza, quando
-Lucicappelle, il Golpo di Càsoli e Quattòrece
-erano vivi.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Oh gloriosa <i>paranzella</i> di Mungià!
-</p>
-
-<p>
-La piccola orchestra aveva conquistata, in
-quasi tutta la valle inferiore della Pescara, una
-inclita fama.
-</p>
-
-<p>
-Sonava la viola ad arco il Golpo di Càsoli,
-un omuncolo tutto grigiastro come le lucertole
-dei tetti, con la pelle del volto e del collo tutta
-rugosa e membranosa come i tegumenti d'una
-testuggine cotta nell'acqua. Egli portava una
-specie di berretto frigio che per due ali aderiva
-agli orecchi; giocava d'arco con gesti rapidi,
-premendo su 'l piè della viola il mento aguzzo,
-<span class="pagenum" id="Page_392">[392]</span>
-martellando le corde con le dita contratte, ostentando
-un visibile sforzo nell'azione del sonare,
-come fanno i macacchi dei saltimbanchi nòmadi.
-</p>
-
-<p>
-Dopo di lui, Quattòrece veniva co 'l violone
-appeso in su 'l ventre per mezzo d'una correggia
-di pelle d'asino. Lungo e smilzo come
-una candela di cera, Quattòrece aveva in tutta la
-persona un singolar predominio dei colori aranciati.
-Pareva una di quelle figure monocromatiche
-dipinte, su certi rustici vasi castellesi, in
-attitudini rigide. Ne' suoi occhi, come in quelli
-dei cani da pastore, brillava una trasparenza
-tra castanea ed aurea; la cartilagine delle sue
-grandi orecchie, aperte come quelle dei pipistrelli,
-contro la luce tingevasi d'un giallo roseo;
-le sue vesti erano di quel panno color tabacco
-chiaro, che per solito adoperano i cacciatori; e
-il vecchio violone, ornato di penne, di fili d'argento,
-di fiocchi, d'imaginette, di medaglie, di
-conterie, aveva l'aspetto di non so quale artifizioso
-stromento barbarico d'onde dovessero
-escire novissimi suoni.
-</p>
-
-<p>
-Ma Lucicappelle, tenendo a traverso il petto
-la sua immane chitarra a due corde accordate
-in diapente, veniva ultimo con un passo di danza
-e di baldanza, come un Figaro rusticale. Egli
-<span class="pagenum" id="Page_393">[393]</span>
-era il giocondo spirito della <i>paranzella</i>, il più verde
-d'anni e di forze, il più mobile, il più arguto.
-Un gran ciuffo di capelli crespi gli sporgeva su
-la fronte, di sotto a una specie di tòcco scarlatto;
-gli brillavano agli orecchi feminilmente
-due cerchi d'argento: le linee della sua faccia
-formavano un natural componimento di riso.
-Egli amava il vino, i brindisi in musica, le serenate
-in onor della bellezza, le danze all'aperto,
-i conviti larghi e clamorosi.
-</p>
-
-<p>
-Ovunque si celebrasse uno sposalizio, un battesimo,
-una festa votiva, un funerale, un triduo,
-correva la <i>paranzella</i> di Mungià, desiderata, acclamata.
-Precedeva i cortei nuziali, per le vie
-tutte sparse di fiori di giunco e d'erbe odorifere,
-tra le salve di gioia e le salutazioni. Cinque
-mule inghirlandate recavano i doni. Un carro,
-tratto da due paia di bovi con le corna avvolte
-di nastri e con i dorsi coperti di gualdrappe,
-recava <i>la soma</i>. Le caldaie, le conche, i vasellami
-di rame tintinnivano agli scotimenti dell'incedere;
-gli scanni, le tavole, le arche, tutte quelle
-rudi forme antiche delle suppellettili casalinghe,
-oscillavano scricchiolando; le coperte di damasco,
-le gonne ricche di fiorami, i busti trapunti,
-i grembiali di seta, tutte quelle fogge di vestimenta
-<span class="pagenum" id="Page_394">[394]</span>
-muliebri risplendevano al sole in un miscuglio
-di gaiezza; e una conocchia, simbolo
-delle virtù familiari, eretta su 'l culmine, carica
-di lino, pareva contra il cielo azzurro una mazza
-d'oro.
-</p>
-
-<p>
-Le donne della parentela, con su 'l capo un
-canestro di grano e su 'l grano un pane e su 'l
-pane un fiore, si avanzavano per ordine, tutte
-in una stessa attitudine semplice e quasi jeratica,
-simili alle canèfore dei bassirilievi ateniesi,
-cantando. Come giungevano alla casa, presso il
-talamo, si toglievano il canestro dal capo, prendevano
-un pugno di grano e, a una a una, lo
-spargevano su la sposa, pronunziando una formola
-d'augurio rituale in cui la fecondità e l'abbondanza
-erano invocate. Anche la madre compiva
-la cerimonia frumentaria, fra molte lacrime;
-e con un panello toccava alla figlia il petto, la
-fronte, le spalle, dicendole parole di dolente
-amore.
-</p>
-
-<p>
-Poi, nella corte, sotto un'ampia stuoia di canne
-o sotto un tetto di rami, incominciava il convito.
-Mungià, a cui non anche la virtù visiva
-era venuta meno nè eran sopraggiunti i mali
-della vecchiezza, diritto nella magnificenza di
-una zimarra verde, e tutto sudante e fiammante
-<span class="pagenum" id="Page_395">[395]</span>
-e soffiante entro il clarinetto la maggior forza
-dei pulmoni, incitava i compagni con battere di
-piedi su 'l terreno. Il Golpo di Càsoli fustigava
-la viola irosamente; Quattòrece con fatica teneva
-dietro alla crescente furia della moresca, sentendosi
-aspri traverso il ventre passar gli stridori
-dell'arco e delle corde. Lucicappelle, erto la
-testa in aria, stringendo con la sinistra in alto
-le chiavi della chitarra e con la destra pizzicando
-le due forti corde metalliche, sogguardava le
-femmine che ridevano luminose al fondo in tra
-la letizia delle fioriture.
-</p>
-
-<p>
-Allora il <i>Mastro delle cerimonie</i> recava le vivande
-in amplissimi piatti dipinti; i vapori salivano
-come una nebbia disperdendosi nel fogliame;
-i vasi del vino, dalle anse bene usate,
-passavano d'uomo in uomo; le braccia allungandosi
-e intrecciandosi su la mensa, tra i pani
-cosparsi d'anice e i formaggi più tondi che il
-disco della luna, prendevano aranci, mandorle,
-olive; gli odori delle spezie si mescevano ai
-freschi effluvi vegetali; e di qua, di là, entro
-bicchieri di liquori limpidi i commensali offerivano
-alla sposa piccoli gioielli o collane dai grossi
-acini avvolte come grappoli d'oro. Su 'l finire,
-negli animi una gran gioia bacchica si accendeva;
-<span class="pagenum" id="Page_396">[396]</span>
-i clamori crescevano; fin che Mungià, avanzandosi,
-a capo scoperto, con in mano un bicchiere
-colmo, cantava il bel distico rituale che nei conviti
-della terra d'Abruzzi suol dischiudere ai
-brindisi le bocche amiche:
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>Quistu vino é dòlige e galante;</p>
-<p>A la saluta de tutti quante!</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_397">[397]</span></p>
-
-<h2 id="ponte">LA GUERRA DEL PONTE.
-<span class="smaller">FRAMMENTO DI CRONACA PESCARESE.</span></h2>
-</div>
-
-<p class="dots">······················</p>
-
-<p>
-Verso gli idi d'agosto (per tutte le campagne
-il grano lavato si asciugava felicemente al sole),
-Antonio Mengarino, un vecchio agricoltore pieno
-di probità e di saggezza, stando nel Consiglio
-del Comune a giudicare su le cose pubbliche,
-come udì taluni consiglieri cittadini discorrere a
-voce bassa del <i>cholèra</i> che in qualche provincia
-d'Italia andavasi ampliando e udì altri proporre
-ordini a conservazion della salute ed altri esporre
-timori, si fece innanzi con un'aria tra di incredulità
-e di curiosità ad ascoltare.
-</p>
-
-<p>
-Erano con lui nel Consiglio, agricoltori, Giulio
-Citrullo della pianura e Achille di Russo dei
-colli; e il vecchio, mentre ascoltava, volgevasi
-<span class="pagenum" id="Page_398">[398]</span>
-di tratto in tratto a quei due con cenni delle
-palpebre e delle labbra come per avvertirli dell'inganno
-ch'egli credeva si celasse nelle parole
-dei consiglieri signori e del sindaco.
-</p>
-
-<p>
-Finalmente, non più potendo trattenersi, disse,
-con la sicurtà di un uomo che sa e vede molto:
-</p>
-
-<p>
-— Mbé, leváme ssti chiacchiere in tra di nu
-áutre. Le vuleme fa' veni nu poche de culere, u
-ne le vuleme fa' veni? Dicémecele 'n segrete, mo.
-</p>
-
-<p>
-A queste inaspettate parole, tutti i consiglieri
-furono da prima presi dalla meraviglia, e quindi
-dal riso.
-</p>
-
-<p>
-— Vatténne, Mengarì! Che ti mitte a dice,
-sangue de Crimie! — esclamò don Aiace, il
-grande assessore, spingendo con la mano una
-spalla del vecchio. E gli altri, scotendo il capo
-o battendo il pugno in sul tavolo sindacale, commentavano
-la pertinace ignoranza dei cafoni.
-</p>
-
-<p>
-— Mbè, ma ve pare mo ca nu credeme a ssi
-chiacchiera quisse? — fece Antonio Mengarino,
-con un gesto vivo, poichè sentivasi punto dall'ilarità
-che le sue parole avevano suscitata.
-Nell'animo di lui e in quello degli altri due agricoltori
-la diffidenza e la nativa ostilità contro <i>la
-signoria</i> insorgevano. — Dunque essi erano esclusi
-dai segreti del Consiglio? Dunque ancora erano
-<span class="pagenum" id="Page_399">[399]</span>
-considerati come cafoni? Ah, brutte cose, per
-la Majella!...
-</p>
-
-<p>
-— Facéte vu. Nu ce ne jame — concluse il
-vecchio, acre, coprendosi il capo. E i tre villici
-uscirono dalla sala, con un passo pieno di dignità,
-in silenzio.
-</p>
-
-<p>
-Come furono fuori del paese nella campagna
-opulenta di vigne e di gran ciciliano, Giulio Citrullo,
-soffermatosi per accendere la pipa, sentenziò:
-</p>
-
-<p>
-— Ocche bádene a isse! Ca ssta vote sa coma
-va sgrizzenne li cocce, pe' la Majelle!... I nin
-vulesse esse' lu sìnnache.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Intanto nel territorio contadino il timore del
-morbo imminente sconvolgeva tutti gli animi.
-In torno agli alberi fruttiferi, in torno alle viti,
-in torno alle cisterne, in torno ai pozzi, gli agricoltori
-vigilavano, sospettosi e minacciosi, con
-una costanza instancabile. Nella notte colpi di
-fucile frequenti turbavano il silenzio; i cani, aizzati,
-latravano fino all'alba. Le imprecazioni
-contro i Governanti scoppiavano di giorno in
-giorno con maggior violenza d'ira. Tutte le pacifiche
-ed auguste fatiche agresti erano intraprese
-con una sorta d'incuria e d'insofferenza.
-<span class="pagenum" id="Page_400">[400]</span>
-Sorgevano dai campi le canzoni di ribellione
-rimate all'improvviso.
-</p>
-
-<p>
-Poi, i vecchi rinnovavano i ricordi delle passate
-mortalità, confermando la credenza nei veleni.
-Un giorno, nel 54, alcuni vendemmiatori di
-Fontanella, avendo colto un uomo in cima a un
-albero di fico e avendolo costretto a discendere,
-videro che questi nascondeva una fiala piena di
-un unguento gialliccio. Con minacce essi gli fecero
-inghiottire tutto l'unguento; e d'un tratto
-l'uomo (ch'era uno dei Paduani) stramazzò, torcendo
-le membra su le zolle, livido, con gli
-occhi fissi, con il collo teso, con ai denti una
-schiuma verde. A Spoltore, nel 37, Zinicche, un
-fabbro, uccise in mezzo alla piazza il cancelliere
-Don Antonio Rapino; e le morti cessarono subitamente,
-il paese fu salvo.
-</p>
-
-<p>
-Poi, a poco a poco, le leggende si formavano
-e di bocca in bocca variavano, e, se bene recenti,
-divenivano meravigliose. Una diceva che
-al Palazzo del Comune erano giunte sette casse
-di veleno distribuito dai <i>Governanti</i> perchè fosse
-sparso nelle campagne e mescolato nel sale. Le
-casse erano verdi, cerchiate di ferro, con tre serrature.
-Il sindaco aveva dovuto pagare settemila
-ducati per sotterrar le casse e liberare il paese.
-<span class="pagenum" id="Page_401">[401]</span>
-Un'altra voce recava che al sindaco i <i>Governanti</i>
-davano cinque ducati per ogni morto. La popolazione
-era troppo grande: toccava ai poveri
-morire. Il sindaco stava facendo le liste. Ah, si
-arricchiva, il <i>figlio di Sciore</i>, questa volta!
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Così il fermento cresceva. Gli agricoltori al
-mercato di Pescara nulla compravano, nè portavano
-mercanzia in traffico. I fichi dagli alberi,
-giunti a maturità, cadevano e si corrompevano
-su 'l suolo. I grappoli rimanevano intatti fra i
-pampini. I ladroneggi notturni più non seguivano,
-poichè i ladri temevano di cogliere frutti
-attossicati. Il sale, l'unica merce presa nelle botteghe
-della città, era prima offerto ai cani e ai
-gatti, per esperimento.
-</p>
-
-<p>
-Giunse quindi un giorno la novella che a Napoli
-i cristiani morivano in gran numero. E al
-nome di Napoli, di quel gran reame lontano dove
-<i>Ggiuanne senza pahure</i> un dì trovò fortuna, le
-imaginazioni si accendevano.
-</p>
-
-<p>
-Sopravvennero le vendemmie. Ma, come i mercanti
-di Lombardia compravano le uve nostrali
-e le portavano nei paesi del settentrione per
-trarne vini artifiziosi, la letizia del rinato mosto
-fu scarsa e poco le gambe dei vendemmiatori
-<span class="pagenum" id="Page_402">[402]</span>
-si esercitarono a danzare nel tino e poco si esercitarono
-al canto le bocche feminili.
-</p>
-
-<p>
-Ma, quando tutte le opere della raccolta furono
-terminate e tutti gli alberi furono spogliati
-dei loro frutti, cominciarono i timori e i sospetti
-a dileguarsi; poichè oramai eran diminuite
-pe' i Governanti le opportunità di spargere il
-veleno.
-</p>
-
-<p>
-Grandi piogge beneficatrici caddero su le campagne.
-Il terreno ora, nutrito d'acqua, andavasi
-temperando pe 'l lavoro dell'aratro e per la seminagione,
-co 'l favore dei dolci soli autunnali; e
-la luna nel primo quarto influiva su la virtù
-dei semi.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Una mattina, per tutto il territorio si sparse
-d'improvviso la voce che a Villareale, presso le
-querci di Don Settimio, su la riva destra del
-fiume, tre femmine erano morte dopo aver mangiato
-in comune una minestra di pasta comprata
-nella città. L'indignazione irruppe da tutti gli
-animi; e con maggior veemenza, poichè tutti
-oramai s'erano pacificati in una securtá fiduciosa.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, va bbone; lu fije de Sciore nen ci ha
-vulute arnunzià a lì ducate... Ma a nu nen ce po
-<span class="pagenum" id="Page_403">[403]</span>
-fa' niente mo, pecché frutte nen ce ne sta, e a
-Piscare nen ci jeme.
-</p>
-
-<p>
-— Lu fije de Sciore joca na mala carte.
-</p>
-
-<p>
-— A nu ce vo fa' murì? Mbé, esse ha sbajate
-lu tembe, povere Sciurione...
-</p>
-
-<p>
-— Addó le po mette la pruvelette? A la paste,
-a lu sale... Ma la paste nu ne la magneme;
-e lu sale le deme prime a pruvà a li hatte e a
-li cane.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, Signure birbune! Ch'aveme fatte nu,
-puveritte? Mannajia Crimie, ha da venì chilu
-journe...
-</p>
-
-<p>
-Così le mormorazioni si levavano da ogni
-parte, miste ai dileggi e alle contumelie contro
-gli uomini del Comune e contro i Governanti.
-</p>
-
-<p>
-A Pescara, d'un tratto, tre, quattro, cinque
-persone del volgo furono prese dal male. Cadeva
-la sera; e su tutte le case discendeva una
-grande paura funerea, insieme con l'umidità del
-fiume. Per le vie la gente si agitava correndo
-verso il Palazzo comunale; dove il sindaco e i
-consiglieri e i gendarmi, avvolti in una confusion
-miserevole, salivano e scendevano le scale
-parlando tutti insieme ad alta voce, dando contrari
-ordini, non sapendo che risolvere, dove
-andare, come provvedere. Per un natural fenomeno,
-<span class="pagenum" id="Page_404">[404]</span>
-il commovimento dell'animo si propagava
-al ventre.
-</p>
-
-<p>
-Tutti, sentendo dentro le viscere romorii cupi,
-si mettevano a tremare e a battere i denti; si
-guardavano in volto l'un l'altro; si allontanavano
-a rapidi passi; si chiudevano nelle case. Le cene
-rimasero intatte.
-</p>
-
-<p>
-Poi, a tarda ora, quando il primo tumulto del
-pánico fu sedato, le guardie cominciarono ad
-accendere su i canti delle vie fuochi di zolfo e
-di catrame. Il rossore delle fiamme illustrava i
-muri e le finestre; e l'inutile odore del bitume
-spandevasi per la città sbigottita. Da lontano,
-come la luna era serena, pareva che i calafati
-verso il mare spalmassero carene allegramente.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Tale fu in Pescara l'entrata dell'Asiatico.
-</p>
-
-<p>
-E il male, serpeggiando lungo il fiume, s'insinuò
-nei borghi della Marina, in quelli adunamenti
-di casupole basse dove vivono i marinai
-e alcuni vecchi dediti a piccole industrie.
-</p>
-
-<p>
-Gli infermi morirono quasi tutti, poichè non
-volevano prendere i rimedi. Nessuna ragione e
-nessuna esperienza valse a persuaderli. Anisafine,
-un gobbo che vendeva ai soldati acqua
-mista a spirito di ánace, quando vide il bicchiere
-<span class="pagenum" id="Page_405">[405]</span>
-del medicamento, strinse forte le labbra e cominciò
-a scuotere il capo in segno di rifiuto. Il
-dottore prese ad eccitarlo con parole di persuasione;
-bevve egli pel primo la metà del liquido;
-e, dopo, quasi tutti gli assistenti accostarono
-la bocca all'orlo del bicchiere. Anisafine
-seguitava a scuotere il capo.
-</p>
-
-<p>
-— Ma vedi, — esclamò il dottore, — abbiamo
-bevuto prima noi...
-</p>
-
-<p>
-Anisafine si mise e ridere per beffa.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, ah, ah! Ma vu, mo che arreuscite, ve
-pijate lu contravvelene, — disse. E, poco dopo,
-morì.
-</p>
-
-<p>
-Cianchine, un macellaio idiota, fece la stessa
-cosa. Il dottore, per ultima prova, gli versò a
-forza tra i denti il medicinale. Cianchine sputò
-tutto, con ira e con orrore. Poi si mise a scagliar
-vituperii contro gli astanti; tentò due o tre
-volte di levarsi per fuggire; e morì rabbiosamente,
-dinanzi a due gendarmi esterrefatti.
-</p>
-
-<p>
-Le cucine pubbliche, instituite per concorso
-spontaneo d'uomini caritatevoli, furono in su 'l
-principio credute dal volgo un laboratorio di
-tossici. I mendicanti pativano la fame più tosto
-che mangiare la carne cotta in quelle pentole.
-Costantino di Corròpoli, il cinico, andava spargendo
-<span class="pagenum" id="Page_406">[406]</span>
-i dubbi tra la sua tribù. Egli vagava in
-torno alle cucine, dicendo a voce alta, con un
-gesto indescrivibile:
-</p>
-
-<p>
-— A me nen mi ci acchiappe!
-</p>
-
-<p>
-La Catalana di Gissi fu la prima a vincere il
-timore. Ella, un poco esitante, entrò; mangiò a
-piccoli bocconi, esaminando in sè stessa l'effetto
-del cibo; bevve il vino a piccoli sorsi. Poi, sentendosi
-tutta ristorata e fortificata, sorrise di
-meraviglia e di piacere. Tutti i mendicanti attendevano
-ch'ella uscisse. Quando la rividero
-incolume si precipitarono per la porta; vollero
-anch'essi bere e mangiare.
-</p>
-
-<p>
-Le cucine sono in un vecchio teatro scoperto,
-nelle vicinanze di Portanova. Le caldaie bollono
-nel luogo dell'orchestra, il fumo invade il palco
-scenico: tra il fumo si vedono al fondo le scene
-raffiguranti un castel feudale illuminato dal plenilunio.
-Quivi, su 'l mezzodì, si raccoglie intorno
-a una mensa rustica la tribù dei poveri. Prima
-che l'ora scocchi, nella platea s'agita un brulichìo
-multicolore di cenci e si leva un mormorìo
-di voci roche. Alcune figure nuove appaiono
-tra le figure già cognite. Notabile una tal Liberata
-Lotta di Montenerodòmo, che ha una stupenda
-maschera di Minerva ottuagenaria, piena
-<span class="pagenum" id="Page_407">[407]</span>
-di regalità e di austerità nella fronte, con i capelli
-tutti tesi in su 'l cranio come un casco aderente.
-Ella tiene fra le mani un vaso di vetro
-verde, che par colmo di misteri; e resta in disparte,
-taciturna, aspettando d'essere chiamata.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Ma il grande episodio epico di questa cronaca
-del <i>choléra</i> è la Guerra del Ponte.
-</p>
-
-<p>
-Un'antica discordia dura tra Pescara e Castellammare
-Adriatico, tra i due comuni che il
-bel fiume divide.
-</p>
-
-<p>
- Le parti nemiche si esercitano assiduamente
-in offese e in rappresaglie, l'una osteggiando
-con tutte le forze il fiorire dell'altra. E poichè
-oggi è prima fonte di prosperità la mercatura,
-e poichè Pescara ha già molta dovizia d'industrie,
-i Castellammaresi da tempo mirano a trarre
-i mercanti su la loro riva con ogni sorta di astuzie
-e di allettamenti.
-</p>
-
-<p>
-Ora, un vecchio ponte di legname cavalca il
-fiume su grossi battelli tutti incatramati e incatenati
-e trattenuti da ormeggi. I canapi e le gómene
-s'intrecciano nell'aria artifiziosamente, scendendo
-dalle antenne alte dell'argine ai parapetti
-bassissimi; e dànno imagine di un qualche barbarico
-attrezzo ossidionale. Le tavole mal connesse
-<span class="pagenum" id="Page_408">[408]</span>
-scricchiolano al peso dei carri. Al passaggio
-delle schiere militari, tutta la mostruosa
-macchina acquatica oscilla e balza da un capo
-all'altro e risuona come un tamburo.
-</p>
-
-<p>
-Sorse un dì da questo ponte la popolar leggenda
-di san Cetteo liberatore; e il santo annualmente
-vi si ferma nel mezzo, con gran
-pompa cattolica, a ricevere le salutazioni che
-dalle barche ancorate mandano i marinai.
-</p>
-
-<p>
-Così, tra la vista di Montecorno e la vista del
-mare, l'umile costruzione sta quasi come un monumento
-della patria, ha quasi in sè la santità delle
-cose antiche e dà agli estranei indizio di genti
-che ancora vivano in una semplicità primordiale.
-</p>
-
-<p>
-Gli odii tra i Pescaresi e i Castellammaresi
-cozzano su quelle tavole che si consumano sotto
-i laboriosi traffici cotidiani. E, come per di là
-le industrie cittadine si riversano su la provincia
-teramana e vi si spandono felicemente, oh con
-qual gioia la parte avversa taglierebbe i canapi
-e respingerebbe i sette rei battelli a naufragare!
-</p>
-
-<p>
-Sopraggiunta dunque la bella opportunità, il
-gonfaloniere nemico con molto apparato di forze
-campestri impedì ai Pescaresi il passaggio nell'ampia
-strada che dal ponte si dilunga per gran
-tratto congiungendo innumerevoli paesi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_409">[409]</span>
-</p>
-
-<p>
-Era nell'intendimento di colui chiudere la città
-rivale in una specie d'assedio, toglierle ogni
-modo di traffico ed interno ed esterno, attrarre
-al suo mercato i venditori e i compratori che per
-consuetudine praticavano su la destra riva; e,
-quindi, dopo avere ivi oppressa in una forzosa
-inerzia ogni arte dì lucro, sorgere trionfatore.
-Offerse egli ai padroni delle paranze pescaresi
-venti carlini per ogni cento libbre di pesce, mettendo
-come patto che tutte le paranze approdassero
-e scaricassero alla sua riva e che la
-convenzion del prezzo durasse fino al giorno
-della Natività di Cristo.
-</p>
-
-<p>
-Ora, nella settimana precedente la Natività, il
-prezzo del pesce suol salire a più che quindici
-ducati per ogni cento libbre. Manifesta appariva
-dunque l'insidia.
-</p>
-
-<p>
-I padroni rifiutarono ogni offerta, preferendo
-tenere inoperose le reti.
-</p>
-
-<p>
-Lo scaltro nemico fece ad arte spargere voce
-che una mortalità grande affliggeva Pescara. Si
-adoperò per via d'amicizia a sollevare tutti gli
-animi della provincia teramana e gli animi anche
-dei Chietini contro la pacifica città dove il
-morbo già era scomparso.
-</p>
-
-<p>
-Respinse con violenza o ritenne prigionieri
-<span class="pagenum" id="Page_410">[410]</span>
-alcuni onesti viandanti che, usando d'un comun
-diritto, prendevano la strada provinciale per recarsi
-altrove. Lasciò che su la linea di confine
-un branco di suoi lanzichenecchi stesse dall'alba
-al tramonto schiamazzando contro chiunque si
-avvicinava.
-</p>
-
-<p>
-La ribellione cominciò allora a fermentare nei
-Pescaresi, contro gli ingiusti arbitrii; poichè sopraggiungeva
-la miseria e tutta la numerosa
-classe dei lavoratori languiva nell'inerzia e tutti
-i mercanti incorrevano in gravissimi danni. Il
-<i>cholèra</i>, scomparso dalla città, accennava a scomparire
-anche dalla marina dove soltanto alcuni
-vecchi invalidi erano morti. Tutti i cittadini, fiorenti
-di salute, amavano riprendere le consuete
-fatiche.
-</p>
-
-<p>
-I tribuni sorsero: Francesco Pomárice, Antonio
-Sorrentino, Pietro D'Amico. Per le vie la
-gente si divideva in gruppi, ascoltava la parola
-tribunizia, applaudiva, proponeva, gittava gridi.
-Un gran tumulto andavasi preparando fra il popolo.
-Per eccezione, taluni raccontavano il fatto
-eroico del Moretto di Claudia. Il quale, preso
-dai lanzichenecchi a forza e imprigionato nel
-lazzeretto ed ivi trattenuto per cinque giorni
-senz'altro cibo che pane, riuscì a fuggire dalla
-<span class="pagenum" id="Page_411">[411]</span>
-finestra; passò a nuoto il fiume, e giunse tra i
-suoi grondante di acqua, alenante, famelico, raggiante
-di gloria e di gioia.
-</p>
-
-<p>
-Il sindaco, nel frattempo, sentendo il mugolio
-precursore della tempesta, si accinse a parlamentare
-co 'l Gran Nimico castellammarese. È
-il sindaco un piccolo dottor di legge cavaliere,
-tutto untuosamente ricciutello, con omeri sparsi
-di forfora, con chiari occhietti esercitati alle dolci
-simulazioni. E il Gran Nimico un degenere nepote
-del buon Gargantuasso; enorme, sbuffante,
-tonante, divorante. Il colloquio avvenne in terra
-neutrale; e presenti vi furono gli illustri prefetti
-di Teramo e di Chieti.
-</p>
-
-<p>
-Ma, verso il tramonto, un lanzichenecco, entrato
-in Pescara per recare un messaggio a un
-consiglier del Comune, si mise in cantina con
-altri bravi a bevere; e quindi prese bravamente
-a girovagare. Come lo videro i tribuni, gli corsero
-sopra. Tra le grida e le acclamazioni della
-plebe lo spinsero lungo la riva, sino al lazzeretto.
-Era il tramonto su le acque luminosissimo;
-e il bèllico rossore dell'aria inebriava gli animi
-plebei.
-</p>
-
-<p>
-Allora dall'opposta riva ecco una torma di
-Castellammaresi, uscente di tra i salici ed i vimini
-<span class="pagenum" id="Page_412">[412]</span>
-darsi con molta veemenza di gesti ad inveire
-contro l'oltraggio.
-</p>
-
-<p>
-Rispondevano i nostri con eguale furia. E il
-lanzichenecco imprigionato percoteva con tutta
-la forza dei piedi e delle mani la porta della
-prigione, gridando:
-</p>
-
-<p>
-— Apríteme! Apríteme!
-</p>
-
-<p>
-— Tu adduòrmete a esse, e nen te n'incaricà, — gli
-gridavano per beffa i popolani. E
-qualcuno crudelmente aggiungevagli:
-</p>
-
-<p>
-— Ah, si sapisse quante se n'hanne muorte
-a esse dendre! Siente l'uddore? Nen te s'ha
-cumenzate a smove nu poche la panze?
-</p>
-
-<p>
-— Urrà! Urrà!
-</p>
-
-<p>
-Verso la Bandiera scorgevasi un luccichío di
-canne di fucile. Il sindachetto veniva a capo di
-un manipolo militare per liberar dal carcere il
-lanzichenecco, a fin di non incorrere nelle ire del
-Gran Nimico.
-</p>
-
-<p>
-Subitamente la plebe, irritata, tumultuò; grida
-altissime si levarono contro quel vil liberatore
-di Castellammaresi.
-</p>
-
-<p>
-Per tutta la via, dal lazzeretto alla città, fu un
-clamoroso accompagnamento di sibili e di contumelie.
-Al lume delle torce, la gazzarra durò fin
-che le voci non furon roche.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_413">[413]</span>
-</p>
-
-<p>
-Dopo quel primo impeto, la rivolta si andò
-svolgendo a mano a mano con nuove peripezie.
-Tutte le botteghe si chiusero. Tutti i cittadini si
-raccolsero su la strada, ricchi e poveri, in familiarità,
-presi da una furiosa smania di parlare,
-di gridare, di gesticolare, di manifestare in mille
-diversi modi un unico pensiero.
-</p>
-
-<p>
-Ad ogni tratto giungeva un tribuno recando
-una notizia. I gruppi si scioglievano, si ricomponevano,
-variavano, secondo le correnti delle opinioni.
-E, poichè su tutte le teste la libertà del
-giorno era vitale e i sorsi dell'aria letificavano
-come sorsi di vino, si ridestò nei Pescaresi la
-nativa giocondità beffarda; ed essi seguitarono
-a far ribellione in una maniera gaia ed ironica,
-così, per il diletto, per il dispetto, per l'amore
-delle cose nuove.
-</p>
-
-<p>
-Gli stratagemmi del Gran Nimico si moltiplicavano.
-Qualunque accordo rimaneva inosservato
-a causa di abili temporeggiamenti che la debolezza
-del piccolo sindaco favoriva.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Il mattino d'Ognissanti, verso la settima ora,
-mentre nelle chiese si celebravano i primi uffici
-festivi, i tribuni si misero in giro per la città,
-seguiti da una turba che ad ogni passo accrescevasi
-<span class="pagenum" id="Page_414">[414]</span>
-e diveniva più clamorosa. Quando l'intero
-popolo fu raccolto, Antonio Sorrentino arringò.
-La processione, in ordine, quindi si diresse al
-Palazzo comunale. Le strade erano ancora azzurre
-nell'ombra e le case erano coronate dal sole.
-</p>
-
-<p>
-In vista del Palazzo un immenso grido scoppiò.
-Tutte le bocche scagliavano vituperii contro
-il leguleio; tutti i pugni si levavano in attitudine
-di minaccia; tra un grido e l'altro, certe
-lunghe oscillazioni sonore rimanevano nell'aria,
-come prodotte da uno strumento; e su la confusion
-delle teste e delle vesti i lembi vermigli
-delle bandiere sbattevano, come agitati dal largo
-soffio popolare.
-</p>
-
-<p>
-Su 'l comunal balcone non appariva alcuno.
-Il sole discendeva a poco a poco dal tetto verso
-la gran meridiana tutta nera di cifre e di linee
-su cui lo gnomone vibrava l'ombra indicatrice.
-Dalla Torretta dei D'Annunzio al campanil badiale
-torme di colombe svolazzavano nell'azzurro
-superiore.
-</p>
-
-<p>
-Le grida si moltiplicarono. Una mano di animosi
-diede l'assalto alle scale del Palazzo. Il piccolo
-sindaco, pallido e pavido, si arrese al volere
-del popolo; lasciò il seggio; rinunziò all'ufficio;
-discese su la strada, tra i gendarmi, seguito dai
-<span class="pagenum" id="Page_415">[415]</span>
-consiglieri. Uscì quindi dalla città; si ritrasse su 'l
-colle di Spoltore.
-</p>
-
-<p>
-Le porte del Palazzo furono chiuse. Un'anarchia
-provvisoria si stabilì nella città. Le milizie,
-per impedire l'imminente lotta tra i Castellammaresi
-e i Pescaresi, fecero argine su l'estremità
-sinistra del ponte. La turba, deposte le bandiere,
-si avviò alla strada di Chieti; poichè di
-là era per giungere il Prefetto chiamato in furia
-da un Commissario reale. I proponimenti parevano
-feroci.
-</p>
-
-<p>
-Ma la mite virtù del sole a poco a poco pacificò
-le ire. Nell'ampia strada venivano, uscenti
-dalla chiesa, le femmine del contado tutte in vesti
-di seta multicolori e coperte di gioielli giganteschi,
-di filigrane d'argento, di collane d'oro. Lo
-spettacolo di quelle facce, rubiconde e gioconde
-come grandi pomi, rasserenava ogni animo. I
-motti e le risa nacquero spontaneamente; ed il
-non breve tempo dell'aspettazione parve quasi
-dilettevole.
-</p>
-
-<p>
-Su 'l mezzodì la vettura prefettizia giunse in
-vista. Il popolo si dispose in semicerchio per
-chiuderle la via. Antonio Sorrentino arringò, non
-senza un certo sfoggio di eloquenza fiorita. Gli
-altri, fra le pause dell'arringa, chiedevano in vari
-<span class="pagenum" id="Page_416">[416]</span>
-modi giustizia contro gli abusi, sollecitudine e
-validità di provvedimenti nuovi. Due grandi scheletri
-equini, ancora animati, scotevano di tratto
-in tratto le sonagliere, mostrando ai ribelli le gencive
-pallidicce, con una smorfia di derisione. E
-il delegato di polizia, simile non so a qual vecchio
-cantator di teatro che ancora portasse per divozione
-in torno al volto una finta barba di druido,
-moderava dall'altitudine del serpe l'ardor del
-tribuno, con cenni gravi della mano.
-</p>
-
-<p>
-Come il perorante nella foga saliva a culmini
-di eloquenza troppo audaci, il Prefetto, sorgendo
-su 'l predellino, colse il momento per interrompere.
-Proferì una frase ambigua e timida che
-le grida del popolo copersero.
-</p>
-
-<p>
-— A Pescara! A Pescara!
-</p>
-
-<p>
-La vettura camminò quasi sospinta dall'onda
-popolare ed entrò in città; e, poichè il Palazzo
-era chiuso, si fermò dinanzi alla Delegazione.
-Dieci nominati a voce dal popolo salirono insieme
-col Prefetto, per parlamentare. La turba occupò
-tutta la via. Impazienze qua e là scoppiavano.
-</p>
-
-<p>
-La via era angusta. Le case riscaldate dal sole
-irraggiavano un tepor dilettoso; e non so qual
-lenta mollezza emanava dal cielo oltremarino,
-dall'erbe fluttuanti lungo le gronde, dalle rose
-<span class="pagenum" id="Page_417">[417]</span>
-delle finestre, dalle mura bianche, dalla fama
-stessa del luogo. Ha il luogo fama d'albergare
-le più belle popolane pescaresi: vive e di generazione
-in generazione nella contrada si va perpetuando
-una tradizion di beltà. La immensa
-casa decrepita di Don Fiore Ussorio è un vivaio
-di bimbi floridi e di fanciulle leggiadre; ed è
-tutta coperta di piccole logge che sono esuberanti
-di garofani e che si reggono su rozze mènsole
-scolpite di mascheroni procaci.
-</p>
-
-<p>
-A poco a poco, le impazienze della folla si
-placavano. I parlari oziosi propagavansi da un
-capo all'altro; dall'uno all'altro bivio.
-</p>
-
-<p>
-Domenico di Matteo, una specie di Rodomonte
-villereccio, motteggiava ad alta voce sull'asinità
-e l'avidità dei dottori che facevano morire gli
-infermi per prendere dal Comune una maggior
-mercede. Egli narrava certe sue cure mirabili.
-Una volta egli aveva un gran dolore al
-petto ed era quasi prossimo all'agonia. Poichè
-il medico gli proibì di bere acqua, egli ardeva
-di sete. Una notte, mentre tutti dormivano, si
-levò piano piano, cercò a tentoni la conca, vi
-tuffò la testa e rimase lì a bevere come un giumento,
-fin che la conca non fu vuota. La mattina
-dopo egli era guarito. Un'altra volta egli
-<span class="pagenum" id="Page_418">[418]</span>
-ed un suo compare, avendo da lungo tempo la
-febbre terzana contro cui ogni virtù di chinino pareva
-inutile, deliberarono di fare una esperienza.
-Si trovavano su la riva del fiume, ed alla riva
-opposta una vigna solatia li allettava con i grappoli.
-Si spogliarono, si gittarono nelle fredde
-acque, tagliarono la corrente, toccarono l'altra
-riva, si saziarono d'uva; poi di nuovo attraversarono.
-La terzana disparve. Un'altra volta, essendo
-egli infermo di mal francioso ed avendo
-speso più di quindici ducati vanamente in opere
-di medici e di medicine, come vide la madre
-attendere al bucato, fu colto da un pensiero felice.
-Tracannò, l'un dopo l'altro, cinque bicchieri
-di lisciva; e si liberò.
-</p>
-
-<p>
-Ma ai balconi, alle finestre, alle logge il bello
-sciame muliebre si affacciava tumultuariamente.
-Tutti gli uomini dalla via levavano gli occhi a
-quelle apparizioni e restavano con la faccia al
-sole per guardare; e tutti, poichè la consueta
-ora del pasto era già trascorsa, si sentivano la
-testa un poco vacua e nello stomaco un languore
-infinito. Brevi dialoghi dalla via alle finestre si
-intrecciavano. I giovini gittarono motti salaci alle
-belle. Le belle risposero con gesti schivi, con
-scuotere di capo; o si ritrassero, o forte risero.
-<span class="pagenum" id="Page_419">[419]</span>
-Le fresche risa di quelle bocche si sgranellavano
-come collane di cristallo, cadendo su gli uomini
-che già il desio incominciava a pungere. Dalle
-mura il calore s'irradiava più largo e mescevasi
-al calor dei corpi agglomerati. I riverberi bianchissimi
-abbarbagliavano. Qualche cosa di snervante
-e di stupefacente discendeva su quella turba
-digiuna.
-</p>
-
-<p>
-Apparve su una loggia, d'improvviso, la Ciccarina,
-la bella delle belle, la rosa delle rose,
-l'amorosa pèsca, colei che tutti han desiato. Per
-un moto unanime, gli sguardi si volsero verso di
-lei. Ella, nel trionfo, stava semplicemente sorridendo,
-come una dogaressa dinanzi al suo popolo.
-Il sole le illuminava la piena faccia carnosa, che
-è simile alla polpa di un frutto succulento. I capelli,
-di quel color lionato di sotto a cui par
-trasparisca una fiamma d'oro, le invadevano la
-fronte, le tempie, il collo, mal frenati. Un natural
-fàscino venereo le emanava da tutta la persona.
-Ed ella stava semplicemente, tra due gabbie di
-merli, sorridendo, non sentendosi offesa dalle
-brame che lucevano in tutti quelli occhi intenti
-a lei.
-</p>
-
-<p>
-I merli fischiarono. I madrigali rustici batterono
-l'ali verso la loggia. La Ciccarina si ritrasse,
-<span class="pagenum" id="Page_420">[420]</span>
-sorridendo. La turba rimase nella via, quasi abbacinata
-dai riverberi, dalla vista di quella femmina,
-dalle prime vertigini della fame.
-</p>
-
-<p>
-Allora uno dei parlamentari, affacciatosi a una
-finestra della Delegazione, disse con voce squillante:
-</p>
-
-<p>
-— Cittadini, si risolverà la cosa fra tre ore!
-</p>
-
-<p class="dots">······················</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_421">[421]</span></p>
-
-<h2 id="ritorna">TURLENDANA RITORNA.</h2>
-</div>
-
-<p>
-La compagnia camminava lungo il mare.
-</p>
-
-<p>
-Già per i chiari poggi litorali ricominciava la
-primavera; l'umile catena era verde, e il verde
-di varie verdure distinto; e ciascuna cima aveva
-una corona d'alberi fioriti. Allo spirar del maestro
-quelli alberi si movevano; e nel moto forse si
-spogliavano di molti fiori, poichè alla breve distanza
-le alture parevano coprirsi d'un colore
-tra il roseo e il violaceo, e tutta la veduta un
-istante pareva tremare e impallidire come un'imagine
-a traverso il vel dell'acqua o come una
-pittura che lavata si stinge.
-</p>
-
-<p>
-Il mare si distendeva in una serenità quasi
-verginale, lungo la costa lievemente lunata verso
-austro, avendo nello splendore la vivezza d'una
-turchese della Persia. Qua e là, segnando il passaggio
-delle correnti, alcune zone di più cupa
-tinta serpeggiavano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_422">[422]</span>
-</p>
-
-<p>
-Turlendana, in cui la conoscenza dei luoghi
-per i molti anni d'assenza era quasi intieramente
-smarrita e in cui per le lunghe peregrinazioni
-il sentimento della patria era quasi estinto, andava
-innanzi senza volgersi a riguardare, con
-quel suo passo affaticato e claudicante.
-</p>
-
-<p>
-Come il camello indugiava ad ogni cespo
-d'erbe selvatiche, egli gittava un breve grido
-rauco d'incitamento. E il gran quadrupede rossastro
-risollevava il collo lentamente, triturando
-fra le mandibole laboriose il cibo.
-</p>
-
-<p>
-— Hu, Barbarà!
-</p>
-
-<p>
-L'asina, la piccola e nivea Susanna, di tratto
-in tratto, sotto gli assidui tormenti del macacco
-si metteva a ragliare in suono lamentevole, chiedendo
-d'esser liberata dal cavaliere. Ma Zavalì,
-instancabile, senza tregua, con una specie di frenesia,
-con gesti rapidi e corti ora di collera e
-ora di gioco, percorreva tutta la schiena dell'animale,
-saltava su la testa afferrandosi alle grandi
-orecchie, prendeva fra le due mani la coda
-sollevandola e scotendone il ciuffo dei crini, cercava
-tra il pelo grattando con l'unghie ostinatamente
-e recandosi quindi l'unghie alla bocca e
-masticando con mille vari moti di tutti i muscoli
-della faccia. Poi, d'improvviso, si raccoglieva
-<span class="pagenum" id="Page_423">[423]</span>
-su 'l sedere, tenendosi in una delle mani il piede
-ritorto simile a una radice d'arbusto, immobile,
-grave, fissando verso le acque i tondi occhi color
-d'arancio che gli si empivano di meraviglia,
-mentre la fronte gli si corrugava e le orecchie
-fini e rosee gli tremavano quasi per inquietudine.
-Poi, d'improvviso, con un gesto di malizia ricominciava
-la giostra.
-</p>
-
-<p>
-— Hu, Barbarà!
-</p>
-
-<p>
-Il camello udiva; e si rimetteva in cammino.
-</p>
-
-<p>
-Quando la compagnia giunse al bosco dei salci,
-presso la foce della Pescara, su la riva sinistra
-(già si scorgevano i galli sopra le antenne delle
-paranze ancorate allo scalo della Bandiera), Turlendana
-si arrestò, poichè voleva dissetarsi al
-fiume.
-</p>
-
-<p>
-Il patrio fiume recava l'onda perenne della sua
-pace al mare. Le rive, coperte di piante fluviatili,
-tacevano e si riposavano, come affaticate
-dalla recente opera della fecondazione. Il silenzio
-era profondo su tutte le cose. Gli estuarii risplendevano
-al sole tranquilli, come spere, chiusi in
-una cornice di cristalli salini. Secondo le vicende
-del vento, i salci verdeggiavano o biancheggiavano.
-</p>
-
-<p>
-— La Pescara! — disse Turlendana soffermandosi,
-<span class="pagenum" id="Page_424">[424]</span>
-con un accento di curiosità e di riconoscimento
-istintivo. E stette a riguardare.
-</p>
-
-<p>
-Poi discese al margine, dove la ghiaia era polita;
-e si mise in ginocchio per attingere l'acqua
-con il concavo delle palme. Il camello curvò il
-collo, e bevve a sorsi lenti e regolari. L'asina anche
-bevve. E la scimmia imitò l'attitudine dell'uomo,
-facendo conca con le esili mani ch'erano
-violette come i fichi d'India acerbi.
-</p>
-
-<p>
-— Hu, Barbarà!
-</p>
-
-<p>
-Il camello udì e cessò di bere. Dalle labbra
-molli gli gocciolava l'acqua abbondantemente su
-le callosità del petto, e gli si vedevano le gencive
-pallidicce e i grossi denti giallognoli.
-</p>
-
-<p>
-Per il sentiero, segnato nel bosco dalla gente
-di mare, la compagnia riprese il viaggio. Cadeva
-il sole, quando giunse all'Arsenale di Rampigna.
-</p>
-
-<p>
-A un marinaio, che camminava lungo il parapetto
-di mattone, Turlendana domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Quella è Pescara?
-</p>
-
-<p>
-Il marinaio, stupefatto alla vista delle bestie,
-rispose:
-</p>
-
-<p>
-— È quella.
-</p>
-
-<p>
-E tralasciò la sua faccenda per seguire il forestiero.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_425">[425]</span>
-</p>
-
-<p>
-Altri marinai si unirono al primo. In breve
-una torma di curiosi si raccolse dietro Turlendana
-che andava innanzi tranquillamente, non
-curandosi dei diversi comenti popolari. Al ponte
-delle barche il camello si rifiutò di passare.
-</p>
-
-<p>
-— Hu, Barbarà! Hu, hu!
-</p>
-
-<p>
-Turlendana prese ad incitarlo con le voci, pazientemente,
-scotendo la corda della cavezza con
-cui ora egli lo conduceva. Ma l'animale ostinato
-si coricò a terra e posò la testa nella polvere,
-come per rimanere ivi lungo tempo.
-</p>
-
-<p>
-I plebei d'in torno, riavutisi dalla prima stupefazione,
-schiamazzavano gridando in coro:
-</p>
-
-<p>
-— Barbarà! Barbarà!
-</p>
-
-<p>
-E, come avevano dimestichezza con le scimmie
-perchè talvolta i marinai dalle lunghe navigazioni
-le riportavano in patria insieme ai pappagalli e
-ai cacatua, provocavano Zavalì in mille modi e
-gli porgevano certe grosse mandorle verdi che
-il macacco apriva per mangiarne il seme fresco
-e dolce golosamente.
-</p>
-
-<p>
-Dopo molta persistenza di urti e di urli, alla
-fine Turlendana riuscì a vincere la tenacità del
-camello. E quella mostruosa architettura d'ossa
-e di pelle si risollevò barcollante, in mezzo alla
-folla che incalzava.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_426">[426]</span>
-</p>
-
-<p>
-Da tutte le parti i soldati e i cittadini accorrevano
-allo spettacolo, sopra il ponte delle barche.
-Dietro il Gran Sasso il sole cadendo irradiava per
-tutto il cielo primaverile una viva luce rosea: e,
-come dalle campagne umide e dalle acque del
-fiume e del mare e dagli stagni durante il giorno
-erano sorti molti vapori, le case e le vele e le
-antenne e le piante e tutte le cose apparivano
-rosee; e le forme, acquistando una specie di trasparenza,
-perdevano la certezza dei contorni e
-quasi fluttuavano sommerse in quella luce.
-</p>
-
-<p>
-Il ponte, sotto il peso, scricchiolava su le barche
-incatramate, simile ad una vastissima zattera
-galleggiante. La popolazione tumultuava giocondamente.
-Per la ressa, Turlendana con le sue
-bestie rimase fermo a mezzo il ponte. E il camello,
-enorme, sovrastante a tutte le teste, respirava
-contro il vento, movendo tardi il collo
-simile a un qualche favoloso serpente coperto
-di peli.
-</p>
-
-<p>
-Poichè già nella curiosità degli accorsi s'era
-sparso il nome dell'animale, tutti, per un nativo
-amore degli schiamazzi e per una concorde letizia
-che sorgeva a quella dolcezza del tramonto e
-della stagione, tutti gridavano:
-</p>
-
-<p>
-— Barbarà! Barbarà!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_427">[427]</span>
-</p>
-
-<p>
-Al clamore plaudente, Turlendana, che stava
-stretto contro il petto del camello, si sentiva invadere
-da un compiacimento quasi paterno.
-</p>
-
-<p>
-Ma l'asina d'un tratto prese a ragliare con sì
-alte ed ingrate variazioni di voci e con tanta
-sospirevole passione che un'ilarità unanime corse
-il popolo. E le schiette risa plebee si propagavano
-da un capo all'altro del ponte, come uno
-scroscio di scaturigine cadente giù pe' i sassi
-d'una china.
-</p>
-
-<p>
-Allora Turlendana ricominciò a muoversi attraverso
-la folla, non conosciuto da alcuno.
-</p>
-
-<p>
-Quando fu su la porta della città, dove le
-femmine vendevano la pesca recente dentro ampi
-canestri di giunco, Binchi-Banche, l'omiciattolo
-dal viso giallognolo e rugoso come un limone
-senza succo, gli si fece innanzi, e, secondo soleva
-con tutti i forestieri che capitavano nel
-paese, gli offerse i suoi servigi per l'alloggiamento.
-</p>
-
-<p>
-Prima chiese, accennando a Barbarà:
-</p>
-
-<p>
-— È feroce?
-</p>
-
-<p>
-Turlendana rispose che no, sorridendo.
-</p>
-
-<p>
-— Be'! — riprese Binchi-Banche, rassicurato — ci
-sta la casa di Rosa Schiavona.
-</p>
-
-<p>
-Ambedue volsero per la Pesceria e quindi per
-<span class="pagenum" id="Page_428">[428]</span>
-Sant'Agostino, seguiti dal popolo. Alle finestre
-e ai balconi le donne e i fanciulli si affacciavano
-guardando con stupore il passaggio del camello
-e ammiravano le minute grazie dell'asinetta
-bianca e ridevano ai lezii di Zavalì.
-</p>
-
-<p>
-A un punto Barbarà, vedendo pendere da una
-loggia bassa un'erba mezzo secca, tese il collo
-e sporse le labbra per giungerla, e la strappò.
-Un grido di terrore ruppe dalle donne che stavano
-su la loggia chine; e il grido si propagò
-nelle logge prossime. La gente dalla via rideva
-forte, gridando come in carnovale dietro le maschere:
-</p>
-
-<p>
-— Viva! Viva!
-</p>
-
-<p>
-Tutti erano inebriati dalla novità dello spettacolo
-e dall'aria della primavera.
-</p>
-
-<p>
-Dinanzi alla casa di Rosa Schiavona, in vicinanza
-di Portasale, Binchi-Banche accennò di
-sostare.
-</p>
-
-<p>
-— È qua — disse.
-</p>
-
-<p>
-La casa, molto umile, a un solo ordine di finestre,
-aveva le mura inferiori tutte segnate
-d'iscrizioni e di figurazioni oscene. Una fila di
-pipistrelli crocifissi ornava l'architrave; e una
-lanterna coperta di carta rossa pendeva sotto
-la finestra media.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_429">[429]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ivi alloggiava ogni sorta di gente avveniticcia
-e girovaga: dormivano mescolati i carrettieri di
-Letto Manoppello grandi e panciuti; gli zingari
-di Sulmona, mercanti di giumenti e restauratori
-di caldaie; i fusari di Bucchianico; le femmine
-di Città Sant'Angelo venute a far pubblica professione
-d'impudicizia tra i soldati; gli zampognari
-di Atina; i montagnuoli domatori d'orsi,
-i cerretani, i falsi mendicanti, i ladri, le fattucchiere.
-</p>
-
-<p>
-Gran mezzano della marmaglia era Binchi-Banche.
-Giustissima proteggitrice, Rosa Schiavona.
-</p>
-
-<p>
-Come udì i rumori, la femmina venne su 'l
-limitare. Ella pareva in verità un essere generato
-da un uomo nano e da una scrofa.
-</p>
-
-<p>
-Chiese, da prima, con un'aria di diffidenza:
-</p>
-
-<p>
-— Che c'è?
-</p>
-
-<p>
-— C'è qua 'stu cristiano che vuo' alloggio
-co' le bestie, Donna Rosa.
-</p>
-
-<p>
-— Quante bestie?
-</p>
-
-<p>
-— Tre, vedete, Donna Rosa: 'na scimmia,
-'n'asina e 'nu camelo.
-</p>
-
-<p>
-Il popolo non badava al dialogo. Alcuni incitavano
-Zavalì. Altri palpavano le gambe di Barbarà,
-osservando su le ginocchia e su 'l petto
-<span class="pagenum" id="Page_430">[430]</span>
-i duri dischi callosi. Due guardie del sale, che
-avevano viaggiato sino ai porti dell'Asia Minore,
-dicevano ad alta voce le varie virtù dei
-camelli e narravano confusamente d'averne visti
-taluni fare un passo di danza portando il lungo
-collo carico di musici e di femmine seminude.
-</p>
-
-<p>
-Gli ascoltatori, avidi di udire cose meravigliose,
-pregavano:
-</p>
-
-<p>
-— Dite! dite!
-</p>
-
-<p>
-Tutti stavano a torno, in silenzio, con gli occhi
-un po' dilatati, bramando quel diletto.
-</p>
-
-<p>
-Allora una delle guardie, un uomo vecchio
-che aveva le palpebre arrovesciate dai venti del
-mare, cominciò a favoleggiare dei paesi asiatici.
-E a poco a poco le parole sue stesse lo trascinavano
-e lo inebriavano.
-</p>
-
-<p>
-Una specie di mollezza esotica pareva spargersi
-nel tramonto. Sorgevano, nella fantasia
-popolare, le rive favoleggiate e luminavano. A
-traverso l'arco della Porta, già occupato dall'ombra,
-si vedevano le tanecche coperte di sale
-ondeggiar su 'l fiume; e, come il minerale assorbiva
-tutta la luce del crepuscolo, le tanecche
-sembravano materiate di cristalli preziosi. Nel
-cielo un po' verde saliva il primo quarto della
-luna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_431">[431]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Dite! dite! — ancora chiedevano i più
-giovini.
-</p>
-
-<p>
-Turlendana intanto aveva ricoverate le bestie
-e le aveva provviste di cibo; e quindi era uscito
-in compagnia di Binchi-Banche, mentre la gente
-rimaneva accolta innanzi all'uscio della stalla,
-dove la testa del camello appariva e spariva
-dietro le alte grate di corda.
-</p>
-
-<p>
-Per la via, Turlendana domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Ci stanno cantine?
-</p>
-
-<p>
-Binchi-Banche rispose:
-</p>
-
-<p>
-— Sì, segnore; ci stanno.
-</p>
-
-<p>
-Poi, sollevando le grosse mani nerastre e prendendosi
-co 'l pollice e l'indice della destra successivamente
-la punta d'ogni dito della sinistra,
-enumerava:
-</p>
-
-<p>
-— La candina di Speranza, la candina di
-Buono, la candina di Assaù, la candina di Zarricante,
-la candina della cecata di Turlendana...
-</p>
-
-<p>
-— Ah — fece tranquillamente l'uomo.
-</p>
-
-<p>
-Binchi-Banche sollevò i suoi acuti occhiolini
-verdognoli.
-</p>
-
-<p>
-— Ci sei stato 'n'altra volta a qua, segnore?
-</p>
-
-<p>
-E, non aspettando la risposta, con la nativa
-loquacità della gente pescarese, seguitava:
-</p>
-
-<p>
-— La candina della cecata è grande e ci si
-<span class="pagenum" id="Page_432">[432]</span>
-vende lu meglio vino. La cecata è la femmina
-delli quattro mariti...
-</p>
-
-<p>
-Si mise a ridere, con un sorriso che gli increspava
-tutta la faccia gialliccia come il centopelle
-d'un ruminante.
-</p>
-
-<p>
-— Lu primo marito fu Turlendana, ch'era
-marinaro e andava su li bastimenti del re di
-Napoli, all'Indie basse e alla Francia e alla Spagna
-e infino all'America. Quello si perse in
-mare, e chi sa a dove, con tutto il legno; e non
-s'è trovato più. So' trent'anni. Teneva la forza
-di Sansone: tirava l'áncore co' un dito... Povero
-giovane! Eh, chi va pe' mare quella fine fa.
-</p>
-
-<p>
-Turlendana ascoltava, tranquillamente.
-</p>
-
-<p>
-— Lu secondo marito, dopo cinqu'anni di vedovanza,
-fu 'n'ortonese, lu figlio di Ferrante,
-'n'anima dannata, che s'er'unito co' li contrabbandieri,
-a tempo che Napolione stava contro
-l'Inglesi. Facevano contrabbando da Francavilla
-infino a Silvi e a Montesilvano, di zucchero e
-di cafè, co' li legni inglesi. C'era, vicino a Silvi,
-'na torre delli Saracini, sotto il bosco, da dove
-si facevano li segnali. Come passava la pattuglia,
-plon plon, plon plon, noi 'scivamo dall'alberi.... — Ora
-il parlatore accendevasi al ricordo;
-ed obliandosi descriveva con prolissità
-<span class="pagenum" id="Page_433">[433]</span>
-di parole tutta l'operazion clandestina, ed aiutava
-di gesti e di interiezioni vive il racconto. La sua
-piccola persona coriacea si raccorciava e si distendeva
-nell'atto. — In fine, il figlio di Ferrante
-era morto d'una schioppettata nelle reni, per
-mano de' soldati di Gioacchino Murat, di notte,
-su la costiera.
-</p>
-
-<p>
-— Lu terzo marito fu Titino Passacantando
-che morì nel letto suo, di male cattivo. Lu quarto
-vive. Ed è Verdura, bonomo, che no' mestura
-li vini. Sentarai, segnore.
-</p>
-
-<p>
-Quando giunsero alla cantina lodata, si separarono.
-</p>
-
-<p>
-— F'lice sera, segnore!
-</p>
-
-<p>
-— F'lice sera.
-</p>
-
-<p>
-Turlendana entrò, tranquillamente, fra la curiosità
-dei bevitori che sedevano a certe lunghe
-tavole in giro.
-</p>
-
-<p>
-Avendo chiesto da mangiare, egli fu da Verdura
-invitato a salire in una stanza superiore
-ove i deschi erano già pronti per le cene.
-</p>
-
-<p>
-Nessun cliente ancora stava nella stanza. Turlendana
-sedette e incominciò a mangiare a grandi
-bocconi, con la testa su 'l piatto, senza intervalli,
-come un uomo famelico. Egli era quasi intieramente
-calvo: una profonda cicatrice rossiccia gli
-<span class="pagenum" id="Page_434">[434]</span>
-solcava per lungo la fronte e gli scendeva fino
-a mezzo la guancia; la barba folta e grigia gli
-saliva fino ai pomelli emergenti; la pelle, bruna,
-secca, piena di asperità, corrosa dalle intemperie,
-riarsa dal sole, incavata dalle sofferenze, pareva
-non conservare più alcuna vivezza umana;
-gli occhi e tutti i lineamenti erano, da tempo, come
-pietrificati nell'impassibilità.
-</p>
-
-<p>
-Verdura, curioso, sedette di contro; e stette
-a riguardare il forestiero. Egli era piuttosto pingue,
-con la faccia d'un color roseo sottilissimamente
-venato di vermiglio come la milza dei
-buoi.
-</p>
-
-<p>
-Alla fine, domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Da che paese venite?
-</p>
-
-<p>
-Turlendana, senza levar la faccia, rispose semplicemente:
-</p>
-
-<p>
-— Vengo di lontano.
-</p>
-
-<p>
-— E dove andate? — ridomandò Verdura.
-</p>
-
-<p>
-— Sto qua.
-</p>
-
-<p>
-Verdura, stupefatto, tacque. Turlendana levava
-ai pesci la testa e la coda; e li mangiava così
-a uno a uno, triturando le lische. Ad ogni due
-o tre pesci, beveva un sorso di vino.
-</p>
-
-<p>
-— Qua ci conoscete qualcuno? — riprese Verdura,
-bramoso di sapere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_435">[435]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Forse — rispose l'altro semplicemente.
-</p>
-
-<p>
-Sconfitto dalla brevità dell'interlocutore, il vinattiere
-una seconda volta ammutolì. Udivasi la
-masticazione lenta ed elaborata di Turlendana
-tra l'inferior clamore dei bevitori.
-</p>
-
-<p>
-Dopo un poco, Verdura riaprì la bocca.
-</p>
-
-<p>
-— Il camello in che siti nasce? Quelle due
-gobbe sono naturali? Una bestia così grande e
-forte come può essere mai addomesticata?
-</p>
-
-<p>
-Turlendana lasciava parlare, senza rimuoversi.
-</p>
-
-<p>
-— Il vostro nome, signor forestiere?
-</p>
-
-<p>
-L'interrogato sollevò il capo dal piatto; e rispose,
-semplicemente:
-</p>
-
-<p>
-— Io mi chiamo Turlendana.
-</p>
-
-<p>
-— Che?
-</p>
-
-<p>
-— Turlendana.
-</p>
-
-<p>
-— Ah!
-</p>
-
-<p>
-La stupefazione dell'oste non ebbe più limiti.
-E insieme una specie di vago sbigottimento cominciava
-a ondeggiare in fondo all'animo di lui.
-</p>
-
-<p>
-— Turlendana!... Di qua?
-</p>
-
-<p>
-— Di qua.
-</p>
-
-<p>
-Verdura dilatò i grossi occhi azzurri in faccia
-all'uomo.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque non siete morto?
-</p>
-
-<p>
-— Non sono morto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_436">[436]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Dunque voi siete il marito di Rosalba Catena?
-</p>
-
-<p>
-— Sono il marito di Rosalba Catena.
-</p>
-
-<p>
-— E ora? — esclamò Verdura, con un gesto
-di perplessità. — Siamo due.
-</p>
-
-<p>
-— Siamo due.
-</p>
-
-<p>
-Un istante rimasero in silenzio. Turlendana
-masticava l'ultima crosta d'un pane, tranquillamente;
-e si udiva nel silenzio lo scricchiolío leggero.
-Per una naturale benigna incuranza dell'animo
-e per una fatuità gloriosa, Verdura non
-era compreso d'altro che della singolarità dell'avvenimento.
-Un improvviso impeto d'allegrezza
-lo prese, salendo spontaneo dai precordii.
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo da Rosalba! andiamo! andiamo!
-andiamo!
-</p>
-
-<p>
-Egli traeva il reduce per un braccio, a traverso
-il fondaco dei bevitori, agitandosi, gridando:
-</p>
-
-<p>
-— Ecc'a qua Turlendana, Turlendana marinaro,
-lu marito de mógliema, Turlendana che
-s'era morto! Ecc'a qua Turlendana! Ecc'a qua
-Turlendana!
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_437">[437]</span></p>
-
-<h2 id="ebro">TURLENDANA EBRO.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Quando egli bevve l'ultimo bicchiere, all'orologio
-del Comune stavano per iscoccare due ore
-dopo la mezzanotte.
-</p>
-
-<p>
-Disse Biagio Quaglia, con la voce intorbidata
-dal vino, come i tocchi squillarono nel silenzio
-della luna chiarissimi:
-</p>
-
-<p>
-— Mannaggia! Ce ne vulemo i'?
-</p>
-
-<p>
-Ciávola, quasi disteso sotto la panca, agitando
-di tratto in tratto le lunghe gambe corritrici, farneticava
-di cacce clandestine nelle bandite del
-marchese di Pescara, poichè il sapor selvatico
-della lepre gli risaliva su per la gola e il vento
-recava l'odor resinoso dei pini dalla boscaglia
-marittima.
-</p>
-
-<p>
-Disse Biagio Quaglia, percotendo con i piedi
-il cacciatore biondo, e facendo atto di levarsi:
-</p>
-
-<p>
-— 'Jamo, Purié.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_438">[438]</span>
-</p>
-
-<p>
-E Ciávola con molto sforzo si rizzò dondolandosi,
-smilzo e lungo come un cane levriere.
-</p>
-
-<p>
-— 'Jamo; ca mo fanne lu passo — rispose, levando
-la mano verso l'alto quasi in atto di auspicio,
-poichè forse pensava a una qualche migrazione
-di uccelli.
-</p>
-
-<p>
-Turlendana anche si mosse; e, vedendo dietro
-di sè la vinattiera Zarricante che aveva fresche
-le gote e acerbe le poma del petto, volle abbracciarla.
-Ma Zarricante gli sfuggì di tra le braccia,
-gridandogli una contumelia.
-</p>
-
-<p>
-Su la porta, Turlendana chiese ai due amici
-un po' di compagnia e di sostegno per un tratto
-di cammino. Ma Biagio Quaglia e Ciávola, che
-facevano un bel paio, gli volsero le spalle sghignazzando
-e si allontanarono sotto la luna.
-</p>
-
-<p>
-Allora Turlendana si fermò a guardare la luna
-che era tonda e rossa come una faccia canonicale.
-I luoghi intorno tacevano. Le case biancicavano
-in fila. Un gatto miagolava alla notte di maggio,
-su i gradini della porta.
-</p>
-
-<p>
-L'uomo, avendo nell'ebrietà una singolare inclinazione
-alla tenerezza, tese la mano pianamente
-per accarezzare l'animale Ma l'animale,
-essendo di natura forastico, diede un balzo e
-disparve.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_439">[439]</span>
-</p>
-
-<p>
-Vedendo un cane errante avvicinarsi, l'uomo
-tentò di versare su quello la piena della sua benevolenza
-amorevole. Ma il cane passò oltre,
-senza rispondere al richiamo, e si mise in un
-canto del trivio a rosicare certe ossa. Il rumore
-dei denti laboriosi udivasi distintamente nel silenzio.
-</p>
-
-<p>
-Come dopo poco la porta della cantina si chiuse,
-Turlendana rimase solo nel gran plenilunio popolato
-di ombre e di nuvole in viaggio. E la
-sua mente rimase colpita da quel rapido allontanarsi
-di tutti gli esseri circostanti. Tutti dunque
-fuggivano? Che aveva egli fatto perchè tutti
-fuggissero?
-</p>
-
-<p>
-Cominciò a muovere i passi incertamente, verso
-il fiume. Il pensiero di quella fuga universale, a
-mano a mano ch'egli andava innanzi, gli occupava
-con maggior profondità il cervello alterato
-dai fumi bacchici. Avendo incontrato altri due
-cani spersi, si fermò presso di loro quasi per
-esperimentare e li chiamò. Le due bestie ignobili
-seguitarono a strisciarsi lungo i muri, con la
-coda fra le gambe; e scantonarono. Poi, quando
-furono più lontani, si misero a latrare; e subitamente
-da tutti i punti del paese, dal Bagno,
-da Sant'Agostino, dall'Arsenale, dalla Pescheria,
-<span class="pagenum" id="Page_440">[440]</span>
-da tutti i luoghi luridi e oscuri i cani erranti accorsero,
-come a un suon di battaglia. E il coro
-ostile di quella tribù famelica saliva fino alla
-luna.
-</p>
-
-<p>
-Turlendana stupefatto, mentre una specie d'inquietudine
-gli si svegliava nell'animo vagamente,
-riprese il cammino con passi più spediti, di tratto
-in tratto incespicando su le asperità del terreno.
-Quando giunse al canto dei bottari, dove le ampie
-botti di Zazzetta formavano cumuli biancastri simili
-a monumenti, egli sentì un interrotto respirar
-bestiale. E, poichè il pensiero fisso dell'ostilità
-delle bestie omai lo teneva, egli si accostò da
-quella parte, con una ostinazione di ebro, per esperimentare
-di nuovo.
-</p>
-
-<p>
-Dentro una stalla bassa i tre vecchi cavalli di
-Michelangelo ansavano faticosamente su la mangiatoia.
-Erano bestie decrepite che avevano logorata
-la vita trascinando su per la strada di
-Chieti due volte al giorno la gran carcassa d'una
-diligenza piena di mercanti e di mercanzie.
-Sotto i loro peli bruni, qua e là rasati dalle bardature,
-le coste sporgevano come tante canne
-secche di una tettoia in rovina; le gambe anteriori
-piegate non avevano quasi più ginocchia;
-la schiena era dentata come una sega; e il collo
-<span class="pagenum" id="Page_441">[441]</span>
-spelato, dove a pena rimaneva qualche vestigio
-della criniera, si curvava verso terra così che
-talvolta le froge senza più soffio toccavano quasi
-le ugne consunte.
-</p>
-
-<p>
-Un cancello di legno, malfermo, sbarrava la
-porta.
-</p>
-
-<p>
-Turlendana cominciò a fare:
-</p>
-
-<p>
-— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush!
-</p>
-
-<p>
-I cavalli non si movevano; ma respiravano
-insieme, umanamente. E le forme dei loro corpi
-apparivano confuse nell'ombra turchiniccia; e il
-fetore dei loro aliti si mesceva al fetore dello
-strame.
-</p>
-
-<p>
-— Ush, ush, ush! — seguitava Turlendana, in
-suono lamentevole, come quando spingeva Barbará
-ad abbeverarsi.
-</p>
-
-<p>
-I cavalli non si movevano
-</p>
-
-<p>
-— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush!
-</p>
-
-<p>
-Uno dei cavalli si volse e venne a mettere
-la grossa testa deforme su 'l cancello, guardando
-dagli occhi che rilucevano alla luna come ripieni
-d'un'acqua torbida. Il labbro inferiore gli penzolava
-simile a un lembo di pelle flaccida, scoprendo
-la genciva. Le froge ad ogni soffio ripalpitavano
-nel tenerume umidiccio del muso, e
-si chiudevano talvolta con la stessa mollezza
-<span class="pagenum" id="Page_442">[442]</span>
-d'una bolla d'aria in una massa di lievito che
-fermenta, e si richiudevano.
-</p>
-
-<p>
-Alla vista di quella testa senile, l'ebro si risovvenne.
-Perchè dunque s'era empito di vino,
-egli così sobrio per consuetudine? Un momento,
-in mezzo all'ebrietà obliosa, la forma di Barbarà
-moribondo gli ricomparve dinanzi, la forma del
-camello che giaceva su 'l terreno e teneva su
-la paglia il lungo collo inerte e tossiva come
-un uomo e si agitava debolmente di tratto in
-tratto, mentre ad ogni moto il ventre gonfio produceva
-il rumore d'un barile a metà pieno d'acqua.
-</p>
-
-<p>
-Una gran tenerezza pietosa lo invase; e l'agonia
-del camello, con quelle scosse improvvise e
-quegli strani singhiozzi rauchi che facevano sussultare
-e vibrare sonoramente tutto l'enorme
-carcame semivivo, e con quegli sfarzi affannosi
-del collo che si sollevava un istante per ricadere
-su la paglia dando un romor sordo e grave
-mentre le gambe si movevano quasi in atto di
-correre, e con quel tremore continuo degli orecchi
-e quell'immobilità del globo oculare che pareva
-già spento prima d'ogni altra parte sensibile,
-l'agonia del camello gli ritornò nella memoria
-lucidamente in tutta la sua miseria umana.
-Ed egli, appoggiato al cancello, per un moto
-<span class="pagenum" id="Page_443">[443]</span>
-macchinale della bocca seguitava a fare verso
-il cavallo di Michelangelo:
-</p>
-
-<p>
-— Ush, ush, ush! Ush, ush, ush!
-</p>
-
-<p>
-Con la persistenza inconscia degli ebri, con
-una ebetudine crescente, seguitava, seguitava;
-ed era una lamentazione monotona accorante,
-quasi lugubre come il canto degli uccelli notturni.
-</p>
-
-<p>
-— Ush, ush, ush!
-</p>
-
-<p>
-Allora Michelangelo, che dal suo letto udiva,
-d'improviso si affacciò alla finestra soprastante;
-e in furia si diede a caricar di contumelie e di
-imprecazioni il disturbatore.
-</p>
-
-<p>
-— Fijie di puttane, vatt'a jettà a la Piscare!
-Vatténne da ecche! Vatténne, ca mo pijie na
-varre. Fijie di puttane a turmendà li cristiani
-vuo' venì? 'Mbriache 'vrette! Vatténne!
-</p>
-
-<p>
-Turlendana si rimise a camminare, verso il
-fiume, barcollando. Al trivio dei fruttaiuoli una
-torma di cani stava in conciliabolo amoroso. Come
-l'uomo si appressò, la torma si disperse correndo
-verso il Bagno. Dal vicolo di Gesidio un'altra
-torma sbucò e prese la via dei Bastioni. Tutto
-il paese di Pescara, nel dolce plenilunio primaverile,
-era pieno di amori e di combattimenti canini.
-Il mastino di Madrigale, incatenato a guardia
-d'un bove ucciso, di tratto in tratto faceva
-<span class="pagenum" id="Page_444">[444]</span>
-sentire la sua voce profonda che dominava tutte
-le altre voci. Di tratto in tratto, qualche cane
-sbandato passava di gran corsa, solo, dirigendosi
-al luogo della mischia. Nelle case, i cani
-prigionieri ululavano.
-</p>
-
-<p>
-Ora, un turbamento più strano prendeva il
-cervello dell'ebro. Dinanzi a lui, dietro a lui, in
-torno a lui, la fuga imaginaria delle cose ricominciava
-più rapida. Egli si avanzava, e tutte
-le cose si allontanavano: le nuvole, gli alberi,
-le pietre, le rive del fiume, le antenne delle barche,
-le case. Questa specie di repulsione e di
-reprobazione universale lo empì di terrore. Si
-fermò. Un gorgoglio prolungato gli moveva le
-viscere. Subito, nella mente scomposta, gli balenò
-un pensiero. — Il lepre! Anche il lepre di
-Ciávola non voleva più restar con lui! — Il terrore
-gli crebbe; un tremito gli prese le gambe
-e le braccia. Ma, incalzato, discese fra i salici
-teneri e le alte erbe su la riva.
-</p>
-
-<p>
-La luna piena, radiante, spandeva per tutto il
-cielo una dolce serenità nivale. Gli alberi s'inclinavano
-in attitudini pacifiche alla contemplazione
-delle acque fuggitive. Quasi un respiro
-lento e solenne emanava dal sonno del fiume
-sotto la luna. Le rane cantavano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_445">[445]</span>
-</p>
-
-<p>
-Turlendana stava quasi nascosto tra le piante.
-Le mani gli tremavano su i ginocchi. D'improvviso,
-egli sentì sotto di sè muoversi qualche cosa
-di vivo: una rana! Gittò un grido, si levò, si
-diede a correre traballando, in mezzo ai salici
-che lo fustigavano. Pel disordine de' suoi spiriti,
-egli era atterrito come da un fatto soprannaturale.
-</p>
-
-<p>
-A un avvallamento del terreno cadde, bocconi,
-con la faccia su l'erba. Si rialzò a gran fatica,
-e stette un momento a riguardare in torno gli
-alberi.
-</p>
-
-<p>
-Le forme argentee dei pioppi sorgevano immobili
-nell'aria, taciturne; e parevano inalzarsi
-fino alla luna, per un prolungamento ingannevole
-delle loro cime. Le rive del fiume si dileguavano
-indefinite, quasi immateriali, come le imagini dei
-paesi nei sogni. Su la parte destra gli estuari
-risplendevano d'una bianchezza abbagliante,
-d'una bianchezza salina, su cui ad intervalli le
-ombre gittate dalle nuvole migratrici passavano
-mollemente come veli azzurri. Più lungi la selva
-chiudeva l'orizzonte. Il profumo della selva e il
-profumo del mare si mescolavano.
-</p>
-
-<p>
-— Oh Turlendana! ooooh! — gridò una voce,
-chiarissima.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_446">[446]</span>
-</p>
-
-<p>
-Turlendana, stupefatto, si volse.
-</p>
-
-<p>
-— Oh Turlendanaaaaa!
-</p>
-
-<p>
-E Binchi-Banche apparve in compagnia di un
-finanziere, su 'l principio di un sentiero praticato
-dai marinai tra il folto dei salci.
-</p>
-
-<p>
-— Addó vai a 'st'ora? A piagne lu camelo? — chiese
-Binchi-Banche avvicinandosi.
-</p>
-
-<p>
-Turlendana non rispose subito. Si reggeva con
-le mani le brache, teneva le ginocchia un po'
-piegate innanzi; e nella faccia aveva una così
-strana espression di stupidezza e balbettava così
-miseramente che Binchi-Banche e il finanziere
-scoppiarono in grasse risa.
-</p>
-
-<p>
-— Va, va — disse l'omiciattolo grinzoso, prendendo
-l'ebro per le spalle e incamminandola
-verso la marina.
-</p>
-
-<p>
-Turlendana andò innanzi. Binchi-Banche ed
-il finanziere seguitavano a distanza, ridendo e
-parlando a voce bassa.
-</p>
-
-<p>
-Ora la verdura terminava e incominciavano
-la sabbie. Si udiva mormorare la maretta alla
-foce della Pescara.
-</p>
-
-<p>
-In una specie di bassura arenosa, tra le dune,
-Turlendana si incontrò con la carogna di Barbarà
-non ancora sepolta. Il gran corpo, tutto
-spellato, era sanguinolento; le masse adipose
-<span class="pagenum" id="Page_447">[447]</span>
-della schiena anche erano scoperte ed apparivano
-d'un colore giallognolo; su le gambe e su
-le cosce la pelle rimaneva con tutti i peli e i
-dischi callosi; nella bocca si vedevano i due denti
-enormi, angolosi, ricurvi della mandibola superiore
-e la lingua bianchiccia; il labbro di sotto
-era, chi sa perchè, reciso; e il collo somigliava
-ad un tronco di serpente.
-</p>
-
-<p>
-Turlendana, in conspetto di quello strazio, si
-mise a gridare scotendo la testa. Faceva un verso
-singolare, che non pareva umano.
-</p>
-
-<p>
-— Ahò! Ahò! Ahò!
-</p>
-
-<p>
-Poi, volendo chinarsi su 'l camello, stramazzò;
-si agitò invano per rialzarsi; e, vinto dal torpore
-del vino, rimase senza conoscenza.
-</p>
-
-<p>
-Binchi-Banche e il finanziere, come lo videro
-cadere, sopraggiunsero. Lo presero, l'uno da
-capo e l'altro da piedi; lo sollevarono, e lo adagiarono
-lungo su 'l corpo di Barbarà, atteggiandolo
-a un abbracciamento d'amore. Sghignazzavano
-i due operando.
-</p>
-
-<p>
-E così Turlendana giacque co 'l camello, sino
-all'aurora.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_448">[448]</span></p>
-
-<h2 id="cerusico">IL CERUSICO DI MARE.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Il trabaccolo <i>Trinità</i>, carico di fromento, salpò
-alla volta della Dalmazia, verso sera. Navigò
-lungo il fiume tranquillo, fra le paranze di Ortona
-ancorate in fila, mentre su la riva si accendevano
-fuochi e i marinai reduci cantavano.
-Passando quindi pianamente la foce angusta, uscì
-nel mare.
-</p>
-
-<p>
-Il tempo era benigno. Nel cielo di ottobre,
-quasi a fior delle acque, la luna piena pendeva
-come una dolce lampada rosea. Le montagne
-e le colline, dietro, avevano forma di donne adagiate.
-In alto, passavano le oche selvatiche, senza
-gridare, e si dileguavano.
-</p>
-
-<p>
-I sei uomini e il mozzo prima manovrarono
-d'accordo per prendere il vento. Poi, come le
-vele si gonfiarono nell'aria tutte colorate in rosso
-e segnate di figure rudi, i sei uomini si misero
-a sedere e cominciarono a fumare tranquillamente.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_449">[449]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il mozzo prese a cantarellare una canzone della
-patria, a cavalcioni su la prua.
-</p>
-
-<p>
-Disse Talamonte maggiore, gittando un lungo
-sprazzo di saliva su l'acqua e rimettendosi in
-bocca la pipa gloriosa:
-</p>
-
-<p>
-— Lu tembe n'n ze mandéne.
-</p>
-
-<p>
-Alla profezia, tutti guardarono verso il largo;
-e non parlarono. Erano marinai forti e indurati
-alle vicende del mare. Avevano altre volte navigato
-alle isole dàlmate, e a Zara, a Trieste, a
-Spàlato; sapevano la via. Alcuni anche rammentavano
-con dolcezza il vino di Dignano,
-che ha il profumo delle rose, e i frutti delle
-isole.
-</p>
-
-<p>
-Comandava il trabaccolo Ferrante La Selvi.
-I due fratelli Talamonte, Cirù, Massacese e Gialluca
-formavano l'equipaggio, tutti nativi di Pescara.
-Nazareno era il mozzo.
-</p>
-
-<p>
-Essendo il plenilunio, indugiarono su'l ponte.
-Il mare era sparso di paranze che pescavano.
-Ogni tanto una coppia di paranze passava accanto
-al trabaccolo; e i marinai si scambiavano
-voci, familiarmente. La pesca pareva fortunata.
-Quando le barche si allontanarono e le acque
-ridivennero deserte, Ferrante e i Talamonte discesero
-sotto coperta per riposare. Massacese e
-<span class="pagenum" id="Page_450">[450]</span>
-Gialluca, poi ch'ebbero finito di fumare, seguirono
-l'esempio. Cirù rimase di guardia.
-</p>
-
-<p>
-Prima di scendere, Gialluca, mostrando al
-compagno una parte del collo, disse:
-</p>
-
-<p>
-— Guarda che tenghe a qua.
-</p>
-
-<p>
-Massacese guardò e disse:
-</p>
-
-<p>
-— Na cosa da niente. N'n ce penzà.
-</p>
-
-<p>
-C'era un rossore simile a quello che produce
-la puntura di un insetto, e in mezzo al rossore
-un piccolo nodo.
-</p>
-
-<p>
-Gialluca soggiunse:
-</p>
-
-<p>
-— Me dole.
-</p>
-
-<p>
-Nella notte si mutò il vento; e il mare cominciò
-ad ingrossare. Il trabaccolo si mise a
-ballare sopra le onde, trascinato a levante, perdendo
-cammino. Gialluca, nella manovra, gittava
-ogni tanto un piccolo grido, perchè ad ogni
-movimento brusco del capo sentiva dolore.
-</p>
-
-<p>
-Ferrante La Scivi gli domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Che tieni?
-</p>
-
-<p>
-Gialluca, alla luce dell'alba, mostrò il suo male.
-Su la cute il rossore era cresciuto, ed un piccolo
-tumore aguzzo appariva nel mezzo.
-</p>
-
-<p>
-Ferrante, dopo avere osservato, disse anche
-lui:
-</p>
-
-<p>
-— Na cosa da niente. N'n ce penzà.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_451">[451]</span>
-</p>
-
-<p>
-Gialluca prese un fazzoletto e si fasciò il collo.
-Poi si mise a fumare.
-</p>
-
-<p>
-Il trabaccolo, scosso dai cavalloni e trascinato
-dal vento contrario, fuggiva ancora verso levante.
-Il rumore del mare copriva le voci. Qualche
-ondata si spezzava sul ponte, ad intervalli,
-con un suono sordo.
-</p>
-
-<p>
-Verso sera la burrasca si placò; e la luna
-emerse come una cupola di fuoco. Ma poichè
-il vento cadde, il trabaccolo rimase quasi fermo
-nella bonaccia; le vele si afflosciarono. Di tanto
-in tanto sopravveniva un soffio passeggiero.
-</p>
-
-<p>
-Gialluca si lamentava del dolore. Nell'ozio, i
-compagni cominciarono ad occuparsi del suo
-male. Ciascuno suggeriva un rimedio differente.
-Cirù, ch'era il più anziano, si fece innanzi e suggerì
-un empiastro di mele e di farina. Egli
-aveva qualche vaga cognizione medica, perchè
-la moglie sua in terra esercitava la medicina
-insieme con l'arte magica e guariva i mali con
-i farmachi e con le cabale. Ma la farina e le mele
-mancavano. La galletta non poteva essere efficace.
-</p>
-
-<p>
-Allora Cirù prese una cipolla e un pugno di
-grano: pestò il grano, tagliuzzò la cipolla, e
-compose l'empiastro. Al contatto di quella materia,
-<span class="pagenum" id="Page_452">[452]</span>
-Gialluca sentì crescere il dolore. Dopo
-un'ora si strappò dal collo la fasciatura e gittò
-ogni cosa in mare, invaso da un'impazienza
-irosa. Per vincere il fastidio, si mise al timone
-e resse la sbarra lungo tempo. S'era levato il
-vento, e le vele palpitavano gioiosamente. Nella
-chiara notte un'isoletta, che doveva essere Pelagosa,
-apparve in lontananza come una nuvola
-posata su l'acqua.
-</p>
-
-<p>
-Alla mattina Cirù, che omai aveva impreso a
-curare il male, volle osservare il tumore. La gonfiezza
-erasi dilatata occupando gran parte del
-collo ed aveva assunta una nuova forma e un
-colore più cupo che su l'apice diveniva violetto.
-</p>
-
-<p>
-— E che è quesse? — egli esclamò, perplesso,
-con un suono di voce che fece trasalire l'infermo.
-E chiamò Ferrante, i due Talamonte, gli
-altri.
-</p>
-
-<p>
-Le opinioni furono varie. Ferrante imaginò un
-male terribile da cui Gialluca poteva rimanere
-soffocato. Gialluca, con gli occhi aperti straordinariamente,
-un po' pallido, ascoltava i prognostici.
-Come il cielo era coperto di vapori, e il
-mare appariva cupo e stormi di gabbiani si precipitavano
-verso la costa gridando, una specie di
-terrore scese nell'animo di lui.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_453">[453]</span>
-</p>
-
-<p>
-Alla fine Talamonte minore sentenziò:
-</p>
-
-<p>
-— È 'na fava maligna.
-</p>
-
-<p>
-Gli altri assentirono:
-</p>
-
-<p>
-— Eh, po èsse'.
-</p>
-
-<p>
-Infatti, il giorno dopo, la cuticola del tumore
-fu sollevata da un siero sanguigno e si lacerò.
-E tutta la parte prese l'apparenza d'un nido di
-vespe, d'onde sgorgavano materie purulente in
-abbondanza. L'infiammazione e la suppurazione
-si approfondivano e si estendevano rapidamente.
-</p>
-
-<p>
-Gialluca, atterrito, invocò san Rocco che guarisce
-le piaghe. Promise dieci libbre di cera,
-venti libbre. Egli s'inginocchiava in mezzo al
-ponte, tendeva le braccia verso il cielo, faceva
-i voti con un gesto solenne, nominava il padre,
-la madre, la moglie, i figliuoli. D'in torno, i
-compagni si facevano il segno della croce, gravemente,
-ad ogni invocazione.
-</p>
-
-<p>
-Ferrante La Selvi, che sentì giungere un gran
-colpo di vento, gridò con la voce rauca un comando,
-in mezzo al romorìo del mare. Il trabaccolo
-si piegò tutto sopra un fianco. Massacese,
-i Talamonte, Cirù si gittarono alla manovra.
-Nazareno strisciò lungo un albero. Le vele
-in un momento furono ammainate: rimasero i
-due fiocchi. E il trabaccolo, barcollando da banda
-<span class="pagenum" id="Page_454">[454]</span>
-a banda, si mise a correre a precipizio su la
-cima dei flutti.
-</p>
-
-<p>
-— Sante Rocche! Sante Rocche! — gridava
-con più fervore Gialluca, eccitato anche dal tumulto
-circostante, curvo su le ginocchia e su le
-mani per resistere al rullìo.
-</p>
-
-<p>
-Di tratto in tratto un'ondata più forte si rovesciava
-su la prua: l'acqua salsa invadeva il
-ponte da un capo all'altro.
-</p>
-
-<p>
-— Va a basse! — gridò Ferrante a Gialluca.
-</p>
-
-<p>
-Gialluca discese nella stiva. Egli sentiva un calore
-molesto e un'aridezza febrile per tutta la pelle:
-e la paura del male gli chiudeva lo stomaco. Là
-sotto, nella luce fievole, le forme delle cose assumevano
-apparenze singolari. Si udivano i colpi
-profondi del flutto contro i fianchi del naviglio
-e gli scricchiolii di tutta quanta la compagine.
-</p>
-
-<p>
-Dopo mezz'ora, Gialluca riapparve su 'l ponte,
-smorto come se uscisse da un sepolcro. Egli
-amava meglio stare all'aperto, esporsi all'ondata,
-vedere gli uomini, respirare il vento.
-</p>
-
-<p>
-Ferrante, sorpreso da quel pallore, gli domandò:
-</p>
-
-<p>
-— E mo' che tieni?
-</p>
-
-<p>
-Gli altri marinai, dai loro posti, si misero a
-discutere i rimedii; ad alta voce, quasi gridando,
-<span class="pagenum" id="Page_455">[455]</span>
-per superare il fragore della burrasca. Si animavano.
-Ciascuno aveva un metodo suo. Ragionavano
-con sicurezza di dottori. Dimenticavano
-il pericolo, nella disputa. Massacese aveva
-visto, due anni avanti, un vero medico operare
-sul fianco di Giovanni Margadonna, in un caso
-simile. Il medico tagliò, poi strofinò con pezzi di
-legno intinti in un liquido fumante, bruciò così
-la piaga. Levò con una specie di cucchiaio la
-carne arsa che somigliava fondiglio di caffè. E
-Margadonna fu salvo.
-</p>
-
-<p>
-Massacese ripeteva, quasi esaltato, come un
-cerusico feroce:
-</p>
-
-<p>
-— S'ha da tajià! S'ha da tajià!
-</p>
-
-<p>
-E faceva l'atto del taglio, con la mano, verso
-l'infermo.
-</p>
-
-<p>
-Cirù fu del parere di Massacese. I due Talamonte
-anche convennero. Ferrante La Selvi scoteva
-il capo.
-</p>
-
-<p>
-Allora Cirù fece a Gialluca la proposta. Gialluca
-si rifiutò.
-</p>
-
-<p>
-Cirù, in un impeto brutale ch'egli non potè
-trattenere gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Muòrete!
-</p>
-
-<p>
-Gialluca divenne più pallido e guardò il compagno
-con due larghi occhi pieni di terrore
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_456">[456]</span>
-</p>
-
-<p>
-Cadeva la notte. Il mare nell'ombra pareva
-che urlasse più forte. Le onde luccicavano, passando
-nella luce gittata dal fanale di prua. La
-terra era lontana. I marinai stavano afferrati a
-una corda per resistere contro i marosi. Ferrante
-governava il timone, gettando di tratto in tratto
-una voce nella tempesta:
-</p>
-
-<p>
-— Va a basse, Giallù!
-</p>
-
-<p>
-Gialluca, per una strana ripugnanza a trovarsi
-solo, non voleva discendere quantunque il male
-lo travagliasse. Anch'egli si teneva alla corda,
-stringendo i denti nel dolore. Quando veniva
-una ondata, i marinai abbassavano la testa e
-mettevano un grido concorde, simile a quello
-con cui sogliono accompagnare un comune sforzo
-nella fatica.
-</p>
-
-<p>
-Uscì la luna da una nuvola, diminuendo l'orrore.
-Ma il mare si mantenne grosso tutta la
-notte.
-</p>
-
-<p>
-La mattina Gialluca, smarrito, disse ai compagni:
-</p>
-
-<p>
-— Tajiáte.
-</p>
-
-<p>
-I compagni prima s'accordarono gravemente;
-tennero una specie di consulto decisivo. Poi osservarono
-il tumore ch'era eguale al pugno di
-un uomo. Tutte le aperture, che dianzi gli davano
-<span class="pagenum" id="Page_457">[457]</span>
-l'apparenza di un nido di vespe o di un
-crivello, ora ne formavano una sola.
-</p>
-
-<p>
-Disse Massacese:
-</p>
-
-<p>
-— Curagge! Avande!
-</p>
-
-<p>
-Egli doveva essere il cerusico. Provò su l'unghia
-la tempra delle lame. Scelse infine il coltello
-di Talamonte maggiore, ch'era affilato di
-fresco. Ripetè:
-</p>
-
-<p>
-— Curagge! Avande!
-</p>
-
-<p>
-Quasi un fremito d'impazienza scoteva lui e
-gli altri.
-</p>
-
-<p>
-L'infermo ora pareva preso da uno stupidimento
-cupo. Teneva gli occhi fissi su 'l coltello,
-senza dire niente, con la bocca semiaperta,
-con le mani penzoloni lungo i fianchi, come un
-idiota.
-</p>
-
-<p>
-Cirù lo fece sedere, gli tolse la fasciatura,
-mettendo con le labbra quei suoni istintivi che
-indicano il ribrezzo. Un momento, tutti si chinarono
-su la piaga, in silenzio, a guardare. Massacese
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— Cusì e cusì, — indicando con la punta del
-coltello la direzione dei tagli.
-</p>
-
-<p>
-Allora, d'un tratto, Gialluca ruppe in un gran
-pianto. Tutto il suo corpo veniva scosso dai singhiozzi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_458">[458]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Curagge! Curagge! — gli ripetevano i marinai,
-prendendolo per le braccia.
-</p>
-
-<p>
-Massacese incominciò l'opera. Al primo contatto
-della lama, Gialluca gittò un urlo; poi stringendo
-i denti, metteva quasi un muggito soffocato.
-</p>
-
-<p>
-Massacese tagliava lentamente, ma con sicurezza;
-tenendo fuori la punta della lingua, per
-una abitudine ch'egli aveva nel condur le cose
-con attenzione. Come il trabaccolo barcollava,
-il taglio riusciva ineguale; il coltello ora penetrava
-più, ora meno. Un colpo di mare fece affondare
-la lama dentro i tessuti sani. Gialluca
-gittò un altro urlo, dibattendosi, tutto sanguinante,
-come una bestia tra le mani dei beccai.
-Egli non voleva più sottomettersi.
-</p>
-
-<p>
-— No, no, no!
-</p>
-
-<p>
-— Vien' a qua! Vien' a qua! — gli gridava
-Massacese, dietro, volendo seguitare la sua opera
-perchè temeva che il taglio interrotto fosse più
-pericoloso.
-</p>
-
-<p>
-Il mare, ancora grosso, romoreggiava in torno,
-senza fine. Nuvole in forma di trombe sorgevano
-dall'ultimo termine ed abbracciavano il cielo deserto
-d'uccelli. Oramai, in mezzo a quel frastuono,
-sotto quella luce, una eccitazione singolare prendeva
-<span class="pagenum" id="Page_459">[459]</span>
-quegli uomini. Involontariamente, essi nel
-lottare col ferito per tenerlo fermo, s'adiravano.
-</p>
-
-<p>
-— Vien' a qua!
-</p>
-
-<p>
-Massacese fece altre quattro o cinque incisioni,
-rapidamente, a caso. Sangue misto a materie
-biancastre sgorgava dalle aperture. Tutti
-n'erano macchiati, tranne Nazareno che stava a
-prua, tremante, sbigottito dinanzi all'atrocità
-della cosa.
-</p>
-
-<p>
-Ferrante La Selvi, che vedeva la barca pericolare,
-diede un comando a squarciagola:
-</p>
-
-<p>
-— Molla le scòtteee! Butta 'l timone a l'ôrsa!
-</p>
-
-<p>
-I due Talamonte, Massacese, Cirù manovrarono.
-Il trabaccolo riprese a correre beccheggiando.
-Si scorgeva Lissa in lontananza. Lunghe
-zone di sole battevano su le acque, sfuggendo
-di tra le nuvole; e variavano secondo le
-vicende celesti.
-</p>
-
-<p>
-Ferrante rimase alla sbarra. Gli altri marinai
-tornarono a Gialluca. Bisognava nettare le aperture,
-bruciare, mettere le filacce.
-</p>
-
-<p>
-Ora il ferito era in una prostrazione profonda.
-Pareva che non capisse più nulla. Guardava i
-compagni, con due occhi smorti, già torbidi come
-quelli degli animali che stanno per morire. Ripeteva
-ad intervalli, quasi fra sè:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_460">[460]</span>
-</p>
-
-<p>
-— So' morto! So' morto!
-</p>
-
-<p>
-Cirù, con un po' di stoppa grezza, cercava di
-pulire; ma aveva la mano rude, irritava la piaga.
-Massacese, volendo fino all'ultimo seguire l'esempio
-del cerusico di Margadonna, aguzzava certi
-pezzi di legno d'abete, con attenzione. I due Talamonte
-si occupavano del catrame, poichè il
-catrame bollente era stato scelto per bruciare
-la piaga. Ma era impossibile accendere il fuoco
-su 'l ponte che ad ogni momento veniva allagato.
-I due Talamonte discesero sotto coperta.
-</p>
-
-<p>
-Massacese gridò a Cirù:
-</p>
-
-<p>
-— Lava nghe l'acqua de mare!
-</p>
-
-<p>
-Cirù seguì il consiglio. Gialluca si sottometteva
-a tutto, facendo un lagno continuo, battendo
-i denti. Il collo gli era diventato enorme,
-tutto rosso, in alcuni punti quasi violaceo. In
-torno alle incisioni cominciavano ad apparire alcune
-chiazze brunastre. L'infermo provava difficoltà
-a respirare, a inghiottire; e lo tormentava
-la sete.
-</p>
-
-<p>
-— Arcummánnete a sante Rocche — gli disse
-Massacese che aveva finito di aguzzare i pezzi
-di legno e che aspettava il catrame.
-</p>
-
-<p>
-Spinto dal vento, il trabaccolo ora deviava in
-su, verso Sebenico, perdendo di vista l'isola. Ma
-<span class="pagenum" id="Page_461">[461]</span>
-quantunque le onde fossero ancora forti, la burrasca
-accennava a diminuire. Il sole era a mezzo
-del cielo, tra nuvole color di ruggine.
-</p>
-
-<p>
-I due Talamonte vennero con un vaso di terra
-pieno di catrame fumante.
-</p>
-
-<p>
-Gialluca s'inginocchiò, per rinnovare il voto al
-santo. Tutti si fecero il segno della croce.
-</p>
-
-<p>
-— Oh sante Rocche, sálveme! Te 'mprumette
-'na lampa d'argente e l'uoglie pe' tutte l'anne e
-trenta libbre de ciere. Oh sante Rocche, sálveme
-tu! Tenghe la mojie e li fijie... Pietà! Misericordie,
-sante Rocche mi'!
-</p>
-
-<p>
-Gialluca teneva congiunte le mani; parlava
-con voce che pareva non fosse più la sua. Poi
-si rimise a sedere, dicendo semplicemente a Massacese:
-</p>
-
-<p>
-— Fa.
-</p>
-
-<p>
-Massacese avvolse in torno ai pezzi di legno un
-po' di stoppa; e a mano a mano ne tuffava uno
-nel catrame bollente e con quello strofinava la
-piaga. Per rendere più efficace e profonda la bruciatura,
-versò anche il liquido nelle ferite. Gialluca
-non mosse un lamento. Gli altri rabbrividivano,
-in conspetto di quello strazio.
-</p>
-
-<p>
-Disse Ferrante La Selvi, dal suo posto, scotendo
-il capo:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_462">[462]</span>
-</p>
-
-<p>
-— L'avet'accise!
-</p>
-
-<p>
-Gli altri portarono sotto coperta Gialluca semivivo;
-e l'adagiarono sopra una branda. Nazareno
-rimase a guardia, presso l'infermo. Si udivano di
-là le voci gutturali di Ferrante che comandava
-la manovra e i passi precipitati dei marinai. La
-<i>Trinità</i> virava, scricchiolando. A un tratto Nazareno
-si accorse d'una falla in cui entrava acqua;
-chiamò. I marinai discesero, in tumulto. Gridavano
-tutti insieme, provvedendo in furia a riparare.
-Pareva un naufragio.
-</p>
-
-<p>
-Gialluca, benchè prostrato di forze e d'animo, si
-rizzò su la branda, imaginando che la barca andasse
-a picco; e s'aggrappò disperatamente a uno
-dei Talamonte. Supplicava, come una femmina:
-</p>
-
-<p>
-— Nen me lasciate! Nen me lasciate!
-</p>
-
-<p>
-Lo calmarono; lo riadagiarono. Egli ora aveva
-paura; balbettava parole insensate; piangeva;
-non voleva morire. Poichè l'infiammazione crescendo
-gli occupava tutto tutto il collo e la cervice
-e si diffondeva anche pe 'l tronco a poco a
-poco, e la gonfiezza diveniva ancor più mostruosa,
-egli si sentiva strozzare. Spalancava ogni tanto
-la bocca per bevere l'aria.
-</p>
-
-<p>
-— Portateme sopra! A qua me manghe l'arie;
-a qua me more....
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_463">[463]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ferrante richiamò gli uomini sul ponte. Il trabaccolo
-ora bordeggiando cercava di acquistare
-cammino. La manovra era complicata. Ferrante
-spiava il vento e dava il comando utile, stando
-al timone. Come più il vespro si avvicinava, le
-onde si placavano.
-</p>
-
-<p>
-Dopo qualche tempo, Nazareno venne sopra,
-tutto sbigottito, gridando:
-</p>
-
-<p>
-— Gialluca se more! Gialluca se more!
-</p>
-
-<p>
-I marinai corsero; e trovarono il compagno
-già morto su la branda, in un'attitudine scomposta,
-con gli occhi aperti, con la faccia tumida,
-come un uomo strangolato.
-</p>
-
-<p>
-Disse Talamonte maggiore:
-</p>
-
-<p>
-— È mo'?
-</p>
-
-<p>
-Gli altri tacquero, un po' smarriti, dinanzi al
-cadavere.
-</p>
-
-<p>
-Risalirono su 'l ponte, in silenzio. Talamonte
-ripeteva:
-</p>
-
-<p>
-— È mo'?
-</p>
-
-<p>
-Il giorno si ritirava lentamente dalle acque.
-Nell'aria veniva la calma. Un'altra volta le vele
-si afflosciavano e il naviglio rimaneva senza avanzare.
-Si scorgeva l'isola di Solta.
-</p>
-
-<p>
-I marinai, riuniti a poppa, ragionavano del
-fatto. Un'inquietudine viva occupava tutti gli
-<span class="pagenum" id="Page_464">[464]</span>
-animi: Massacese era pallido e pensieroso. Egli
-osservò:
-</p>
-
-<p>
-— Avéssene da dice che l'avéme fatte murì
-nu áutre? Avasséme da passà guai?
-</p>
-
-<p>
-Questo timore già tormentava lo spirito di
-quegli uomini superstiziosi e diffidenti. Essi risposero:
-</p>
-
-<p>
-— È lu vere.
-</p>
-
-<p>
-Massacese incalzò:
-</p>
-
-<p>
-— Mbé? Che facéme?
-</p>
-
-<p>
-Talamonte maggiore disse, semplicemente:
-</p>
-
-<p>
-— È morte? Jettámele a lu mare. Facéme vedé
-ca l'avéme pirdute 'n mezz'a lu furtunale... Certe,
-n'arrièsce.
-</p>
-
-<p>
-Gli altri assentirono. Chiamarono Nazareno.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, tu... mute come nu pesce.
-</p>
-
-<p>
-E gli suggellarono il segreto nell'animo, con
-un segno minaccioso.
-</p>
-
-<p>
-Poi discesero a prendere il cadavere. Già le
-carni del collo davano odore malsano; le materie
-della suppurazione gocciolavano, ad ogni scossa.
-</p>
-
-<p>
-Massacese disse:
-</p>
-
-<p>
-— Mettémele dentr'a nu sacche.
-</p>
-
-<p>
-Presero un sacco; ma il cadavere ci entrava
-per metà. Legarono il sacco alle ginocchia, e le
-gambe rimasero fuori. Si guardavano d'in torno,
-<span class="pagenum" id="Page_465">[465]</span>
-istintivamente, facendo l'operazione mortuaria.
-Non si vedevano vele; il mare aveva un ondeggiamento
-largo e piano, dopo la burrasca; l'isola
-di Solta appariva tutt'azzurra, in fondo.
-</p>
-
-<p>
-Massacese disse:
-</p>
-
-<p>
-— Mettémece pure 'na preta.
-</p>
-
-<p>
-Presero una pietra fra la zavorra, e la legarono
-ai piedi di Gialluca.
-</p>
-
-<p>
-Massacese disse:
-</p>
-
-<p>
-— Avande!
-</p>
-
-<p>
-Sollevarono il cadavere fuori del bordo e lo
-lasciarono scivolare nel mare. L'acqua si richiuse
-gorgogliando; il corpo discese da prima con una
-oscillazione lenta; poi si dileguò.
-</p>
-
-<p>
-I marinai tornarono a poppa, ed aspettarono il
-vento. Fumavano, senza parlare. Massacese ogni
-tanto faceva un gesto involontario, come fanno talora
-gli uomini cogitabondi.
-</p>
-
-<p>
-Il vento si levò. Le vele si gonfiarono, dopo
-avere palpitato un istante. La <i>Trinità</i> si mosse
-nella direzione di Solta. Dopo due ore di buona
-rotta, passò lo stretto.
-</p>
-
-<p>
-La luna illuminava le rive. Il mare aveva quasi
-una tranquillità lacustre. Dal porto di Spálato
-uscivano due navigli, e venivano incontro alla
-<i>Trinità</i>. Le due ciurme cantavano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_466">[466]</span>
-</p>
-
-<p>
-Udendo la canzone, Cirù disse:
-</p>
-
-<p>
-— Toh! So' di Piscare.
-</p>
-
-<p>
-Vedendo le figure e le cifre delle vele, Ferrante
-disse:
-</p>
-
-<p>
-— So' li trabaccule di Raimonde Callare.
-</p>
-
-<p>
-E gittò la voce.
-</p>
-
-<p>
-I marinai paesani risposero con grandi clamori.
-Uno dei navigli era carico di fichi secchi, e l'altro
-di asinelli.
-</p>
-
-<p>
-Come il secondo dei navigli passò a dieci
-metri dalla <i>Trinità</i>, varii saluti corsero. Una voce
-gridò:
-</p>
-
-<p>
-— Oh Giallù! Addó sta Gialluche?
-</p>
-
-<p>
-Massacese rispose:
-</p>
-
-<p>
-— L'avéme pirdute a mare, 'n mezz'a lu furtunale.
-Dicétele a la mamme.
-</p>
-
-<p>
-Alcune esclamazioni allora sorsero dal trabaccolo
-degli asinelli; poi gli addii.
-</p>
-
-<p>
-— Addie! Addie! A Piscare! A Piscare!
-</p>
-
-<p>
-E allontanandosi le ciurme ripresero la canzone,
-sotto la luna.
-</p>
-
-<hr class="silver" />
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_467">[467]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-INDICE.</a></h2>
-
-<table class="indice" summary="">
- <tr>
- <td>&nbsp;</td> <td class="pag">Pag.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#orsola">La vergine Orsola</a></td> <td class="pag">1</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#anna">La vergine Anna</a></td> <td class="pag">86</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#idolatri">Gli idolatri</a></td> <td class="pag">165</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#eroe">L'eroe</a></td> <td class="pag">186</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#veglia">La veglia funebre</a></td> <td class="pag">194</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#contessa">La contessa d'Amalfi</a></td> <td class="pag">209</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#duca">La morte del duca d'Ofena</a></td> <td class="pag">255</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#traghettatore">Il traghettatore</a></td> <td class="pag">276</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#agonia">Agonia</a></td> <td class="pag">307</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#candia">La fine di Candia</a></td> <td class="pag">319</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#fattura">La fattura</a></td> <td class="pag">337</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#marenghi">I marenghi</a></td> <td class="pag">364</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#madia">La madia</a></td> <td class="pag">374</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#mungia">Mungià</a></td> <td class="pag">383</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#ponte">La guerra del Ponte</a></td> <td class="pag">397</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#ritorna">Turlendana ritorna</a></td> <td class="pag">421</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#ebro">Turlendana ebro</a></td> <td class="pag">437</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#cerusico">Il cerusico di mare</a></td> <td class="pag">448</td>
- </tr>
-</table>
-
-<hr />
-</div>
-
-<div class="opere">
-<p class="title">
-<i>OPERE di GABRIELE D'ANNUNZIO</i>
-</p>
-
-<table class="pubb" summary="">
- <tr>
- <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">I romanzi della Rosa:</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Il Piacere</td> <td class="prezzo">L. 5&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>L'Innocente</td> <td class="prezzo">4&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Trionfo della Morte</td> <td class="prezzo">5&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">I romanzi del Giglio:</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Le Vergini delle Rocce</td> <td class="prezzo">5&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La Grazia *.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>L'Annunziazione *.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">I romanzi del Melagrano:</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Il Fuoco</td> <td class="prezzo">5&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La Vittoria dell'Uomo *.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Trionfo della Vita *.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Le Novelle della Pescara</td> <td class="prezzo">4&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Poesie:</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Canto novo; Intermezzo</td> <td class="prezzo">4&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>L'Isottéo; la Chimera</td> <td class="prezzo">4&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Poema paradisiaco; Odi navali</td> <td class="prezzo">4&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La Canzone di Garibaldi: La Notte di Caprera</td> <td class="prezzo">1 50</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>In morte di Giuseppe Verdi. Canzone preceduta da una Orazione ai giovani</td> <td class="prezzo">1&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Nel primo centenario della nascita di Vittor Hugo — <span class="smcap lowercase">MDCCCII-MCMII</span> — ode</td> <td class="prezzo">1&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Laudi del Cielo, del Mare, della Terra e degli Eroi</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="spaced1"><i>Vol. I:</i></span> Laus Vitæ. Legato in finta pergamena</td> <td class="prezzo">8&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>— Legato in vera pergamena</td> <td class="prezzo">12&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="spaced1"><i>Vol. II:</i></span> Elettra — Alcione. Legato in finta pergamena</td> <td class="prezzo">10&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>— Legato in vera pergamena</td> <td class="prezzo">14&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>L'Allegoria dell'Autunno</td> <td class="prezzo">1&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center"><span class="smcap">Drami:</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Francesca da Rimini, tragedia in 5 atti</td> <td class="prezzo">7 50</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>— Legata in vera pergamena con fregi e nastri di stile antico</td> <td class="prezzo">12&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Francesca da Rimini. Edizione econom.</td> <td class="prezzo">4&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La Città morta, tragedia in 5 atti</td> <td class="prezzo">4&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La Gioconda, tragedia in 4 atti</td> <td class="prezzo">4&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La Gloria, tragedia in 5 atti</td> <td class="prezzo">4&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La Figlia di Iorio, tragedia in 3 atti</td> <td class="prezzo">4&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="center">I Sogni delle Stagioni</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;&nbsp;&nbsp;Sogno d'un mattino di primavera</td> <td class="prezzo">2&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>* Sogno d'un meriggio d'estate.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;&nbsp;&nbsp;Sogno d'un tramonto d'autunno</td> <td class="prezzo">2&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>* Sogno d'una notte d'inverno.</td>
- </tr>
-</table>
-
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-
-
-
-
-
-
-
-<pre>
-
-
-
-
-
-End of Project Gutenberg's Le Novelle della Pescara, by Gabriele D'Annunzio
-
-*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK LE NOVELLE DELLA PESCARA ***
-
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-
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-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg-tm
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-Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
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-including obsolete, old, middle-aged and new computers. It exists
-because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from
-people in all walks of life.
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-Volunteers and financial support to provide volunteers with the
-assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's
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-remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
-Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
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-To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4
-and the Foundation web page at http://www.pglaf.org.
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-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive
-Foundation
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-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
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-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
-Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification
-number is 64-6221541. Its 501(c)(3) letter is posted at
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-Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent
-permitted by U.S. federal laws and your state's laws.
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-Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered
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-business@pglaf.org. Email contact links and up to date contact
-information can be found at the Foundation's web site and official
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-For additional contact information:
- Dr. Gregory B. Newby
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- gbnewby@pglaf.org
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-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg
-Literary Archive Foundation
-
-Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
-spread public support and donations to carry out its mission of
-increasing the number of public domain and licensed works that can be
-freely distributed in machine readable form accessible by the widest
-array of equipment including outdated equipment. Many small donations
-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
-status with the IRS.
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-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
-charities and charitable donations in all 50 states of the United
-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
-considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
-with these requirements. We do not solicit donations in locations
-where we have not received written confirmation of compliance. To
-SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any
-particular state visit http://pglaf.org
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-While we cannot and do not solicit contributions from states where we
-have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
-against accepting unsolicited donations from donors in such states who
-approach us with offers to donate.
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-International donations are gratefully accepted, but we cannot make
-any statements concerning tax treatment of donations received from
-outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
-
-Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
-methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
-ways including checks, online payments and credit card donations.
-To donate, please visit: http://pglaf.org/donate
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-
-Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic
-works.
-
-Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm
-concept of a library of electronic works that could be freely shared
-with anyone. For thirty years, he produced and distributed Project
-Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.
-
-
-Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
-editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S.
-unless a copyright notice is included. Thus, we do not necessarily
-keep eBooks in compliance with any particular paper edition.
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-Most people start at our Web site which has the main PG search facility:
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- http://www.gutenberg.org
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-This Web site includes information about Project Gutenberg-tm,
-including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
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